Cimatti|Ricaldone Pietro/ 1939-11-30

2380 / Ricaldone Pietro BS / 1939-11-30 /




I CIMITERI E I MORTI1


Miyazaki, 30 novembre 1939

Rev.mo ed amat.mo Sig. Don Ricaldone,

Il giorno consacrato dalla Chiesa alla Commemorazione dei fedeli defunti, i cristiani di Beppu vollero innalzare nel cimitero, di recente acquistato, una bella croce commemorativa. Così ormai tutte le nostre residenze hanno il loro cimitero, terra benedetta; e all’ombra della croce, che maternamente allarga le sue braccia, riposano i nostri angioletti, giovani e ragazze speranze delle loro famiglie, babbi e mamme – vecchi dell’Ospizio che ebbero la grazia della fede poco prima di morire… Beati loro! In pianura, fra il verde dei colli, in piccoli boschi stanno allineate le croci, i monumentini, le stele sepolcrali, circondati da fiori svariati.

Il Cimitero cattolico di Miyazaki nel decorso degli anni per gli ampliamenti del cimitero pagano, è venuto proprio a trovarsi nel centro, e la Cappella sormontata dalla croce domina così su tutto. E benedica tutti quelli che riposano nella pace eterna.

Il culto dei morti in Giappone! Ci sarebbe da scrivere un grosso volume. Ciò che è sentimento naturale per ogni popolo, qui viene ad assumere un tono, un colorito tutto particolare. Lo si estrinseca nella credenza della sopravvivenza delle anime, e nel cerimoniale dei funebri più o meno sontuosi secondo le varie sette religiose e tutte permeate di profondo simbolismo. La salma è circondata di fiori e profumata di incenso offerto o sotto forma di candelette o sparso sui carboni.

Si mettono in vista davanti al defunto le offerte dei doni più gustosi di monte e di mare – si fanno discorsi di apoteosi del defunto. Nei grandi centri le distanze obbligano a servirsi del carro funebre e delle automobili, togliendo tanto di quelle pittoresche processioni funebri, che si possono osservare nei villaggi.

Tolgo dagli appunti di un missionario giapponese la relazione schematica di una sepoltura di rito buddistico (setta zen o Jodo; il nostro Don Marega sta preparando attivamente uno studio esauriente sul Buddismo giapponese: ben venga a grande vantaggio dei missionari e degli studiosi l’importante opera).


  1. Avvenuta la morte si rivolge il cadavere in modo che la testa guardi a settentrione. Davanti al morto si mettono fiori di carta e l’offerta di riso e incenso sull’apposito tavolinetto; vicino al letto una spada o un coltello o un rasoio, affinché gli spiriti di animali non invadano il corpo del morto. L’altarino domestico viene nascosto con una carta, perché non sia macchiato per la morte. Giunge il bonzo, che dopo varie orazioni, impone il nuovo nome al defunto. Si preparano le vesti al morto e lo si riveste facendole indossare come il grembiale dei fanciulli. Veglia notturna.

  2. Prima di deporre il defunto in cassa gli si rade la capigliatura. Lo si lava con acqua calda prendendola ed effondendola colla mano sinistra. Il morto è vestito degli abiti del viandante, bastone, ombrello, la borsa del mendicante al collo, qualche alimento e soldo ed oggetti cari in vita al defunto.

  3. Trasporto del defunto al tempio: la processione è formata dai portatori di offerte (una scodella di riso e l’incenso), dei gonfaloni con iscrizioni, delle tavolette con la scritta dei nomi degli antenati; dai parenti che reggono cordoni partenti dalla bara; dai bonzi che pregano. Giunti al tempio i parenti fanno un triplice giro attorno – la salma deposta sulla veranda del tempio è esorcizzata dal bonzo con preghiere ed aspersioni, tutti offrono l’incenso e così l’anima è degna di entrare nel tempio.

  4. La salma o è inumata secondo le solite formalità (ed è uso che va sempre più estendendosi) oppure si procede alla cremazione (data dal 700 – fu proibita nel l873 e ripermessa nel 1875. Si brucia cassa e corpo): i parenti colla sinistra prendono alcune ossa e le mettono in apposita urna, che viene poi conservata in casa o nel tempio o interrata.


Quelli che restarono a casa, con sale e cenere purificano l’ambiente. Quanti parteciparono al funerale, per altra via ritornano a casa (per illudere lo spirito del morto) e si purificano le mani con acqua e sale. Poi grande cena con esclusione di carni, ad onore del defunto e sollievo dei vivi. Ed incomincia il tempo del lutto (7 settimane per parenti – 5 per coniugi, 5 per gli ascendenti, 3 per i figli) accompagnato da cerimonie particolari all’altare di famiglia.

Non meno interessanti sono i funerali in rito shintoista. Davanti all’anima (nella mattinata del terzo giorno) il Kannushi (prete shintō) vestito del bianco costume di rito, con in mano lo scettro dell’autorità, compie la funzione. Dietro o di fianco a sé ha la cassa e dietro a lui stanno seduti i parenti. Si fanno le offerte di alimenti graditi al defunto (pesci, frutta, legumi, dolci, ecc.) e la preghiera del funzionante è accompagnata da strumenti musicali ad indicare le sovrabbondanti gioie del cielo. La preghiera non è senza interesse sotto tanti aspetti, se la si medita bene: “Io dico: questa tavoletta degli antenati è stata purificata e santificata ed ora l’anima di N. N. vi ha preso dimora. Con nostro vivo rincrescimento dopo lunga malattia e numerose sofferenze (…o altro analogo) hai dovuto abbandonare, come la corrente d’acqua che viene e se ne va, come la luna che si alterna nello splendore e scompare all’arrivo del giorno: è per questo che la tua anima è ancora piena di tristezza… A noi stessi tutto questo sembra un sogno; perché non possiamo pensare come reale la tua scomparsa. Ma poiché l’uomo non può vivere che temporaneamente a questo mondo e non per sempre, noi esprimiamo fortemente il nostro dolore e ti prepariamo questa festa funebre. Ed ora che la tua anima è resa degna di abitare in questa tavoletta noi ti offriamo questi doni (e sono nominati) affinché tu sia nel riposo e nella pace”.

Si avanzano i parenti che offrono un ramo sacro, ornato di bindelli di carta bianca, e le offerte presentate prima vengono divise fra i parenti; coll’inclinazione profonda e il battere a due riprese le mani in segno di rispetto è compiuta la prima parte della funzione.

Segue la levata del cadavere e l’addio del corpo alla sua famiglia e casa. Attorno alla casa si rinnovano le solite purificazioni di persone e cose, si rinnovano le offerte (i poveri rioffrono quelle usate prima) al suono degli strumenti. Nuovamente il Kannushi esprime con una nenia in duplice recto tono alternante, il dolore della famiglia e le conseguenze che si verificano per la morte: ma “Tu hai terminato il corso della vita, e ci hai preceduti in quella via che tutti dovremo percorrere dopo la morte… Il tuo focolare è divenuto vuoto e lugubre… Ecco i tuoi cari senza guida e simili a coloro che non hanno più la barca, che potrebbe trasportarli all’altra riva del fiume. Ma siccome l’uomo riceve dagli dei la sua forza e il suo principio vitale, egli non è per nulla padrone della sua vita. Facendo con tutta umiltà queste considerazioni noi pensiamo a te, noi rimasti soli e abbandonati; come piccola nube isolata, errante qua e là sotto l’immensa volta del cielo… Ma come la rugiada che copre al mattino le erbe, lentamente scompare e svapora, possa così il nostro dolore avere un termine, noi che ora ti presentiamo questa funzione e queste offerte…”.

E s’inizia il corteo funebre. Anticamente si faceva verso sera e allora due uomini precedevano con torce. Ora in generale si fa al mattino e rimane il ricordo della torcia col bruciare un rotolo di carta rossa, affisso a un bastone davanti alla cassa. Due uomini precedono con scopa (richiamo antico alla pulizia della strada per cui passava il corteo).

Seguono ornamentazioni varie, rami verdi, quattro gonfaloni, due bianchi e due gialli senza scritta (forse simboli di vestimenta, che anticamente si seppellivano col morto), le tavolette colle offerte, i Kannushi, i suonatori di strumenti – nuovi gonfaloni come prima, i portatori di archi, frecce, lance, ecc. – nuovi Kannushi – portatori di corone e fiori – segue il gonfalone bianco su cui è scritto il nome del defunto – la tavoletta col nome degli antenati e finalmente la bara, portata da quattro uomini – poi un uomo portante un’assicella su cui è scritto il nome e le qualità del defunto: sarà issata sulla tomba. Seguono la famiglia, parenti, amici e i vicini.

Giunti al luogo della sepoltura si ripetono sommariamente le purificazioni ed offerte fatte prima, e il Kannushi intona l’elogio finale del defunto con un cenno sommario delle principali attività manifestate… “Ma noi esseri umani non abbiamo il potere di fissare la durata della nostra vita… Ed anche tu cadesti ammalato e nonostante le cure dei tuoi, nonostante le preghiere rivolte agli dei, nonostante le salutari medicine che furono date al tuo corpo, tu hai lasciato questo il giorno… Come dispare la goccia di rugiada quando l’astro del giorno riscalda il mondo coi suoi raggi… Pensando i giorni che vivevi con noi, evochiamo la tua vita esemplare… Dona uno sguardo di benevolenza su questa cerimonia funebre, accetta questi doni che come addio ti offriamo, frutti del mare e frutti dei campi e riposa in pace”.

Si susseguono discorsi in elogio del defunto, offerte di ramo sacro.

La cassa è posta davanti alla fossa – ultimo saluto – aspersione della bara e fossa con acqua salata, simbolo della purificazione del defunto dai suoi peccati e della tomba dalle impurità naturali: manate di terra sulla bara deposta nella fossa e con l’inchino profondo di rito finisce la cerimonia al cimitero.

Ritornati a casa il Kannushi annuncia: “Tu sei entrato nel lungo cammino e senza fine della morte. I tuoi che ora hanno celebrato i funerali, eccoli intorno a te, non ti dimenticheranno, e ogni giorno e sempre ti manifesteranno onore e affettuosa attenzione. Tu pure sii per questa casa e per i sopravviventi una fedele protezione”.

Il 10.mo, 50.mo, 100.mo giorno dopo la morte, il 1.mo, e 5.to anniversario si fanno feste commemorative.

Queste le linee schematiche delle manifestazioni funebri, varianti poi nei particolari a seconda delle condizioni delle persone, dei luoghi e delle credenze religiose del defunto o dei parenti.

Non sono meno solenni le manifestazioni che si fanno alle ceneri dei soldati morti in guerra. Al passaggio dei treni, alle stazioni di partenza e d’arrivo si raduna il popolo, le associazioni, e con preghiere, offerte d’incenso manifestano i sensi del loro cordoglio e del loro rispetto, ed oltre le funzioni funebri in famiglia, per conto della città o provincia se ne fanno delle pubbliche solennissime cui partecipano autorità e popolazione.

All’altare di famiglia poi ogni giorno si tributano ai defunti omaggi diversi a seconda delle credenze religiose, ed a date fisse al cimitero: i morti sono considerati spiriti tutelari della famiglia, cui si confidano le nuove di case – in occasione di viaggi il buon giapponese prende congedo dalle tombe ed invoca protezione dai suoi morti.

Culto dei morti dunque in pieno, educativo e formativo, in casa e al cimitero e frequente contatto dell’anima giapponese colla morte… Ed è anche questo che spiega assai il carattere giapponese. Non è raro il caso di pagani che al cominciare con noi discorsi d’assaggio sulla religione cattolica domandino: “E voi che fate per i morti?”. Buona occasione per parlare sull’argomento. I cristiani giapponesi nella preghiera dopo i pasti aggiungono anche il pensiero ai loro cari morti.

Non mi parvero inutili questi accenni ai nostri lettori del Bollettino perché si pensa volentieri ai defunti. In attesa della nostra ora, amatissimo Sig. Don Ricaldone, ci aiuti colle preghiere e coi mezzi a chiamare alla vita le tante anime a noi affidate.

Suo nel Signore

Don V. Cimatti


N.B. - Lo shintoista colpito da grave malattia non si preoccupa troppo dello stato della sua anima (il male intacca solo il corpo; muore con quello, non avendo relazione coll’anima): tuttavia vi è una cerimonia religiosa per donare equilibrio, pace e tranquillità all’anima in quei momenti; una delle tante purificazioni esorcistiche assai comuni a tutte le funzioni shintoistiche, fatta sventolando all’intorno.

Non vi è assistenza religiosa, solo i parenti praticano verso il malato le cure di sollievo proprie di quei momenti, come si fa naturalmente in tutto il mondo.

Stabiliti i funerali, la prima cerimonia è l’annunzio che il Kannushi (prete shintō) dà alla divinità che è morto un uomo e la preghiera che sia accolto in cielo. Nel giorno seguente alla morte dopo la lavatura del corpo con acqua calda si mette il defunto nella bara: indossa un vestito bianco, calze bianche e sandali di paglia. La bara è posta in mezzo alla camera adornata con rami sempreverdi. Sul davanti della bara, un tavolinetto con sopra la tavoletta col nome degli antenati ed un vasetto di sale.

Il Kannushi, purificato l’ambiente, alla presenza dei parenti che circondano la bara, annuncia che l’anima del defunto sta per entrare nella tavoletta degli antenati: si asperge di sale la medesima, e battendola leggermente col ventaglio, simbolo del potere, conta da uno a dieci, per dar tempo all’anima che è nel tempio locale, di compiere il passaggio: pronuncia il nome postumo del defunto con aggiunta di titoli onorifici e colla finale di rito: “Possa tu godere eternamente una tranquilla pace”. La tavoletta si pone nel posto più onorifico della casa.


1 R. M. 959: manosc. inedito.