Cimatti|Ricaldone Pietro /1943-8-…

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a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani



Il problema attuale delle vocazioni in Giappone1


Agosto 1943

Rev.mo ed amatissimo Sig. Don Ricaldone,


Quanto sperimentano attualmente i suoi figli di Miyazaki nella dolorosa prova cui sono sottoposti nella lotta per l’opera delle vocazioni, mi suggerisce qualche riflessione sul problema. Mantengo la promessa fattale nella precedente relazione.

Gli antichi missionari del Giappone non potevano certo far di più e di meglio per la formazione di un buon clero indigeno. La tremenda persecuzione stroncò tutte le promettenti iniziative. Tre secoli dopo, oggi, dopo oltre 80 anni dalla rinascita, a che punto siamo? La gerarchia ecclesiastica in Giappone passata al clero giapponese non può contare ancora su un clero nazionale sufficiente per assicurare la propria assistenza al lavoro necessario ed il proprio avvenire. Il problema delle vocazioni indigene ritorna più fortemente in campo.

Nel 1594 un missionario gesuita in Giappone (P. Celso Confalonieri) scriveva: “Quando i pubblici costumi saranno cambiati grazie alla conversione del Giappone, innumerabiles religiosi sancti et excellentes omni laudum genere futuri sunt”.

Il numero dei cattolici nell’anteguerra ha raggiunto la cifra di 120.000 su circa 80 milioni di abitanti dell’Impero. Il numero dei seminaristi maggiori: filosofi e teologi a Tokyo era di un centinaio. E gli allievi dei seminari minori sparsi per il Giappone erano circa 200. I sacerdoti giapponesi erano circa 160 su 596 residenti nell’Impero. Non è ancora possibile fare una statistica completa del dopoguerra. L’esperienza nostra di 20 anni di lavoro anche per le vocazioni indigene fanno sottoscrivere a questa affermazione. Persistono ancora dopo secoli le difficoltà in cui si trovarono i primi missionari: rivolgimenti e rinnovamenti politici, spirito nazionalistico ad oltranza, che esalta teste e cuori fino all’adorazione della patria-famiglia, scuola, religione asservite allo Stato – i lati del carattere debole giapponese: svalutazione dello straniero, amor di sé, incostanza, dissimulazione, acuiti al sommo dal presente stato di cose – la debolezza della salute e coll’entrata dei vincitori, introduzione di principi e pratiche che non favoriscono certo le vocazioni sacerdotali – la lunghezza della guerra, che sottrasse le poche vocazioni al regime di formazione nei piccoli seminari e dal seminario maggiore. Non ultima e grave difficoltà, risentita anche dai primi missionari, è il mantenimento dei Seminari. Generosamente vi concorre al possibile l’Opera Pontificia di S. Pietro, ma occorre risvegliare in tutti i cattolici giapponesi lo spirito di preghiera e di apostolato per le vocazioni, considerandolo uno dei massimi doveri del cattolico.

E nel periodo della guerra che avviene, come dissi, il passaggio della gerarchia ecclesiastica completamente al Clero giapponese, passaggio giudicato da tutti prematuro, ma necessitato dalle vicende politiche e dal riconoscimento legale della religione cattolica. Come dunque ci troviamo oggi di fronte alla formazione vocazionale del clero indigeno?


  1. Permanenza ed accentuazione delle difficoltà pel lavoro sulle vocazioni: non meravigliarsi dunque e della difficoltà del reclutamento e della lentezza e scarsezza dei risultati.

  2. La guerra, se non ha portato come le persecuzioni precedenti la stroncatura di tutto il lavoro vocazionale, si può considerare però come una violenta grandinata, che ha diradato ed indebolito molti quadri (morti, ammalati, non ritornati).

  3. Come in ogni dopoguerra, si verifica una relativa affluenza di vocazioni tardive verso di noi, perché si sa che i salesiani volentieri se ne occupano.

  4. Occorre l’immediata organizzazione su buone basi culturali e morali dei Seminari grandi e piccoli – scelta accurata dei soggetti, tenendo conto delle condizioni della famiglia – eliminazione assoluta di quanti non danno assicurazione morale di riuscita.


Ai PP. delle Missioni Estere di Parigi che hanno la gloria imperitura di avere formato tutto l’attuale clero indigeno giapponese dal periodo della scoperta dei cristiani dopo la persecuzione a tutt’oggi, succedono nel Seminario di Tokyo (che viene a far parte dell’Università cattolica) i PP. Gesuiti, e nel Kyushu i PP. Sulpiziani del Canada. È dunque sentito dai Rev.mi Ordinari giapponesi la necessità di ricominciare dal seminario.

La scarsezza del personale giapponese obbliga il giovane sacerdote all’uscita del Seminario a lanciarsi libero di sé nel laborioso apostolato, proprio fra tutte le difficoltà sopra indicate.

Salesianamente parlando che cosa abbiamo ottenuto in questi anni di lavoro, tenendo conto delle difficoltà sopraccennate, ne tratterò in una prossima quando ci vedremo chiaro nella questione del Seminario… Ci si vuol togliere il nido e gli aquilotti… Il Signore ci aiuti per l’intercessione della nostra Ausiliatrice e di Don Bosco.


Suo aff.mo

Don V. Cimatti, sales.



1 R. M. 2021, come la precedente 2020 furono certamente scritte nel 1946 e antidatate. Le allusioni sul seminario, “che si vuol togliere…” sono del 1943. Da notarsi che queste relazioni – scritte in matita – con aggiunte qua e là in certi posti sono di difficile ricostruzione.