Anno XXVI. Marzo 1902 N 3.
SOMMARIO - TESTO: A Leone XIII pag. 65
Il Giubileo Pontificale 66
Pagina intima 71
Il Patrono dei nostri laboratorii 72 Per gli emigrati italiani . Missioni - Matto Grosso : In mezzo alle tribù dei Bacairjs e dei Cajabis - Equatore: Attraverso le foreste del Vicariato di Mendez - In fascio : Puntarenas - Isola di Giamaica . 76
Bozzetti Patagonici 83
Grazie di Maria Ausiliatrice 84 Cronaca del Movimento salesiano . . 88 Necrologia: Teologo Reviglio - Avv. Francesco Zucchi Pecoroni 93
Cooperatori defunti 95 Illustrazioni - Il Redentore morto, pag. 73 - Una grandiosa processione a Buenos Aires, 75 - Il Rappresentante del Successore di D. Bosco a Nictheroy di Brasile, 76 - Le officine S. Giuseppe di Lisbona, 79, 81, 83 - Lo scuola di Religione di Catania, 89 - Laboratorii in la Paz di Bolivia, 90, 91.
NEL SUO Pontificale Giubileo
CULMINE RARO TOCCATO DI LONGEVITÀ GLORIOSA TRA GUERRE, SCHERNI, AMAREZZE E MENZOGNE SEMPRE FISSO NELLA LUCE CHE GLI PIOVE DALL'ALTO FORTE DI UNA CAUSA CHE È FORTE DI PIETRO, DI GREGORIO, DI PIO NONO
LA PIA SOCIETA SALESIANA
ONORATA DELLA SUA BENEVOLENZA PATERNA UMILIA I SUOI AUGURI, I SUOI VOTI FELICE
SE UN APOSTOLICA BENEDIZIONE LA RENDA PIU' EFFICACE E ANIMOSA A LAVORAR IN QUELLA PARTE DI GREGGE DI CUI EGLI È IL SUPREMO PASTORE
1878 - 20 febbraio - 1903
IL 20 scorso febbraio il sommo Leone XIII cominciò felicemente l'anno ventesimoquinto del suo glorioso Pontificato. Il mondo cattolico, come abbiamo già accennato nei precedenti fascicoli, si preparò a manifestare nel corso di tutto quest'anno con trasporto di santo giubilo la lieta ricorrenza di una data che rimarrà memoranda ed al Vicario di Gesù Cristo in terra ed alla Chiesa Cattolica. Ed è giusta e doverosa cosa questo giubileo : le allegrezze dei figliuoli tripudianti nell'amore intenso ed inestinguibile verso il Pastor delle somme Chiavi, il loro amatissimo Padre e Pontefice !
Se la Chiesa di Gesù Cristo (come bellamente si esprime l'Angelo della diocesi di Gaeta (1) nell'affettuosa sua Pastorale annunziante il fausto avvenimento) è ai giorni nostri oppressa ed afflitta in mille guise, non le mancano però in pari tempo eventi e fatti bastevoli a consolarla. Spoglia del suo patrimonio con cui provvedeva al culto divino, al decoro dei sacri templi, al sollievo di molti poveri e bisognosi; cacciata dai chiostri, alla cui ombra vedeva i liberi suoi figli fiorire in arti, in scienze, in virtù, in santità; privata di giovani figli, che dal servizio di lei vengono annualmente tratti a quello dello stato ; ridotta la sua azione fra le sole pareti dei templi, e fra esse ancora testè ristretta e ferita; ha avuta ella nel volger di otto lustri a questa parte, ben giuste ragioni di metter voci di lamento e di dolore.
Nell'odio però e nella guerra contro di lei, fidente nel suo Dio ha provato talora gioie e conforti degni di Lei. Serena nell'aspetto ha visto l'un dopo l'altro cadere ai suoi fianchi coloro che ne speravano la fine, e pietosa nel ciglio, qual madre sugli estinti figliuoli, ha pregato pace sulla loro tomba. Ha visto rallegrarsi i solitari chiostri di nuovi abitatori, ha visto dalle vie del secolo correre e dedicarsi al suo servizio figliuoli nobili e generosi, e sorgere nuovi istituti, aprirsi nuove scuole, formarsi nuove società, e adunarsi federazioni d'ogni sorta, sodalizi, congressi, dai quali deriva agli individui, alle famiglie, alla società un'azione benefica e salutare.
E il Capo di lei, il Supremo Gerarca, il Padre universale dei fedeli, il sapientissimo Leone XIII, se pur Egli fu ed è tuttavia segno all'odio ed alla persecuzione, ai disprezzi ed alle amarezze, ha pur provato alla sua volta gioie e conforti e ne prova attualmente pel suo Giubileo Pontificale. Questo nuovo suo Giubileo Pontificale, dopo gli altri due già celebrati, del Sacerdozio cioè, e del suo Episcopato, come devono guardarlo i Cooperatori di Don Bosco? Su, in alto i nostri cuori e le nostre menti; esso non è da tenersi altrimenti, se non come un beneficio grande e singolare, che il provvido Iddio largisce al nostro amatissimo Padre e Pastore.
Autore della vita d'ogni uomo non è altri che Iddio. Egli nella sua infinita potenza e sapienza , come crea dal nulla le cose che non sono, così forma anche l'uomo, e fin dai primi istanti di sua esistenza lo conosce, lo predestina, e gli segua un certo numero di anni e di giorni oltre i quali egli andare non potrà. Però, corta o lunga che sia la vita di ciascuno, ella è sempre un bene e un dono di Dio; dono di Dio, perchè egli solo a tutti la dà e a tutti la conserva : di guisa che se restasse di sorreggerci colla forte sua mano, noi cadremmo nel nulla donde fummo tratti, come cade nel fondo la pietra lasciata da chi la sosteneva. Inoltre, corta o lunga che sia la vita, perchè è un bene e dono ottimo a noi dato di lassù dal Padre dei lumi, è sempre cara, sempre desiderata; epperò ognuno dal suo canto si studia a tutto potere di mantenerla e migliorarla, di farla comechessia lunga e felice. Per essa s'imprendono negozi, si durano fatiche, si edificano case, s'innalzano patagi, si coltivano campi, si esercitano arti e santamente si porta invidia e si mostra venerazione e allegrezza a colui che, a traverso i mali e i pericoli della terra, sano, vegeto, lieto pur giunge fortunato all'età della vecchiezza.
Ora chi non si allegrerà in cuor suo, e non ammirerà un benefizio singolare di Dio nell'uomo singolare del nostro secolo, nel regnante Pontefice Leone XIII, che lo scorso febbraio, sano, vegeto, forte, contò già l'anno ventesimoquinto del suo Pontificato, ed il due del corrente mese il novantesimo secondo della sua età ? Chi non dirà che malgrado le fatiche, i dolori, le amarezze, sotto al cui peso soccomber dovea, la sola destra di Dio l'abbia sorretto e condotto da fargli vedere il giorno delle argentee sue nozze pontificali? E questa longevità del nostro amatissimo Padre e Pontefice è un beneficio singolare largito da Dio a lui come premio delle sue apostoliche fatiche, del bene operato durante il suo governo nella Chiesa. Ed oh ! quali fatiche non ha Egli durate! quale bene non ha operato ! Chi non sa i fatti gloriosi del suo pontificato?
Chiamato con voce del cielo nel 1878 al trono di Pietro, mise mano con tutto l'ardore dell'animo, al vasto edificio e governo della Chiesa, e con sapientissime encicliche, bolle e costituzioni provvide ai molteplici e imperiosi bisogni della stessa. Provvide fin da principio della sua elezione alla costituzione della Gerarchia Cattolica in Iscozia, deplorò i mali che affliggono il consorzio umano pel disprezzo di ogni autorità umana e divina. Richiamò in vigore gli studi filosofici; parlò sul matrimonio religioso, tanto minacciato e combattuto presentemente ; ragionò sulla natura, le norme, i diritti e i doveri del principato politico. Volgendo inoltre i suoi occhi alla nobilissima nazione francese ne deplorò il cattivo governo ; guardando alla nostra Italia, ne lamentò i mali; pensando al bene delle Americhe, istituì canonicamente un collegio per gli Stati Uniti ; e mirando alla regione africana ristabilì l'antica sede episcopale di Cartagine, elevandola a Metropoli.
A chi poi non son note le sapientissime encicliche per la cristiana costituzione degli Stati, per la costituzione della gerarchia cattolica nell'Indostan e quelle sulla libertà umana, sull'ardua e agitata questione operaia, sulla Massoneria, sulla unione delle Chiese, sullo Spirito Santo, sul Rosario, su Cristoforo Colombo, e varie altre su altri importanti argomenti? Chi non sa dei molti Beati da lui innalzati agli onori degli altari, ad eccitamento della virtù e della santità, a cominciare dal Beato G. B. de Rossi insino alla Beata Rita della Cascia? Chi non sa delle Missioni Cattoliche estese dappertutto, durante il suo pontificato, in Europa, in Asia, in Africa, in America ed in Oceania? Si contano sino a 30 le nuove Prefetture Apostoliche, 49 i Vicariati Apostolici, 2 le Delegazioni Apostoliche, 2 le Abbazie Nullius, 100 nuove Sedi Vescovili, 17 Sedi Arcivescovili, da Sedi già esistenti, 13 nuove Sedi Arcivescovili e due nuove Sedi Patriarcali.
E non fu Egli, il Venerando Pontefice, che eletto arbitro nel conflitto sorto fra la Germania e la Spagna nel possesso delle Caroline e Palos nel Pacifico, compose le due discorde, potenze e fe' loro deporre le armi? Non fu Egli che diede potente impulso alle lettere ed alle scienze, e aprendo gli archivi del Vaticano ai cultori della storia e istituendo nel Seminario Romano una cattedra di lettere greche, latine e italiane, e curando nuova edizione dell'Opera dell' Alighieri, e dando alla luce poesie e carmi latini da innamorare i cultori della lingua del Lazio?
Dopo tante opere adunque, tante cure, tante fatiche era ben conveniente che fosse da. Dio rimeritato facendogli raggiungere gli anni di Pietro; come li raggiunse nella serie di ben 263 Pontefici, l'Angelico Pio IX, immortale Suo predecessore.
Che se finalmente ci piace di guardare i tempi presenti noi troveremo anche in essi un'altra giustissima ragione della longevità del regnante Pon tefice. Al certo i tempi che corrono sono pieni di odio e di ostilità alla Chiesa. La mistica navicella di Pietro, solcando il torbido mare del secolo, è minacciata ad ogni istante da venti gagliardi, e sbattuta da flutti tempestosi, insidiata da nemici accaniti, impedita, nel suo corso, da sirti e da scogli. La si vorrebbe veder sommersa ed ingoiata dalle onde. A questo si mira, questo si cerca, questo si spera. Nè il fatto di antiche fiere procelle, da lei superate per ben 19 secoli, vale a metter senno nei nemici di lei, pei quali Satana opera indefesso il mistero d'iniquità. Era quindi ed è necessario che il Nocchiero della Mistica Nave avesse forza, intrepidezza, coraggio, fermo al timone regesse, guidasse per lungo volgere di anni la sbattuta navicella attraverso i venti, i flutti, i pericoli e gli scogli. E tutti allo spettacolo di lei e dell'accorto e vecchio pilota, attoniti levassero in alto gli occhi e la mente, e conoscessero pur una volta che Iddio dal cielo guarda e protegge amorosamente ambedue, e ne dà segni straordinari e meravigliosi, fra i quali non ultimo, anzi principalissimo, è il lungo governo del Glorioso Nocchiero.
Chi, diffatti, cinque lustri or sono, al vedere il nostro Pontefice, allora debole, gracile, asciutto come un asceta , imprendere il governo della Chiesa universale, non avrebbe detto che di lì a pochi mesi od anche anni sarebbe venuto meno sotto il grave peso? Queste e non altre furono allora le umane congetture. Ma il Pontefice allora fiacco, tremulo, vacillante, ricevè supernamente lena e vigore, si risentì di nuova vita e ringiovanì di novelli anni avverando così la parola del Signore il quale promette all'eletto suo, al suo unto la sazietà di lunga vita : longitudine dierum replebo eum.
È ben giusto quindi che il mondo cattolico celebri in quest'anno il Giubileo Pontificale del gloriosissimo Leone XIII con. opere e preghiere atte a consolare l'augusto Vegliardo del Vaticano, cui Dio, speriamo, vorrà concedere di raggiungere ancora e sorpassare l'età di S. Pietro.
Noi, Salesiani di D. Bosco, con le Figlie di Maria Ausiliatrice e con tutti i nostri Cooperatori e Cooperatrici, non secondi ad altri nell'amore ed ossequio al Vicario di Cristo, innalzeremo nel corso di quest'anno fervide preci al Signore per Lui, acciocchè lo conservi, lo vivifichi e lo consoli nel compimento dei suoi desideri per la pace della sua Chiesa, per la conversione di tanti suoi nemici e per il trionfo della verità sull'errore. Noi infine, con tutto il tripudio e l'ossequio dei nostri cuori, in questa faustissima circostanza del suo Pontificale Giubileo ripetiamo al grande Leone del Vaticano, l'augurio e la protesta d'amore che vergò, venticinque anni or sono, il nostro buon Padre D. Bosco, all'annunzio della sua elezione a Vicario di Gesù Cristo, e che pubblicò nel Bollettino di marzo di quell'anno memorando, 1878:
Santissimo Padre, Noi Salesiani e Cooperatori, prostrati in ispirito ai Vostri piedi, esultiamo della più viva gioia per avervi a Pastore supremo, a Guida sicura, a Padre amorosissimo delle anime nostre. Noi crediamo che Voi siete il Successore di Pietro, il Maestro infallibile, il Vicario di Gesù Cristo ; e perciò con tutta l'effusione del cuore Vi giuriamo ubbedienza, fedeltà ed amore. Parlate, e Vi ascolteremo, comandate e Vi ubbidiremo; segnateci la via, e noi, facile od aspra, la batteremo fino alla fine. No, col divino aiuto, noi non ismentiremo giammai il nostro nome. Figli del Salesio, noi ci glorieremo di stare attaccatissimi a cotesta Cattedra di Verità; e nella nostra pochezza ci faremo ognora un vanto di cooperare davvero con Dio e con Voi all'esaltazione di Santa Chiesa, alla salute delle anime colla parola, colla penna, coi libri ; coopereremo specialmente alla coltura della povera gioventù, a Voi più cara che la pupilla degli occhi, ed ahimè ! or più che mai insidiata dai nemici di Dio, che nella fede e nei costumi cercano di corromperla e pervertirla.
Santissimo Padre,
Dalla Vostra sublime altezza degnatevi di volgere uno sguardo benigno sopra di noi, e sopra le opere nostre ; Vi piaccia di continuarci l'alta benevolenza, colla quale ci ha sempre confortato l'immortale Pio IX Vostro Predecessore ; benediteci, e noi Vi saremo devoti sino alla morte.
Questa protesta d'amore, questa figliale prece del nostra pio Fondatore e Padre D. Bosco, Voi, o grande Leone, l'avete benignamente accolta e sovranamente esaudita durante i gloriosi cinque lustri del Vostro Pontificato, degnandovi di essere annoverato non solo PRimo fra i nostri Cooperatori, ma divenendo di nome e di fatto PRimo OPERATORE nel campo Salesiano.
E le prove del Vostro affetto verso di noi sono state in questi 25 anni tali e tante e di una sì squisita finezza che ci è impossibile tutte enumerarle ; solo diciamo che se pel mondo intero fiorisce di vita propria, gagliarda ed efficace la nostra Pia Società, a Voi lo dobbiamo, o Padre Santo, a Voi che non lasciaste mai passare occasione propizia senza benedire ed encomiare presso tutti l'Opera del buon Servo di Dio, che fu il nostro Don Bosco. Continuateci, Padre Santo, il Vostro più che paterno affetto e valido ausilio e dalla vostra prodigiosa longevità tragga la nostra Pia Società il principio di una duratura vitalità anche nei secoli avvenire per il bene di tanta povera gioventù che annualmente si raccoglie all'ombra del vessillo Salesiano.
Viva Leone XIII Pontefice Massimo!
Rex in aeternum vive!
(1) Facciamo nostri pressochè tutti i suoi pensieri, togliendoli dall'ottimo periodico La Campania (Abb. annuo L. 3. Rivolgersi al Direttore Vincenzo Arciprete RuggeroMaranola), e adattandoli allo spirito del nostro periodico.
LA nostra Pia Unione si allieta ogni giorno di nuovi campionì che ne zelano l'incremento, e noi, pieni di quella profonda gratitudine, che è il retaggio più bello tramandatoci dal nostro Venerando Fondatore, li andiamo registrando a comune edificazione ed eccitamento in questa cara pagina. Mercè la revisione delle liste, agli antichi Cooperatori e Cooperatrici se ne aggiungono altri ed altre ; e le opere, che formano lo scopo della Pia Unione, ricevono novello impulso in un crescendo mirabile di comune attività. Ne sia lodato il cielo e la nostra potente Ausiliatrice continui a tener desto questo sacro entusiasmo in tutti i nostri buoni Cooperatori e Cooperatrici, acciocchè le nostre lontane Missìoni, gli Ospizi per gli orfani e gli Oratori festivi per la gioventù abbandonata possano realmente trovare nell'opera e nell'obolo loro quell'aiuto che abbisognano per prosperare e produrre sempre più copiosi frutti a vantaggio delle famiglie e della socìetà.
Per norma di tutti i membri della nostra Pia Unione, continuiamo la pubblicazione dei nomi di quei benemeriti Sacerdoti che nella loro squisita bontà degnaronsi accettare, dietro nostro invito, l'incarico di Decurione dei Cooperatori nelle singole Parrocchie.
A) - Albino: Rossi D. Cristoforo. - Alzano Maggiore: Galli D. Bernardo. - Andorno-Cacciorno: Regia D. Giuseppe. - Arcore: Levata D. Giuseppe. - Arena Po: Ascani D. Angelo, Arcip, Vie. For.
B) - Bertinoro: Gabrielli D. Luigi.
C) - Camaiore : Papini D. Carlo. - Carmignano Lecchini D. Tito, Vic. For. - Carpenedolo: Guastaldi D. Giuseppe, Curato. - Castellalfero: Molino D. Giuseppe, Parroco. - Castellazzo Serralanga di Crea: Pasino D. Secondo. - Celle Enomondo : Teol. Giuseppe Arditi. - Oivata : Mambretti D. Pietro, Parroco. - Cosola : Callegari D. Paolo. Parroco.
F) - Fagnano: Simoni D. Federico, Rettore. - Fornovo di Taro: Orsi D. Marcello, Arcip. - Frassenetto : Giorgis D. Giuseppe.
G) - Gaglianico: Ramella D. Luigi. - Gubbio: Silvestrelli D. Angelico, Canonico.
L) - Livigno : Volgoi D. Cirillo, Prevosto. - Lomello: Pistoia D. Pietro. - Longare: Dalla Costa Don Giacomo, Parroco.
M) Malegno : Clementi D. Clemente. - Melegnano: Sala D. Giovanni. - Minerbe: Zilotti D. Luigi. - Mirano: Michieletto D. Federico. - Monforte d'Alba: Dallorto D. Bartolomeo. - Mongrando : Barbero Don Lorenzo. - Montemagno : Ferraro D. Pietro.
N) - Noli: Descalzi D. Luigi.
P) - Perarolo Cadore: Gregori Don Arcangelo. - Perletto: Bovio D. Felice. - Ponte S. Fietro: Torri D. Giusepe. - Portula Matrice: Comella D. Benedetto. - Potenza Picena: Boschi D. Luigi, Parr. Vie. Por. - Prata di Pordenone: Cuni D. Francesco, Capp.
R) Rancio di Lecco: Barone D. Luigi, Parroco. - Rieti: Giardini D. Pietro, Can. Rett. Sem. -Rocchetta Ligure: Carezzano D. Giovanni, Rettore.
S) Salsomaggiore: Martini D. Giuseppe, Econ. Spir. - S. Giorgio di Richimelda: Bertocco D. Giacomo, Capp.° - S. Giusto Canavese: Giuliano D. Giovanni. Capp.° - S. Lorenzo di Fossano: Ciocca D. Francesco - S. Pietro Morubio : Facincani D. Luigi. - S. Raffaele e Cimena: Teol. Sacco D. Simone. - S. Vittore Olona: Riva D. G. Battista.
T) - Tenda: Lombardi D. Giuseppe.
V) - Valloria: Bronda D. Felice, Arcip. - Vazzola: Zanetta D. Domenico. - Viarigi: Griva D. Giuseppe, Prev. - Vinovo : Matta Teól. Avv. Eugenio, Prev. - Volterra: Scotti D. Attilio, Parroco.
A tutti questi presentiamo i più vivi ringraziamenti a nome del R.mo Sig. D. Rua il quale invierà loro il relativo Diploma. Noi continueremo la pubblicazione degli altri in altri numeri. Se poi qualcuno degli antichi nostri Direttori e Decurioni non avessero ancora il Diploma grande, non hanno che a farne richiesta alla Direzione del BOLLETTINO, Via Cottolengo, 32, TORINO.
Ai RR. Direttori dei nostri Collegi, Ospizi ed Oratori, alle Direttrici delle Case delle Figlie di Maria Ausiliatrice furono spedite le schede per l'Obolo di S. Pietro offerto a Leone XIII dalla gioventù affidata alle cure dei Salesiani di D. Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice durante il suo Pontificale Giubileo. Il Veneratissimo nostro Superiore raccomanda a tutti di promuovere questa sottoscrizione, riempiendo le schede ed inviandole con le offerte raccolte alla Direzione del Bollettino. Le schede si sono mandate in numero abbondante per dar comodità di far sottoscrivere anche gli allievi esterni delle scuole diurne e serali, come pure degli Oratori festivi e dei Circoli per la gioventù.
IN questo mese il cuore dei divoti fedeli si alza verso il grande Patriarca Giuseppe che lo illumina colla sua luce mite e lo rìempe della sua divozìone affettuosa e confidenziale. I Salesiani e i loro Cooperatori amano questo caro Veglìardo dalla barba canuta, dalla fronte serena, dal cuore dì padre amoroso per tutti i nostri bisogni pur temporali. Essi sanno quanto S. Francesco di Sales, loro Patrono, lo venerasse e ne fosse tenerissimo ; essi sanno che D. Bosco lo ha voluto tra i principali protettori della nostra Società e queste sono buone ragioni collettive per amarlo unitamente e quasi direi collegialmente. Ma il cuore di ciascuno già più non sente il bisogno di spinte ulteriori e tutto si muove e dilata nel ripensarlo, nel pregarlo, nell'abbracciarlo spiritualmente.
Quale sorte privilegiata, o caro nostro Santo! Noi ce ne consoliamo tutto con voi: il Bambino quem multi reges voluerunt videre et non viderunt è tuo vezzosissimo Figlio, ti chiama e t'ama quale padre e ti fa al collo dolce affettuosa catena colle sue braccine. Fatto grande Colui che, se il capo accenna trema l'universo, si china a te obbediente e ti serve nei penosi lavori dove il corpo s'incurva e l'anima s'umilia. Maria poi, oh Maria è la prima che ci insegna ad essere tuoi devoti. Essa ti ha conosciuto, apprezzato ed amato. Quale fortuna, o S. Giuseppe ! Ma noi non tessiamo il tuo panegirico, vogliamo solo effondere verso Te il nostro cuore cristiano e salesiano; e mostrare quanto dobbiamo volerti bene se desideriamo, come è nostro dovere, che le nostre officine, i nostri laboratorii, rechino veramente tutti quei frutti che sono nel loro instituto ed erano nell'intento del loro ideatore.
Laboratorii che pretendessero prosperare e fruttificare materialmente e spiritualmente senza amarti molto, o S. Giuseppe, sarebbero la negazione dei laboratorii, delle officine cristiane. Perchè, che cosa può preparar quella mano, che non ti manda baci, se non sommovimenti e turbolenze domestiche e sociali ? Come può incurvarsi nella tensione dei muscoli la intera persona se non circola nelle vene e nella mente l'allegrezza di una pace serena che nasca dai tuoi esempi e dalla tua benevolenza ? L'anima che non t'ama ha fremiti sordi ed erra sinistramente dall'ebbrezza della gioia bettoliera alla imprecazione dell'invidia e dalla lotta sociale. Chi invece t'ama conosce ancora l'onesta e lieta fatica; l'appagamento dei modesti e sani desiderìi non gli fa desiderare il sovvertimento di tutto l'universo crollante nello sforzo sansonico di un egoismo larvato. No, esso è pago quando il suo pensiero unisce e colorisce delle più vive tinte due lavoratori, due operai, due artigiani, Te e Gesù, e chiede alla giornaliera e settimanale fatìca il timido diritto di entrar anch'egli a parte del quadro celeste della Casa di Nazareth !
O S. Giuseppe, nè il tuo divoto è un ignaro ! non è un ilota abbrutito dalla secolare abiezione come gli van gridando i nuovi cerrettani di quella gran fiera che è il mondo. No ; la sua anima sente vigorosa la sua dignità, non la abbassa, non la vende no; esso aspira a una libera bottega con nessuno di mezzo tra lui e il consumatore. Sa che la grande industria glie l'ha distrutta nella crudele sua marcia conquistatrice, questa sua modesta bottega ch'era in cima ai suoi sogni. Oh la grande industria e i brutali appaltatori di merce umana, hanno disprezzato molto la dignità d'operaio che si sacrava nel tuo esempio, o S. Giuseppe, ed ora negli scuotimenti e nelle strette furiose del salariato delibano il calice della loro cieca stoltezza che sarà forse di cicuta. Non t'amavano, o S. Giuseppe, non ti volevano nelle società operaie. Meglio così. Troppo sapevano che la loro era la causa della sfrenata concorrenza, della smania d'arrichire purchessia, dell'egoismo selvaggio. Tuttavia o S. Giuseppe, risparmia al nostro, risparmia a tutti i paesi la terribile logica degli avvenimenti, risparmia agli stoltì che hanno inculcato la profanazione delle feste e il lavoro notturno (l'immorale!) per non perdere i quattrini del riaccendimento delle macchine, risparmia, sebben non lo meritino, lo sfracellamento vandalico di questi mostruosi ordigni che essi hanno troppo amato e preferito all'uomo, pur sempre uomo, sebbene umile operaio.
Tu, come il tuo figlio, non vuoi la morte dell'errante, non vuoi la retrograda distruzione dei mezzi della civiltà odierna, ma vuoi che le macchine sian schiave dell'uomo non il contrario; perciò tu vuoi che il riposo festivo e notturno - costi quel che vuole -- sia osservato tu vuoi che la donna sia zitella pudica, sposa buona e fedele, madre amorosa, però non vuoi che sia logorata e deflorata nelle affumicate corsie delle fabbriche ! Bene, o S. Giuseppe ! Dicano quel che vogliono quei che ti disconoscono o t'ignorano, ma tu Divino Legnaiuol di Palestina, Proteggi l'officina;
Oggi non son più sole le faville Che dai carboni ardenti
Il mantice solleva ; occulti venti Ben altra fiamma or destano...
Ma tu, o San Giuseppe , tu o Patriarca dei lavoratori cristiani
... la pace vi stendi
Che consolava il povero tuo tetto Quando dell'alba allo spuntar, Maria Nel lavor giornalier teco s'unia E ti scherzava ai piedi il benedetto Dei secoli aspettato Pargoletto.
Il sacerdote GIOVANNI PAGELLA, salesiano, organista della chiesa di S. Giovanni Evangelista di Torino, la cui perizia dell'arte musicale è ormai nota anche all'estero, sta attendendo (come già hanno annunziato anche i giornali della penisola), all'orchestrazione di un poderoso lavoro dal titolo Job (Giobbe), dramma sacro in un prologo e due atti, di genere assolutamente nuovo ed originale. Il libretto, eminentemente drammatico , è composto con frasi latine scritturali, ed è modellato sulla forma semplice, severa, grandiosa del dramma greco. Ne è autore il sac. dott. Paolo Ubaldi, salesiano.
I
Un desiderio di D. Rua. - Emigrazione ed agricoltura. - Plauso della stampa. - Diffusione della lingua italiana. -Primo campo della protezione salesiana all'emigrato. - L'Italiano in Argentina e sue condizioni economiche.
IL desiderio manifestato dal venerando nostro Superiore, Don Michele Rua, nella sua circolare annuale ai Cooperatori ed alle Cooperatrici salesiane, di considerare l'opera di assistenza agli emigrati italiani, insieme collo sviluppo delle colonie agricole, come l'oggetto principale dell'attività de' suoi figli e della beneficenza dei benemeriti Cooperatori nel corrente anno, ci determinò a riprendere ed anzi a maggiormente sviluppare nel Bollettino la parte che riguarda l'emigrazione.
I nostri lettori hanno già potuto conoscere, e dalle lettere dei Missionarii e da parecchie corrispondenze dalla Francia, dal Belgio e dalla Svizzera, il lavoro fatto dai figli di D. Bosco a vantaggio degli infelici nostri connazionali, obbligati ad emigrare, per procurarsi il pane della vita. Essi sanno che l'opera del Missionario non si limitò solo a sorreggere o far rivivere la fede nell'emigrato; ma che, spesse volte, gli procurò pure i mezzi materiali, per una meno ingrata esistenza nel doloroso esilio.
Non ci è possibile ripetere qui il plauso, con citi da ogni condizione di persone e dalla pubblica stampa venne accolto l'invito, o meglio, la nuova crociata bandita dal Successore di D. Bosco a difesa dell'emigrato italiano. « Essa, scriveva un chiaro pubblicista, costituisce, in un col salutare richiamo ai campi, un documento di vero patriottismo e di profonda conoscenza dei bisogni dei tempi; mentre è pure un indizio splendido della continuazione della provvidenziale opera santificatrice di D. Bosco. Poichè, come D. Bosco abbracciò, per santificarle, le aspirazioni industriali de' suoi tempi; così D. Rua, pur continuando nella via di un pratico progresso industriale ne' suoi laboratorii, compie l'opera santificatrice di D. Bosco e assecondando le odierne tendenze agrarie nello sviluppo delle colonie agricole, e riparando, nell'assistenza agli emigrati, gli effetti di uno sbrigliato industrialismo ».
Già iniziata nel Bollettino la parte agraria, colla pubblicazione di una serie di articoli, che sono da considerarsi come l'introduzione alla cronaca delle nostre colonie, dove si attuarono o si va incominciando a mettere in pratica le razionali teorie agrarie solariane; non ci rimane che di riprendere questa parte intorno l'emigrazione, per compiere il desiderio di D. Rua. Ed a questo desiderio speriamo soddisfare appieno, proponendoci noi di far pur rilevare come, coll'opera di protezione agli emigrati, si vada compiendone dai Salesiani una non meno simpatica e geniale, quale la diffusione della lingua italiana: diffusione che si opera sotto l'impulso di due grandi e potenti amori ; l'amore al Sommo Pontefice e l'amore a D. Bosco : chè, italiani entrambi, questa lingua parlarono e in questa lingua scrissero con intelletto d'amore.
E noi siamo lieti di poter incominciare la pubblicazione di una interessante relazione sugli emigrati italiani in Argentina: la terra classica e dolorosa, almeno per la fede, dell'emigrazione italiana, ed anche il primo campo del lavoro salesiano, nell'assistenza all'emigrato e nella diffusione della lingua italiana. Infatti, quando, nel 1875, i primi missionarii Salesiani, capitanati dall'intrepido Mons. Cagliero, giunsero nell'Argentina, il principal lavoro di essi, che si addestravano alle interne esplorazioni della Patagonia, era l'occuparsi degli italiani. Per essi la Chiesa di Mater misericordiae in Buenos-Aires divenne una vera parocchia italiana, con funzioni e predicazione, interamente all'italiana. I buoni emigrati corrisposero mirabilmente alle cure dei Missionarii e le relazioni di vicendevole affetto divennero così intime e forti che, per assecondare i vivi desiderii di quella popolazione, si fondò, or sono tre anni, un collegio per l'istruzione e l'educazione della gioventù italiana.
Ma, prima di procedere oltre, ci sembra conveniente dire in breve qualche cosa sulle condizioni generali degli emigrati in Argentina.
Il loro numero è grandissimo, e la statistica approssimativa del 1900 li faceva salire alla cifra, veramente enorme, di oltre 675.246, contandone la sola capitale 181.693. Tutti gli emigrati delle altre nazioni, riuniti insieme, non raggiungono il numero degli italiani. Vi sono a Buenos-Aires dei sobborghi, come la Boca, e delle colonie numerose nelle provincie, come a S. Fè, formate quasi unicamente da Italiani. I quali trovarono finora protezione e favore presso il Governo a motivo della loro laboriosità e, diciamo pure, della necessità che si ha di essi pei bisogni dell'industria, e del commercio, ma sopratutto dell'agricoltura.
Gl'indigeni, riottosi ai lavori pesanti, concentrano tutti i loro sforzi ad ottenere un impiego qualunque. Da tutte le parti d'Italia indistintamente affluiscono gli emigrati, ma un po' di più dalle provincie meridionali. Al loro arrivo, fatte poche eccezioni, tutti cercano d'impiegarsi nell'arte o professione che esercitavano in patria. Generalmente i piemontesi ed i lombardi si dedicano all'agricoltura; i genovesi al commercio e quelli dell'Italia meridionale ai lavori manuali o al commercio minuto, facendosi venditori ambulanti di carne, frutta, verdura, ecc.
L'influenza che il loro numero esercita sulle Autorità è grande. Ed a provarlo basta il fatto che due anni fa, trattandosi di gravare la popolazione di nuove imposte commerciali ed industriali, gli stranieri organizzarono due comizi composti, il primo di 30.000 commercianti ed il secondo di 50.000 industriali, coll'intervallo di una settimana l'uno dall'altro, ed ottennero così che le nuove imposte fossero ridotte a termini più ragionevoli e più conformi colle esigenze degli affari.
Le condizioni economiche degli emigrati nella Repubblica Argentina sono più o meno buone a seconda la loro abilità. Quanto agli agricoltori, il loro salario non supera in via ordinaria L. 3,20 al giorno, ma si eleva fino a 10 e 12 lire nel tempo della mietitura. In tale epoca avviene però che molti si espongono ad un lavoro ecccessivo, per amore di lucro, con grave danno della salute. I coloni indi hanno due nemici fatali nelle brinate intempestive, che cadono ordinariamente a primavera avanzata, e nelle locuste affamate che, arrivando quando meno si aspettano e in quantità favolose, distruggono in pochi giorni i raccolti più fiorenti, cagionando ai poveri coloni un danno incalcolabile. Nei tempi passati, gli emigrati, specialmente gli agricoltori, appena giunti divenivano qualche volta vittima di indegne speculazioni da parte di alcuni trafficanti, che profittando della loro inesperienza o promettendo loro mari e monti, li conducevano in territori lontani dalla Capitale, e dopo d'aver sfruttato i loro sudori per qualche mese, li rimandavano privi del salario convenuto. Da alcuni anni, si è stabilito l'ufficio d'immigrazione, che funziona seriamente, e questi scandali non si vedono più.
Il salario dell'operaio dell' industria è abbastanza elevato. Un falegname, p. es. un sarto, un muratore di abilità comune, guadagna in Buenos-Aires, in media 7 lire al giorno e, dedotte le spese di vitto (che sono assai modiche) e di vestito, egli può mettere da parte comodamente almeno la metà.
Eccettuato l'emigrato che spreca in vizi e bagordi, colui che lavora, si trova nella Repubblica Argentina in uno stato economico, del quale non potrebbe ragionevolmente lamentarsi. (Continua.)
MATTO GROSSO
In mezzo alle tribù dei Bacairjs e dei Cajabis.
(Relazione di D. Giovanni Balzola *)
Ciò non ostante asciugate tutte le cose il 12 giugno 1900 ci mettemmo nuovamente in viaggio e dopo due ore, ci incontrammo in una seconda cascata più grande della prima. Ancora impressionati dal primo naufragio si credè di passare a riva e con una fune tragittare le canoe. La cosa riuscì a meraviglia e dopo un po' di tempo noi riprendevamo il il largo. L'ansia di incontrarci con gli Indi si aumentava ogni momento, ed il giorno 13 navigavamo da mezz'ora quando acute strida e battiti di mano rivolse l'attenzione nostra alla riva, destra del fiume. Era un Indio che c'imponeva di tornare indietro minacciandoci con segni che più in giù avremmo trovato molti selvaggi con freccie. Subito rivoltammo le canoe accostandoci alla riva opposta del fiume, mentre dalla barca si mostrava all' indio chi una coperta, chi un coltello , altri ancora gingilli e braccialetti. Egli allora parve placarsi, ma pur borbottando parole non intelleggibili , ci imponeva di ritornare sui nostri passi. Quando però vide staccarsi una delle piccole canoe e andare verso la riva ove egli si trovava, furibondo corse nella foresta e pochi minuti dopo ricompariva armato di frecce, mostrandoci il luogo ove dovevamo porre gli oggetti. Poi urlando con una cadenza quasi interrogativa di cui non comprendevamo che le parole: Arrú que cho ? Arreru? si ritirò nel bosco.
Posti gli oggetti nel luogo indicato e ritiratisi gli uomini, usci l'indio con un altro compagno che con gioia indicìbile si gettarono sopra agli oggetti. Osservai che la loro predìlezione era per gli oggetti di ferro.
Raccolsero tutto e facendoci segno di riportare altra roba si ritirarono nella selva. Questa volta volli andare io stesso procurando di poterli avvicinare; ma man mano che io mi appressava, essi indietreggiavano minacciandomi con le freccie di porre ogni cosa al luogo indicato. Visto impossibile di riuscire nel mio intento deposi gli oggetti che essi vennero tosto a prendere e mi feci intendere da loro che andassero a chiamare gli altri Indi. Si ritirarono abbastanza contenti e noi ci fermammo fino al giorno seguente, aspettando che giungesse qualcuno di loro, ma più nessuno comparve. Tuttavia la nostra missione dava già molto più a sperare poichè gli Indi che avevano ricevuti i nostri regali avrebbero fatto conoscere agli altri il nostro modo di trattarli e senza dubbio si sarebbero avvicinati a coi con meno ferocia.
Peripezie e gravi pericoli - Altri piacevoli incontri -- Tra i bambini Cajabis. - Ispezionati dagli Indi - La cassetta nera - L'inquisizione sulle canoe.
Animati dalle buone speranze ci imbarcammo nuovamente il 14 giugno , senza non poca trepidazione a causa degli scogli e delle frecce che i selvaggi da un momento all'altro potevano scoccare dalle rive contro di noi. Un ora dopo un'altra grande cascata d'acqua venne ad abbattere in parte il nostro coraggio. Per evitare maggiori pericoli gli uomini scesero nell'acqua e alla meglio cercavano di guidare a mano le canoe, quando giunti nel forte della corrente, una povera barca venne gettata con impeto contro uno scoglio, lanciando a tre metri di distanza il povero uomo che la faceva da pilota. Quasi non bastasse questo grazioso complimento, un secondo, volendo drizzare la canoa, si ebbe un tal colpo nel petto che lo fece immantinente sputar sangue, ed un altro marinaio ne riportava gravi ferite alle gambe. Dinanzi a tale pericolo e difficoltà cominciò a scemare il nostro coraggio, ed era più che naturale in tutti il pensiero di far ritorno a Cujabà, tramandando a miglior occasione l'escursione tra quei disgraziati abitatori della foresta. Ma con mia somma meraviglia nessuno osò pronunziare la parola ritorno e così, dopo riparati i danni principali, ci mettemmo nuovamente in viaggio.
Navigammo alcuni giorni senza alcuna novità, ma assai più felicemente, essendo scomparse le cascate e gli scogli ; melanconici e tristi di non incontrare alcun indio, ben sapendo che solo pochi giorni potevamo ancora disporre per loro, poichè la mancanza dei viveri avrebbe sollecitato il nostro ritorno. Finalmente il 18 a sera un primo selvaggio comparve sulla riva del fiume, e al par degli altri gridando e battendo le mani ci faceva cenno di portargli degli oggetti. Fummo tosto da lui, e invece di uno ne trovammo tre. Entrai nel bosco cercando di consegnare nelle loro mani quanto aveva, ma essi con una rapidità ammirabile indietreggiarono. Deponemmo gli oggetti nel luogo indicato e ci ritirammo. Verso notte ci accampammo in un luogo dove numerose erano le pedate dei selvaggi, tra le quali non poche quelle dei bambini, per cui giudicammo non essere tanto lontana la loro aldea principale.
Passammo la notte senza alcuna novità e disturbo ed all'indomani stando per scendere alle canoe comparvero sulla riva sinistra del fiume altri cinque Indi che gesticolando ed urlando con voce araucana parole per noi affatto incomprensibili, pareva ci domandassero dei nostri regali. Andammo tosto per soddisfarli tentando di poterli avvicinare, ma tutto fu inutile, perchè essi impauriti si allontanarono. Insistendo i selvaggi nella loro monotona cantilena api api chetò arù arùchecò, si procurò di far loro intendere che andassero in cerca di altri, al fine di poterli allontanare e non perdere il tempo a noi preziosissimo; ma non cì riuscì, poiché, essi ci seguirono nel viaggio dalla riva del fiume. A misura però che si andava avanti aumentava il loro numero e tanto che giunti ad un punto, per loro veramente strategico, data la posizione del luogo, ebbi fortemente a temere della nostra vita. S'immagini, o amatissimo Padre, che dalla parte ove essi trovavansi, si innalzava una bellissima collinetta che gradatamente veniva a terminare sulla spiaggia del fiume. Gli Indi occupavano la sommità e la base, e qualora avessero voluto, avrebbero potuto ingaggiare cori tutta sicurtà una lotta veramente mortale per noi. Tuttavia, confidando che la divina Provvidenza avrebbe piegati i loro cuori a riceverci con buone disposizioni, approdammo alla riva opposta, e sulle due piccole canoe si andò a portare oggetti alle turbe dei selvaggi che colà si erano radunati. I primi che discesero a terra tentarono di consegnarli nelle mani, ma non fu ancora possibile; solo alla seconda volta altri arrivarono con molta difficoltà ad avvicinarli di più.
Vedendo ciò, alla terza volta andai io stesso con le tasche piene di specchi, collari, coltellini, ed altri gingilli. Giunto con due compagni sulla riva fui subito circondato da sette od otto Indietti, che con tutta semplicità mi stesero le loro manine per ricevere qualche cosa; domandai loro anche qualche regalo, ed essi in cambio mi diedero i loro piccoli ornamenti. Viste tante belle disposizioni, nel dare un oggetto ad un bambino volli stringergli la mano, ma egli spiccò tosto un salto indietro e si diede subito a fuggire. Tutti gli altri lo imitarono spaventati ed io considerato che ciò poteva ridondare a mio pericolo, mi affrettai a richiamarli indietro offrendo loro oggetti migliori. Ritornarono, ma con molto timore, tanto che per consegnar loro quei giocattoli dovetti stendere ben bene il braccio ricevendoli essi sulla punta delle dita... Nello stesso tempo gli altri della comitiva dall'altra parte si industriavano di fare altrettanto, ma non poterono mai effettuare il cambio degli oggetti da mano a mano. Lasciati i primi mi accostai a quest'ultimo gruppo e con tutte le maniere possibili cercai di avvicinarmi a loro. Vi riuscii, ed avuto in cambio da un giovanetto una zucca piena di una specie di farina che egli mangiava con grande avidità, sempre sorridendo tentai di accarezzarlo, ma egli, sospettando male, indietreggiò subito. Gli feci intendere che io non gli voleva fare alcun male, e per provargli che diceva il vero mi avvicinai ad un vecchio che con compiacenza e soddisfazione sorrise alle carezze che gli prodigava.
Quei poveretti vista la nostra benevolenza per loro ed il nostro modo di trattarli, s'avvicinarono senza paura e presero subito ad ispezionarmi da capo a fondo, meravigliandosi di tutto, ma specialmente delle scarpe. Mi frugarono nelle tasche, mi tastarono da ogni parte quasi ad assicurarsi della mia persona, mi tolsero il piccolo temperino ed altre piccole cose...; volevano perfino il Crocifisso e lo Scapolare della Madonna: tutto ciò che toccavano si credevano in diritto di approppriarselo. La peggio toccò ai miei compagni che furono costretti a cedere persino la camicia ed il cappello. Gli Indi vedendo tale cosa intendevano che io facessi altrettanto e si meravigliarono come io usassi di quel vestito tutto speciale. Procurai di far loro comprendere che io non poteva ridurmi a tale condizione ed intanto offriva loro altri oggetti e vestiti per donne e bambini. Tra quei 150 Indi comparvero solo due donne che si avvicinarono molto volentieri a ricevere vestiti, coperte, collari ecc.
Intanto mentre avveniva la perquisizione sulle nostre persone feci cenno al catechista Silvio che ritraesse con la macchina fotografica quel gruppo così strano e per me tanto consolante. Ma gli Indi appena videro le posizioni del fotografo con quella cassetta nera, si allarmarono di spavento e immaginando chissà qual pericolo tentarono di fuggire. Fu necessità di privarci di quella fotografia che sarebbe stato un vero regalo per i lettori del Bollettino, affine di non incutere a quei poveri figli della foresta altri tìmori e gravi sospetti.
Mentre stavamo scambiando oggetti, all'improvviso sbucarono dalle selve 14 giganti selvaggi ben rubusti, dall'aria grave e seria, armati di tutto punto. Dal loro incedere e dagli occhi sfolgoranti dall'ira giudicammo trattarsi di cosa seria con grave pericolo di noi tutti... Alcuni però degli Indi che ci circondavano, si diedero tosto a gridare ed a far cenno che noi eravamo loro amici e benefattori, e tosto essi si avanzarono con meno ferocia e con strana curiosità. Fui il primo ad incontrarli offrendo loro fazzoletti, coltelli. specchi e ben presto cambiarono idea a nostro riguardo.
Trattenendomi con gli Indi mi fu giuocoforza arrendermi a cantare e danzare con loro il barucurù; cosa che mai feci coi Coroados, ma che in quel momento giudicai opportuna e conveniente. Buone erano le loro disposizioni pel Missionario, e trovai il loro cuore molto pieghevole e riconoscente. Un vecchio ricevuto da me un coltello, tutto lieto andò a distaccare un ramo da un albero e poi piegandolo fingeva tagliarlo coi denti di cui era affatto privo; usò subito del coltello avuto in regalo, dandomi con ciò a vedere di quanto utile era per lui un oggetto di così poca importanza... Poveretti! Quante cose ricevettero essi come cadute dal cielo, perchè era la prima volta che gli Indi di quelle selve giungevano a trattare con persone civilizzate! Appena arrivati quei 14 Indi sospetti, altri incominciarono a discendere nelle canoe, limitandosi da prima a scambiare gli oggetti coi miei compagni che vi stavano sopra, ma poi senza più badare ad altro presero a servirsi da sè, portandosi via cose affatto indispensabili per noi, ed entrare persino nella mia baracca a togliermi la coperta e il guanciale, ad aprire il baule e portarmi via i libri. Buon per me che in quel momento vi giunse il capo spedizione che fece loro deporre ogni cosa ad eccezione della coperta. Visto il pericolo a cui poteva andare incontro, egli pose allora in custodia della mia tenda un nero, a cui gli Indi corsero tosto con la lancia a raschiare la pelle credendo fosse dipinto. Altri diedero l'assalto alla cucina portando via chi una pentola, chi il secchiello, chi dei cucchiai ecc... tanto da porre il povero cuciniere in un vero imbarazzo. Non l'avrebbero più finita se avessi ancora permesso loro questa invasione sulle nostre canoe, per cui invece di andare alla aldea dove essi ci invitavano, e che non doveva essere tanto lontana, credei bene di tornare alle navi, facendo loro intendere che saremmo andati a prendere altri oggetti e che dopo sette lune saremmo stati di ritorno. Prima però di separarmi definitivamente da loro distribuii a ciascuno una medaglia di Maria Ausiliatrice, che essi ricevettero con molto piacere, avendola veduta al collo di tutti coloro che mi accompagnavano. Domandandomi poi qualcuno il Crocifisso che portava sul petto, mi approffittai dell'occasione per prenderlo tra mano e baciarlo, e inginocchiandomi far segno che quell'Uomo che stava sulla Croce era Dio, Creatore del cielo e della terra, col quale andremo dopo morte. Stettero molto seri a questa mia professione di fede e poi diedero in una solenne e seria esclamazione che pareva volesse dire: Abbiamo tutto inteso.
Separazione - Nuove fatiche - Alto tradimento - Audacia inaudita - Altre difficoltà e tristi conseguenze.
Omai stanchi ci ritirammo sulle navi per ritornare alle case nostre, perchè sprovvisti del vitto necessario e perchè l'escursione era pressochè compiuta. Gli Indi però chi con buon fine e chi con perverso intendimento non vollero lasciarci e ci accompagnarono dalle due rive del fiume. Erano già le due e noi eravamo ancora digiuni, per cui facendo forza ai remi stabilimmo di andarci a fermare sulla spiaggia dove alla notte antecedente avevamo pernottato, fiduciosi di poter perdere la compagnia dei selvaggi che omai ci era di vero imbarazzo. Ma arrivati colà dopo due ore di viaggio, ci sorprese una turma di Indi che già ci aspettava e che subito entrò nell'acqua per facilitare l'approdo delle canoe alla riva. Dall'altra parte una cinquantina di essi si era gettata a nuoto per raggiungere i nostri legni, mentre i primi saliti sulle canoe si diedero a portar via quanto capitava loro tra mano. Ciò poteva far perdere la pazienza a qualcuno della comitiva e dar motivo a distruggere quanto si era operato; per cui risolvemmo di continuare nuovamente il viaggio sino a tanto di vederci liberi da quegli importuni. Alcuni però di essi insisterono nel volerci accompagnare, ciò che essi fecero anche contro le nostre rimostranze. Del resto a noi non sembrava di dover temere alcun che di male, pensando che buone erano state le nostre relazioni tenute con essi, perciò con tutta tranquillità e a tutta forza si ripresero i remi. Quand'ecco pochi minuti dopo vediamo cadere nell'acqua una freccia, e poi un'altra ed altre ancora, e tutte in direzione delle canoe. Credemmo in sulle prime che fossero come regali che gli Indi intendevano lasciarci prima di separarci forse per sempre, ma una freccia che venne a sfiorare la faccia di un pilota ed altre ancora che tentavano perforare da parte a parte i nostri schifi, ci fecero pensare alla realtà delle cose. Subito i due uomini che stavano sulla canoa perseguitata si gettarono nell'acqua, gridando a noi che ci allontanassimo a tutta forza, perchè ancor noi potevamo esser presi di mira dagli Indi.
Intanto questi continuavano la loro scarica sull'altra piccola canoa, costringendo coloro che vi stavano sopra a gettarsi nel fiume se volevano salvarsi. Il pericolo era grave ed imminente e noi ci affrettammo a vogare a doppio remo, ma ben presto giunsero le frecce anche in nostra direzione. Mentre raccomandava la calma a chi mi accompagnava, un'aacutissima freccia, sibilando come il vento mi sfiorava la testa portando via il capello. Gridai tosto ai compagni di usar prudenza, di non far fuoco ancora, perchè la cosa si sarebbe aggravata di più.
E fu veramente provvidenziale il saperci tutti tenere dall'usar le armi, potendo in pochi minuti fare più di 200 tiri, cosa che sarebbe stata di tutto nostro danno e di morte certa, essendoci poi impossibile salvarci nel fiume contro gli assalti delle centinaia e centinaia di selvaggi che dalla vicina aldea, potevano correre in aiuto degli assaliti. Dopo breve tempo cessarono le frecce e noi riuniti in mezzo al fiume stavamo pensando al da farsi in quei critici momenti, quando comparve sulla spiaggia il capo dei nostri assalitori, il quale cantando e danzando ci domandava degli oggetti, come se nulla fosse avvenuto. Un lampo di sdegno brillò in quell'istante sugli occhi di tutti, ed avrebbero certo dato di mano ai fucili e alle carabine , se la mia proposta di soddisfare il crudele selvaggio, come cosa migliore e più rassicurante in quel momento, non li avesse calmati. Poco dopo lo stesso individuo che pel primo aveva ricevuto le frecciate, sbarcava a riva, consegnava degli oggetti e tranquillo ritornava tra noi. I selvaggi si ritirarono schiamazzando nelle selve.
Era omai notte e noi digiuni dalla sera precedente, scoraggiati dal tradimento degli Indi, non sapevamo a che risolverci. Si distribuirono alcune gallette e poi seguimmo a navigare fino a notte avanzata. Si approdò dopo due ore di viaggio affine di prendere un po' di riposo; ma quasi tutti dovemmo dormire rannicchiati sulle canoe, essendoci affatto impossibile raggiungere la riva che era assai alta, col pericolo di soprappiù di essere presi a frecciate anche di notte. E poi come poter riposare dopo una giornata cosi disastrosa ? Il giorno dopo, altre difficoltà sorsero a contrastare il nostro ritorno. Risalire il fiume colle canoe era impossibile a causa della cor rente forte, per cui dovemmo risolverci di viaggiare alcuni per terra sulla riva, mentre gli altri con pali e con remi appoggiati alla sponda si aiutavano a spingere in avanti la canoa. Ma non tardarono a farsi sentire le dolorose conseguenze di un si strano modo di viaggiare, ed uno dopo l'altro quasi tutti caddero gravemente infermi tanto da mancare il personale necessario per le canoe, dovendo i convalescenti spesse volte sostituire chi cadeva ammalato, e financo noi dar di mano al remo, se volevamo proseguire il ritorno.
(continua)
EQUATORE
Attraverso le foreste del Vicariato Apostolico di Mendez e Gualaquiza. (Relazione di D. Francesco Mattana. *)
Il coraggio alla prova - Forza dell'esempio - Sonno fuggitivo e bagno involontario - Nella valle di Junganza - Incontro dei Brujo Papué - Segnale di redenzione - Il capitan Sandro.
ALLE ore 12 il Iivaro Cepiti, figlio dei Capitan Tucupì, dopo molte prove potè passare a nuoto alla sponda opposta e ritornare a noi, che lo aspettavamo impazienti e desiderosi di sapere se il fiume si poteva guadare. Ci disse che il fiume era pericolosissimo perchè assai profondo, impetuoso e torbido; e che solo i Iivaros più valenti nel nuoto e di statura più alta avrebbero potuto guadarlo non però senza gran pericolo della vita. Udendo ciò tutti si disanimarono e non vi fu chi per il primo si esponesse a transitarlo. Io procurava di animarli perchè passassero tutti uniti tenendosi per mano e formando tra tutti come una sola catena per aiutarsi vicendevolmente a far fronte e vincere l'impeto e le onde spumanti del fiume. Però lo scoraggiamento era tale in tutti, che tanto i cristiani quanto i Iivaros, procuravano di dissuadermi dal voler per quel giorno guadare il fiume. Aspettare sulla sponda fino al giorno seguente mi era impossibile, perchè i densi e neri nuvoloni che coprivano il cielo, annunziavano nuove e torrenziali pioggie, e per conseguenza crescendo assai più il fiume ci avrebbe sequestrati per più giorni, ci sarebbero venuti meno i viveri per il rimanente del viaggio e gli stessi Iivaros si sarebbero disaminati e fors'anche ritornati alle loro case. Verba movent, esempla trahunt, pensai fra di me: epperò armatomi di un forte bastone, levatami la veste talare, le scarpe e tutti i vestiti meno i calzoni e la camicia, fatto il segno di S. Croce e accompagnato dal Iivaro Giovanni Cayapa di Gualaquiza, uno dei Iivaros più forti della comitiva, entrai nel fiume. Andai avanti, in nomine Domini, finchè le acque, superate le mie spalle minacciavano di affogarmi, ma camminando e nuotando, in pochi minuti passai il pericoloso fiume e giunsi alla sponda opposta. I cristiani e i Iivaros, pieni di meraviglia, perchè mai si avrebbero pensato che io attraversassi per il primo il fiume, stettero sulla riva guardandomi con occhi pietosi e quasi sicuri di una disgrazia. I Iivaros quando mi videro in balia delle onde torbide e minacciose, pieni di tristezza andavan dicendo tra loro: Padre Francisco hogando pensando, e si preparavano a gettarsi nelle acque per salvarmi a costo della propria vita. Qual non fu però la lor consolazione quando mi videro sano e salvo sull'opposta riva! Fuori di loro gridavano: Oh padre Francisco, vos mucho valor habiendo mucho nadar y mucho rio grande pasar sabiendo; e facendosi coraggio gli uni e gli altri imitarono il mio esempio passando, quantunque con grande difficoltà, il pericoloso fiume. Mentre aspettava che i cristiani e i Iivaros guadassero il fiume e trasportassero i carichi potei esercitarmi al nuoto sia per acquistare maggior pratica per passare gli altri fiumi più grandi e pericolosi che dovevamo incontrare durante il viaggio, come per poter dar aiuto ai miei compagni se per caso avessero corso pericolo di affogarsi.
Terminata felicemente questa operazione ci rimettiamo allegramente in viaggio portando ciascuno il nostro carico durante la salita dell'opposta collina. Dopo poche ore di cammino sostiamo, perchè alcuni Iivaros si sentivano poco bene e perchè più oltre non avremmo trovato acqua per bere, per far cucina e per la celebrazione della S. Messa. Piantiamo le nostre tende e mi do attorno a curare gl'infermi e aiutato dal confratello Avalòs e da alcuni Iivaros preparo la cena, mentre gli altri sen vanno a caccia. Quando tutto è pronto, ceniamo col miglior appetito e poscia, preparata la selvaggina, cacciata poc'anzi per il mattino seguente, ci mettiamo pacificamente a dormire. Non è però ancor passato un'ora che comincia a piovere dirottamente e con tale un fracasso di tuoni, fulmini e lampi che pare voglia schiantare tutto le piante della foresta. Per fortuna non ci accade nessuna disgrazia, se si eccettua la fuga del sonno che dovette con nostro grande dispiacere allontanarsi da noi e un buon bagno involontario. Al mattino per tempissimo accendiamo un buon fuoco per asciugarci i vestiti e preparare la colazione. Verso le sei, eretto un rustico altarino, celebro la S. Messa mentre i miei compagni di viaggio fanno la S. Comunione. Terminato il ringraziamento e fatta colazione, ci mettiamo di nuovo in cam mino ed in sul mezzodì raggiungiamo la sommità della montagna che separa Indanza da Iunganza. Sostiamo alquanto per rifocillarci, e gustato il bel panorama della valle di Iunganza, vi discendiamo. In poche ore giungiamo al fiume dello stesso nome e proseguiamo il nostro cammino sulla sponda destra, passando per vari toldi disabitati di Iivaros. Alle quattro di sera passiamo il fiume di Iunganza salendo la rapidissima sponda opposta.
La gran valle di Iunganza si potrebbe porla facilmente in comunicazione con le popolazioni civilizzate aprendo una via da Iunganza a Chordeleg passando per la selva che divide le due parrocchie del Pan e di Chordeleg. Passando per detta selva vengono in mezzo ai civilizzati i Iivaros, che occupano la fertile vallata di Iunganza, al presente quasi spopolata. Il clima di questa valle differisce di poco da quello di Indanza. Non vi sono paludi. Nel centro vi sono pochissime piante, però sono fertilissime le sue falde sulle quali si ha ogni sorta di prodotti. Il fiume è più piccolo di quello di Indanza; scorre da Nord a Sud, e più in giù volta ad Oriente. Iuganza confina: all'Oriente con una cordigliera che la divide da Chupianza, al Sud con un'altra grande cordigliera, detta dai Iivaros Macha; all'Occidente con un monte dello stesso none e che la divide da Indanza, e al Settentrione con le montagne e selve di Chordeleg e del Pan.
Dopo due ore e più di salita essendo ormai notte, alziamo le nostre tende e mentre i Iivaros sono a caccia, giunge un medico Iivaros chiamato Papuè con un suo figlietto di circa dodici anni, che per caso s'aggirava in quel dintorni. Costui era nemico dei Iivaros che ci accompagnavano. Siccome io stava tagliando pali per piantare le tende, il primo incontro è con me. Appena vistomi mi conosce, perchè mi aveva visitato varie volte in Gualaquiza., e salutandomi affettuosamente, fa le più alte meraviglie per incontrarmi solo in quei luoghi tanto pericolosi e remotissimi. I Iivaros che mi accompagnavano, sentito che io parlava con un Iivaro straniero, temendo qualche tradimento, si armano di fucili, lance e coltelli per ucciderlo se mai tentasse qualche colpo: vedendo però che parlava meco famigliarmente e con tutta tranquillità, si tranquillizzarono, non però senza esser venuti fra loro a parole, nè senza aver minacciato il Brujo (medico) Papuè, loro mortal nemico. La presenza del missionario fece però che si trattassero fra loro pacificamente.. Dopo circa un'ora di conversazione Papuè si congeda invitandoci tutti a recarci per un po' di refezione a casa sua distante solo un'ora e mezza di cammino seguendo la stessa direzione sulla via di Medez. La notte è per noi di nuovo insonne per la continua pioggia che ci bagna come pulcini. Al mattino tutto come al solito, ma dopo la Messa, fatta una grossa Croce, si pianta in quel luogo, segnale di redenzione, e poi via.
Oggi la Chiesa celebra la festa di S. Lucia V. M. e noi siamo perseguitati nel nostro cammino da torrenziali pioggie che durano fino alle quattro di sera. Arrivati dopo due ore di cammino alla casa dell'Iivaro Brujo Papuè, e per la fretta non potendo fermarci, mando a salutarlo e a dirgli che lo attendeva il dì seguente ad un tambo vicino, contattai la sua gente per battezzare i fanciulli ed istruire gli altri. Papuè mi fa sapere che è dispiacente di non potermi ospitare in casa sua, mi manda in regalo frutta del suo orto, e promette di recarsi il giorno dopo al luogo indicato.
In sul mezzodì transitiamo il fiume Jananus e poco dopo c'incontriamo in un Iivaro anziano, di circa 60 anni, accompagnato da due donne. Questi appena ci vede per timore, accelera il passo al fine di non lasciarsi raggiungere; ma noi, facendo altrettanto, arriviamo a metterci al suo fianco e così a chiedergli chi fosse, donde veniva, dove andava, se era quello il cammino di Mendez e se avesse qualcosa a darci per mangiare. Udendo che lo si trattava da amico allenta il passo e dice: Yo siendo el capitan Sando taita de Guatinguì Iivaro y de Papuè Iivaro e in qualche modo mi fa intendere che veniva dalla casa di suo figlio Papuè e che andava a casa sua, e che delle due donne, che lo accompagnavano, una era la sua sposa e l'altra una sua parente, che la via da noi battuta era quella che mena a Mendez, e che non aveva nulla da darmi a mangiare. Poscia mi domanda chi fossi e dove andava con quei cristiani. Gli dissi che era il Padre Francisco di Gualaquiza e che andava con regali a visitare i Iivaros di Mendez. Appena sentito il nome di Padre Francisco, siccome tutti i Iivaros dell'Oriente mi conoscono, sorride e mi stende la mano dìcendo: A vos Padre Francisco yo y Iivaros Mendeños mucho queriendo; yo a vos compañando, a mi casa llegando, ahi muchos puercos, gallinas, platano, yuca, camotes, comiendo, parejo conmigo y Iivaros Mendeños viviendo mucho bueno està. E ci fece da guida.
Dopo due ore e mezza di cammino sotto una fitta pioggia e accompagnato dallo stesso Sando discendiamo in una assai triste e malinconica valle. Le continue pioggie ci obbligano a passar la notte sulla sponda del fiume Cumza. Il Iivaro Sando con la sua donna acceso un buon fuoco, si pongono a preparar un po' di cena e gli altri non avendo da cambiarsi ed essendo tutti inzuppati d'acqua, si levano i vestiti per asciugarli al fuoco, rimanendo tutti pressochè seminudi come i poveri selvaggi della foresta.
(Continua).
PUNTA ARENAS (PATAGONIA).- Ci si scrive: « Anche quest'anno abbiamo celebrato una solennissima festa di Maria Immacolata. Preceduta, come sempre, da un mese di predicazione (il mese di Maria, che in America si celebra in novembre), si terminò con una brillante processione nella quale si portò in trionfo la sacra effigie della nostra Madonna. La Comunione generale fu onorata dalla presenza di 65 prime Comunioni, delle quali 42 fanciulle bianco vestite. Più di 400 persone si accostarono alla Sacra Mensa in quel giorno. Alle dieci vi fu Messa cantata con buon coro di musici. La celebrò il Governatore Ecclesiastico assistito da Diacono, Suddiacono e da 40 ragazzi vestiti del piccolo clero. Alla processione della sera vi intervennero tutte le associazioni della Parrocchia, cioè del Sacro Cuore per le Signore, delle Figlie di Maria, di San Giuseppe per gli uomini, di San Luigi pei giovanetti, e del Santo Angelo Custode per le bambine. Chiudeva la processione un dìstaccamento di soldati, colle loro armi e munizioni, guidati da un capitano e da uffiziali. Nel Chili la Vergine del Carmine è dichiarata patrona dell'esercito, ed è onorata come un generale dalla truppa. Noi qui in Punta Arenas non possiamo mai fare la processione nella festa del Carmine perche cadendo nell'inverno vi è sempre neve, fango, freddo e mal tempo, perciò si fa nella festa dell'Immacolata, e l'esercito vi prende parte per onorare la sua patrona. Dobbiamo rendere grazie a Dio che ci ha permesso di fare questa bella funzione, mentre essendo il tempo da varii giorni molto cattivo temevamo di non poterla fare.
» Con questa festa si è ridestata la fede e la devozione verso la nostra Celeste Madre Maria Santissima. Per lo stesso giorno dovevamo avere l'abiura di quattro protestanti di nazione alemanni, ma il demonio invidioso, all'ultimo momento fece ammalare uno dei principali e si dovette rimandare fino a quest'oggi, 18 dicembre. Ricevuta l'abiura furono battezzati sotto condizione e cresimati nella nostra Chiesa di Maria Ausiliatrice. Sono quattro giovani, tre fratelli minorenni e la sorella, di 15 anni, già ammessa alla Comunione, pieni di fede e di amore per nostro Signore e per Maria. Ne sia lode a Dio anche per questo insigne favore che ci ha concesso di vedere aumentare il gregge di Nostro Signore Gesù Cristo ».
ANCONY READING (ISOLA DI GIAMAICA).Le scrivo per notificarlo l'avvenuta ordinazione del novello diacono Tommaso Deehan. In essa è bene notare la circostanza che egli è il primo ordinato in questa isola perchè da più di 300 anni non si tenevano Ordinazioni Sacre: che detta ordinazione è la prima che fa il vescovo Monsignor Gordon, dacchè fu consacrato or fanno più di 12 o di 15 anni : e finalmente che fu tenuta in una cappella di m. 6 X 3 X 3.40 !!
Erano presenti 12 giovani negri, una donna e due uomini parimenti negri, i quali tre ultimi fecero pure la santa Comunione infra Missam. Assistevano il Vescovo, gli unici due preti Salesiani che fungevano pure da accoliti. Il trono fu eretto con una tavola. Non mitra, non bastone pastorale, nessun ornamento pontificale titulo missionis.
Una tempesta in Patagonia. (*)
Il 12 agosto 1892 traversavamo a cavallo le immense macchie di cespugli patagonici, dal Rio Colorado al Rio Negro. Nei giorni anteriori avevano soffiato venti dell'Ovest carichi di sabbia, mentre i cirri biancheggianti verso il Sud segnalavano correnti superiori impregnate d'umidità. Il mattino del 12 l'aria era fosca e scura e andò vieppiù oscurandosi fino ad impedirci verso le 11 ant. di distinguere gli oggetti a due chilometri.
Galoppavamo lungo i sentieri, per giungere ad una strada carrozzabile; ma indarno, che l'oscurità divenne più tetra, e noi ci smarrimmo senza più riconoscere dove ci trovassimo. Al tocco giungemmo per ventura ad un rancho (tugurio), dove ci affermarono che ci eravamo sviati di circa 40 chilometri, Dopo aver ottenute sicure indicazioni, riprendemmo il viaggio malgrado le reiterate e vive istanze fatteci di trattenerci colà. Erano le 2 1/2, l'oscurità divenne generale e dovemmo rifare la via a briglia sciolta per giungere alla strada carrozzabile. Alle 3 1/4 percorrevamo un cammino solitario, senza la prospettiva di una capanna. La nebbia stava per risolversi in uragano. Le prime raffiche ci raggiunsero alle 3 1/2, mentre vedevamo accavalcarsi tumultuosamente le gigantesche nubi d'un colore bigio castagno. La loro forma ed alcuni lampi ci fecero presagire che col vento e colla pioggia irromperebbe violenta la grandine. Il nostro baqueano (guida) ne temeva assai, e ci veniva ripetendo che in quei paraggi le tempeste erano endiabladas (indiavolate), giacche non lontano si trovava il diabolico infiernillo (piccolo inferno), centro del paese dei demoni (Huecufamapù, demoni) come gli Indi chiamano questa zona interfluviale. I timori cominciavano ad avverarsi; s'ingagliardivano i buffi di vento accompagnati da goccioloni d'acqua fredda e torbida ; l'oscurità cresceva pure, e noi si spronava il cavallo per giungere alla prima casa ; ma tutto invano. I poveri animali, per quanto fossero incitati, non vollero più avanzare ; finchè, cavalli e cavalieri, vedemmo la necessità di dar volta sotto la fitta gragnuola. Allora cercammo un riparo tra gli arbusti, ma con poco vantaggio : smontati di sella, ci avvolgemmo nei nostri ponchos, inzuppati non plus ultra, e buon per noi che potemmo valerci di altri mantelli, chè la grandine metteva a prova il nostro cranio. Per noi colle tenebre si fe' notte, e più non si udiva che lo spezzarsi dei secchi arbusti, rabbiosamente percossi dalla tempesta, il sibilante muggito dell'uragano, il rimbombo dei tuoni e la cadenza compassata della grandine che piombava a strati anche sulle indolenzite nostre teste. Frattanto potemmo rilevare il carattere della burrasca : al giungere sul nostro zenit si smembrò in due parti, scaricando grandine da una, dall'altra pioggia solamente. Le nubi, come le onde di un Oceano fieramente sospinte da un ciclone, si soverchiavano le une le altre confondendosi in tetro disordine ; squarciate dalle scariche elettriche che aumentavano la terribili maestà dell'uragano patagonico. I cavalli tentarono parecchie volte di strapparci le briglie di mano, ma dovettero partecipare della nostra sorte. Noi eravamo là rannicchiati sotto annosi e squallidi chañares, e mentre si attendeva ansiosi la fine di quella spaventosa grandinata, la nostra guida intonò varie pietose canzoni di rito in quelle regioni, per scongiurare i geni cattivi divenuti crudeli nello scaraventare chicchi di gragnuola. Finalmente cominciò a scemare il vento, e con esso la pioggia, i tuoni e la grandine, ed il sole riapparve a scaldare il nostro corpo, inzuppato dall'acqua e pesto dalla grandine. Il passaggio dell'uragano avea durato venti minuti, che a noi parvero ore. Come meglio si potè rimontammo in sella, e proseguimmo il viaggio verso Patagones, non senza la scorta delle ultime prove della pioggia, toccando l'abitato quando il sole declinava all'occaso. Vuoi perche non avessimo mai osservato un uragano di tal genere nella Patagonia, vuoi perchè avendolo sperimentato in mezzo alla solitudine, e fosse sembrato uno dei più furiosi , comunque sia ci si scolpi nella memoria come una delle meteore aeree che più impressionano un osservatore.
Pervenuti a Patagones ci venne riferito che anche colà il temporale s'era presentato sotto lo stesso terribile aspetto.
(*) Vedi La Patagonia di D. Lino Carbajal, vol. 2° pag. 86-89.
QUANTA parte che ebbe ed ha la Vergine eccelsa nel corso, nelle battaglie, nei trionfi della fede cattolica, mentre rende più luminoso il consiglio di Dio intorno a Lei, deve altresì sollevare tutti i buoni a grandi speranze per raggiungere ciò che è ora l'oggetto dei comuni desiderii: - confidenza in Maria, preghiere a Maria ! -
Oh! si che questa nuova e sospirata gloria della Religione, che cioè tornino a concordia le menti nel professare una medesima fede, e che un medesimo vincolo di perfetta carità stringa i cuori fra loro, ben potrà Ella per sua virtù affrettarla e compierla!...
» ... E con quali prove di amorosa provvidenza non vorrà lenire i lunghi travagli che per l'unità della fede sostiene la Chiesa, Sposa di Cristo, e far pieno una volta il bene dell'unità della famiglia, che è portato insigne della sua maternità?...
» L'arridente augurio che l'opera non sia così lontana ad avverarsi, par che trovi conferma nell'opinione e nella fiducia calda delle anime pie , Maria cioè dover essere il felice legame, per la cui forza valida e soave, quanti dovecchessia amano Cristo, divengono tutti un solo popolo di fratelli, devoti al suo Vicario in terra, al Romano Pontefice, al Padre comune di tutte le genti! ».
(LEONE XIII. - Enciclica del Rosario 1895).
Un miracolo nel Santuario di Valdocco.
La sottoscritta Marocco Teresa moglie a Bosco Vincenzo da Villanova d'Asti a gloria di Maria Ausiliatrice di D. Bosco riferisce quanto segue:
Io aveva una bambina inferma agli occhi; da ventidue giorni sebbene medicata non poteva aprirli; perciò io ne era molto impensierita. La feci visitare meglio dai medici locali, e questi constatarono che la bambina da un occhio già era cieca, e l'altro era gravemente compromesso ; e m'esortarono a portar subito l'inferma all'ospedale a Torino. Sommamente addolorata seguii con premura il consiglio dei medici, e col mio marito portai la mia bambina all'ospedale oftalmico di Torino. Quivi, visitata tosto dai medici, questi pure dichiararono che un'occhio era perso e dell'altro v'era poco a sperare, e mi mandarono a casa. Sfiduciata, accorata, ricorsi allora alla Madonna di D. Bosco. Portai la mia bambina al suo Santuario in Valdocco; e quivi prostrata a terra colle lagrime agli occhi, ma piena di speranza nella potenza e bontà di Maria SS. la pregai... O Maria, voi, se volete, voi potete guarire la mia bambina; deh ! vi supplico, prendetevi voi il suo male... Prodigio!... In quell'istante la bambina che aveva al seno, se ne staccò, mise un grido, aperse gli occhi e mi guardò... Era guarita!.. Allora mi uscì dalle labbra un grido di gioia. Alcuni che erano in chiesa, accorsero, e videro e piansero con me
Viva dunque Maria! Grazie infinite. Riconoscenza imperitura.
Villanova d'Asti, settembre 1901.
Bosco TERESA nata MAROCCO. Maria Ausiliatrice l'ha salvato.
Il lutto più straziante stava per gettare l'intera mia famiglia nella più grande angoscia. Un mio fratello reduce da un paese vicino, accompagnava un carro carico di vino. Giunto allo svolto d'una via proseguì il cammino senza prevenire il pericolo che lo sovrastava di rimanere schiacciato fra il carro e l'angolo della strada. Giunto al punto fatale, tentò salvarsi allungando il braccio destro, ma ahi, che ne riportò la frattura completa della mano.
Dopo otto giorni di spasimi atroci, il male fece si rapidi progressi, che si convertì in cancrena e si dovette trasportarlo all'ospedale, dove subì l'amputazione dell'avambraccio. Durante questo tempo la febbre giunse al massimo grado ed il delirio perdurò sette giorni. I vari dottori che lo visitarono dichiararono il caso disperato, ed affermarono che solo un miracolo potea salvarlo.
Io che, chiamata d'urgenza, mi trovavo al suo capezzale , angosciata mi rivolsi a Colei che doppiamente mi è madre : - E, tu sola, o Maria, puoi salvarlo, tu sola puoi restituirlo all'affetto dei vecchi genitori, della moglie, di sei bambini ed ai parenti tutti, che ora trepidanti e gementi nel dolore più straziante aspettano l'ora fatale che dovrà rapirglielo per sempre! -Unii una fervorosa preghiera e poi piena di fiducia mi avvicinai al caro ammalato, e gli suggerii di promettere alla Madonna, che se riceveva la guarigione, avrebbe fatto pubblicare la grazia, e sarebbe andato a ringraziarla nel suo Santuario a Torino. Di buon grado accondiscese il fratello, anzi alle mie unì una fervorosa preghiera, ed oh ! meraviglia! La febbre incominciò a diminuire, finchè in pochi giorni potè ritornare in famiglia bell'e guarito.
Oh voi tutti che soffrite, che soccombete sotto il peso del dolore, della persecuzione, dei travagli , ricorrete fiduciosi a Colei che aiuto dei Cristiani s'appella, e non dubitate che per quanto grandi sieno i vostri bisogni, Ella sarà vostro conforto, vostro aiuto, guida sicura, e salvezza !
Gavi, 14 dicembre 1901.
Suor ADELE GEMME. Debito di riconoscenza.
Coll'animo ripieno di gioia depongo, o Madre, ai tuoi piedi questo pubblico ringraziamento acciò serva di esempio ad altri a ricorrere cori viva fiducia alla tua materna carità. Una famiglia di mia intima conoscenza trovavasi nella dura condizione di non potere riscattare la propria casa, in cui abitava ed a cui ciascun membro era legato per ricordo di infanzia e per eredità domestica. Ben tre mila lire di ipoteca, che scadeva il 21 dicembre, vi gravitavano: si era intanto alla fine di novembre e non si erano potuto radunare che due o tre centinaia di lire. La famiglia quindi era tutta nella più grande desolazione, nè sapeva ove rivolgersi od a qual partito appigliarsi: il solo pensiero di dovere uscire dalla propria casa per cederla ad altri, la accasciava sotto il suo peso o non le permetteva un istante di requie.
Nel giorno però del dolore rivolgiti a Maria e ne avrai conforto. Si stabili pertanto di abbandonarci nelle braccia di questa buona Madre, e di invocarne l'aiuto con una novena, e con un pellegrinaggio al suo tempio in Torino promettendo un'offerta in caso di esaudizione. Il poter sollevare la propria preghiera in un tempio così maestoso, davanti alla stessa prodigiosa effigie dell'Ausiliatrice, venerata ormai in tutto il mondo, riempì di fede i due coniugì pellegrini, che ritornando a casa, portarono con sè la vivissima fiducia di un pronto soccorso. Intanto si era alla vigilia della festa dell' Immacolata ed ecco una lettera avverte la famiglia che un venerando Sacerdote, mosso a compassione al racconto delle sue miserie, vuole venire egli stesso a consolarla. Era Maria che proprio nel giorno della sua festa voleva far risplendere il suo patrocinio. Il venerando ecclesiastico infatti nonostante la fredda stagione e la troppo inoltrata sua età, si mette in viaggio per restituire la pace a quella famiglia, e vi giunge dopo tre giorni di ferrovia, proprio il giorno prima che scadesse la ipoteca, la quale perciò potè sciogliersi senza difficoltà il giorno dopo. La famiglia pertanto vivameute persuasa dell'aiuto di Maria in questo fatto, manda l'offerta promessa e prega per mezzo mio di pubblicare questa grazia a comune edificazione ed a scarico di un dovere di riconoscenza.
Oswiecim (Galizia-Austria), 20 gennaio 1902.
Sac. DOMENICO CAGGESE. L'abbiamo invocata e ci ha esauditi.
Egli è col cuore ripieno di gratitudine e riconoscenza che ci uniamo per ringraziare la taumaturga Vergine di D. Bosco per la segualatissima grazia che ci ha ottenuto. Parte per leggerezza e parte per altre cause, che non è qui il caso di nominare, ci eravamo addentrati in un affare, le cui conseguenze erano troppo fatali. Avevamo poste certe cause senza poco o nulla prevederne i disastrosi effetti. I giorni per noi avevano un orizzonte ben oscuro. I mezzi umani si mostravano insufficienti al nostro scopo. Eppure si trattava di salvare il nostro onore, quello della famiglia e di non precipitare troppo le cose. Ci rivolgemmo a Maria Ausiliatrice, che già altre volte ci rivolse benigni i suoi sguardi. Incominciammo tosto una novena, recitando alcune speciali preghiere, ordinammo la celebrazione di una Messa, promettendo di far pubblica la grazia non appena ottenuta. Intanto l'avvenire si avanzava pieno di una dolorosa incertezza. Però la nostra fede non venne meno. Instammo opportune et importune, giurando a tutti i costi di strappare la grazia dalla Potente Ausiliatrice. Nessuno ha mai invocata Maria senza essere esaudito. E perche non avremmo noi avuto motivo di sperare in bene? L'invocammo proprio di cuore, Le domandammo venia dei dispiaceri arrecati a quel cuore tutto bontà e tenerezza verso di noi miseri ed indegni peccatori, promettemmo di imitarla nelle sue virtù. La novena era finita e siccome non ostante le più belle promesse, avevamo agito non troppo conforme alle tristi circostanze in cui ci trovavamo, avevamo ben ragione di temere imminente una catastrofe. lì giorno dopo compiuta la novena, rattristati quanto mai, avevamo intenzione di dar principio ad un triduo con speciale fervore, dettato dalle tristi circostanze d'allora. Ma che? La Madonna volle vincerci in generosità. Mentre stavamo concertando sul da farsi, ecco che la tanto sospirata grazia ci giunge quasi miracolosamente. Onde ci affrettiamo a farla pubblica, unendovi tenue offerta, rincrescendoci che le nostre strettezze non ci permettano di offrire ad una tal Madre un dono più adeguato. In compenso le offriremo i nostri cuori, supplicandola di volerceli purgare, di legarli in santi vincoli nel tempo per stringerli in più santi amplessi nell'eternità. E come la buona Mamma sempre ci ricolmò di doni e di benefizi, così voglia continuare per l'avvenire a tenerci sotto il Suo valido patrocinio, di cui tanto sentiamo il bisogno.
Orio Canavese, 5 ottobre 1901.
G. A. Tessitore.
Troia (FOGGIA). - Non potendo offrire alla Vergine altro che la lode ed il ringraziamento, dacchè si è degnata di guarirmi la mamma; sento il dovere di affidare a cotesto lodevole periodico la pubblicazione della grazia ottenuta. Assalita da una seria infiammazione agl'intestini a causa d'un travasamento di bile cagionato da fortissimo dispiacere, erasi mia madre ridotta agli estremi di vita con assalti sempre tremendi di dolori spasmodici, che le durarono gagliardissimi per otto giorni ed otto notti continui, sino a produrle lunghi svenimenti. Sbalordito col resto di famiglia non sapevo neppure siccome rivolgermi alla Vergine per chiederle la grazia, non foss'altro, di far cessare quei dolori di morte, che facevano contorcere mia madre nel letto sì da non farle trovar sito a riposo. Dalla notizia sconfortante del medico e dallo spettacolo rattristante in famiglia ero più che certo, che la inferma non potesse più essere di questa vita : eran consunte le sue forze, ed il male ingagliardiva ogni dì più. Giunta la notizia a persone divote, vollero esse rivolgere preghiera a Maria Ausiliatrice ; ed oh, sollecitudine maravigliosa della misericordia di Maria! A capo di brevissimo tempo mia madre s'intese come slacciata da quegli acerbissimi dolori, e incominciò a godere di una celere ed insperata miglioria. Oggi, benche ancora convalescente per ragione della grande debolezza, a cui la ridusse il male, ella gode di nuovo nel palpito sincero ed amoroso della mia famiglia, mentre il mio cuore, col grato ricordo delle preghiere delle divote persone, invia le grazie più profonde alla potenza senza limiti di Maria Ausiliatrice di D. Bosco, che m'ha ridonata la mamma.
17 ottobre 1901.
MICHELE PAPPANI.
Marano (VERONA). - Da oltre un anno ero ammalata; soffrivo enormemente nel fisico e nel morale, causa un tumore maligno che aveva nel mio interno. Consigliata da una Figlia di Maria Ausiliatrice di mettere tutta la mia fiducia nella Madonna di Don Bosco pur usando dei mezzi che Dio ha stabilito a salute dell'umanità, lo feci assoggettandomi pur anco ad un'operazione dolorosa e difficile. La mia fiducia non venne delusa ! Maria Ausiliatrice intervenne colla sua benedizione; l'operazione riuscì bene ed ora io posso dirmi completamente guarita. Con cuore pieno di riconoscenza adempio alla promessa fatta inviando tenue offerta.
LEONARDI DOMENICA fu NAVALE.
San Quirico (GENOVA). - Ho sperato in Maria Ausiliatrice e non restai confusa! Per guarire da una lunga e ostinata malattia fui consigliata d'assoggettarmi a pericolosa operazione chirurgica. Lo stato di debolezza in cui mi trovavo faceva temere a' me ed a miei cari che non l'avrei sopportata. Ma una mia cara sorella religiosa mi confortava a sperare nell'intervento di Maria Ausiliatrice promettendomi speciali preghiere pel buon esito dell'operazione per cui mi sottoposi, benche non senza timore. L'atto operativo riuscì perfettamente ed ora sono guarita e nuovamente posso attendere alla mia famiglia. Oh! quanto è buona la Madonna di Don Bosco verso i suoi devoti! Riconoscente per tanta grazia invio una piccola offerta e prego pubblicare la grazia come ho promesso per gloria di Maria Ausiliatrice.
MARIA SALMORIA-RONCALLO.
Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice, e pieni di riconoscenza inviarono offerte al Santuario di Torino, o per la celebrazione di S. Messe di ringraziamento, o per le Missioni Salesiane, o per le altre Opere di D. Bosco, i seguenti
A*)- Ancona: I. C. colpito da fortissima febbre nello scorso agosto, in breve tempo, a detta dei medici curanti, si trovò in fin di vita. Maria però invocata dalla famiglia non permise che venisse a mancare ai suoi quattro piccoli figli, ridonandogli in poco tempo la perduta salute.
B) - Bagolino (Brescia): Fusi Pietro fu Giorgio L. 100 per la perfetta guarigione di sua moglie. Traslocando da un fienile all'altro portava con se dentro un involto una carabina carica, che appena deposta a terra esplose il colpo andando a ferire mortalmente la moglie accorsa in suo aiuto. -.Baldissero Torinese Vergnono Catterina per la ricuperata salute e per diverse altre grazie importantissime. - Belvedere Langhe (Cuneo): Borlotto Paolina per messa di ringraziamento, 3. - Besnate (Milano) : Maria Vanoli per grazia specialissima, 3. - Bettola: Costa D. Giacomo Prevosto per favori e grazie speciali da Maria ottenuet nel decorso anno, 25.
C) - Cagliari: Cospino Raimondo per messa di ringraziamento, 3. - Callao (Perù): Maria Ravano nata Queirolo: « V'invocai, o potente Ausiliatrice dei Cristiani, implorando la guarigione della mia Giannina travagliata da febbre maligna, e Voi, dopo ventun giorno di angoscia e sofferenze, me la ridonaste sana e salva. » - Caluso (Torino) : Boggio Luigia per la guarigione di suo marito da bronco e polmonite, 25 : Tonelli Francesca per avere ottenuto da Maria la grazia della vocazione religiosa: N. N. per diverse grazie ottenute da Maria, e specialmente per la guarigione di un malessere che la travagliava da tempo, e per la ricuperata salute senza alcuna operazione chirurgica della sua cara bambina. - Campodimele (Caserta): De Luca Argia per grazia, 2. - Carrodano Inferiore (Genova) Sac. Bartolomeo Badi Prevosto, a nome di Maria Coltella in Callegari per ringraziamento di grazia che da tempo chiedeva, 5. - Casal Monferrato : Maria Deregibus, educanda nell'istituto S. Cuore, per la perfetta guarigione della zia da improvviso malore alla testa. - Castion. (Belluno) : Un sacerdote della diocesi di Belluno per la ricuperata sanità di mente, che da tempo aveva perduta e che lo aveva fatto soffrire assai. - Catania : Pipitone Antonio studente in Leggi per aver superato felicemente gli esami, 10. - C(falà (Palermo) : Marietta Palumbo per grazie temporali, 5. - Celle Enomondo (Alessandria): Morando Giovanni per la pronta guarigione del figlio Antonio da varie morsicature di un cane, 7. - Cessaniti (Catanzaro) : Sac. D. Ambrogio Nicola per diverse grazie che gli stavano molto a cuore, 10. - Chatillon (Torino): Due Francesca per messa di ringraziamento, 1,25. - Chivasso (Torino) : Vecchia Marina per grazia ricevuta, 20. - Civita Castellana (Roma) : Murio Canee Gregorio per favori speciali ottenuti da Maria, 6.- Colli di Monte Bove (Aquila). Giacomo Manegrossi per una messa di ringraziamento, 5. - Col. S. Giovanni (Torino): S. R. per la guarigione d'una persona a lei carissima, - Costa Vescovato (Alesandria) : Sig. Rovelli Letizia e Clotilde a mezzo del Prevosto Sac. Marcello Gramegna 10 per grazie speciali ricevute. - Cugnasco (Canton Ticino: N. N. per diverse grazie ottenute per se e per la guarigione della mamma.
D). - Demo (Brescia): Lino e Diomira Berti pel loro figlio Emilio guarito da epilesia. - Desenzano sul Lago (Brescia): Bagatta prof. Vincenzo per grazia ricevuta, 1.
F) - Feglino (Gevova): N. N. per aver ottenuto l'impiego a suo marito offre a Maria il suo più caro anello nuziale in rendimento di grazie. - Fontanigorda (Pavia): Biggini Maddalena per le missioni 1,10. - Forte di Valpolicella (Verona) : Rosa Tommasi per la guarigione del proprio marito, 20. - Freyre (Repca Argentina): Sac. Massimo Berga riconoscente a Maria per aver salvato dal suicidio una persona di sua cara conoscenza.
G) - Genova: E. M. per la perfetta guarigione del nipote. - N. N. per la conversione in punto di morte di una sua cugina che avea cooperato con calunie e falso giuramento a danno del suo onore e delle sue sostanze.
I). - Isola Davson (Terra del Fuoco) : Pietro M. Rossi per la pronta guarigione d'un nostro confratello missionario, mercè le preghiere dei piccoli Indii di quella missione. - Ivrea (Torino) : Borgo Rosa per la guarigione del fratello Savino da forti dolori di gamba a cui eransi già fatte più operazioni senza alcun risultato, 3.
L) - La Ciotat (Francia) : Tommasi Efisio per grazia, 10. - Lecce : F. C. riconoscente a Maria, 7 - Lunato (Brescia) : Angelo Fabbri perla buona riuscita nell'esame di licenza liceale.
M) - Mantova, Coniugi Sgarbi per importantissima grazia, 2. - Melipilla (America del Sud) : Luigi Berrone, missionario salesiano, per diverse grazie, e specialmente per aver vinta con intercessione di Maria una lite intentata caluniosamente a suo danno. - Milano: Antonietta Magni, per la guarigione di una postema alle gengive, resistente a ben tre dolorosissime operazioni chirurgiche, 20.
N)-Nizza Monferrato (Alessandria): Suor Elisa Roncallo a nome della famiglia Ivaldi di Moirano (Acqui) che ebbe salvo il figlio Pietro da un'orribile disgrazia, 5 ; e della Sigra Ricci Caterina, Maestra di Moirano, guarita da bronchite, polmonite, nevralgia e mal d'occhi, 10. - Noasca Canavese (Torino): Uno zelante Sacerdote per la riacquistata salute. - Noto Sicilia): Prof. Corrado Bonfiglio Piccione, che scrive: Coinvolto in un processo elettorale dopo le elezioni del 1900, beuchè innocente, come lo provavano non pochi testimoni, il 15 Novbre 1901 fui dal tribunale di Siracusa condannato insieme ad altri miei concittadini. Ma la Modonna di Don Bosco, da me con cuore invocata in tale frangente, fece si che il 15 gennaio u. s. la Corte d'Appello di Catania mi dichiarasse innocente ». - Novara: Annetta Sguarzini riconoscente - a Maria per averle guarita l'unica sua bambina da grave difterite. - Novi Ligure (Alessandria): Luigi Hefiler per guarigione da lunga e penosa malattia.
O) - Occhieppo Inf. (Novara): Coniugi Giovanni e Lucia Miglietti grati a Maria per la guarigione del marito Giovanni da una malattia che da ben quindici mesi lo travagliava, offrono una catenella d'oro con L 10 in ringraziamento.
P) - Pisogne (Brescia) : R. P. B. per grazie temporali ottenute, 6 - Podenzano (Piacenza) Reverberi Vittoria per messa, 5. - Punta Arenas (America del Sud) Suor Angola Vallese, missionaria salesiana, per una serie di grazie spirituali e temporali ottenute da lei, dalle sue consorelle e da divote persone.
R) - Roma: S. Siniscalchi per le opere salesiano, 10
S) - Saluzzo (Cuneo): Richard Giov. Antonio per grazie ricevute, 2. - San Giuliano Vecchio (Alessandria) : Elisa Mensi guarita da gravissima malattia, 30. - S. Benigno (Cuneo) : Dalmasso Felicita per grazia, 5. - S. Giusto Canavese (Torino) Tonso Giuseppina per la guarigione di due bambini da tosse asinina, due messe di ringraz. - S. Pier d'Arena (Genora) : Adamoli Ulderico per la perfetta guarigione di una persona tanto cara 5. - San Severo (Foggia): Avv.to Simon Marcia fa Francesco per la ricuperata sanità della moglie Teresina già licenziata dai medici, e della figlia Giuseppina seriamente inferma d'ileo-tifo, 100. - S. Stefano del Comelico (Messina): Libera Comis per la salute ottenuta da Maria, 1. - Sia Vittoria d'Alba (Cuneo) : Iardini Teresa a nome del cav. Torrera Giuseppe guarito da paralisi, 5. - Settimo Rottaro (Torino): Antonio Vachino pel suo caro Stefanino liberato da forte nevralgia. - Sezzè (Alessandria) : Delfino D. Francesco per grazia speciale, 5.
T) - Tirolo: N. N. pel ritorno di suo marito a migliori sentimenti per la famiglia. - Torino : Prof. A. Bettazzi per la visibile protezione di Maria sul piccolo suo bambino, 5: Borriero Matilde per grazia, 3: Turello Carolina guarita da acuti ed ostinati dolori dei denti, 10. - Troina (Catania): Compagnone Gaetana per grazia temporale necessariissima: Nerone Teresa per la guarigione da ileo-tifo di sua sorella Giuseppina, 7.
V) - Verona: F. riconoscente a Maria perla guarigione del diletto figliuolo lontano, da una febbre tifoidea acuta. - Vezie (Canton Ticino): Sac. Eugenio Beretta, parroco, per l'ottenuta guarigione da mal di petto con infiammazione al ventricolo, 15. - Viarigi (Alessandria): Bussa Francesca per grazia ottenuta. Villedeati (Alessandria): Castelreggio Luigia in dolorose circostanze e assai pericolose salvata da Maria, 5.
X) - Suor Catterina Fasola a nome di Abbona Catterina guarita da gravissima malattia.
Nel numero del p.p. febbraio il Bollettino Salesiano aveva una compendiosa relazione delle feste Centenarie celebrate in onore di S. Giovanni Evangelista nella Chiesa a Lui dedicata in Torino. Ma un grave errore di stampa ci occorse là, ove si diceva, che i poverelli cui si distribuì abbondante colazione, furono cento.
Per amore di verità e come segno di riconoscenza verso quanti concorsero all'opera generosa, teniamo a dichiarare che ben mille e cento furono i poveri, i quali refezionarono a S. Giovanni Evangelista in quell'indimenticabile mattinata.
Italia
LANZO TORINESE - Grave lutto nel Collegio S. Filippo Neri. - Ci scrivono: « Questo nostro fiorentissimo Collegio perdeva, il 20 scorso febbraio, uno dei suoi più benemeriti ed affezionati Superiori, il Sac. MODESTO DAVICO, direttore spirituale dei Confratelli, delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei giovani. Solo da pochi mesi compiva verso di noi questo delicatissimo ufficio e già si era cattivato talmente l'affetto e la confidenza universale che la sua immatura dipartita ci lasciò nel massimo cordoglio. Egli formava l'anima, la vita, la schietta allegria d'ogni nostra conversazione, specie nei momenti più critici; con lui era impossibile non trovare sollievo nei tristi momenti della desolazione e dello scoraggiamento. Col suo fare gioviale ed ilare sempre sapeva sollevare in alto i nostri cuori e farli confidare appieno nella Provvidenza divina.... Era uno dei più antichi campioni della nostra Pia Società, ed, educato alla scuola vivente di D. Bosco, seppe mai sempre rubare, nel corso della sua vita salesiana, i cuori di quanti ebbero la fortuna di conoscerlo a Lanzo a Sampierdarena, a Torino, a Fossano e a Chieri sopratutto , dove fece conte le sue ascose virtù nella direzione dell' Oratorio S. Luigi, che tenne con grande impegno per ben nove anni, nonostante la sua malferma salute. La sua memoria nei Chierici sarà indelebile, e ben lo diedero a vedere i numerosi intervenuti ai suoi funerali: essi amavano D. Davico e ne erano da lui ricambiati di pari affetto.
» I suoi funerali furono una dimostrazione commovente e pur grandiosa. Celebrava i funebri Mons. Tresso, Vicario di Lanzo, assistito da numerosissimo clero con tutte le compagnie del paese: vi intervennero il Municipio, il nostro collegio, le scuole comunali maschili e femminili, i RR. Carabinieri e la banda municipale. Reggevano i cordoni il Sindaco Avv. Bogino, il Pretore Avv. Giuseppe Rurzio, l'Assessore Magg. Ignazio Casetti, il direttore dell'Ospedale Mauriziano, Avv. Domenico Cabodi. Numerosissime le rappresentanze: l'Oratorio di S. Luigi e vari amici di Chieri, la cartiera salesiana di Mathi, l'Educandato Albert di Lanzo, il Comitato Parrocchiale e sezione giovani di Ciriè con bandiera, le più distinte famiglie di Lanzo, dott. cav. Vinardi, dott. curante Gaiottino ecc. Le vie ed i balconi erano accalcati di popolo Giunto il corteo alla Parrocchia fu cantata la Messa da Requie e la scuola salesiana eseguì la Messa di Mons. Cagliero.
» Al cimitero D. Anzini, successore del defunto nella direzione dell'Oratorio di S. Luigi in Chieri, ricordò le virtù ed il piacevole carattere di colui che Lanzo e Chieri rimpiangono; poscia lo studente Marescalchi Amilcare dell'Oratorio Chierese diedegli commosso l'ultimo saluto. La commozione nei numerosi astanti era profonda. Quanto era amato D. Davico!
Anima bella, in terra sempre sorridente, sorridi ancor dal cielo ai tuoi desolati confratelli ed amici; e noi per quell'intimo legame che ci unì in vita deponiamo riverenti sulla tua tomba il nostro mesto fiore di lagrime e preghiere.
CATANIA - Solenne premiazione della scuola di Religione. - Il due febbraio scorso resterà memorando per gli alunni di questa fiorente nostra scuola di Religione. Al mattino i giovani si accostarono alla Sacra Mensa Eucaristica; dopo si fece la premiazione e si tenne un ben riuscito trattenimento in onore di D. Francesco Piccollo, Ispettore delle Case Salesiane di Sicilia e primo direttore dell'Oratorio festivo Catanese. Il primo premio, consistente in una ricca collezione di libri giuridici utilissimi per la professione, fu meritato dall'Avv. Mario Tropea, testè eletto direttore della Cassa Rurale e Società Operaia Cattolica d'Aragona. Vi furono pure varie medaglie d'onore, che andarono a fregiare il petto ai più assidui e studiosi della scuola. Quanto progresso in pochi anni ! Incominciata questa scuola di Religione nel marzo del 1899 arrivò ben presto a schierarsi fra le prime, emulando la Parmense, la quale siccome per sè rivendica il diritto di primogenitura, così a nessuna la cede in numero ed energia. Infatti la scuola di Catania fu da principio come l'evangelico granello di senapa, perche sebbene contasse subito più di trenta alunni, non ne ebbe però che soli cinque di liceo, due dell'Istituto tecnico, ma nessuno dell'Università. Nel secondo anno il numero dei liceisti da cinque crebbe a trentadue e quello degli alunni dell'Istituto tecnico fino a sette con altri tre volenterosi giovanotti universitari. Il terzo anno, grazie all'aiuto di Dio e alla benevolenza e protezione di Mons. Arcivescovo, si procedette di bene in meglio: i soli liceisti crebbero a 67, quelli dell'Istituto tecnico a 12 e gli Universitari a 25. Il frutto ne è sempre consolantis simo e più che soddisfacente. E ciò si deve principalmente perche nella scuola Catanese gli alunni non sono semplicemente uditori passivi, ma atleti attivi. Sono essi stessi, per turno, autori delle conferenze, in cui oltre alla dottrina soda e completa, manifestano la franchezza nel professare i principii di nostra santa religione e lo zelo nell'inculcarli con prove convincenti. Un plauso a loro e una ben meritata lode al direttore della scuola dott. Don Angeleri per la sua attività e valentia nell'educazione della gioventù.
Portogallo
LISBONA - La « Schola Cantorum » dell'Istituto S. Giuseppe e la 1.a Comunione di S. A. E. l'Infante D. Manuel. - Il 3 febbraio scorso nella cappella reale si compì la solennissima cerimonia della 1a Comunione di S. A. R. il Serenissimo Infante D. Manuel, figlio delle loro Maestà il Re di Portogallo, D. Carlo e della Regina Donna Amelia. Nella cappella, riccamente adobbata, si trovavano i più alti dignitari di corte e del clero. Presiedeva la cerimonia l'E.mO Card. Patriarca, occupando il posto d'onore in cornu epistolae l'Ecc.mo Nunzio Apostolico, Mons. Arcivescovo di Mitylene e Mons. Vescovo Conde di Coimbra. Assai commovente fu la funzione e gli occhi di tutti eran fissi sopra il fortunato reale fanciullo che per le prima volta si cibava del pane degli Angeli. La Schola Cantorum dell'Istituto S. Giuseppe, coadiuvata da alcuoi cantori del'Opera lirica di S. Carlo e accompagnata da un quintetto, sotto l'abile direzione del suo Maestro Giuseppe Concina , eseguì un sceltissimo programma, riscuotendo dalle loro Maestà e dagli astanti tutti ampi elogi ed ammirazione. Una festa, il cui principale personaggio era una persona regia, non poteva avere migliori collaboratori di questi poveri orfani sui quali la carità cristiana distende le sue grandi e protettrici ali per renderli un dì cittadini onorati e persone dabbene.
Nell'Istituto S. Giuseppe la Schola Cantorum occupa un posto eminente e nel suo genere anche unico in Portogallo. Onore al merito e la carità dei buoni portoghesi compensi in parte i grandi sacrifici materiali sostenuti per recarla a tanta altezza.
- A Torino il chiarissimo prof. Pio Benassi, direttore dell'Unione agricola cattolica di Bergamo, dietro invito del nostro Superiore, il 13 p. p. febbraio, teneva nel Seminario delle Missioni estere di Valsalice una conferenza agraria, presenti tutti i Superiori ed alunni. Il pensiero della conferenza ed il modo con cui fu condotta ci parvero assai indovinati per renderla interessante ed invogliare quei giovani chierici ad incaminarsi con ardore agli studi agrarii, cotanto raccomandati dal signor Don Rua. L'egregio conferenziere, desiderando fare cosa pratica, volle dare l'intonazione di famigliare conversazione al suo dire, nel quale, con mirabile chiarezza, espose le basi scientifiche del sistema Solari, mettendolo nella sua luce di unico e vero sistema razionale di agricoltura; e non soltanto come di uno dei migliori per una qualche determinata cultura. Fissato e provato, con vasta erudizione scientifica, questo concetto fondamentale, nelle risposte date poi alle varie domande che gli si facevano, rivendicò, a base di date, la priorità della scoperta di Solari su quelle non pratiche del Ville ed incomplete del Wagner, dello Schulz, ecc., e l'italianità quindi della scoperta del principio dell'induzione gratuita dell'azoto. Le incalzanti difficoltà ed osservazioni riuscirono infine a togliere tutto ciò che di improprio o d'inesatto si ha da molti sulla teoria solariana. Per tal modo, a conversazione finita, si riportò da tutti una idea bien chiara del sistema Solari.
Mentre noi colla più viva riconoscenza, ringraziamo l'egregio prof. Benassi, che con tanta deferenza accettò l'invito del nostro Superiore, ci auguriamo di poter presto avere da lui medesimo - che del Solari è uno dei primi e più illustri discepoli - il compimento della conferenza nella esposizione della parte ancor più interessante, ed in questa circostanza appena accennata, riguardante le conseguenze economiche e sociali che derivano dall'applicazione del sistema Solari.
- Negli ultimi giorni del p. p. febbraio l'Oratorio Salesiano di Valdocco aveva l'onore di ospitare per alcuni giorni S. Eccellenza Monsignor Oberti S. S. P. nuovo Vescovo di Saluzzo.
- Per solennizzare la fausta ricorrenza del Giubileo Pontificale di S. S. Leone XIII in conformità dei venerati desiderii dell' Em.mo Cardinale Arcivescovo di Torino, domenica. 23 febbraio, avevano luogo nel Santuario di Maria Ausiliatrice particolari funzioni di ringraziamento al buon Dio per averci conservato a così tarda età un tanto Pontefice. Nel mattino numerose furono le Sante Comunioni che la famiglia salesiana dell'Oratorio offriva pel Sommo Pontefice. Alle 10 Messa solenne in musica, celebrata dal Reverendissimo sig. D. Michele Rua. La sera. dopo i Vespri solenni, il Teol. D. Giulio Barberis, intratteneva l'affollato uditorio sulla grandezza del pontificato nella storia della Chiesa e sull'attaccamento incondizionato di D. Bosco e dei suoi figli alla sede di Pietro. Seguiva poscia il Te Deum e la benedizione col SS. Sacramento, impartita dal nostro Superiore.
- Alle scuole Apostoliche del Martinetto la festa di San Francesco di Sales fu onorata dalla presenza di S. E. Mons. Luigi Spandre che celebrò la Mossa della comunità con ben appropriato fervorino. Ben riuscita l'improvvisata accademia ad onore di Mons. Spandre, come pure tutte le funzioni del giorno.
- A Roma nella Parrocchia del Sacro Cuore al Castro Pretorio si celebrò colla consueta solennità la festa di S. Francesco di Sales, la quale suole attirare ogni anno a quel nostro magnifico Santuario un consolante concorso di Cooperatori Salesiani e di devoti. Ci conforta la benevolenza con cui Em. ed Ecc.mi Personaggi si degnano di onorare, anche con loro sacrifizio, le nostre feste. Alla vigilia i vespri vennero pontificati da S. E. Mons. Antonio Valbonesi, Vescovo di Urbania e S. Angelo in Vado. S. E. il Card. Casimiro Gennari impartì poscia la benedizione col SS. Sacramento. Il dì della festa disse la Messa della Comunione Generale S. E. Rev.ma il Card. Francesco Cassetta e la Messa solenne, con musica del Cherubini, venne cantata da S. E. Mons. Ottone Zardetti Arciv. di Moasso. I secondi vespri, pontificati da S. E. Rev.ma Mores. Enrico Grazioli, Arcivescovo di Nicopoli, vennero seguiti da un torbido panegirico del Rev.mo Avv.to Emanuele Cerchiari e l'E.mo sig. Cardinal Vicario, Pietro Respighi, coronò la bella festa coll'impartire la benedizione col SS. Sacramento.
- A Firenze nell' Istituto di via Fra Giovanni Angelico, Mons. Arcivescovo impartì la Comunione a 30 giovanetti e ad altri 8 la Cresima, con affettuosissime parole di circostanza. Quindi fu data una piccola e ben riuscita accademia di saluto. Mons. Mistrangelo espresse il suo vivo compiacimento con l'intero corpo insegnante ammirando il metodo veramente saggio e paterno con cui viene impartita l'educazione e l'istruzione nell'istituto. Presero parte alla, festa quasi tutti i parenti dei giovani e molte persone, benemerite. Alle ore 11 vi fu Messa solenne e alla sera rappresentazione applauditissima. L'Istituto conta oltre 250 alunni nelle classi elementari, ginnasiali ed artigiani : è nel massimo fiore.
- A Genova nella vasta ed artistica Basilica di S. Siro ebbe luogo la conferenza di S. Francesco di Sales. Oratore fu il valente conferenziere D. G. B. Zerollo. Molto felice nel suo dire, elettrizzò coll'affascinante sua parola il pio uditorio, e sul finire esortò i presenti ad accrescere il numero dei Cooperatori e Cooperatrici onde continuare e sostenere le molteplici opere Salesiane. Speriamo che quest'appello non cadrà sopra terreno sterile, ma molti saranno i nuovi ascritti in questo eletto stuolo di coadiutori all'Opera di Don Bosco. Con la benedizione di Gesù Sacramentato, preceduta dal Tantum ergo, eseguito in musica dai giovanetti dell'Ospizio di S. Pier d'Arena, si chiuse la pia adunanza.
- A Torrione di Bordighera la festa di San Francesco fu il due febbraio. Riuscì tutto bene. Celebrò il Rev.mo P. Bonaventura dei Francescani di Bordighera e disse il panegirico il valente oratore Sac. Tool G. Leardi di Ventimiglia. Alla sera, dopo i vespri, Mons. Daffra, Vescovo della diocesi tenne la conferenza Salesiana. Da profondo conoscitore dello spirito salesiano disse con parola facile, chiara, incisiva della grande missione che ebbe D. Bosco, della sua piena corrispondenza alla divina chiamata, del bene operato con l'istituzione della sua Pia società. Invitò con un caldissimo appello, i Cooperetori e le Cooperatrici a prestar l'opera loro a vantaggio di sì importante istituzione offrendo i mezzi necessari, coadiuvando colle preghiere e con una vita esemplarmente cristiana. L'attenzione prestata alla eloquente conferenza dello zelante Vescovo ne fa sperare i più lieti risultati. Poscia Monsignore impartì la benedizione e così ebbe termine la festa.
- A Bologna il 31 gennaio, nella chiesa del Corpus Domini, detta della Santa, alle ore 15 pomeridiane fu tenuta la conferenza ai Cooperatori Salesiani da sua Ecc. Rev.mo Mons. Arturo Marchi, Vescovo e principe di Reggio Emilia. Non ostante il tempo pessimo ed una pioggia dirotta la chiesa era gremita di nobili Signori e Signore e presiedeva l' adunanza l'Emo. Cardinale Svampa, nostro amatissimo Arcivescovo.
L'Eccellentissimo oratore svolse con parola dotta ed efficace il tema della educazione dei figli, e specialmente di quelli degli operai, che sono i più abbandonati ed esposti ai pericoli della presente corruzione.
Mise poi in rilievo l'opera dei ricreatori festivi Salesiani, magnificandola per gli ottimi risultati fin ora apportati alla gioventù, e facendo rilevare la necessità che in ogni Parrocchia sorga e prosperi una di quelle benefiche istituzioni.
Prima e dopo l'ammirato discorso del venerando Presule, i giovanetti dell'Oratorio Salesiano cantarono diversi mottetti, e l'adunanza si chiuso colla benedizione dell' Augustissimo Sacramento, impartita da Mons. Giacomo Carpanelli, direttore dei Cooperatori Salesiani. I Coperatori non vollero lasciare la Chiesa della Santa senza pregare uniti per la salute minacciata dell'Eminentissimo Cardinale Parocchi, Protettore dei Salesiani e già Arcivescovo di Bologna. Le Signore del comitato si prestarono per raccogliere la elemosina che fruttò L. 450. La stessa sera poi al salone dei Fiorentini letteralmente gremito, presenti S. Em. Rev.ma il Cardinale Arcivescovo e S. Ecc. Mons. Vescovo di Reggio, ebbe luogo un accademia commemorativa di D. Bosco, che riuscì brillante, compitissima.
- A Chieri il due marzo nell'Oratorio di S. Luigi si celebrò la festa di S. Francesco di Sales preceduta da apposito triduo predicato ai giovanetti della città. Alla Messa della Comunione Generale vi furono oltre 150 Comunioni di oratoriani ai quali si unirono pure parecchi Cooperatori e Cooperatrici. La Messa solenne fu cantata nella grandiosa Chiesa di S. Filippo, gentilmente concessa dal Rmo. Rettore. Can. Giacomo Chiaffrino, Condirettore diocesano dei nostri Cooperatori In detta Chiesa si tenne pure alla sera dopo la lettura del regolamento dei Cooperatori, la prescritta conferenza, detta con affetto figliale, con facondia ammirabile, con profonda convinzione dall'illustre P. Ferlosio, Gesuita. Impossibile anche solo darne un cenno di questa bellissima conferenza. Abbastanza numerosi erano i Cooperatori presenti senza contare l'affollato popolo. Si terminò con la benedizione del SS. Sacramento. Al mattino seguente nella Capella dell'Oratorio vi fu Messa cantata per i Cooperatori e le Cooperatrici defunte.
- Nella Parrocchia di Caraglio, secondo una divota ed antica consuetudine, nel giorno di S. Francesco di Sales si celebra una Messa all'altare dedicato a questo gran Santo. Questo anno il Parroco Vicario D. Ramazzino, Decurione dei Cooperatori Salesiani, in ossequio ai suggerimenti dati dal Bollettino e dello statuto, dopo il Vangelo, faceva al numeroso popolo accolto in Chiesa, una conferenza, passando in rassegna le opere buone compiute dai Salesiani di D. Bosco in questi ultimi anni. Con grande interessamento si ascoltò il breve sermone e, durante la funzione, si rac colse una modesta ma cordiale offerta per le opere Salesiane.
- A Verona il Comitato Salesiano volle commemorare solennemente il decennio della fondazione dell'Istituto D. Bosco in quella città. Tanto la parte religiosa come la profana riuscì egregiamente. Rappresentava il Revmo sig. D. Rua il rev. prof. Don Francesco Cerruti e tenne la conferenza D. Pentore. Buona la musica, fraternamente gaia l'agape, riuscitissima l' accademia commemorativa nella quale tenne applauditissimo discorso il prof. Grancelli del Verona Fedele. Il Santo Padre, saputo di questi festeggiamenti inviò a mezzo del Card. Rampolla, la sua apostolica benedizione, che, speriamo, sarà feconda di nuovi copiosi frutti per l'incremento maggiore della nostra Casa Veronese.
- A Lubiana ebbe luogo l'adunanza generale dei Cooperatori Salesiani il 2 febbraio nella sala del Circolo Cattolico. Malgrado il cattivo tempo, la sala fu frequentata da un scelto uditorio. Dopo una breve preghiera il zelante e facondo oratore Catechista Don Smrekare, Capo Decurione dei Cooperatori Salesiani, colla solita sua eloquenza rivolse all'uditorio una efficacissima conferenza sulle opere salesiane in lingua slovena. Poscia il direttore della nuova Casa Salesiana fece altra conferenza in lingua tedesca sull'origine, sullo scopo e sul merito dei Cooperatori Salesiani. In seguito il Capo Decurione raccoglieva una colletta a beneficio di quell'incipiente ospizio di Maria Ausiliatrice.
- A Conegliano Veneto il 30 gennaio nell'Istituto diretto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice si celebrò con divota pompa la festa di San Francesco di Sales. Nel pomeriggio, il salesiano D. Talice Emerico, tenne ad un bel numero di cooperatori e cooperatrici la conferenza sulle opere di D. Bosco. In modo speciale fermò l'attenzione degli uditori, sull'opera, sorta da pochi anni in Conegliano; opera che, sostenuta dai buoni, estenderà il suo beneficio influsso sopra un numero sempre maggiore di giovinette.
- A Legnago la festa di S. Francesco di Sales riuscì splendidamente. Accorse un discreto numero di Cooperatori e Cooperatrici alla conferenza, che perla prima volta si tenne nella Cappella dell'Istituto Salesiano. Il direttore, D. Augusto Sossella, svolse all'attento uditorio, in modo facile ed elegante, il tema « D. Bosco e le sue opere » toccando specialmente del confortante sviluppo, che l'opera salesiana va prendendo anche in Legnago, per opera specialmente, dopo l'aiuto visibile di Dio, di tante buone e gentili anime, che sempre si mostrano generoso verso i figli di D. Bosco. Ad ora conveniente i medesimi Cooperatori e Cooperatrici intervennero al divertimento teatrale, e manifestarono pubblicamente la loro soddisfazione, nel vedere che l'obolo della loro carità non andò a vuoto. Voglia Iddio che il seme gettato produca frutti ubertosi a vantaggio di tanti poveri giovanetti, che si traviano anche sulle pubbliche vie di Legnago. Voglia la Madonna di D. Bosco toccare il cuore di tanti buoni Legnaghesi, perchò concorrano largamente alla necessità di ampliare i locali per poter ricevere maggior numero di alunni e per costruire una Cappella più ampia e più decorosa.
- A Spezia la festa del nostro Celeste Patrono si svolse con la maggior pompa possibile. Preceduta da una divota novena, predicata dal valente Teol. Lamberto Marcucci, Prevosto di Fosdinovo, onorata dalla presenza di Mons. Giovanni Carli, Vescovo e Conte di Luni - Sarzana e Brugnato e del nostro M. R. Prefetto Generale, rappresentante il Rettor Maggiore, la festa non avrebbe potuto avere esito più felice. Monsignor Vescovo celebrò la Messa della Comunione Generale, ed il Prefetto Generale, il signor Don Rinaldi, assistito pontificalmente dall'Angelo della Diocesi, cantò la messa solenne. Il Santuario era gremito di ogni ceto di persone.
Alla sera poi dopo i vespri solenni pontificali salì il pergamo il valente predicatore della novena, per tessere da pari suo l'elogio del Santo.
La Benedizione col Venerabile impartita da S. E. Mons., Vescovo, chiudeva la splendida giornata che lasciò negli Spezzini un ben caro e grato ricordo.
- A Biella nella Chiesa di S. Cassiano, affidata al Salesiani, il 31 gennaio, Messa solenne per il XIV anniversario della morte di Don Bosco, celebrata dal Rmo. Can. Marcellino Perona, arciprete della Cattedrale. Nelle ore pomeridiano, conferenza tenuta dal Rino. Can. Mario Eliseo, nostro direttore diocesano, che eccitò tutti a lavorare alacramente a vantaggio della gioventù cittadina. Il primo febbraio festa traslata di S. Francesco di Sales. La Messa solenne fu contata dal Can. Botta, Rettore del Seminario. Alla sera disse il panegirico il Rmo. Can. Basilio Buscaglia. Nei tre giorni susseguenti ebbero luogo le SS. Quarantore predicate con apostolica unzione, dal Rmo. Arciprete Can. Marcellino Perona. L'ultimo giorno. Mons. Pietro Norza. Vicario Capitolare, degnossi chiudere queste care funzioni facendo da celebrante ai vespri solenni ed alla benedizione col SS. Sacramento.
- A Pavia riuscitissima festa patronale nella Chiesa di S. Teresa affidata ai Salesiani, con Messa del nostro direttore diocesano il Revmo Canco Francesco Mariani Prevosto della Parrocchia del Carmine, Comunione Generale, discorsetto del medesimo sui tratti principali di rassomiglianza nel Salesio col Cuore SS. di Gesù e benedizione colla reliquia del Santo. - Il 30 gennaio poi solennissimo ufficio funebre alla Parrocchia del Carmine, pel 14° anniversario della morte di D. Bosco, con imponente concorso di popolo. La vasta chiesa era splendidamente parata a lutto, con padiglione sopra il catafalco che portava il ritratto di D. Bosco. Assisteva in Presbiterio la rappresentanza dei Salesiani, su apposito banco adobbato in nero e oro. La Messa, cantata in musica dalla Cappella del Carmine, fu celebrata dal Parroco, nostro direttore diocesano. con assistenza di tutto il clero parrocchiale. Prima delle esequie il M. R. D. Trione, tenne con parola facile dal pergamo una breve commemorazione di D. Bosco. La sera poi del medesimo giorno lo stesso esimio oratore, tenne ancora al Carmine la prescritta conferenza sulle Missioni di D. Bosco. Si chiuse con la benedizione di Gesù Sacramentato.
- A Trino Vercellese nella bella chiesa dedicata al Cuor di Gesù, la sera del 30 gennaio vi fu la conferenza salesiana. Il tempo era orribile, ma la Chiesa affollata. La tenne il sac. D. Carlo Salamano, parroco di S. Agnese in Vercelli, direttore diocesano dei nostri Cooperatori : il suo tema fu quello di dimostrare il gran bene che l'opera di D. Bosco fa e può fare a Trino ; con dati statistici e ricordi provò il suo asserto. Finita la conferenza l'oratore stesso impartì la solenne benedizione, durante la quale, come già prima e dopo la conferenza, gli allievi eseguirono ottima musica. Terminate le funzioni ebbe luogo nel teatrino dell'Istituto indovinatissima accademia musico-letteraria.
- A Milano nell'Istituto S. Ambrogio solenne funerale di D. Bosco a cui presero parte, nonostante il pessimo temi. , numerosi benefattori. Celebrò il M. R. D. Cesare Rolandi, Prevosto di S. Gioachino e venne eseguito con grazia e perspicacia ammirevole la Messa a quattro voci del M° Amerio. Disse l'elogio di D. Bosco il nostro D. Trione.
-A Sampierdarena bella e riuscitissima la festa di S. Francesco di Sales nella chiesa di S. Gaetano, adobbata con artistico gusto. Celebrò la Messa della Comunione Generale Mons. Oberti, novello Vescovo di Saluzzo, il quale, diede poscia per la prima voltala Cresima ad alcuni giovanetti. Alla sera dopo i vespri solenni, salì il pergamo D. Zarollo, antico allievo, il quale con parola vigorosa, pronta e sentita, tessè le lodi del Santo. La benedizione impartita da Monsignor chiuse la festa.
- A Gorizia conferenza nel salone del Convitto il 3 febbraio. Mons. Alpi, direttore diocesano, dà un breve resoconto dell'anno decorso e poi cede la parola al conferenziere D. Zanetti. Questi con la eloquenza del cuore espose in un bel quadro quanto fece D. Bosco per il bene della gioventù e fu ricambiato meritamente con fragorosi, cordialissimi applausi. Seguì poscia l'esecuzione dell'annunziato Oratorio per fanciulli del M° Seghizzi intitolato : la nascita di Gesù. Il lavoro, secondo un giornale locale, ha incontrato in tutti una vivissima soddisfazione pel buon gusto, per la felice interpretazione, per la lodevolissima esecuzione sia nel canto che nel suono.
- Ad Orvieto nell'oratorio festivo di S. Antonio Abbate si celebrò la festa patronale con molto concorso di gente. Degna di nota la tradizionale benedizione degli animali compiuta la sera, prima del termine della festa. Sostengano quei di Orvieto quest'Oratorio per il maggior bene di tanta povera gioventù della città.
- A Ferrara verso la metà del passato gennaio aveva luogo nell'Oratorio festivo annesso al Collegio Convitto S. Carlo (Via Brasavola, 32) una cara festa che nei ragazzi e in quanti intervennero lasciò viva soddisfazione. S. E. il Cardinal Giulio Boschi, che vuol assai bene ai Salesiani, e tutti i buoni si rallegrano della vita che quest'opera va sempre più prendendo pel bene di tanti poveri ragazzi.
Al mattino furono più di quaranta le comunioni distribuite a ragazzi e giovanotti, di cui parecchi con loro disagio attesero fino ad ora tarda, impediti dal mestiere di accostarvisi prima. Alla Messa, celebrata nell'umile cappella esterna, i piccoli fedeli, guidati pazientemente nelle loro orazioni dai buoni chierici del collegio, salirono a 150.
Chi ebbe ad assistere nel pomeriggio alla piccola processione col Santissimo e all'uscita dalla Benedizione, non può non essersi meravigliato e commosso alla vista di quell'interminabile folla che, strappata al giuoco, al vizio era radunata attorno a Gesù in Sacramento e non può non aver fatto voto di vedere sempre più conosciuta e aiutata una così santa istituzione, sgorgata dal cuore apostolico del Venerando Don Bosco.
I frequentatori dell'Oratorio raggiungono attualmente la cifra di trecento e aumenteranno ancora, se la carità dei buoni aumenterà i mezzi per far fronte alle non lievi spese che si sostengono da chi dirige la tanto benemerita istituzione. I piccoli biricchini oltre all'elemosina spirituale, hanno anche bisogno e necessità di quella materiale, sia pure sotto forma di premi in genere per incoraggiamento.
Il Teologo Felice Reviglio Curato della Parrocchia di S. Agostino in Torino.
RICORDIAMO con mesto pensiero questo nostro Cooperatore ed antico e sempre amorevole figlio dell'Oratorio. Egli si vantava di essere il primo allievo di D. Bosco che ascese all'onore del Sacerdozio, e non trascurava occasione per dire quanto egli doveva a quell'impareggiabile educatore e padre di innumerevoli genti. Egli conobbe presto D. Bosco, e subito si unì alla sua santa causa, e la volle seguire, anche a costo di non poco sacrifizio. Quando cominciò a venire all'Oratorio, e dimostrò di volersi dedicare alla scuola di D. Bosco, trovò grave ostacolo in famiglia. Si dice che i tempi ora sono difficili, ma furono tali anche allora per il piccolo Felice, perchè, deciso di voler frequentare l'Oratorio, non gli parve difficile affrontare lo sdegno stesso di suo padre, che glielo voleva proibire.
Allora non trovò grave la fuga dalla casa paterna, e riparare presso D. Bosco, come in terra sicura.
I Cinque Lustri della storia dell'Oratorio narrano a lungo le peripezie di quel giorno, e come egli cadde svenuto nelle braccia di Don Bosco, appena il padre furibondo si era allontanato da quell'albero liberatore, in cui il povero figlio erasi arrampicato. Ogni volta che passava presso all'unico gelso ancora superstite, e che aveva veduto lui accovacciato per salvarsi dalle percosse del padre, ci ricordava con indicibile sentimento le peripezie di quel giorno.
Pare che il padre non facesse piccoli calcoli sulla bella voce del figlio e sopra l'ingegno che mostrava fin d'allora assai perspicace. Ci torna ancora alla memoria come diverse volte alla sera, dopo le funzioni dell'Oratorio, questi più ammaestrati nel canto, uscivano per tornare alle loro case, e cantavano le canzoni di Chiesa. Qualche volta erano anche i primi cantici patriotici del 1848, che alternati con sovrana industria si attiravano un mondo di gente.
- Chi sono essi? - andavasi dicendo. - Mah ! chi lo sa?
- Sono i giovani di D. Bosco!
- Bene! Bravi!
Uno dei principali cantori era appunto il futuro Sacerdote, il dotto e profondo maestro di morale.
Appena D. Bosco lo avvicinò e conobbe l'ingegno che aveva, l'invitò a venire con lui. - Ma io faccio già il falegname, ci guadagno qualche soldo... E lei che cosa mi farà fare ?
- Una bella cosa pel Signore.
Egli guardò sorridendo D. Bosco, e poi, quasi indovinando, disse: Se lei crede che io possa un giorno diventare buon Sacerdote, sono tutto qui a sua disposizione.
- E mi basta, - conchiuse D. Bosco.
Da quel giorno l'umile garzonetto decise di lasciare la casa paterna e venire a dividere la sua sorte con D. Bosco.
Non ebbe rossore di dire davanti a moltissima gente, già Curato di S. Agostino, come D. Bosco, non solo gli aveva dato il pane della vita spirituale e corporale, ma che gli aveva dovuto dare tutto ed anche la camicia, Egli non aveva nulla. E questa gratitudine lo accompagnava in ogni occasione della sua vita. Gli esempi di D. Bosco gli stavano a cuore. Ci diceva sovente: Son contento di non aver da stare in ozio, anche per far vedere come ho imparato a lavorare alla scuola di D. Bosco.
E lavorò.
Egli fece rapidamente il corso elementare e ginnasiale alla viva voce di D. Bosco, ed in poco più di due anni di studio, potè vestire con alcuni altri l'abito chiericale.
La Chiesa di Torino passava in quei tempi molti pericoli, e si vedeva improvvisamente spoglia quasi affatta di chierici e di Seminario. Furono questi figli dell'Oratorio la nuova semenza che in breve crebbe fuor di misura.
Ma mentre andava a scuola dai professori dell'antico Seminario, trovava tempo a farla ad altri, che venivano dietro di lui, e così meglio poteva imparare la grammatica latina e gli scrittori così detti classici. Doveva pensare all'Oratorio dell'Angelo Custode allora in Vanchiglia, e lo fece prosperare e dar frutti con carità e zelo. Continuava lo studio della musica... E buon compositore, era contento a mostrar la sua vena delicata e viva nelle nostre feste di allora. E ricordandosi questa dolce ventura, nella festa di S. Agostino dell'anno testò passato, quando accoglieva con giovanile affetto chi gli componeva i versi, sorrise sentendosi bellamente a dire...
In quella vita riposata e lieta, Eri musico tu, egli poeta!
Per lui D. Bosco era tutto! E voleva anche bene alle opere sue, e le vedeva dilatarsi con affetto e con gratitudine.
Un giorno, in grande assemblea, cioè nel grandioso Congresso Eucaristico di Torino, egli, già Curato a S. Agostino, trattò come i fedeli dovessero tutti condurre i loro figli alla parocchia. Si fece viva discussione, si infervorarono gli spiriti, ma lui con forte e calda parola difese i diritti de' Parroci, di aver quella occasione di conoscere i loro figli...
- Ma tu, gli si disse privatamente poi, combatti l'opera degli Oratori...
- Tutt'altro! Ma i giovanetti vengano almeno a fare la prima comunione !
- E tu, mio caro, dove hai fatta la prima comunione? Se non era dell'Oratorio dove saresti tu? Eri della parrocchia di S. Agostino; ma quanto volte l'avevi tu veduta fanciullo? Saresti tu Curato e nella tua parrocchia?
Egli abbassò il capo, era commosso !
- Ti sei offeso, gli dissi tutto sconcertato.
- No, no! Sono contento di potermi correggere di un errore, che mi si faceva strada nella mente. Sì, sì: gli Oratori devono raccogliere quelli che non sanno andare in altra Chiesa. Ed io trovai negli Oratori il mio porto di salute.
Appena fatto Sacerdote andò alla scuola di Teologia morale da D. Giuseppe Cafasso, e ne seppe imparare sì bene l'arte, da diventare egli stesso buon maestro a preparare i preti agli esami di confessione e di concorso. E come vedeva con piacere adunarsi nella sua casa questi giovani Leviti, speranza della Chiesa di Torino, e decoro del Tempio! E continuò l'opera instauratrice quasi fino all'ultimo giorno di vita. Era già ammalato, ma non cessava di occuparsi dell'istruzione ai sacerdoti. In generale si diceva: Chi va alla sua scuola impara a vincere le sacre battaglie. Ma una soddisfazione rara fra le più rare, e che gli andava in fondo al cuore, era quella di poter dire: È un allievo dell'Oratorio che riversa questo po' di bene in mezzo al clero !
E qui ricordava le dicerie che ci perseguitavano chierici, quando si frequentavano le scuole di Teologia. « Poveretti! Non sanno! Non possono studiare... La colpa non è di loro... » Intanto agli esami si prendevano i dieci senza misura... Ed anche allora si trovava a ridire: «Studii attaccati così con la saliva...» E questa idea, che ora dimostrava gli studii serii, vantaggiosi, fecondi, cominciati all'Oratorio, gli raddolciva le pene, lo riaccendeva d'amore per D. Bosco e di gratitudine per il venerato Maestro.
Si soleva dire, che ogni giovane dell'Oratorio era figlio del miracolo; ma a nessuno questo bel titolo meglio si adatterebbe che al Teologo Felice Reviglio.
Egli fu viceparoco a Poirino, poi parroco a Volpiano, e finalmente Curato nella sua Chiesa parrocchiale di S. Agostino. Altri diranno le sue opere fatte a decoro del Tempio, a gloria di Dio ed alla salute delle anime, ed avranno ampia messe da raccogliere.
Noi ci contentiamo di mettere sull'onorata tomba il fiore dell' amicizia e della carità fraterna, dolenti che ci sia stato rapito, ma nell'istesso tempo calmi e rassegnati, pensando che sarà andato ad accrescere il numero di coloro che ringrazieranno in Paradiso il Divin Salvatore d'averci dato in questi nostri tempi a guida dei nostri passi quel gran Maestro di virtù come fu D. Bosco.
L. Avv. Francesco Zucchi Pecoronì di Milano.
Questo insigne benefattore della Pia Società Salesiana, tolto al nostro affetto il 15 scorso dicembre, merita da noi un giusto tributo di gratitudine, e noi, non potendo altrimenti, lo facciamo, deponendo sulla sua lagrimata tomba queste poche righe di commemorazione cavate dai discorsi pronunziati nei suoi funerali dai suoi intimi.
Avviato da giovinetto alla carriera degli studi, il culto del compimento del dovere animava in modo Francesco Zucchi, da esser sempre fra i primi in mezzo ai suoi condiscepoli. Cultore appassionato delle scienze legali sapeva nell'esercizio della sua professione unire alla mente acuta, il prudente consiglio e l'assistenza ai deboli e ai bisognosi. Adulto, fatto sposo d'un amorosa compagna, tutta a lei dedicò la sua vita, le sue curé. Egli amò veramente la famiglia, e non avendo sortito dal cielo la prole naturale, volle far sua la grande famiglia dei poverelli. È questa la sua caratteristica, il faro che illumina tutta la sua vita: la carità verso i poveri, i deseredati dalla fortuna! La sua fu vera carità evangelica e non una profana filantropia; ed è per questo che preferì nelle sue elargizioni le chiese, gli oratori festivi, le Missioni, l'Opera di S. Vincenzo e sopratutto gli istituti. cattolici d'educazione, profondendovi grosse somme, senza però dimenticare le sante leggi del sangue, con soccorsi a quelli fra i congiunti, che ne abbisognavano. Fra i beneficati dal Zucchi, sentono il dovere di dichiararsi i Salesiani, a lui fatti conoscere per la prima volta da un pio sacerdote sulle pendici dell'Aprica, e più pienamente da lui studiati nella persona stessa di D. Bosco, che potè accostare in Milano nel 1886, e di D. Rua col quale potè più volte abboccarsi. Fu dei primi, appena svegliatosi il movimento salesiano in Milano, a presentarsi al nostro direttore Diocesano, D. Pasquale Morganti, incoraggiandolo con elargizione cospicua nell'opera intrapresa, e da quel punto l'Avv. Zucchi fu sempre come della nostra famiglia, pronto in ogni evento a nostro favore, sicchè dobbiamo dire che l'attuale nostro Istituto di Milano dove al suo gran cuore i suoi inizii.
Una vita come la stia consumata in bene operare era giusto che si chiudesse in una pace serena come fu quella degli ultimi suoi giorni. Per lui la morte non aveva paura; l'incontrò come chi aspetta un premio promesso da lungo tempo, come il pilota che vede il faro del porto.
Ti sia, anima eletta, larghissimo retrìbutore Iddio e si compia il voto dei figli di D. Bosco i quali lanciatisi, nel giorno del tuo trapasso, nelle braccia di Gesù Sacramentatol'hanno pregato a mantener la sua promessa del centuplo a chi ha beneficato i suoi poverelli, i suoi pargoli.
Per mancanza dì spazio abbiamo dovuto rimandare al prossimo numero le SPIGOLATURE AGRARIE. I Direttori delle nostre Colonie Agricole però continuino pure ad inviarci relazioni, date statistiche e progressi delle loro fatiche.
1. Arione Cav. Carlo, Sindaco - Diano d'Alba.
2. Asiani Maria - Costa de' Nobili (Pavia).
3. Baglietto Benedetta -Varazze (Genova).
4. Baghette Catterina - Varazze (Genova)
5. Battaglino Catterina- Cornogliano d'Alba (Cuneo).
6. Bissi Ermanno, Ufficiale Postale - Struzzo (Austria-Tirolo).
7. Bolzani Maria - Montecchio (Reggio Emilia).
8. Bruni Maria Ved. - Firenze.
9. Buglioni Giuseppina dei Conti di Monale e Bastia nata Roero di Menticene - Torino
10. Calcagno Giuseppe - Genova.
11. Casazza Carlo - Pozzolo For. (Alessandria).
12. Chiappe Emma - Sampierdarena (Genova).
13. Chiatellino D. Michelangelo - Carignano (Torino).
14. Colucci Anna Maria - Napoli. 15. Crippa Carolina - Bergamo.
16. De La Forest De Divonno Contessa Placida nata Pelissa - Torino. 17. Delpino Don Ottaviano, Canonico Arcidiacono della Cattedrale - Pisa.
18. Eusebietto Teresa - Bianzd (Novara).
19. Falletti Don Prospero, Prov. - San Paolo d'Asti (Alessandria).
20. Fazio Maria - Varazze (Genova). 21. Ferrante Giuseppe - Alvito (Caserta).
22. Franco Maria - S. Damiano d'Asti. 23. Frigerio Luigia - Incino (Corno). 24. Gai Giovanni - Vigliano d'Asti (Alessandria).
25. Gariglio Emmanuele, Avvocato Notaio - Torino.
26. Giassatis Antonia - Pertengo Vercellese (Novara).
27. Giglio Silvestro - Cascinette (Torino).
28. Giovanettoni Vittoria - S. Giacomo (Sondrio).
29. Giraud Cav. Domenico - Torino. 30. Giunta Bonafflni Don Gaetano - Mazzarino (Caltanisetta).
31. Gonella Enrichotta Ved. Groppo - Castelletto Merli (Alessandria). 32. Ingi,uoli Pietro - Varallo Pombia. 33. Luciolli Luigia - Vedelago (Treviso).
34. Ludovisi Francesco - Viterbo (Roma).
35. Marcoz Cecilia - Pavia.
36. Mariugoni D. G. M. -Lentixi (Belluno).
37. Mazzola D. Luigi, Arciprete - Comazzo (Milano).
38. Migliani Sabina - Peccioli (Pisa). 39. Oddone Orsola Ved. - Saluzzo (Cuneo).
40. Palazzi Faustino, Nobile-Longara (Vicenza).
41. Palmigiani Mens. Serafino, Canonico - Jesi.
42. Pedassia Adalberta - Carmagnola (Torino).
43. Perilli Francesco - Rimini (Forlì). 44. Petrucci Maria Ved. Bruni - Firenze.
45. Pezza Teresa - Cuceglio (Torino).
46. Piaggio Rosa nata Morchio - Torino.
47. Prevosto Maria Ved. Terrario - Santhià (Novara).
48. Ramognino Pellegrina - Varazze (Genova).
49. Riccadonna Avv. Cav. Paolo, Presidente di Sezione di Corte d'Appello a riposo - Bruni.
50. Ricci Felice - Tortona.
51. Rizzo Bartolomeo - Carrento (Alessandria).
52. Rossi Maria di Giacomo - Vallebona (P. Maurizio).
53. Sciarra, Don Ernesto, Canonico - Bastia (Perugia).
54. Sciolla Paolina n. Croce - Torino.
55. - Sigurani Cav. Giuseppe -- SottoPrefetto in ritiro - Roma.
56. Starace Corani. Francesco, Imp.le e R.le Vice Console d'Austria-Ungheria, Vice Console dei Paesi Bassi, Cameriere d'onore di Cappa e Spada di S. S. - Castellamare di Stabia (Napoli).
57. Succa Maria Beatrice - Varazze (Genova).
58. Tavecchio Virginia - Milano.
59. Tizzi Don Nicola, Parroco - Commessaggio (Mantova).
60. Trapani Don Giovanni, Benef. alla Metropolitana - Palermo.
61. Turco D. Carlo, Canonico - Acqui (Alessandria).
62. Valli Tranquilla - Vanzaghello (Milano).
63. Veller Cristiano -- Roana (Vicenza).
64. Ziletti Domenico- Mairano (Brescia)