• Chi sceglie Don Bosco non sceglie qualunquistica-
mente un modo qualsiasi di testimoniare fede o cti ani-
mare proposte fra i giovani, sceglie un modello mollo
preciso e uno stile qualificato. Il Salesiano non è un edu-
catore qualsiasi ma un continuatore di Don Bosco. Lo
stesso discorso valeper i Cooperato1i e in particolare per
i giovani Cooperatori. Si dice talora che per essere Coo-
peratori è sufficiente essere buoni cristiani. Lntendiamo-
ci: l'essere« buoni» cristiani non è poi tanto poco! Esige
fede, speranza. carità, coerenza, testimonianza, preghie-
ra. Il tutto vissuto nella spiritualità di Don Bosco.
Ecco la seconda premessa, dopo q uella del mese
scorso riguardante l'Associazionismo in genere, per un
discorso molto impegnativo che speriamo vada svilup-
pandosi con chiarezza.
li giovane, come l'adulto de.I resto, ma qui l'accento
viene posto sulla gioventù salesiana, che sceglie Don Bo-
sco con coscienza, sapendo il valore della sua scelta, non
sceglie semplicemente un gruppo di amicizia e di pre-
ghiera. Ripensiamo agli anni di Valdocco. Sceglie un
gruppo di amicizia e di preghiera per il proprio .',O!,tcgno
interiore e insieme una missione di avvicinamento, di
dialogo, di animazione con i lontani e i marginali, sopra-
LUllo giovani. Don Bosco non si identifica con le élites
chiuse in se stesse.
Altrimenti si sceglie un Don Bosco antistorico, ri-
stretto. E non si sceglie Don Bosco se questa ricarica
spirìtualc non è profonda, genuina, costante, proprio per
essere testimoniata senza paure, mediocrità, senza cinci-
schiare pressapochismi o sterili banalità, magari trave-
stite con vocaboli di moda.
• Due domande per concludere, mentre anche dalle
reaLion.i di chi legge speriamo 'ii possano avere occasioni
di approfondimento: Se gli ambienti salesiani non hanno
gruppi giovanili formati nello spirito di Don Bosco come
possono avvicinare i loro «marginali», e i superficiali, gli
indifferenti? Forse li eliminano (e Don Bosco?), o li la-
sciano marginali... E i gruppi di giovani Cooperatori co-
me possono dirsi tali se non si pongono come primo
obiettivo negli ambienti giovanili salesiani l'avvicit,a-
mento, la« promozione» c l'animazione di chi accclla con
più difficoltà l'invito a non sprecare la propria giovinez-
za?
Don Carlo B orgetti
UNA VIVA RACCOMANDAZIONE
AI COOPERATORI INSEGNANTI
Que.s lo periodo vede le case editrici impegnat e a con-
tattare gli insegnanti per l'adozione dei tesli per l'anno
prossimo. E' il tempo Infatti della scelta che obbedisce a
precise scadenze e a norme ben definite.
A quanti della nostra Associazione operano nel mondo
délla scuola una calda raccomandazione: siano oculati e
diligenti nella scelta, non superficiali, favoriscano testi
validi e economici, non s i lasc ino corrompere da offerte
di rimunerazione, ostacolino l'adozione dei testi c he se-
guono una linea in con trasto con i principi morali e
cristiani, Diano Inoltre la preferenza a quelle edJlrk l che
danno al riguardo le migliori garanzie. E tra queste la
S.E.I. (Società Editrice Intem azlonale • Torino), l'editri-
ce 'La Scuola' (Brescia), Marlettl (Torino), e, per l'inse-
gnamento religioso, la Elle-Di-Ci (Torino) e Queriniana
(Brescia}.
4
I Cooperatori Salesi:
della comunicaziont
una tradizione cente·
Incominciamo con la terr
2.
Il primo numero del decreto conciliare« Inter mi1ifi-
ca» chiama la stampa, il cinema, la radio e la televisione
ed altri dalle stesse caratteristiche « strumenti della co-
municazione sociale». Perché ha adoperalo questa ter-
minologia? E' bene subito dire che non è stata una tro-
vala di primo impianto, ma soltanto un punto di arrivo.
dopo che la commissione conciliare a\\'eva vagliato con
molta cautela e attenzione tutte le espressioni adottate
nelle lingue più diffuse del mondo. Si è trattato di una
vero evoluzione tc1minologica, il cui risultato è enu·ato
nel decreto con carattere di esclusività. La commissione
conciliare ha ragionalo, grosso modo, così.
Scartata la dizione «mezzi moderni di aposw/aw»,
usata dalla III commissione interna della Congregazione
del Concilio nel suo studio preparatorio, si passò ai «mo-
derni 111~::.i di dil'iilgazione del pensiero» del Motu pro-
prio di Giovanni XXllI «Superno Dei nu tu». Tuttavia il
i,egretariato, preconjzzato dal predetto Motu proprio, era
chiamato ufficialmente «della s1a111pa e dello spertacolo»,
termini che rivelarono subito la loro estrema genericità c
non potevano soddisfare le esigenze di chiara determi-
naLez.ia dell'oggetto che si voleva affrontare. Né maggio-
re lortuna ebbero le ricerche effettuate nell'ambito della
cultura extra-ecclesiastica. Si notò che il termine «audio-
1ùivo », a parte il suo uso quasi esclusivo in campo di-
da ttico, si pre:.ta\\'a nella sua accezione cumulativa pro-
priamente al cinema sonoro cd alla televisione, e non alla
radio che impegna soltanto l'udito e tanto meno ai roto-
calchi ed al cinema che impegnano solo la vista. lnollre
men tre i francesi usavano «1echniq11e~ de diffu..,ion », che
poneva il giusto accento sull'aspetto tecnico degli sLru-
mentiin questione e 1imaneva ambiguo nel complemen-
to di specificazione, nel mondo anglosassone circolavano
le espressioni «ma...s media» e «mass comnw11ica1io11s»,
che in teoria e nella pratica davano troppo peso al termi-
ne «mass»(= massa), ;.empre evitato da Pio Xl i. Infatti
se è vero che stampa, cinema, radio e televisione possono
raggiungere e raggiw,gono stern1inati pubblici di lcllori e
vastissime platee di utenti, è infondato che questi stru-
menti per loro natura debbano ncccssarìamcn te massili-
care, cioè spersonalizzare gll individui nella loro autono-
rnia interiore. Il termine« media» ( = mez7i) ru giudicato
troppo generico. mentre l'altro « communications» fu ri-
tenuto appropriato e ricco di significati. E CClSì si pcrYen-
ne alla dizione consacrata nel decreto: strumenti della
comunicazione sociale.
Strwnenci (e non mezzi), in quanto «oggetti materiali
fruito di attività tecniche dell'uomo». l i termine, pcrtan-
tc•. «rileva la nota di ~piccata tecnicità cd insieme indica