3522 / Fumasoni-Biondi / 1947-12-16 /
a Sua Eminenza Card. Fumasoni-Biondi, Prefetto di Propaganda Fide
Roma, 16 dicembre 1947
Eminenza Reverendissima,
Animato dalla bontà paterna con cui l’E.V. mi accolse nell’udienza dell’11 c.m. oso presentare un memoriale che riassuma le condizioni di fatto in cui noi religiosi missionari salesiani, nel trapasso del potere eccles. al clero indigeno, ci siamo trovati e ci troviamo nelle nostre relazioni col clero indigeno.
Tale riassunto servirà non fosse altro per la storia, e nello stesso tempo darà modo all’E.V. di coordinare quanto fu certo manifestato anche da altre relazioni, e di poter così dare ai missionari (specialmente salesiani) quei consigli d’indirizzo generale o particolare sempre tanto attesi da tutti e tanto utili al bene delle missioni.
Come già l’E.V. conosce, quando nel 1938 (1940) si addivenne alla sostituzione della Gerarchla ecclesiastica tenuta dai missionari stranieri col Clero indigeno, cominciò per la Prefettura Apost. di Miyazaki un penosissimo periodo di dolori materiali e spirituali causati dalla guerra e dall’inspiegabile modo di agire dell’Ammin. Apos. verso la massima parte dei missionari sales. della zona di Miyazaki; all’Ammin. Ap. si unirono anche due dei sacerdoti indigeni che lavoravano nella missione ed un gruppo di cristiani.
Sono molteplici le cause che si possono addurre per tentare di dare una spiegazione agli avvenimenti. Alcune sono proprie del carattere giapponese: fanatismo e patriottismo che specialmente in tempo di guerra vedeva anche nel missionario straniero la spia, l’elemento pericoloso alla nazione, quindi da fuggirsi, da immobilizzare, da eliminare.1
Carattere personale dell’Amministratore apostolico.
Desiderio di onori, di comando insito in questo clero che fa adombrare per la presenza e per il lavoro di chi forse ha più doti o più possibilità di lavoro.
Adattamento opportunistico alle circostanze.
Compromesso o asservimento pauroso (specie in tempo di guerra) alle autorità civili e militari, che certo (ed è naturale pensarlo), avranno fatto enormi pressioni fisiche e morali per riuscire a sbarazzarsi dello straniero a qualsiasi categoria appartenesse.
L’amor proprio che, una volta ferito, non si rimargina mai completamente nel cuore del giapponese che, per non perdere la faccia, difficilmente dà indietro nelle decisioni prese, anche se sbagliate.
Il Prefetto Apostolico uscente nel fare la consegna amminist. all’Ammin. Apost. non lasciava nessun debito, ma anche nessun deposito alla mano. Si iniziò così il primo scontro.
Il Pref. Apos. uscente domandava aiuto, per dar lavoro ai suoi confratelli, non solo al nuovo Amminis. Apost. ma anche agli altri. No, recisi e porte chiuse da tutte le parti. Se non si può vivere colle proprie risorse si esca dalla missione, si chiudano le opere – rinviare i ragazzi, coltivare i campi – essere sufficienti per la Prefettura Apost. due missioni solo. Si domandò che, in caso di sfratto dalla casa in cui si abitava e che si esigeva dall’Amm. Apost., si desse ai missionari altra casa e mezzi per vivere; in forza anche degli ordini e raccomandazioni di Propaganda Fide avute in occasione del trapasso, e a quelle del loro Sup. Rel. Essi restarono fermi.
Allora l’Amminis. Apos. col coro dei sacerdoti indigeni, in privato, in pubblica chiesa inter missarum solemnia e altre funzioni, negli Istituti sales. davanti agli allievi, si abbandonarono a volgari e plateali diffamazioni contro i missionari stranieri, che non vogliono obbedire; denigrando il loro apostolato, il loro sistema educativo. L’Amminis. Apost. proibì ai cristiani, sotto pena di nullità, di servirsi dei missionari per i Sacramenti ed infine sospese per un anno i sacerdoti dalla Messa ed amministrazione dei sacramenti. E non ci fu verso di far ritrarre l’Amministrat. Apost. da quanto aveva stabilito.
Pur essendo chiaro che canonicamente tale pena non aveva effetto, sono state micidiali le torture spirituali che hanno afflitto l’animo di quei poveri missionari, tanto più unite a quelle della prigionia e dell’internamento.
Fu nella dolorosa contingenza dell’imprigionamento dei missionari che l’Amminis. Ap. prese possesso della Scuola, nominò il nuovo Direttore persuaso che era finita per i missionari. Il ritorno dei missionari tramutò l’inno di vittoria in nuove forme di tortura per i missionari.
La S. Congregazione informata degli avvenimenti (informata dal Delegato Apos. Mons. Doi e Mons. Taguchi) cambiò l’Amministratore Apost. con un altro – ma i missionari religiosi salesiani intendono di unirsi anche alla mia povera relazione:
Per protestare altamente di questi dolorosi avvenimenti che colpirono in pieno il loro onore e la loro dignità di religiosi e sacerdoti, che fecero tanto male alle anime, perché, pur di non lasciare lavorare i missionari stranieri si lasciarono i cristiani senza Messa e sacramenti – senza istruzione religiosa.
Deplorare, col far presente all’E. V., alcuni punti che impediscono quell’intesa e cooperazione col clero indigeno tanto necessaria a fare un po’di bene specie nell’apostolato missionario.
Segnalare lati troppo caratteristici e reali dei giapponesi che possono dar luogo a gravi inconvenienti.
S.E. il Delegato Apostolico non vive la vita del missionario straniero: è tutto per il clero indigeno. Ad onore del vero si è trovato in momenti terribili di avvenimenti – è malaticcio – stanco.
Il clero indigeno non vede di buon occhio i religiosi perché (si pensa e si dice) portano via vocazioni ed offerte.
Per le vocazioni si constatano da parte dei membri del clero indigeno vere pressioni morali per impedirle, fino ad andare a riprenderle dalle case religiose se entrate senza il loro permesso in religione o comminando pene canoniche ai genitori che danno il permesso “inaudito parrocho”.
Con tanto bisogno di missionari in Giappone, e se ne sollecita la venuta dall’estero, fa pena il vedere Vescovi stranieri, ancora in piena efficienza di forze (S.E. Mons. Chambon, S.E. Mons. Breton, vescovi rispettivamente di Tokyo e di Fukuoka) ridotti a semplici cappellani di suore; S.E. Mons. Ross, S. J., insegnante di latinetto ai principianti. Il clero indigeno è scarso di numero (150?), mantiene fondamentalmente i caratteri sopraindicati – per troppi di loro fu affrettata e inadeguata la preparazione e la posizione di lavoro; i religiosi hanno voglia di lavorare. Non è possibile trovare una soluzione che dia modo al clero indigeno (conservi pure la acquisita gerarchia) di lavorare quanto può e contemporaneamente al clero religioso missionario di continuare con santa libertà, con lo spirito della rispettiva Congregazione cui appartiene (il più delle volte non compreso e non seguito) di compiere il lavoro di cui ebbe formale mandato quando fu chiamato dalla S. Sede in terra di missione?
Nelle condizioni attuali i religiosi di Congregazioni esenti vengono a trovarsi nella condizione di sottostare alle dipendenze di Ordinari che in tante cose non possono comandare senza entrare in urti canonici o cadere in contrasti collo spirito della Congregaz. religiosa stessa loro soggetta pel fatto della missione. E dal punto di vista amministrativo poi l’Amminis. Apost. Indigeno, agli effetti della distribuzione dei sussidi mensili, provvede a un solo missionario che nomina parroco, e dà a questo solo (quando lo dà) il sussidio mensile.
La vita religiosa porta con sé che nella residenza missionaria convivano almeno due o tre confratelli, che essi pure lavorano nella missione e per la missione. Non sembra giusto ed opportuno che chi provvede al parroco provveda pure al personale ausiliario?
Queste ed altre considerazioni che a V. E. saranno forse pervenute anche da altri missionari del Giappone, danno l’impressione che in Giappone ci siano, starei per dire, due Chiese, per cui si rende assai difficile l’intesa e la cooperazione.
Perdoni l’E.V. la libertà che mi sono presa nel presentarle questo povero memoriale-riassunto. È il figlio ossequiente che sa di parlare col Padre, cui sta tanto a cuore il bene della Chiesa; il figlio che affida al cuore del Padre quanto può essere da lui vagliato, controllato, consigliato e corretto.
Prostrato al bacio della S. Porpora domando per me e per i miei l’apostolica benedizione.
Dell'Em.V. Rev.ma
Servo umilissimo
D.V. Cimatti
1 Quanto qui si riporta è la minuta dello scritto che fu inviato al Cardinal Prefetto di Propaganda Fide che allora era il Card. Fumasoni-Biondi. Qua e là ci sono correzioni che rendono assai difficile la lettura e la collocazione nel testo.