Bollettino_Salesiano_199012


Bollettino_Salesiano_199012

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2 1 DICEMBRE 1990
i,i~l
;Ja/esiimo
Rivista fondata da san Giovanni Bosco nel 1877
Quindicinale di informazione e cultura religiosa edito
dalla Congregazione Salesiana di San Giovanni Bosco .
INDIRIZZO
Via della Pisana 1111 - Casella post. 9092 - 00163 Ro-
ma-Aurelio - Tel. 06/65.92.915.
Conto corr. post. n. 46.20.02 intestato a Direzione Ge-
nerale Opere Don Bosco, Roma.
DIRETTORE RESPONSABILE
GIUSEPPE COSTA
Redazione: Giul iana Accornero - Miela Fagiol'o d'Attilia -
Pierdante Giordano - Gaetano Nanetti - Angelo Paoluzi -
Cosimo Semeraro.
Collaboratori: Nino Barraco - Sergio Centofanti - Paolo
Del Vaglio - Carlo Di Cieco - Umberto De Vanna - Monica
Ferrari - Maria Galluzzo - Maurizio Nicita - Silvano Stracca.
Impaginazione: Ufficio Grafico SEI
Archivio: Guido Cantoni (Roma)
Diffusione: Arnaldo Montecchio (Torino)
Spedizione: Stabilimento Grafico SEI - Torino
Fotocomposizione, Stampa: ILTE - Torino
Registrazione : Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
IL BOLLETTINO SALESIANO SI PUBBLICA
Il primo di ogni mese (undici numeri , eccetto agosto)
per tutti.
1115 del mese per i Cooperatori Salesiani.
Collaborazione: La Direzione invita a mandare notizie e
foto riguardanti la Famiglia Salesiana e s'impegna a
pubblicarle relativamente alle esigenze redazionali. Te 0
sti e materiali inviati non vengono restituiti.
Edizione di metà mese. A cura dell'Ufficio Nazionale
Cooperatori (Alfano, Rinaidini) - Via Marsala 42 - 00185
Roma -Tel. (06) 49.50.185.
IL BOLLETTINO SALESIANO NEL MONDO
Il BS esce nel mondo in 39 edizioni nazionali e 18 lingue
diverse (tiratura annua oltre 10 milioni di copie) in : An-
tille (a Santo Domingo) - Argentina - Australia -
Austria - Belgio (in fiammingo) - Bolivia - Brasile - Ca-
nada - Centro America (in Guatemala) - Cile - Cina (a
Hong Kong) - Colombia - Ecuador - Filippine - Francia
- Germania - Giappone - India (in inglese, malayalam,
tamil e telugù) - Irlanda e Gran Bretagna - Italia - Jugo-
slavia (in croato e in sloveno) - Korea del Sud - Litua-
nia (edito a Roma) - Malta - Messico - Olanda - Para-
guay - Perù - Polonia - Portogallo - Spagna - Stati Uni-
ti - Thailandia - Uruguay - Venezuela - Zaire.
DIFFUSIONE
Il BS è dono-omaggio di Don Bosco a chi lo richiede.
Copie arretrate o di p~opaganda: a richiesta , nei limiti
del possibile .
Cambio di indirizzo : comunicare anche l'indirizzo vec-
chio .
SOMMARIO
3 CRONACHE SALESIANE
6 EVANGELIZZAZIONE E SVILUPPO
La Chiesa d'Africa volta pagina: al Sinodo
le speranze e le attese della gente
di Silvano Stracca
11 In Madagascar con Don Bosco al servizio
della gioventù
di Giuseppe Costa
16 REPORTAGE
Musei come segni di cultura e di amore
all'uomo
di G. C.
19 OBIETTIVO BS
A casa Nazareth c'è posto per la speranza
di Maurizio Nicita
24 Pronto? Sono un'anziana sola.
La parrocchia in ascolto delle nuove
e vecchie povertà
di Mie/a Fagiolo d'Attilia
27 PROTAGONISTI
Essere vescovo a Timor, un'isola in cerca
di futuro
di G. C.
30 Salesianità e architettura,
una felice combinazione
di Gaetano Nanetti
34 Pieni voti della Corte per il sistema
preventivo
di Carlo Di Cieco
37 EDITORIA
Quattro milioni di cittadini solidali
di Maria Gal/uzzo
40 STORIA SALESIANA
Storia segreta di un "Te Deum" e di una
«Messa"
di Arcangelo Paglia/unga
RUBRICHE
Pigy di Del Vaglio, 4 - Solidarietà, 43
1 Dicembre 1990
Anno 114
Numero 19
In copertina:
Donne africane
(Foto A. Mari)

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AI LETTORI
Finisce, con questo fascicolo, il mandato assegnatomi dai Superiori Salesiani alla direzione della rivista. Dopo no-
ve anni desidero ringraziare in particolare il Rettor Maggiore don Egidio Viganò, la redazione ed i collaboratori, i lettori.
Il lavoro giornalistico non è facile; quello religioso poi lo è ancor meno . Ecco perché il mio non ·è un grazie forma-
le: la fiducia della «proprietà», la competenza dei «colleghi», la ricettività intelligente dei «lettori» non sono fatti
secondari. In quest'ultimo decennio poi la crescente domanda di informazione ha fatto sl che questa, mi riferisco
alla carta stampata, ha finito con il qualificarne l'offerta.
Una logica di mercato afla quale non sfugge l'informazione religiosa che tende a diventare sempre più specchio
della società a cui si riferisce.
Nove anni e più al Bollettino Salesiano mi hanno consentito di avere una non trascurabile conoscenza del mondo
salesiano: dai coraggiosi avamposti missionari posti ai confini del mondo alle pazienti presenze delle nostre città dove
la fatica dell'evangelizzare è tutt'altro che lieve.
Da cronista di cose salesiane ho cercato di portare « questo mondo» sulla rivista sincronizzandola con un target
affezionato sì ma non passivo. Altri potranno fare bilanci diversi ma per me lo stesso aver tentato un tale lavoro,
è stato esaltante. Grazie, dunque. ·
Al nuovo direttore, don Umberto De Vanna, cordialissimi auguri di buon lavoro.
Giuseppe Costa
STRENNA 1991 -
«La nuova
evangelizzazione
impegna. ad
approfondire e a
testimoniare la
dimensione sociale
della carità»
Recependo pienamente
l'invito del papa Giovanni
Paolo li fatto ai salesiani
durante il Capitolo generale
23°, il Rettor maggiore
impegna la Famiglia
salesiana a riflettere per
tutto il 1991 alla dimensione
sociale della carità. La
strenna per il 1991 ha infatti
come titolo: « La nuova
evangelizzazione impegna ad
approfondire e a
testimoniare la dimensione
sociale della carità».
A nessuno sfugge l'urgenza
di questa esortazione. « La
sfida, scrive il Capitolo
generale 23° dei salesiani, è
continua, sia perché la
povertà materiale sembra
dilatarsi a dismisura in molti
paesi, sia perché nei contesti
di benessere economico
nascono ed esplodono nuove
e tragiche forme di povertà:
devianza, emarginazione,
sfruttamento di persone e
droga».
La strenna del 7° successore
di Don Bosco alla Famiglia
salesiana contribuirà
certamente ad approfondire
lo specifico dell'impegno
salesiano in campo sociale e
politico partendo dalla
risposta storica data da
Don Bosco, e considerando
lo specifico educativo del
carisma salesiano in un
contesto sociopolitico
estremamente complesso ma
dove è richiesto con sempre
più insistenza solidarietà e
concretezza di progetti.
I Momento di celebrazione a Pari Cachoeira
BRASILE
I Cinquant'anni
della missione di
Pari/Cachoeira
Il 2 luglio u.s. la Missione
salesiana di Pari Cachoeira
in Amazzonia ha celebrato i
suoi cinquant'anni di
fondazione alla presenza
dell'ispettore di Manaus
don Benijamin Morando,
del vescovo della Diocesi
di S. Gabriele di Cachoeira,
mons. Walter Ivan de
Azevedo, dei missionari e di
alcune vocazioni salesiane
indigene come quelle del
coadiutore salesiano
Domingos Savio Borges
Barreto e del salesiano
tuiuca Justino Sarmento
Rezende.
La manifestazione
celebrativa si è svolta in due
momenti: uno religioso e
l'altro civile:
Particolarmente significative
sono state le danze dei vari

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4 • 1 DICEMBRE 1990
gruppi residenti nella regione
del Tiquiè. È stata
veramente ·una rassegna
ricca di colori piumati. Alla
fine non è mancata la tipica
bevanda « caxiri », tipica
degli indiani.
Per l'occasione sono state
ricordate le benemerenze dei
missionari.
« In cinquant'anni, è stato
detto, molte cose sono
cambiate. Il popolo prima
pacifico e tranquillo oggi
studia, domanda, ricerca ed
è cosciente che ~ possibile
costruirsi un futuro» . È
questo un merito indiscusso
di salesiani e FMA .
« L'Ispettoria
dell'Amazzonia, ha detto
l'ispettore di Manaus, è
legata alle sue missioni tra
gli indiani come alla radice
della propria stessa storia ».
Pl&Y d.: DEL VA&LIO
ITALIA
Le Polisportive
Salesiane guardano ai
mass media
Al cinema l'atleta è sempre
un eroe. In televisione
l'informazione sportiva si
presenta abbondantemente
in forma «parlata» e con
una serie di stereotipi in cui
ricadono le fig·ure dei
protagonisti, dei dirigenti,
degli allenatori, dei tifosi,
proiettati sui telespettatori
attraverso generi televisivi
quali il «processo», il quiz,
il talk show. Sui giornali
ritroviamo, invece, il mondo
sportivo visto dalla soglia
degli spogliatoi, le
indiscrezioni, il colpo di
scena, l'intervista esclusiva,
lo scoop.
SONO QU~SI
2000 I/OC$
~
~
-
-!/ .
Queste sono le immagini e le
conclusioni di una ricerca a
più mani, condotta da
Promedia, un centro di studi
massmediologici di Milano,
con l'obiettivo di studiare il
rapporto tra sport e mezzi
di comunicazione di massa.
L'indagine, commissionata
dalle Pgs, le polisportive
giovanili salesiane, è sfociata
in un volume pubblicato
dalla casa editrice torinese
Juvenilia. Il titolo del libro
è emblematico: « Frammenti
di gloria - La
rappresentazione dello sport
nei mass media». « I vari
mezzi si dividono il
territorio di caccia e
-rappr,esentano il fatto
sportivo non qual è in
realtà, ma attraverso tanti
frammenti, tante immagini
che esaltano, in mille
sfaccettature lo stesso fatto
sportivo con i suoi
personaggi e con i suoi
avvenimenti », spiega il
titolo del volume don
Giovanni Granelli, delegato
salesiano della Lombardia e
coordinatore della ricerca
per parte delle Pgs. La
rappresentazione dello sport
fatta dai mezzi di
comunicazione di massa si
configura quindi, secondo lo
studio di Promedia, come
immagine frammentata del
mondo sportivo condita
dalla glorificazione, dalla
esagerazione,
dall'esaltazione. Non
specchio della realtà
sportiva, ma solo
frammento di essa.
A Rovigo
una pala d'altare
per don Bosco
Rovigo: nell'ambito della
Festa di Don Bosco nella
chiesa di Scalon di
Contarina si è assistito ad
un avvenimento dalla
valenza artistico-religiosa
molto importante: la
benedizio!le di una pala
d'altare s1.1 tavola dedicata a
S. Giovanni Bosco,
realizzata da Paolo Saetti,
artista appartenente
all'U.C.A.I. di Padova.
La benedizione dell'opera è
stata effettuata in occasione
della cerimonia liturgica

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1 DICEMBRE 1990, 5
erchiamo di capire
celebrata dal Vescovo di
Rovigo mons. Gomiero.
L'opera alquanto singolare
raffigura il Santo che è al
centro della composizione,
mentre in alto alla sua
destra è la figura di Cristo
e, sulla sinistra, quella della
Madonna. Nella parte
sottostante del dipinto,
scritto alla maniera
iconografica su legno, dalle
ragguardevoli dimensioni di
cm 70x 100, vi è la
riproduzione, del santuario
di Maria Ausiliatrice di
Torino e del Tempio di Don
Bosco al Colle d. Bosco
(Castelnuovo D. Bosco).
Nuovo Vescovo
salesiano in Spagna
li 27 luglio 1990 Papa
Giovanni Paolo II ha
nominato vescovo di
Tarazona in Spagna, don
Miguel Josè Asurmendi
Aramendia, ispettore
dell'ispettoria salesiana di
Valencia.
Dopo l'Olanda, l'Italia e la
Francia, anche la Spagna ha
dunque un vescovo
salesiano.
In occasione della nomina,
la Stampa Vaticana ha
pubblicato il profilo .che
presentiamo: Monsignor
Miguel José Asurmendi
Aramendia, SDB, è nato a
Pamplona, Navarra, il 6
marzo 1940. Frequentò il
Seminario minore dei
Salesiani in Gerona
(1952-1956); fece il
Noviziato in Tarragona
(1956-57) e compì il corso
filosofico (1957-60) e quello
teologico (1963-67) in
Barcelona; svolse il
Tirocinio Pratico in
provincia di Alicante
(1960-63).
Conseguì la Licenza in
Filosofia presso il Pontificio
Ateneo Salesiano di Roma
(1967-69) e ne ottenne la
convalida presso l'Università
civile di Valencia (1973). È
diplomato presso il
Conservatorio di Musica di
Valencia , e ha la Licenza in
Teologia presso la Facoltà
Teologica « San Vicente
Ferrer» di Valencia.
Possiede inoltre il titolo sia
ecclesiastico che civile di
Maestro elementare.
Emise la professione
religiosa nella Società
Salesiana di San Giovanni
Bosco il 23 luglio 1963. Fu
ordinato sacerdote in
Barcelona il 5 marzo 1967.
Ha ricoperto i seguenti
incarichi:
- Prefetto degli Studi allo
Studentato Filosofico
Salesiano di Godelleta,
Valencia (1969-70);
- Prefetto degli Studi al
« Colegio Salesiano San
Antonio Abad », Valencia
(1970-72);
- Superiore della Comunità
e Direttore del Collegio
Salesiano di Saragoza
(1972-78);
- Direttore dello
Studentato Filosofico
Salesiano « San Vicente
Ferrer » di Valencia.
Consigliere dell'ispettore
(Valencia).
Dal 1983 è Superiore della
Ispettoria della Società
Salesiana di San Giovanni
Bosco di Valencia.
NATALE
A GERUSALEMME
Ogni anno si guarda a Gerusalemme e alla Terra Santa nella spe-
ranza di celebrare un più pacifico Natale. La speranza resta spes-
so delusa. Nei luoghi cari alle tre grandi religioni monoteistiche
cresce la violenza, si amplificano le ragioni della morte . Anche nel
1990, quindi, i cristiani con gioia offuscata nella notte della Nati-
vità canteranno il loro «Gloria » e invocheranno la pace per gli
uomini di buona volontà .
Accorata si leva l'implorazione per una ritrovata concordia. Dopo
la strage sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme, dove la po•
lizia israeliana ha ucciso ventuno arabi per rappresaglia a una sas-
saiola contro fedeli ebrei in preghiera, la crisi ha assunto dimensioni
internazionali con la condanna di Israele da parte dell'ONU, e il
rifiuto di accogliere la commissione che dovrebbe far luce sugli av-
venimenti.
A noi possono certamente interessare i risvolti diplomatici del-
l'attuale situazione, che introduce un ulteriore fattore di turbamento
nella già tormentata area del Medio Oriente. Ma certamente im-
portano molto di più tutte le conseguenze di tipo sociale e spiri-
tuale che ricadono sulle popolazioni civili, sottoposte da decenni
a sofferenze molto più gravi - per chi le ricorda - di quelle cui
fu sottoposto il nostro Paese durante l'ultima guerra. Un clima
di sospetto e di odio fra arabi ed ebrei, un conflitto (per i palesti•
nesi, è stato detto, « un genocidio a rate») che dura da mezzo se-
colo e che da allora ogni giorno vuole le sue vittime.
Ricordiamo l'appello che il Papa ha rivolto al mondo durante
il Sinodo dei Vescovi, e dopo la strage di Gerusalemme:« Preghiamo
il Signore affinché, ispirando i cuori di coloro che sono responsa•
bili dei destini dei popoli, conceda a tutta la regione del Medio
Oriente la desiderata pace nella giustizia e nella sicurezza e faccia
della Santa Città di Gerusalemme crocevia e so'rgente di una vera
riconciliazione ». Con un forte richiamo di natura civile nella stes-
sa occasione: « Non è possibile rimanere indifferenti e non con-
dannare, insieme con la violenza che ha causato altri morti e feriti,
una situazione di ingiustizia che dura da troppo tempo e che vede
opporsi due popoli, quello palestinese e quello israeliano, ambe-
due chiamati a vivere in una pace equa e durevole, ciascuno nella
propria patria e su quella -terra tanto cara a loro e ai credenti di
tutto il mondo».
Manca, in questi appelli, ogni calcolo opportunistico, ogni me•
schino interesse di parte. È un invito a disporsi con animo pacifi-
co alla ricerca della trattativa e dell'intesa. Perché ebrei, cristiani
e musulmani si rilanciano nella concordia il rosario dèlla preghie-
ra, e il venerdì, il sabato e la domenica siano momenti di pace nel-
le moschee, dinanzi alle mura del Tempio, nelle chiese che ricordano
il Vangelo, la morte e la Resurrezione di Gesù.
Cerchiamo di capire che questo è Natale.
Angelo Paoluzi

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6 · 1 DICEMBRE 1990
EVANGELIZZAZION~ E SVILUPPO
LA CHIE$A D'AFRIC~
VOLTA PAGINA:
A L .S I N O P O
'-E SPE-=-ANZE
E LE ATTESE
PELLA QENTE
Il Sinodo africano è ormai avviato verso
la sua r~qlizzazione.
Come si compprteranno le Chiese
del Continente nero di fronte all'Islam
e alle urg(3nze sociali?
Pubblicato il docµmento preparatorio
al Sinodo.
« La Chiesa in Africa e
la sua missione evangelizzatrice ver-
so il Duemila: "Voi sarete miei te-
stimoni"». È il titolo del primo do-
cumento preparatorio del Sinodp
speciale dei vescovi africani. La sua
pubblicazione, avvenuta in Africa al-
la fine di luglio, segna l'inizio per lk
Chiesa del continente della sµa effet-
tiva preparazione all'importante
evento.
Il Papa ha voluto concludere la
sua settima visita pastorale in Africa,
nel mese di settembre, presenziandp
a Yamoussoukro, capitale della Co-
sta d'Avorio, alla conclusione di un
incontro del ristretto Consiglio di ve-
scovi incaricati di preparare il Sino-
do africano, che hanno discusso i
prossimi passi di un cammino inizia-
to il giorno dell'Epifania del 1989.
Adesso la parola passa alla base
della Chiesa africana. Il risultato po-
sitivo della futura assemblea dipen-
derà molto dalla sua preparazione.
Ha scritto al riguardo un pastore del
continente: « Tutti - vescovi, preti,
operatori pastorali; piccole comuni-
tà e popolo - dovrebbero sentirsi
coinvolti; soprattutto dovremmo
portare al Sinodo le speranze e le at-
tese della gente delle comunità di ba-
se. Da questo dipende il successo del
Sinodo ».

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1 DICEMBRE 1990, 7

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8 1 DICEMBRE 1990
Il documento da poco pubblicato
riflette la preoccupazione che, sin
dalla fase iniziale, l'iter preparatorio
del Sinodo sia caratterizzato da una
connotazione inequivocabilmente
«africana». Perciò, pur inquadran-
do l'evento nella prospettiva della
Chiesa universale, si è curato che
l'ottica di fondo non fosse né euro-
pea né nordamericana o latino-
americana o asiatica, ma solamente
ed autenticamente africana.
Proprio per questo motivo, il do-
cumento si apre con una breve pano-
ramica della storia della Chiesa
cattolica in Africa. Nessuno studio
sul tema dell'evangelizzazione del
continente potrebbe prescindere da
uno sguardo retrospettivo sulla vita-
lità della fede cristiana nelle terre del
Nord Africa nei primi secoli ·o sul
successo sporadico dei successivi ten-
tativi d'evangelizzazione a partire dal
17° secolo.
Il sintetico «excursus» storico in-
quadra, nel giusto rilievo, la grande
esplosione di fede nel continente nel
secolo passato, grazie all'opera ed al
sacrificio d'innumerevoli missionari.
Il loro lavoro continua a dare i suoi
frutti e contiene molte promesse an-
che per il futuro. El' Africa può im-
parare molto per il presente e per
l'avvenire rileggendo gli avvenimen-
ti felici e quelli tragici della storia del-
la presenza cristiana nel continente.
Oggi la Chiesa è presente dapper-
tutto in Africa. Alla fine del 1986, su
una popolazione complessiva di 572
milioni di africc1.ni, i cat:tolici rag-
giungevano i 75 milioni, oltre il 13%.
Il sacrificio di tanti missionari ha ri-
cevuto dunque una meravigliosa ri-
compensa. Attualmente l'Africa è il
continente dove la Chiesa cattolica
cresce più rapidamente, con un au-
mento di circa il 50% negli ultimi
dieci anni.
Una fase dell'evangelizzazione si è
conclusa. Ora è iniziata una nuova
epoca: un'idea su cui Giovanni Pao-
lo II insiste molto. Che cosa giusti-
fica l'insistenza del Papa nel parlare
di una nuova tappa?
Innanzitutto il contestò storico.
L'evangelizzazione del continente nel
secolo scorso avvenne in un tempo
in cui i popoli africani non erano pa-
droni a casa loro. Adesso il periodo
coloniale è stato definitivamente la-
sciato alle spalle. Il contesto in cui
l'evangelizzazione dev'essere conti-
nuata, è diverso. L'Africa è oggi un
continente di paesi indipendenti .
In secondo luogo, se nel periodo
coloniale l'evangelizzazione fu ope-
ra solamente di missionari stranieri,
appartenenti ad istituti missionari di-
versi , oggi religiosi e sacerdoti dio-
cesani autoctoni e missionari
provenienti dall'estero lavorano in
Africa in stretta collaborazione per
l'evangelizzazione del continente .
Pochi dati provano l' « africanizza-
zione » della Chiesa del continente .
Alla fine del 1986 i vescovi africani
erano 348 su 481 . Alla stessa data,
su un totale di 18.353 preti, 8.591
erano sacerdoti diocesani indigeni .
Anche l'aumento del numero delle
vocazioni autoctone al sacerdozio e
alla vita consacrata giustifica il par-
lare d' un nuovo periodo dell'evange-
lizzazione nel continente. Nel 1988
c'erano 33 .072 studenti nei seminari

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I DICEMBRE 1990 9
IL DIALOGO CON L'ISLAM
I
minori e 9.569 nei 105 seminari
maggiori.
Nell'insieme, l'evangelizzazione
avviene oggi in Africa in un q1Jadro
di relativa libertà e di una certa au-
tonomia d'azione della Chiesa, an-
che se è certamente vero che, dopo
la conquista all'indipendenza e del-
la sovranità nazionale, si sono pre-
sentate in alcune nazioni situazioni
difficili che si sono rivelate di grave
ostacolo per la missione della Chiesa.
o
1ii
a:(.)
iii
Cl)
·so:
:.e
~
<(
uoo..
li documento presinodale dedica particolare attenzione al dialogo con
l'Islam in Africa, distinguendo fra Islam e musulmani. Il dialogo con
l'Islam in quanto religione dalle posizioni rigide, e spesso inconciliabili
con la dottrina cattolica, risulta difficile. Un ponte più favorevole per il
dialogo sono i musulmani come persone che professano la religione isla-
mica, specie se sono membri della stessa famiglia o etnia o nazione.
Le prospettive del dialogo dipendono anche dallo « status» dell'Islam
all'interno di una nazione. L'Islam è spesso la religione ufficiale, sia co-
me unica religione sia come religione dominante . Ma anche dove non ha
uno « status » ufficiale o è « minoranza », l'Islam rappresenta una realtà
importante per il dialogo interreligioso della Chiesa nel continente.
Le due tendenze che caratterizzano oggi l'Islam sul piano mondiale, in-
teressano anche l'Africa. Si assiste, da un lato , ad una presa di coscienza
sempre più forte della « ummah », ossia della comunità islamica in quan-
to tale, e dell'individuo musulmano come membro della comunità islami-
ca con strutture ed istituzioni sul piano locale, nazionale ed internazionale.
Dall'altro, cresce la presa di coscienza che l'Islam rappresenta una reli-
gione universale con un'organizzaziofle mondiale per la diff4sione, la con-
divisione, la solidarietà di idee e di ideali.
Potenzialmente le due tendenze potrebbero facilitare il di~logo indican-
do interlocutori qualificati. In realtà, esse operano nel senso della radica-
lizzazione e dell'integrismo, rendendo difficile il dialogo a livello sia di
persone che di gruppi. Inoltre, le influenze dall'esterno rendono i musul-
mani africani mepo «aperti».
Un insieme di circostanze, dunque, che hanno fatto spesso scontrare
le iniziative della Chiesa cattolica per il dialogo nel continente contro l'in-
differenza o il rifiuto da parte islamica.
Ciò nonostante, l'Islam resta in Africa un partner importante nel dialo-
go interreligioso per una serie di motivi. L'autenticità dei valori religiosi;
i numerosi seguaçi; le radici profonde in molti popoli.
Un partner importante, ma difficile per la mancanza nell'lslam del con-
cetto stesso di dialogo, di un linguaggio comune nonché dei suoi metodi
di proselitismo volti a convertire il maggior numero possibile di persone.
L'Africa è al centro di un palese tentativo di una sempre più intensa
propagazione dell'Islam. Oltre alle conversioni in massa, l'obiettivo di azio-
ne è la trasforma;zione della società africana secondo i principi islamici:
governo, leggi, cultura, istituzioni finanziarie, ecc.
Di qui una duplice sfida per la Chiesa in Africa: riconoscere i diritti dei
musulmani a vivere e testimoniare la loro fede ed insieme riaffermare gli
stessi diritti per i cristiani, in uno spirito di reciproco rispetto come condi-
zione necessaria per progredire nel dialogo. ·

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10 t DICEMBRE 1990
AFRICANI:
SIATE MISSIONARI
DI VOI STESSI
Milioni di persone in Africa non sono ancor state evangelizzate. Le gio-
vani Chiese del continente non possono evitare l'immensa sfida di portar
loro il messaggio di salvezza . « Voi africani siete ormai missionari di voi
stessi», disse Paolo VI in Uganda nèl 1969. La cooperazione missionaria
interafricana è uno dei leit-motiv dei discorsi di Giovanni Paolo II duran-
te le sue visite pastorali nel continente.
Poiché ogni Chiesa particolare in Africa « è costituita sul modello della
Chiesa universale», ne consegue che la sua missione evangelizzante non
può limitarsi o circoscriversi agli orizzonti, pur ampi, di questo continen-
te . La sua sollecitudine evangelizzatrice, il suo impegno deve andare al di
là dell 'Africa, « sino alle estremità della terra».
E c'è motivo già di raljegrarsi, e molto , perché la Chiesa d' Africa è in
grado di realizzare questo aspetto della sua missione.
L'Istituto Missionario degli Apostoli di Gesù, in primo di questo gene-
re in Africa, è stato fondato in Uganda nel 1968 per annunciare il Vange-
lo ai non cristiani e per lavorare nei territori missionari meno favoriti. Il
ramo femminile dello stesso Istituto, le Suore Evangelizzatrici di Maria,
è stato fondato nel 1977. Missionari di quest'Istituto han lasciato l'Ugan-
da per andare ad evangelizzare in altri paesi africani .
Le suore « Bene Tereziya » del Burundi fondate nel 1931 hanno acquisi-
to una crescente dimensione missionaria in Africa andando a lavorare nel
Ciad, in Camerun e in Tanzania.
Durante la sua visita in Nigeria nel 1982, Giovanni Paolo II si è felicita-
to con la Chiesa di questo paese per i suoi preti e le sue religiose che lavo-
rano in vari paesi dell'Africa e nelle isole dei Caraibi. Nel 1977 in Nigeria
è stato fondato l'Istituto Missionario di San Paolo. Molti missionari for-
mati da quest'Istituto lavorano attualmente, oltre che in Nigeria, nel Ca-
merun, in Liberia e negli Stati Uniti d' America.
La piccola Chiesa dell'Isola Maurizio ha inviato preti e religiose in sei
paesi dell'Africa, in quattro paesi d'Europa, in tre paesi dell'Asia e tre
paesi dell'America!
In linea generale si può anche af-
fermare che la religione tradizionale
africana si mostra oggi aperta al cri-
stianésimo. Sicuramente non è né ag-
gressiva né decisamente ostile. Tant'è
che spesso i seguaci delle religioni
tradizionali africane si dichiarano
cattolici o cristiani senza aver ricevu-
to il battesimo o non essendo neppu-
re catecumeni. Unicamente per
dimostrare la loro simpatia verso la
fede cristiana.
Quest'apertura della religione tra-
dizionale africana è, senza dubbio,
una «chance» non indifferente per
la nuova fase dell'evangelizzazione.
C'è però un altro fattore estrema-
mente importante di cui deve tener
conto oggi l'evangelizzazione in Afri-
ca: la presenza dell'Islam che spesso
ricorre a tutti i mezzi, compresi quelli
del potere politico ed economico, per
raggiungere i suoi fini . Le implica-
zioni politiche evidenti nell'attuale ri-
sveglio dell'Islam, il proselitismo
sfrenato, le mine su regioni che so-
no state sinora d'influenza cristiana,
rappresentano una vera sfida per la
Chiesa nel continente.
Infine, l'Africa contemporanea
conosce mutamenti tanto profondi
quanto rapidi in tutti i campi: poli-
tico, economico, sociale, culturale.
Tali cambiamenti doman'dano nuo-
ve strategie per l'evangelizzazione.
Un capitolo, piuttosto breve, del
documento preparatorio del Sinodo
tratteggia le particolari sfide nel cam-
po della giustizia e della pace, insi-
stendo sull'importanza per la Chiesa
d'Africa della formazione dei laici,
in modo che possano far fronte alle
loro responsabilità ed ai loro doveri
nella trasformazione della società
africana.
L'Africa appartiene all'emisfero
Sud, una parte del mondo che, se si
considera anche l'America Latina,
avrà verosimilmente nel XXI secolo
il maggior numero di cattolici . Una
realtà del tutto nuova nella storia.
Una realtà che deve rinnovare la vi-
sione della missione evangelizzatrice
dell'Africa. Se si pensa che l'Africa
non è cattolica se non nella percen-
tuale di poco più del 13% della sua
popolazione, ci sono dunque tutti i
motivi per dire che davvero è giunta
« 1'ora dell'Africa » .
Silvano Stracca

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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- - - - - -- ----5'1-
1 DICEMBRE 1990 11
Don Luigi Zuppini è un
missionario salesiano - ed è questa
la qualifica che preferisce - ma con
un incarico specifico: è il delegato del -
Rettor Maggiore nel Madagascar, nel
quadro del « Progetto Africa». Do-
po aver retto per un sessennio, da
Mogliano Veneto, l'Ispettoria del
Veneto Est, don Zuppini ha raggiun-
to la grande isola nell'oceanojndia-
no, a est del continente, dove da
ormai tre anni risiede nella casa sa-
lesiana di Ivato, una località'riei pres-

2.2 Page 12

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12 · 1 DICEMBRE 1990
I Nella foto sopra un gruppo di Salesiani e di Figlie di iviaria Ausiliatrice impegnati in Madagascar;
nella foto sotto la Scuola Professionale di Tulesc
si dell'aeroporto di Antananarivo, la
capitale. Il Madagascar vede ormai
una consistente presenza salesiana:
trenta sacerdoti (altri sono in arrivo),
sette comunità. Per saperne di più
sulla situazione e sul lavoro missio-
nario in Madagascar abbiamo avvi-
cinato don Zuppini durante il suo
soggiorno romano in occasione del
Capitolo generale della Congregazio-
ne. Siamo partiti, con la prima do-
manda, proprio dalla consistenza
numerica della presenza salesiana.
L'isola conta dieci milioni di abitan-
ti, di cui due milioni sono cattolici.
·Non sono 1,m .po' troppi i salesiani
'presenti sul posto?
«Non c'è dubbio che nel quadro
dell'impegno generale previsto dalla
Congregazione con H "Progetto
Africa", il Madagascar sia oggi,
quanto a personale missionario, una
Nazione, diciamo così, privilegiata.
Ma non credo si possa dire che sia-
mo troppi. Bisogna tener conto del-
la particolare configurazione
dell'isola, che rende oltremodo dif-
ficili le comunicazioni, ostacola i
rapporti fra i gruppi missionari pre-
senti sul territorio e anche i contatti
con le a,ltre Chiese, esaspera le pro-
blematiche ecclesiali, sociali, politi-
che. Una presenza ristretta potrebbe
portare all'isolamento. Più siamo e
meglio ci sosteniamo reciprocamen-
te a livello di formazione, di rifles-
sione, di studio e possiamo con più
efficacia impiantarci col nostro ca-
risma in quella particolare si-
tuazione».
Svuuppa
Vocazionale
Il lavoro dei missionari in Mada-
gascar, come del resto negli altri Pae-
si di missione, è rivolto anche a
suscitare vocazioni locali. Ci sono già
aspiranti al sqcerdozio entrati nel
prenoviziato, per altri giovani è in
corso un prÒgrçmma di formazione,
per cui si hanno buone ragioni per ri-
tenere che fra qualche anno ci po-
tranno essere sacerdoti salesiani
malgasci. Ma come avviene in altri
·Paesi poveri del Terzo Mondo, può
accadere che si registrino adesioni,
per così dire, di facciata. Qual è, sot-
to questo profilo, la situazione nel-
l'isola?

2.3 Page 13

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- - - -- --- - -- -sll-
1 D/C~MBRE 1990 13
«È vero, il problema vocazionale zione, che non ha penetrato la cul- educative, sia con le scuole che con
è al centro della nostra presenza. E tura, e in parte alle divisioni tribali gli oratori. La scuola la pensiamo an-
aggiungo che si sono ottenuti risul- che ancora sussistono e si accompa- che come centro di formazione degli
tati molto significativi, tanto da far
pensare a una specie di "boom" del-
le vocazioni salesiane. Non credo che
ciò possa essere attribuito alle con-
gnano a un forte spirito di superio-
rità che contraddistingue alcuni
gruppi rispetto ad altri. Ma cerchia-
mo di superare questi inconvenienti
insegnanti, sia degli istituti cattolici
sia di quelli statali. Anzi, cerchiamo
di aiutare anche le scuole statali
quando le vediamo in difficoltà per
dizioni di povertà della gente e al
semplice desiderio di raggiungere
qualche miglioramento. Credo inve-
ce che ci sia una forte attrazione eser-
citata dalla Chiesa cattolica vista
come via di salvezza e di speranza per
il popolo malgascio, e che ha ricevu-
selezionando le richieste in modo da
far cadere 'le scelte su giovani che so-
no con noi da molto tempo, e dei
quali conosciamo bene le famiglie .
Poi li sottoponiamo a un lungo iter
formativo di forte impegno fatto di
studio, di lavoro manuale, di lavoro
la mancanza di materiale didattico,
per un tetto che fa acqua, per ban-
chi che non ci sono. Ci sembrano in-
terventi necessari se vogliamo
assolvere al nostro compito di pro-
muovere l' educazione a tutti i livelli.
« Naturalmente il nostro campo
to un forte impulso dalla visita del apostolico in mezzo ai giovani per specifico rimane la cura del settore
Papa e dalle iniziative che l'hanno
preceduta. Oltre, naturalmente, al
fasci.no che emana, come sempre e
ovunque, la figura di Don Bosco.
verificare le loro attitudini al rappor-
to comunitario anche con la loro
gente, di assunzione di responsabili-
tà nei villaggi più sperduti».
giovanile. Per esempio, accogliamo
giovani che, bocciati per la terza vol-
ta, non possono più presentarsi ai
corsi suppletivi e cerchiamo di recu-
« Al tempo stesso siamo consape-
perarli per portarli come privatisti
voli che l'ingresso nella vita religio-
al diploma di scuola media. Più in
sa nell'ambito della missione,
rappresenti per molti giovani un Carisma educativo
grande salto sociale. Così come ci
generale, abbiamo avviato altre ini-
ziative educative nell'ambito dell'o-
ratorio: accanto al gioco, educhiamo
rendiamo conto di una certa fragili- Il missionario in Africa, e quindi all'uso del tempo libero, sollecitiamo
tà della fede, dovuta in parte alla anche in Madagascar, si trova a con- l'associazionismo, promuoviamo la
relativamente recente evangelizza- tatto con gente assillata da una in- formazione di artigiani, l' alfabetiz-
finità di problemi, dovuti alle con- zazione, la formazione di bibliote-
dizioni di vita cui sono costretti dal- che. Quanto al settore della salute,
la miseria. Non c'è il rischio che ci muoviamo anche qui sul piano del-
dividendosi fra catechismo e sommi- !'educazione sanitaria. Stiamo anche
Nt
[lA SY
I
nistrazione di medicine il missiona- organizzando una scuola di agricol-
rio dia spazio a uno scadimento tura per insegnare ai giovani a col-
Il dell'impegno pastorale e, nel caso dei tivare la terra: la vedo come una
salesiani, riduca lo spessore del cari- nostra sfida a una terra che è fra le
sma educativo?
meno feconde che io conosca. In tut-
« È un aspetto cui prestiamo la te queste attività è nostra cura evita-
massima attenzione. Tanto che in re di cadere nell'assistenzialismo, che
Madagascar noi salesiani siamo con- è l'anticamera del parassitismo. Vo-
siderati missionari con il "pallino" gliamo che tutto ciò che riceve, la
del carisma nel senso che lo coltivia- gente se lo guadagni con il proprio
mo e lo pratichiamo come in qual- impegno ».
siasi altra situazione come tratto
essenziale della nostra identità. Mis-
sionari di altre Congregazioni si stu-
piscono per il fatto che noi, per dirne
una, conserviamo con tenacia la di-
mensione comunitaria del nostro la-
voro. Cito ad esempio due comunità
Neue periferie
urbane
dell'lspettoria siciliana che distano
l'una dall'altra 80 chilometri di una
strada disastrata. Ebbene, ogni lune-
dì, immancabilmente, i salesiani delle
due comunità si incontrano per pre-
gare, riflettere, scambiare esperien-
I salesiani in Madagascar operano
soprattutto nelle aree rurali. Non c'è
contraddizione fra questa scelta e la
tendenza - diffusa ormai in tutta
l'Africa - della gente a trasferirsi
ze, anche se ciò vuol dire sobbarcarsi
un viaggio di almeno sette ore.-
« Questo è dunque un primo trat-
to distintivo della nostra presenza in
nelle città abbandonando le cam-
pagne?
« L'esperienza in aree rurali era
per noi indispensabile, altrimenti ri-
Madagascar. Il secondo ci vede im- schiavamo di non capire 1'80 per cen-
pegnati sul versante delle esperienze to del Madagascar, che è prevalen-

2.4 Page 14

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14 · I DICEMBRE 1990
temente agricolo. Resta fermo che
l'ambiente naturale, per noi salesia-
ni , è la periferia delle grandi città.
Ora, con una esperienza di otto an-
ni, una migliore conoscenza della lin-
gua e del Paese, ci sentiamo pronti
ad affrontare la sfida delle città e
pensiamo di avviare esperienze nelle
periferie dei centri urbani più im-
portanti.
Tra i cattolici africani, la donna
svolge un ruolo molto importante co-
me collaboratrice in molti settori.
Che tipo di attenzione riservano a
questo aspetto i salesiani in Mada-
gascar?
« Le donne svolgono un lavoro che
non è esagerato definire di importan-
za basilare. Sono loro, per esempio,
che in genere si assumono l' intera ·re-
sponsabilità del settore sanitario. Le
insegnanti laiche sembrano spesso ri-
spondere meglio degli uomini alle at-
tese della gente malgascia. Anche nel
campo dell'assistenza sociale svolgo-
no un'opera meritoria. Spesso le re-
ligiose arrivano, grazie alla simpatia
e al rispetto che le circonda, laddo-
ve il prete, l'uomo missionario non
riesce a spingersi. Un posto impor-
tante occupano _le suore malgasce.
Noi collaboriamo molto bene sia con
loro che con le Figlie di Maria Ausi-
liatrice. Queste ultime hanno già due
grosse presenze e stanno avviando-
ne una terza, con scuola primaria ed
elementare, corsi professionali, di
educazione all'igiene, di economia
domestica. Hanno case di accoglien-
za per ragazze in difficoltà o abban-
donate. Credo anzi che le Figlie di
Maria Ausiliatrice abbiano portato
una ventata di novità: non si erano
ma~ viste suore dedicarsi così gioio-
samente ai bambini, giocare con lo-
ro nei cortili. Insomma, sono molto
popolari.
«Tuttavia non mi nascondo che
occorre realizzare un_certo equilibrio
fra elemento maschile e elemento
femminile. Penso anche che la, dicia-
mo così, parentela fra salesiani e
FMA debba essere meglio utilizzata
ai fini pastorali, per evitare che cia-
scuno proceda per la propria strada
e porti avanti le proprie opere quasi
per linee parallele . In altri termini,
auspico un più ampio scambio a li-
vello di carisma e di impostazione
globale.
La consistente presenza salesiana
••.. 1
NDE
I POVERTÀ .R-,
A QUALCOS
Il Madagascar è una grande isola (595 mila chilometri quadrati, qua-
si due volte l'Italia) nell'oceano Indiano, a 400 chilometri a est del Con-
tinente africano. La popolazione è di circa 10 milioni di abitanti, suddivisi
in 18 tribù, che parlanp tuttavia la stessa lingua, il malgascio. 1150 per
cento pratica religioni tradizionali, i cattolici sono il 25 per cento, 20 per
cento i protestanti, 5 per cento i musulmani. Dal punto di vista eccle-
siale, il Madagascar conta 17 diocesi, guidate da 14 vescovi autoctoni
e da 3 vescovi missionari, con 500 missionari di varie nazionalità e 200
sacerdoti indigeni.
Ex colonia francese, il Madagascar ha conquistato l'indipendenza nel
1960. Assumendo il potere nel 1975, l'attuale presidente Didier Ratsi-
raka ha imposto al Paese un regime ispirato all'ideologia socialista. Molti
osservatori concordano nel ritenere che questa scelta sia all'origine della
profonda crisi economico-sociale in cui oggi si dibatte il Paese, e che
lo ha collocato nel gruppo dei dodici Paesi più poveri del mondo. I dati
statistici che lo riguardano sono desolanti: reddito medio pro capite an-

2.5 Page 15

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- - - - - - - ----#1-
nuo di 250 dollari (poco più di 400 mila lire), 110 bambini su mille muoio-
no di malattia o denutrizione prima di aver raggiunto i dodici mesi di
vita, 35 per cento di analfabeti, età media fra i 40 e i 50 anni.
Il continuo degrado economico e sociale ha indotto i dirigenti del Pae-
se a rivedere talune loro posizioni. Da qualche tempo hanno allentato
la pressione ideologica e si sono aperti a forme di liberalizzazione poli-
tica sollecitando nel contempo l'aiuto dell'Occidente. Un forte contri-
buto al cambiamento è venuto da gruppi e associazioni di cattolici, a
loro volta animati da un Episcopato che ha più volte denunciato con
forza l'intollerabile condizione di miseria in c1:1i vive la gente , spesso
fonte di degrado morale. Si sono già registrati segnali di ripresa nel set-
tore economico, ma il processo per risalire dal baratro in cui il Madaga-
scar è precipitato sarà inevitabilmente lungo.
G.N.
(Le foto sono tratte dal libro « Madagascar ultimo Gondwana,,)
in Madagascar ha aperto il discorso
sulle strutture giuridiche. In quali
termini si pone il problema?
« Credo sia stato provvidenziale
che ben cinque lspettorie italiane si
siano impegnate a sostenere la pre-
senza salesiana in Madagascar. Lo
hanno fatto e lo stanno facendo con
entusiasmo, sollevando la simpatia di
tanta gente e sostenendo anche un
notevole sforzo finanziario. Ma pro-
prio la rilevante presenza ha fatto av-
vertire ai salesiani che operano
nell'isola l'esigenza di. esprimere,
sia pure in modo informale, una lo-
ro rappresentanza sia a livello di
Chiesa locale che di Congregazione.
Oggi vorrebbero che questo coordi-
namento venisse ufficializzato per
poter creare un "progetto Madaga-
scar" capace di attuare il carisma sa-
lesiano nella sua globalità. Di tutto
ciò si è parlato all'ultimo Capitolo
generale e nei prossimi anni si do-
vrebbe arrivare a una definizione del
p roblema in termini, mi auguro, di
maggiore autonomia. Si tratta di tro-
vare una formula che consenta ai
missionari di inculturarsi totalmen-
te, spiritualmente e affettivamente
nel Madagascar senza per questo far
venire meno il legame affettivo con
le lspettorie, le quali potrebbero con-
tinuare a godere delle ricchezze spi-
rituali delle opere avviate grazie al
loro intervento. Ciò che è importan-
te, è stabilire un rapporto di solida-
rietà che si deve estendere dalle sin-
gole opere al complesso della presen-
za salesiana in tutto il Madagascar».
Giuseppe Costa

2.6 Page 16

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16 1 DICEMBRE 1990
REPORTAGE
MusE1
.. ..
COME.SEGNI DI CULTURA
E DI AMORE ALL'UOMO
Il «Museu
Dom Bosco»
di Campo Grande
nel Mato Grosso
e il «Museu do Indio»
di Manaus in
Amazzonia raccolgono
migliaia di «pezzi»
legati alla tradizione
e alla cultura indigena.
Li abbiamo visitati.
Per chi va in Brasile ed
in particolare nel Mato Grosso e in
Amazzonia è d'obbligo una tappa al
«Museu Dom Bosco» di Campo
Grande e al « Museu do Indio» di
Manaus. Del resto proprio in queste
regioni l'attenzione e la sensibilità
culturale di Salesiani e Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice si evince facilmente
dalle numerose istituzioni culturali
da loro dirette e fondate. Qui tra i
frutti dell'albero salesiano esistono
grandi scuole primarie e secondarie
ma anche istituti universitari. Ma
torniamo ai dfle musei. In una Gui-
da del Brasile («Coli. des Guides
Delta Flammarion », 1987) a propo-
sito di Campo O rande si legge: « Da
vedere il Museo Don Bosco (già Mu-
seo dell'Indio). Non se ne può tra-
scurare la visita; esso è quanto di più
interessante si possa vedere a Cam-
po Grande. Vi si trovano ecceziona-
li collezioni: dai pesci fossili rinvenuti
nella famosa regione di Chapada di
Araripe, una delle zone più ricche di
fossili esistenti nel mondo, alle stu-
pende conchiglie provenienti da ogni
remoto angolo della terra. Preziosa
la sezione etnologica dedicata alle tri-
bù indigene brasiliane... ».

2.7 Page 17

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- - - - -- -- --s/1-
1 DICEMBRE 1990 17
Questo Museo è nato nell'ottobre
del 1951 ed in esso sono confluiti gli
apporti scientifici di don Cesare Al-
bisetti, di don Antonio Colbacchini,
di don Angelo Ventureli, di don Fe-
lice Zavattaro e, di altri.
Ma il vero organizzatore e appas-
sionato animatore è da anni don Gio-
vanni Falco. «All'origine di questo
museo, mi dice quasi a giustificare
una scelta non da tutti condivisa, c'è
la necessità che la missione ha senti-
to di conservare la parte materiale
della cultura degli indi con i quali in
questo secolo i missionari sono ve-
nuti a contatto. Volere o non volere
infatti essa è destinata a perdersi sia
per la stessa evoluzione della civiltà
sia, più ancora, per la scomparsa de-
gli animali dai quali gli Indi prende-
vano la materia prima per i loro
ornamenti.
L'Albisetti, lavorando alla sua En-
ciclopedia, lavoro che è possibile ve-
dere, si è preoccupato di radunare e
conservare il primo nucleo di tutto
questo materiale che qui è cataloga-
to e studiato ».
« Due motivi, prosegue ancora
don Falco, hanno fatto sì che il Mu-
seo si sviluppasse anche verso altre
direzioni. Il primo è che attraverso
gli anni ci sono sempre nuovi mate-
riali e il secondo, ben più importan-
te, è la necessità di tenere aperto un
museo per il quale in quei tempi c'e-
ra pochissimo interesse».
Dal 1976 così si è pensato a diver-
sificare il museo aggiungendo alle
cinque sezioni esistenti altre due
sezioni.
Il museo oggi risulta sezionato in
sette spazi che riguardano I' archeo-
logia, la.paleontologia, la malacolo-
gia, l'entomologia, i vertebrati, la
mineralogia e l'etnologia.
L'area espositiva del museo è ve-
ramente notevole. Fra l'altro fanno
bella mostra di sé oltre mille esem-
plari di fauna brasiliana del Panta-
na! acquistati e qui esposti dal
FAPEC, una fondazione culturale.
Tutte sezioni queste ultime in grado
di stimolare la curiosità della gente.
E così il museo è oggi molto fre-
quentato».
In esso tutta la cultura Xavante e
Bororo ha uno spazio ben definito e
didatticamente efficace. Qui è anche
possibile consultare una buona biblio-
teca, una fototeca ed una filmoteca.

2.8 Page 18

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18 · 1 DICEMBRE 1990
I Strumenti musicali esposti al
Museo di Manaus
Certo don Falco è visibilmente
soddisfatto di come si è sviluppata la
sua «creatura» né gli si può dare tor-
to. Tuttavia non nasconde le sue dif-
ficoltà per il futuro del Museo
affidato esclusivamente alla sensibi-
lità di qualcuno. « Un museo di que-
sto tipo, mi dice, ha bisogno di
personale e di denaro . Senza questi
non è possibile fare mostre e rinno-
vare vetrine così come non è possi-
bile reperire altri materiali . «Vede
queste pietre appuntite: sono certa-
mente antichissime e sono punte di
frecce. Me le hanno proposte per
l'acquisto. Ma come si fa?».
Dal Mato Grosso all'Amazzonia.
Anche qui un museo salesiano.
È il« Museu do Indio» di Manaus.
Sito in rua Duque de Caxias è diret-
to dalle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Le guide lo indicano fra le cose di
Manaus da vedere. In realtà, anche
se un po' casareccio, mi si passi il ter-
mine, il Museo raccoglie in sei stan-
ze il meglio della cultura e della storia
delle Tribù dell'alto Rio Negro .
Il Museo è nato nel 1952. Nelle sei
sale è possibile conoscere come so-
no organizzate le tribù e come si
adornano, l'arte della ceramica, gli
usi e i costumi, la caccia e la pesca,
la musica, le danze, il lavoro missio-
nario . Veniamo così a conoscere che
le Missioni Salesiane dell'Alto Rio
Negro si estendono per 286.498 Km2
e che gli indigeni suddivisi in quat-
tro gruppi linguistici (Aruak, Tuka-
no, Macu, Yanomami) sono poco
meno di 25 mila.
Salesiani e Figlie di Maria Ausilia-
trice sono qui da 75 anni . Qui come
altrove è una presenza che punta a
salvare l'uomo. Questi due musei,
portati avanti con sacrificio e pazien-
za, ne sono soltanto un segno.
« Finché posso, mi aveva detto a
Campo Grande don Falco, raccolgo
materiale. Ricostruire la storia degli
indi è un atto di amore. Vede questa
cesta? È il pezzo più importante che
abbiamo della collezione bororo . Si
tratta di una urna funeraria i cui pez-
zi decomposti, nelle varie parti, so-
no esposti attorno. Questi· sono gli
ornamenti del defunto. lo ho trova-
to quel che c'era prima di questo : in-
vece della cesta che veniva depositata
in una grotta o sull'acqua, ho trova-
to una urna di terracotta che veniva
messa in mezzo al villaggio . C'è sta-
ta nella tribù una evoluzione.. . ».
G.C.

2.9 Page 19

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- -- - - - - - - - - ~ -
OBIETTIVO BS
1 DICEMBRE 1990 , 19
A CASA NAZARETH
C'È UN PO!!TO PER
LA SPERAnZA
I Don Ninò Scucces
animatore e responsabile
della comunità
Una comunità per uscire
dal tunnel. A colloquio
con chi ci vive dentro.
Una presenza sempre
più impegnativa e
coinvolgente per l'intera
Famiglia Salesiana.
È una strada piena di
curve, in salita, quella che porta a
Casa Nazareth. Poi, quando oltre-
passi quel cancello verde-speranza
per accedere alla Villa Fiandaca, ti
sembra di arrivare in paradiso.
Un'immensa distesa di verde che non
riesci a raccogliere con uno sguardo.
I suoni della natura a fare dà colon-
òa sonora. Un profumo di cose vere

2.10 Page 20

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che ti inebria. E sullo sfondo si erge
l'Etna, severo, borbottante.
Casa Nazareth è la comunità gio-
vanile salesiana d'accoglienza per il
recupero di tossicodipendenti. Una
realtà fortemente voluta da don Ni-
nì Scucces e da un gruppo ristretto
di collaboratori. Un progetto che ap-
pariva difficilissimo da realizzare,
ma che la provvidenza ha spinto al
momento giusto.
È da circa 18 anni che Scucces si
occupa del recupero di tossicodipen-
denze, ma troppo spesso, privo di
strutture, vedeva disperso il suo la-
voro. Poi nel novembre dell'87 i
Salesiani di Sicilia ricevono in do-
nazione una delle più belle ville di
S. Giorgio-Librino, una zona a sud
di Catania. È il segno e don Ninì, con
i confratelli don Alfredo Alessi e don
Angelo Grasso danno il via alla co-
munità.
La donatrice Clara De Stefani, in
p·unto di morte, ha la possibilità di
vedere l'opera già avviata ed espri-
me la sua felicità: « Quella comu-
nità e quei ragazzi - confida ai
suoi cari - mi hanno fatto ritro-
vare la fiducia nell'umanità. Mi han-
no fatto capire che c'è della bontà
nell'uomo e che può trionfare sul
male».
Meno di un anno dopo, siamo nel-
l'agosto '88, c'è una nuova svolta sul
cammino di Casa Nazareth. Un'al-
tra donazione ai Salesiani da parte
del Barone Fiandaca che, con stupo-
re dei parenti, lascia la sua villa di
Viagrande, con oltre 10 ettari di ter-
reno, alla famiglia di Don Bosco. E
dire che il barone non è che fosse
proprio un esempio da seguire per i
giovani. Ma nei suoi ultimi anni di
vita si era avvicinato ad alcuni Sale-
siani e nella sua libreria hanno ritro-
vato un libro su Don Bosco. Se non
è provvidenza questa...
E così sono passati due anni e
quella villa un po' decadente, con
tanto terreno incolto è diventato un
posto accogliente con circa 5 ettari
già coltivati e che danno frutto. So-
no più di 20 i giovani tossicodipen-
denti che vivono in comunità. Una
vita assai dura per chi aveva cancel-
lato ogni valore ed il cui unico sco-
po era procurarsi la roba. Ma la
speranza di tornare ad essere soggetti
attivi nella società è fondata·. Anche
se la strada è sempre in salita e pie-
na di curve pericolose, proprio come
quella che porta a Casa Nazareth.
« Non è facile entrare - ci spiega
g.a. di Modica, una ragazza da 5 me-
si in comunità - ed ancora di più re-
stare qui . Non è un problema di
astinenza, quello lo superi in breve
tempo, perché l'eroina ti crea una di-
pendenza psicologica più che fisica .
Diventa molto più diffiçile accettare
i valori che la comunità ti propone.
Questi stessi valori che noi avevamo
calpestato. Io, ad esempio, dopo
qualche settimana non ce l'ho fatta
e sono scappata. Poi è venuto don
Ninì ed ho parlato a lungo con lui.
Allora ho capito che ero scappata
perché non avevo accettato le regole
dello stare insieme. Adesso il rispet-
to per gli altri, il rendersi utile per il
gruppo, sono ritornate a far parte
della mia vita, del mio essere. So be-
nissimo che ancora la strada è lun-
ghissima per una riabilitazione
completa. Però adesso ho posto le
basi per uscire dalla droga».
Il perché del nome Casa Nazareth
ce lo spiega proprio don Scucces:
« Nazareth era un punto di incontro.
Ma anche una casa povera, nella
quale si accoglieva tutti con sempli-
cità e con grande amore. Tutte carat-
teristiche che si possono calare nella
nostra realtà».
Una realtà dura, un progetto ar-
duo, che si scontra con mille difficol-
tà. Nei tre anni di attività sono stati
contattati circa 100 tossicod°ipenden-
ti, di questi la metà sono entrati in
comunità, ma in tanti non ce l'han-
no fatta.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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- -- - - -- - - -- s/1-
«Questo non ci scoraggia - affer-
ma con la grande serenità d'animo
che lo contraddistingue don Ninì -.
Anche perché se riuscissi a salvare un
solo ragazzo dalla droga, cioè alla
morte sicura, avrei dato un senso al-
la mia vita ».
Ed i primi frutti del lavoro sono
già'maturati. È il caso di d.c., 22 an-
ni, di Gela. È stato uno dei primi ad
ALCUNI INDIRIZZI
PER TOSSICODIPENDENTI
Centro Italiano di Solidarietà
Via Chiesa di Salviano, IO - Livorno (te!. 0586/851272)
Comunità dei Giovani
Via Moschini, 3 - Verona (te!. 045/918168)
Associazione Piccola Comunità
Via P. Molmenti, 8 - Conegliano (Treviso) (te!. 0438/32179)
Associazione Comunità Giovanile
Via Ortigara 131 - Conegliano (Treviso) (te!. 0438/6492_7/60025)
Comunità Giovanile La Viarte
Via Zompicco, 42 - S. Maria di Longa (Udine) (te!. 0432/995050)
Soggiorno Proposta
Contrata Villamagna, 4 - Ortona (Chieti)
Comunità della strada di Emmaus
Località Torre Guiducci/Strada statale per Manfredonia (Foggia)
Indirizzo Postale: Piazza S. Cuore 1 - Foggia (te!. 0881/28598)
Villa Fiandaca/Grassi
Via Garibaldi, 453 - 95020 Lavinaio Viagrande (CT) (te!. 095/833297)
Villa Russo/De Stefani
Stradale S. Giorgio, 29 - 95121 Catania (te!. 095/205457)
1 DICEMBRE 1990 21
entrare in comunità a Viagrande e da
qualche mese è .tornato in famiglia,
sta trovando lavoro, insomma in una
parola è tornato a vivere.
« Sono perfettamente cosciente -
ammette senza retorica d.c. - di es-
sere un vaso incollato, non certo in-
tero. Basta un urto un po' più forte
e posso rompermi di nuovo. Ma que-
sta consapevolezza è anche la mia
forza. Quando posso torno sempre
in comunità, che è l'unica via d'usci-
ta per i tossicodipendenti. Stare con
gli stessi ragazzi con cui ho condivi-
so tutto per tanto tempo mi ritempra
e dà loro più speranza, perché san-
no che io sono uscito e vedono pjù
vicino il traguardo».
D.c. ha iniziato a fumare spinelli
a scuola, aveva 14 anni, quasi per
gioco . Dallo spinello all'eroina il pas-
so è breve: «Più volte ho provato a
venirne fuori. Ma l' incapacità delle
strutture pubbliche è assurda. Sono
capaci soltanto di darti degli psico-
farmaci , che sono più pesanti e crea-
no più assuefazione della stessa
eroina. Poi, tramite i salesiani, ho
scoperto la strada della comunità e
questo mi ha fatto ritrovare la volon-
tà, elemento determinante per venir-
ne fuori. li fatto è che non ci si rende
conto di quanto sia enorme il proble-
ma. Oggi, per certi versi, tutti siamo
drogati . Non solo dagli stupefacen-
ti, ma dal fumo, dall'alcol dalla te-
levisione. Come dite da tutto cio che
crea vuoto nel cervello, che elimina
i valori, che toglie volontà. In que-
ste particolari sacche è più semplice
per gli spacciatori trovare nuovi
clienti, rovinare nuove vite. Al di là
delle comunità, unico rimedio per ve- -
nirne fuori, bisogna lavorare parec-
chio a livello di prevenzione. Occorre
migliorare la qualità della vita >>.
Si inserisce la mamma di d.c., du-
ramente provata dall'esperienza del
figlio: « Confesso che, fin quando il
problema non mi ha toccato diretta-
mente, credevo che la droga fosse un
fatto lontano anni luce dalla mia fa-
miglia. Adesso sono consapevole che
si tratta di una sorta di epidemia e
cerco di sensibilizzare altre madri.
Perché siano sempre molto viglli ».
Il problema della prevenzione è as-
sai sentito, e nel progetto di Casa
Nazareth riveste una particolare im-
portan za .
« Per dare un duro colpo ai mer-

3.2 Page 22

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22 · 1 DICEMBRE 1990
canti di morte che spacciano droga
- afferma don Scucces - occorre
diminuire drasticamente la doman-
da. Per far questo bisogna migliora-
re la qualità della vita. Le due cose,
pur se apparentemente lontane fra
loro, sono in stretto rapporto» .
E così gli stessi tossicodipendenti
di Casa Nazareth vanno in giro per
le scuole· della Sicilia, contattando
migliaia di giovani, portando la pro-
pria triste esperienza senza falsi
pudori.
« A volte - ci confessa e.p., 32
anni, di Torino - è demoralizzante
la maniera in cui ti ascoltano questi
studenti. Magari fumano già lo spi-
nello e pensano che l'eroina sia una
cosa che non.li riguardi. Invece è il
passo successivo inevitabile, se non
c'è un freno. Comunque questo ti-
po di propaganda è utilissima per co-
minciare a creare una coscienza.
lnoltre·consente a noi della comuni-
tà di sentirci di nuovo utili nella so-
cietà, tornando a rivestire un ruolo
attivo. Per la maggior parte di noi le
ultime esperienze si chiamano, car-
cere, piccolo spaccio, e disavventu-
re del genere. E quando la volontà
torna a far parte della propria vita,
ti rendi conto come diventino delle
cose non solo da non ripetere, ma da
evitare - se possibile - ad altri
giovani».
E .p. è uno dei più anziani, presto
tornerà al suo posto di lavoro stata-
le, ma il suo legame con Casa Naza-
reth è ormai inscindibile: « Quasi un
cordone ombelicale. So che nei mo-
menti di difficoltà, e ce ne saranno,
potrò contare sull'aiuto di amici ve-
ri, con i quali ho condiviso tutto. Di-
te che può diventare questa un'altra
forma di dipendenza? Beh, allora
sinceramente preferisco questa...
droga comunitaria, che mi ha ripor-
tato alla vita» .
Il più anziano di tutti è g.l., 22 an-
ni, di Catania, da circa due anni in
comunità, una parte del period9 gli
è servita per scontare una pena de-
tentiva, adesso si occupa a far da gui-
da ai ragazzi arrivati da poco in
comunità: « I primi periodi - ricor-
da - sono sempre i più duri. Per chi
arriva diventa rassicurante aver vici-
no uno come lui che lo aiuta e gli te-
stimonia la possibilità concreta di
intraprendere una via d'uscita ».
· G.l. è anche un po' il leader del
complesso pop-jazz messo su dai 5
più appassionati di musica: «Abbia-
mo già fatto anche qualche appari-
zione in pubblico, ci chiamiamo
Bee-eaters. Lett~ralmente mangiatori
di api, tradotto in dialetto siciliano
diventa un modo per prendersi qua-
si in giro» .
E nell'estate scorsa per i raga~zi di
Casa Nazareth c'è stata anche una vi-
sita particolarmente gradita, quella
del cantautore Franco Battiato, che
ha casa proprio sulle pendici dell'Et-
na, a pochi chilometri da Villa
Fiandaca.
« È stato un incontro eccezionale
- ricorda m .s. 24 anni, di Messina,
il tastierista del gruppo-. Sono sta-
to io ad invitare Battiato perché so-
no un suo grande estimatore. Ed
oltre al lato musicale ci ha offerto
una testimonianza di semplicità d'a-
nimo notevole. Non era di certo alla
ricerca di pubblicità. Anzi sia noi che
lui andiamo orgogliosi del fatto che
non c'è nessuna foto di quell'incon-
tro, che resta soltanto nostro».
M.s. è l'esperto della comunità in
apicultura. Quando, circa un anno
fa, arrivò a Casa Nazareth, non ave-
va nessuna esperienza di lavoro. Con
l'aiuto di qualche apicultore della zo-
na ha acquisito un minimo d'espe-
rienza ed oggi ha creato una pro-
duzione di miele e pappa reale al-
l'avanguardia: « Il nostro miele - ci
spiega con giustificato orgoglio - è
di ottima qualità, Qui tutta la nostra
attività è biologica, cioè non faccia-
mo nessun uso di additivi chimici.
Una scelta di fondo importante, che
oggi non ci permette di essere com-
petitivi su un mercato nel quale ven-
gono immesse grandi quantità di
prodotti a costi minori, perché è più
comodo e redditizio usare i fertiliz-
zanti. Per le api in particolare diven-
ta fondamentale il periodo in cui
sciamano, perché se lo fanno quan-
do sulle piante viene spruzzato il fer-
tilizzante sicuramente il loro miele
non sarà poi buono».
M.s. sta approfondendo le sue
competenze con studi particolari che

3.3 Page 23

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- - - - - - - ----#-
lo stanno portando a compiere degli
esperimenti unici in Sicilia: « Questo
- conclude - sta diventando il mio
lavoro, e spero che lo sia anche in fu-
turo . Il problema diventa grosso però
quando bisogna far quadrare i conti.
Il nostro miele è ottimo, ma attual-
mente ha dei costi troppo alti rispet-
to ad un mercato senza scrupoli.
Dovremo riuscire a salvaguardare la
qualità biologica del prodotto, por-
tandolo anche a prezzi competitivi».
Oggi Casa Nazareth è anche una
cooperativa agricola, che produce fra
l'altro pomodori, melanzane, pepe-
versi cani, il gatto Silvestro ed una
cavalla, che serve anche per l'equi-
tazione. Una cooperativa in grado di
produrre parecchi prodotti, che per
adesso servono per il sostentamento
diretto della comunità stessa, e che
un domani si spera possano creare
nuove entrate, per far diventare del
tutto autosufficiente una struttura
che ha tante spese.
«Ultimamente - ci dice a.p., 23
anni, di Seregno, da 4 mesi in comu-
nità - siamo riusciti anche a far del
formaggio col latte delle nostre muc-
che. Questo approccio diretto con la
1 DICEMBRE 1990 23
che mi occorreva per bucarmi.
Un'organizzazione in grande stile che
stronca un sacco di vite».
Quello del lavoro agricolo e arti-
gianale è diventato un motivo d'or-
goglio di tutta la comunità: «Diversi
artigiani da noi contattati - sottoli-
nea don Ninì - si sono offerti gra-
tuitamente per insegnare il mestiere
ai nostri ragazzi. Ecco che così oggi
la comunità è accettata dalla realtà
che la circonda, e ne diventa parte
attiva».
Insomma chi si è convinto che una
comunità per tossicodipendenti sia
roni, frutta e verdure varie. Inoltre
viene curato l'allevamento di vacche
da latte, maiali, galline, conigli e del-
la_compagnia fanno parte anche di-
natura aiuta molto a disintossicarci.
Quanto mi sembrano lontane ades-
so le notti al parco di Zurigo, dove
sulle panchine trovavo tutto quello
una sorta di ghetto o di clinica alla
buona ha proprio sbagliato strada.
Casa Nazareth ed i suoi 13 centri di
prima accoglienza sparsi in tutta la
Sicilia, sono una sfida per chi non
vuol vedere e capire. Un inno alla vi-
ta il nome di Don Bosco. Perché, co-
me i ragazzi della comunità hanno
scritto nel loro salone: «Chi non ha
capito una sconfitta, significa che ne
merita un'altra».
Maurizio Nicita

3.4 Page 24

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24 I DICEMBRE 1990
OBIETTIVO BS
Roma
SONO UNA ANZIANA SOLA.
LA PARROCCHIA IN ASCOLTO
DELLE NUOVE
E VECCHIE POVERTÀ
Quali sono i bisogni di una grande
parrocchia metropolitana?
Presentiamo l'organizzazione caritativa della
parrocchia San Giovanni Bosco di Roma.
È la parrocchia più
grande di Roma. Con le sue 70.000
anime l'ampia cupola della chiesa di
S. Giovanni Bosco proietta la sua at-
tività nel raggio di un chilometro, al
centro di uno dei quartieri più popo-
losi delle nuove periferie romane.
Una « maxi parrocchia» tutta sale-
siana, che si propone di essere il cuo-
re pulsante di una realtà territoriale
vasta e problematica, spesso segna-
ta dalie vecchie e nuove povertà che
caratterizzano la vita quotidiana del
nostro tempo.

3.5 Page 25

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- - - - - -- ----#-
Il parroco del "Don Bosco»
con la Signora Defendini,
responsabile della
Caritas parrocchiale
« Ah sì, qui si lavora parecchio -
dice sorridendo don Luciano Panfilo,
che è parroco qui da sette anni. -
Comincio a ricevere gente alle 8 di
mattina.e vado avanti fino a mezzo-
giorno e poi così per il pomeriggio,
fino alle sette di sera, quando è la
volta degli incontri con i gruppi gio-
vanili ... Il lavoro che si fa in parroc-
chia è un po' la fotografia dei
fermenti e dei problemi che attraver-
sano, spesso silenziosamene, la real-
tà di questo quartiere. Veniamo a
con0scenza di tante situazioni diffi-
cili, di drammi che spesso si consu-
mano nella solitudine di un
appartamento, senza che nemmeno
i vicini di casa sappiano nulla. Per-
ciò il nostro impegno più sentito è
quello di sensibilizzare la comunità
cristiana, perché sia attenta e pron-
ta ad accogliere le situazioni di disa-
gio, di emarginazione, di difficoltà
che si nascondono tra le pieghe del
quotidiano».
1 DICEMBRE 1990 25
A mantenere il contatto con i pro-
blemi della gente, tessendo una fitta
trama di amicizia e di solidarietà,
provvede in particolare il Centro di
ascolto Caritas. Una specie di «an-
tenna» che raccoglie voci, storie e
problemi di anziani, giovani, porta-
tori di handicap, famiglie in crisi cer-
cando attraverso il lavoro di vari
gruppi di volontari di dare risposte
e testimonianze concrete.
« In questa parrocchia c'erano già
molte realtà di servizio e vari gruppi
di volontariato impegnati nell'opera
di assistenza - spiega Vanda Defen-
dini, 55 anni, responsabile e anima-
trice del Centro ascolto. - Dal 1985
però la presenza della Caritas ha per-
messo di coordinare e di ampliare ·
tutte le attività già esistenti, metten-
do meglio a fuoco alcuni campi di in-
tervento più urgenti».
Ricordando i primi tempi della sua
presenza in parrocchia, Vanda De-
fendini racconta con commozione
l'episodio che l'ha spinta a dedicarsi
al servizio degli altri ed in particola-
re degli anziani.
«Fu in occasione dell'anniversario
dei miei venticinque annr di nozze.
Durante la messa celebrata da don
Luciano e da mons. Di Liegro, pre-
gavo perché il Signore mi facesse ca-
pire in quale modo potevo essere
utile nel servizio agli altri. Durante
l'omelia, ad un certo punto ci fu
qualcuno alle nostre spalle che si sen-
tì male. Era una donna anziana. La
funzione fu interrotta per soccorrerla
ed io capii che quello era forse un se-
gno che mi indicava la strada da per-
correre».
Poco dopo infatti è iniziato il suo
impegno in parrocchia. Impegno che
ha continuato a mantenere anche do-
po la malattia del marito, l'on. Can-
nucciari, ex vice sindaco di Roma, e
poi dopo la sua morte, avvenuta cir-
ca un anno fa. Oltre al coordinamen-
to delle attività del Centro Caritas,
Vanda Defendini si dedica con par-
ticolare attenzione ai problemi degli
anziani. « Che sono tanti in questo
quartiere - dice -. Vede, 35 anni
fa, quando sorgevano i primi grandi
palazzi, qui c'erano tantissime cop-
pie giovani con bambini. Oggi sono
invecchiate, i figli sono andati ad abi-
tare altrove con le loro famiglie e nel-
la popolazione del qUartiere il rap-
porto tra giovani ed anziani è oggi di
100/48. Infatti da un paio di anni la
richiesta che ci sentiamo rivolgere più
spesso è quella di dare compagnia ad
un anziano solo».
Così la parrocchia ha cercato di
dare più spazio ai problemi della ter-
za età, potenziando le iniziative del
Circolo ricreativo (dove tutti i gior-
ni gruppi di pensionati si incontra-
no per stare insieme) e della Stanza
della terza età, punto di incontro di
un nutrito gruppetto di signore che
si riuniscono, parlano, ma soprattut-
to riscoprono insieme il piacere di
dare sfogo alla loro creatività ese-
guendo lavori artigianali (venduti in
occasione di una mostra-mercato il
cui ricavato va a beneficio della Ca-
ritas diocesana).
Ci sono però, anche anziani che
non sono in condizioni di potersi
muovere dalla loro abitazione. Per
loro è stato costituito il Gruppo vi-
site formato da 40 volontari circa,
che si alternano nell'opera di assi-
stenza.
« Ognuno di noi - spiega ancora
la responsabile Caritas - si prende
cura di un anziano o di un ammala-
to, stabilendo un legame di amicizia
e di solidarietà che possa far sentire
alla persona in difficoltà che ha vi-
cino qualcuno su cui può veramente
contare. Di cosa hanno più bisogno
gli anziani? Di compagnia, di affet-

3.6 Page 26

▲back to top
26 1 DICEMBRE 1990
to, di piccoli gesti. In una parola, di
vita». E racconta sorridendo della
« sua» Matilde, urta signora di 80 an-
ni che segue con affetto da tempo.
« Ormai siamo diventate amiche.
Quando vado a trovarla mi·prepara
il caffè. A volte usciamo a fare una
passeggiàta, la prossima settimana
devo accompagnarla a fare la carta
di identità» .
Ma la realtà degli anziani non è
che uno dei molti campi di iniziative
che fanno capo al Centro ascolto.
Ogni anno, infatti, vengono compi-
late circa 400 schede con nuovi casi
e richieste di varia natura. Il primo
colloquio con la persona in difficol-
tà («ma spesso dietro le prime paro-
le si nascondono dei veri e propri
drammi») serve a valutare la natura
dei problemi da affrontare: se c'è bi-
sogno di vestiario si può chiedere
aiuto all'Armadio della solidarietà
(di cui è responsabile la signora Mi-
rella Ceccatelli sempre impegnata
nella selezione, raccolta e riordino di
tutti i capi portati dai parrocchiani).
Ai bisogni di tipo alimentare prov-
vede invece il gruppo dei volontari
della S. Vincenzo, con lo spirito pro-
prio di chi opera all'interno di que-
sta antica associazione. Ma, mentre
negli ultimi tempi le richieste di tipo
materiale sembrano essere diminui-
te (anche grazie all'intervento dei ser-
vizi sociali con cui il Centro ascolto
spesso collabora), nuove forme di
povertà e di disagio emergono sem-
pre più frequentemente dai casi.che
approdano al Centro Caritas. Spes-
so si tratta di problemi delicati, le-
gati alla crisi della famiglia o della
vita di coppia: in questo caso la ri-
chiesta di aiuto viene indirizzata al
Consultorio familiare S. Domenico
Savio dove una equipe di medici e
specialisti dell'Ordine di Malta offre
consulenza familiare, pediatrica, gi-
necologica e psicologica. La presen-
za del patronato ACL/ è legata
invece alla soluzione di problemi le-
gali e fiscali (pensioni, pratiche, ecc.)
ma negli ultimi mesi ha svolto anche
un servizio particolare per gli stranie-
ri che dovevano regolarizzare la lo-
ro posizione giuridica in base alla
nuova normativa italiana sulla immi-
grazione.
Nel panorama dei gruppi attivi in
ambito parrocchiale, non va dimen-
ticato quello formato dai giovani di
Foto LDC
Fede e Luce, che da quattro anni si
occupano di aiutare i portatori di
handicap. Anche se tra mille difficol-
tà, dovute soprattutto alla mancan-
za di strutture di appoggio e di
assistenza, i volontari svolgono il lo-
ro delicato compito, preoccupando-
si molto anche delle famiglie, delle
mamme, dei papà dei fratelli che
spesso si sentono isolati e bisognosi
di sostegno. Essi li incontrano dap-
pertutto: in strada o in un negozio,
c'è sempre qualcuno che ci ferma per
sapere qualcosa, per parlare dei suoi
problemi. La parrocchia vive anche
tra la gente in un quartiere che di sa-
lesiano ha innanzitutto il nome».
E infatti don Luciano è solito ri-
petere spesso che « la chiesa comin-
cia dal sagrato in poi» e perciò deve
scendere nel territorio, affondare le
sue radici nella realtà di ogni giorno,
incarnarsi nei problemi e nelle spe-
ranze di tutti e di ognuno. « I cristiani
che vengono a messa devono sapere
che la loro conversione si misura sul
terreno della testimonianza e della
solidarietà verso queste situazioni di
disagio, di emarginazione, di diffi-
coltà. Come risponde la gente? Bi-
sogna continuamente stimolarla
perché si possa fare un passo avan-
ti. Il progetto che ci proponiamo di
realizzare quest'anno è quello di riu-
scire ad individuare una persona per
ogni palazzo, isolato, o scala, che
possa fare da tramite tra molte real-
tà sommerse e la parrocchia».
Parrocchia che pure non è, come
sottolinea una volontaria, né una
USL, né un servizio di segretariato
sociale ma una realtà ben più vasta
che attraverso una precisa pastorale
del territorio svolge un servizio alla
comunità tutta. Don Luciano ripren-
de il colloquio dopo aver salutato
una coppia di giovani fidanzati. « Es-
sendo così grande la parrocchia, il
ministero 6rdinari9, le messe, le con-
fessioni, i consensi matrimoniali, ci
prendono tantissimo tempo . Siamo
un buon gruppo di sacerdoti, pieni
di buona volontà, ma non arriviamo
a tutto.
Le messe sono molto frequentate
e devo dire che in questo ambito c'è
desiderio di partecipare, soprattutto
tra i volontari delle varie associazio-
ni dalla S. Vin.cenzo ai Cooperatori
salesiani. Da un paio di anni abbia-
mo ripreso a portare la benedizione
alle famiglie nella prima settimana
dopo Pasqua. Un lavoro, ·mi creda,
enorme. Siamo riusciti a realizzarlo
con l'aiuto di ima cinquantina di gio-
vani sacerdoti studenti all'Universi-
tà Salesiana una parrocchia che
cresce, che matura alla ricerca di
strade nuove per uscire dal suo peri-
metro e scendere dove cammina, do-
ve vive l'uomo. È l'idea di «uscire
dal sagrato» per ascoltare e farsi
ascoltare dalla gente che ha fatto na-
scere l'iniziativa delle« messe nei cor-
tili» celebrate durante il mese di
maggio all ' ombra dei giganti di ce-
mento che svettano in questo ango-
lo di periferia. «I cortili qui sono
come dei paesi - sorride don Lucia-
no - ce ne sono alcuni su cui si af-
facciano 250-300 famiglie. Molti
vengono a partecipare alle nostre
messe, altri li vedi affacciati alle fi-
nestre che, con l'aria un po' distrat-
ta, guardano giù. Ma è molto bello:
è una occasione che crea movimen-
to tra la gente, anche per preparare
la processione di Maria Ausiliatrice,
per coinvolgere un po' tutti. Per con-
vincere i cristiani che la parrocchia ·
del duemila è un segno dinamico,
uno stimolo a muoversi insieme».
Miela Fagiolo d'Attilia

3.7 Page 27

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PROTAGONISTI
1 DICEMBRE 1990 , 27
EssERE vEscovo A TIMOR
UN'ISOLA
IN CERCA
DI FUTURO
Mons. Belo, salesiano,
ha denunciato
all'ONU le sofferenze
dei timorensi, che
rischiano « di morire
come popolo e come
Nazione». Lo stato
d'incertezza si protrae
dal 1975, con
l'occupazione
indonesiana.
È diventato vescovo gio-
vanissimo, a soli 35 anni, un caso
raro, almeno nella nostra epoca. Per
di più ha assunto, come amministra-
tore apostolico della Santa Sede, l'in-
carico, delicatissimo, di guidare la
Diocesi di Diii, capoluogo di Timor
Orientale. «Be', col tempo ho impa-
rato ... » sorride mons. Carlos Felipe
Ximenes Belo, salesiano, primo ve-
scovo nato e vissuto nell'isola. Inca-
rico delicatissimo, abbiamo detto. E
c'è motivo . Timor è una grande iso-
la nell'arcipelago indonesiano. Men-
tre là parte ocddentale è entrata, nel
1945, a far parte della Repubblica di
Indonesia, la parte orientale - gran-
de all'incirca quanto la Puglia, con
720 mila abitanti - è rimasta sotto
il dominio colonialè portoghese fino
al 1975. Nel novembre di quello stes-
so anno, Timor Est dichiarò la pro-
pria indipendenza, ottenendo il
riconoscimento di una dozzina di
Stati. Ma il mese successivo le trup-
pe indonesiane invasero il territorio
e pochi mesi.più tardi il Parlamento
di Giakarta proclamò l'annessione.
L'occupazione militare, cui le forze
politiche timorensi hanno risposto
con la guerriglia, ha causato molte
sofferenze alla popolazione. Da più
parti - Amnesty lnternational in te-
sta - si è parlato di «genocidio», a
causa dei massacri compiuti. Insom-
ma, un'isola tormentata.
1Ìmor e l'ONU
Qual è oggi la situazione? « Stia-
mo vivendo tuttora le conseguenze
dell'occupazione indonesiana - ri-

3.8 Page 28

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28 · 1 DICEMBRE 1990
sponde mons. Belo in buon italiano
solo velato da un leggero accento
esotico . - Il problema di Timor
resta insoluto . È sul tavolo delle
Nazioni Unite fin dall'epoca dell'in-
vasione, ma pare che non. si sappia,
o non si voglia, trovare una soluzio-
ne pacifica. Così rimaniamo nell'in-
certezza. Il popolo vuole essere li-
bero, vuole conservare la propria
identità, ma ciò è reso difficile dal
fatto che Timor è oggi, sotto l'aspet-
to amministrativo, una provincia in-
donesiana e si trova a dipendere
dall'Indonesia per quanto riguarda
l'istruzione, l'orientamento ideologi-
co, ecc . ». Mons. Belo ha scritto
chiaro e tondo al Segretario delle Na-
zioni Unite: « Rischiamo di morire
come popolo e come Nazione ». E ha
chiesto all'ONU - che non ha mai
riconosciuto l' annessione - di indi-
re un referendum per consentire al
popolo di esercitare il diritto all'au-
todeterminazione.
Al Palazzo di vetro si fanno orec-
chie da mercante e si trova sempre il
modo di rinviare di sessione in ses-
sione il dibattito sul futuro di Timor.
Evidentemente sono in campo altri
interessi, economici e politici. Il ri-
sultato è che nell'isola si continua a
vivere nell'instabilità, per non dire
nella conflittualità fra i vari gruppi .
La stessa visita di Giovanni Paolo Il,
nel 1989, è stata oggetto di tentativi
di strumentalizzazione tesi a sovver-
tirne la natura eminentemente pasto-
1 11 direttore del Bollettino
Salesiano a colloquio con
monsignor Belo
raie. «Per noi, invece - dice mons.
Belo - quel viaggio è stato -una gra-
zia di Dio, perché tutti, dopo quel-
l'avvenimento, abbiamo cercato di
vivere meglio il messaggio che il Pa-
pa ci ha lasciato e che parla di ricon-
ciliazione, di amor~, di tolleranza. E
anche, naturalmente, di rispetto dei
diritti umani».
Molte conversioni
A Timor i cattolici sono 1'80 per
cento della popolazione, cioè la stra-
grande maggioranza. Un fatto ano-
malo, almeno in uno Stato come
l'Indonesia, che è il più grande Pae-
se musulmano del mondo. La pre-
senza dei portoghesi, protrattasi per
oltre 40 anni, ha radicato nella gen-
te di Timor la tradizione cattolica.
Ma la gran massa delle conversioni
si è avuta in tempi recenti. Questo
aspetto costituisce una delle prime
preoccupazioni di mons. Belo. «Al-
l' epoca della colonizzazione, i catto-
lici erano poco più di centomila, oggi

3.9 Page 29

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1 DICEMBRE 1990 , 29
sono 650 mila. Sono molti, però,
quelli che vivono la fede in modo su-
perficiale. Di qui l'esigenza di un ap-
profondimento della fede». La
seconda preoccupazione del vescovo
riguarda l'evangelizzazione dei nu-
merosissimi giovani di Timor, che
rivelano carenze a livello di istruzio-
ne religiosa. E poi c'è il problema
delle vocazioni. « Oggi - dice mons.
Belo - siamo ancora pochi, solo 62
sacerdoti per oltre 600 mila cattoli-
ci» . Di essi 27 sono sacerdoti dioce-
sani, gli altri sono religiosi appar-
tenenti a varie Congregazioni, inclu-
sa quella salesiana. Sono presenti an-
che 98 suore.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice si
dedicano alla gioventù, gestiscono
l' orfanotrofio e altre iniziative socia-
Ii». Infine, - aggiunge il Vescovo -
ma non è l'ultimo dei problemi, bi-
sogna operare per la pace, la giusti-
zia e la riconciliazione. Quanto a me,
cerco di fare il possibile per restare
fedele al mio impegno di rendere un
servizio al popolo di Dio nel suo in-
sieme, ai laici, ai sacerdoti, ai religio-
si. Svolto un intenso programma di
visite pastorali alle -parrocchie, alle
missioni. Ricevo di continuo perso-
ne che si rivolgono al vescovo con
rispetto e confidenza per risolvere i
loro problemi, spesso frutto della
grande povertà, per cercare confor-
to alle loro sofferenze ».
Qual è il rapporto con le altre re-
ligioni?« Oltre ai musulmani, che in
Indonesia sono oltre il 90 per cento,
ci sono protestanti, buddisti, indui-
sti e anche animisti. Lo Stato esorta
i capi religiosi alla reciproca tolleran-
za, alla concordia. Noi ci muoviamo
in questa direzione, ma non sempre
c' è, negli altri, un analogo atteggia-
mento. In alcune isole indonesiane ai
cattolici non è facile ottenere di edi-
ficare una chiesa ».
Mons . Belo ha concluso questa
conversazione chiedendo di rivolgersi
direttamente ai lettori del « Bolletti-
no Salesiano». « Vorrei mandare lo-
ro un appello perché nelle preghiere
si ricordino di noi, che ci troviamo
in una situazine difficile, che siamo
una Chiesa che vive isolata. Abbia-
mo bisogno di solidarietà per offri-
re un aiuto a tanti giovani e a tanti
poveri ».
G.C.

3.10 Page 30

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30 • 1 DICEMBRE 1990
PROTAGONISTI
SALESIANITA
E ARCHITETIURA
UNA FELICE
COMBINAZIONE
L'ha realizzata
don Vincenzo Gorgone
autore di numerose
opere nei settori
religioso ed educativo
- La svolta impressa
ali'architettura sacra
dalla riforma liturgica.
In don Vincenzo Gorgo-
ne, 55 anni, palermitano, la salesia-
nità si è sposata con !''architettura.
Una combinazione f~lice, se solo si
guarda alle numerose opere che l'ar-
chitetto don Gorgone ha realizzato
nel settore religioso ed educativo:
chiese, palestr'e e laboratori per isti-
tuti salesiani, cappelle, luoghi di in-
contro per i giovani. Un modello
architettonico, il suo, che guarda al-
l'oggi e al futuro per rispondere alle
esigenze attuali del culto, in stretta
adesione alle linee ispiratrici della ri-
forma liturgica,_e del mondo giova-
nile, di cui è attento e sensibile os-
servatore .
La passione per le belle arti, in
particolare per la pittura, don Vin-
cenzo l'ha sentita nascere in sé fin da
ragazzo e ha continuato a coltivarla
anche quando ha scelto di diventare

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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- -- - -- - -- --s/1-
1 DICEMBRE 1990 , 31
Spazi per i giovani
sacerdote salesiano. Se he accorsero
anche i Superiori, tanto da spinger-
lo a diplomarsi presso l'Accademia
di Belle Arti di Palermo prima anco-
ra dell'ordinazione sacerdotale. Ri-
tenevano, con il .consueto senso
pratico, che, oltre a dipihgere, avreb-
be potuto insegnare disegno e storia
dell'arte nei licei salesiani. Poi, va-
lutando le doti dimostrate da don
Vincenzo, ci ripensaroho, convinti
I
I L'architetto
don Vincenzo Gorgone
ed alcune sue opere
che un architetto avrebbe servito la
Congregazione meglio di un pur va-
lente pittore. Così, dopo essere di-
ventato sacerdote, don Gorgone
frequentò il corso di architettura
presso l'Ateneo palermitano .
E come nella prima fase aveva
stretto rapporti con i più quotati ar-
tisti, da quelli della Biennale di Ve-
nezia a quelli della Quadriennale di
Roma, nel secodo periodo entrò in
conta tt ::, con i grandi architetti del
temp0. da Le Corbousier ad Alvar
Aalto, maestri insigni che l'entusia-
smarono e lo indirizzarono verso
l'architettura reli~iosa ed educativa.
Il suo primo lavoro come architetto
è stata la ristrutturazione della Chie-
sa di San Tommaso a Messina. Ma
l'opera che l'ha impegnato per la pri,
ma volta in senso totale, cioè dalle
fondamenta alla copertura, è stata la
chiesa di San Filippo Neri a Catania.
In seguito sono venuti i padiglioni
per la scuola di elettromeccanica di
Pal~rmo, la palestra e il salone-teatro
dello stesso istituto professionale e
tanti altri incarichi commissionati da
enti ecclesiastici e Congregazioni re-
ligiose. È dell'anno scorso il comple-
tamento della Chiesa dei Cappuccini
a Paternò in provincia di Catania.
Attualmente sta realizzando la chie-
sa « Mater Ecclesiae » di Palermo.

4.2 Page 32

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32 · 1 DICEMBRE 1990
« Un impegno notevole - sottolinea
don Gorgone - non solo per le ra-
gioni che esistono sempre quando si
progetta un'opera sacra, e che ri-
chiedono la totale dedizione del pro-
gettista, ma anche perché Palermo è
una città d'arte, nella quale ci si de-
ve misurare con i grandi del passato
e con gli artisti contemporanei. Per
il cardinale Pappalardo la nuova
chiesa deve essere un esempio di ar-
chitettura sacra del post-Concilio.
Penso, in ogni caso, che sarà una pa-
gina aggiornata della Riforma litur-
gica». Oggi don Gorgone è presi-
dente della Commissione per l'arte
sacra dell'archidiocesi di Palermo.
L'Episcopato siciliano lo ha chiama-
to a far parte della commissione li-
turgica come responsabile dell'archi-
tettura sacra.
Ma che cosa significa per un sale-
siano, quindi per un educatore, l'ar-
chitettura educativa? Per don
Gorgone, «l'importante è enucleare
spazi in grado di far sentire i giova-
ni a loro agio, spazi che, in un con-
tinuo gioco fra interno ed esterno,
abbiano una funzione liberatoria,
che elimini i diaframmi. Nell'età evo-
lutiva è forte il desiderio di una mol-
teplicità di contatti con il mondo
circostante, con la società. Un certo
tipo di spazio è dunque essenziale per
il giovane che và formandosi e che
anela alla libertà. Aiuta anche a sta-
bilire i contatti sociali». Don Gorgo-
ne aggiunge che un edificio destinato
ad ospitare giovani deve rispondere,
al suo interno, a criteri di massima
flessibilità, tali da consentire conti-
nue ristrutturazioni a seconda delle
esigenze che variano in corrispon-
denza dei mutamenti della società.
Nell'animazione giovanile salesiana
si fa tutto insieme e quindi gli spazi
interni ed esterni debbono essere co-
municanti tra loro riducendo al mas-
simo pareti, diaframmi, porte.
Percorsi liturgici
Se le opere educative rispondono
a questi criteri in un certo senso li-
neari, più impegnativa è per don
Gorgone la progettazione religiosa
delle opere religiose. «Gli spazi del-
la religiosità - dice - sono quelli
che debbono parlare alla trascenden-
ILa chiesa "S. Francesco
all'Annunziata" di
Paternò (CT) in plastico
e nella sua realizzazione

4.3 Page 33

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- -- - - -- - - - - ~ -
1 DICEMBRE 1990 33
za. Le problematiche da risolvere so-
no molteplici, a cominciare dai per-
corsi liturgici. Lo spazio sacro deve
far sentire la presenza di Dio, di cui
non vediamo o tocchiamo l'essenza,
ma che percepiamo presente in noi.
Mediante la disposizione delle sor-
genti luminose, il movimento delle
pareti ecc., si ottiene di suscitare
emozioni, sentimenti di elevazione
che facilitano il contatto con la tra-
scendenza».
Il tema dell'architettura sacra si
collega direttamente con la riforma
liturgica e a questo riguardo don
Gorgone è convinto che la svolta im-
pressa dalla riforma al rapporto fra
liturgia e arte sacra abbia un segno
nettamente positivo. « Ci ha libera-
to da strettoie e obblighi che non ave-.
vano ragione d'essere. E ciò ci aiuta
ad essere creativi, inediti. Fermi re-
stando i capisaldi riferiti alla celebra-
zione dei sacri riti, dell'accoglienza
dei fedeli ecc., oggi ci si muove con
molta libertà. Oserei dire che, dopo
la Riforma liturgica, serviamo il sa-
cro assai meglio che nel passato. E
vedo anzi ulteriori sviluppi, grandi
novità, che sicuramente sorprende-
ranno l' uomo e le civiltà del futuro.
Ne abbiamo significative anticipazio-
ni in molte cattedrali contempora-
nee, quelle di Liverpool, di Tunisi ,
di Tokio, opera quest'ultima, del
grande architetto Kenzo Tange».
C'è poi un'opera particolarmente
cara a don Gorgone: il Museo mis-
sionario salesiano di Colle Don Bo-
sco, di cui ha progettato lo spazio
interno in risposta a una precisa ri-
chiesta del Rettor Maggiore don Vi-
ganò e del Consigliere per le Missioni
in occasione dell 'anno centenario ce-
lebrato l'anno scorso.
« Credo che fra i musei missiona-
ri, quello salesiano sia secondo solo
al museo vaticano per l'eloquenza
con cui narra la grande epopea mis-
sionaria della Congregazione al tem-
po stesso illustrando le civiltà con le
quali i salesiani e il cristianesimo so-
no venuti a contatto, non spegnen-
dole, ma esaltandole nei valori
profondi di umanità e di religiosità.
Progettando il museo.ho inteso met-
tere in evidenza proprio la ricchezza
di quelle civiltà attraverso gli ogget-
ti più autenticamente espressivi del-
le loro culture ».
Gaetano Nanetti

4.4 Page 34

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34 · 1 DICEMBRE 1990
PROTAGONISTI
ntervista al Prof. Francesco Saja
P1ENI VOTI DEL
PER IL SISTEM
REVENTIVO
Foto Publifoto
Il sistema preventivo di
Don Bosco ha superato l'esame a
pieni voti anche del Presidente della
Corte Costituzionale. Francesco Sa-
ja, forse il più popolare dei 14 presi-
denti che il massimo organismo
custode della Costituzione Italiana
ha avuto nei suoi 30 anni di vita, lo
ha ripetuto a chiare note in una in-
tervista, rilasciata con simpatia al
Bollettino Salesiano, alla vigilia di la-
sciare il suo mandato .
Ex allievo salesiano, ormai
75 .enne, Saja ha contribuito a rida-
re credibilità alla giustizia in Italia in
una stagione di grande tempesta per
gli organismi giudiziari.
Nei tre anni di presidenza ha eli-
minato il notevole arretrato che at-
tendeva l'esame della Corte; ha
introdotto uno stile di cordialità nel
lavoro evitando lo scontro tra i giu-
dici che sono riusciti a pubblicare
sentenze di particolare spessore civi-
le quasi sempre all'unanimità.
« È stata una bella presidenza, per-
ché Saja è riuscito a entrare nel cuo-
re dell'opinione pubblica. Lo potrei
definire il Pertini della giustizia ita-
liana, nel senso che è riuscito a crea-
re un legame di stima e simpatia con
la gente sqi temi della giustizia, co-
me era riusGito a Pertini per l'isti-
tuzione presidenziale». È una testi-
monianza del dottor Mario Bimonte
che può vedere queste cose d~ un
punto di osservazione privilegiato.
Dirige infatti, con una costante pre-
cisione ed efficenza, l'Ufficio Stam-
pa della Cqrte fin dalla sua costi-
tuzione. « Oini presidenza della Cor-
te - egli ricprda - è stata di altissi-
mo valore, contribuendo alla crescita
della stima per questa istituzioµe.
Quella di Saja verrà ricordata per
l'impatto riuscito con le attese della
gente ». Ebbene, questo presidente
d'eccezione, ha ripetuto che Don

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- - -- - - -- ---s/1-
1 DICEMBRE 1990 35
Bosco e il suo sistema educativo so-
no un'invenzione troppo forte, utile
anche per preparare un futuro più
umano e solidale nell'Europa che
bussa alle porte.
D. - Può raccontare come è avve-
nuto il suo primo incontro con Don
Bosco e quale è stata la sua esperien-
za di allievo salesiano?
R. - Ho incominciato a frequen-
tare il Collegio S. Luigi di Messina
nel 1929.
A Rometta, infatti, dove abitavo
con la mia famiglia, la scuola ele-
mentare si fermava alla seconda
classe .
Ricordo l'esperienza salesiana co-
me uno dei periodi più felici della
mia vita perché i sacerdoti di Don
Bosco sono i migliori educatori e
maestri che abbia mai conosciuto.
D. - Il sistema preventivo di Don
Bosco ha avuto qualche riflesso nel-
la sua formazione giuridica?
R . - Il sistema preventivo di Don
Bosco è alla base della mia formazio-
ne umana e professionale ed io lo ri-
tengo il migliore possibile.
Nella mia lunga esperienza di Giu-
dice esso mi ha sempre guidato e mi
ha permesso di cogliere significativi
risultati.
D. - Che senso può avere oggi cre-
dere e lavorare per una società del
diritto?
R. - Il diritto rimane al centro del-
l'umana convivenza come base fon-
damentale e indispensabile del vivere
civile. Mi limito a ricordare in pro-
posito il preambolo della Dichiara-
zione universale dei diritti dell'uomo
proclamata nel 1948 dalle Nazioni
Unite in cui è scolpita la funzione del
diritto come strumento per la pace ed
il progresso dei popoli.
D. - I giovani,e la giustizia: si trat-
ta spesso di un rapporto doloroso e
difficile. Perché?

4.6 Page 36

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36 · I DICEMBRE 1990
111 Prof.
Francesco
Saja
R. - Il rapporto tra i giovani e la
giustizia è talvolta difficile. Certa-
mente il mezzo repressivo non è il mi-
gliore e va utilizzato al massimo
quello preventivo. Comunque, anche
ove sia necessario far ricorso a stru-
~enti repressivi, bisognerebbe saper
mstaurare con i giovani un rapporto
improntato a umana comprensione
in modo da incoraggiare la rieduca-
zione ed il reinserimento degli stessi
nella società.
D . - All'orizzonte l'Europa: gli ex
allievi salesiani sono sufficientemente
transnazionali come sensibilità e
mentalità?
R. - lo ritengo fermamente , per-
ché me lo suggerisce l'esperienza, che
gli ex allievi salesiani siano dotati di
una preparazione culturale e di una
sensibilità che li porta a sviluppare
una mentalità transnazionale.
L'insegnamento di Don Bosco ha
infatti, carattere universale e le mis:
sioni salesiane sparse ovunque nel
mondo, e tutt'oggi continuamente ri-
chieste, ne sono una luminosa
conferma.
D. - Che cosa può fare un giudice
per costruire un 'Europa del diritto e
dei diritti?
R. - Il giudice deve fare rispettare
non solo l'ordinamento giuridico in-
terno , vale a dire qu_ello nazionale,
ma altresì quello della Comunità eu-
ropea, nonché la Convenzione euro-
pea dei diritti dell'uomo, ratificata
con I. 4 agosto 1955 n. 848 ed il Trat-
tato di Roma del 25 agosto 1.957.
Deve tenere conto, altresì, delle de-
cisioni degli altri organi giurisdizio-
nali europei ossia di quelle della
Corte europea dei diritti dell'uomo
di Strasburgo e della Corte di giusti-
zia CEE di Lussemburgo.
Così potrà avviarsi la costruzione
di una Europa armonica, dotata di
una adeguata organizzazione e
preordinata alla attuazione dei prin-
cipi fondamentali della Comunità .
D. - Si parla di un'Europa di Hel-
sinki, caratterizzata cioè dal prima-
to dei diritti umani: a che punto sta
nel nostro Paese la difesa di questi
diritti?
R. - In Italia i diritti fondamenta-
li hanno, specialmente grazie all'o-
pera della Corte Costituzionale, la
massima tutela: tutte le posizioni giu-
ridiche relative ai diritti dell'uomo
hanno trovato, in particolare negli
ultimi tre anni, la più ampia com-
prensione e la più rigorosa attuazio-
ne. Soprattutto p.el campo dei diritti
sociali (lavoro, previdenza sociale
ecc.) la Corte costituzionle ha dato
ai più deboli la maggiore difesa. Né
vanno dimenticati quelli che in Fran-
cia vengono chiamati « diritti della
terza generazione» (es. tutela del-
1' ambiente) a cui la recente giurispru-
denza costituzionale ha dedicato
grande attenzione.
Mi è gradito sottolineare che i dirit-
ti fondamentali dell'uomo, ricono-
sciuti da ordinamenti nazionali ispira-
ti alle ideologie più diverse, si ricondu-
cono ai principi della civiltà cristiana.
D. - Avanza il timore che il mer-
cato e le sue leggi possano condizio-
nare il gioco democratico in Italia e
ne/l'Europa. C'è un modo perché le
leggi della democrazia possano rego-
lare più equamente il potere del
mercato?
R. - La recente legge anti-trust (ap-
provata dai due rami del Parlamento
ed attualmente in corso di pubblica-
zione) che si aggiunge a quella sulla
editoria e sulla televisione dovrebbe
adeguatamente rendere possibile il
corretto andamento del mercato in re-
gime democratico e ciò nel duplice
senso di garantire, da un lato, la libe-
ra concorrenza e di favorire, dall'altro,
l'accesso ajlo stesso dei più deboli.
D. - Come racconterebbe agli ita-
liani di aver visto l'Italia nel perio-
do di presidenza della Corte e quale
messaggio lascerebbe loro?
R. - Nel momento in cui lascio la
Presidenza della Corte Costituziona-
le il mio messaggio è quello di una
maggiore comprensione e più viva
solidarietà tra tutti i cittadini.
È il messaggio che si ritrova nella
più recente giurisprudenza della Corte
volta ad affermare e consolidare i
principi di solidarietà, di libertà e di
eguaglianza e quindi volto, sotto un
profilo pratico, a favorire e migliora-
re la qualità della vita. Credo, infatti,
fermamente che le posizioni edonisti-
che ed egoistiche costituiscano un im-
pedimento alla evoluzione e al pro-
gresso della società e mettano in peri-
colo la convivenza internazionale.
Carlo Di Cieco

4.7 Page 37

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- -- - - - - ----s/1-
EDITORIA
1 DICEMBRE 1990 37
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§3)
QuATIRO
MILIONI DI
n~ :J !Q:liì~~\\\\R•I/AvlO
CITTADINI SOLIDALI
Viaggio n(?l pianeta «volontariato» grazie a tre
volumi pubblicati dalla Società Editrice
Internazionale di Torino. «A noi sembra
importante, dichiara uno degli autori, evitare
almeno i lacci dell'ultima insidia: quella che
la consultazione di un codice ci trasformi
in esperti con sensibilità ridotta>>.
vari.al}
ffil
Come definiranno la no-
stra società gli storici del dQemila?
Civiltà del benessere, società com-
plessa, mondo del paradosso? Cer-
tamente gli studiosi del futuro cer-
cheranno di spiegare come l'umani-
tà sfa riuscita a costruire una barrie-
ra così elevata fra chi vive nel limbo
dell'individualismo, della monetizza-
zione di qualsiasi attività pubblica o
privata, dell'indifferenza e chi è co-
stretto invece nel ghetto dell'emargi-
nazione.
Ma nell'analisi di quei ricercatori
risulterà anche che nella storia degli
ultimi decenni del ventesimo secolo
un importante ruolo l'ha svolto an-

4.8 Page 38

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38 1 DICEMBRE 1990
Foto LDC
che quello che un noto studioso di
scienze umane, E. H. Erikson, defi-
nisce un tipo d'uomo veramente
adulto: « La persona che ha cura di
sé, dell'altro, dell'ambiente, in una
parola l'uomo solidale ». Non si trat-
ta di una specie rar~, né di un supe-
ruomo , né di un santo. « L'uomo
solidale» è semplicemente una per-
sona che osserva il mondo nel quale
vive, che non chiude gli occhi davanti
alle emergenze del quotidiano del
proprio vicino e del territorio che lo
circonda, che si sforza di fare qual-
cosa per gli altri sia nella sua dimen-
sione pubblica che in quella privata.
« L'uomo adulto» è anche colui che
percepisce l' importanza del passag-
gio da una posizione di pura enun-
ciazione del proprio dissenso nei
confronti delle ingiustizie sociali ad
un coinvolgimento personale ed ope-
rativo in questa battaglia. In s9stan-
za un vero cittadino che non si
sofferma solo sul presente ma proiet-
ta sul futuro l'immagine di una soli-
darietà di cui tutti possano diventa-
re attori.
È dunque un'aspirazione a vedere
maturare le proprie risorse umane
quella nella quale si riconoscono cir-
ca quattro milioni di italiani che, sin-
golarmente o in gruppo, ispirati o
meno da un credo religioso, si impe-
gnano liberamente nell'azione divo-
lontariato. La presenza di questo
esercito di « uomini solidali» è or-
mai, a livello nazionale ed interna-
zionale, un fenomeno vistoso. Un
segno dei tempi, un fondamento di
speranze per un domani più limpido.
I diecimila gruppi, di matrice laica ed
ecclesiale, che operano sul nostro ter-
ritorio nazionale abbracciando una
trentina di aree sociali ampiamente
diversificate, si pongono ormai co-
stantemente all'attenzione delle isti-
tuzioni pubbliche e della gente
comune. Lè prime infatti avvertono
come il volontariato spesso anticipi
la percezione di tensioni sociali po-
nendosi come forza di cambiamen-
to e non come mero strumento di
supplenza alle carenze di una ammi-
nistrazione negligente ed eccessiva-
mente burocratizzata.
L'opinione pubblica prova ammi-
razione per una forza che dimostra
di aver conservato il senso dei valori
e si pone sempre in prima linea nel-
l'affrontare i problemi più acuti della
società. Analizzare dunque il piane-
ta volontariato definendo i segni più
significativi della sua identità, riper-
correre il cammino che l'ha trasfor-
mato da fenomeno puramente
caritativo a forza di cambiamento
sociale, valutare gli attuali rapporti
con le pubbliche istituzioni, ricerca-
re le sue caratteristiche e i suoi cam-
pi d'azione, diventa un'esigenza
sentita non solo da chi fa parte di
questa galassia in continua evoluzio-
ne ma anche da chi è sensibile ai trat-
ti che il volontariato sta tracciando
nel cammino sociale.
Esistono molte pubblicazioni, ri-
cerche, indagini che si occupano di
studiare questo settore. Mancava tut-
tavia un vero e proprio « vademe-
cum» capace di esaminare con
sistematicità questo campo. A col-
mare questo spazio è giunta recente-
mente nelle librerie un'opera in tre
volumi edita dalla SEI e promossa
dalla Cassa di Risparmio di Roma in-
titolata Guida al volontariato italia-
no. La pubblicazione è stata curata
da Francesco Pionati, giornalista
parlamentare del TG 1 e realizzata da
Luciano Tavazza, Gian Paolo Man-
ganozzi, Claudio Sardo e Stefano De
Martis.
Volontari oggi è il primo dei tre to-
mi della Guida al volontariato italia-
no. In esso si scorrono le idee base,
le motivazioni, le trasformazioni che
caratterizzano il servizio gratuito e
disinteressato di quattro milioni di
italiani. Si chiariscono i problemi di
natura legislativa ed i rapporti con le
istituzioni pubbliche. Nello stesso te-
sto si osservano ampiamente anche
le aree di azione del volontariato, il
modo in cui nasce un gruppo, l'esi-
genza della formazione, l'importan-
za dei collegamenti nazionali ed
internazionali, le prospettive future.
Nel nono capitolo si affronta il com-
plesso tema del contributo del volon-
tariato organizzato a quello che viene

4.9 Page 39

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-
----------~-
chiamato il «terzo sistema». Conta- porto fra volontariato e mass media
le definizione s'intende « l'insieme viene approfondito attraverso l'inter-
delle attività non finalizzate al lucro vista a Claudio Calvaruso. Il collo-
e produttrici - per la gran parte - quio con Vincenzo Cesareo permette
di valori d'uso al di fuori delle isti- di conoscere l'evoluzione del volon-
tuzioni pubbliche. In sostanza - si tariato nel Meridione. Nicolò Lipari
spiega nel testo - le attività che si illustra il suo progetto di legge qua-
considerano svolte nel terzo sistema dro su questa materia. L'intento del-
sono « di natura sia economica che la sua proposta legislativa è quello di
sociale e sono rivolte a conseguire un fornire una sorta di « statuto del vo-
benessere collettivo (anche di grup- lontariato» che non ne ingabbi le
pi ristretti) piuttosto che il massimo molteplici forme espressive ma ga-
profitto individuale (pur non esclu- rantisca ai gruppi che collaborano
dendo che nel compiere queste azio- con le Regioni e gli enti pubblici l'au-
ni si possa realizzare anche un tenticità e la spontaneità delle moti-
vantaggio individuale di natura eco- vazioni morali che sottendono alla
nomica, come ad esempio l'otteni- loro azione.
mento di un normale reddito da Nello stesso volume don Ciotti
lavoro)». Il volontariato ha certa- sottolinea come sotto il termine vo-
mente aiutato lo sviluppo del « terzo lontariato si accomunino spesso espe-
sistema» del quale fanno parte real- rienze in contraddizione fra loro e
tà diverse come ad esempio il mon- « per chi non sia più che attento ed
do delle cooperative e quello informato, è facile non tener conto
dell'associazionismo. Ma occorre di differenze sostanziali e di percor-
precisare che nell'ambito di questa · si evolutivi diversi». Il rischio, secon-
vesta mobilitazione alla partecipazio- do don Ciotti è quello che il volon-
ne esso deve difendere le sue precise tariato possa essere strumentalizza-
ed irripetibili connotazioni.
to da un sistema in una fase di crisi
Nel secondo volume della Guida al politica, economica e ideale che ten-
volontariato italiano sono invece rac- de a delegargli tutta una serie di set-
colte una serie di interviste a politi- tori « politicamente poco interes-
ci, operatori sociali, sindacalisti santi». « Se questo avvenisse - spie-
impegnati a vario titolo nel volonta- ga don Ciotti - il volontariato si tro-
riato e che al riguardo esprimono verebbe diminuito ai ruolo di sem-
una serie di opinioni ampliando gli plice servizio privato che occupa gli
orizzonti dell'indagine. Qualche spazi vuoti nella gestione e nel con-
esempio: l'importante tema del rap- tenimento dei problemi sociali. .. ».
CHI È IL VOLONTARIO
La realtà del volontariato è in continuo movimento. Si adatta alle tra-
sformazioni della società. Il sociologo Ardigò ha scritto come sarebbe stato
difficile trovare una definizione statica del volontariato proprio perché mu-
tano i metodf, le aree di intervento. Il nuovo Dizionario di sociologia (Ed.
Paoline) cosl definisce il volontario: « Volontario è il cittadino che libera-
mente, non in esecuzione di specifici obblighi morali o di doveri giuridici
ispira la sua vita - nel pubblico e nel privato - a fini di solidarietà. Per-
tanto, adempiuti i suoi doveri civili e di stato, si pone a disinteressaJa di-
sposizione della comunità, promuovendo una risposta creativa ai bisogni
emergenti dal territorio con attenzione prioritaria per i poveri, gli emargi-
nati, i senza potere. Egli impegna energie, capacità, tempo ed eventuali
mezzi di cui dispone, in iniziative di condivisione realizzate preferibilmen-
te attraverso l'azione di gruppo. Iniziative aperte ad una leale collabora-
zione con le pubbliche istituzioni e le forze sociali; condotte con adeguata
preparazione specifica; attuate con continuità di interventi, destinati sia
a servizi immediati che alla indispensabile rimozione delle cause di ingiu-
stizia e di oppressione della persona».
1 DICEMBRE 1990 39
Il concetto di servizio è posto alla
riflessione dei lettori attraverso una
risposta di don Mario Picchi. Il pre-
sidente del CEIS e della Federazio-
ne Italiana delle Comunità terapeu-
tiche evidenzia che «Per essere ser-
vizio autentico deve ispirarsi ad una
cultura di solidarietà» ed « alla cul-
tura della povertà: privilegiando le
persone più deboli e fragili, par-
tendo dai bisogni dei più poveri».
Ricordando tuttavia che la povertà
odierna non è solo materiale ma mol-
to spesso spirituale. « Inoltre un ser-
vizio non può ignorare la cultura
della pluralità; ovvero riconoscere la
diversità come valore», e non può di-
menticare la cultura dei valori e la
cultura della gratuità.
La disamina delle interviste conte-
nute in questo secondo volume po-
trebbe proseguire a lungo suscitando,
per la varietà degli interventi, non
poche incertezze e spunti di appro-
fondimento.
Ma ci pare opportuno segnalare
brevemente il terzo volume della
Guida al volontariato italiano intito-
lato DIT - dizionario tematico delle
leggi. Un vero e proprio strumento
di lavoro per orientarsi nel meandro
delle leggi statali e regionali che ri-
guardano questo settore. Si tratta di
un vero e proprio dizionario nel qua-
le sotto le quaranta voci organizzate
in ordine alfabetico si rintracciano i
titoli, i numeri e le date delle leggi che
riguardano ciascuna voce. Vi sono
inoltre riportate le fonti per reperire
queste leggi e il testo degli articoli che
si riferiscono in modo specifico a
quella materia. Le leggi inserite sot-
to ciascuna voce sono distribuite per
regione ed in progressione cronolo-
gica. Un lavoro davvero enorme se
si pensa che, come spiega Gian Pao-
lo Manganozzi, si è trattato di sele-
zionare i contenuti di 175 leggi e ciò
« per aiutare chi opera nel volonta-
riato a tradurre un'idea in un inter-
vento concreto ». Tuttavia - scrive
ancora Manganozzi - «il loro esa-
me potrà suscitare mille interrogati-
vi e rendere evidenti altrettanti rischi
possibili. A noi sembra importante
evitare almeno i lacci dell'ultima in-
sidia: quella che la consultazione di
un codice ci trasformi in esperti con
sensibilità ridotta».
Maria Galluzzo

4.10 Page 40

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40 • 1 DICEMBRE 1990
STORIA SALESIANA
TORIA SEGRETA
I UNA «MESSA»
Foto Archivio Centrale Salesiano
In occasione
della canonizzazione
di Don Bosco,
Pio Xl mobilitò
personalmente il
Maestro Perosi perché
onorasse degnamente
il Santo.
Il vaticanista
Arcangelo Paglia/unga,
che fu vicino al grande
Compositore e
Maestro, ne narra
i particolari.
Tra le pagine autografe 1
di Lorenzo Perosi, recentemente ac-
quisite daila Biblioteca Vaticana, ci
sono tre invocazioni alla « Madonna
Ausiliatrice»: brevi composizioni
melodiche che il Maestro scrisse su
richiesta, ma anche come omaggio
personale alla « Madonna di Don

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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- --
DI
- - - - -- -- s/J-
1 DICEMBRE 1990 41
Bosco». Non sono questi gli unici
spartiti che legano il nome di don
Lorenzo al santo piemontese, fonda-
tore dei salesiani.
Nel « reparto perosiano » della
« Biblioteca», che fu fatto predispor-
re da Pio Xl, ci sono le partiture au-
tografe della « Missa Redemptionis »
e del « Te Deum » che don Lorenzo
scrisse, in occasione della chiusura
dell'Anno sa·nto straordinario
1933-1934, e per la canonizzazione di
Don Bosco che concluse, appunto,
quella grande manifestazione di fe-
de, voluta da Pio XI per celebrare il
XIX centenario della Redenzione.
Le due partiture perosiane, gran-
diose e solenni, scritte .per otto voci
e due cori, hanno una loro storia: Il
Maestro, che nell'ultima parte degli
anni venti, si era dedicato alla musi-
ca da camera, scrivendo ben diciot-
to quartetti (alcuni di recente sono
stati eseguiti alla Rai dal « quartetto
di Trento ») aveva, praticamente, ab-
bandonato la composizione di musi-
ca sacra. Un bel giorno, all'inizio del
1934, Pio XI gli fece sapere che
avrebbe gradito una «Messa» e un
« Te Deum » per la chiusura dell' An-
no Santo e per la canonizzazione di
Don Bosco.
Don Lorenzo dapprima si scher-
mì, poi disse a se stesso che non po-
teva opporre un rifiuto al Papa .
Così, come aveva fatto quando ave-
va dovuto comporre in gioventù la
« Messa funebre grandé» ad otto vo-
ci per la morte di Leone XIII, fece
a piedi una lunga passeggiata da San
Pietro alla Basilica di San Paolo. Nel
tragitto coltivò pensieri musicali; al
ritorno cominciò a scrivere le due
composizioni che furono completa-
te nel giro di una settimana.
Le copiò « in bella» e le mandò al
Papa. Nella prima pagina aveva
scritto in latino: «Tu hai comanda-
to ed io ho obbedito e a te, Achille
Ratti, Pio Xl, dedico questi lavori».
La notizia che Perosi era tornato
alla musica sacra suscitò immensa
curiosità nel mondo musicale roma-
no e quando, ad un mese dall'esecu-
zione (Pasqua del 1934), furono
iniziate le prove nel salone .della at-

5.2 Page 42

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42 1 DICEMBRE 1990
re». L'illustre maestro e musicologo,
monsignor Raffaele Casimiri, disse
al sottoscritto che, pur in mezzo ad
alcune « cadute di ispirazione» nella
partitura si notava «l'unghia del
leone».
L'effetto nella Basilica, durante il
I Mons. Lorenzo Perosi al
pianoforte In una foto da lui
stesso dedicata al salesiano
francese don Auffray, biografo di
Don Bosco fra i più insigni
Si era pensato di riesumarle per (a.
canonizzazione di Pio X - che era
stato il mecenate del Maestro - ma,
poi, se ne fece nulla.
A rileggere oggi le partiture con at-
tenzione e senza fretta si ha la sen-
sazione che da esse non potrà
prescindere chi vorrà studiare la fi-
gura del grande Maestro nell'ultima
parte della sua vita.
tuale « Scuola Pio IX» (in Via della
Conciliazione) molti compositori e
critici musicali vollero essere presen-
ti. Si ebbe subito la sensazione che
Perosi aveva cercato effetti grandio-
si, ricorrendo ad armonie anche
« moderne » diverse da quelle, tutte
melodiche che sgorgavano dalla sua
anima in gioventù. L'allora monsi-
gnor Tardini, presente alle prove, e
che era un « perosiano » da vecchia
data, notò nel suo diario ... che Pe-
rosi sembrava « un altro composito-
rito di canonizzazione, fu sorpren-
dente: si aveva la sensazione che
quelle pagine erano state scritte pro-
prio per riempire le immense volte
del tempio.
Grandiosa la «Messa», grandioso
il « Te Deum » concluso; sul verset-
to « In Te domine speravi » da un in-
sistente« speravimus » del coro, in un
crescendo impressionante.
Va d!;!tto che, dopo quella occasio-
ne, quelle due partiture non sono mai
più state eseguite.
Egli evidentemente sentiva che i
tempi cambiavano e anche la musi-
ca si evolveva: così , da par suo, cer-
cava armonie nuove e usava anche
qualche contrappunto disinvolto.
La « Missa Reedempionis » - que-
sto il titolo che gli dette - e il « Te
Deum » restano come due capolavo-
ri di musica sacra che legano il no-
me del Maestro a Pio XI e a Don
Bosco.
Arcangelo Paglialunga

5.3 Page 43

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-------s/1-
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1 DICEMBRE 1990 , 43
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miglia, a cura e.e., Torino
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5.4 Page 44

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1•1~1111~1~1
1~81~1Al.41
◄◄ 1..-arttle tli ,,if;a ►►
Il buon giorno di RAI/RADIODUE
GIUSEPPE COSTA
ELLE DI Cl
10096 LEUMANN (TORINO)
LE COORDINATE
pp. 144, L. 8500
Giuseppe Costa
PENSIERI FERIALI
«Parole di vita»
Il buon giorno
di RAI/RADIODUE
« ... Ecco allora come
viene opportunamente ad
affrirsi alle nostre
mattinate frettolose,
sulle onde della
radio, fra le notizie
e la musica,
un pensiero spirituale.
L'idea è giusta, proprio
perché risponde
ad un bisogno
profondo, quasi
una necessità, per
moltissimi ascoltatori.
Il problema consiste
piuttosto nella sua
equilibrata realizzazione:
e Don Giuseppe Costa
sembra l'abbia risolto
al meglio.»
(dalla Prefazione al volume
di PAOLO SCANDALETTI)