BS 1900s|1902|Bollettino Salesiano Febbraio 1902

Anno XXVI.   Febbraio 1902   N. 2

BOLLETTINO SALESIANO

SOMMARIO - TESTO: Sentimenti di Don Bosco sul Papa . . .pag. 33 Per un futuro Congresso di Oratori Festivi    35 Pagina Intima . 37 La prima esposizione delle nostre scuole professionali 38 Rivista musicale .

Il Rappresentante di D. Rua in America   . 42 Cronaca del Movimento salesiano: - Torino-Napoli - Buenos Aires - S. Paolo (Brasile)   45 Missioni - Attraverso le foreste del Matto Grosso : relazione di D. Balzola - Colombia: notizie della guerra e dei lebbrosi    51

Bozzetti Patagonici    54

Grazie di Maria Ausiliatrice    56

Spigolature agrarie    59

Ai RR. Parroci   60 Necrologia: Carlo Gastini - Mons. Antonio Zernitz di Gorizia - Mons. Serafino Palmigiani di Jesi - Salvatore Raineri di Bordighera Cooperatori defunti   63

Illustrazioni - Leone XIII pag. 34 - Esposizione di Valsalice: Gruppo dell'Arcangelo Raffaele della scuola di Sarrià, 39. - Disegni della scuola di Plastica dell'Oratorio di Torino, 41. - S. Michele Arcangelo, scultura dell'Oratorio di Torino., 46. - Nuovo Tempio di S Carlo in Buenos Aires, 49. - Disegni della scuola di Plastica dell'Oratorio Salesiano di Torino, 55.

OMAGGIO AL GIUBILEO PONTIFICALE di Leone XIII

Sentimenti di Don Bosco sul Papa

Don Bosco tenne ognora il Papa in cima dei suoi pensieri, lo ebbe caro come la pupilla degli occhi suoi; delizia e tesoro di Pio IX che tante volte lo benediceva in Vaticano, delizia e venerazione di Leone XIII che ripeteva sopra il suo capo la Benedizione Apostolica, D. Bosco in tutto che fece, in tutto che scrisse, mirò fedelmente a condursi come più era in amore del Vicario di Gesù Cristo ».

Son queste, o benemeriti Cooperatori e Cooperatrici, le care e consolanti parole che sulla tomba del nostro indimenticabile Padre D. Bosco pronunciava, 14 anni or sono, l'Em.mo Alimonda, Card. Arcivescovo di Torino. Qual più splendido e vero elogio poteva dirsi di lui? E diciamo più vero, giacchè quanti abbiamo conosciuto Don Bosco, sappiamo come l'amore al Papa fosse in lui come connaturato; sappiamo

come le sue parole, i suoi atti, la vita sua tutta quanta sia stata una testimonianza viva e perenne della sua devozione, del suo affetto al Vicario di Gesù Cristo, monumento immortale di quella romanità, per usar la parola di Tertuliano, da cui derivò, al dir dell'illustre apologista, la salvezza a tutto il mondo; romanitas omni salus (De pallio). Le vite dei Papi dei primi tre secoli, da S. Pietro a S. Melchiade, che egli ci narrava ogni festa con una parola così semplice, attraente ad un tempo ed erudita, e poi diede alle stampe dal 1856 al 1865, la Storia Ecclesiastica e la Storia d'Italia pel popolo e per la gioventù, le numerose opere di apologetica, da lui pubblicate fra tante svariatissime occupazioni, il tempio monumentale al Cuor di Gesù che egli eresse in Roma per ubbidienza al Papa pur fra mille fatiche, difficoltà e dolori , son là ad attestare quanto fosse vivo in Don Bosco, quanto fosse in lui potente l'amore al Vicario di Gesù Cristo.

E n'aveva ben donde, giacchè il Papa è il padre universale della cristianità, il capolavoro delle mani di Gesù Cristo, Dio e Uomo, l'essenza viva e culminante di una Religione divina, il favo di miele stillante dalla bocca del leone, destinato dalla divina Provvidenza a confortare le anime nelle amarezze della vita e a ringagliardirle nella conquista del regno de' cieli. « Ah! no, esclamava un giorno Lacordaire, « quand'anche la mia intelligenza non fosse tanto rischiarata dai raggi della grazia, no, io non lascierei tuttavia di baciare con umile riverenza i piedi a quest'uomo, che in fragile carne e in un'anima sottoposta a tutte le tentazioni seppe mantener inviolata la dignità della specie umana e far prevalere, pel corso di tanti secoli, la potenza dello spirito sulla materialità della forza ». Tale è il Papa. Or potremmo noi, figli di D. Bosco, in una circostanza così solenne qual è quella che ci si presenta dell'aprirsi col 20 del prossimo febbraio il 25° anno di Pontificato di Leone XIII rimanercene inoperosi? No mai.

Quando nel 1887 tutto il mondo era in movimento per celebrare il Giubileo sacerdotale di Leone XIII, che cadeva il 23 dicembre di quell'anno, D. Bosco pur già affranto e presso a terminare la sua carriera mortale, volle concorrervi anch'egli coi suoi figli. Ne è testimonio la splendida artistica opera intitolata: La Filosofia, la Storia e le Lettere nel concetto di Leone XIII, che offerta al Papa qual omaggio dei Salesiani e dei loro Alunni e Cooperatori e da lui onorata dei più preziosi elogi, che noi non dimenticheremo giammai, fece la sua splendida figura nell'Esposizione Vaticana dell'anno seguente. Decorata del diploma di Medaglia d'oro alla detta Esposizione e di altre uguali onorificenze all' Esposizione italiana di Londra , Internazionale di Bruxelles, Universale di Barcellona, Internazionale di Colonia e di Edimborgo, essa opera, assai più che monumento d'arte, rimarrà sempre cara al nostro cuore di credenti qual testimonianza d'affetto e di devozione al rappresentante di Gesù Cristo su questa terra.

Che diremo poi di quelle care e preziose parole che egli stesso, il nostro buon Padre, pochi mesi prima della sua morte, scrisse di proprio pugno per l'Albo da presentarsi al Pontefice? « Quello che tuttavia posso compiere, diceva il nostro caro Padre, si è di confessare, come confesso altamente, che fo miei i sentimenti tutti di fede, di stima, di rispetto, di venerazione, di amore inalterabile di S. Francesco di Sales verso il Sommo Pontefice, sentimenti che intendo abbiano a durare perenni nell'animo dei miei figli spirituali ».

Dobbiamo anzi fare di più. È noto che quando nel 1849 trovavasi Pio IX esule a Gaeta, i giovanetti dell'Oratorio di San Francesco di Sales in Torino concorsero anch'essi, benchè poveretti, con la loro modesta offerta all'Opera del denaro di S. Pietro, iniziatasi in quell'anno, offerta che vennero personalmente a ricevere il 25 marzo di detto anno due illustri menbri del Comitato Promotore, cioè il Marchese di Cavour e il Canonico Valinotti. È noto ancora come quell'offerta pervenuta a Pio IX con accompagnamento di espressioni semplici e schiette, commosse fino alle lagrime il cuore del tribolato Pontefice, tanto che ne volle esternare l'animo suo affettuoso e paterno con una lettera indirizzata in suo nome a D. Bosco, che rimarrà sempre come la cosa più cara e preziosa nella storia della Società Salesiana.

Ebbene imitiamo in questa circostanza l'esempio di D. Bosco, facciamo cioè che i giovani e le giovinette dei nostri Istituti, sparsi ornai per tutto il mondo, concorrano col loro Obolo, sia pure tenue, a testimoniare in modo positivo la lor devozione, il loro amore al Sommo Pontefice. Noi ne abbiamo già fatto cenno nel Bollettino di gennaio, lo rinnoviamo ora, e lo ripeteremo in seguito, sicuri di fare cosa gradita al Pontefice, salutare e santa nello stesso tempo, giacchè dare al Papa è dare a Dio. Poichè per un Cattolico il Papa è il Rappresentante di Gesù Cristo, il Padre spirituale delle anime, il Noè del Nuovo Testamento , il gran Nocchiero della Nave di G. Cristo, il Pastor della Chiesa che ci guida, l'introduttore nel regno de' Cieli. Or perchè non dovremo noi tributargli tutta la nostra affettuosa, piena ed intera riconoscenza? « I tempi corrono calamitosi - scriveva il nostro D. Bosco fin dal 1856, e dobbiamo pur troppo ripetere ancor noi, - i tempi corrono assai calamitosi per la nostra santa Religione, i nemici del Cattolicismo spendono ingenti somme di danaro, intraprendono lunghi viaggi, sopportano gravi fatiche per diffondere libri immorali e contrari alla Religione; e noi per salvare le anime non ci daremo almeno quelle sollecitudini che con tanto ardore altri si dànno per condurle alla perdizione? » E conchiudeva: « Iddio misericordioso infonda nel cuore di tutti vivo desiderio della salute delle anime, e ci aiuti a mantenerci costanti nella fede di Pietro, che è quella di Cristo, e così camminare per quella strada sicura che ci conduce al cielo »,

Per un futuro Congresso di Oratori Festivi

A. benemerita Italia Reale- Corriere Nazionale annunziava, alcuni giorni sono, che nella prossima primavera si terrà in Torino un Congresso di Oratorii festivi, ed invitava quanti intendono di concorrervi a, porsi senz'altro in relazione col Sac. Stefano Trione, segretario del Comitato promotore (Via Cottolengo, 32, Torino). La notizia, come era da prevedere, incontrò approvazione e plauso universale sì per l'alta importanza della cosa in sè, come per la scelta stessa del luogo di convegno. Non è infatti Torino, dove l'8 dicembre 1841 il nostro buon padre D. Bosco apriva il suo primo Oratorio, intitolato a S. Francesco di Sales, seguito poscia dagli Oratorii di San Luigi, dell'Angelo Custode, di San Giuseppe e di Sant'Agostino? Non è forse Torino che conta attualmente, oltre ai sopracitati, un numero veramente confortante di Oratorii Festivi maschili e femminili? Ben venga adunque il nuovo Congresso, venga e precorra a tanti altri che abbiano ad aprirsi nelle altre città d'Italia, anzi di tutto il mondo. Sta negli Oratorii festivi, è da essi sopratutto che dipende la rigenerazione religiosa, morale e civile della società. Nè siamo noi poveretti, i primi, od i soli a riconoscere, a proclamare questa solenne verità. Noi anzi non siamo, anche in questo, che un' eco debolissima delle parole, i semplici esecutori degli ordini del nostro gran Capitano, che è il Papa. « Raddoppiate le forze, proclamava vivamente anni sono Leone XIII e noi poniamo in capo al Bollettino, raddoppiate le forze e i vostri talenti a ritrarre l'infanzia e la gioventù dalle insidie della corruzione e dell' incredulità e preparare così una generazione novella ».

Or dove, più che negli Oratorii festivi, dove più che in essi, ne' quali s'accoglie in ispecial modo la gioventù del ceto medio ed infimo, si può attuare questa grande e capitale preparazione? Di quel ceto, diciamo, che, ha per natura sua e va pigliando ogni dì più, nelle condizioni attuali de' tempi, un posto così importante e così influente nei destini sociali ?

Montesquieu scriveva che vi ha de' cattivi esempi che sono veri delitti, e che sono assai più gli Stati periti per violazione de' costumi, che non quelli spenti per violazione delle leggi (1). Or qual mezzo migliore e più efficace ad arrestare questa epidemia morale, ad allontanare dagli individui, dalla famiglia e dalla società quest' immane disastro se non l'istituzione degli Oratorii festivi, dove i giovani salvati dal vagabondaggio, preservati dalla vista e dalla compagnia dei malvagi, affogati in divertimenti, magari chiassosi e spensierati, ma onesti, crescono sodamente istruiti ed educati nelle verità religiose e morali, nell'esercizio delle virtù cristiane che dovranno sorreggerli, rinfrancarli fra le prove non sempre liete della vita? (2)

« La prima età, l'età giovanile è quella per sua natura, su cui si plasma tutta la vita nostra, così da riuscire, per via ordinaria, nella virilità e nella vecchiezza quel che fummo un giorno fanciulli e giovani. Di qui si comprende perche tutti i più grandi pedagogisti ed educatori, da Pitagora a Quintiliano, da Quintiliano al Rambaldoni, da Vittorino da Feltre a D. Bosco, la fanciullezza e la gioventù abbiano fatto oggetto precipuo delle speculazioni dell' intelletto e dell'operosità della volontà. Intesero ed intendono che la creazione, come la rigenerazione della vita sociale, sta in una educazione razionale, vera cioè, retta, sana, conforme a natura, della gioventù, in ispecie della gioventù della borghesia ed in ispecie più ancora della gioventù dell'infimo ceto, per esser questa generalmente la più abbandonata e perciò la più sfruttata dai partiti sovversivi. Si comprende il sorgere degli Oratorii festivi, glorioso vanto, santa istituzione dell'era contemporanea, dove il fanciullo, il giovane trova non solo il rifugio, la salvaguardia contro i pericoli che lo circondano, ma trova ancora l'alimento sostanziale dell'anima, il pane della vita, il corroboratore delle sue forze nella lotta pel bene, il formatore del carattere. Che vi ha di più grande nelle cose umane? chiedeva già un giorno Quintiliano, e rispondeva: vincere il vizio. Nessuna vittoria è maggiore di questa. Molti domarono popoli e città, pochissimi se stessi. Orbene, è questo appunto a cui si arriva in un Oratorio sapientemente organizzato, dove cioè, all'infuori della politica, l'anima e il corpo, le forze morali e le forze fisiche, l'immaginazione e la volontà, l' educazione e l'istruzione, la vivacità del sentimento e la ginnastica dell' intelletto, la libera espansione dell'animo e l'efficacia direttiva dell'autorità trovino il loro campo, la loro vita, il loro sviluppo, la loro guida; trovino in un insegnamento religioso vivo, efficace, conveniente quel senso cristiano del bene e del male, che come egregiamente osserva il D'Azeglio, pur sempre la base della società moderna, la sola guarentigia di quel benessere che è la più ragionata applicazione del primo dei precetti evangelici, ossia la carità. Credere che a ciò basti da sola la scuola è lo stesso che voler chiudere gli occhi alla realtà delle cose. Noi sappiamo ornai per esperienza, osservava anni sono l'illustre De Margerie di fronte alla spettacolo della criminalità crescente in ragion diretta dell'istruzione abbandonata a sè sola, noi sappiamo per esperienza ciò che il più volgare buon senso e la psicologia più elementare già ci permettevano di affermare a priori, che cioè se l'istruzione fondata sulla religione e compenetrata di atmosfera religiosa influisce come principio di moralità, l'istruzione, alla quale manchi tal base e tale atmosfera, influisce come principio corruttore.

(1) - Il y a des mauvais exemples, qui ne sont que des crimes, et plus d'états out peris parce qu'on a violé les moeurs, que par ce qu'on a violé les lois,

(2) Stralciamo parte di un articolo che uno de' nostri Superiori mandava, particolarmente richiesto, pel XXI GIUGNO. Numero unico pubblicato a Roma in detto giorno dell'anno scorso per cura dell'Oratorio festivo S. Isidoro.
» Or è l'Oratorio festivo che compie e all'uopo raddrizza l'opera della scuola, supplisce alla deficienza della famiglia, coadiuva, dico coadiuva, l'azione salutare della Chiesa. Che volete che possa fare alla festa per la fanciullezza e la gioventù, vale a dire per la parte pur la più numerosa e più bisognosa di cure della sua parrocchia, un pastore di anime, sia pure il più operoso, pio ed intelligente, obbligato com'è al ministero degli adulti che tutta assai spesso gli assorbiscono l'energia? Non può mica nè deve abbandonar gli uni per gli altri. E poi per la gioventù ci vogliono attitudini speciali, una vocazione naturale, una conoscenza teorico-pratica, una forma particolare di spirito di sacrificio, che non è dono di tutti. Nè questo avviene soltanto nelle grandi città, nei centri popolosi, ma bensì dappertutto. Le città secondarie, i grossi borghi, i paesi rurali stessi abbisognano dell'Oratorio festivo, se si vuole che la gioventù cresca sii bene moralmente e fisicamente, nell'energia pel bene, come nella vigoria del corpo. Noi Tedeschi, diceva poco fa l' Imperatore Guglielmo II agli studenti dell' Università di Bonn, temiamo Dio e null'altro al mondo. Facciamo che ogni città e terra d' Italia abbia il suo Oratorio festivo, e noi Italiani avremo allevato una gioventù, la quale potrà anche dire con santo orgoglio di non temere altro al mondo che Dio: Initium sapientiae timor Domini. »

PAGINA INTIMA

QUESTA cara pagina - manifestazione intima della nostra profonda gratitudine verso quei zelanti Cooperatori che con generosità degna d'ogni encomio coadiuvano lo sviluppo della nostra mondiale Pia Unione - non deve mancare in questo numero del nostro periodico perchè avvenimenti memorabili ed importanti ci hanno dato motivo di nuovamente ammirare lo zelo disinteressato ed ardente dei nostri Direttori Diocesani e Decurioni. La solennità del nostro Patrono, il mitissimo Vescovo di Ginevra, e l'anniversario dell'indimenticabile nostro Padre e Fondatore Don Bosco non hanno forse suscitato dovunque un nuovo fremito di vita salesiana sia per onorare l'Apostolo ed il modello della cristiana dolcezza tanto necessaria nei nostri dì, come per rendere un mesto tributo di preghiere e suffragi all' anima benedetta di Colui che a noi fu Padre nell'operare il bene a gloria di Dio e per la salvezza di tante anime? Rimembranze son queste che in singolare antitesi destano affetti e sentimenti diversi, ma non fra loro contrari, anzi tali che, fidenti nella mano della Provvidenza divina, speriamo vedere un giorno tra loro confusi. Dalle relazioni infatti che da tutte parti ci giungono tocchiamo con mano quanto i figli di D. Bosco ed i loro Cooperatori stretti in un sol vincolo di affetti fecero e vanno facendo per degnamente commemorare queste due soavissime date.

Grazie di tutto a voi, o benemeriti, che tanta e sì viva parte prendete alle nostre gioie ed al nostro costante e figliale cordoglio ! Noi ci faremo un dovere di tramandare nei nostri annali la memoria del vostro operato, riportando un po' per volta nella Cronaca del movimento salesiano quanto ci pare degno di ammirazione ed imitazione. Voi intanto continuate a tenerci al corrente di quanto andate facendo per far prosperare in mezzo ai vostri conoscenti ed amici la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani, la quale, ricca di spirituali privilegi, ha l'onore sommo ed ineffabile di registrare Primo fra tutti i suoi membri quell'Augusto Vegliardo che , racchiuso in Vaticano , entra in questo mese nel 25°. anno di Pontificato sulla Cattedra infallibile del Vicario di Cristo in terra emulando la prodigiosa longevità del Primo Pietro e dell'Angelico Pio IX, l'amico primiero, il confidente e sostenitore intrepido di D. Bosco e dell'Opera sua fin dai suoi primi inizii. A Lui,

Primo Cooperatore, anzi Primo Operatore Salesiano, come degnossi Egli stesso protestarsi, i membri tutti della Salesiana Famiglia, umiliano i loro voti figliali e l'omaggio di loro imperitura ed invariabile sudditanza, in questo faustissimo avvenimento ; e mentre la gioventù alle nostre cure affidata, nella vivezza di sua fede e vitalità , si dispone a dare al mondo memorando esempio del suo attaccamento alla Cattedra di Pietro, noi giubiliamo pure di santo orgoglio nel pensiero che dessa non è sola, ma che tutti i nostri Cooperatori e Cooperatrici precedono gli altri cattolici nella solenne protesta d'amore. E non è forse questo un altro motivo fecondo di caste gioie e consolazioni per la nostra Pagina intima? Sappiamo che in più luoghi parecchi Direttori e Decurioni presero occasione dalla conferenza che il nostro Regolamento prescrive per la festa di S. Francesco di Sales, per animare i membri della Pia Unione a prepararsi a celebrare con la preghiera e con l'Obolo di S. Pietro le nozze Pontificali di Leone XIII. Ottimamente : sono due argomenti si intimamente legati che si confondono in un solo, e vorremmo che l'esempio bello venisse largamente imitato.

Altro argomento di conforto per la nostra Pagina intima si è l'alacrità con cui procede la revisione delle Decurie. Il lavoro è lungo ed anche se si vuole, malagevole, ma di che non è capace un cuore quando è vivificato dal soffio della carità di Cristo? La nostra Amministrazione continua perciò ad inviare ai Reverendissimi Parroci ed agli altri benemeriti Decurioni nostri le liste dei Cooperatori e Cooperatrici esistenti in ciascun paese o località, con preghiera di segnalarci i Cooperatori defunti, o quelli che per qualsiasi motivo avessero cessato di esserlo, e di aggiungere quelli che desiderassero far parte della nostra Pia Unione. Quanto domandiamo non è certo senza noie, ma noi confidiamo che la carità, la quale è di sua natura benigna, paziente e cerca solo l'altrui bene, convertirà, col suo fuoco queste noie in prodigi di zelo, eccitando quanti hanno ricevuto le dette liste a volercele sollecitamente rinviare debitamente corrette. Ad essi i nostri anticipati ringraziamenti e l'assicurazione di nostra perenne gratitudine.

N. B. In un prossimo numero pubblicheremo l'elenco dei Sacerdoti e Parroci ultimamente eletti Decurioni, ai quali il Rev.mo Sig. D. Rua fece già avere il Diploma. Se intanto qualcuno dei nostri antichi Decurioni non avesse ancora il Diploma di nuovo formato ce ne faccia domanda, e lo spediremo.

LA PRIMA ESPOSIZIONE DELLE NOSTRE SCUOLE PROFESSIONALI.

LA Sezione Agricola - la settima dell'esposizione - presenta poco materiale, mentre avrebbe potuto riuscire una delle più ricche ed interessanti, se le colonie, abbastanza antiche e pregievoli, dell'Asia e dell'America vi avessero portato il loro contributo; se la Francia non si fosse fatta rappresentare che dalla colonia di S. Giuseppe alla Navarra, e questa anche soltanto dal suo Medagliere e se, sopratutto, Ivrea per la parte pratica dei miglioramenti ottenuti in terreni prima rocciosi e sterili; e Parma per la parte teorica, della attivissima propaganda di razionali idee agrarie, vi avessero partecipato almeno con quadri dimostrativi del lavoro compiuto in pochi anni. La giuria si limita quindi a parlare della colonia di Canelli in Italia e di quella di Gerona nella Spagna.

Canelli si distingue non solo per la squisitezza dei suoi vini a tipo costante, ma anche pei suoi continui progressi economici; per cui i prodotti del secondo triennio superano di circa due terzi quelli del primo. La colonia di Gerona, fondata nel 1891, è notevole per i lavori di sistemazione e di canalazione, per il discreto numero di macchine agricole e per i risultati, veramente sorprendenti, ottenuti coll'applicazione del sistema Solari. Il terreno, che colla vecchia agricoltura dava scarsamente i nove quintali di frumento all'ettaro, coltivato invece secondo il sistema Solari, andò via via aumentando fino a raggiungere i 44 quintali per ettaro. Tali splendidi risultati sono confermati da due diplomi di prima classe conferiti alla colonia di Gerona dal Governo spagnuolo.

Nella Sezione ottava - Corsi professionali di disegno - figurano le case di Torino, Liegi, Puebla, Legnago, San Benigno Canavese, Milano e Barcellona. La scuola dell'Oratorio di Torino ha esemplari scelti con buon criterio, esecuzione eccellente, contorni sicuri, e ben intesi e, malgrado un poco di durezza nella tecnica, conserva la grazia delle forme. Liegi è una scuola molto sviluppata e ricca di lavori. Gli allievi di Puebla, nei pochi lavori presentati, dimostrano grande attitudine, benchè gli esemplari non siano scelti troppo felicemente. Legnago ha pure pochi lavori, ma sono disegnati con molta diligenza.

Negli altri corsi si desidera maggiore accuratezza nel chiaroscuro.

La penultima Sezione comprende le Scuole di Plastica e di Scultura in legno e vi figurano quelle di Torino, San Benigno Canavese e Milano. E qui segnaliamo con viva soddisfazione la scuola dell'Oratorio Salesiano di Torino, che nella disposizione dei suoi lavori in plastica e scultura, dimostra di aver tenuto presenti i saggi criteri direttivi stabiliti per la Mostra salesiana dal suo Presidente. La razionale classificazione dei lavori e degli stessi elementi di cui un lavoro si compone, secondo i corsi degli allievi che li hanno eseguiti: la possibilità di valutarne la fedele esecuzione, essendo ciaschedun lavoro accompagnato dal relativo disegno, e finalmente la varietà di genere e di stile, rendono assai pratica ed interessante la mostra di questa scuola. Dai primi tentativi di plastica elementare, un po' duri ed incerti - difetto del resto derivante dalla necessità di dover iniziare contemporaneamente i giovani alla plastica ed al disegno - si arriva grado grado a composizioni e soggetti plastici così vari, pratici e ben trattati, che fanno di leggieri rilevare l'ottimo metodo d' insegnamento. Il quale ancora e meglio si riscontra nella scuola di scultura in legno. In essa, muovendo dagli schizzi, disegni, sagome, modelli in terra ed in gesso, e bozzetti con particolari al vero, si giunge alla esecuzione in legno, e così, dalle prime prove d'intaglio ai grandiosi lavori artistici di vario stile. Spicca fra tutti una riuscitissima Piramide - o Trionfo portabottiglie - tutta scolpita in noce, mirabile per l'ardito concetto, per l'armonica composizione, per la felice e solida costruzione superante difficoltà non indifferenti; ma sopra tutto, per l'accuratezza minuziosa - e vorremo dire perfino soverchia - in alcune particolarità della decorazione ornamentale e di basso-rilievo, con putti nel basamento di una morbidezza graziosissima.

Questa Piramide, eseguita per la ditta Chazalettes di Torino, figurò all'ultima esposizione mondiale di Parigi. Altre prove dell'abilità dei bravi artisti dell'Oratorio sono un Tempietto circolare di stile classico, ordine composito, dalle linee purissime e dalle giuste proporzioni delle parti: una Cattedra, vari Seggioloni, un Tamburetto, un originale e semplice Candelabro in puro stile lombardo, e, finalmente, una Cornice di stile barocco, trattata con molta disinvoltura.

Nella decima ed ultima Sezione sonvi alcuni lavori - fuori concorso - in Statuaria, Plastica e Ceramica delle case di Torino, Barcellona, San Benigno Canavese e Milano.

L'Oratorio di S. Francesco di Sales ha una Statua di Maria Ausiliatrice di buon assieme e carattere assai religioso, trattata a maniera larga e facile; decorata e colorita con gusto pittorico simulante nei panni le variazioni delle mezze tinte seriche con facile inganno dell'occhio. Con uguale facilità sono eseguiti il Cristo, con coloritura dal vero, e il San Michele dello stesso Oratorio di Torino.

Barcellona ha ottenuto un vero successo col Gruppo dell'Arcangelo Raffaele e il giovane Tobia nell'atto di afferare il pesce. È opera di eccellente composizione, di forme corrette ed eleganti : grande naturalezza di posa specialmente in Tobiolo. La coloritura e decorazione è castigata e condotta con verità. Splendido contorno e base al gruppo è il piedestallo fiancheggiato da parapetti a pianta semi-circolare, in stile gotico, disegnato con squisita eleganza ed eseguito perfettamente in legno di mogano.

Il San Giuseppe con Bambino, di San Benigno Canavese, dalla posa soave e ben composta, dal panneggiamento artistico e di effetto, sebbene un po' duro nelle pieghe, manifestano l'anima di un provetto ed appassionato artista. Della stessa scuola sono: un basso rilievo rappresentante la Guarigione dello storpio e quattro Figure allegoriche, mirabili per la nobiltà della composizione, per le giuste movenze e le ben disegnate figure con appropriati caratteri: la tecnica è felicissima e usata con sicurezza. Composizione originale e trovate di effetto rendono molto pregevoli i Cartoni del Piana. La plastica di San Benigno ha pure diversi basso rilievi ornamentali, chimere e figurine toccate con gusto e maestria.

Milano è la sola casa che fino ad ora coltivi l'arte gentile della Ceramica, sotto la direzione del valente artista cav. G. B. Minghetti. Questa scuola incipiente, ma già così progredita nel suo valore artistico da meritarsi la Medaglia d'oro nell'ultima Esposizione di Lodi, è una geniale restaurazione che segna un più nobile avvenire ad un'arte che si è fatta ormai troppo minuta, leziosa e venale. Ci piace anzi riferire le parole stesse con cui la Lega Lombarda parlò di questi lavori: « ... Nella intelligente ed accurata riproduzione di tipi e di forme, vi si trova un gusto così raffinato ed una tale purezza di contorni e di linee, da restare inchiodati in lunga e pensosa contemplazione; l'eccellenza artistica si appalesa nei più minuti dettagli; la novità e l'originalità abbondano senza mai cascare nello strano e nella esagerazione; il tutto, anche nei capricci, è governato da una mente serena e subordinato ad una tenacità regolare, perfetta, che esprime un costante sapore di classicismo. Possiamo andar lieti, gloriarci anzi che sia rinata tra noi l' immortale scuola di Capodimonte. Il valente maestro e i bravi giovinetti suoi scolari trasfondono nelle leggiadre loro riproduzioni le loro belle anime artistiche, facendo risaltare le loro audacie di forme e le loro arditezze di toni, specialmente in alcune vaghissime testine, in diversi gruppetti di genere, in caratteristiche giardiniere, in geniali portafiòri, mensolette e in cento e cento altri articoli. Quelle figure graziose, slanciate, carezzevoli che si muovono, che si animano, che gesticolano, sembra parlino al vostro animo, al vostro sguardo intento e rapito. Splendidi davvero nella nivea loro candidezza i trionfi da tavola in istile Luigi XV; magnifici gli ornamenti da caminiera che sono tutti un trionfo di graziosi amorini vivi e sorridenti ».

Questo fu pertanto il risultato della prima esposizione delle nostre scuole professionali.

La solenne chiusura ebbe luogo il 26 di settembre u. s. nell'ampio cortile di Valsalice, con una breve e ben riuscita accademia, sotto la presidenza del Rev.m° sig. D. Rua, circondato dai Superiori della Pia Società Salesiana, dai signori giurati, da un eletto stuolo di signore e di signori Cooperatori invitati e da tutta la Sezione artigiani dell' Oratorio di San Francesco di Sales di Torino.

« La proclamazione dei voti - scrive L'Archivio Tipografico - venne preceduta da un discorso del prof. D. Giuseppe Bertello, Consigliere Professionale; discorso elegante per forma, denso di concetti pratici e inspirato ad un senso di vera modernità, tale che riscosse i più calorosi applausi dal pubblico intervenuto ». Dolenti di non poterlo riprodurre nella sua integrità, ne rileviamo soltanto le parti che racchiudono il doveroso ringraziamento alle benemerite giurie, il motivo dei difetti riscontrati nell'esposizione e le saggio raccomandazioni fatte agli artigiani della Casa-madre che, in quel momento rappresentavano tutti i piccoli nostri operai sparsi nel mondo.

« ... A tutti questi benemeriti signori io rendo le più vive grazie a nome della Pia Società Salesiana. Il mio ringraziamento si estende all'opera diligente e disinteressata, alle cortesi espressioni di lode e di incoraggiamento che si degnarono di rivolgere ai nostri laboratori; ma sopratutto intendo esprimere la nostra riconoscenza per le critiche benevoli, gli avvisi ed i consigli, coi quali intesero notare i difetti di metodo o di esecuzione che rendono imperfette le nostre scuole professionali. Di questi doni della loro saggezza ed esperienza noi siamo in particolar modo riconoscenti, perchè essi rappresentano il frutto vero a cui si mirava nell'iniziare la presente esposizione. Grazie adunque per quello che hanno fatto, e grazie ancora per quello che vorranno fare in avvenire, coadiuvandoci nell'opera cristiana ed umanitaria di fornire ai giovani operai una coltura che in tutto corrisponda ai bisogni dei tempi ed agli ideali dell'arte... L'esposizione, non ostante l'apparente ricchezza di oggetti ed i pregi considerevoli di alcuni di essi, se si giudica dal suo titolo di esposizione generale salesiana ed in conformità del programma proposto, è difettosa per molti riguardi. E' da notare che solo una minima parte delle nostre scuole professionali e colonie agricole sono rappresentate nella mostra... Ciò proviene da cause diverse, delle quali basti ricordare che questo è il primo tentativo, sull'importanza pratica del quale, non tutti si fecero un concetto ben distinto; che la mostra fu bandita solo nel dicembre dell'anno passato; quando molti lavori del triennio precedente erano già rimessi agli acquisitori, senza che se ne conservasse sufficiente memoria; e che la distanza dai luoghi per l'America, e le incertezze presenti delle case di Francia impedirono di preparare e di spedire in tempo opportuno gli oggetti da esporre ».

Prosegue quindi il discorso e così finisce, rivolgendosi specialmente ai giovani:

« . . Ed ora una parola a voi, giovani artigiani, che formate l'oggetto delle nostre sollecitudini. Voi lo vedete che di voi e del vostro avvenire si tratta principalmente in tutta questa solennità. Per voi sono tante fatiche dei vostri maestri ; per voi i sacrifici pecuniari dei vostri Superiori e Benefattori ; per voi l'opera sapiente degli illustri personaggi chiamati a giudici dell'esposizione.

» Ma a raccogliere il frutto di tante cure e sacrifizi è necessario il concorso della vostra buona volontà. Come ora i lavori eseguiti da voi, sotto la guida dei vostri capi, furono oggetto di lode o di biasimo; così fra non molto il inondo giudicherà dei lavori che voi, divenuti adulti, eseguirete secondo il vostro sapere e la vostra industria; ma quel giudizio vorrà dire per voi ; pane o miseria - onoratezza o abbandono. Il banchetto della vita è ora più che mai conteso dalla folla dei concorrenti; e quelli riescono a farsi più largo posto, che sono più eccellenti nell'arte, più educati ed onesti. Non mancherebbero gli esempi a confermare quanto dico; ma io li tralascio, per non venire a personalità e perchè voi medesimi li potrete conoscere a decine. Voi leggete spesso una sentenza di S. Filippo Neri, che la santa memoria di D. Bosco volle che, insieme con altre, fosse affissa, alle pareti dei laboratori. « Il Paradiso, essa dice, non è fatto per i poltroni »; ebbene, non solo il Paradiso perdono coloro, che trascurano di mettere a partito i talenti ricevuti da Dio, ma anche gli onori e gli agi della vita presente. Bisogna lavorare, progredire, innalzarsi per la scala delle attitudini artistiche e professionali. Di chi la colpa se, mentre si fanno tanti sacrifizi per vostro vantaggio, voi vi troverete fra qualche anno incapaci di affrontare le lotte della vita? E non abbiate fretta di uscire dalla scuola, prima di avere compiuta la vostra educazione; non vi seduca la prospettiva del guadagno, non v'inganni la smania della libertà. Una pianticella troppo tenera intristisce e muore se è esposta senza riparo ai venti e alle brine; un soldato che non conosce bene il maneggio delle armi, non potrà fare che una guerra infelice. Corrispondete alle sollecitudini amorose dei vostri superiori, applicatevi con ardore ad apprendere quello che vi s'insegna, perseverate nell'opera tino a tirocinio compiuto, e, fatti operai abili e intelligenti, troverete con facilità una porzione di terra, su cui passare onoratamente la vita ed in essa vi tornerà più agevole intesservi una corona di meriti per il Cielo ».

« Chiuse la bellissima festa - prosegue il sullodato Archivio Tipografico - il M. R. Don Rua, persona dai modi oltremodo affabili. che si accattiva di un subito la simpatia e la riverenza di quanti hanno la fortuna di avvicinarlo. Egli terminò le sue paterne parole incitando i giovani allievi a procurare di perfezionarsi sempre più nello studio e nella tecnica della loro arte, ed augurando loro di diventare col tempo cittadini utili ed artigiani provetti: augurio a cui ci associamo di tutto cuore, unendovi quello che l'esposizione del 1904 segni una completa vittoria delle scuole professionali salesiane. »

E noi poniamo termine a questa relazione con un ringraziamento ed una raccomandazione. Ci sentiamo in dovere di porgere ai clienti dei nostri laboratori, ma in modo particolare alla ditta Chazelettes e C., agli egregi signori dott. Nota, G. Berutti ed Eugenio Pozzi di Torino, un vivo ringraziamento per la gentile deferenza con cui, anche con non lieve loro disturbo, ci permisero di portare a Valsalice i lavori già da tempo consegnati; ringraziamento che estendiamo pure alla stampa, specialmente professionale, che si interessò con benevolenza della mostra salesiana.

La raccomandazione nostra poi è rivolta ai benemeriti Cooperatori delle Città, ove sono Case salesiane con laboratori di arti e mestieri, perchè vogliano interessarsi a procurare lavoro abbondante e vario ai nostri artigiani; i quali metteranno ogni cura nel soddisfare chi dimostra di aver presenti nel cuore i bisogni e di avere fiducia nell'abilità dei piccoli operai di D. Bosco.

Rivista Musicale

Un modello di veramente bella composizione, piena di infantile leggiadria, tutta facile e melodiosa, e scritta coi più semplici mezzi dell'arte è la Messa Seconda a due voci simili con accompagnamento d'Organo in onore di S. Giuseppe, op. 22 del Sac. Giov. PAGELLA.

A due voci bianche è di miglior effetto che a due voci d'uomini; per questi sarebbe necessaria la trasposizione dello squisito accompagnamento d'Organo, un mezzo tono più alto.

Le avvertenze che il compositore dà nella sua prefazione rivelano in lui un ottimo buon gusto, e la loro osservanza non può non condurre ad una perfetta esecuzione.

Se nelle sacre-musicali maremme d'Italia e dell'estero tali piante d'Eucalyptus fossero piantate e disseminate, certamente il loro buon profumo e la loro virtù purificatrice dell'aria farebbero presto sentire la loro benefica influenza sul gusto della musica sacra.

Noi ci congratuliamo col Molto Rev. figlio di Don Bosco per questa sua produzione, magistrale nel suo genere, per mezzo della quale egli è entrato a far parte della piccola schiera degli Apostoli della musica sacra in Italia.

Dello stesso compositore è pubblicata una Messa da Requiem, op. 23, anch'essa per due voci simili con accompagnamento d'Organo - Il Libera chiude con una melodia del Kyrie in canto Gregoriano che non è tratta dai libri ufficiali.

Anche questo Requiem è nella sua musicale fattura, nelle melodie e nel trattamento del testo di un'incantevole semplicità e vi domina di capo a fondo una quiete profonda, sublime.

DOTT. F. X. HABERT Direttore della Scuola Superiore di Musica Sacra.

(Dalla Musica Sacra di Ratisbona, anno 1902, n. Regensburg, 1 Gennaio 1902.

IL RAPPRESENTANTE DEL SUCCESSORE DI DON BOSCO IN AMERICA

(Relazione del Sac. Calogero Gusmano)

REVERENDISSIMO SIG. DIRETTORE,

Da bordo del Ladario, 22 aprile 1901.

LA lunga e forzata dimora nella Terra del Fuoco, cui accennavo nell'ultima mia, ruppe bruscamente il nostro itinerario, ne disordinò alcune parti e ritardando l'arrivo a Montevideo fino al 22 marzo, ci procurava la poco gradita sorpresa di saper partito da cinque giorni l'unico vapore che faccia servizio fino a Cuyabà, sul quale noi si voleva e si doveva necessariamente prender posto.

A Montevideo ci parteciparono la dolorosa notizia della morte di D. Belmonte... Solo chi ebbe un compagno, un amico, un confratello carissimo come quel nostro Superiore, potrà immaginar lo schianto del sig. D. Albera al triste annunzio. Oh, D. Belmonte!.... come non averne scolpita profondamente l'immagine nell'intimo del cuore dopo averlo avvicinato, praticato, ammirato per tanti anni, e così da vicino?! In questi giorni, lo veggo sempre dinanzi alla mente così come lo vedevo quasi ogni sera dopo le orazioni all'Oratorio, quand'egli ne era direttore ed io alunno: parlava buono, affettuoso, coll'anima sulle labbra e nello sguardo... Una sera pronunziate poche parole, la voce gli si fece commossa e gli tremolarono nelle occhiaie due grosse lagrime che egli tentò invano di ricacciare indietro. Ricordo ancora il brivido vivissimo che scosse quanti eravamo colà raccolti e il bisbigliar sommesso chiedente la cagione di quel pianto... Un giovane aveva sprecato del pane gettandolo malamente sopra un mucchio di concime. D. Belmonte l'aveva raccolto, l'aveva mangiato ; ma non gli bastava: l'offesa fatta a Dio nei doni che la Provvidenza ci fornisce, doleva troppo alla sua bell'anima riconoscente ; non poteva, non voleva tollerare. E parlò animato, acceso destandoci nell'anima, tenera ancora e impressionabile, insieme al senso di detestazione per la colpa del nostro compagno, rimorso per simili mancanze altre volte da noi spensieratamente commesse. E dietro questo quanti altri ricordi mi vengono alla memoria !

Ed ora anche lui è morto ! ... Non lo vedrò più a sorridere con quel sorriso buono, sincero, affettuoso che gli accaparrava gli animi al primo incontro e che non l'abbandonava mai, neppur quando i casi più dolorosi ed imprevisti gli amareggiavano l'anima. Davvero, la sua vita fu l'idilio del sacrifizio e del lavoro come quella di D. Bosco ; egli che si consumava per gli altri e specolava sul minuto secondo da impiegare a bene della nostra Pia Società, come un avaro modello farebbe sul centesimo.

Pregammo e continuiamo a pregare per l'anima di lui, ma più per il sig. D. Rua, perché chi muore va alla gioia e riceve la corona, mentre lascia a chi resta la lotta e lo sconforto. Che trafittura, che pena sarebbero mai al cuore del nostro Padre queste perdite immature, questo vedersi scomparire dal fianco l'un dopo l'altro gli amici e i compagni del lavoro, se non lo sostenesse la fiducia in Dio e la rassegnazione al di Lui volere ! Muore l'uomo, mentre l'idea, l'istituzione continua e trionfa, questo è vero; ma è vero pur anche che le istituzioni e le idee hanno bisogno di campioni e che solo la virtù dei confratelli, l'aiuto dei Cooperatori può render men dolorosa, e compensare in parte il venir meno di forze che parevano ed erano ancora necessarie. C'è bisogno di rassicurarsi nel pensiero . che la nostra Società troverà facilmente e in abbondanza chi possa pigliar con onore sul campo delle lotte feconde il posto lasciato vuoto da quelli che caddero combattendo e vittoriosi.

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Mentre si aspetta il vaporino per Cuyabá, il sig. D. Albera utilizza il tempo per una visita a Mercedes- Orientale. I Salesiani hanno colà un fiorente collegio; ma questo è il meno: l'azione loro non è circoscritta nè tra le mura dell'Istituto, nè tra quelle del paese assai piccolo, ma si estende fin dove il bisogno lo chiede. E questo bisogno è grande e urgente nei luoghi d'intorno che scarseggiano o sono affatto privi di sacerdoti. Popolazioni intere rimangono col desiderio di assistere alla S. Messa nei giorni festivi, di udire una parola buona che, strappandole per un quarto d'ora agli affari terreni, le innalzi a pensieri di cielo e le corrobori nel bene e nella virtù. Venir qui, tuffarsi in un lavoro continuo, ingrato, sconosciuto, inconstatabile sarebbe forse cosa amarissima per la natura umana, ma di quanta gloria a Dio, di quanto bene per le anime, di quale rìcompensa sorgente efficace !

Ogni prete qui è parroco. Ultimamente ne fu ordinato uno e gli venne affidata quasi una vasta diocesi, tanto che ogni sabato è costretto viaggiar di notte per potersi trovare la domenica mattina nel paese centrale ove possa con maggior comodità radunarsi la gente dintorno per soddisfare al precetto ecclesiastico. Da anni ed anni non era benedetto quel luogo dalla venuta sacramentale di Gesù Redentore, quantunque vi si facessero alcune funzioni. Una vecchierella aveva lei l'incarico della Chiesa e la teneva uno specchio di pulizia: a date ore apriva, guidava il rosario... la faceva insomma da parroco fin dove le era possibile. E ci aveva preso mano e gusto la buona donna, così che quando vide il prete, giovane d'anni e di aspetto, pensò che bisognava ben guidarlo nella sua inesperienza, e gli veniva suggerendo più d'un consiglio, utile finchè si tenne nella sua cerchia ; ma quando poi credette necessario avvisarlo anche mentre stava all'altare, allora non ci fu d'ammirare che la buona volontà e la nessuna conoscenza della liturgia. Ma essa agiva con tanta fede e ingenuità che non c'era davvero da aversela a male.

Povero Gesù! come è abbandonato ingrataniente nella prigione volontaria del tabernacolo! Quaesivi consolantem me, et non inveni.... dovrà essere questo il lamento amoroso e paziento del divin Redentore. E un prete, un prete solo, potrebbe guidare tanti cuori a Lui, potrebbe di queste vergini anime formare vasi di elezione per quel Dio che le creò, le redense e le sostiene. Ma ciò richiede sacrificio intero, assoluto della propria persona, del proprio tempo, delle proprie affezioni, dei propri comodi, e tutto ciò non avrà chi non sente ben radicato nell'anima l'amore alla Croce.

Da Mercedes ci recammo a Paysandù soddisfacendo così alle insistenze di D. Gherra che voleva colà il sig. D. Albera durante la settimana santa. Le funzioni di quei giorni son solenni ed efficacissime dapertutto, dapertutto il lamento affascinatore di Geremia ricerca le fibre più intime dell'anima, dapertutto si sente il bisogno di piangere coi bambini che chiedono invano da cibarsi alle madri, e colle madri che vengono meno per il dolore e per le lagrime. La penombra delle Chiese, gli altari spogli d'ornamento, le immagini sacre velate, il sepolcro, la mestizia che regna intorno, susseguita poi dalla gioia e da un'onda di luce improvvisa, mentre e le campane e l'organo e le voci degli uomini cantano alleluia piace dapertutto e migliora, e fa talvolta trovare Iddio a chi non cercava altro che d'appagare la propria curiosità e il senso estetico. Son così varie e mirabili le vie di Dio! Ma qui a Paysandù la Settimana Santa è... una specialità del genere: imponente, grandiosa, orientale! Il Sepolcro poi è straordinario per splendore e magnificenza, ma io mi dispenso dal descriverlo per trentatrè motivi, ultimo dei quali non è certo la discrezione che mi consiglia a non abusare della cortese ospitalità che mi si accorda nelle colonne del Bollettino. Dirò piuttosto qualche cosa della città.

Paysandù è posta sulla sponda sinistra dell'Uruguay a circa novanta leghe dalla capitale: sorge su un dolce declivio e guarda a ponente l'estremità di un piccolo gruppo di collinette conosciute col nome di Cuchilla de Haedo, che partono dal fiume e s'internano fino al centro della Repubblica. Le strade quasi sempre diritte e regolari, il suolo piano facilitano il transito per ogni parte della città. Il fiume Uruguay lungo 1400 Km., largo in alcuni punti 10, delizioso per le sue 500 isolette che sparpagliate qua e colà divertono la vista del passeggiero, è la via naturale per l'interno del paese e forma, dopo Montevideo, il primo porto della Repubblica. Vapori di tutte le nazioni e di qualunque grandezza possono navigare quel fiume, purche costrutti in modo che non abbiano molta immersione. Il Triton e il Paris su cui abbiamo viaggiato misurano 80 metri il primo, 92 l'altro di lunghezza e riescono meravigliosi per lusso e splendore. Il commercio dà vita a questo popolo e la riceve a sua volta dalla pastorizia: lana, cuoi, carne salata sono quasi gli unici articoli di esportazione. A centinaia di migliaia contarsi gli animali che annualmente vengono uccisi nei diversi saladeros.

Il popolo è di recente formazione ; non ha nulla di notevole. L'edificio di maggior importanza è la chiesa, non perchè bella in sè, ma perchè nella sua mediocrità non ha rivali. Posta in alto del declivio, in forma di croce latina con 50 metri di lunghezza e 18 di larghezza, è divisa in tre navate strette e lunghe. Nell'interno presenta forme pesanti, chè enormi pilastri impediscono la vista dell'altar maggiore e delle navi laterali. Si direbbe piuttosto una fortezza anzichè un luogo sacro; e di fortezza servì più di una volta, specialmente nel 1846 e nel 1865. Ancora oggidì si vedono i segni dell'ultimo bombardamento, il quale meritò a Paysandù, per la forte resistenza dei suoi figli, il titolo di città eroica.

Quando dunque nel marzo 1881 giunsero all'eroica Paysandù i primi Salesiani, la città non contava che 12,000 abitanti coll'unica parrocchia di Maria SS. del Rosario; la ignoranza religiosa era estrema, pochissime le Comunioni pasquali, quasi nessuna pratica religiosa. Ora le parrochie son due, il popolo è sufficientemente istruito nei suoi doveri verso Dio, ed è aumentato di molto. L'elemento italiano è abbondante : su 80 ragazzi che frequentano le scuole dette di S. Raimondo due soli non son figli d'italiani, e tra i duecento ragazzetti di cui rigurgitano le scuole di N. S. del Rosario predominano i bambini dei nostri connazionali.

In questi poveri emigrati i nostri confratelli cercano di tenere desto il pensiero della patria ch'essi ancor amano e che solo il bisogno costrinse ad abbandonare. Son due i mezzi principalissimi, diceva l'illustre Mons. Bonomelli, per mantenere vivi e saldi i vincoli tra l'Italia madre e l'Italia figlia, che laggiù, al di là dell'Atlantico, sorge e grandeggia ogni anno: la lingua e la religione. Ed i Salesiani questi due mezzi li fan loro e li adoperano efficacemente perchè sanno anch'essi che la lingua parlata e scritta è lo strumento, il veicolo naturale di tutte le idee che poi l'incarnano nelle opere, e che la religione, la quale penetra e informa tutto l'uomo, mente e cuore, si lega con intimo nesso alla lingua. Finchè un popolo conserva la lingua nativa con essa conserva la memoria della patria, l'eredità sì cara delle tradizioni domestiche e nazionali, religiose e patriotiche. Fate che perda la sua lingua nativa, lo vedrete quasi ramo staccato dall'albero suo ficcato in terra, crescere e vivere a se solo: lo vedrete assimilarsi ad un altro popolo e perdere la sua personalità nazionale... Nelle colonie pertanto che i nostri emigrati vanno formando su quel continente, si deve continuare a parlare la lingua nostra, qual vincolo che li tenga uniti alla patria. E chi meglio del missionario italiano può adempiere questo nobile ufficio? Egli che deve vivere in mezzo ai coloni emigrati, egli che insegna il catechismo, spiega il vangelo, che ascolta le confessioni; egli che deve essere la loro guida, il loro consigliere, il loro padre!.... Il contadino italiano è profondamente religioso : il gelido soffio della incredulità e dell'indifferenza non è passato ancora sul suo spirito, inaridendo il suo cuore. Egli crede: la fede nei suoi padri è tutto per lui, è la sua forza, la sua vita. In sostanza la sua scienza morale e pratica si riduce al catechismo: se gli togliete questo che cosa gli rimane? Qual norma avrà del pensare e dell'operare ?

Ed è appunto colla religione che i nostri mantengono e rinsaldano i vincoli della patria e della famiglia in coloro che già son civili, e introducono la cìviltà dov'essa non ha ancor fatto risplendere la sua fiacola vivificatrice, quella vera civiltà che vigoreggia solo all'ombra della Croce e infiacchisce e muore quando da essa non venga protetta; è sicuro il missionario che - senza l'idea di Dio che giudica, premia, punisce, ama ed impone di amare -- il selvaggio resterà sempre selvaggio, accettando solo dal popolo civile lo schioppo per uccidere il nemico ed i liquori per uccidere sè stesso. Coi mezzi potenti che la religione fornisce si potè fare del gran bene a Paysandù, e D. Albera l'ebbe a constatare coi propri occhi. Durante la settimana Santa le nostre due chiese erano letteralmente gremite ; D. Albera assisteva ora in una ora in altra. Al giovedì Santo nella Chiesa del Rosario continuò per più di mezz'ora a distribuir il pane degli Angeli. Erano molti giorni che si ricevevano confessioni, e noi stessi abbiamo dovuto metterci a disposizione di quei buoni fedeli, restando alcune volte sette ore di seguito al confessionale.

Da 20 anni i Salesiani sono gli unici preti che attendano alla città di Paysandù, essi quindi hanno cura dell'ospedale e degli ammalati ed è facile immaginare il lavoro che hanno con una parrocchia così estesa, che alle volte bisogna viaggiare giorni intieri per consolare un solo ammalato. A quando a quando vanno per le campagne a battezzare, confessare, benedire matrimonii. Il giorno di Pasqua il sig. D. Albera mi mandò in una colonia distante alcune ore da Paysandù per celebrarvi la santa Messa. Vi andai a cavallo e, quantunque piovesse, la piccola cappella si riempì, vi furono confessioni, comunioni ed i battesimi dovetti amministrarli a più insieme in una volta per mancanza di tempo.

Per me la più bella prova del lavoro fecondo dei Salesiani in Paysandù si è l'aver nella Società più di 59 confratelli, di cui circa una ventina son già sacerdoti; senza contare quelli entrati in altre Congregazioni o ordini religiosi ovvero nel Seminario diocesano. Chi mai potrà calcolare il bene che questi novelli leviti e religiosi fanno e faranno ai loro stessi connazionali?

Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno aperto un fiorente Collegio con Oratorio festivo e fanno per le ragazze quanto i Salesiani pei giovanetti.

Da qui a poche ore saremo a Corrientes, il nostro vapore si fermerà per sbarcare alcuni passeggeri; penso di approfittare dell'occasione per chiudere e mandarle questa mia. Altre notizie le avrà dal Matto Grosso; ma non ci arriveremo prima di 22, 24 giorni di navigazione: sia ciò che Dio vorrà!

Suo dev.mo servo e conf.°

Sac. C. GUSMANO.

CRONACA del Movimento Salesiano

Italia.

TORINO - Solennità di S. Francesco di Sales. - Leviamo dall'ottimo giornale torinese L'Italia Reale-Corriere Nazionale: « Preceduta da un triduo di predicazione, si celebrò mercoledì, 29 corrente, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, la solennità di S. Francesco di Sales, Patrono dei Salesiani di D. Bosco. Alla Messa solenne pontificale di S. E. Rev.ma Mons. G. B. Rossi, Vescovo di Pinerolo, venne egregiamente eseguita dai cantori salesiani la Messa del Witt, diretta dal M° cav. Dogliani e accompagnata dal giovane e valente M° Mattey. Ai vespri disse l'elogio del santo il Teol. Barberis, che con semplicità ed unzione dimostrò che la memoria del Salesio, caro a Dio ed agli uomini, è in benedizione per lo spirito particolare di fede e di dolcezza che traspare da ogni atto della sua vita e come giovane studente e come apostolo del Signore ».

-- Il XIV anniversario di D. Bosco - Prendiamo ancora dal sullodato giornale: «Malgrado la pessima stagione, vi fu il 31 gennaio grande concorso di popolo, di cooperatori ed ammiratori delle opere di D. Bosco, per assistere al solenne ufficio funebre che l'Oratorio salesiano celebrava a suffragio del suo venerando fondatore. Fra le numerose rappresentanze notammo quelle degli Oratori festivi di S. Francesco di Sales, colla bandiera degli antichi allievi e della banda musicale; di S. Giuseppe, di S. Luigi e S. Agostino; quelle del Seminario di Valsalice, delle Scuole Apostoliche al Martinetto, dell'Istituto S. Giovanni Evangelista, del Collegio di Perosa, di S. Benigno e d'Ivrea; quelle dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate da D. Bosco, dell'associazione degli antichi allievi, ecc.

Il tempio di Maria. Ausil. presentava un aspetto imponente nell'austera severità dei lugubri addobbi, distribuiti con grande maestria e senso artistico in perfetta corrispondenza colle linee architettoniche e colla decorazione generale della chiesa. La quale, parata a festa il giorno precedente, venne così tramutata a lutto in brevi ore sotto la direzione di D. Luigi Pesce, prefetto di sacrestia, che nella sorprendente celerità e superba grandiosità dei ricchi panneggiamenti rivaleggia coi celebri addobbatori genovesi.

La Messa pontificale venne cantata da S. Ecc. R.ma Mons. G. B. Rossi, Vescovo di Pinerolo, e già Parroco di Castelnuovo d'Asti, patria di Don Bosco.

La Messa eseguita fu quella che il missionario salesiano D. Pietro Rota scriveva dopo la terribile catastrofe di Iuiz de Foras, nella quale fu vittima Mons. Luigi Lasagna, il suo segretario e tre figlie di Maria Ausiliatrice. Chi esamini lo spartito e pensi che il Rota ne scrisse la prima nota dopo il disastro e in pochi giorni l'ebbe pronto e se ne potè fare la prima esecuzione il giorno di trigesima dalla morte dell'apostolo del Brasile, deve esclamare : Che forte ingegno e che mente eletta !

In questa Messa si trova una forma spigliata: non è una musica tetra che agghiacci il cuore, è viva descrizione del cordoglio di un popolo intero che leva alta la sua voce a Dio per i trapassati; viva descrizione della grande scena del giudizio, come si può fare con una pittura o con un gruppo marmoreo.

Il tecnico potrebbe trovarvi qualche macula, ma all'uditore poco importa se qualche volta fra le parti vi sia una relazione di quinta. Le relazioni e le quinte furono fatte anche da sommi Maestri nei loro insuperabili lavori. È certo che l'arte deve essere soggetta alla regola; soggetta ma non schiava, perchè quando la regola trionfa in tutte le sue esigenze, sparisce o si attenua la libertà del genio.

L'autore con questo lavoro ci ha dato un'opera degna dell'arte e del genio italiano. E l'esecuzione? Le masse corali veramente imponenti furono non solo bene affiatate, ma sotto la direzione del cav. Dogliani interpretarono con sentimento la splendida musica, superando felicemente tutte quelle difficoltà che rendono assai rare le buone audizioni di lavori musicali di questo genere e di mole sì vasta. I solisti si segnalarono per la soavità, robustezza, pastosità della voce e per metodo di canto.

Sedeva all'organo il Prof. Mattey, organista eletto dalla Basilica Pontificia della Sacra Casa di Loreto, e di cui è ben nota la valentia.

Un'eletta schiera di distinti professori di orchestra prestò disinteressatamente la sua intelligente opera e contribuì mirabilmente a lumeggiare le bellezze dello spartito Rotiano. Un'esecuzione insomma degna dell'immortale D. Bosco, e di quell'arte che tra i suoi figli è trattata sempre con intelletto d'amore ».

Un Busto a D. Bosco - I giovani artigiani e studenti dell'Oratorio Salesiano con gentile pensiero, inspirato a quel senso di riconoscente affetto, che li lega al loro padre D. Bosco ed al venerando suo Successare D. Rua, vollero che nel punto centrale della casa e sotto quei portici, un dì rallegrati dalla dolce presenza di Lui, sorgesse un busto che continuamente ne ricordasse le soavi sembianze. Il busto, offerto dai giovani dell'Ora torio a D. Rua nella tradizionale commemorazione onomastica di D. Bosco dello scorso giugno, venne inaugurato lo scorso gennaio, presenti tutti gli allievi e Superiori dell'Oratorio ed una larga rappresentanza dei primi discepoli di D. Bosco.

Don Rua, accettando la consegna del dono gradito, ringraziava commosso i piccoli donatori e spiegava loro ciò che la figura di D. Bosco, collocata in quel luogo, doveva ricordare, cioè la pietà che li tiene uniti a Dio, e la carità fraterna che forma, delle varie sezioni della numerosa famiglia dell'Oratorio, un cuor solo nell'amore a D. Bosco.

Il busto è lavoro assai accurato dello scultore Cerini.

- Conferenza Salesiana - L'annuale conferenza salesiana, prescritta dal regolamento della Pia Unione, si tenne il giorno 6 febbraio, nella chiesa di S. Giovanni Evangelista con l'intervento di un consolante concorso di cooperatori e cooperatrici. Dopo il canto d'una delicatissima Ave Maria, eseguita dai giovani del fiorente Istituto annesso alla Chiesa, saliva il pulpito il M. Rev. Prof. D. Giuseppe Bertello, che con quella facondia che gli è propria e che tanto lo caratterizza, trattenne per ben più di tre quarti d'ora il scelto uditorio sul rapido sviluppo delle opere Salesiane e sulla crescente necessità di sostenerle e propagarne la diffusione.

Esordì dicendo come D. Bosco volendo dare alla sua nascente Società un Protettore celeste, scegliesse Francesco di Sales, non solo perchè da questo Santo voleva che i suoi figli ricopiassero lo spirito di carità e di dolcezza, tanto necessario nell'educazione della gioventù ; ma più di tutto perchè vide nei tempi di Francesco troppa viva rassomiglianza coi tempi nostri. Già fin d'allora, come noi ogni giorno lo vediamo ripetersi sotto ai nostri occhi, s'attentava alla coscienza dell'uomo, alla salvezza delle famiglie e delle società, procurando con ogni mezzo di distaccare gli uomini dalla religione e dalla fede cattolica. Per propria esperienza i nemici nostri sapevano e tuttora lo sanno, che spenta la fede nel cuore dell'uomo, è libero ogni freno al vizio ed alle passioni; quindi il malessere ed il malcontento in tutte le classi sociali. Ed allora, come Francesco di Sales non aveva temuto di fare coi miscredenti del suo secolo, ecco ai giorni nostri D. Bosco, scendere in campo a porgere un argine al male invadente, e correre per le vie a raccogliere i fanciulli tanto insidiati per istruirli nel catechismo ; ad aprire Oratorii dove col sollazzo piacevole ed onesto s'alternasse la pratica della virtù cristiane e religiose. Ed al sempre allargarsi del male, eccolo ad aprir scuole, istituire collegi ed ospizi, impartire col pane della scienza l'educazione del cuore, informata ai sani principii della morale e fede cattolica. E quasi non bastasse la madre patria al suo zelo, valica le alpi, oltrepassa mari ed estende i benefici influssi della carità cristiana sino sulle più remote spiaggia dell'America meridionale.

E qui bellamente l'oratore, vero figlio amoroso, passa a rassegna le opere compiute dai Salesiani nelle lontani Missioni e si compiace nell'asserire che triplicata fu l'opera di D. Bosco, tanto nell'Europa come nell'America, nel breve periodo dacchè egli scese nel silenzio della tomba. Ma ciò che maggiormente attrae nel suo dire è il quadro desolante di alcune missioni della Terra del Fuoco, della Patagonia, e del Matto Grosso che egli va porgendo sotto gli sguardi degli uditori. Alcuni fatti dolorosi e recenti portati ad illustrare le strazianti condizioni di quei poveri selvaggi, com movono non pochi degli astanti. La divota adunanza si chiuse colla benedizione del SS. Sacramento.

- Le feste Centenarie in onore di S. Giovanni Evangelista nella Chiesa a Lui dedicata. - Il 27 del p. p. dicembre si compievano 18 secoli dalla beata morte di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista. I Salesiani ed i loro Benefattori, che 20 anni or sono innalzavano ad onore di questo santo l'attuale magnifico tempio, che fiancheggia e adorna il Corso Vittorio Emanuele, vollero celebrare questa data con funzioni religiose straordinariamente solenni.

A tale scopo si costituì un Comitato Promotore di Dame e Signorine Torinesi, le quali studiarono i mezzi di rendere più imponenti le feste Centenarie e si prefissero di raccogliere presso le famiglie conoscenti le somme non piccole, necessarie per venire a capo dell'impresa. Tale Comitato, sotto la presidenza dell'Ill.ma. Sig.a Baronessa Candida Jocteau - Bombrini, si mise all'opera con zelo mirabile e coadiuvato da solerti zelatrici riuscì a compiere il suo intento con esito meritevole del più allo encomio.

Fra le deliberazioni prese dal Comitato per preparare più degnamente e più solennemente gli animi alle Centenarie festività, non va taciuta la Sacra Missione, che si indisse nella chiesa di San Giovanni Evangelista pel periodo 12 - 22 dicembre. Furono chiamati a predicare la divina parola due zelanti parroci dell'Archidiocesi Torinese, il Can. Giovanni Boccardo, pievano di Pancalieri e il Can. Pietro Suino, arciprete di Carmagnola, in unione ai due nostri salesiani Don Stefano Trione e Don Tommaso Pentore.

Per la speciale importanza che assumeva questa Sacra Missione uno dei predicatori evasi rivolto al Santo Padre per averne una speciale benedizione; e S. S. Leone XIII degnavasi far rispondere la seguente nobilissima lettera:

« Ill.mo Signore,

« È stata rimessa al Santo Padre l'ossequiosa lettera che « ella n'inviava con una sua del primo corrente.

« Mi è ben grato significarle che Sua Santità accorda « volentieri l'implorata benedizione, augurando che la di« vina parola, annunziata da lei e da altri missionari nella « Chiesa di S. Giovanni, produca copiosi frutti di cristiana « pietà.

« Attestandole i sensi della mia più sincera stima, mi « ripeto

Di V. S.

Roma, 6 dicembre, 1901

Aff. per servirla M. Card. RAMPOLLA.

Confortati dagli incoraggiamenti avuti dal Supremo Gerarca, i quattro missionari si posero all'opera con alacrità, e ben si può dire che Dio benedisse le loro fatiche e ne coronò le speranze, L'affluenza alle prediche fu sempre numerosissima. Fin dalle prime ore del mattino una devota udienza si trovava alla parola grave e penetrante del Rev.mo Can.co Boccardo, il quale dettava le meditazioni. Tanto pure va detto per la conferenza alle signore, tenuta dal Rev. D. Trione, e per quella ai signori soli, recitata con rara eloquenza dal Rev.mo Canonico Suino. Al dialogo poi l'uditorio era addirittura enorme; ed il Rev. D. Pentore nel suo magistrale riepilogo sapeva innestare le principali questioni religiose moderne, che più davvicino interessano il popolo, sviscerandole con profondità di dottrina e forma smagliante, in mezzo all'universale soddisfazione.

Infinite furono in quei giorni le misericordie divine, a consolazione di tante anime buone che pregarono e si struggevano nel segreto dell'anima pel ravvedimento di alcuno dei loro cari, a sollievo di tanti sfiduciati e stanchi della vita vuota, mondana, che sentirono nel cuore, come nei lontani giorni dell'innocente giovinezza, il solco della paterna carezza del Signore.

Una nota particolare, e forse nuova nelle missioni, segnalò questa predicazione. Una sera il Rev. D. Pentore lancia dal pulpito questa proposta : « La bontà di Dio si manifesterà in questi giorni a tutti; noi dobbiamo rivolgere lo sguardo a chi è più meschino di noi, all'ultimo gradino della scala sociale, ai poveri mendici; diamo loro un sorriso, un fraterno saluto, un'elemosina. I Missionari intendono somministrare domani a tutti i poveri che si presenteranno un'abbondante colazione, come strenna del Santo Natale. e si costituiscono perciò amministratori delle offerte che loro manderete a questo scopo. » La proposta piacque, commosse e fruttò. Al domani ben 100 poverelli ricevevano dalle mani delle Dame e Signorine Patronesse delle Opere Salesiane in San Giovanni 1/2 Kg. di pane, salame, vino e financo un biscottino. Fu questa la nota esterna più toccante delle nostre solennità.

Il 22 dicembre, giorno di chiusura per la missione, le sante Comunioni si successero senza interruzione dalle prime ore del mattino fino a mezzodì : quindi non solo quella del Rev.mo Signor D. Michele Rua alle ore 8, ma tutte le messe poteronsi chiamare della Comunione Generale... Una folla enorme trasse poi ai vespri per udire la predica dei ricordi dati dal Rev.mo Can.co Pietro Suino e assistere alla benedizione col SS. Sacramento, impartita da S. E. Rev.ma Monsignor Luigi Spandre, Vescovo titolare di Tiberiade ed Ausiliare rlell'Em.o Card. Arcivescovo. Le 5000 immagini preparate come ricordo della Missione e distribuite alle porte della Chiesa appena furono sufficienti a soddisfare il desiderio di tutti.

Col S. Natale ebbero principio i tre giorni delle Solennità Centinarie. E qui cediamo la parola all'ottima Italia Reale - Corriere Nazionale la quale nel suo numero del 27 dicembre scriveva: « i due primi giorni dei festeggiamenti Centenari si svolsero fra la generale soddisfazione. Inutile dire che la sera del S. Natale al discorso tenuto con efficacia non comune dal Rev. D. Pentore un uditorio immenso pendeva dal suo labbro, ammirandone la facondia e ascoltando attenta e convinta la divina parola, che egli sa con arte così fine far gustare anche ai più alieni delle pratiche di religione. Quella massa di popolo devoto che sì prostrava innanzi al SS. Sacramento, benedicente per mano di S. Ecc. Mons. G. B. Bertagna, formava uno spettacolo bello e consolante.

» Ieri poi, festa di Santo Stefano, e secondo giorno delle solennità Centenarie, nessuno avrebbe osato ripromettersi la frequenza che fu notata con gioia nella magnifica chiesa del Santo Apostolo ed Evangelista. Numerose assai le Comunioni alla Messa delle otto, celebrata dal prelodato Monsignor Bertagna : mentre ai solenni pontificali della Messa, cantata da S. E. Rev.ma Monsignor Luigi Spandre, Ausiliare del Cardinale Arcivescovo. e dei Vespri pontificati dal medesimo Monsignore, la chiesa era assiepata come nelle maggiori solennità. Efficacissimo il Canonico Suino, Arciprete di Carmagnola, il quale presentò l'Apostolo Giovanni come modello dell'amore che si deve a Gesù Cristo, ed ebbe parole di vera eloquenza ».

Il 27, festa di S. Giovanni Evangelista, tutte le funzioni presentarono uno spettacolo dei più consolanti, tanta era la moltitudine che divotamente vi assisteva. Alla Messa Pontificata da S. Ecc. R.ma Mons. Matteo Filippello, Vescovo d'Ivrea, fu eseguita la soavissima musica del Witt; ai Vespri, pontificati dal medesimo Monsignor Vescovo, si eseguì musica dei Maestri Mattioli e Ravanello. Dopo i Vespri saliva il pergamo S. Em. il Cardinale Arcivescovo Agostino Richelmy, che prendeva ad argomento del suo discorso il detto del Vangelo: « .Discipulus, quem diligebat Jesus ». Con quale effetto, con quale tenerezza e soavità il veneratissimo Porporato parlasse del discepolo prediletto da Gesù non è possibile a noi ritrarre : pareva che volesse trasfondere nella moltitudine pendente dal suo labbro tutto l'amore onde riboccava il suo cuore pel santo della purezza, pel santo dell'Eucaristia, pel santo del Calvario, pel santo prediletto della Vergine: quattro aspetti sotto i quali presentò l'Evangelista, onde esortare i fedeli alla pratica della virtù di cui la vita del santo ci porge i più fulgidi esempi.

Il ricordo delle solenni feste centenarie durerà a lungo nella mente e nel cuore delle decine di migliaia di fedeli che durante tre giorni vi assistettero: e le egregie signore Patronesse, che contribuirono con pia generosità affinchè i Salesiani potessero provvedere allo splendore del sacro tempio, gusteranno in cuor loro la più dolce soddisfazione, meritato premio della loro pietà.

Gli artisti tutti, di suono e di canto, si resero benemeriti con la maestrevole esecuzione musicale; benemerito pure il valente addobbatore signor Giovanni Ferraris, che aggiunse vaghezze alle linee architettoniche del tempio.

Di tutto sieno rese grazie a Dio, grazie all'E.mo Cardinale e ai Rv.mi Vescovi, grazie alla Schola Cantorum dell'Oratorio Salesiano, e grazie in modo particolarissimo al benemerito Comitato Promotore dei festeggiamenti sopratutto all'Ill.ma Signora Presidente ed alla degnissima Segretaria, la signora Contessa Polissena Solaro del Borgo.

NAPOLI. - Le Figlie di Maria Ausiliatrice. - Un nostro cooperatore ci scrive : « Il 9 dello scorso dicembre giungeva fra noi un drappello di Figlie di Maria Ausiltrice , chiamate dalla benemerita signora Amalia Stampa, fondatrice dell'Orfanotrofio di S. Anna all'Arenella. Benedette dall'E.mo Card. Prisco nostro Arcivescovo, esse vengono a fare da madri e maestre a quelle povere orfanelle prive di ogni aiuto umano, ma protette da quel Dio che n'è il sostegno.

L'illustre signora Stampa che tanto si adopera a vantaggio degli orfani sull'amena collina dell'Arenella, ricevette le dette suore al loro arrivo alla stazione, e non seppe trattenere le lagrirne, quando, sotto la tettoia della medesima il fischio della locomotiva annunziò il felice arrivo in Napoli delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali ben presto si acquisteranno anche fra noi quella stima ed ammirazione che in tante altre città meritamente si hanno acquistato. Siano dunque le ben venute anche nell'estesissima vigna dell'Archidiocesi di Napoli. Esso sotto la guida del nostro Pastore comincieranno a mettere la loro opera a profitto di tante orfanelle, e richiameranno sul loro capo le benedizioni di tante infelici beneficate e la gratitudine dei loro benefattori.»

Argentina.

BUENOS-AIRES - Descrizione della nuova Chiesa - Pubblichiamo ben volontieri la favoritaci descrizione del tempio che i nostri confratelli di Buenos-Aires stanno edificando in Almagro come Omaggio al Rendentore e a Maria Ausiliatrice all'alba del nuovo secolo, da persona competente. - Il nuovo tempio è stato ideato in istile romanico, il quale non è che uno sviluppo delle antiche forme romano-cristiane, e fiorì dal 1000 al 1250 circa, particolarmente in Lombardia, dal che anche il suo appellativo di lombardo. A noi parve conveniente la scelta di questo stile per l'antico titolo, che verrà pur confermata al nuovo tempio, di S. Carlo Arcivescovo di Milano; ma ci sembrò specialmente appropriata la scelta per certi elementi caratteristici di questo stile che si adattano mirabilmente alle particolari esigenze di un tempio come questo, in cui si devono adunare i fedeli della parrocchia e gli alunni dell'annesso collegio senza molestia reciproca, bensì con reciproca edificazione.

A ciò contribuiscono in vero le gallerie o matronei già in antico usati alla separazione dei fedeli dei due sessi e alla sopraelevazione dell'abside che dava luogo alla tradizionale cripta sotterranea.

Da una doppia fila di pilastri a fascio si svolgono poderosi cordoni i quali disegnano l'archeggiamento delle navi minori che sono di sostegno alla galleria ricorrente all'intorno, questa poi fa un sol piano coll'orchestra e col presbiterio ed abside dell'altar maggiore che gli sta di fronte.

Sui pilastri ornati di capitelli a rigogliosi fogliami si sviluppa la volta a crociera coi suoi costoloni diagonali che ne formano l'ossatura, ben armonizzandosi alla pianta di forma latina nell'incontro della nave longitudinale colla transversale. Sul crocicchio di queste sorge maestosa la cupola coi suoi caratteristici quattro penacchi di graziosa e ingegnosa forma, dalla cavità dei quali si distaccano a tutto rilievo le figure dei quattro animali, simboli degli evangelisti. L'imbotte di questa cupola su pianta ottagonale si compone di altrettanti spicchi concavi importati su costoloni a curva semielittica, i quali hanno nascimento su di una cornice sopporto di colonnina agli otto angoli e si concentrano alla sommità in un occhio cordonato all'ingiro e aperto in mezzo a guisa di spiraglio. Tale apertura praticata ugualmente al centro di ogni crociera della volta, come pure la galleria ricorrente attorno alla cupola presso il suo nascimento, permettono di comunicare ad un ambiente spazioso e ventilato quale sarà il sottotetto, mentre alla predetta galleria della cupola si potranno introdurre cori musicali per l'occasione di particolari solennità.

Le finestre all'intorno lunghe e ristrette come pure le tre molto più ampie in testa ai bracci della grande nave, suddivise da colonnine con. rispettivi scomparti e archeggiamenti saranno di bell'effetto, e faranno piovere all'intorno dai vetri decorati a colore quella luce mistica che concilia tanto raccoglimento in cuore del credente.

Saranno pure di bell'effetto decorativo le balaustre traforate che ricorrono di parapetto alle gallerie e s'incurvano con grazia accompagnando le due scalee che comunicano al piano della chiesa.

Ma la nota più spiccante che dovrà colpire lo sguardo del visitatore sarà l'altar maggiore che, come dicemmo, verrà eretto al piano della galleria, circondato da presbiterio sufficientemente grande, e opportunamente rialzato da poter essere discoperto dal piano inferiore della chiesa.

Una sopraelevazione architettonica ben armonizzata allo stile del tempio incornicierà una grande effigie a rilievo della Vergine Ausiliatrice circondata dal coro degli Apostoli con opportuno effetto di luce naturale quasi a parere una celeste visione. - A questo altare o, come suol dirsi, Camerino della Vergine si potrà accedere per le due sopradette scale che salgono ai lati dell'altare inferiore. - Questo altare verrà pur esso ornato di un grandioso tritico che conterrà le statue del Sacro Cuore di Gesù nel mezzo e quelle di S. Carlo e di S. Francesco di Sales ai fianchi.

Esso sarà piú particolarmente atto a disimpegnare le funzioni ordinarie della parrocchia mentre ben altri otto altari potranno dedicarsi a diversi santi protettori già in venerazione nell'attuale chiesa e ad altri pei quali si manifestasse speciale devozione fra i fedeli della parocchia. La capacità del tempio, comprese le gallerie, è di circa cinquemila persone.

La facciata ritrae essenzialmente del carattere romanico colla inclinazione della fronte indicante quella del tetto, come colle pilastrate che la compartiscono in tre parti, a significare l'interna ripartizione delle navi, terminando con graziosi pinacoli a guisa di tempietti.

Accresce maestà al prospetto il campanile che si erge nel mezzo sino a raggiungere coll'estrema cuspide l'altezza di m. 50 dal suolo, senza che per nulla si interrompano o si confondano le sue linee generali.

Ricorrono infatti per tutta la fronte le caratteristiche gallerie che seguono l'inclinazione dei pioventi ed hanno fedele riscontro questi ed altri ornamenti con tutte le parti dell'edifizio. Per maggior comodità ad accedere vi si aprono tre porte: una più larga in mezzo e sopraornata di frontespizio che fa corpo di decorazione colla grande finestra del centro, e due porte più piccole dalle parti, ciascuna sull'asse della rispettiva nave.

Il nuovo tempio di S. Carlo sorgerà sull'area dell'Istituto Salesiano Pio IX facendo fronte alla VIA VITTORIA e fiancheggiando la via ARTES y Oficios, dalla quale verrà pure aperto un ingresso sull'asse del braccio destro di crociera per entrare nella chiesa e nell'ufficio parrocchiale.

Un' artistica cancellata circonderà l'edifizio ad opportuno intervallo a proteggerne il fianco e la fronte.

Brasile.

S. PAOLO - Monumento a Gesù Redentore. - A ricordo dell'anno santo e come ex voto della solenne consacrazione di tutta la Diocesi di San Paolo al Sacro Cuore di Gesù, il 17 dello scorso Novembre con l'intervento di varii Ecc.mi Vescovi, delle autorilà locali civili ed ecclesiastiche, e di una folla immensa di popolo, con tutta la maestà del rito venne benedetta una grande statua di Gesù Redentore, posta sulla torre del Santuario del Sacro Cuore, tenuto dai sacerdoti Salesiani, a favore dei nostri emigrati italiani.

Al mattino dopo le salve d'uso, Mons. Giov. Batta Correa Nery vescovo di Porto Alegre celebrava la Messa della comunità, e assai numerosi furono i divoti che s'accostarono al banchetto Eucaristico, essendosi distribuite nella mattinata ben più di 1500 comunioni.

La Messa solenne delle dieci era celebrata dal M. R. Can. Duarte da Silva, assistita dai RR. PP. Tuclide Carneiro e Martinotti, mentre la Schola Cantorum del Liceo annesso al Santuario eseguiva una grandiosa messa del M. Gounod, con altri ben interpretati mottetti di Mons. Giovanni Cagliero.

Poscia gli Ecc.mi Vescovi sfilarono in processione sulla piazza del Santuario, dove presero posto sotto un ricco padiglione, appositamente preparato per procedere alla benedizione della Statua. Dopo il concerto di varie bande della città, che gentilmente vollero intervenire alla solenne cerimonia, un coro di ben 300 alunni del Liceo,. dalle voci argentine e delicate, con tutta l'espressione della loro valentia, eseguirono un inno al Redentore, appositamente composto dal M.° Pinto Traversa del Liceo, che produsse una soavissima impressione nei numerosissimi astanti che si calcolarono a ben più 15 mila che gremivano in quell'istante il largo del Santuario.

A mezzogiorno in punto, fra lo sparo dei mortaretti e al suono dell'inno nazionale il Vescovo diocesano, servendosi di un cordoncino che partiva dall'alto della torre, scoperse la statua in mezzo all'entusiasmo generale ed ai frenetici applausi di evviva Gesù Cristo. Erano padrini della sacra cerimonia Sua Ecc. Mons. Arcivescovo e l'Ecc.ma Contessa Pereira Pinto, principale offerente della Statua.

Intanto il rev. arcidiacono Francesco di Paola Rodriguez con tutto l'entusiasmo del suo gran cuore teneva un eloquente discorso d'occasione, terminando il suo dire col rievocare la dolce figura del grande Leone XIII che in quel momento benediceva a S. Paolo tutta nel seguente telegramma ch'erasi degnato d'inviare: « Rallegrandosi per l'inaugurazione del monumento a Gesù Redentore, il S. Padre benedice l'offerente della statua, i prelati, il clero, i cooperatori e il popolo presente alla solennità. Card. M. RAMPOLLA. »

Nè furono di minor consolazione a tutti gli auguri che il Nunzio Apostolico del Brasile Mons. Macchi, residente in Petropolis, nella sua paterna bontà inviava ai Salesiani di S. Paolo: « Glorificate Dio e manifestate ai popoli la sua gloria. Il Signore farà risplendere il suo volto sulla terra e vi benedirà. »

La statua, che misura sette metri di altezza su piedestallo di egual dimensione, è di rame battuto a martello, dorata a fuoco, ed è un facsimile di quella che giganteggia sulla monumentale basilica del S. Cuore di Gesù a Montmartre a Parigi. Fu lavorato nelle scuole professionali del nostro Liceo sotto la direzione dell'ingegnere salesiano Domenico Delpiano, testè decorato della medaglia d'oro all'Esposizione artistica industriale di Rio de Janeiro, e l'opera fu da tutti stimata un vero capo lavoro artistico. Venne illuminata a luce elettrica con sorprendente effetto, e numerosa fu la folla che fino a tarda ora s'agglomerò sulla piazza del Santuario per ammirare la bellissima statua ed i magici riflessi delle 120 lampadine elettriche che la circondano.

Iddio affidò a D. Bosco la missione di salvare i figli del popolo dall'incredulità e dalle barbarie.

Se nelle terre straniere è ancora benedetto il nome italiano, ne siamo debitori alla carità di D. Bosco e dei missionari.

In nessuna istituzione recente si vide così marcata l'impronta della Chiesa di Gesù Cristo, come nell'opera salesiana.

Maria Ausiliatrice fu l'astro propizio che illuminò lo spirito di D. Bosco e lo guidò alle più gloriose e magnanime imprese.

+ Dom. Card. SVAMPA, Arciv. di Bologna.

MISSIONI

MATTO GROSSO

Attraverso le foreste del Matto Grosso.

(Relazione di D. Giovanni Balzola) (*)

Tra i Bacajris - Il buon cuore di un vecchietto - La mia Cappella - La bragia di S. Giovanni.

Il rio Nuovo è già territorio degli Indi Bacajris, e non si può immaginare, o amatissimo Padre, qual sia stata la mia meraviglia quando visitando le Capanne poste sulla spiaggia destra del rio, trovai famiglie da me già conosciute e battezzate nel giorno di Natale del 1899 al nostro Collegio di San Gonzalo. Mi attorniarono subito pieni di contentezza, e mi pregarono che mi volessi fermare alcuni giorni tra loro.

Accettai di buon grado, costretto in parte dal ritardo delle bestie da soma, ed in quel frattempo mi diedi attorno per istruirli e confermarli nella nostra santa fede. Amministrai il Battesimo e la Cresima a più di cento tra adulti e bambini, benedissi vari matrimoni e poi invitai tutti ad assistere alla Messa che avrei celebrato all'indomani. Non ne mancò uno. Ed era edificante vedere con qual contegno quei figli delle foreste assistevano al S. Sacrifizio. Finita la Messa, il loro Cacico, come quello che più degli altri voleva intendersi delle cose viste, s'appressò a domandarmi se alla sera avrei di nuovo celebrata la Messa. Risposi che no, ma però venisse pure con tutta la sua tribù che avrei spiegato loro un po' di Catechismo. Osservai che generalmente gli uomini erano già tutti battezzati, perchè di frequente s'avvicinavano alla città, mentre le donne non avevano nemmeno conoscenza della lingua portoghese.

Intanto con otto giorni di ritardo giungevano le bestie da soma e il giorno dopo ci disponemmo per la partenza. Dovendo però questa volta proprio addentrarci nella foresta, a causa della grande difficoltà del viaggio credei bene di fornirmi del solo necessario, lasciando il resto in casa di un nostro buon amico che ci aveva trattato con la più squisita cordialità. Finalmente il giorno 21, festa di S. Luigi Gonzaga, ci licenziammo da quei bravi Bacajris, e mentre mi accingeva a dare loro l'ultima benedizione, un buon vecchietto sulla settantina mi ferma di botto il cavallo e porgendomi quattro uova fresche : - prenda, padre, mi dice, perchè da qui innanzi non ne incontrerà più - e piangendo mi baciò fervorosamente la mano. Commosso lo ringraziai del suo buon cuore e lo benedissi pregandogli da Dio il premio eterno per la sua venerazione verso il Missionario.

Sempre seguendo la via del Nord dopo aver percorso appena trenta chilometri giungemmo la sera in una folta boscaglia, dove ci demmo attorno per preparare la tenda per poterci riposare. In questi frangenti la capanna è presto preparata: si cercano due alberi od in mancanza di questi due robusti pali alla distanza di quattro o cinque metri l'uno dall'altro; vi si lega la rete da dormire ed ecco pronto il nostro letto. La cosa però che mi contristava era il non potere celebrar Messa; come fare? Detto fatto. Al mattino tolta la rete che ci aveva cullati nella notte affissai agli alberi tre coperte di lana ponendone una davanti, un'altra a sinistra ed a destra, vi distesi sopra un lenzuolo come volta della nuova Chiesa perchè impedisse alle foglie di cadermi nel calice; ammontichiai due bauli uno sopra all'altro e su di essi vi posai il mio altarino portatile. Poscia vi celebrai la Messa attorniato da tutta la comitiva che si stupiva di quella strana ed improvvisata cappella. Questo nuovo sistema di edifizio lo praticammo quasi durante tutto il resto del viaggio differenziandone solo la forma e lo stile del tempio secondo i luoghi e le comodità.

Preso un po' di ristoro al mattino del 22 ci mettemmo nuovamente in cammino e per alcuni giorni senza alcuna novità. Alla sera però del 23 giugno, essendo vigilia della festa di S. Giovanni Battista, accampatici presso un fiumicello dall'acqua limpidissima, circondato da foltissime foreste che rendevano maestoso il luogo, accendemmo grandi fuochi per seguire l'usanza dei brasileni i quali dicono che la bragia del fuoco di S. Giovanni non brucia. Questo però non era lo scopo mio nell'accendere quei fuochi, ma sibbene per rallegrare quella tenebrosa solitudine. E mentre seduto, da solo stava contemplando le scintille della legna che ardeva, il mio pensiero volava a Torino, a Lei, o buon Padre, che in quel momento circondato dai suoi figli amorosi presiedeva all'accademia in memoria di D. Bosco. All'indomani volli che tutti assistessero alla Santa Messa ed alla sera giungevamo al rio Paranatinga e propriamente al porto del Coneco, dove tre mesi prima uno dei nostri compagni, certo Gioachino Ferro, andando con diciotto uomini per esplorare terreno, dovette ritirarsi inseguito da 40 e più Indi Cajabis. Al giorno seguente si arrivava al porto della Mulatera, dove era necessario lasciare gli animali e discendere per il Rio in canoe.

Sul rio Paranatinga - Le prime lotte - A cavallo di un sacco di farina - Dopo il naufragio - Primo incontro - Buone speranze.

A dirle la verità, Reverendissimo signor D. Rua, al vedere quei miseri legni che dovevano portarci chissà a quale distanza e per quanto tempo, mi sentii quasi venir meno il coraggio; ma animato dalla fiducia in Dio ed in Maria Santissima, disposi che l'imbarco fosse fatto quanto prima. Difatti completato il numero della vera comitiva che doveva accompagnarci, il 3 luglio dopo il mezzo giorno scendemmo nelle nostre canoe. S'immagini, Revm° Padre, un tronco di un grosso albero scavato all'interno della larghezza di 80 cent. e della lunghezza di 10 metri l'uno, ed avrà un'idea esatta delle nostre navi più grandi, che io battezzai subito l'una S. Giuseppe, l'altra Maria Ausiliatrice, la terza Speranza. Le piccole poi, chiamate Salvatore l'una e Vittoria l'altra, avevano due palmi di larghezza con 25 di lunghezza, e ci dovevano servire per esplorare la corrente e le spiagge del fiume. Non le dico che noi dovevamo stare a disagio, rannicchiati in un angolo della canoa, per dare luogo ai bagagli, a tutti gli oggetti da distribuirsi agli Indi, ed al sostentamento per quaranta giorni a 20 persone; ma in questi frangenti non si pensa ai gravi incomodi e in nome del Signore demmo il largo alle nostre magnifiche navi. Avevamo già percorso più di 500 km. a cavallo, ed ora senza neppure avere una chiara cognizione della nostra navigazione, c'inoltrammo su per il rio affatto sconosciuto, dove nessuno mai, come trovasi nella storia del Matto Grosso, dal 1892 aveva osato percorrere il fiume. Una comitiva in quell'anno aveva seguito la corrente per vari km., ma assalita dagli Indi, parte fu uccisa, parte riuscì a salvarsi nel vicino Parà.

Nei primi giorni nulla di nuovo, ed io mi approffittai di quella tranquillità per distribuire a tutti i componenti la spedizione la medaglia di Maria Ausiliatrice. Ci accompagnava però una continua apprensione, poichè eravamo pressochè giunti al territorio centrale degli Indi e da un momento all'altro, temevamo dall'essere assaliti a frecciate. Prudenza volle che io stesso mi armassi di revolver a doppia carica, poichè da soli non si poteva pìù entrare nella foresta un 50 metri senza pericolo di essere sorpresi o dai selvaggi o dalle bestie feroci, specie dal tigre. Il 10 luglio però, celebrata per tempo la Messa, che per un mal presentimento volli applicare a favore delle anime purganti, discesi sulle canoe navigammo tranquilli e senza alcuna novità sin verso le 3 del pomeriggio, quando ci trovammo dinanzi ad una grossa cascata di acqua, ed irta di grossi macigni e scogli sorgenti nel letto del fiume. La corrente era fortissima e le piccole canoe mandate innanzi a scandagliare il luogo migliore per il passaggio, furono dall'impeto delle acque in un istante trasportate lontano da noi. Lo stesso avvenne della canoa Maria Ausiliatrice, mercè la perizia del suo pilota, e ciò mi dava a sperare bene. La Speranza, che era quella ove mi trovava io, tentò il maneggio delle primo, ma mentre con trepidazione si stava per passare il più stretto del canale, i miei occhi si posano di un tratto su di un grosso macigno coperto dall'acqua ed a poca distanza da noi. « Uno scoglio, grido ; ma non sono più a tempo, perchè la canoa batte forte nella pietra, la corrente la trasporta altrove ed i remi non giovano a nulla! Allora i quattro uomini che stavano con me si gettano nell'acqua e tentano con le mani di dare il corso alla povera scialuppa, ma invano... Erano troppi gli scogli... Si chiama aiuto, mentre l'acqua a tutta forza entra nella canoa. Il capo spedizione si getta a nuoto, ma giunto quasi vicino alla riva è spinto indietro da una forte corrente, mentre io mi vedo portato dall'altra parte più profonda del fiume. La canoa va sommergendosi ed io cerco di aiutarmi in qualche modo, ma quando mi vedo l'acqua fino al collo e mi scompare di sotto ai piedi la mia barca, mi metto a gridare : - siam perduti, siam perduti! - No, padre, no, padre, mi rispondono : si assicuri a questo sacco, - grida uno. Istintivamente con una mano mi appiglio ad un sacco di mandioca tirato da un nuotatore, mentre con l'altra traggo dietro di me gli oggetti che galleggiavano sull'acqua, percorrendo in questa condizione in balia della corrente ben ottanta metri. Intanto giungevano le piccole canoe; m'aggrappo ad una di esse che mi conduce a riva mentre l'altra corre in soccorso al capo spedizione che stava per annegare. Tosto si cercò di salvare quanti più oggetti ci era possibile, ma le onde nella loro impetuosa corsa ci portarono via le ostie per la Messa, una cassa di ferro contenente una piccola farmacia, cinque sacchi di farina che costituivano il nostro pane, e persino la mia veste. Per nulla disanimati ponemmo a terra gli oggetti salvati, e ringraziando la Vergine Ausiliatrice dello scampato pericolo, stendemmo le cose al sole per farle asciugare. Io privo di tutto mi vidi obbligato a vestirmi con abiti del nostro catechista Silvio, e quando ci ponemmo per mangiare qualche boccone, essendo privi degli utensili da tavola perduti nel naufragio, si rimediò mangiando due o tre insieme sul coperchio della pentola.

(Continua).

COLOMBIA Nuove notizie della guerra e dei nostri lebbrosi.

(Lettera di D. Evasio Rebagliati). VENERATISSIMO E CARISSIMO PADRE, Bogotà, 18 ottobre 1901.

COMPIONO oggi due anni precisi dacchè abbiamo in questa lontana Repubblica il brutto giuoco della guerra civile. Fu precisamente il 18 ottobre 1899 che si die' il primo grido di ribellione contro le autorità costituite, che si sparò il primo colpo contro i soldati difensori della legge e dell'autorità, e che si mise tutta a soqquadro questa povera Repubblica. E d'allora in poi, quantum mutata ab illa! Prima bella, rigogliosa, piena di gioventù e di forze, ricca tanto e forse più che qualsiasi altra repubblica Sud-Americana; adesso coperta del fango col quale tutta l'imbrattarono i propri suoi figli, svenata e annegata dagli stessi nel proprio sangue. Ora fa veramente compassione il vederla questa povera Colombia; due anni di guerra civile la resero irriconoscibile, tanto è brutta, squallida, impoverita ed invecchiata.

In questi due anni, sono più di duecento i combattimenti che ebbero luogo tra fratelli e fratelli; i morti, i. feriti, gli storpi non si possono più contare; senza numero sono già le vedove, gli orfani, i derelitti. La ricchezza pubblica e privata più non esiste; tutta fu impiegata e convertita in polvere, in palle, in istrumenti di distruzione e di morte. L'europeo che arrivasse adesso qui in Colombia, dopo d'averla lasciata prima della guerra, più non la riconoscerebbe. E l'opera di distruzione seguita con un crescendo che fa spavento e mette orrore. E mentre centinaia di guerriglie scoppiano per ogni dove portando dovunque la miseria, la fame e la morte, abbiamo a tutte le frontiere il filibustirismo che pieno di arroganza provoca e minaccia. Nicaragua mandò le sue navi cariche di avventurieri per assalire Panama. Venezuela mandò la sua flotta per attaccare e bombardare Nivacha, mentre grossi battaglioni di fanteria e cavalleria la attaccavano per terra. Si credeva e si temeva che l'Equatore facesse lo stesso nel Pacifico e sulle sue frontiere: per fortuna, qualche settimana fa vi fu il cambio di governo, ed il sig. Plaza, il nuovo Presidente di quella Repubblica, pare deciso di conservare una prudente neutralità. Meno male.

In Colombia, se sono migliaia e migliaia le vittime cadute sui campi di battaglia, maggiori forse e senza forse sono le altre vittime segate dalla falce della morte a mezzo della miseria e delle infermità, che più non si costano tanto sono esse numerose.

Stando così le cose, solamente ci può salvare un miracolo nel quale tutti i buoni sperano, fidenti in quel detto della S. Scrittura che: eleemosyna facit invenire misericordiam...; e qui malgrado le strettezze nelle quali tutti si trovano, la limosina in favore dei derelitti non che cessare, è sempre in aumento.

In una mia lettera di gennaio, pubblicata nel Bollettino Italiano di giugno, io parlava di 150 mila pesos, più di mezzo milione di franchi, raccolti già per i poveri lebbrosi di Santander. Oggi, 18 ottobre, vale a dire in nove mesi di tempo, questa somma è raddoppiata. Infatti il totale dell'ultima lista di limosine pubblicata nei giornali di qui, dà la cifra di 205 mila pesos, un milione e venticinquemila franchi. È poi a notarsi che senza togliere un centesimo a questo capitale, investito tutto in bucolica, si trovò modo di vestire tutti i lebbrosi di Agua de Dios, e di Contratacion, operazione semplicissima in apparenza, ma che in realtà costò non meno di 60 mila pesos, dato l'altissimo prezzo delle stoffe e delle tele. E queste 300 mila lire sono anche limosine date non in contanti ma in mercanzie, parte dal Governo e parte dai privati, ai quali aveva fatto un appello speciale a questo riguardo. Adesso per qualche mese i duemila nostri lebbrosi chiusi nei lazzaretti di Agua de Dìos e Contratacion, avranno di che difendersi dal freddo e dal caldo, ma un misero vestito non è di ferro e non tarderà a logorarsi; è quindi necessario che tutto quello che si raccolse in Torino, offerto dalla generosità e benevolenza dei nostri Cooperatori e Cooperatrici, sia spedito il più presto possibile, tanto più che per cagione della guerra, tutto va lento qui. Lente le operazioni di dogana; lentissimi i viaggi nel fiume Maddalena; più lenti ancora i viaggi della montagna dove noi ci troviamo; e mentre bastano 25 giorni per giungere da Genova sino a Cartagena o Barranguilla, ci vogliono poi non meno di cinque o sei mesi per arrivare sino a uoi. Non parlo di quello che costano i trasporti adesso qui in Colombia, perchè quei di Europa non lo crederebbero, tanto hanno d' inverosimile. Mi basti dargliene una prova. Prima della guerra, da Honda a Bogotà, il trasporto di un carico di mercanzie del peso di otto o dieci rubli, costava non più di otto o dieci pesos: adesso si paga 350 pesos e fino a 400 ; la differenza ha veramente del favoloso; da 40 franchi a 2000! di puro trasporto di due fardelli che generalmente non hanno il valore di 200 a 300 lire. A tutto questo se aggiungessi le spese di dogana e di fiume e di ferrovie, farebbe proprio stordire. Si è per questo che in altra lettera mia, le diceva di non mandarci se non roba buona e forte, non convenendo fare spedizione di roba già usata o molto inferiore.

Vorrei finire raccontandole un episodio dolorosissimo successo un mese fa nel lazzaretto di Agua de Dios, ma allungherebbe di troppo questa relazione di già troppo diffusa. Le basti il sapere che una guerriglia di insorti il 19 settembre sorprese quel povero lazzaretto d'improvviso, e tutto fu saccheggiato senza compassione, perfino la roba di uso dei poverissimi lebbrosi, non lasciando loro che quello che avevano indosso. Per fortuna non era arrivato ancora il vestito nuovo che già era stato spedito da Bogotà, altrimenti i danni sarebbero stati assai maggiori. So però che ai nostri Salesiani, tolta una buona dose di spavento per quel vandalismo, di cui furono testimoni oculari, non si fece nessun male, e neppure alle Suore dell'ospedale. S'immagini quanta ferocia deve albergare in certi cuori, quando si arriva a profanare un sito dove hanno loro dimora ben mille e cento lebbrosi! Questo è uno dei molti e bei frutti che sa produrre l'albero dell'educazione senza religione.

In altra lettera le conterò le nostre miserie particolari. Ci benedica tutti, poichè tutti, siamo veramente bisognosi di benedizioni, per poter reggere a tante prove, e poi fiat voluntas Dei.

Tutto suo aff. in Domino Sac. EVAsIO REBAGLIATI.

BOZZETTI PATAGONICI .

Come si caccia il leone puma in Patagonia. (Ved. La Patagonia di D. Lino Carbajal. Vol. 20 pag. 206-211)

La caccia del leone puma è assai più semplice e di minor pericolo di quella della tigre, giacchè non assale mai l'uomo e fugge i cani e qualunque Gaucho a cavallo.

Noi ci trovammo in una di quelle caccie, sebben senza esito felice. Si era sulle coste del golfo San Matias, per dare la caccia ai leoni marini ed era nostro vivo desiderio di poter inseguire ed uccidere anche un leone terrestre, essendo riuscita favorevole la caccia del leone acquatico. Quella costa è assai frequentata da leoni pumas, che recano grandi danni alle majadas (mandre), e nel posto da noi allora visitato facevano stragi considerevoli : le notti precedenti avevano visto i pumas perfino nel rodeo (ovile) delle pecore presso le case, e noi stesso osservammo le traccie del loro passaggio sulle sabbie e vedemmo i rimasugli delle pecore trascinate e divorate in quei siti solitari. La caccia era pertanto sicura. Al mattino avevamo ricevuto istruzione sul modo di eseguirla, e nelle ore pomeridiane uscimmo a cercare la fiera tra gli arbusti e lungo le barrancas (burroni). Eravamo in sei: tre armati di carabina, e tre con boleadoras, un maneador (laccio corto) e l'inseparabile faconcito (coltello). Il fucile era un soprappiù, poichè la caccia non doveva farsi con armi da fuoco. Quattro cani esploravano il terreno, seguendo ora alcune traccie, or altre, ora inseguendo un gatto selvatico, ora una volpe, quando non fossero corsi dietro a un pichy od avessero fatto impazientare un zorrillo, la cui puzzolentissima arma, nel fuggire dal cane, avea saturato l'aria per due o tre chilometri. L'ansia era grande, ed i compagni bramavano farci vedere in pratica qual fosse il loro sistema di caccia. Al primo latrato dei cani spronavamo i nostri cavalli dirigendoci al sito indicato, e con questo andare e venire giungemmo alla barranca del mare senza incontrarci col leone. Qui lo troveremo, ci si disse, e vedrà come si ammazza, a modo di un gatto qualunque. Due cani esercitati furono aizzati a una piattaforma o parte eminente della barranca, traforata da caverne. Non sì tosto furono sul posto, quei bravi cani cominciarono a fiutare e correre in tutte le direzioni, sporgendosi sull'orlo dei precipizi da 60 a 80 metri di profondità.

Dopo pochi minuti presero a dimenare la coda e a correre dietro una pista ; di lì era passato il leone, e tenemmo lor dietro ansiosi. Ma già era trascorso un quarto d'ora senza alcun risultato ; i leoni si erano forse addentrati nelle macchie e gli altri due cani pareva lo indicassero, correndo disperatamente dietro le orme lasciate sull'arena. Di repente udimmo i latrati dei due cani che si trovavano sotto la barranca, e da tutti si levò il grido : Al león !.... al león !... allí està... los perros ladran... allí està (il leone!... il leone!.., è lì... i cani abbaiano    è li ! ). I nostri cavalli volarono e giungemmo sul l'orlo della barranca: i tre giovani forniti di boleadoras saltarono a terra, per osservare se avessero potuto discendere ; ma era cimento difficile : un abisso di venti metri d'altezza rendeva impossibile ogni discesa : un coraggioso giovane già disponeva una fune per discendervi egli solo colle sue boleadoras, ma noi glielo proibimmo per quanto insistesse. I cani latravano verso il fondo d'una caverna, ed invelenivano : il leone era là ; ma come dargli la caccia? Spaventammo i cani, ed i nostri fucili si scaricarono contro la caverna ; al terzo sparo comparve la leonessa, che vedendosi scoperta, saltò laggiù come uno scoiattolo, arrampicandosi sulle punte d'altre roccie per entrare in un'altra grotta inaccessibile ai cani. Visto che nulla potea farsi, rivolgemmo il cammino ad altra parte, dove i cani latravano; e là tosto vedemmo che tenevano assediato un gatto selvatico sopra un albero.. Un compagno sparò il suo mauser e lo uccise. I leoni non comparvero, e noi dovemmo rincasare senza quella preda. Durante il viaggio, un giovane diciottenne, pregato da suo padre, ci raccontava ìn poche parole la sua vita di cacciatore in questo tenore : « Insello al mattino prima della levata del sole il mio cavallo migliore, quando già constatai nella majada la mancanza di alcune pecore. Affilo il mio facon, do il sego alle boleadoras e preparo il maneador. Churrasqueo (mangio), chiamo i miei tre cani e mi lancio dietro le traccie delle pecore portate via. Se il leone è un cachorro (giovane), non trovasi lontano e sta nascosto tra li matas o dentro qualche caverna ; se è vecchio e cebado, allora è fuggito assai lungi, fino alle barrancas del mare. Messi sulle piste, i cani presto lo trovano e molte volte lo sorprendono addormentato allato della preda ; scoperto appena, fugge come un gatto qualunque senza lottare, col rabo (coda) tra le gambe ; i miei cani lo perseguitano, e dai loro latrati m'accorgo che c'è la fiera ; sprono il mio cavallo e lo metto al gran galoppo. Appena il leone sente o vede che un uomo corre a cavallo, comincia a fuggire agazapandose (quatto quatto), senza saltare, per timore d'esser visto; ma i miei cani non lo lasciano e presto lo raggiungo anch'io; allora si ferma, cerca una mata (cespuglio) e resiste ai cani; salto giù da cavallo colle boleadoras preparate, chumbo (aizzo) più forte i cani, revoleo (faccio girare) le mie boleadoras e gli atraco (assesto) un colpo sulla testa o nel corpo; in ambo i casi non fa d'uopo ripetere il colpo, perche il puma muore facilmente. Il colpo alla testa lo lascia redondo (quasi morto) sul posto, ed i miei cani lo addentano pel collo : per assicurarmi meglio, gli atraco un altro bolazo al cuore e tutto è finito. Il leone è morto, e dopo mezz'ora sono di ritorno a casa col cuoio a los tientos (corde di cuoio legate alla sella). Come vede, non c'è fatica di sorta per dar la caccia al leone, nè fa d'uopo di grande valentia; bastano due buoni cani, una boleadora, e lei può ammazzare un'intiera leonada (famiglia di leoni). I miei cani (uno mi morì cadendo in una barranca, per inseguire una leonessa da cui fu preso) sono soliti addentarlo pel collo se è cachorro (giovane) di due o tre anni, e lo strozzano a modo d'una gallina, poiche ficcatigli i denti nel gañote (gola), perde tutte le forze e cede. E questa è, signore, la maniera di ammazzare i leoni qui da noi; mentre gli stranieri li uccidono col fucile, come se si trattasse di una vera fiera. »

Gli domandammo se non conosceva altro sistema, e ci rispose che alcune persone preparavano grosse trappole dentate, somiglianti a quelle che servono per i topi, disponendole notte tempo e mettendovi per esca qualche pecora. Ma il leone, soggiunse, ha una vista di lince ed un olfato delicatissimo, ed è fornito insieme di una prudenza che lo salva da qualunque mal passo. Se al giungere alla carnada (esca), vede qualche cosa somigliante al laccio o trappola è certo che morirà di fame prima di addentare l'ingannevole boccone. Soltanto qualche cachorro suol cadere, e questo durante una notte molto oscura. Il miglior modo di cacciarlo è il nostro ; andarlo cercare coi cani, portare un maneador per allacciarlo, se entra in qualche caverna ; aver con sè una boleadora per rompergli le coste o spezzargli la testa, ed un coltellaccio per cuertearlo (scuoiarlo). Con ciò basta e qualunque giovanotto corajudo (di qualche coraggio) può farlo, come lo fanno i nostri. E non salta, ripigliammo noi, quando s'infuria o si vede attaccato? » « Que va saltar! (saltare!) se dalla gran paura trema, al vederci colle boleadoras tra mano. Alcuni si rivoltano contro la chuza o il palo con cui li jurguniamos (istighiamo), mordendolo, ma non vanno più oltre, ridotti al punto in cui si trovano. » « Sono grandi e forniti di molta forza? » « Alcuni raggiungono i due metri di lunghezza, e sono alti come un cane di Terranova ; questi sono capaci di ammazzare un cavallo, e portare via una pecora come farebbero di un topo. Ma sono codardi, e non osano assalire l'uomo.... »

Ed ecco spiegata la facile caccia del puma, restando vie più confermato il selvaggio valore del Gaucho, il quale considera questa caccia come quella di un gatto qualunque.

Grazie di Maria Ausiliatrice

UNA buona madre è sempre un vero tesoro ed un gran conforto per la sua famiglia. Così Maria, madre nostra pietosa, sarà certamente sorgente di grazie e di benedizioni alle famiglie dei cristiani sparsi per tutto il mondo. Noi viviamo come in mare burrascoso, come in esiglio, come in valle di lacrime. Or bene Maria è la stella del mare, il conforto del nostro esiglio, la luce che ci rischiara, la via del cielo, è insomma la vita, la dolcezza, la speranza nostra: vita, dulcedo, et spes nostra. Ella a noi si mostra tale coll'ottenerci continui aiuti spirituali. Maria, dice S. Girolamo, ha un cuor si pietoso e tenero verso gli uomini, che non è stata mai persona, la quale talmente s'affligesse delle proprie pene quanto Maria delle pene altrui.

« Questa è la ragione - lasciò scritto il nostro buon Padre D. Bosco - per cui non si legge che nel corso di tanti secoli Maria non sia sempre venuta in aiuto ai cristiani in qualsiasi loro bisogno... Svolgiamo pure le pagine dei libri Santi e delle storie tutte, scorriamo per ogni parte il mondo cristiano, interroghiamo i popoli, i regni, le famiglie, e dimandiamo se mai fra di loro sia accaduto che Maria abbia mancato di correre in aiuto dei bisognosi suoi figli. Alla sua dimando tutti con voce concorde risponderanno: no, giammai.

» Per meglio persuaderci di questa verità, entriamo in qualche Santuario dedicato a Maria, e non tarderemo a convincerci, che essa è l'Aiuto dei Cristiani nei bisogni della vita. Miriamo appesi a quei muri sacrati i segni della bontà e potenza di Lei. Colà vediamo un malato già spedito dai medici, ma che per Maria acquista invece la salute ; qui uno dalle febbri, altro dal mal caduco, un terzo dalla cancrena liberato. Altri ancor ne osserviamo, i quali per sua intercessione scamparono dalle mani degli assassini, o dalle acque, o dagli incendi, o da una caduta, e via dicendo. All'uscire di colà non potremo a meno che esclamare : O Maria quanto sei potente e quanto sei buona; quanto mai è vero che tu porti aiuto a chi ti invoca nelle necessità della vita!».

Quanto è potente Maria !

Già pieno di vigoria e sanità, da un anno e mezzo circa mio marito va declinando di giorno in giorno, sentendosi incapace d'ogni benche minima occupazione. Credendo la cosa passeggiera, adoperai le cure d'un buon sostentamento e d'un riposo assoluto, ma tutto invano, che anzi il reale cresce e mi mette in serie apprensioni per la mia famiglia. Attacchi nervosi che si manifestavano specialmente nella testa fanno sì che spesse volte cada in deliquio e non di rado, a guisa d'un corpo morto, stramazzi al suolo con pericolo d'una qualche catastrofe. Ricorsi a tutti i mezzi che l'arte medica suggerisce, ma i medici più non valgono, le medicine hanno perduto il loro valore ed il caso è disperato. La famiglia è nella costernazione. In tal frangente, non. sapendo omai qual mezzo adottare per guarire l'infermo, mi ricordai delle molte grazie che Maria SS. Ausiliatrice concede a chi con fede a Lei ricorre. Pentita quasi d'aver tardato ad invocare il suo aiuto, il 15 maggio incomincio una novena a Maria Aiuto dei Cristiani colla promessa di fare un'offerta pei Missionari salesiani e di far pubblicare la grazia se l'avessi ottenuta; ed oli! quanto è potente e sollecita Maria! Non era ancora giunto il 24 maggio, giorno a Lei dedicato, che mio marito andava ripigliando l'antico vigore. Non più i soliti deliquii ed i frequenti attacchi nervosi, ma una nuova vita lo rianima in modo da tornare allo sue occupazioni come per lo innanzi, ed aumentando di bene in meglio, trovasi ora in perfetta salute. Siano adunque rese infinite grazie a Maria SS. Ausiliatrice che volle sì palesemente consolare la mia famiglia.

Palestro, 10 luglio 1901.

GiusePPINA TURCHELLI.

Maria preserva il bestiame dall'afta epizootica.

La temuta malattia del bestiame, comparsa qua e là nei primi mesi dell'anno e che gettò nello sgomento tante povere famiglie, incominciava pure a Foglizzo a farsi strada e già si paventavano i danni veramente disastrosi di quasi tutti i paesi limitrofi. Fa allora che parecchi capi famiglia ebbero il felice pensiero di rivolgersi alla Madonna di D. Bosco Maria SS. Ausiliatrice perchè li preservasse da tanta disgrazia. Due di loro passando di casa in casa raccolsero un'offerta da portarsi alla Casa salesiana del luogo per la celebrazione d'una santa Messa e per una speciale novena a Maria: e la buona Madre Ausiliatrice li protesse davvero visibilmente giacchè il temuto flagello cessò tosto come per miracolo, nè si ebbe mai altro caso di morte di alcun animale, mentre il morbo continuava ad infierire , più che mai nei dintorni. Ora questi stessi capi di famiglia ringraziano per mio mezzo la Vergine Ausiliatrice d'un tanto favore e ne pubblicano la grazia veramente singolare a comune edificazione e per incitare molti altri a voler nelle distretto della vita ricorrere a fiduciosi Maria.

Foglizzo, 20 ottobre 1901.

Sac. GIOVANNI ZOLIN.

Uno sguardo di Maria.

Pieno il cuore della più viva gratitudine, sento imperioso il dovere di dare pubbliche grazie alla potentissima Ausiliatrice, d'avermi scampata da certa morte ! La sera del 19 u. s. aprile, venni affetta da terribile polmonite, accompagnata da gagliardissime febbri a 40° continui. Dichiarata pressochè spedita dai medici, mi rivolsi, con fiducia a Colei che è la Salute degli infermi. Il male aggravava. La mattina del 22 mi presentarono un bel quadro della Vergine SS. Ausiliatrice, lo esposero alla mia vista, e mi esortarono a confidare in Lei ! La guardai commossa, piansi, e pregai ! ... Oh potenza dello sguardo di Maria! Il giorno 24, quinto della malattia, giorno in cui si attendeva la risoluzione della crisi, il male si aggravò orribilmente; Maria SS. Ausiliatrice però vegliava quale tenera madre sopra di me. Quella sera istessa migliorai e potei recitare le quindici poste del suo Rosario. In seguito il miglioramento si fece più sensibile, la febbre cessò, ed ora sono perfettamente guarita.

Troia (Foggia), Settembre 1901.

SILVIA CIBELLI.

Nizza Monferrato - Con pieno contento del cuore ero novizia tra le figlie di Maria Ausiliatrice, quando mi ammalai gravemente e tanto, che si temeva di me. Avvertii la mia buona mamma, la quale mossa da materno affetto volò a trovarmi e con slancio e fede mi votò a Maria SS. Ausiliatrice, promettendole, se mi ridonava la salute, di render pubblica la grazia e fare una offerta al suo Santuario in Torino.

Oh bontà di Maria! Si dileguò in poco tempo la gravezza del mio male, migliorai gradatamente e sempre, ed ora da parecchi mesi mi trovo perfettamente bene, tanto che potei essere ammessa alla professione religiosa. Oh! mia buona e Celeste Madre, Potente Aiuto dei Cristiani, come farò a ringraziarti convenientemente pel grande benefizio ricevuto?

Son tua figlia , a Te consacro la vita intera e mentre la mia buona mamma adempie la promessa fatta, io, con tutta la mia famiglia a Te innalzo le fervide preghiere della riconoscenza e dell'affetto più grande.

2 Settembre 1901.

SUOR FERDINANDA ANDREI.

Paludi. - Il 14 luglio cadeva gravemente infermo di polmonite il mio fratellino Antonio, non ancora quinquenne. Non ostante le più solerti cure, la malattia fece tali progressi che al sesto giorno, il caso è dichiarato disperato. S'invitò un altro medico per osservare il ragazzo, ma anche costui dichiarò con sommo suo dolore che il ragazzo era in pericolo di vita. L'ottavo giorno peggiorò assai, dopo il mezzodì ammutolì, divenne freddo e rigido in tutto il suo corpo, il polso era debolissimo, così veloce però che riusciva impossibile numerarne le pulsazioni. Nell'imminente pericolo noi tutti ci rivolgemmo alla nostra buona Mamma Maria SS. Ausiliatrice con una pubblica novena, recitando le preghiere consigliato dall'indimenticabile Don Bosco. Si pregava da tutti e contro ogni speranza si sperava. Nè la nostra fiducia, sebbene messa a dura prova, venne delusa: non era ancora finita la novena che il caro infermo cominciò a sentirsi alquanto sollevato e finalmente verso la fine di ottobre i medici lo dichiararono fuori d'ogni pericolo. Ed ora io posso ben esclamare che la nostra buona Mamma Ausiliatrice è veramente la salute e la consolazione di coloro che ricorrono a Lei con piena fiducia.

NICOLA PALUPOLI.

28 ottobre.

San Giovanni Gemini (GIRGENTI) - Il giorno 6, aprile, Sabbato Santo, venne colpito da un morbo fatale un sacerdote di questo paese, vero ministro del Signore, tanto utile pel culto della Chiesa, e molto più zelante della salute delle anime a lui affidate. Ridotto agli estremi, munito dei conforti religiosi da lui stesso richiesti con viva insistenza, non si aspettava altro che vederci spegnere da un momento all'altro tal preziosa esistenza. In tale disperata ed angosciosa situazione si fece ricorso alla Vergine Ausiliatrice: Lei sola potea consolarci. Scrissi a codesto Oratorio, mandai una offerta per celebrare una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice, e la potente Madonna di Don Bosco ebbe compassione dell'estremo dolore in cui trovavasi la famiglia, gli amici e il paese tutto e ci volle consolare.

Passata la notte in ansie e trepidazioni, alla mattina nel malato si accennò un lieve miglioramento che incominciò a farci sperare, e così leggermente migliorando, tanto che nel mese di maggio, sacro a Maria si potè rivedere in Chiesa il caro sacerdote con generale consolazione.

Sia adunque ringraziata di tutto cuore questa nostra carissima madre, e mentre invio l'offerta per la celebrazione di una Messa di ringraziamento, voglia la Vergine Santa confermare la sua grazia conservando lunghi anni ancora detto sacerdote per il bene di tante anime.

11 novembre 1901

RosINA ALESSI.

Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice, e pieni di riconoscenza inviarono offerte al Santuario di Torino, o per la celebrazione di S. Messe di ringraziamento, o per le Missioni Salesiane, o per le altre Opere di D. Bosco, i seguenti:

A*) - Alessandria: Croce Michele per una Messa di ringraziamento L, 3. - Alice Castello (Novara): Chiaverino D. Antonio per grazia ricevuta, 5. - Allain (Torino) : M. Diemoz Etiénne per grazia accordata al figlio Teofilo, 10. - Allesaz (Torino) : M. Court Seraphine ringrazia di cuore Maria SS. per aver ottenuto completo ristabilimento in salute e varie altre grazie, 9. - Amsterdam: L. W. B. per guarigione di polmonite, 10. Andorra Stazione (Genova) : Maria Tagliaferro per Messa di ringraziamento, 2.

B) - Barcellona (Spagna): Marianna Crisafulli per grazia, 20. - Biella (Novara) : Serale Secondo per guarigione da un male che da varie settimane lo faceva soffrire assai, 2. - Bologna: Maria Belloni per la signorina Bice Franco graziata da Maria, 20.- Bronte (Catania): Rizzo Don Vincenzo per le opere Salesiane. - Busseto (Parma): Elena Gialdi per messa di ringraziamento, 2.

C) - Carpaneto (Piacenza) : Enrica Penco in Fermi per grazia, 20. - Luigi Gasparini per ottenuta guarigione di una bambina. - Carrara S. Giorgio (Padova). Brunazzo Adele vedova Rizzi, per grazia, 4. - Carruba Riposto (Catania) : W. N. per grazia importantissima, 10. - Casorate Sempione (Milano) : Bruni Giacomina per grazia, 5. - Castellinaldo (Cuneo) : Boarino Margherita di Giuseppe per guarigione ottenuta, 6,50. - Castrogiovanni (Caltanisetta) : Meli Antonio di Vito per grazia temporale 2. - Cignano (Brescia): Monbelli Vincenza per segnalatissima grazia temporale ottenuta da Maria 20. - Chivasso (Frazione Betlemme) : Senna Bocca per la guarigione del marito da forte polmonite. - Cloz (Austria Trentino): Floretta Maria per pia persona, 1. - Collio (Brescia): Tonini Giovanni fu Domenico pel decoro del Santuario di Maria Aus. in rendimento di grazia per guarigione del suo bambino, 4,50. - Clusane sul lago (Brescia): Barbieri Gaetano per grazia ottenuta. - Crescentino (Novara): Sac. Giuseppe Ottino per guarigione di forte suppurazione ad un dente che lo faceva da giorni penare, 5.- Cuorgnè (Torino): Celestina Gay per messa di ringraziamento 2.

E)-Eusenada (Republ. Argentina): De Manetta Maria per guarigione di un suo figlio, 5.- Envie (Cuneo): Cravino Clementina per ispeciale grazia ottenuta da Maria, 15.

F) - Firenze: Gatti Ida per diverse grazie ottenute, 25: N. N. cooperatrice salesiana per diverse grazie spirituali importantissime che da tanti anni chiedeva a Maria Ausil., 15. - Otto alunne della scuola Normale di Forlì pel felice esito nei loro esami, 1,20. - Frassineto (Alessandria): Guasconi Maria per guarigione di risipola e tifo, 5.

G) Gambellara (Vicenza) : Coniugi Francesca e Maria Cristofori riconoscentii a Maria per l'ottenuta guarigione del loro caro bambino, 10. - Gargallo (Novara) Galleazzi Carlo per grazia ricevuta dal figlio, 3. - Gemona (Udine): C. P. per grazia ottenuta da Maria, 12. - Genova: Giulia Musso per la guarigione della gamba sinistra che da tempo la faceva penare assai 5.-Terzolo Francesco per grazia, 3. -Girgenti: Ciotta Crocifissa nata Marchica per essere stata liberata da paralisi alle braccia ed alle gambe, 12.

L) - Lavertezzo : Barloggio Angelina per diverse grazie, 3. - Lumezzane Pieve (Pavia): Polotti Pierino per grazia, 5.

(*) L'ordine alfabetico qui segnato è quello delle città e dei paesi, cui appartengono i graziati da Maria Ausiliatrice.

M). - Malta: Monsignor Luigi Farrugia Direttore dei Cooperatori Salesiani di Malta ringrazia a nome suo e della famiglia per una grazia da lungo desiderata. - Milano Villa Vittoria (Forlì): Ricci D. Pasquale per importantissima grazia, 12. - Mistretta (Messina) Campisi M. Grazia per la guarigione di un suo fratello, due Messe di ringraziamento all'altare di Maria Aus., 6,25. - Mogliano Veneto (Treviso): Oreste Bassano per segnalato favore ottenuto dalla Verg. Aus.- Moncrivello (Novara) - Ferraris Teresa per segnalate grazie ottenute con favore speciale nel periodo di pochi anni, per sè, per alcuni suoi parenti e pie persone, 6. - Montechiaro d'Asti (Alessandria) : Dellasette Giuseppina per guarigione da dolorosa e lunga malattia dichiarata incurabile, 6.

N) - Napoli: Oreste Corvino avendo per più tempo menato una vita antireligiosa, colpito da gravi sciagure, era tocco al cuore dalla grazia divina, e mediante l'intercessione di Maria, faceva ritorno a quella religione che prima aveva rinnegato. - Adolfo De Tommasi per importantissima grazia temporale e spirituale ne rende pubbliche grazie.- Noli: Mocri Marianna per la guarigione della figlia da sei mesi ammalata e data incurabile dai medici, 5. - Moveledo (Vicenza): D. Angelo Tirapelle a nome di pia persona riconoscente a Maria, 5. - Nureci (Cagliari) : Saba Beniamino per la pronta guarigione del figlio invocando il nome di Maria, 5.

O) - Olgiate Valcrescentino (Como): P. L. riconoscente a Maria per grazia importante ottenuta, 5. - Orsara Bormida (Alessandria): Pronzeto Catterina per grazia, 12.

P) - Paderno (Como); Giuditta Lavelli per grazia ricevuta dalla sorella invocando il nome di Maria. - Pinerolo: Sorelle Bertetti grate a Maria per grazia speciale da Lei ottenuta, 5. - Poggio di Brisighella: D. Giuseppe Cova per favori speciali ottenuti da Maria. - Ponzacco (Pisa): Busdraghi D. Giacinto per guarigione d'un grave slogamento al piede sinistro, 2. -Ponte Caffaro (Brescia): Scalvini Giovanni, per grazie diverse, 2. - Pordenone (Brescia): Bonvini Grandi Edvige per grazia ardentemente desiderata una Messa di ringraziamento. - Portico S. Benedetto (Firenze) : Tredoti Mazzoni-Mina per grazia, 5. - Poschiavo (Svizzera): Zepponi Giacomo per grazia, offerta per le Opere Salesiane.

R) - Rodello (Cuneo): Nada Giuseppina per le opere di Don Bosco, 3. - Rossiglione (Genova): Pirlo Raffaele per le Missioni in ringraziamento, 10.

S) -- S. Basilio (Cagliari) : Capai Albina per grazia, 5. - Santa Cristina (Novara): N. N. per le Missioni, 10. - S. Lussurgiu (Cagliari): La Nobil Donna Massidda Giov. Maria per grazia ricevuta, 10. - S. Nicolàs de los Arroyos (Buenos Aires) : Isabella C. per guarigione della prima delle sue figlie, pesos 30, - S. Rocce Lanciano (Firenze) : Manti D. Virgilio per grazia ottenuta, 2. - Sanseverino (Marche): Sac. Giuseppe Splendori per Messa di ringraziamento, 2. - S. Vittoria d'Alba (Cuneo): Cristino Giuseppe, per grazia 2,75. - Sommariva Bosco (Cuneo): Garneri Antonia per grazia ricevuta, 1.

T) - Tignano (Bologna): Mazzetti Petronio per ottenuta conversione di nn grande peccatore, 2. - Torino: D. Giovanni Ferrero per Ferrero Giorgio che all'invocazione di Maria ottenne la guarigione della propria bambina da male sinistro, 5. - G. G. G. per aver ottenuto un impiego al proprio marito, 10.- Galeano Sofia per guarigione da gravi dolori di stomaco. - Giordanetto Angela per averle Maria ottenuta la salite al suo bambino di 3 anni. - Trivero (Novara) N. N. maestro riconoscente a Maria per grazie temporali e spirituali da ;Lei ottenute nel periodo di quattro anni.

V) - Valleregia (Genova): Rosa Rizzo per guarigione del nipote Giovanni gravemente infermo, 5. Pezza d'Alba (Cuneo): Tacco Giovanni dopo una novena di preghiere ottenuta la guarigione d'un suo figlio con una Messa di ringraziamento.

X) - Maria Accame per grazia ricevuta, '5. - B. C. per grazia speciale, 10. - Nobile Rosa per le Missioni Salesiane in riconoscenza a Maria, 5.

SPIGOLATURE AGRARIE

III.

Dei Concimi Organici.

(V. Bollettino di gennaio.)

Generalità - Il letame è un buon concime - Il letame non è sufficiente per la concimazione dei nostri terreni - E neppure basta il complesso di tutti i concimi organici.

MOLTO si scrisse sui concimi organici, anzi al giorno d'oggi la scienza ci può dire di quali materie son composti, come pure ci sa indicare tutti i buoni effetti che producono nel terreno. Non seguiremo certamente questi studii, perche per noi sono fuor di posto, ma accenneremo solo a quanto ci pare necessario per ben comprendere quanto al giorno d'oggi si sente predicare in tutti i toni e che si legge sui giornali d'ogni colore.

I concimi organici son costituiti da tutti quegli avanzi di vegetali ed animali, che, diventati inutili per la vita degli uomini e degli animali, vengono somministrati al terreno come ingrasso. Fra questi però il più usato è lo stallatico (letame). E qui si presentano a noi due domande : lo stallatico (ed in generale ogni concime organico) è un buon concime? E poi : è sufficiente per far sì che il nostro terreno produca quanto noi vogliamo?

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Lo stallatico (letame), ed in generale tutti i con cimi organici, sono eccellenti concimi. Difatti non sono altro che vegetali od avanzi d'animali più o meno putrefatti e perciò contengono tutti gli elementi che concorrono alla formazione delle piante. Quindi, allorchè somministriamo al nostro terreno del buon letame, mettiamo nel terreno della calce, della potassa, dei fosfati e dell'azoto ecc., perchè questi elementi sono appunto quelli che trovansi nell'erba o negli escrementi del nostro letame.

E non solo mettiamo nel terreno gli elementi necessarii alle piante, ma li mettiamo sotto una forma generalmente molto desiderata dalle piante. Come la carne (ci sia permesso il paragone) di un vitello, che è formata di erbe, è pel nostro stomaco più confacente delle erbe stesse, così i concimi organici (lo stallatico) sono in generale un cibo più confacente per le piante, delle stesse materie azoto, potassa ecc. Dunque il letame è un buon concime. I nostri contàdini sanno benissimo che il letame ha pure altre ottime qualità : sanno ad esempio che, in combinazione col terreno, forma quel terriccio nerastro (umo) tanto necessario per far prosperare le piante : sanno che modifica i terreni troppo compatti o troppo sciolti ; sanno che serve a rendere più umidi i terreni troppo asciutti ecc., il letame adunque è un ottimo concime.

Pressapoco si ripetono le stesse cose per gli altri concimi organici cioè per gli avanzi d'animali, per gli stracci, per le spazzature, pel sovescio, per tutto insomma quanto vien sotterrato onde ingrassare, e provenga da materia animale o vegetale.

Ma se il letame e gli altri concimi organici sono buoni concimi, non sono però sufficienti per ottenere un dato raccolto. Infatti essi non ritornano al terreno quanto dal terreno abbiamo esportato per mezzo delle piante. Questa verità ci fu provata dalle esperienze fatte dagli scienziati. Queste ci indicarono quanto di azoto, quanto di potassa ecc. c'è in un quintale di letame, e così si vide che, per restituire al terreno quanto portiam via colle piante, bisognerebbe metter nel terreno tanto letame quanto appunto non possiamo avere. Ma senza perderci in prove scientifiche, facciamo un'osservazione e ci persuaderemo facilmente.

Il letame è l'avanzo dì quanto non ha servito per noi, e neppure per gli animali: rappresentata una parte dell'erba (l'altra andò a formar la carne, le ossa, il latte degli animali) che abbiam preso nei nostri terreni. E la materia che venne tolta dai terreni per formar i semi che mangiamo noi o vendiamo sul mercato, in che modo la restituiamo? In altre parole abbiam preso molto e diamo poco!

Non ci dilunghiamo perchè non ci par necessario e poi perchè l'esperienza omai ci ha fatto toccar con mano, che il solo letame non basta, e ce ne diede le prove anche troppo evidenti nei raccolti miseri che si ottengono nei terreni concimati a solo letame.

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E neppure sarebbe sufficiente il dare al terreno tutto quanto ci avvanza dalle fabbriche, dalle spazzature, dalle deiezioni umane ecc... Tutto il complesso di queste materie non basta per restituire al terreno quanto abbiam esportato. Invero tutto il complesso dei concimi organici costituisce pur sempre quanto non ha servito all'uomo. E quello che passò a formare il nostro corpo (che è pur materia presa dal terreno), come faremo coi soli concimi organici a restituirlo? E tutto ciò che le piogge portano al basso nei terreni, o conducono ai fiumi e per mezzo di questo al mare, come lo restitueremo noi al terreno? Concludiamo adunque che sebbene il letame e tutti i concimi organici siano buoni concimi, tuttavia da soli non bastano per ridonare la fertilità ai nostri terreni. Dunque che faremo? Ricorreremo ai concimi chimici per completare il nostro letame, per far sì che al terreno venga anticipato quanto la pianta ha di bisogno per crescere rigogliosa : ricorreremo ai cosidetti guani onde non continuare a sfruttare il terreno, onde veder coronate le nostre fatiche con dei raccolti abbondanti e remunerativi.

Un buon consiglio - L'inverno sta per finire: in certi luoghi è omai tempo di pensar ai lavori primaverili. Quelli che non hanno concimato in nessuna maniera i loro frumenti, vadano da qualche Società cattolica, comprino per ogni ettaro di terreno da due a tre quintali di perfosfati minerali, kg. 75 almeno di solfato potassico, kg. 75 almeno di solfato ammoniaco e da tre a quattro quintali di gesso si facciano indicare praticamente come devono spanderlo; lo spargano sul terreno ove c'è il frumento, passino su con un buon rastrello (erpice snodato meglio) e poi preghino il Signore che mandi un po' di pioggia. Vedranno se i risultati non li soddisferanno. Se non credono, provino su di un ettaro, o meno ancora. Mancando il danaro ricorrano ove c'è alla Cassa Rurale cattolica. Per una prova di un ettaro non si richiede poi una gran quantità di danaro.

Se l'anno venturo vogliono far un trifogliaio, dopo dati i concimi come sopra, seminino prima di passar col rastrello o coll'erpice il trifoglio.

E ci piace corroborare i nostri consigli coi risultati ottenuti dalla Colonia agricola Salesiana di Gerona in Spagna. Vollero esperimentare i risultati di questi concimi chimici e preso un appezzamento di terreno lo suddivisero in tre parti. Una lasciarono senza concimazione, nell'altra diedero i concimi chimici un tantin più abbondanti di quelli suggeriti da noi, e nella terza applicarono il Sistema Solari, ossia diedero l'azoto per mezzo del trifoglio.

Ecco i risultati ottenuti nel raccolto: Terra senza concimazione -

Ettolitri di frumento 6 per Ettaro

» concimata coi concimi chimici -

Ettolitri di frumento 17 »   »

» a Sistema Solari -

Ettolitri di frumento 44 »   »

Di questi esempi potremmo portarne non pochi, ma speriamo che ciascuno vorrà egli stesso farne la prova. Si ricordi però nella compera dei concimi di non lasciarsi ingannare, e perciò ricorra alle Società Cattoliche, e si faccia insegnare come usarli.

NOTA - Molti dei nostri carissimi Cooperatori ci chiedono quali siano i periodici agrari che possono servire a complemento della loro istruzione. Noi conosciamo nel settentrione - L'Italia agricola (Piacenza L. 12) - La Puglia agricola (Bari L. 5) - però se un nostro parere può essere accettato consiglieremo - La Rivista Agraria di Parma, abbonamento annuo L. 4. - Anzi abbiamo fatto domanda all'amministrazione se poteva concedere ai nostri Cooperatori qualche facilità e l'Amministrazione si offerse di aprire un abbonamento straordinario dal 1° di Marzo alla fine dell'anno per sole L. 3. Quelli che desiderassero approfittarne inviino cartolina-vaglia di lire tre prima del 15 marzo Amministrazione della Rivista di Agricoltura in Parma ed avranno quindicinalmente un fascicolo di 16 pagine grande ed il diritto di chiedere gratis alla Redazione del periodico istruzioni sul come regolarsi nella pratica dei loro lavori agricoli. Conoscendo che il Periodico è redatto sotto la sorveglianza di chi venne portato come lume ed esempio in agricoltura su queste pagine istesse , ecco il perchè ci siam permessi di chiedere all'Amministrazione favori speciali pei nostri Cooperatori. Quelli che intendono approfittarne nell'inviare la cartolinavaglia indichino la qualità di Cooperatore o Cooperatrice Salesiana inviando la fascetta del BOLLETTINO.

Ai Reverendissimi Parroci.

Nel Bollettino del mese di novembre p. p. pubblicammo un articoletto in cui si invitavano i reverendissimi Parroci a inviarci liberamente, caso mai ne trovassero nelle loro parrocchie, giovani contadini o anche artigiani, i quali avendo già superati i 16 anni, ed essendo di costituzione sana e robusta, dimostrassero ferma volontà di ritirarsi dal mondo, per vivere una vita divota, lontana dai pericoli, lavorando pel Signore; che noi li accetteremmo volentieri avendo aperte case apposite per ritirarli, e coltivarli convenientemente ; ed indicavamo specialmente la colonia agricola d'Ivrea, come casa destinata a loro per farvi le prime prove di tal genere di vita.

Ora, per rispondere a qualcuno dei benemeriti parroci, che ce ne interpellò in proposito, la direzione del Bollettino è lieta di poter comunicare che dette case servono anche per coloro i quali avessero nel cuore il desiderio di abilitarsi per diventar poi un giorno Catechisti Missionarii, andando ad insegnare con l'agricoltura e con le arti, anche il catechismo ai poveri selvaggi, in aiuto dei sacerdoti salesiani, che saranno loro superiori, e che anche essi, col tempo, potrebbero farsi salesiani, condividendo il merito delle conversioni coi sacerdoti medesimi.

P. S. Per facilitare le pratiche di accettazione, rivolgersi direttamente al Sac. Giuseppe Bertello, Oratorio Salesiano, Torino, oppure al Sac. Eugenio Bianchi, direttore Colonia Agricola Salesiana, Ivrea.

NECROLOGIA

Carlo Gastini.

ERAVAMO così soliti a vederlo e a sentirlo in tutte le nostre feste, il buon Menestrello, che l'ultima solennità di S. Francesco, ci parve priva del suo pregio più raro, non avendo più veduta la simpatica fisionomia di Gastini, nè sentita la sua voce sempre intonata e armoniosa, sebbene già avanti negli anni. Il Signore lo volle chiamare a sè nella vigilia stessa di S. Francesco di Sales, quasi caparra preziosa che Egli l'abbia voluto premiare della virtuosa sua vita e della molta divozione che aveva praticata. Egli ci diceva:

Io devo vivere Per settant'anni,

E me lo disse Papà Giovanni!

Quindi appena caduto ammalato nella metà dello scorso gennaio, vicino ad entrare negli anni settanta, volle a sè il Successore di D. Bosco, ordinare scrupolosamente le cose della sua coscienza, ricevere il Signore per Viatico, disporsi in una parola alla morte. Ma perchè, gli si diceva, si vuole fare cosi presto?

- Siamo ai settanta, ed io devo morire. Non ho più nulla a fare quaggiù. Spero che D. Bosco mi aiuterà ad unirmi con lui in paradiso.

- Gli volevi dunque bene a D. Bosco?

- Son cose da domandarmi? Se non era di lui, che sarebbe mai stato di questo miserello? Ora sento che avrei potuto meglio corrispondere a' suoi desideri, sforzarmi un poco di più per compiere l'opera che egli cominciò in me con tanta pietà.

Egli era di parenti nati a Casal Monferrato, e poi venuti a Torino, con la speranza di guadagnarsi più facilmente una vita onesta. Invece qui i loro affari andarono molto peggio. Morì presto il padre, che era guardia municipale, e morì subito dopo la madre. Ci diceva, come la madre era mesta per lasciare lui ed una piccola sorella così nelle mani della Provvidenza.

Anche il padrone di casa si mostrò crudele contro i poveri orfanelli. La madre non aveva potuto soddisfare gli ultimi mesi della pigione, meno si sperava che facessero gli orfani; e quindi venne nella dolorosa risoluzione di espellerli di casa. Alla sorella, per la pia opera di anime gentili, si era provveduto, allogandola in un Ospizio di beneficenza. Ma chi penserà al piccolo Carlo?

Egli fino a quel punto aveva lavorato presso un parucchiere poco distante dal Convitto di S. Francesco d'Assisi, dove D. Bosco era allo studio della Morale alla scuola di D. Cafasso. Colà D. Bosco si portava quasi ogni sabato, e chiedeva sempre di essere servito dal piccolo garzoncello.

- Non sa ancora, sa, D. Bosco!

- Per me tanto fa: ho la barba di legno. Così diceva sorridendo e faceziando con l'equivoco dal doppio senso del suo cognome.

« Di là sotto il povero D. Bosco partiva tutto sanguinoso, ci diceva Gastini, ma tutto contento, perchè aveva potuto parlarmi ed invitarmi ad andarlo a trovare nella prossima festa a S. Francesco e poi all'Ospedaletto. »

Quindi D. Bosco era l'unica persona che conosceva, ed anche allora che aveva trasportato l'Oratorio in Valdocco, non l'aveva dimenticato.

Ma ora che la sventura, lo privò di tutto, volse subito il pensiero a D.Bosco... E spesso ce la ripeteva la pietosa leggenda; e quando nella prima Trigesima di D. Bosco, e noi si aveva voglia più di piangere che di allegria, eravamo lì per biasimare l'amico di D. Bosco che voleva far sentire la sua voce, egli ci aprì una larga vena di lacrime col tenero racconto, delle sue avventure.

E quel giorno più d'uno, anzi tutti dovettero ammirare la finezza della sua educazione, la sua correttezza de' modi, la squisita educazione. Cantò con soave espressione, e poi, senza nulla accettare di quanto gli si offriva, disparve cantando e riempiendo ogni cuore di una dolce malinconia.

Così raccolto dalla carità di D. Bosco nell'Oratorio, cominciò il primo Laboratorio dei Legatori, e per lunghissimi anni ne fu capo. Ricordiamo sempre a titolo di lode, come egli negli anni più gravi dell'Oratorio, non sentiva maggior piacere, che di essere e mostrarsi fedele amico di D. Bosco. Un giorno, nell'anno 1861, un giornale ufficioso torinese, venne fuori con la strana notizia che D. Bosco era stato condotto in prigione. Erano i giorni paurosi delle perquisizioni, e tutto pareva possibile. Quando egli entra in laboratorio, ignaro di tutto, si vede correre all'incontro molti operai, colmandolo di ingiurie, e dicendogli come il suo D. Bosco aveva finalmente cominciato a pagare il fio della sua ostilità al governo.

Egli non sentì più in là; non curò le cose a lui dirette, non capì che la disgrazia di D. Bosco : e come si trovava, con le maniche della camicia rovesciate all'insù, con un paio di pantofole nei piedi, arriva all'Oratorio... Bisogna notare che la Tipografia in cui la vorava era alla parte opposta di Torino, e giunto all'Oratorio, grida piangendo: Dov'è D. Bosco?

Chi scrive ricorda che l'incontrò pel primo sotto i portici, e stupito di vederlo così male in arnese, gli domandò:

- Gastini, perchè tanto fuori di te?

- Perchè? E me lo chiami? Dov'è Don Bosco ?

- Eccolo!

In quell'ora D. Bosco aveva finita la Santa Messa, e se ne usciva dalla sacrestia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.

A lui parve una visione, non voleva credere a se stesso, e piangendo, piangendo gli corse all'incontro, quasi volesse togliersi l'inganno di travedere.

Noi in quel fatto abbiamo veduto il pio e riconoscente figliuolo!...

D'allora in poi egli ottenne di ritornare a dirigere il nostro Laboratorio da Legatori, e non se ne allontanò mai più. In ogni cara occasione di festa egli compariva e dimostrava la sua pietà con una inesauribile miniera di espressioni le più libere nella forma, ma pietose e tenere nel pensiero. Si vantava di contare i piedi de' suoi versi col metro cubo! Ma le sue idee colpivano quanti lo udivano, e quanto più nuove, altrettanto più gioconde ed applaudite. Qualcuno una volta gli mosse il dubbio che le sue continue allusioni ad un passato torbido ed infelice, potessero tornargli a disonore, ed egli pronto nella sua riconoscente manifestazione di pietà: « Voglio che tutti sappiano che se ora mi guadagno onestamente il pane, l'ho imparato a fare alla scuola paterna di D. Bosco, che mi raccolse orfanello e reietto di mezzo ad una via! ».

E dobbiamo dire che cercava ogni maniera per mostrarsi degno discepolo di un sì grande maestro !

Quando era necessario di comparire in pubblico ed alzare la bandiera della fede, egli non arrossì mai, e soleva dire: Così ho imparato alla scuola di D. Bosco.

Amico di tutti e specialmente degli alunni dell'Oratorio, ideò, promosse, fece crescere con tutte le forze l'Opera degli antichi allievi, ed ebbe la consolazione di vederla rapidamente diffusa e santamente accetta. Tutti anche l'amavano, e la sua scomparsa fu un compianto ed un dolore generale. Alla prima voce della sua malattia, tutti accorrevano all'umile sua dimora, per vederlo, incoraggiarlo, od averne solamente notizie. Si dovette impedire l'accesso ai più, e concederlo solo ai più ragguardevoli. Pianse di consolazione quando vide al suo letto il Successore di D. Bosco, ed a lui che l'incoraggiava a sperare, disse sorridendo: « No, no! Non mi leverò più di letto. Entrai negli anni settanta, e devo morire ! ».

E morì! Il pensiero di rivedere D. Bosco tra i beati del paradiso e con lui godere la mercede che Dio promette ai buoni, lo sorresse fino alla morte, che accettò sorridente nella fede operosa dei cristiani.

Riposa in pace, umile figlio di D. Bosco, e la tua memoria, mentre ci sarà di scuola a gratitudine de' benefizi ricevuti rimanga fra di noi piacevole conforto e speranza che chi vive da buon cristiano, ha tranquilla e serena la vita, placida la morte, consolante l'eternità.

Monsìgnor Antonio Zernitz di Gorizia.

IL 31 dicembre spirava a Gorizia dopo breve malattia nella pace del giusto il R.mo Mons. Antonio Zernitz, Canonico della Metropolitana. La sua lunga vita fu tutta spesa nel disimpegno più zelante degli uffici del suo apostolico ministero e nel beneficare generosamente quanti a lui ricorrevano. Amava singolarmente il nostro Convitto S. Luigi, di cui era presidente, come era membro di tutte le associazioni cattoliche della città e provincia. Ne diede una prova anche nelle sue disposizioni testamentarie. A Cormons, dove egli per circa 20 anni fu zelantissimo decano, resterà imperitura la sua memoria, poichè si deve in gran parte alla sua generosità la ristorazione interna ed esterna del bel Duomo e l'abbellimento del grandioso Cimitero, vero ornamento della provincia. Ne raccomandiamo la bell'anima alle preghiere dei nostri confratelli e Cooperatori.

Monsignor Serafino Palmigìani Canonico e Rettore del Seminario di Iesi.

QUESTO padre buono, mite e soave, questo angelo tanto amante delle anime giovani, s'addormentava nel bacio del Signore, confortato dalla speciale benedizione del Santo Padre, l'11 novembre 1901, in età di 60 anni. Questo esimio Sacerdote si reputava a gloria lo stare in mezzo ai giovani per consigliarli, aiutarli, e avviarli nella via del bene, della virtù e della scienza, valendosi dell'eletto suo ingegno, della squisita sua cultura e della bontà illimitata del cuore. Lo scelto clero Jesino è opera sua, e a lui se ne deve la gloria.

Amò sempre la gioventù, e fu uno dei più grandi Cooperatori della nostra Casa di Jesi. Amava molto D. Bosco e provò grandissima gioia nel vedere D. Rua, di cui parlava a lungo e frequentemente ai suoi giovani. La sua vita, cara a tutti, fu una serie continua d'opere di carità.

I funerali, imponentissimi, furono un trionfo dell'uomo giusto. Sulla sua tomba l'universale compianto scese insieme a quello dei buoni Seminaristi, che si consolano soltanto al ricordo delle sue rare virtù. L'uomo di Dio ebbe largo tributo di preci e di affettuosi e sinceri elogi. Alla sua bell'anima risplenda la luce del Paradiso.

Salvatore Raìnerì dì Bordighera.

QuFST' uomo integerrimo , di carattere, cattolico sincero e praticante, senza rispetti umani, amato da tutti e stimato anche dai cattivi, cessò la sua mortal carriera lo scorso anno. Una dimostrazione di sincero affetto glie la diede la cittadinanza la sera de' suoi funerali, 19 maggio, accompagnando la salma all'ultima dimora. Era un compianto generale.

Raineri Salvatore, appena ascritto fra i Cooperatori Salesiani, pose nell'indimenticabile e mai abbastanza compianto D. Bosco un affetto figliale. Ne parlava sempre con un vero entusiasmo, chiamandolo l'uomo della Provvidenza. Volato D. Bosco al Cielo, aiutò sempre l'Opera Salesiana colle sue elemosine. Non si faceva appello ai Cooperatori, senza che subito mandasse l'obolo della stia carità. La Casa Salesiana di Bordighera-Torrione in ispecial modo ha perduto in Salvatore Raineri un insigne benefattore, un sincero amico.

Sia pace all'anima sua bella.

Cooperatori defunti dal 15 Dicembre 1901 al 15 Gennaio 1902.

1. Abram Olimpia - Mese (Sondrio). 2. Badaracco Don Giovanni, Rettore - Acero (Genova).

3. Barbarossa Luigi, Fabbr. Carta - Acquasanta (Genova).

4. Bertello Margherita - Torino.

5. Berto Giovanni fu Costantino - Villardora (Torino).

6. Bertone Don Michele, Vicario - Manta (Cuneo)

7. Bennati Don Carlo - Somma Lombarda (Milano).

8. Bonomo Veronica V. Riello - Vicenza.

9. Bonvicino Giovanna v. n. Col. - Crescentino (Novara).

10. Brighenti Angola di Andrea - Castelletto di Brenzone (Verona)

11. Burnod Ida n. Piacenza - Torino. 12. Caruana Don Enrico, Can. Dott. - Valletta

13. Cola Sabatino- Filettole Vecchiano (Pisa ),

14. Dotta Can. Don Paolo, Arciprete - Magliano (Cuneoo

15. Facciotti Gaetano- Negrar (Verona).

16. Figarolo di Groppello Conte Giulio - Torino.

17. Finato Felicita - Casaleone (Verona). 18. Fort Giuseppina - Aviano (Udine). 19. Franceschelli Riva Adele - S. Sebastiano Curone (Alessandria).

20. Galliani Costantino - Fontanella (Bergamo).

21. Gennaro Don Francesco, Prevosto - Fontanetto da Po (Novara)

22. Greco Annibale - Malta.

23. Greco Don Francesco, Arciprete Vicario For. - Montorio (Verona). 24. Grosso Gaetana n. Barberis - Torino.

25. Nob. Donna Agnese dei Principi Hercolani nata Contessa T'serelaes Hallberg. - Bologna.

26. Landò Don Andrea, Parroco - Pulica (M. Carrara).

27. Lorenzoni Maria - Montocchio Maggiore (Vicenza).

28. Lucci Can. Don Gabriele - Pesaro

29. Luserna d'Angrogna Teresa - Luserna (Torino).

30 S. Ecc. Rev. Manicardi Mons. Vincenzo, Vescovo di Reggio Emilia. 31. Marchese Adele Ved. Farina - Valenza (Alessandria).

32. Marchetti Don Giuseppe - Longiano (Forlì).

33. Mariani Canonico Don Leandro - Longiano (Forti).

34. Mariani Giovanni - Pavia.

35. Martina di Cornegliano Co, ssa Oliva nata Raffio - Saluzzo.

36. Mazzarano Antonietta di Luigi - Massafra (Lecee).

37. Mannari Cav. Dott. Lorenzo - Peveragno (Cuneo).

38. Morosi Annetta in Bazzoni - Varazze (Genova).

39. Minoli D. Luigi, Prev. Vic. For. - Capriolo (Brescia).

40. Molines Comm. Francesco -Torino. 41. Montagnino Can. D. Paolo, Prov. - Santhià.

42. Negro D. Giuseppe, Arcip.- Roatto (Alessandria).

43. Novari Vincenzo, Notaio - Diano Castello (P. Maurizio).

44. Noziglia D. Luigi - Coreglia (Genova).

45. Oberti Don Giov. Batta, Prevosto - Vestignè (Torino).

46. Oliva Angolo, Negoz. - Fornovo di Taro (Parrna).

47. Oliva Orsolina nata Gaburri - Odolo (Brescia).

48. Pace Mons. Giuseppe - Terranova di Sicilia (Caltanisetta).

49. Pacotti Giovanna -'L'orino.

50. Pagliari Agostino-Spezia (Genova). 51. Palletti Don Giuseppe - Cairo Montenotte (Genova).

52. Parlagreco Ch. Eugenio - Piazza Armerina (Caltanisetta).

53. Parodi Giovanni fu Bartolomeo - Voltri (Genova).

54. Pastorino Maria - Martina Olba (Genova).

53. Perantoni Battista - Fumane (Verona).

56. Perola Catterina - Bariano (Bergamo).

57. Perucchi Francesco - Soncino (Cremona).

58. Peruzzi Annetta - S. Vincenzo (Cremona).

59. Pezzoli Teodolinda - Rovetta (Bergamo).

60. Piazza Prof. Antonino - Caltanisetta.

61. Piccardo Maria nata Roncallo - Genova.

62. Prever Can. Don Giuseppe - Susa Torino).

63. Repetto Nicoletta in Cavagnaro - Stella S. Giov. Batt. (Genova). 64. Rivara Giovanni -- Genova.

65. Rossi Edvige Angela n. Rapallo - Ventimiglia (P. Maurizio). 66. Sandri Antonio - Monteu Roero (Cuneo).

67. Santi Clementina Virgilly -- Torino. 68. Sartorio Don Jacopo, Arciprete - Trecento (Rovigo).

69. Scavia Avv. Cav. Giovanni - Torino.

70. Schafers Josef - Genova.

71. Sciacca Pietro - Randazzo (Catania).

72. Semperboni Marina- Bonicelli (Bergamo).

73. Streglio Carlo - Torino.

74. Tacconi Adelaide Ved. CavalliniPavia.

75. Tinghino Giuseppa fu Giuseppe - Librizzi (Messina).

76. Tognola Luigia - Pavia.

77. Trione Teresa Ved. Dina- Cuorguè (Torino).

78. Valente Adelina - Torino.

79. Valli Tranquilla - Vanzaghello (Milano).

80. Veraci Vincenzo - Torino.

81. Villanova Don Domenico, Arciprete - Carré (Vicenzai.

82. Wirndle Barbara - Bolzano (Tirolo).

83. Zamboni Don Francesco - Vicenza.