Miyazaki, 21 novembre 1928 |
406 /Rinaldi Filippo BS / 1928-11-21 /
a Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei salesiani
Dopo le feste dell’incoronazione1
Amatissimo Signor Don Rinaldi,
In una precedente le feci il riassunto delle cerimonie che avrebbero modificato per una settimana (dal 10 al 17 novembre) il ritmo regolare ordinario del grande impero giapponese richiamandolo fortemente alle antiche sue tradizioni di pensiero, di culto, di costumi, di divertimenti. Noi dal lontano Kyushu non abbiamo certo potuto assistere alla manifestazione di questo avvenimento quale si svolse a Tokyo, a Kyoto, nei grandi centri, ma se dobbiamo arguire da quanto avvenne solo fra noi, dobbiamo certo dire che non vi fu città, villaggio, famiglia che non si siano sentiti pervadere dal fremito di gioia per il fausto avvenimento. Le disposizioni date dalle autorità centrali e locali furono eseguite con un sincronismo mirabile e devoto da tutta la nazione. Alle 3 pomer. del 10 novembre, nell’atto in cui l’imperatore proclamava al mondo la sua accessione al trono, e che dai presenti veniva salutato col triplice viva, nello stesso tempo il suo popolo o adunato in massa sulle piazze, o nelle scuole, o nelle officine, o le singole famiglie sull’uscio di casa, in una unione intima di volontà, di pensiero, di riverente omaggio, davanti all’immagine di lui gridava il triplice viva. Sincronismo voluto da un ordine, ma a cui tutti obbediscono con naturalezza, con ossequio, con gioia: una massa di milioni di anime che tra il rombo degli spari a salve, tra l’urlìo delle sirene, esplodono unanimi in un grido di gioia e di saluto: cuori di cittadini di una grande nazione che battono in quell’istante in un ritmo unisono, inneggiando all’imperatore!
Ed anche i figli di Don Bosco si unirono al tripudio di questa loro seconda patria, e mescolati alla folla, anch’essi elevarono riverenti il loro saluto, e, nella manifestazione solenne tenuta nel gran salone della città, anch’essi brindarono alla salute dell’Imperatore. E l’atto gentile, e per noi doveroso, piacque ai giapponesi, che lo notarono sui loro giornali; anche così ne venne lode all’Italia e a D. Bosco.
I cattolici dell’intero Giappone, animati dall’invito dei Vescovi, il 14, con solenni funzioni nelle chiese, col canto del Te Deum implorarono sull’Imperatore, sulla famiglia imperiale e sulla patria, le celesti benedizioni. Anche nelle nostre residenze, ornate a festa, cristiani e pagani con solenni funzioni religiose, con divertimenti, con luminarie inneggiarono all’imperatore.
A Miyazaki le feste pubbliche ebbero varie caratteristiche, fra le quali degne di nota la distribuzione del dono dell’imperatore ai cittadini dagli 80 anni in su; il banchetto ai benemeriti della provincia (2000 persone): la sfilata delle bandiere e quella dei lampioncini.
Le autorità, gli allievi delle scuole fiancheggiati dai loro insegnanti, le varie associazioni e rappresentanze della provincia, tenendo in mano la bandiera nazionale e cantando gli inni della Patria, in una interminabile teoria di colori, di giovani energie si venivano snodando per le principali arterie della città e radunati davanti alla prefettura col triplice viva salutavano l’imperatore.
Più suggestiva di notte la sfilata dei lampioncini cui noi pure e gran numero di cristiani parteciparono, fra le vie decorate in una fantasmagoria di luci, avendo ogni via un’ornamentazione e illuminazione diversa; passavano gli adulti, i giovani, le associazioni; si succedevano tra canti e suoni, bandiere e orifiammi, e vicino alla fiammante Croce Rossa dell’associazione omonima, risplendette quella sera anche la croce di Gesù, portata dai nostri giovani e, coincidenza non cercata, chi portava uno dei grossi fanali su cui era dipinta la croce, era proprio il nostro Pier Giorgio, il primo giovinetto pagano da noi battezzato.
Ammirando la numerosa e fiorente giovinezza maschile e femminile che sfilava, ci dicevamo: “Quando, o Signore, saranno nostri?”.
Certo però che il lato più suggestivo della festa fu dato dalle manifestazioni popolari. Non è esagerato dire che in questa occasione il popolo s’è rivelato: quanto sapeva, quanto poteva, quanto desiderava fare per la circostanza, l’ha fatto o ha tentato di farlo.
Ha ornato la sua città o villaggio, la sua casa, la sua bottega, la sua officina. Ha voluto rivivere i ricordi antichi in cortei storici, in rappresentazioni plastiche poste qua e là nei punti più frequentati della città, in rappresentazioni teatrali, nei suoi canti antichi accompagnati dalla coreografia e dagli strumenti giapponesi (Koto, shamisen, biwa, ecc.).
E accanto a questo rinascimento dell’antico, in strano e, alle volte, urtante contrasto, appariva il moderno… L’inventiva, la fantasia s’è sbizzarrita in ogni senso in un trionfo di colori, di anacronismi, di canti e di suoni; insomma vera manifestazione popolare di gente che per una settimana non pensa che a inebriarsi di ricordi del passato e del sake (vino di riso) presente, che dà fondo a quanto ha senza troppo darsi pensiero del domani; baldoria insomma.
Le feste sono passate: il ricordo di esse è perpetuato in qualche opera di pubblica o privata utilità: il ritmo ordinario della vita è ripigliato e, con essa, il costante lavoro dei missionari, che pensano alle conseguenze di tutto questo stato di cose e pregano Dio che acceleri il giorno della redenzione per questo gran popolo.
Ci aiutino tutti i nostri amici colle loro preghiere.
1 don Vincenzo Cimatti |
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