21 / Albera Paolo / 1918-10-28 /
a Don Paolo Albera, secondo Rettor Maggiore dei salesiani
Torino, 28 ottobre 1918
Rev.mo Sig. Don Albera e Rev.mi Superiori,
In relazione alla dolorosa comunicazione fattami sulla destinazione che vorrebbero affidarmi i Superiori, dopo aver riflettuto e pregato, mi sento in stretto dovere di comunicare loro quanto segue.
Non voglio ora fare confessioni, che io sento vivissimamente vere sulla mia incapacità a tale peso, sulla mancanza di soda istruzione religiosa, sulla totale mancanza di forza disciplinare, per cui sono assolutamente inabile all’osservanza dell’ordine mio personale e degli altri: non sarei creduto, quindi è inutile insistere su questi punti, anche sui quali è basata d’altra parte – secondo me – la riuscita dell’opera che mi si vuole affidare.
Faccio rispettosamente osservare che i miei doveri attuali, come insegnante, sono: pedagogia ore 9; tirocinio ore 7; morale ore 3; agraria ore 4. L’anno scorso avevo pure 4 ore di scienze in ginnasio, quest’anno mi si disse che avrebbe fatto il titolare.
Sono circa sei anni che io non tocco più un libro, affannandomi, quasi solo, per questo povero oratorio di S. Luigi, in cui potrà sembrare che io abbia fatto qualche cosa, ma è fumo e non arrosto, data la mia impreparazione e il dovere di attendere alla scuola.
Fu d’altra parte solo per accidens che mi occupai anche di questa mansione che disgraziatamente dovette per necessità di guerra, prolungarsi. Non feci rimostranze di sorta perché comprendevo le difficoltà dell’ora presente, disposto a rassegnare tutto alla fine della guerra per ritornare al nido e aggiustare un po’ l’animo mio in perpetua tempesta e rafforzare la mia testa vuota presso il nostro Ven. Don Bosco e Don Rua.
La responsabilità mi ammazza, perché sento la mia debolezza fisica (non sono più giovane), la mia povertà mentale (non avendo finora potuto aver un po’ di calma alla mia testa e come insegnante e più come sacerdote) e ancora di più la mia povertà morale.
Ohi quali lotte interne terribili, che cerco di rintuzzare con lavoro che può parere in qualche caso bestiale! Oh, se i Superiori potessero vedere l’animo mio, come tante volte ho cercato di mostrarlo!
Ma disgraziatamente fra noi si fanno ancora troppi complimenti, troppe lodi; non mi si vuole credere e allora io rimango come ora nella contraddizione implacabile, in un urto terribile tra la realtà schietta della mia coscienza e tra la volontà dei Superiori.
Ho esposto (non so se mi sarò fatto capire, perché la pratica esperienza mi fa conoscere anche questo lato debole in me) quanto in coscienza dovevo dire. Ai Superiori il decidere.
Non posso trasandare i doveri di Valsalice (ed ebbi già rimostranze dai superiori in proposito): non mi sento di aggiungermi, date le considerazioni precedenti, ad un onere superiore alle mie forze, tanto più che qui si tratta ex-novo di edificare.
Quindi prego vivamente i Superiori a voler pigliare in benevola considerazione le mie povere parole, decidere e provvedere.
Voglia il buon Dio e Maria Ausiliatrice esaudire le mie preghiere ed Essi vogliano vedere nelle disposizioni dell’animo mio, non la mia volontà che si vuole imporre, ma uno stato di cose e di fatti evidenti, di fronte a cui sono stato obbligato a scrivere quanto sopra?
Raccomandandomi alle loro preghiere, mi dico:
Dev.mo figlio
don Vincenzo Cimatti, salesiano