Cimatti|Rinaldi Filippo / 1926-2-19

133 /Rinaldi Filippo / 1926-2-19 /


a Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei salesiani



Miyazaki, 19 febbraio 19261

Amatissimo Sig. Don Rinaldi, Padre mio dolcissimo,


Te Deum Laudamus! Deo gratias! è il grido che con cuore commosso ho lanciato a Gesù nell’arrivare definitivamente al luogo delle nostre speranze, dei nostri lavori, dei nostri sacrifici. Siamo finalmente a Miyazaki. Ho un mondo di cose da dirLe: mi sforzerò di essere completo e procedere con ordine.


Notizie di cronaca.


6. - Febbraio. Saluto ai confratelli di Shanghai e ci rimettiamo in via.

7. - Ultimo giorno intero di viaggio. Tutti ancora impressionati dei bei giorni passati, ci diamo attorno per fare gli ultimi preparativi per lo sbarco. Il nostro bravo Dr. Senroku ci fa scrivere le domande e risposte più necessarie e con squisita bontà vuol sbarcare a Moji invece che a Kobe, per guidarci almeno fino alla stazione.

8. - Alle ore 8 siamo nel grande porto di Moji. Una nebbia folta ci impedisce di vedere il magnifico panorama che a tratti si vede delineato e rischiarato dal sole. È uno splendore, che scomparsa la nebbia si manifesta all’occhio estatico, più facile a idearsi che a esprimersi. Isole coperte di fitte foreste sovrastate lontano da catene e cime montagnose su cui biancheggia la neve, smagliante ai raggi del sole: ai nostri piedi nell’ampio golfo, ecco delinearsi la industriale città di Moji, nelle centinaia dei suoi camini, nella pittoresca magnificenza delle sue case addossate lungo il pendio dei monti.

Deo gratias! Nippon Banzai! (Evviva il Giappone!).

Un pensiero molesto veniva a turbarmi: “Ed ora come farò? Specialmente se nessuno viene a trovarci e ad aiutarci? Creda Sig. Don Rinaldi, mai come in questo viaggio, mi sono buttato con semplicità infantile nelle braccia della Provvidenza, ed essa ha fatto per aiutarmi miracoli tali che domando tuttora a me stesso: “Mah! non è troppo? Non mi tratta troppo coi dolci il Signore? Sia come a te piace, o Gesù!”. Il momento di timori mi viene subito addolcito da una bella faccia barbuta sorridente, che ci ha visti e che dal largo del mare ci saluta e salito rapido dalla scaletta di bordo è tra le nostre braccia. È l’ottimo P. Martin, delle Missioni Estere di Parigi che per ordine del Vescovo di Nagasaki ci viene ad accogliere e ci facilita in modo meraviglioso le operazioni di sbarco. Ne abbiamo avuto fino a mezzogiorno a bordo del Fulda. A questi cari giapponesi non sfugge nulla. Visita minuta di tutto il personale di servizio, dei passeggeri, dei passaporti. Dopo un boccone mangiato in fretta e furia, scarico dei bagagli. Alla dogana, nel vedere le visite minuziose che facevano ai passeggeri, pensavamo ai nostri 40 bauli e alle 20 valigie. Si accontentarono di vedere una valigia ciascuno, e nel vedere la nostra schiettezza e allegria nell’esporre al sole i nostri stracci, si convinsero che non avevamo nulla da nascondere. Osservarono un baule apertosi nel trasporto, e finito, contenti ci recammo alla Missione.

È la prima casa giapponese di cui possiamo varcare la soglia e bisogna incominciare ad adattarsi alle abitudini e costumi locali. Sulla soglia fu un grande affare slacciarsi le scarpe all’europea, tra le risa del Padre e la meraviglia dei servi, e mettere le pianelle. Siamo davanti a un grazioso altarino e intono il Te Deum di ringraziamento e bacio con trasporto la terra benedetta della nostra nuova dimora. Poi recita del breviario, amena conversazione, cena al ristorante della stazione per essere pronti per il treno delle 23,30 che deve trasportarci a Nagasaki. La cena fu alla giapponese quanto al vitto, all’europea nel modo, buona (tanto più che il P. Martin ebbe cura di portare pane in abbondanza), servita con squisita garbatezza e proprietà, caratteristica del Giappone.

Non mancò il “Sake”, vino di riso, servito tiepido. Lo trovai ottimo e… spiritoso.

Siccome tutti i nostri bagagli non potevano arrivare a Miyazaki subito, preferii condurre tutti a Nagasaki, sicuro di far piacere a Monsignore. Salutati alla stazione da un altro ottimo missionario di Kokura e dal suo coadiutore giapponese che erano pure venuti a salutarci, eccoci in treno alla volta di Nagasaki. Le carrozze di terza classe sono abbastanza comode, un po’ piccole per noi europei, ben riscaldate (perché fa frescolino) e assai frequentate. Questi bravi giapponesi trovano in generale più comodo togliersi i loro zoccoli e sedersi alla giapponese sul sedile; mangiano e gettano i residui sul pavimento e tre o quattro volte passa l’incaricato per la pulizia; si soffiano il naso con fazzoletti di carta e dormono beatamente.

I treni, anche espressi, impiegano un tempo relativamente lungo per le molteplici fermate e per le continue accidentalità dei luoghi.

Salvo Don Tanguy, indisposto, gli altri dormono saporitamente. Risvegliati sull’albeggiare curiosamente osserviamo lo svariato panorama. È il Paese degli incanti questo del sol levante (e pensi che siamo in inverno): è una fantasmagoria di colline e monti verdeggianti, che determinano minuscole tranquille vallette in cui alle volte discende un torrentello, un fiume. Tutti i punti non rivestiti di boschi di pini, di camelie, di pruni selvatici che incominciano a fiorire, sono con cura minuziosa coltivati a piccoli ripiani ben ordinati anche esteticamente. Le piccole pianure sono coltivate a riso o ad altre coltivazioni (grano, orzo, verdura, legumi, in abbondanza); ordine, pulizia, proprietà che appaga l’occhio.

Qua e là, disseminate in mezzo al verde, casette isolate o raggruppate, e nei punti più belli in mezzo al folto del verde il tempio, e sotto un grande albero, le tombe.

Le case coloniche tutte in legno ad un unico piano, col tetto di paglia; quelle dei benestanti a due piani con tetto di tegole speciali; rari (salvo per qualche industria) gli edifici in muratura. E il treno sbuffando sale le erte di questi monti vulcanici coronati di boschi e frastagliati di punte per ridiscendere nelle amene vallette e correre lungo le spiagge da cui si gode uno splendido, nuovo, fantastico panorama.

Isole, isolotti, scogli determinano piccoli mari aperti, golfi, bracci di mare sulle cui rive si ripete l’alternarsi dei paeselli, delle città irradiate dai raggi del sole, che proprio in quel momento sorgeva. Oh, di quali meravigliose bellezze ti ha voluto adornare il Signore, o terra santificata dalle fatiche apostoliche di San Francesco Saverio e di tanti missionari, o terra benedetta dal sangue di tanti martiri!


9 Febbraio. Alle 8,30 siamo a Nagasaki accolti festosamente dal P. Thiry, Procuratore delle Missioni Estere e dopo poco siamo alla Cattedrale ospiti di S. E. Mons. Combaz, che dopo Messa, ci accoglie affabilmente, mi dà un paterno abbraccio e ci manifesta tutta la sua gioia, nell’averci in suo aiuto.

Ossequiatolo a nome suo e dei Superiori, dopo i rituali giuramenti di uso (cerimonie cinesi e modernismo), ci concede tutte le facoltà che sono in suo potere (quelle solite a darsi da Propaganda ai missionari) e vuole che ci fermiamo con lui finché i bagagli non siano a Miyazaki. Nel frattempo ci fa occupare il tempo, visitando gli insigni monumenti della cristianità di Nagasaki (le rimetto a parte alcuni dati storici sul cristianesimo in Giappone) mettendo a nostra disposizione la ricca biblioteca della missione e specialmente un dottissimo missionario, il Padre Raguet, per dirozzarci nel difficile compito dell’apprendimento del giapponese. Passammo così utilmente il nostro tempo istruendoci, osservando, imparando assai fino al 15 Febbraio, giorno desiderato della partenza.

Furono fatte le seguenti visite:


  1. Ai consoli per la regolarizzazione dei passaporti.

  2. Ai PP. Marianisti che hanno un fiorente liceo frequentato da un 700 allievi, di cui una cinquantina cristiani, con belle scuole in muratura, belle collezioni, essendo le scuole riconosciute dal Governo. Fuori Nagasaki hanno pure la scuola apostolica (loro casa di formazione) con una sessantina di allievi, con vasti terreni da cui ricavano assai per vivere, unitamente ad industrie casalinghe in cui sono abilissimi.

  3. Al colle dei Martiri, ove furono martirizzati i 26 Martiri giapponesi. Alla Chiesa di Urakami, sobborgo di Nagasaki ove è il folto della cristianità, ove sono i discendenti degli antichi cristiani. In quei giorni 600 madri cristiane stavano facendo un po’ di ritiro.

  4. Al Seminario con una quarantina di allievi, edificio splendido, in posizione tranquilla e bella.

  5. All’Orphelinat tenuto da suore giapponesi. Alle suore francesi che vi hanno un buon esternato e noviziato. È insomma una fiorita di opere cattoliche attivate dai missionari e che ci fanno vedere che il terreno pur difficile a lavorarsi produsse e produce buoni frutti – si possono avere vocazioni – è un popolo desiderosissimo d’istruirsi, aperto, vivace. E i fanciulli, i giovani? O, Signor Don Rinaldi! Numerosi, numerosi, allegri, atti ad ogni genere di sport (vanno pazzi per il tennis) e di giochi. Vedesse i piccoli cristiani di Nagasaki con quanta pietà pregano, con quanta voglia servono all’altare, come cantano benino, guidati in ciò dall’esempio dei genitori, che li educano anche in famiglia senza troppi riguardi, con una certa qual rigidità paterna, specialmente dal lavoro attivissimo dei missionari che per attendere a questa fiorente cristianità (oltre 60.000, la maggioranza di tutti i cattolici del Giappone, circa 80.000 su circa 55-60 milioni di abitanti) pochi di numero, molti venerandi e deboli per età e forze, debbono moltiplicarsi con zelo veramente ammirabile.

  6. I monumenti più importanti: il gran tempio shintoista (religione ufficiale) e buddista. Oh, se tanti nostri cattolici avessero il raccoglimento, il rispetto per il decoro dei luoghi sacri, la venerazione che hanno per i loro templi e per le loro divinità questi poveri pagani. Il giorno 11 era festa nazionale (data di fondazione dell’Impero) solennizzata coi soliti sbandieramenti, sfilate e gite scolastiche.

Ogni loro atto, come il chiamare col timpano la divinità ad ascoltare la preghiera; l’atto di adorazione, la limosina fatta all’entrata del tempio; il contegno raccolto che tengono nella recita delle loro preghiere, ecc. riveste un carattere tale di serietà, che a parte l’inutilità della cosa e l’errore, edifica.


Giunge finalmente l’annuncio dell’arrivo dei nostri bagagli e ci prepariamo a lasciare il dolce nido per avviarci alla realtà della vita nella nuova nostra missione. Monsignore in particolare ed in pubblico dà gli ultimi ricordi, e fortificati dai suoi incoraggiamenti e dalla paterna sua benedizione, partiamo.

Il Signore comincia a provarci. Guaschino indisposto da qualche giorno con mal di gola e febbre. Prego Monsignore di accudirmelo, e lascio Margiaria per assisterlo.


15 Febbraio. Alle 13,30 partenza, accompagnati alla stazione dal P. Thiry e da uno dei professori del Seminario. Il giorno prima il Rettore del Seminario, P. Leon Cracy ebbe un pensiero delicatissimo. Volle regalarci alcuni libri, che insieme ad altri procurati a Nagasaki faciliteranno lo studio della lingua; una bella carta del Kyushu, ed anche un libro che appartenne al suo predecessore Mons. F. Bonne, ora defunto, nel 1912 Arcivescovo di Tokyo, ma cooperatore salesiano fin dal 17 Aprile 1888 fatto dal M.R. Sig. Don Rua (come risulta dal diploma conservato nel Seminario ed il cui Bollettino giunge ancora a Nagasaki all’indirizzo del defunto). E concludeva l’ottimo Padre: “Avete avuto un valido cooperatore da tanto tempo!”, e soggiunse: “Ed ora continuerà ad esserlo in Paradiso, e Voi tutti, ottimi Padri, lo sarete per i poveri figli di Don Bosco”.

Panorami incantevoli si succedono continuamente. Alle sei siamo a Kurume ospiti del missionario apostolico P. Raoult e riposiamo fino all’una dopo mezzanotte per ripigliare il treno. Fu necessaria questa fermata per giungere a Miyazaki di giorno.

All’una sveglio la truppa e mentre stiamo per partire il caro Don Liviabella è sorpreso dal suo male. Nuovo contrattempo. Prego il Padre che lo faccia partire col treno seguente e vado col piccolo gruppo. Dobbiamo cambiare treno, ma il giapponese è il tipo di gentiluomo, e anche con poche parole comprende e si fa in quattro per servirvi. La stessa gentilezza l’usano i controllori in treno, i tranvieri nei carrozzoni. Si spalanca l’uscio ed il controllore con un bell’inchino vi prega di presentare i biglietti ché egli ha l’onore di verificare. Sul tram vi dice: “Il tram si è fermato alla tal stazione, ho l’onore di avvertirvi che chi ha bagagli non li dimentichi”.

Incontrate un cristiano. Lo si distingue tra mille. Non ha paura di farsi vicino e lasciarvi il passo, e mettendo le mani alle ginocchia, farvi un grazioso inchino, se non ha il cappello, oppure cavarsi il cappello e inchinarsi, e tutto ciò con naturalezza, sorridendo.

In mezzo ai pagani è anche questa una bella professione di fede. I fanciulli sono più arditi; si piantano davanti a voi e con un bell’inchino vi salutano. I saluti per via sono a base di ripetuti inchini, accompagnati da sospiri come di chi assorbe qualche cosa di buono. I più sballottati sono i piccini, portati dentro il kimono sulla schiena dalle madri, che vengono così a subire dei bombardamenti fortissimi, ma di cui pare non si risentano guari.


17 Febbraio. Arriviamo verso le 11 a Miyazaki. È ad attenderci il simpatico P. Bonnecaze e qualche cristiano. A circa 100 metri dalla stazione un gruppo di fanciulli cristiani avvisati da una brava maestra cristiana che li istruisce nel catechismo e che vuole subito conoscerci, ci gridano dalla strada “Banzai, banzai!” (Viva, viva) ed i primi ad inchinarsi all’uscita dalla stazione sono due frugoli che sorridendo si inchinano. Oh! Don Bosco volle che i suoi primi figli del Giappone incontrassero come primo saluto le porzioni elette del cuore suo e del cuore di Gesù.

Saliamo in “Kuruma”, la piccola carrozzella orientale, e la processione sfila: in capo Don Cavoli, in coda il sottoscritto, fra gli sguardi curiosi della popolazione preavvisata dal giornale, fra l’attenzione vigile della polizia che domanda ad un cristiano già indettato le nostre generalità.

Giunsi come trasognato davanti alla missione. È magnifica, tutta alla giapponese. Dio ci ha fatto per questo cadere dal Paradiso. Gliene manderò ad altra volta descrizione dettagliata. Sull’uscio della chiesa ricanto il Te Deum coi compagni e consacriamo noi stessi a Maria che in Giappone è onorata col titolo “Nostra Signora del Giappone, Regina Martyrum, Auxilium Christianorum”. La Madonna di Don Bosco vuol essere onorata in Giappone anche con questo titolo. Deo gratias! Ci troviamo doppiamente in patria nostra! A sera il Padre aveva radunato i cristiani (un centinaio): diedi benedizione solenne, e dopo gli uomini vollero vederci. Dissi per interprete quanto in quel momento il Signore mi ispirava e ci separammo come amici di vecchia conoscenza, coi rituali inchini. È il primo giorno del mese di S. Giuseppe e siamo in una casa e in una Chiesa consacrati a Lui. Che vuole di più?


18 Febbraio. È il giorno delle Ceneri. Faccio la funzione e l’imposizione delle Ceneri ai cristiani accorsi. È un insieme eletto e prosperoso che forma le migliori speranze per l’avvenire. La vita di lotta in cui si trova il cristiano tra i pagani lo rende tenace, fiero, sto per dire, rigido nell’esecuzione dei suoi doveri, quasi a sè, specialmente qui a Miyazaki, in cui la comunità cristiana formata prevalentemente da agricoltori è portata all’allontanamento del mondo cittadino e dalla istruzione che non ama troppo; e questo capita specialmente per i vecchi cristiani, discendenti dagli antichi dei tempi di S. Francesco Saverio. Certo si trovano in gravi difficoltà: sono poveri, timidi, data la loro condizione di vita; il rispetto umano c’è anche qui; la dottrina cattolica paragonata nella pratica a quella protestante e pagana che permettono tutto; la religione ufficiale indispensabile (sto per dire) a chi vuol vivere benino materialmente e far carriera, ed altri motivi, che non pratico dei luoghi non posso ancora bene afferrare. Ad ogni modo da un rapido sguardo si possono auspicare i più bei frutti per l’avvenire.

Ora manca a tutti il massimo strumento materiale d’azione, la lingua. Mi pare siano a proposito per noi quanto scriveva il Saverio nelle sue lettere: “In mezzo a questo popolo noi non siamo che statue mute. Essi parlano di noi; discutono di noi e noi siamo senza parola… A questa età noi ritorniamo bambini, apprendendo gli elementi della lingua, e piaccia a Dio che noi abbiamo il candore e la semplicità dei bambini”.

Ci siamo allogati per dormire e studiare nelle quattro camere del piano superiore; un po’ stretti, ma meglio così che peggio. Al piano terreno il refettorio e il resto riservato al Padre Missionario.

Lunedì 22, a Dio piacendo, si incomincia orario serrato, di cui Le parlerò nella prossima. Mentre pranziamo il Direttore del giornale “Hyuga” viene per intervistarci; ci piglia la fotografia e ho creduto opportuno subito far sapere chi siamo e che cosa vogliamo. È comparso oggi l’articolo, colla fotografia dei presenti (invio a parte colla traduzione che se non rende in pieno il pensiero, è così difficile l’orientamento della testa giapponese…): è la prima manifestazione dei salesiani di Don Bosco in Giappone. Nel pomeriggio con Don Tanguy andai ad ossequiare il Prefetto, il Sindaco, il Capo della Polizia. Ci accolsero con vivi segni di rispetto e si dichiararono disposti ad aiutarci mettendosi a nostra disposizione. Il Prefetto ci offerse il té (senza zucchero, uso giapponese) e anche qui come dalle altre Autorità inchini, complimenti senza fine. Mi pare che la nostra visita sia stata graditissima e che ci sarà vantaggiosa. A sera arriva finalmente Liviabella abbastanza ristabilito.


19 Febbraio. Liviabella ha male ad un occhio; credo prudente farlo vedere dal dottore. Siamo in piena etichetta giapponese. Scalzatura delle scarpe, s’inforcano le pianelle – incontrate persone che si sprofondano in inchini – visita al malato – senza pianelle si entra in camera. Presentazione della signora del dottore – saluti (bisogna inginocchiarsi, mettere le mani a terra come quando si cammina a quattro gambe e fare tre inchini profondi – all’invito dell’ospite ci si siede su una stoietta imbottita, sulle calcagna) – amena conversazione di cui su 100 parole se ne capiscono tre o quattro – grandi sorrisi – congedi – fino all’uscio si è seguiti dai padroni che si divertono un mondo a vedere gli Europei che fanno ginnastica ad infilarsi le scarpe. Mi si ammala anche Don Cavoli (forte febbre reumatica?). Giungono Don Margiaria e Guaschino e finalmente ci siamo tutti. A sera Via Crucis cui assistono con vera divozione una cinquantina di cristiani, vari dei quali quotidianamente ascoltano Messa e si accostano alla S. Comunione.


20 Febbraio. La febbre di Don Cavoli non diminuisce. Prego il Dottore a venire; pare non ci sia nulla di chiaro; imbarazzo di stomaco… ma, vedremo.

C’è in giro molto tifo.


Mi pare di aver finito. Ed ora al lavoro per noi e per i giovani perché vogliamo incominciare subito. Vicino a noi c’è un campo. L’ho già adocchiato. Il bravo dottore (un pagano) starà attento se è in vendita (come pare): non ha difficoltà a tenerci al corrente… Ma c’è tempo! E di me che dire?

Animo calmissimo – le solite mie difficoltà per star raccolto – salute ottima.

Mi aiuti a santificarmi nel lavoro e nella pietà e nello spirito di sacrificio.

Buon S. Giuseppe con vive preghiere per me e per la nostra missione. Tutti ci hanno parlato e ci parlano:


  1. dell’enorme difficoltà della lingua,

  2. della più enorme difficoltà dell’apostolato.


Monsignore mi ha parlato altresì della difficoltà di ambientamento. Anche con sacrificio credo opportuno (secondo anche le intese prese coll’Ispettore) di largheggiare nel vitto e di usare un po’ di vino per non rendere troppo brusco il passaggio di regime. Vedremo tutto alla pratica: credo che per un sei mesi non c’è da pensare a formare altre comunità…

Mi benedica e mi ottenga da S. Giuseppe umiltà, spirito di raccoglimento, lavoro e che possa in me e negli altri amati miei confratelli conservare Gesù. L’abbraccio di cuore unitamente a tutti gli amati Superiori.

Suo povero figliolo

don Vincenzo Cimatti


1 Questa è la prima lettera scritta dal Giappone. Miyazaki era il capoluogo della omonima provincia situata al sud della grande Isola del Kyushu, sulla costa del Pacifico. Alla Societá Saleiana erano state affidate le due provincie di Miyazaki e di Oita, che si trova a nosrd di Miyazaki sulle coste del Pacifico. Erano tra le provincie piú povere del Giappone, e tra le piú difficili da raggiungere da Tokyo: a quei tempi 36 ore di treno diretto. Don Cimatti fará spesso questo tragitto. In questa prima lettera è interessante la descrizione che fa del Giappone e di Nagasaki, centro degli antichi cristiani. A quei tempi tutto il Kyushu faceva parte della diocesi di Nagasaki, dal cui vescovo dovevano dipendere i missionari.