PAROLA
DELLA CHIESA
Gaudium et Spes, 50, 1-2
Il matrimonio e l 'amore
coniugale sono ordinati
per loro natura alla pro-
creazione ed educazione
della prole. I figli, infatti,
sono il preziosissimo dono
del matr imonio e contri-
buiscono in massimo gra-
do al bene degli stessi.
Dio, che disse: «non è
bene che l 'uomo sia solo»
(Gen . 2, 18) e «che creò al-
l'inizio l'uomo maschio e
femmina » (Mt. 19, 4), vo-
lendo comunicare all'uo-
mo una speciale parteci-
pazione nella sua opera
creatrice, benedisse l'uo-
mo e la donna, dicendo lo-
ro: «crescete e moltiplica-
tevi» (Gen . 1, 28). Di con-
seguenza, il vero culto del-
l 'amore coniugale e tutta
la struttura familiare che
ne nasce, senza trascura-
re gli altri fini del matrimo-
nio, tendono a rendere i
coniugi disponibili per
cooperare coraggiosa-
mente con l'amore del
Crea tore e del Salvatore,
che per loro mezzo conti-
nuamente ingrandisce e
arricchisce la sua famiglia.
I coniugi sappiano di es-
sere cooperator i dell 'am o-
re di Dio Creatore e quasi
suoi interpreti nel dovere
di trasmettere la vita uma-
na e di educarla, che de ve
essere considerato come
la missione loro propria.
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Procreare, perciò, è una grande
dignità, perc hé è coope rare con Di o,
crea re per conto di Dio (pro = per
conto di) quei figli che, prima ancora
che nostri, so no fi gli Suoi. Ma è an-
che una respo nsabilità, un appello
che esige una risposta. E la risposta
so lo la sin gola cop pia la può dare,
perché i fi gl i che essa metterà al
mondo solo essa li può generare.
La ri sposta sa rà, perc iò, una ge-
nerosa disponibilità all a procreazio-
ne, nell a co nsapevolezza del va lore
immenso affi dato alle scel te dell a
copp ia: il dono del la vita ad altre
creature um ane, ad altri figl i di Dio.
Qu anto c'è bisog no ogg i di dar peso
a questo aspetto positivo della pro-
creaz ione respo nsa bile, spesso rid ot-
ta a un discorso di metodi da seguire
(quel li natura li) pe r evitare co nce pi-
menti non progra mmati!
Dalla responsab il ità di generare
all a responsab ilità di educare: è la
co ntinu azione del medesim o compi-
to. Educare è, in un certo se nso, con-
tin uare a dare la vita, pe rché è aiu ta-
re e guidare i figl i a sviluppa re le po-
tenz ialità e le ricchezze pe rsona li ai
cui sono dotati nascendo, a fare ve-
nir fuori e a formare quel «se stesso »
che è gi à potenzia lmente in loro. Se
proc reare è dare la vita, ed uca re è
porta re alla pienezza dell a vi ta e all a
gioia di vive re.
È im po rtante, all ora, che i genitori
maturino profondamente la consa-
pevo lezza di esse re loro «i primi e
principa li educatori dei figli » (C.V. Il ,
GE, 3) , che maturin o profondame nte
la convinzione che educare è la loro
specifica e priori tari a missione, pe r-
ché è un servizio alle persone dei
loro figli che non può esse re delega-
to , in cui non possono essere sosti-
tuiti. È vero che ci so no altre age nzie
educative, ma queste possono asso l-
vere un ruolo com pl ementa re se non
viene meno l'azione educativa dei
gen itori, che unifica, integra, armo-
nizza e orienta i moltep lici stimoli che
prove ngono dalle altre agenzie.
Se i genito ri han no un o spec ifico
ruolo educativo, non va ig norato
quel sosteg no all a cresc ita rec iproca
che tu tti, in famig lia, possono e sono
chi amati a dare. Og nuno di noi, con i
suoi atteggiamenti, con le sue manie-
re, con le sue reaz ioni, nel le più varie
e più comuni ci rcostanze quotidiane,
esercita nei co nfronti dei propri ca ri
o un influsso positivo , che sostiene,
incoraggia, infonde fiducia, dispone
all 'ottimismo, stimo la all'azione, libe-
ra energie, o un influsso negativo ,
che frena , che blocca, che ind uce al-
l'ansia, che dispone alla paura, che
co mprime la vitalità.
Volere il bene dei propri cari , sotto
questo aspetto, non può non portare
a ricerca re e a porre in essere delle
mani ere di relazio ne che si trad uca-
no in un influsso positivo su di loro, e
a considerare e vivere le più varie cir-
costanze del rapporto familiare come
occasioni pe r pro muovere, giorn o
dopo giorn o, il be ne (fisico, psico-
affettivo e spirituale) dei propri cari.
Un a particolare attenzione, in fa-
mi gl ia, va ded icata ai picco li, a co-
minciare dai picco lissimi, dai conce-
piti: han no bisog no di avve rtire un
clima familiare accogl iente sin da
quando sono nel grembo della ma-
dre. Se tutti abbia mo bisog no di sen -
tire l'amore attorno a noi, i picco li
hanno bisogno di respirarlo. È, dun-
que, un'esigenza dell'amore affro nta-
re (ed aiutarsi ad affrontare) il servi-
zio ai piccol i con generosa ded izio-
ne, circonda ndol i di premure e di at-
te nzioni , che vengono da loro im-
man cabi lmente percepite e che so no
le rad ici del loro fiducioso rapporto
futuro co n la .realtà e del loro amore
alla vita.
Una particolare dimensione dell a
feco ndità dell 'am ore, ancora, la si
può spe rim entare nel dolore, quando
ci si educa ad affrontare la sofferen-
za, prop ri a e dei prop ri ca ri , co n se-
re na accettazio ne e con spirito di of-
fert a al Sig nore. Essere vicini e un iti
nel la sofferenza, condividerla, portar-
ne il peso insieme, è esperienza che
risolleva e fortifica e mantiene sem-
pre interiormente attaccati all a vita;
offrirla poi al Signore, sape ndo che
Egl i ne sa trarre un 'efficacia rede nti-
va, infonde una pace segreta che
vince il dolore.
Un'u ltim a cons id eraz io ne, infine.
Se la fecond ità del l'amore ha il suo
primo spazio nel la famig lia, essa non