188 /Rinaldi Filippo / 1926-9-2 /
a Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei salesiani
Mio amatissimo Papà,
È l’esercizio della buona morte e dopo aver fatto il mio ritiro, rubando un po’ di tempo allo studio della lingua, ecco un po’ di rendiconto mio personale.
Salute: grazie a Dio ottima. Credo essermi acclimatato completamente e fossi solo, certo, mi sarei giapponizzato in tutto, anche pel vitto: in vita di comunità non è possibile.
Studio e lavoro al solito. Continuo lo studio della lingua: è difficile, ma non impossibile (almeno a parlarla – a scriverla è un altro paio di maniche); ci vuole il suo tempo. Il resto del tempo lo impiego per un po’ di corrispondenza, un po’ di musica ai bimbi, la cura dei confratelli, della casa, ecc.
Pratiche di pietà regolari; in questo mese trovo molte distrazioni involontarie nelle pratiche di pietà più importanti. Sono, insieme alle difficoltà quotidiane, le fonti più belle di umiltà: mi definisco: “il niente”, lo dico a Gesù: “il tuo niente è proprio buono a niente”, mi pare che Lui sia contento… e ridiamo insieme.
Frequenza regolare ai Sacramenti.
Posso fare tutto. Certo non avessi da accudire gli altri, penserei solo allo studio: ma mi pare che quanto potevo fare sia stato fatto, e Dio penserà al resto. Ho certo bisogno di essere sempre più vigilante e attivo nell’adempimento dei doveri in genere, e della pietà in specie. I suoi paterni incitamenti alla vigilanza sulla pietà e sulla purezza hanno fatto un bene immenso a tutti, a me specialmente.
L’osservanza delle regole mi pare regolare e mi pare che senza eccezione tutte si possano osservare anche in Giappone.
Carità fraterna con tutti e mi pare di esserne ricambiato.
Disordini non ne vedo per ora, né risultano dai rendiconti dei confratelli.
Quanto all’anima mia, ringrazio il Signore: mi pare che mancanze volontarie non ve ne siano, mi va giornalmente crescendo l’assoluta convinzione del mio nulla, manifestantesi nelle difficoltà della lingua, nelle difficoltà di conoscenza di questi caratteri, ecc. Oh, quanti motivi di umiltà, con tutta la mia boria, con le lauree, con le aureole più o meno belle di Valsalice, di S. Luigi, della musica, ecc. Oh, che contentezza vedersi nel nome di Dio, qui, in mezzo a queste anime, nell’unica possibilità di balbettare, con chissà quali apprezzamenti da parte di questi giapponesi che si credono soli grandi potenti unici al mondo. Deo gratias!
Avevo bisogno di questo bagno di umiliazioni, che prevedo cresceranno e che mi lasciano per grazia di Dio, mi sembra almeno finora, calmo e allegro.
Cosa strana! mi sono dimenticato un po’ della Madonna! È perché penso più a Lui? Perché non vedo ancora troneggiare Lei in Chiesa, in casa? Non so. Mi sono proposto di attivarmi un po’ di più in questo mese anche in questo e dar più campo all’esame di coscienza.
Altro di speciale nulla. Prego per Lei, per i Superiori, per la nostra futura missione, per la Congregazione, per gli ex allievi e i cooperatori, per gli ammalati e soldati e per i cari morti. E gli altri suoi figlioli :
[Si omette quanto dice al riguardo dei singoli…].
Certo, pensando alle condizioni in cui si trovano certi confratelli e pensando a Valsalice, alle lotte di tanti chierici, lotte morali, specialmente sulla castità, per abitudini precedenti, alla mia superbia viene fatto di domandarmi: “Ma per l’ammissione ai voti alle volte non si è troppo larghi, e per difetti fisici, e per abitudini morali, che mettono a grave cimento queste povere anime?”.
Eccole, mio buon papà, aperto, il cuore in questo mese trascorso e per grazie di Dio il prossimo mese possa essere di fatto un avanzamento per tutti nella virtù.
Le sue care lettere mentre illuminano la mia inesperienza, mi servono per le conferenze regolari, per le buone notti, ecc.
Non mi resta che, inginocchiato vicino al suo cuore paterno, domandare per me e per questi suoi figlioli la sua benedizione.
Dica a Maria A. che faccia in fretta a venir fuori dalle casse. Se non si muove Lei questo povero niente non sa che fare. Con tutto il cuore, devotissimo
don Vincenzo Cimatti, salesiano