Testimonianze
le difficoltà, una tale vita vi da-
rà sempre soddisfazioni e gioie.
Gesù ce l'ha detto: Chi perde
la propria vita per me la guada-
gnerà .
La Chiesa e il mondo hanno
bisogno di sacerdoti pronti a
servire Dio nel sacerd6zio. Ma
abbiamo fiducia, cari fratelli,
che, con l'aiuto di Dio, voi ri-
sponderete con un sì generoso.
Negli interventi al Sinodo ab-
biamo ascoltato con gioia che
in alcuni paesi il numero delle
vocazioni sacerdotali è elevato;
mentre in altri si soffre di una
crescente mancanza di sacerdo-
ti. Sembra che alcuni giovani
non osino impegnarsi per tutta
la vita, che abbiano paura di ri-
nunciare alla possibilità di spo-
sarsi e fondare una famiglia, ac-
cettando la vocazione sacerdo-
tale e scegliendo una vita guida-
ta dai consigli evangelici di po-
vertà, castità, obbedienza.
Ma il sacerdote deve essere li-
bero dai vincoli matrimoniali e
familiari, dalla dipendenza del
possesso, dalla vita comoda e
dal desiderio di poter determi-
nare da solo la propria vita. È
un ideale elevato, per il quale
anche ai nostri giorni molti gio-
vani hanno dato un luminoso
esempio fino al martirio.
Chiediamo a voi giovani, ed
alle nostre comunità di pregare
con noi affinché il padrone del-
la messe mandi operai alla sua
messe. Tutto il popolo di Dio
ha bis,ogno di sacerdoti. Per
questo ci auguriamo che i vostri
familiari, i vostri amici e le vo-
stre comunità capiscano ciò che
significa la chiamata al sacerdo-
zio, vi accompagnino e vi aiuti-
no in questa via.
QUANDO IL SIGNORE CHIAMA
un figlio prete!
<<L a vocazione di vostro figlio
cambierà la vostra vita!». Con queste
parole un sacerdote incoraggiava noi
genitori perplessi e forse anche un po'
sconvolti nel giorno che un nostro fi-
glio entrava al noviziato salesiano.
Ritornare indietro oggi con la mente
e con il cuore per raccontare quel «mo-
mento particolare» non è semplice.
E infatti la nostra famiglia, con due
figli maschi, uno laureando e l'altro
alla conclusione degli studi di liceo,
viveva un periodo indubbiamente fe-
lice. Ma da quando il più piccolo ci
aveva annunciato di voler diventare
salesiano, nella famiglia non si respi-
rava la solita aria di serenità.
La nostra reazione era stata pacata
e rispettosa, coerenti con la promes-
sa di voler «rispettare comunque le
scelte dei figli motivate e responsabi-
li». Ma dentro ci portavamo tanta
amarezza. Alle vivaci contestazioni
del fratello rispose un giorno con
toni garbati in atteggiamento di at-
tenta considerazione sino alla ferma
dichiarazione che mise fine alla di-
scussione: «Papà, invece di fare un
anno di naja, farò un anno di novizia-
to; poi deciderò, con le persone che
mi sapranno guidare, cosa fare».
La vita quotidiana proseguì e le sca-
denze trovarono il figliuolo preparato.
All'altare Maggiore di M.A. presentò
insieme ad altri la domanda per il no-
viziato. Non sapevamo se sperare che
non fosse vero o che qualcosa di gran-
de stesse per maturare per tutta la fa-
miglia. La nostra in verità non fu una
reazione di rifiuto, ma di sgomento,
per la paura di «perdere» una persona
cara senza ricevere nulla.
Arrivò la maturità classica a pieni
voti. Si avvicinava la data dell'in-
gresso al noviziato. C'erano da fare
dei preparativi. La mamma si diede
da fare per la biancheria con tante
etichette e non furono poco le cose
bagnate da calde lacrime.
E venne l'anno di noviziato. Si anda-
va e si ritornava a casa sempre incerti
tra un profondo senso di solitudine e
tanti interrogativi. La nostra vita era
realmente cambiata, ma, almeno per
ora, in peggio. Tanti lunghi silenzi e
tanto vuoto, misto a sofferenza. E tutto
in contrasto con gli atteggiamenti
gioiosi del figliuolo, dell'ambiente sere-
no e tranquillo in cui viveva.
E ci si domandava spesso come po-
tesse adattarsi a una vita diversa, pri-
va di tante «comodità», di tanta «liber-
tà» lasciata a casa, con un'altra segna-
ta dalle cose modeste del vivere di oggi
per un giovane. Sentivamo che qualco-
sa si era spezzato, come l'armonia del-
la sua chitarra, la sua presenza festosa
e allegra. E non riuscivamo ancora «a
capire» cosa potesse cambiare ancora
nella nostra vita.
Seguirono notti insonni. E venne il
momento della professione. E lenta-
mente il Signore ci ha fatto capire.
Con questa sofferenza ha voluto che ci
rendessimo conto della sua «Bontà»,
per aver lasciato crescere nella nostra
famiglia quel suo «chiamato», sempre
pronto e disponibile, appassionato
amico dei ragazzi, come amico carissi-
mo del suo fratello maggiore, attento e
caro al cuore dei suoi genitori.
Ed ora, che il tempo è trascorso,
che gli interrogativi hanno trovato
una loro risposta, la nostra vita è ve-
ramente cambiata. Quel dolore ina-
spettato, a volte insopportabile, as-
surdo e senza logica umana, ha ripor-
tato una luce e una serenità che non
è facile descrivere.
Il tempo e le preghiere hanno cica-
trizzato le ferite. Dio affanna, ma
consola anche. Noi l'abbiamo speri-
mentato. E così il primogenito si è
laureato e il fratello è prossimo a sa-
lire i gradini dell'altare. Solo ora riu-
sciamo a capire che Dio ci ha fatto un
gran dono: ci ha condotto per mano
attraverso l'amarezza e il buio fitto a
godere una gioia unica che solo ora,
alla vigilia della consacrazione di
quelle mani del caro figliuolo, ma an-
che nostre mani, pregustiamo in tut-
ta la sua limpidezza.
Volesse il Buon Dio, per interces-
sione della Vergine Ausiliatrice e di
Don Bosco, sostenere i genitori chia-
mati, come noi, a capire che è bello
questo dono e che la vita realmente
cambia, con una presenza più viva di
Gesù nella famiglia.
Una mamma e un papà
felici e riconoscenti!
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