ANNO IV. - N. 3. Esce una volta al mese MARZO 1880
Direzione nell' Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo, N. 32, TORINO
SOMMARIO - Il 20 Anniversario della elezione di Leone XIII celebrato nel Santuario di Maria Ausiliatrice - La festa di S. Francesco di Sales in Torino, incoronata da una grazia -Relazione sulla festa di S. Francesco di Sales in Bagnarola - La conferenza dei Cooperatori in Lu - S. S. Leone XIII e i Parochi e Sacri Oratori - D. Bosco a Marsiglia e la Conferenza ai Cooperatori - Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales - Il serpe che avvelena a morte o la lettura dei libri pericolosi - Bibliografia Salesiana - Altra Bibliografia - Agli Associati alle Letture Cattoliche - Benedizione a sei Missionarii nell' Africa centrale - In occasione del decimosesto centenario del Martirio dei santi Solutore, Avventore ed Ottavio - Non troppa sollecitudine - 2° Nota dei Cooperatori defunti - Errata Corrige della Nota 1° - Indulgenze speciali pei Cooperatori Salesiani.
La sera del 20 p. p. i giovani dell'Oratorio di San Francesco di Sales col festivo suono delle campane venivano raccolti appie' di Maria SS. Ausiliatrice, onde rendere a Dio grazie vivissime per la elezione del Santo Padre Leone XIII al soglio Pontificio, della quale ricorreva in quel giorno il secondo anniversario, ed implorare sopra di lui le benedizioni del Cielo.
Coi Salesiani e coi giovanetti dell'Istituto, vedeansi pur frammisti varii Cooperatori e Cooperatrici della città di Torino.
Un breve e cordiale discorso acconcio alla circostanza ne preparava primieramente gli animi. Per tre speciali ragioni, disse l'Oratore, doversi ringraziare Iddio, vale a dire per avere Egli due anni innanzi consolata la Chiesa di un nuovo Capo visibile con una prestezza inaspettata , e come prodigiosa ; per aver inspirato ai sacri Elettori la scelta di un personaggio , il quale per la sua dottrina e pel suo carattere era il più adatto ai tristi tempi che corrono; doverlo finalmente ringraziare per aver dato a noi pure in Leone XIII un Padre, che ci ama, come ci amò Pio IX, ci benefica, ci soccorre. Molte prove di questa sovrana benevolenza addusse l'Oratore, che troppo lungo sarebbe l' enumerare, e che i Cooperatori e le Cooperatrici non ignorano punto.
Terminato il discorso i cantori intonarono il Te Deum, e un coro di mille voci fece echeggiare di graziose note le sacrate volte del maestoso tempio. Pose fine alla gioconda funzione il Tantum Ergo in musica , e la benedizione col SS. Sacramento.
Noi abbiamo la più grande fiducia, che le preghiere di tanti innocenti e pii giovanetti, e di sì fervorosi e divoti Cattolici saranno state accette al Signore, ed otterranno al Santo Padre tutte quelle grazie , che il suo cuore veramente apostolico cotanto desidera.
Papa Leone XIII, fin dal principio della sua assunzione al trono di Pietro, ebbe la degnazione di manifestare che voleva essere il primo e principale Cooperatore Salesiano. Mentre di un tanto onore noi andammo e andiamo tuttora santamente alteri, esortiamo i membri tutti della Pia Unione ad innalzare quotidiane preghiere a Dio, perchè ci conservi e prosperi un sì grande Pontefice; li esortiamo sopratutto a mostrarsi in ogni tempo e luogo suoi figli ubbidienti e devoti, pronti ad ogni sacrifizio , quando si tratta del suo onore e della sua difesa.
Dopo Dio e la Vergine Immacolata sia sempre il Papa l'oggetto della nostra più alta stima, e del nostro amore il più ardente e generoso. Allora noi saremo veri figli di s. Francesco di Sales , e al pari di lui vedremo benedette le nostre persone , le nostre famiglie , le opere nostre ; poichè al Papa sopra tutto vanno applicate le parole, da Dio rivolte al patriarca Abramo : Io maledirò quelli che ti avranno maledetto, e spanderò le più larghe benedizioni sopra coloro che ti avranno benedetto : Maledicam maledicentibus tibi , et benedicam benedicentibus tibi (Genes. XII, 3).
In tutte le Case della Congregazione la festa di S. Francesco di Sales viene celebrata con una pompa speciale ; ma tra tutti gli Istituti nostri quello che maggiormente in ciò si distingue, si é l'Oratorio che ne porta il nome. Gli splendidi apparecchi, di cui si adorna la Chiesa di Maria Ausiliatrice, la frequenza dei giovani e dei fedeli ai santi Sacramenti, la musica squisita, gli oratori eloquenti, la presenza delle persone più ragguardevoli della torinese cittadinanza, tutto insomma concorre per rendere quel giorno santamente giulivo dentro e fuori di Chiesa. Così fu negli anni passati, e così avvenne eziandio nell'anno corrente, non ostante la crudezza dell'inverno. Giova quindi il credere che il glorioso nostro Patrono avrà arriso dal cielo ai nostri cantici di gioia, alle preghiere, ai voti nostri; li avrà presentati al trono dell'Altissimo , ed invocate sui Cooperatori e Cooperatrici, sulla Congregazione e sull'Oratorio le più elette benedizioni. Di questo egli ce ne dava una prova non dubbia in sul chiudersi di quel giorno istesso.
Verso le 6 della sera i giovani tutti con varii signori della città stavano raccolti nella vasta sala del teatro per assistere ad un dramma, che rappresentavano i comici dell'Istituto. Il dramma intitolato da Sant'Alessio era incominciato ; gli attori brillavano sul palco vestiti alla romana, e la platea composta di circa mille persone pendeva dal loro labbro siccome estatica. Era il momento in cui uno schiavo, avido di rompere le sue catene e mettersi in libertà, eccitava i suoi compagni ad appiccare il fuoco alla casa del padrone e fuggire, quando un odore di bruciato penetra sul teatro. Si crede da prima che un qualche ragazzo dietro le quinte abbia acceso un pezzo di carta per far rappresentare più al vivo la scena ; ma non era così. Intanto il fumo si addensa, penetra par le finestre , ed una voce inconsulta si pone a gridare : Il fuoco, il fuoco !
Il fuoco erasi appiccato, ma non punto sul teatro, nè in casa nostra, sibbene nella casa attigua, in una fabbrica di cappelli appartenente ai signori fratelli Tensi. Ma alla parola fuoco successe uno scompiglio indescrivibile. Ignorandosi come andasse la cosa, ognuno credette da prima che si fosse attaccato il fuoco nei piani sottostanti, e che quindi si fosse in procinto di piombare ravvolti nelle fiamme. Per la quale cosa chi piange , chi grida, chi salta sulle panche e sulle sedie ; tutti si precipitano gli uni sopra gli altri per trovare l'uscita e lo scampo. In quel parapiglia furonvi di quelli che smarrirono il berretto, il cappello, il soprabito : un forastiero tra gli altri si trovò al fondo delle scale a piedi scalzi : il povero uomo non si era accorto di aver perdute le scarpe. In tanta confusione era pericolo davvero che qualche fanciullo caduto venisse soffocato o schiacciato dalla folla fuggitiva, o per lo meno ne portasse rotte le membra ; ma san Francesco nol permise, e, se ne togli lo spavento, non si ebbe a deplorare alcun male.
Intanto conosciutosi come stavano le cose, e vedendosi le fiamme ad innalzarsi vorticose sulla vicina fabbrica si corse tosto a darne avviso al padrone , che stava a cena, e che di nulla erasi ancora avveduto ; altri poi si portarono ad avvisare i pompieri della città. Mentre si attende il concorso dalle pompe, un gran numero di giovani dell'Oratorio, ed i chierici stessi, dato di piglio alle secchie e alle brocche, cominciarono a farne le veci portando e gettando acqua con sì mirabile slancio e buon successo, che ne riscossero gli applausi e la riconoscenza dei padroni. Dopo due ore appena era già spento un incendio, che avrebbe potuto durare tutta la notte, e produrre dei danni gravissimi.
Non occorre il dire che per quella sera il teatro si lasciò da parte, avendo servito da spettacolo l'incendio medesimo.
Terminiamo col notare che in un ripostiglio vicino alla fabbrica incendiata trovavansi parecchi bottiglioni di spirito di vino ed un barile di petrolio. Cinque minuti che si fosse tardato a trasportarneli via, il fuoco sarebbe giunto ad investirli, ed allora chi sa quale sventura sarebbe accaduta sopra il nostro Oratorio !
Abbiamo avuta quindi una bella prova che san Franeesco di Sales vegliava sopra di noi. Egli coronava la nostra festa con una grazia segnalata.
Riceviamo or ora relazione intorno alla festa in onore di S. Francesco celebratasi in Bagnarola dai Cooperatori e Cooperatrici. Giudichiamo utile il qui pubblicarla, ed è la seguente.
REV.mo ED AMAT.mO PADRE IN G. C.,
Credo della maggior gloria di Dio il riferirle come fu dai Cooperatori e Cooperatrici di Bagnarola celebrata la giornata del 29 pp. gennaio in onore del nostro carissimo Protettore S. Francesco di Sales. Annunziato il giorno di S. Francesco di Sales e proposto di distinguerlo dagli altri giorni feriali, ebbi il piacere di vedere la mia proposta accolta con entusiasmo. Per mantenerlo, pensai di procurarmi la reliquia ed una immagine del Santo. Potei con grande soddisfazione avere per sempre la Reliquia dalle Madri della Visitazione del Convento di S. Vito al Tagliamento. L'Immagine poi mi fu ceduta a prestito per la circostanza. Come mi aspettava, la Reliquia e l'Immagine mantennero, anzi accrebbero il fervore. Nella domenica antecedente si -annnunziò alla Parrocchia che il giorno di San Francesco circa le ore 9 vi sarebbe la Messa cantata , e alle quattro della sera le altre funzioni.
Alla vigilia si preparò l'altare meglio che si poté, e, quello che fu più edificante , cominciarono ad accorrere i penitenti, pel gran numero dei quali si dové all'indomani indugiare oltre un'ora la Messa cantata, che a guisa delle principali solennità fu celebrata coll'assistenza del Diacono e Suddiacono , e seguita dal canto Iste Confessor, dall'incensazione e bacio della Reliquia.
Nella sera, al triplice avviso del suono delle campane , concorsero i fedeli Cooperatori e non Cooperatori alla Chiesa in numero, che commuoveva il cuore a vederlo. Noti che molti si portarono da due o tre miglia distanti. Per primo si recitò la terza parte del Rosario, poscia fu tenuto analogo discorso, nel quale, dopo meritamente lodata la pietà dei fedeli Cooperatori ed il buon cominciamento dell'Opera, fu in succinto narrato il tratto della vita di s. Francesco dalla sua nascita fino alla conversione del Sciablese, rilevando specialmente le fatiche ed i patimenti del corpo, della mente e del cuore, che costò al nostro Santo la conversione di quella Provincia.
Questo tratto fu opportuno per esaltare come si conveniva la eroica virtù del nostro Patrono, e fu pure molto acconcio per animare i Cooperatori a secondare le opere della Pia Unione; quindi coll'istruzione religiosa adoperarsi a togliere ed impedire gli errori , che anche ai nostri giorni e nelle città e nei paesi di campagna insidiano alle povere anime ; quindi attenzione alla gioventù , correzione fraterna , diffusione di buoni libri e via dicendo. Dopo il discorso si fece l'esposizione solenne e si diede la benedizione col Santissimo Sacramento, ottenutane la facoltà dall'Ill.mo e Rev.mo nostro Vescovo Monsignor Pietro Cappellari, il quale, nulla più avendo a cuore che la gloria di Dio ed il bene delle anime, concesse volentieri non solo detta facoltà, ma aprì eziandio il tesoro, che gli é affidato, delle sante ,Indulgenze ai fedeli che avrebbero presa parte alla sacra funzione.
Conchiuderò che all'indomani un buon contadino capo di numerosa famiglia mi confessò col cuore commosso, che in 50 anni non aveva passata mai una festa così bella e così lieta quanto quella del giorno prima. Mi sembra poter assicurare che un simile sentimento sia stato quasi generale.
E per dir tutto, all'indomani di S. Francesco, come é raccomandato nel regolamento, fu dai Sacerdoti Cooperatori non solo celebrata la santa Messa, ma fatta pubblica ufficiatura in suffragio dei defunti Confratelli e Consorelle. Sia pertanto lodato e benedetto nostro Signore per tanto bene che ha inspirato ed aiutato a compiere.
Bagnarola (S. Vito al Tagliamento) il 19 febbraio 1880.
D. ANTONIO AGNOLUTTO.
La Conferenza dei Cooperatori da noi raccomandata nel N° precedente del Bollettino fu tenuta in più luoghi con grande edificazione e vantaggio. Di questo ci fanno fede i Direttori, Capi e Decurioni, dalle cui lettere veniamo ogni giorno a conoscere di quanto zelo e carità siano forniti molti nostri Confratelli e Consorelle in Gesù Cristo. Ne sia lode a tutti ; ne sia soprattutto gloria a Dio, da cui procedono i santi desiderii, i retti consigli ed ogni opera giusta : A quo sancta desideria, retta consilia et iusta sunt opera, come ne fa dire la Chiesa:
A noi toccherebbe passare i limiti di questo articolo, se dovessimo qui riprodurre tutte le relazioni finora ricevute su tal proposito. Per non dilungarci di troppo, ci restringiamo per ora a fare parola della Conferenza, che ebbe luogo in Lu, cospicuo paese della Diocesi di Casale-Monferrato, e a cui ebbe l'onore di trovarsi presente uno dei Redattori del nostro periodico.
Da circa quattro anni esiste in-quel ragguardevole Comune una Casa delle nostre Suore di Maria Ausiliatrice , le quali vi hanno asilo infantile, scuole e laboratorio, non che un giardino di ricreazione nei giorni festivi per le giovinette. Dette Religiose da principio ospitavano presso due caritatevoli e pie persone del paese, il cui unico figlio chierico trovasi oggidì tra i nostri Missionari di America ; ma nell'anno corrente e Cooperatori e Cooperatrici di colà , raggranellate alcune offerte dagli uni e dagli altri, e sacrificata eziandio parte della propria borsa, acquistarono un edifizio e lo regalarono al Pio Istituto, a fine di rassodarlo vie meglio, e perpetuare il bene religioso e morale tra i loro concittadini.
Il 2 dello scorso febbraio era destinato per benedire in onore della Sacra Famiglia l'Oratorio annesso alla Casa novella. Fu appunto in questa occasione che si tenne la detta Conferenza ai Cooperatori e Cooperatrici, e che usando delle facoltà concesse dal Supremo Gerarca della Chiesa, vi si celebrò per la prima volta la festa del glorioso nostro Patrono S. Francesco di Sales con Messa, Comunioni ai fedeli al mattino, vespri, predica e benedizione alla sera. L'esimio e dotto Vescovo di Casale , Mons. Pietro Maria Ferrè loda, incoraggisce, approva quest'Opera quanto altri mai, desideroso che la Congregazione Salesiana eserciti appieno il suo benefico influsso.
La Conferenza fu presieduta dal M. Rev. Signor Canonico D. Pietro Garlando, economo spirituale della Parrocchia Collegiale di Santa Maria; fu onorata dalla presenza del Sig. D. Coggiola Arciprete di S. Nazzaro e dal Sig. D. Coggiola Canonico della Collegiata, insigne nostro benefattore. Vi prese parte un centinaio di Cooperatori, il fiore cioé dei padri e dei figli di famiglia e senza contare altrettante pie Cooperatrici , le quali , stante la strettezza del luogo e l'ora tarda, tennero al domani Conferenza a parte.
Invocato i lumi dello Spirito Santo, l'onorevole Presidente diede principio pronunziando fervide parole in lode della Società Salesiana, dell'Istituto delle Suore- di Maria Ausiliatrice, della Pia Unione dei Cooperatori e delle Cooperatrici ; segnalò il bene che queste tre Opere vanno producendo nel mondo; e infine incoraggiò i Cooperatori a lavorare con impegno primieramente per salvare l'anima propria, poscia a procurare eziandio la salute delle anime altrui.
Dopo questi opportunissimi detti, sorse a parlare il Relatore, che per circa un'ora tenne pendente dal suo labbro la divota Assemblea. Il suo discorso potrebbe dividersi in tre punti: Principali opere compiute dai Salesiani e dalle Suore di Maria Ausiliatrice coll'appoggio delle preghiere e delle limosine dei loro Cooperatori - Protezione di Dio - Consigli per cooperare efficacemente al bene secondo lo scopo della Pia Unione. Ne diamo qui compendiosi cenni.
Alludendo agli encomii del Presidente rivolti ai Salesiani e al loro Capo, l'oratore osservò primieramente che se questi fossero stati presenti avrebbero attribuita ogni lode a Dio, di cui eglino non si reputano che deboli strumenti; avrebbero eziandio fatto passare gli elogi ai Cooperatori, specialmente a quelli di Lu, che sono vero esempio di carità e di zelo.
Continuando disse : « Ora voi attendete che io vi discorra sulle opere Salesiane, su quelle in ispecie compiutesi nel corso dell'anno. La mia parola potrebbe sembrare superflua, perché il Bollettino, che ricevete ogni mese, ve ne dà di tanto in tanto minuto ragguaglio. Nondimeno io ne parlerò per soddisfare alla comune aspettazione, e per compiere l'onorevole uffizio che mi avete affidate. Vi noto anzi tutto che l'usanza di riferire in comune sul bene che col divino aiuto si fece , é usanza antica e santa. Negli Atti Apostolici leggiamo ehe Paolo e Barnaba narrarono nel Concilio di Gerusalemme le maraviglie che Iddio per mezzo loro aveva operate tra le genti ; anzi nel Vangelo troviamo che la stessa cosa praticavano gli Apostoli col loro divin Maestro : Et reversi Apostoli narraverunt ei quaecumque fecerunt (1). Io ne dirò non già per menarne vanto, ma perché conosciate vie meglio i buoni effetti che ottengono le vostre preghiere e la carità vostra; ne dirò eziandio per aver motivo di lodarne insieme il Signore e spronarci a cooperare con Lui alla salute delle anime. »
Dopo questo proemio l'oratore passò a rassegna le Case novellamente aperte, dicendone in breve l'origine, la natura, lo scopo, gli effetti. « In Italia, ei proseguì, Cremona, Brindisi, Randazzo, Catania e Cascinette ; in Francia , Saint Cyre e Challonges ; in America, Montevideo, Las Piedras e la Bocca videro in pochi mesi aprirsi nel loro seno Chiese , Collegi , Ospizi , Scuole, Asili d'infanzia, Laboratorii, Oratorii festivi per la gioventù d'ambo i sessi. La grande impresa dell' evangelizzazione della selvaggia Patagonia ebbe pure il suo formale principio. Sul limitare dell'immensa contrada si sono già formate sei colonie o sei piccoli paesi, in cui ben dieci mila abitanti apprendono l'agricoltura, arti e mestieri e la religione. Si lavora in questo momento per edificare chiese, impiantare scuole e case pei Salesiani, che avranno cura dei giovinetti, altre per le Suore che attenderanno alla coltura delle ragazze. Col mostrare vivo interesse e caldo affetto pei figli si spera di guadagnare a Gesù Cristo i padri ancora, formare in quei luoghi popolazioni cristiane e civili, e regalare alla Chiesa quegli immensi paesi che nella loro estensione eguagliano presso a poco la stessa Europa.
« Colle mentovate oltrepassano il numero di cento le Case e le Chiese, che trovansi oggidi sotto la direzione dei Salesiani e delle Suore di Maria Ausiliatrice nei due mondi , dove migliaia e migliaia di giovanetti e giovanette ricevono il pane della vita, la cristiana e civile educazione, che li ha da rendere felici nel tempo e nell'eternità.
«Alcuni potrebbero domandare: Ma questi Salesiani dove prendono i mezzi materiali per compiere tante opere e così varie ? Come fanno tirare innanzi ? - Io so da certa fonte che un giorno D. Bosco, avuto da un cotale una simile domanda, rispose : - Io vo innanzi come la macchina a vapore. - Sarebbe a dire ? ripigliò l'interlocutore. - Osservi, soggiunse D. Bosco , osservi come fa la macchina quando si muove sulle rotaie ; comincia e poi continua a fare pouf, pouf, pouf (2): così ancor io fo dei pouf, cioè dei debiti e sempre debiti. - Sì, i Salesiani per intraprendere Missioni, per fabbricare Chiese , Collegi, Ospizi , per provvedere i laboratorii dei necessarii utensili, per procurare vitto e vestito a tanti poveri fanciulli, sono costretti bene sovente a contrarre debiti assai ; ma (lui é dove campeggia la protezione del Cielo in loro favore. Eglino per la gloria di Dio e per amore del loro prossimo si sobbarcano a spese ingenti, per soddisfare le quali debbono poscia martoriarsi il cervello per settimane e mesi ; ma il Signore che é il padrone dei cuori, dopo aver messo alla prova la loro fiducia nella sua Provvidenza, inspira poscia e muove persone benevole a venire loro in aiuto, a procurare loro i mezzi, e così tardi o tosto paga i loro debiti antichi, perché ne facciano dei nuovi. I mezzi coi quali si occorre a queste necessità, il più delle volte altro non sono che la raccolta di tante piccole offerte dei Cooperatori e Cooperatrici, non che dei divoti e graziati di Maria Ausiliatrice, le quali si fanno più frequenti allora specialmente quando più grave vige il bisogno. Accade spesso che in questa o in quell'altra Casa il Superiore non possegga più una somma da far fronte alla più piccola spesa , e intanto il panattiere o il fornitore di farina insiste di essere soddisfatto, ciò altrimenti il tal giorno li lascierà senza pane; ma ecco che al temuto giorno, e spesso all'ultima ora arriva il necessario soccorso. Non .è gran tempo che un creditore presentatosi a D. Bosco, voleva ad ogni modo che gli pagasse un debito di dieci mila lire, di cui non poteva più far senza. Egli aveva tutte le ragioni, ed il povero prete non aveva un soldo. Non potendolo appagare, cercava quindi di persuaderlo ad aver pazienza ancora per qualche giorno almeno; indarno, ché l'altro voleva essere di quel mattino pagato, dovendo in sul mezzogiorno far testa ad un impegno delicato, in cui andava di mezzo la sua riputazione commerciale. Ognuno si figuri la pena di D. Bosco. In quel momento ecco farsi annunziare uno sconosciuto. Introdotto, gli presenta un piego. D. Bosco dimanda chi egli sia o chi lo mandi; ma indarno, colui risponde tener ordine di nulla dire, `e senza più se ne parte. Don Bosco apre, e trova né più né meno che 10 biglietti di lire mille. Sorridendo , disse allora al creditore tuttor presente : « Ecco che il Signore ci tolse ambidue dalle angustie; prendete e andate in pace.»
« Prima di chiudere il mio qualsiasi e disadorno ragionamento, vi domando perdono se mi prendo la libertà di suggerirvi alcuni consigli, praticando i quali, voi coopererete ognor meglio coi Salesiani al vantaggio della gioventù, al decoro della Religione, al benessere della civile Società.
« Anzitutto vi raccomando che facciate, nelle vostre case, nelle vostre famiglie , coi figli e colle figlie vostre, coi fratelli e colle sorelle, coi parenti, vicini, conoscenti ed amici, quello che fanno i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice nei loro Istituti a pro di tanti fanciulli e fanciulle. Essi si adoperano bensì di formare dei probi cittadini e delle savie cittadine, capaci collo studio o col lavoro di guadagnarsi un giorno un pane onorato ; ma in cima ad ogni loro sollecitudine sta sempre il pensiero e il desiderio di formare dei buoni cristiani, dei fortunati abitatori del cielo, e ciò coll'imbevere le tenere menti delle verità religiose, e coll'informarne i cuori alle virtù secondo la morale cristiana.
« Voi adunque, ad esempio loro, attendete che la gioventù, la quale vi appartiene, impari il Catechismo. Fortunate le vostre famiglie , avventurata questa popolazione , se la scienza del Catechismo vien dispensata nelle scuole ; ma, ancorché questo si faccia, non vi basti. Mandate ad apprenderla in Chiesa i figli e le figlie vostre ; anzi in casa fatevi ancora per essi quali maestri o ripetitori di religione , interrogandoli che cosa hanno imparato, lodandoli, incoraggiandoli, premiandoli eziandio.
« In secondo luogo corroborate coll'esempio la vostra parola. Perciò fra le altre cose guardatevi dal mal vezzo di fermarvi in sulla piazza durante le funzioni parrocchiali. Come volete che i piccoli amino l'istruzione religiosa, quando vedono gli adulti a starsene lontani ? Voi medesimi, per quanto già ne sappiate, non ne sapete mai troppo, specialmente pei tempi che corrono ; quindi mostrandovi frequenti alla Chiesa, farete del bene a voi stessi, e nel tempo medesimo porgerete ai giovani uno stimolo potente ad istruirsi e farsi istruire.
« Finalmente badate dove e con chi vanno i figli e le figlie, i fratelli e le sorelle vostre ; e se mai vi accorgete che loro sovrasti qualche pericolo pel buon costume , avvisateli per tempo , e non datevi pace finché non li abbiate allontanati. Così avverrà che ogni vostra casa sia come un piccolo collegio di cristiani : avverrà che Salesiani e Suore di Maria Ausiliatrice , Cooperatori e Cooperatrici, lavorando dappertutto con questo nobile fine, formeranno famiglie morigerate e pie; parrocchie che saranno la consolazione e l'onore della Chiesa; popoli che costituiranno un giorno una società prospera e felice. »
Terminato così questo discorso, sorse il Rev. Arciprete D. Coggiola, e in modo lepido e faceto gli fece un appunto: « L'oratore, ei disse, dimenticò una cosa importante; egli dimenticò nientemeno che di raccomandare la limosina. Immaginate se é questa una dimenticanza da fare ! Perciò gli domando scusa se facendo un'aggiunta al suo discorso, la raccomando io. Si, facciamola per sopperire alle opere della Congregazione Salesiana; facciamola eziandio allo scopo di finire il pagamento per l'acquisto di questa casa. » Ciò detto, die' di piglio al taschetto, vi pose la propria offerta, e poi con una carità veramente edificante andò egli stesso a raccogliere dall'uno e dall'altro.
Recitato poscia in comune un Pater ed Ave pei Confratelli defunti , si sciolse l'assemblea, partendo tutti animatissimi pel bene operare.
(1) Att. Apost. XV, 12 - Luc. IX, 10.
(2) In dialetto piemontese il vocabolo pouf significa debito.
Il S. Padre nell'udienza accordata ai reverendi Parrochi ed ai sacri Oratori della presente Quaresima a Roma pronunziò un magnifico discorso. Ne diamo qui la parte che riflette alla istruzione della gioventù, affinché la parola del Vicario di Gesù Cristo sia di forte stimolo ai nostri Cooperatori a prendersi della gioventù di ambo i sessi la più sollecita cura in ogni tempo e luogo:
« E sempre per Noi di dolce consolazione, all' appressarsi del tempo quaresimale, il vedere i Parrochi di Roma e i sacri Oratori prescelti a spargere in mezzo di essa il seme della divina parola. La missione di pascere e d' istruire il gregge di Gesù Cristo , quantunque non sia circoscritta da luogo e da tempo, tuttavia in questa età procellosa con zelo anche maggiore deve esercitarsi in quest' alma Città di Roma , donde , quasi dal monte santo , la fiaccola della fede e dell'evangelica dottrina deve dapertutto spargere i suoi raggi luminosi e i suoi benefici influssi.
« Questa fede, che é fondamento e radice della giustificazione, senza la quale é impossibile piacere a Dio, è dai nemici della Chiesa con mille arti ed insidie fieramente assalita e combattuta. Importa quindi moltissimo, e sono necessarie le più vigili cure affinchè sia conservata nella sua purezza, si mostri viva e operosa in mezzo al popolo cristiano.
« Ma queste amorevoli sollecitudini reclamano da noi in modo speciale le generazioni crescenti, alle quali si cerca di dare un' educazione ed una istruzione non rischiarata dal raggio della fede, né avvivata dagli influssi della Redenzione.
« Noi compresi di questo evidente pericolo, ben conoscendo a quali duri cimenti oggi è esposta la gioventù, speranza della società, Ci studiammo di apporre al male opportuno rimedio, procacciando ai giovanetti nelle nostre scuole di Roma un'educazione ed un' istruzione veramente religiosa e cristiana.
« La benemerita Commissione , a questo scopo da Noi stabilita , cen zelo ed industria ammirabili, pienamente corrispose ai nostri ardenti desiderii; e si avvantaggiò anche dell'opera vostra, o pastori delle anime, ai quali amò rivolgersi per avere lumi e notizie opportune sui particolari bisogni di ciascuna parrocchia. Se pertanto per questa parte Noi abbiamo motivo di consolarci, Ball' altra non possiamo non eccitarvi caldamente a far sì, per quanto è da voi, che quest'opera salutare, abbia sempre meglio a prosperare e fruttificare abbondantemente a salute. Spetta a voi , egregi Parrochi, di adoperarvi presso le famiglie alle vostre cure affidate, con tutti quei mezzi che lo zelo prudente e l'industriosa carità saprà suggerirvi, affinché sia religiosa e cristiana l'educazione dei loro figli. Mostrate loro le funeste conseguenze che derivano alla Chiesa, alla Società, alle famiglie da una educazione irreligiosa e scredente.
« Persuadete ai genitori che mal fondono sui loro rampolli le più soavi speranze , ove ad essi non sia data una educazione, una istruzione pienamente conforme ai dettami della religione, della fede ; insistete soprattutto che li tengano lontani dai pascoli avvelenati di tante scuole protestanti , che disgraziatamente si vanno qui in Roma moltiplicando a manifesto danno della fede cattolica, a certa ruina delle anime. »
Le Citoyen , giornale di Marsiglia, nel suo N° del 21 p. febbraio , pubblicava un articolo sulla visita di D. Bosco a quella città e sulla
Conferenza tenutavi ai Cooperatori il 20 dello stesso mese in onore del Santo Padre Leone XIII, di cui ricorreva in quel dl il fausto anniversario dell'elezione al Pontificato.
Nell'assenza di D. Bosco da Torino, i Redattori del Bollettino Salesiano sono lieti di poter riprodurre liberamente il detto articolo tradotto dal francese, sia per soddisfare ai figliali sentimenti del loro cuore verso il loro Superiore e Padre, sia perché sono persuasi che i Cooperatori e le Cooperatrici, con cui non formano ormai che una sola famiglia, gradiranno di conoscere le cose che tornano a comune incoraggiamento e conforto. Ecco adunque il mentovato articolo
« Forse non mai l'anima del fanciullo fu esposta a più grandi pericoli quanto ai giorni nostri, nè forse mai la Chiesa, di cui la fecondità provvidenziale proporziona le opere ai bisogni della Società, produsse forse come oggidì un maggior numero d'instituzioni, aventi per fine d'instruire e preservare la gioventù.
« Tra queste instituzioni ammirabili, una delle più recenti e nel tempo stesso una di quelle che da umili principii, come tutte le opere benedette da Dio, ottenne più rapidamente un prodigioso sviluppo, è senza contrasto l'istituzione, di cui un Sacerdote di Torino, D. Bosco, ha poc'anzi dotata la nostra città.
« Venire in aiuto alla gioventù povera ed esposta ai pericoli, offrirle ricovero nelle campagne e nelle città, strapparla dal vizio, educarla cristianamente, insegnarle un mestiere, che la metta in grado di guadagnarsi il pane della vita, tale é lo scopo, che coll'ispirazione di Dio si é proposto D. Bosco. Sono più di 30 anni dacché esiste quest'opera di salute sociale, e d'allora in qua circa 100 Case sono state fondate nei due mondi; centinaia di sacerdoti Salesiani cooperano a questa impresa rigeneratrice ; migliaia e migliaia di fanciulli sono raccolti nelle case fondate nelle città, o nelle colonie agricole stabilite nelle campagne.
« Ogni anno più migliaia di giovani escono da questi Istituti, e vanno a servire la Società nelle carriere più differenti. Abbandonati al vizio, eglino sarebbero divenuti facilmente fannulloni e disturbatori della pubblica quiete ; ed eccoli invece trasformati in operai utili, laboriosi, probi, cristiani. Ve ne ha eziandio di quelli, che sono divenuti industriali, ed altri che hanno illustrate le belle arti, e sostengono onorevoli cariche.
« Appena fondata la Casa di Marsiglia, chiamata Oratorio di S. Leone, posta in via Beaujour, ha preso tosto le proporzioni di una grande opera sociale. Vasti fabbricati s'innalzano, e potranno ben presto ricoverare più di 400 giovinetti.
« Da circa un mese, il venerando fondatore della Congregazione Salesiana. D. Bosco, trovasi nella nostra città. Egli é venuto per visitare i lavori, compiutisi nell'Oratorio di S. Leone, e per presiedere all'inaugurazione della parte dell'edifizio già terminato. Per quanto numerose fossero le sue occupazioni, egli non ha potuto involarsi ai frequenti visitatori appartenenti a tutte le classi della società, i quali, dopo il suo arrivo, attirati dalla fama di sue virtù, si sono succeduti ogni giorno nell'umile sua camera. Fu un vero pellegrinaggio quello che si compieva in via Beaujour, e che soddisfacendo alla pietà dei Cattolici desiderosi di vedere , d'intrattenere il pio fondatore di tante opere fiorenti , e raccomandarsi alle sue preghiere, avrà per risultato di popolarizzare nella nostra città l'instituzione, di cui egli ci ha testé regalati. Per dare un'idea di questo stupendo concorso di Cattolici, noi diremo che giovedì alle due, al momento che ci presentavamo alla camera di D. Bosco, una signora, tra un'affluenza imponente, ci dichiarò che vi stava ad aspettare il suo torno fin dalle otto del mattino.
« Una riunione di 700 e più persone si teneva ieri in una delle vaste sale dell'Oratorio di San Leone, per offrire a D. Bosco l'occasione di esporre il piano e i risultati dell'opera sua.
« Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Vescovo di Marsiglia volle presiedere a questa adunanza, e dare così all'opera di D. Bosco una splendida testimonianza dell'alta sua benevolenza.
« Per circa un'ora la numerosa assemblea rimase sotto il magico incanto della narrazione semplice e commovente che fece D. Bosco con quell'ammirabile linguaggio dei Santi, nei quali non si trova altra preoccupazione che un ardente amore delle anime e un vivo desiderio di procurare la gloria di Dio.
« Un solo tratto di questa esposizione basterà per caratterizzare l'opera del nuovo S. Vincenzo de' Paoli, che l'Italia dona alla Francia, e per fare apprezzare il bene che la società può attendere da lui.
« Uno de' giovani, che 35 anni fa D. Bosco raccoglieva per le vie di Torino, e che egli aveva saputo rendere altrettanto buon cristiano che saggio operaio , era andato a stabilirsi a Barcellona in Ispagna. In questi giorni avendo conosciuto che D. Bosco si trovava a Marsiglia, egli si affrettò di traversare il mare per venire a rivedere il suo antico maestro e padre, ed esprimergli tutta la sua gratitudine. La gioia di ritrovarsi fu grande, e non si saprebbe dire quale fosse il più felice, se l'allievo riconoscente, oppure il benefattore che scorgeva con gaudio i frutti ammirabili delle celesti benedizioni sopra quel cristiano esemplare.
« Il signor Presidente delle Conferenze di San Vincenzo de' Paoli si fece interprete della dolce emozione, con cui il discorso di D. Bosco, ad un tempo edificante ed istruttivo, era stato ascoltato.
« Monsignor Vescovo prese la parola, e con un'allocuzione tutta paterna fece rilevare i motivi di confidenza che i Cattolici di Marsiglia devono avere nel buon successo di un'Opera, che ebbe per fondamento la fede più ardente e l'umiltà più profonda.
« Il caldo appello fatto da Sua Eccellenza alla carità delle persone presenti avrà certamente portato i suoi frutti.
« Ma la preziosa protezione del veneratissimo Pastore di nostra Diocesi riscuoterà per l'avvenire simpatie più generali, e concorso più importante e generoso.
« L'opera di D. Bosco è definitivamente stabilita tra noi, e da oggi innanzi ella prende posto nel primo ordine delle opere sociali, che s'impongono allo zelo e alla generosità dei Cattolici Marsigliesi. »
E. J.
La festa di S. Luigi - La funzione in Chiesa - Lepido episodio - La Cresima - Il teatrino - Parole dell' Arcivescovo - Il giuoco della pignatta - La processione - La fine della festa - Socii d'onore.
Poco dopo le sette si vide a spuntare la carrozza dell' Arcivescovo. Lo accompagnavano varii ecclesiastici della città , con due Canonici della Metropolitana. Altri Sacerdoti che già erano nell'Oratorio vestiti di rocchetto gli andarono processionalmente incontro. Arrivato sotto il detto padiglione, D. Bosco gli si fece innanzi e lesse una bella allocuzione , colla quale esprimeva la gioia che provava egli, i Sacerdoti, i signori suoi Cooperatori, e i giovani tutti, nel vedere tra di loro l'amoroso e benemerito Pastore ; mostrava sopratutto il vivo desiderio di fargli un' accoglienza degna dell' alto suo carattere , e della sua bontà incomparabile ; e lo pregava a non guardare la meschinità degli apparati , ma l' affetto interno che era grandissimo. Fra le altre cose gli diceva : « Noi vorremmo possedere preziosi arredi per adornare le squallide mura di questa casa; vorremmo avere i più bei fiori per seminarne la strada per cui passar dovete; vorremmo essere padroni di ampie ricchezze per presentarvi doni e regali non indegni della vostra persona. Ma tutto questo non sarebbe che il simbolo del nostro cuore, pieno di stima, di riconoscenza e di amore per Voi. Or bene, poiché la nostra povertà non ci permette di offrirvi i simboli, noi vi preghiamo , o eccellentissimo Monsignore , di gradirne la realtà. Sì, gradite i nostri ossequii ; gradite i nostri affetti; gradite le preghiere che in questo giorno innalziamo al Signore, perché vi colmi di grazie, e vi conservi ancora per molti anni in vita, affinché noi possiamo godere più a lungo delle finezze della vostra beneficenza, e Voi possiate vedere più copiosi i frutti della vostra insigne carità.»
Entrato in Cappella e vestito dei sacri paramenti l'Arcivescovo celebrò la Messa, durante la quale distribuì il pane degli Angeli a parecchie centinaia di giovinetti. Al vedere coi proprii occhi tanti giovani, in gran parte una volta trascurati nei loro doveri di pietà e di religione , i quali stavano ora in Chiesa e si appressavano alla Comunione con un contegno che rapiva a divozione, il buon Prelato provò un piacere sovrumano , e confessò poscia che fu quella una delle funzioni che maggiormente lo avevano commosso e deliziato. « Come non sentirmi innondare il cuore di gioia, andava egli dicendo, al vedermi attorniato da più centinaia di giovanetti virtuosi e pii, che forse senza di quest' opera provvidenziale sarebbero, come tanti altri, caduti nel vizio e nell'empietà ? Come non sentirmi spuntare sulle ciglia una lagrima di contentezza, scorgendo in sen della Chiesa, e in braccio a Gesù Cristo tanti agnelli, che senza il pascolo e i recinti dell'Oratorio sarebbero forse andati a cibarsi di erbe avvelenate, incorsi nelle zanne dei lupi, e divenuti lupi essi medesimi?»
Un fatterello avvenne nel mentre che egli dispensava la Comunione. Un buon ragazzo non ricordò più l'avviso dato in proposito da D. Bosco; perciò quando Monsignore prima di presentargli la sacra Particola gli porse secondo l'uso l'anello a baciare, egli, invece di baciarlo, lo addentò con pericolo di cavargli il diamante. Questo atto obbligò l'Arcivescovo a fare uno sforzo per trattenersi dal ridere.
Dopo la Messa, invocato il divino Spirito, Monsignore amministro il Sacramento della Confermazione a circa 300 giovani. Prima poi di licenziare i Cresimati volse loro acconcie parole, suggerite dalla circostanza.
In questa occasione accadde un lepido episodio che giova qui ricordare. Secondo il rito erasi pure innalzata accanto all'altare una specie di sedia episcopale, che altro non era fuorché un tavolato coperto di un tappeto, sopra cui il Pontefice doveva montare. Salitovi per parlare colla mitra in capo , l' Arcivescovo non rifietté che le volte della nostra Cappella non erano così alte come quelle della sua Cattedrale , e perciò non avendo chinata la testa , diede nel soffitto colla punta della mitra. In quel momento lasciò sfuggire un modesto sorriso e mormorò sotto voce dicendo « Bisogna usare rispetto a questi giovani, e predicar loro a capo scoperto » e così fece. Monsignor Franzoni non dimenticò mai questo fatterello ; si compiaceva di raccontarlo sovente , ed eccitando l D. Bosco a fabbricare pei suoi giovanetti una Chiesa più vasta , soggiungeva graziosamente : « Procuri per altro di farla abbastanza alta, affinché io non abbia più da levarmi la mitra per predicare. » Ah ! se quell' Arcivescovo fosse ancora tra noi, quanto volontieri verrebbe oggidì a funzionare nella Chiesa di Maria Ausiliatrice ! Egli vi si recherebbe tanto più di buon grado, in quanto che dato gli sarebbe di scorgere in questo lembo di sua arcidiocesi le alte maraviglie, da Dio operate nel volgere di questi pochi lustri; e siamo d'avviso che egli verrebbe pur di buon animo, perché non correrebbe più pericolo di toccare colla mitra le volte del maestoso Tempio, che ora tien luogo di quella meschina Cappella.
Ai Cresimati Monsignore ricordò brevemente il significato delle sacre cerimonie che aveva compite sopra di loro ; e li esortò a mostrarsi forti contro le tentazioni da buoni soldati di Gesù Cristo. « Combattete specialmente il rispetto umano, disse loro, e non vi avvenga mai di tralasciare il bene o di commettere il male pel vano timore delle dicerie, degli scherni, degli insulti dei cattivi.
Che direste voi di un soldato che si vergogna della sua divisa, ed arrossisce del suo Re? » - Dati poscia alcuni avvisi opportuni, conchiuse : « Nell'amministrare la Cresima io ho poc' anzi augurata la pace a ciascuno di voi in particolare, dicendo : Pax tecum. Or questa pace dolcissima auguro a tutti insieme, e dico : Pax vobis. Sì, abbiate sempre la pace, miei cari figliuoli ; abbiate la pace con Dio, la pace con voi medesimi, la pace col vostro prossimo. Pace con tutti, eccetto col demonio, col peccato e colle massime del mondo. A questi tre nemici movete anzi una guerra implacabile, consolandovi però sempre col pensiero che da questa guerra perseverante sino alla morte verrà la vittoria; e da questa vittoria una pace eterna. »
Uscendo di Cappella noi ricevemmo alla porta pane e companatico, provvedutoci dalla carità dello stesso Arcivescovo, che volle in questo modo pagarci la festa, e mostrarsi Pastore non solamente dell'anima, ma eziandio del corpo.
Se fu divota la funzione in Chiesa, non fu meno dilettevole la festa preparata al di fuori, a cui dopo un qualche ristoro degnossi prender parte anche Mons. Luigi Franzoni. Era quello ancora il suo giorno onomastico; e quindi, colta la propizia occasione, noi gli leggemmo da prima varii componimenti in poesia ed in prosa. Fra gli altri piacque assai un grazioso dialoghetto tenuto da alcuni fanciulli, e condotto con una disinvoltura mirabile. Dopo queste letture cominciò il teatrino, e venne fuori il celebre Caporale di Napoleone. Costui altro non era che un graduato in caricatura, il quale ad esprimere la sua contentezza in quella solennità diceva mille facezie. Esso fu di sì amena ricreazione per l' esimio Prelato, che ebbe a dire di non aver mai riso cotanto in vita sua.
Finito il trattenimento, l'Arcivescovo si alzò e fece una bella parlata. Egli cominciò dall'esternare la grande consolazione, che provava nel vedere in quel giorno i frutti ubertosi dell'Oratorio, equiparandola a quella dei Missionarii, quando tra la povertà delle loro Cappelle si vedono circondati dalle famiglie dei novelli Cristiani, ricchi dell'oro della carità e del fervore; tributò ampie lodi a quanti lavoravano intorno a noi, ecclesiastici e laici; e facendo risaltare la nobiltà di questa parte di Ministero, con parole che soleva trarre fuori dal suo petto pieno di zelo per la Chiesa, per le anime, e sopratutto per la gioventù, tutti eccitò a perseverare in quest' opera caritatevole, assicurandoli di sua speciale benevolenza. Rivolto poscia a noi ci esortò a portarci all'Oratorio con assiduità e buon volere; ci segnalò i grandi vantaggi che ne avremmo ricavati; vantaggi spirituali e materiali; vantaggi per la vita presente e per la vita futura « Ahi ! quanti miserabili, egli esclamò con patetico accento, quanti miserabili stanno oggidì gemendo in fondo ad una oscura prigione, e sono peso a sé stessi, sono l'infamia di loro famiglie, il disonore della Religione e della Patria, e perché ? Perché nell'aprile dei loro anni non ebbero un uomo amico e benefico, non ebbero un angelo visibile, che almeno nei giorni festivi li raccogliesse dalle vie e dalle piazze, li tenesse lontani dai pericoli d'immoralità e dai mali compagni, li ammaestrasse sui loro doveri di cristiani e di cittadini, mostrando quanto sia onorabile il lavoro, e quanto vituperevole l'ozio. Di voi, o miei cari, non sarà così, io lo spero. Qui venite pertanto finche le circostanze della vita ve lo permetteranno; fate tesoro degli insegnamenti, che vi s'impartiscono ; fatene regola della vostra condotta per tutta la vita, e io vi assicuro che ancora nella vostra età più tarda voi benedirete il giorno, in cui imparaste la via, che vi guidò in questo asilo della scienza e della virtù. Io non posso por fine al mio dire senza ringraziarvi della cordiale accoglienza che mi avete fatto. Sì, ringrazio delle affettuose espressioni, che a nome di tutti mi hanno rivolte i poeti ed i prosatori ; ringrazio i comici del giocondo divertimento, che mi hanno procurato; ringrazio i musici che hanno cantato sì bene; ringrazio quelli che lavorarono eziandio ad innalzare padiglioni ed archi ; ringrazio soprattutto coloro che con tanto zelo cooperarono fin qui alla vostra coltura ; ringrazio tutti e di tutto. E poiché nei vostri componimenti voi mi chiamaste Pastore e Padre, io vi assicuro che tale vi sarò, ed avrovvi sempre per miei agnelli, e per miei figli carissimi. »
Era tosto mezzogiorno , quando l' Arcivescovo si mosse per ritornare al suo Episcopio. Allora successe un commovente spettacolo. E qui bisogna 1 avvertire che Mons. Franzoni era di sì belle maniere e così affabile, che bastava vederlo, udirlo, parlargli un istante per prendere tosto ad amarlo, e ad usargli la più figliale confidenza. Adunque i giovani quando lo videro a partire, gli si affollarono attorno da impedirgli il passo. Chi voleva baciargli la mano, chi toccargli le vesti, chi gri- I dava grazie, e chi evviva; pareva il Salvatore in mezzo alle turbe commosse. Se ci fosse stato concesso, noi, gli avremmo, come gli antichi ai loro Re, fatto un trono delle nostre braccia, e portatolo a casa in trionfo. Questo slancio fece dire al Franzoni: « Mi convinco oggi più che mai, che la gioventù ha buon cuore, e se ne può fare quello che si vuole, quando si prenda per la via della carità». Riuscito a salire in vettura il degnissimo Arcivescovo tra una salva di fragorosi evviva, tra gli ossequii e i ringraziamenti di D. Bosco , partiva col benedirci dal più profondo dell'animo.
Partito che ei fu, ci recammo ancor noi alle nostre case pel pranzo; ma verso le due già vi eravamo ritornati. Sino alle quattro ebbero luogo nel cortile varii trastulli, tra gli altri il così detto giuoco della pignatta. Per avere un' idea di questo divertimento s'immagini appesa ad una corda una pignatta con entro frutta, dolci, o altri commestibili, e talora piena d'acqua, patate e rape, ed un giovane cogli occhi bendati, con un bastone in mano, che circondato dai compagni gira attorno cercando di colpirla. Ad ogni istante quale gli grida avanti, quale indietro, chi a destra, chi a sinistra, chi sì, chi no; così che il poverino non sapendo a chi prestar fede, or si ferma, or si avanza, finchè, di tante voci facendosi un criterio di maggiore o minore probabilità di trovarsi a tiro, si pianta lì, misura attento, e poi giù un colpo da orbo. Il più delle volte ei batte a cento metri di distanza dalla pignatta; talora più o meno vicino; di rado colpisce nel segno. Se sbaglia, si ride a sue spese; se indovina, tutti si gettano carponi e si affacendano a chi più coglie della caduta manna, restando pur talvolta bagnati e burlati. A chi colpisce rimane l'onor della vittoria, ed un salamotto od un gingillo assicurato.
Posto fine ai divertimenti, si cantarono i Vespri, si fece il panegirico, con cui si dimostro s. Luigi modello della gioventù, sopratutto nella virtù della modestia e nel darsi per tempo a Dio. Seguì poscia la processione. Di questa tra le altre cose ci ricorda che un grazioso fanciullo, vestito da chierichetto, camminava innanzi alla statua con un bel giglio in mano. Nell' aspetto e nel devoto contegno egli risvegliava l'idea di san Luigi, e quindi gli occhi di tutti erano rivolti a lui, rinnovandosi presso a poco il dolce spettacolo, che già avveniva ai tempi del Santo , quando la gente correva in Chiesa per contemplarlo a pregare, parendo ad ognuno di vedere un angioletto sotto mortali spoglie. Rientrati in Chiesa, si cantò il Tantum ergo in musica, e si diede la benedizione col SS. Sacramento.
La festa si chiuse alla sera collo spettacolo di alcuni fuochi artificiali, e colla salita di parecchi palloni areostatici. Erano circa le ore nove, quando D. Bosco chiamatici a sè, ci fece cantare le due prime strofe dell'inno: Luigi onor dei vergini; poscia ci esortò a recarci a casa con ordine e quiete, e noi lo ubbidimmo gridando ancora una volta : Viva s. Luigi, viva D. Bosco !
Qualche tempo dopo, questi ci annunziò che alcuni grandi personaggi si erano fatti ascrivere alla Compagnia di S. Luigi, come socii di onore,
e rimanemmo edificati ed ammirati quando udimmo il nome del Grande Pio IX, del Cardidinale Giacomo Antonelli, di Mons. Luigi Franzoni, dell'Abate Antonio Rosmini, del Canonico Giuseppe Degaudenzi ora Vescovo di Vigevano, di Mons. M. Antonucci, allora Nunzio Apostolico alla Corte di Torino, e morto Cardinale Arcivescovo di Ancona, ed altri che diremo in appresso.
ossia La lettura dei libri pericolosi.
Pubblichiamo volentieri questo articolo, inviatoci da un dotto Canonico della Cattedrale di Orvieto, Cooperatore Salesiano; e vorremmo che servisse di potente stimolo ai nostri Cooperatori e Cooperatrici a bandire dalle loro case ogni foglio e libro pericoloso, e procurarsene dei buoni ed edificanti.
Disegno degli Empii nello scrivere, stampare e diffondere. i loro scritti sparsi di errori, di menzogne, di impudenze, si é quello di denigrare, di abbattere, se fosse possibile, la Religione del Cristo. Inutili sforzi ! chè essa nella sua autorità, nei suoi domini, nella sua morale e dottrina si starà immobile, quale scoglio in mezzo all' infuriare di tempestoso mare. La si volle dai Tiranni affogata nel sangue , e dal sangue germogliò più ubertosa la messe : la si volle dagli Eretici combattuta nella dottrina, e più fulgida ne emerse la verità : la si vuole ora avvilire, perseguitare dagli Empii, colla molta libertà di tutto dissacrare, scristianizzare , bestemmiare colle parole , cogli scritti, colle opere, ed essa apparisce più bella, più forte, divina. Sicché dai perversi libri nulla ha da paventare la Religione di G. C.: il timore, e ben grave, è per noi che deboli ed infermi cor- i riamo pericolo di soccombere agli assalti che ci si preparano dagli Empii, mercé la stampa e diffusione di tanti libri irreligiosi, inverecondi, corrompitori. Deh , dunque , più che alla vista del serpente che mordendo avvelena e dà morte, rifuggiamo dalla lettura de' tristi libri : a ciò fare ci persuade e ci obbliga
I. - La Ragione.
L'istinto naturale detta agli animali di schermirsi dai lacci loro tesi, star guardinghi sugli inganni temuti, assicurarsi il ricovero nelle tane, darsi alla fuga, al sopravvenire del cacciatore. Più che l'istinto negli animali é nell'uomo lo spirito ragionevole : or che suggerisce esso mai a ciascuno degli uomini ? Che vigili onde allontanare da se ogni pericolo, che incontrandolo, potrebbe arrecargli dei danni ; molto più quando si tratti di danni di anima, di mente , di cuore. Ora chi può dubitare, che s'incorrano questi e maggiori danni per la lettura di libri tristi ? Ad eccezione degli uomini di Chiesa, ai quali incombe l'obbligo d 'istruirsi sulle discipline teologiche e morali ; tra i laici ben pochi sono istrutti della dottrina della Religione da potere facilmente discernere il vero dal falso, scoprire le astuzie e le frodi degli empii scrittori, usi ad inorpellare l'errore sotto le mentite forme della verità : il comune degli uomini non ha maggior cognizione delle cose di religione , oltre quella che apprese nell'infanzia dal Catechismo. E con sì scarsa dose di cognizioni religiose si potranno leggere senza pericolo di perversione, libri che presentano l'errore su coppe d'oro, ossia scaltramente insinuato nei romanzi, nelle novelle , nelle poesie, nei drammi ; colorito, abbellito, profumato colla forbitezza dello stile, coll'eleganza della lingua, colla vivacità del concetto? Potranno leggere impunemente cotali libri quei giovincelli di sì poco studio, di cervello balzano, di libera vita? Lo potranno quelle giovanette distemperate nel lusso, nei passatempi, negli amori ? quelle donne sì rare alle chiese ed ai Sacramenti, e sì frequenti ai teatri , alle conversazioni ? quegli uomini sì saggi per le cose della terra e sì trascurati per quelle del Cielo? - Mai no : non avverrà che cotali lettori rimangano immuni dagli effetti dei cattivi libri : gli errori quivi sparsi non distruggono in un punto in essi la fede, ma ne annebbiano la luce ; non annientano la sua certezza, ma la cospargono di dubbii; in ossequio di lei è sommesso l' intelletto, ma è riluttante ; insomma credono ancora, ma é vacillante la loro fede. Quindi sendoché la morale siegue la santità della fede, questa esitante, é uopo che quella crolli ; ed ecco per la cattiva lettura in uno pervertita la mente, guasto il cuore, corrotto il costume. Ma sia pure che non sempre né in tutti tuttociò accada ; pure il lettore di tali libri sarà sempre reo di violato dettame di ragione, il quale come comanda a ciascuno di non dar causa a tristi effetti che ne derivano, così gli vieta di esporsi al pericolo di incorrerli : è reo di suicidio sì chi col coltello si dà la morte, come chi collo stesso coltello s'attenti alla vita. A tali riflessi con qual cuore passare le molte ore del giorno e della notte scorrendo tali libri ? Ridere, sghignazzare , bestemmiare , e intanto macchiare di colpa l' anima , ferirla gravemente, cagionarle la morte eterna ! Quale dissennatezza, qual crudeltà !
II. - Gli Esempi.
Questi ancora confermano la triste verità, che i libri perversi apportano danni esiziali alla mente e al cuore dei leggitori. Siane prova la terribile caduta, che dall'alto della loro dottrina e santità precipitò nell'obbrobrio di vergognosi errori insigni Personaggi. Ci si presenta un Eutiche, che difensore invitto della Fede, per la lettura degli scritti di un Manicheo, si cangia in un capo d'innumerabili eretici : un Bardassane di Siria nella Mesopotamia, che convertito alla fede , e poi ripieno di pietà e di zelo, sostenitore invitto colla voce e cogli scritti della Religione di Cristo, per la lettura dei libri dell'eresiarca Valentino, ne adottò gli errori, e ne aggiunse dei nuovi. E Giuliano d' Alicarnasso per qual motivo mancò alla fede? e Avito Prete e Bolincevo, per qual motivo divennero eretici se non perla lettura l'uno delle opere di Origene e l'altro per quelle di Melantone? E poi i libri dei Priscillianisti non corruppero la Spagna ed il Portogallo ? quelli di Wicleffo non infettarono la Boemia ? Qual ruina non cagionarono nel secolo XVI le dottrine di Lutero disseminate nella Germania : nel secolo XVIII quelle degli Enciclopedisti nella Francia : nel secolo XIX quelle degli increduli, dei massoni nell'Italia, dirò meglio in tutta l'Europa ! Or se crollano le salde colonne, che sarà delle fragili canne ? Però d'onde mai deriva quella rabbia infernale che divora gli eretici e i libertini di stampare , di diffondere libri sparsi di errori, di menzogne, di calunnie , d' empietà ; se non dalla persuasione, che o più presto o più tardi, quali sono i libri, tali pure addiverranno i leggitori, cristiani o miscredenti, onesti o inverecondi, religiosi od empii ? Del resto pei libri pericolosi si perverte non solo la mente e si perde la fede, ma si corrompe pure il cuore, viziando il costume. Non mancano su di ciò esempi antichi, sopravanzano in conferma i recenti, sui quali fia meglio distendere un denso velo, che ricopra ai nostri occhi lo spettacolo luttuoso di tante sacrileghe empietà e di tanti crudeli delitti. La zizzania non produsse mai il frumento.
III. - La Storia.
La Storia, maestra dell' umana vita, ci addita l'intima, universale persuasione degli uomini, che dalla lettura dei cattivi libri sono a temersi le più funeste conseguenze. Infatti : gli Ateniesi esiliarono gli autori e ne bruciarono gli scritti, perché giudicati ingiuriosi alle loro deità : i Greci dispersero le opere dell'immondo Epicuro : i Romani fecero cadere in oblio i libri di Numa, come poco favorevoli ai Dei di Roma: e lo stesso pericolo corsero le opere di Cicerone De natura deorum. Cesare Augusto fece consegnare alle fiamme oltre duemila volumi, da lui riputati perniciosi alla Repubblica : proibì i libri immorali di Ovidio e rilegollo in esilio. Platone insistè perché si tenessero sempre lontani dalle città i libri inverecondi : per tutto il dominio Spartano fu emanato pubblico divieto di leggere gli scritti di Archiloco , perchè meno castigati ed impudichi. Tant'era a cuore degli stessi pagani custodire in tutta la religione il buon costume ! Vergogna ed onta ai tempi nostri , nei quali é dato libero accesso, nelle città , nei borghi, nelle famiglie ad ogni fatta di libercoli , di giornali, di fotografie ; e ciò per la bizzarra ragione che per tal diffusione si somministra l' occasione di confutare gli errori, combattere le calunnie, smentire le menzogne, difendere e confermare la verità. Ragione ben degna di chi non ragiona ! E da quando infatti si é udito, che, potendosi impedire l' avvelenamento delle fonti, siasi trascurato, perché, avvenuto, si ha pronto il rimedio? che potendosi prevenire un incendio, non siasi presa cura di farlo, perchè si ha pronta l' acqua per estinguerlo ? che potendosi seminare il frumento di ottima qualità, s'affidi alla terra misto alla zizzania, perché cresciuta con quello, si può di poi svellere ? E perché ai mali derivanti dalla lettura di libri irreligiosi od osceni potrà opporsi alcun rimedio, sarà lecito avvelenare per essi la mente, il cuore, il genio ; difformare la morale , infettare il costume, contaminare i più belli istinti dell'uomo, spingere la gioventù alla degradazione, al suicidio, al delitto ? Propinare il veleno, perché é pronto l' antidoto , é questo ragionare da uomo o da pazzo ? é questo il sì decantato progresso dei lumi, dello sviluppo, della civilizzazione, o non piuttosto il barbaro regresso all'errore, all'ignoranza, alla degradazione?
IV. - La Legislazione.
Quanto severe si fossero le leggi promulgate dai tiranni pagani contro chiunque avesse coi detti e fatti spregiata la religione dei falsi loro Numi , ne danno prova più che convincente li spietati strazi, di che in mille guise furono tormentati fino alla morte i milioni di Martiri. Strazii ai quali a diritta ragione dovrebbero ora sottostare tanti indegni autori, che co' loro scritti attentano distruggere il culto del vero Dio per restaurare quello di Satana. Nei tempi posteriori il gran Costantino non pago d'aver fatti moltiplicare gli esemplari dei sacri volumi , dilacerati e dispersi nel furore delle passate persecuzioni, decretò che, ricercati con ogni diligenza presso chiunque, fossero dati alle fiamme i libri di Porfirio e tutti gli altri contrarii alla Religione Cristiana. Teodosio pur egli rinnovellò quella legge contro i libri irreligiosi ed immorali, adducendo per ragione che «Essi provocano l'ira di Dio e sono di nocumento alle anime. » A queste prescrizioni sono parimente concordi gli editti emanati da Marciano , da Giustiniano e da altri imperatori, i quali persuasi che la più salda base, sulla quale possano poggiare con sicurezza la società e il trono, é la Religione ; segnalarono il loro zelo a proscrivere i perversi libri, che tendono sempre con diaboliche industrie ad affievolirne la forza, a contrastarne la divinità. Che diremo poi della Chiesa, che animata da vivo zelo per allontanare dai cattivi pascoli le sue pecorelle, mai non si ristette dal gridare alto contro gli scritti di tal sorta ? Depositaria ed interprete della verità, della fede e della morale, per l' autorità di che rivestilla il divino suo Fondatore, istituì appositi tribunali, perché, per norma ai suoi figli, giudicassero sulla reità o bontà degli scritti , comminando anche l'anatema contro chiunque,. che, non munito della debita facoltà apostolica, osasse leggere quelli censurati o come sospetti, o contenenti eresia ; o composti da eretici. In ultimo anche la f. m. di Pio IX, non che il sommo Pontefice Leone XIII additarono degni di esecrazione alcuni giornali più in voga. Ora che altro ci addimostra questo mirabile accordo dell'Impero col Sacerdozio, se non che a giudizio di tutti i saggi, i libri cattivi son da riguardarsi gelale scaturigine di empietà, di libertinaggio, di sovvertimento ? e che quindi gli uomini onesti, molto più i veri cristiani, devono riguardarli con orrore ed astenersi affatto dall'acquistarli, leggerli, ritenerli ? Ma ahi, che dissi? riguardarli con orrore ? se anzi il saperli tristi e proibiti fa crescere , specialmente nei dissennati giovani, la bramosia di procurarli, di leggerli! Infelici ! col riso in sulle labbra , voi addentate l'amo che vi ferisce non il corpo, ma l'anima, e le cagiona la più spietata morte , la morte della grazia !
V. - L'Autorità.
La condotta dei primi Campioni del Cristianesimo ci somministra la norma del come diportarci con gli scrittori e scritti perversi. S. Giovanni prescrive di non ricevere nella propria casa, od anche solo salutarlo chi avesse osato di proclamare e diffondere dottrine contrarie a quelle già insegnate dagli Apostoli, ed ei ben si guardò dal trattare coll'eresiarca Ebione, e dall'entrare nel bagno, di cui aveva fatto uso l'eretico Cerinto. Ciò stesso praticò s. Policarpo con Marcione, pur esso eresiarca. Eusebio di Vercelli avrebbe meglio amato di morire di fame che ricevere del pane dalle mani degli Ariani. Ora se é cosa sì pericolosa il trattare cogli empii anche in cose indifferenti, e l'ascoltarne il linguaggio, quanto più è a giudicarsi pericoloso la lettura dei tristi libri? Se infatti la parola degli empii, che appena proferita si sperde per l'aria, é un tossico che avvelena, un cancro che contamina la mente, il cuore, l'anima di chi l'ascolta ; quanto più esiziale è a giudicarsi il linguaggio parlato in un libro perverso, mentre questo e può ritenersi a lungo , e si può scorrere a bell' agio ; che può passare da una famiglia all'altra ; che può servire di occupazione a tanti giovanetti sfaccendati, di pascolo a tante ,giovanette educate e cresciute alla moderna? E per ciò che s. Paolo, a prevenire ogni pericolo di ricaduta ai novelli convertiti dal paganesimo, impose in Efeso di dare pubblicamente alle fiamme tutti i libri di superstizione, sebbene il loro valore a cinquantamila danari d'argento ammontasse. Amatori di perverse letture, imitate gli Efesini , date alle fiamme i vostri libri: risparmiandole ad essi, le addensate contro di voi!
Conclusione.
Uno sguardo alla Società.... quale orribile vista ! Che sono le scienze emancipatesi dalla guida della verità, la divina rivelazione ? Esse non presentano se non un miscuglio di assurdità, di empietà, di ridicolaggini nei sì decantati sistemi di razionalismo, di epicureismo, trasformismo, darwinismo. Di questa Società quale ne é la Religione? Quella di Cristo, no certo, che anzi é miscreduta, derisa, perseguitata. A questa se ne vuole sostituita una nuova ammodernata, che non leghi no l'uomo a Dio, ma lo faccia schiavo di tutte le passioni e dei depravati desiderii del cuore: religione senza decalogo, senza sacramenti, senza sacrificii , senza Dio. Quale il culto ? Quello che può prestare a Dio l'uomo, che nato dalla scimmia, non lo riconosce per suo Creatore, e lo miscrede : ad un Dio che lo lascia libero a fare tutto ciò che gli talenta : ad un Dio indifferente al male o al bene : a un Dio che dopo morte non punisce i delitti, perché colla morte finisce ogni vita ; che se pur punisce, lo fa a tempo, lo fa col semplice passaggio dello spirito in un altro essere inferiore a quello di prima : è il culto in una parola che presta a Dio il diavolo dalle bolge infernali, bestemmiando, ancora peggio di quello, il suo santo Nome, oltraggiando la tremenda sua Maestà. Quale la moralità ? Lo dicono abbastanza le case di prostituzione e quelle dei proietti, gli ospedali ampliati ed accresciuti di numero per gli sifilitici, i nuovi luoghi di punizione pur essi aggiunti ai vecchi, proporzionati al numero crescente dei delitti. Quale la giustizia, se non quella della forza superiore alla ragione ? quella del fatto compiuto, del fine che coonesta tutti i mezzi? Quale la libertà, se non quella di fare impunemente il male ? Quale l'autorità, se non quella della plebe che impone a capriccio e si ribella ? In fine quale é la legislazione ? Un' accozzaglia di prescrizioni suggerite non dalla ragione dell' ordine a bene comune, sì bene dall'egoismo, dall'odio contro Cristo e alla stia Chiesa. Or d' onde cotanti mali che allagano la terra e spingono la Società al ritorno del paganesimo ? Dalla lettura dei libri perversi, dalla diffusione di tanti errori che contengono, dalle massime sparse da tanti nemici dell'ordine, senza pudore, senza coscienza, senza Dio, in pubblico ed in privato, nelle città e nei sobborghi, nei contadi e nelle ville. Deh, che il grande Iddio disperda le mire degli empii ! Tu intanto, o Gioventù cattolica, risveglia i tuoi spiriti : quanto sai e puoi colla verità confondi e stritola l'errore serpeggiante. Novello David, non indietreggiare all'aspetto dell'immane Golia : sono molti gli avversarii, ma fragili sono le armi dell'errore : una sola pietra vibrata in fronte dal braccio del garzoncello stramazzò il superbo gigante. É la stampa che coll'errore sovverte e manda a soqquadro la Società ; orbene sia la stampa nelle tue mani, che la sorregga e ritorni al pristino splendore. E voi, o ricchi, vi ritirerete nella lotta fatale tra la verità e l'errore , tra la Chiesa di Cristo ed il redivivo paganesimo? Eh ! no: vostra missione non é solo somministrare al famelico un tozzo di pane, al nudo per coprirsi un cencio. Carità maggiore é illustrare l'intelletto, ravvivare lo spirito, regolare le nobili tendenze dell'uomo. Vi stia però a cuore col consiglio e coll'opera favorire la buona stampa, adoperarvi per diffonderla. Oltre a ciò coi mezzi di che il provvido Dio vi fu largo, adoperatevi a moltiplicare quei così detti sacri Oratorii, nei quali nelle domeniche e feste s'adunano ragazzi per esservi istruiti : sorreggete le istruzioni catechistiche parrocchiali. Ah guai a quei ricchi, che dei loro averi non ne pagano a Dio la decima !
LORENZO Canonico Vecchi.
La divozione delle tre ore di agonia del Nostro Signor Gesù Cristo pel Cardinale Francesco Gaude.
Francesco Gaude, dall'immortale Pio IX nel 1855 assunto di mezzo all'inclito Ordine Domenicano all'onore della sacra porpora, lasciò nel campo letterario poche traccie del suo culto e profondo ingegno. Questo scarso frutto di sì gran talento deve ascriversi alla sua dipartita da questa terra in un'età ancor florida, e sempre spesa in delicati e gravi studii per gli interessi della Chiesa; sicché gli mancarono quel tempo e quella libertà, che sono i mezzi necessarii, per chi sente fortemente, a svolgere vasti e meravigliosi disegni.
Prossimo a soccombere il Gaude affidò tuttavia varii manoscritti alle mani di un suo degno confratello, il Padre Girolamo Pio Saccheri, Segretario della Sacra Congregazione dell'Indice, tra i quali uno ve ne ha intitolato : La divozione delle tre ore d'agonia del Nostro Signor Gesù Cristo sulla Croce. Questo lavoro sovratutto attrasse l'attenzione del dotto Domenicano, siccome quello in cui l'autore invece di rimescolare idee comuni e trite, rivela la potenza di un genio, che dà al suo argomento un nuovo e splendido aspetto. Il Gaude in questa sua opera lungi dal chiudersi, al pari degli altri scrittori, nel circolo del Calvario, sa con molta valentia uscirne, estendersi ed abbracciare il mondo morale , considerando il culto delle Tre Ore d'Agonia nelle sue attinenze colle dottrine sociali, filosofiche e religiose dell'età nostra. In tal guisa la tesi, ristretta in apparenza ad un parziale interesse, prende il più ampio sviluppo ; e l'orrido Calvario si trasmuta in un centro di vivida luce, da cui partono tanti raggi per illuminare i miscredenti e per ridestare nei fedeli il sentimento della Religione.
Per questo motivo il Padre Saccheri, col mettere alla luce siffatto lavoro dell'eminentissimo suo Confratello , si rese altamente benemerito della Società e della Religione, e tutti gliene sapranno grado, dotti ed indotti.
Dal canto nostro raccomandiamo la lettura del libro annunziato, assicurando i nostri Cooperatori, specialmente ecclesiastici , che essi ne trarranno grande giovamento per sé e per le anime alle loro cure affidate.
Si vende in Torino nella Libreria Salesiana al prezzo di L. 2, 50 la copia.
Il sincero Cristiano e i suoi doveri verso Gesù Cristo, verso la Chiesa, verso lo Stato.
Nel 1877, ricorrendo il Giubileo del S. Pontefice PIO IX, usciva in un bel volume un operetta dei fratelli Sac. Scotton, intitolata : Il sincero cristiano e i suoi doveri verso G., C. verso la Chiesa, verso lo Stato. Quell' opera annunziata con parole d'encomio da tutto il Giornalismo religioso della penisola, e specialmente dalla Civiltà Cattolica, che ne faceva una splendida Rivista di ben nove pagine nel fascicolo dei 25 Giugno di quello stesso anno, aveva pochi giorni dopo dalla Santità di Pio IX l'onore di un magnifico Breve Pontificio, e veniva nel 1878 tradotta e pubblicata in lingua Spagnuola dall' illustre Antonio Novell y Célles, e sta ora per essere voltata in lingua Tedesca dall'egregio D.r Buhlmann di Eschembach, che fu già autorizzato a pubblicare la sua traduzione ; tanto sembrò opportuno ai bisogni del tempo il libro dei fratelli Scotton.
Ma la prima edizione Italiana, uscita per la solennità della circostanza con un certo splendore di tipi, non poteva per ciò tornare agevole a tutti; e da molte parti si manifestò il desiderio di vederne una ristampa economica. Né gli autori avrebbero indugiato a mettervi mano, se fossero stati liberi di farlo , ma piacque a Dio che dovessero differire fin qua, e il ritardo non fece che dar loro miglior agio a ritoccare la loro opera.
La nuova edizione adunque , modificata in più luoghi e cresciuta non poco di mole, uscirà entro il 1880 in tre eleganti volumi al prezzo di L. 3 da sborsarsi nell'atto della consegna.
Il programma trovò già l'approvazione pienissima dell'Episcopato della Penisola, e l'Em.mo Card. Vicario ebbe l'alta degnazione di raccomandar l'opera al Clero di Roma.
Il numero delle copie sarà proporzionato al numero delle domande che si faranno direttamente agli Autori non più tardi del mese di Aprile.
Dirigersi ai FRATELLI SCOTTON Bassano-Veneto, i quali accetteranno con animo rìconoscente tutte le osservazioni che si faranno loro in proposito.
Pei tre primi mesi dell'anno corrente i fascicoli delle Letture Cattoliche sono contenuti in un solo assai voluminoso, che é la vita del glorioso Patriarca S. Giuseppe sotto il titolo : Il Fabbro di Nazaret; operetta uscita dall'aurea penna del celebre Martinengo, prete della Missione .
Noi preghiamo gli Associati a fargli buon viso, essendo stato questo libro altamente commendato da parecchi giornali, e presentemente si sta traducendolo in varie lingue, per diffonderlo in tutto il mondo.
La sua lettura è assai utile ed acconcia ai giorni nostri, soprattutto nel mese di Marzo sacro al gran Santo, che fu ed è il modello dei giovani, degli sposi, dei padri, degli ecclesiastici, dei religiosi e degli operai.
Abbiamo interessanti particolari sulla benedizione data da Mons. Arcivescovo di Algeri a sei antichi Zuavi Pontificii , che dovevano far parte della seconda carovana dei suoi missionarii dell'Africa centrale.
Dopo il canto del Veni Creator, il venerando Arcivescovo rivolse ai suoi nobili eroi un breve ma ardente discorso. Indi il capo della piccola schiera si inginocchiò innanzi al prelato e prese con la destra la spada nuda che gli presentò l'Arcivescovo e la baciò rispettosamente , nel mentre che gli venivano dirette queste parole : « Servitevi di questa spada in difesa del regno di Dio e non la impugnate mai per motivi ingiusti. » Il Zuavo allora pose la spada nel fodero e ricevé il bacio di pace dall'Arcivescovo; questi sfoderò di nuovo la spada e ne batté tre volte le spalle del soldato, dicendogli : « Siate pacifico , coraggioso, fedele e pio soldato. » La stessa cerimonia fu ripetuta per gli altri cinque. Essi fecero giuramento nelle mani dell'illustre Arcivescovo di consacrarsi per un anno alle missioni dell'Africa centrale, e voto di ubbidienza ai Superiori di quella missione. Poscia il Superiore diede a ciascuno di loro ima croce che debbono portare durante il tempo del servizio. L'Arcivescovo passò quindi alla benedizione delle bandiere, la prima delle quali, di seta bianca, è il fac-simile della bandiera di Patay , ed ha un cuore acceso con questa iscrizione : « Cuore di Gesù convertite l'Africa. » Le altre due lavorate e date in dono dalle Carmelitane di Algeri, sono di raso bianco, e recano da una parte l'imagine del cuore di Gesù, dall' altra il monogramma di Cristo e quello di Maria, circondato da un rosaio. Questa magnifica cerimonia religiosa, che ci riconduce, in pieno secolo decimonono, ai bei tempi del medio evo e della cavalleria cristiana , ebbe termine colla benedizione coll'augustissimo Sacramento, impartita da Monsignor Lavigerie assistito dai Superiori delle due Missioni , il Padre Levesque e il Padre Moinet. »
La materia che ci abbondò pel Bollettino, non ci permise di occuparci delle grandiose feste che si sono celebrate in Torino nel mese di gennaio in onore dei santi martiri Solutore, Avventore ed Ottavio. Ci gode di poter ora almeno pubblicare la seguente poesia composta in quell' occasione da una nostra pia cooperatrice di Torino, che nella sua umiltà desidera che ne taciamo il nome.
Intanto ci piace di notare che i tre Santi sono stati martirizzati in detta città presso la Dora, e le più ragionevoli congetture fanno vedere che ciò sia avvenuto in quel sito medesimo, dove sorge al presente il Santuario di Maria Ausiliatrice, nell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
Nel dolce gaudio che sorride intorno Sciolgo commossa un cantico di amore Che all'armonia si accordi d'esto giorno. Sull'urna degli Eroi depongo un fiore E saluto col canto disadorno Ottavio, Solutore ed Avventore Della fede cristiana valorosi Prodi campioni e martiri gloriosi.
Furon soldati del romano impero Nella Legion famosa che si noma Da Tebe, e corse per lo mondo intero Empiendo di stupor la terra doma Dal genio irresistibile, guerriero, Che fece grandeggiar l'antica Roma. Eran tutti cristiani e il gran conquisto Bramavan, di condur le genti a Cristo.
Nella valle d'Agauno, sovra il piano Chiamato poscia San Maurizio a onore E memoria del grande Capitano, L'esercito fedele con orrore Al comando si oppose disumano Di uccidere i fratelli nell'amore. Trucidata, imperterrita cadea Spenta, non vinta la Legion Tebea.
Sottratti a quell'eccidio sanguinoso Tre giovani gagliardi a gran carriera Divoravano il calle sinuoso,
L'erta dei monti e all'ombre della sera Varcavano l'abisso spaventoso Lottando col furor della bufera. Dopo lungo viaggiar mettevan piede Lieti in Torino a propagar la Fede.
Raggiunti dai soldati inferociti
Si proclamar cristiani ad alta voce, Da nessuna minaccia sbigottiti Strinsero al petto intrepido la croce. Avvinti in duri ceppi e poi feriti Sostennero crudel supplizio, atroce Cadde colpito Solutore ancora, Ma ai sensi ritornò dopo brev'ora.
Quando rinvenne il loco era deserto , A fatica si alzò d'in sul terreno,
Girò lo sguardo e mosse il passo incerto Al baglior interrotto del baleno Errò tutta la notte a cielo aperto Finché trovossi d'una rupe in seno Presso un ruscel che placido scorrea Poco lontan dalla città d'Ivrea.
Quivi posò gemendo il fianco lasso
E molto tempo vi restò celato.
Una masnada giunse con fracasso Nell'antro che un fanciullo ebbe mostrato. Fuor trascinaro il Santo e sovra un sasso Come innocente agnello fu scannato. Con mirabil prodigio sulla pietra Rosseggia il sangue e tutta la penétra.
Una donna gentil pallida in viso Alla scena crudel ritta assistea, La commozion velando col sorriso, Chi fosse quel garzon tosto chiedea, Mentre salire l'alma in Paradiso Del martire di Cristo ella vedea,
E la festa degli Angioli e dei Santi Pel novello trionfo giubilanti.
Era costei la nobile matrona Giuliana, onore della sua cittade ; Bella, cortese, generosa e buona, D'alto ingegno dotata e di pietade, Di mite cor che facile perdona. In lei sostegno la cadente etade Trovava e aiuto il misero e conforto Come nocchier sbattuto in seno al porto.
Dagli sgherri sentito che soldato L'ucciso era ribelle e fuggitivo Alla strage terribile scampato D'Agauno ed in Torino semivivo Cogli estinti compagni era lasciato Sovra il cruento margine di un rivo; Di riunirlo ai compagni in cor risolse
E ratto alla magione il piede volse.
Ai fidi servi e all'amorose ancelle Narrò l'evento e subito dispose
Per la partenza. Al lume delle stelle, Nel solenne tacer di tutte cose, Si udiva un carro cigolar per quelle Melanconiche tenebre pietose ; Fuor delle mura si fermò d'Ivrea Dove il corpo del Martire giacea.
Sovra le zolle insanguinate un raggio Patetico di luna illuminava , Le sacre membra con divoto omaggio Dolcemente sul carro le adagiava La nobil donna, e frettolosa in viaggio La mesta comitiva se ne andava Per solitarie strade e selve oscure, Per poggi alpestri e squallide pianure.
Innalzando fervente la preghiera
Di compir l'alta impresa, e gran portenti Tosto annunziaro che esaudita ell' era. Cessò il furioso sibilar dei venti, Nel duro sasso come in molle cera L'orma dei piedi nudi e riverenti Della pia donna impressa rimaneva. Quel sasso sovra il carro si poneva
Come fausto presagio ed argomento Del celeste favor. Ossequiosa
L'onda dei fiumi si ritrasse, e il lento Passar del carro salutò festosa. Brillò di nova luce il firmamento. Sorse l'alba ridente e rugiadosa, Pochi passi restavan di cammino; Già si vedean le torri di Torino.
Sulle romite sponde della Dora, Nascosi da cespugli ombrosi e folti, Ai primi raggi di splendente aurora, Apparvero i cadaveri insepolti D'Ottavio e d'Avventore intatti ancora. Allo splendor che emana da quei volti Giuliana li ravvisa e manda al cielo Infuocati sospir dal petto anelo.
Raccoltili da terra con amore
Li unì al compagno e tacita e sicura Mosse colà dove ispirava il core, Nel benedetto suolo in cui natura Più s'allegra di luce e di calore (1), Ai tre giovani eroi die' sepoltura. Intorno cinse di muraglia il loco, Di carità e di fé spandendo il foto.
Visse rinchiusa nel solingo ostello La vedova fedel beneficando, Vigil custode del glorioso avello ; Con sospiri e con gemiti affrettando Alla sposa di Cristo un dì più bello Vide spuntar quel dì bramato quando Pace alla Chiesa e libertà fu data E nel mondo regnò calma beata.
Lieta del gran trionfo un tempio eresse Sulla tomba diletta al Sommo Iddio, Ove il popol cristiano alzar potesse Inni e canti con suon divoto e pio. Con ammirabil opere protesse Il debole, il tapin. Forte desio Più e più struggeva di Giuliana il core D'inebbriarsi nell'eterno Amore.
Nel dì della sua morte alto compianto Si te' dai Torinesi sconsolati L'amata salma posero d'accanto A quella dei tre Martiri beati, Di giacinti coprendoli e di pianto Quai derelitti figli abbandonati Per la partenza triste e dolorosa Di una tenera madre affettuosa.
Stretti a quell'urne, a piè di quegli altari Si affollarono sempre i cittadini, Nei lieti casi e negl'incontri amari Si uniro ad essi i popoli vicini, Da estranii lidi e da lontani mari Veleggiaron fidenti i pellegrini,
Chi avvolto in saio, e chi in prezioso manto I voti a sciorre sul sepolcro santo.
Dinanzi all'urna che racchiude i forti Noi pur leviamo sospirosi accenti, Dolci speranze e teneri conforti Rallegrino il dolor dei dì languenti, Che dopo morte, a vita ancor risorti Saremo eterni spiriti contenti. Scenda dal Cielo una virtude amica Che ridesti nei cor la fede antica.
Salve di Cristo impavidi guerrieri Cinti la fronte d'immortali allori, L'armi onorate e i nobili cimieri Splendono in Cielo di vividi colori. Salve, Giuliana, i casti tuoi pensieri Ricordino l'amor dei nostri cuori. Salve, sublime Vergine divina, Del mondo onor, dei Martiri Reina.
(1) Nella parte meridionale della città
Un giardiniere che viveva stentatamente del lavoro delle mani, era solito dare tutto il suo superfluo ai poveri. Quando un giorno tutto ad un tratto gli nacquero dei dubbi e delle inquietudini.
Che farò io, diceva fra se, nella mia vecchiezza, se ora che son giovine non risparmio nulla , né pongo a parte? Questi pensieri non cessavano d'infastidirlo, e terminò col chiudere il suo cuore ai poveri. Ma non tardò a pentirsene, avvegnachè un giorno che lavorava , si fece colla falce una ferita al piede, che gli costò in breve tempo tutte le somme adunate con tanti stenti, le quali neppur gli bastarono per ottenere la guarigione, avendogli il medico dichiarato che altro rimedio omai più non v'era tranne l'amputazione. Queste parole penetrarono come uno stile nel cuore di quell'infelice, e gli suggerirono ottime riflessioni. « Che m', ha giovato il mio danaro ? andava dicendo seco medesimo la notte innanzi a quel terribile giorno : dove è più quell'argento con tante pene raccolto? Ah! Signore, perdonatemi la mancanza di confidenza, che voglio correggermi. » Verso il mattino si addormentò, e quando giunse il medico trovò il di lui piede in tale stato di miglioramento, che non poté contenersi dallo stupore. Fu sospesa l' amputazione. Trascorsi altri pochi dì, il giardiniere era perfettamente guarito. Ripigliò il suo lavoro', e fedele alla promessa. seppe d' allora in poi congiungere la parsimonia con la carità cristiana.
In una famiglia della città di Scopuli in Palestina l'Abate Teodosio aveva lasciato in sul morire un ordine, secondo il quale tutti i giovedì e venerdì santi doveasi distribuire ai poveri del circondario della farina di frumento, del pane, del vino e del miele. Essendo avvenuta una eccessiva carestia nel paese, i membri di quella famiglia dissero al loro superiore che difficilmente avrebbero potuto fare in quell'anno la solita distribuzione, imperocchè avevano appena da provvedere ai loro bisogni. Ma egli rispose : « Questa circostanza non muta punto le disposizioni del mio predecessore : diversamente facendo ci verremmo a privare della di lui intercessione e della benedizione di Dio. » - Questo è quello che non intendiamo , soggiunsero i diffidenti , imperciocché non siamo noi forse nostro prossimo a noi stessi? Se abbiamo appena per noi , come potremo far l' elemosina ? - Fate ciò che volete, ripigliò il capo indegnato, ma temete lo sdegno del cielo. » - Ciò nulla ostante, coloro, senza far caso dell'avvertimento, lasciarono che i poveri se ne tornassero con le mani vuote. Qualche tempo dopo l'economo avendo aperto il granaio s' accorse con ispavento che tutta la provvigione di frumento erasi guasta. « Ecco, esclamò allora il superiore, ecco a che v' ha giovato la vostra avarizia ! In causa dei miseri doni che voi avete negato ai poveri, Iddio nella sua giustizia ha permesso che tutta andasse a male la provvigione. Così egli punisce coloro che diffidano della sua Provvidenza, e non si danno pensiero dei poverelli. »
Arnaud de Chateauneuf Baronne Emilie ode Heraud, - Nizza-Mare.
Bacigalupi D. Gaetano, Can.co Teologo - Spezia. Beretta D. Pompeo, - Magenta. Boeri Pietro fu Francesco, - Bra.
Botto D. Alessandro, Prevosto Vie. Foraneo -
Cocconato.
Braschi D. Angelo, Vicario - Spezia.
Canobio D. Ignazio, Rettore di S. Niccolò - Pozzolo Formigaro.
Cais de Pierlas Contessa Seraphia,-Nizza-Mare. Cavallini-Orril Salvatore, - S. Gavino Monreale (Sardegna).
Cavalitto D. Francesco, Canonico - Asti. Cucchi Orsola Vedova Vaccarino, - Torino. Di-Meo D. Luigi Prete delle Missioni, - S. Iacopo sopra l'Arno (Firenze).
Duz Teresa , - Bagnarola (S. Vito al Tagliamento).
Floris D. Luigi, - Ales (Sardegna). Francescut Cecilia - Bagnarola (S. Vito al Tagliamento).
Gamberi Luigia, - Borgo Pila (Genova). Ghiringhelli D. Giuseppe Teol. Prof., - Torino. Liggi Maria - Ales (Sardegna).
Lucchin Maria, - Bagnarola (S. Vito al Tagliamento).
Mambretti D. Marco Parroco, - Novate Brianza.
Marzin Angela, Bagnarola - (S. Vito al Tagliamento).
Odorico Francesco , - Bagnarola (S. Vito al Tagliamento).
Rossetti Chierico Isidoro. - Como.
Sirtori D. Angelo, - Chiuso (Milano).
Sovran Angela, - Bagnarola (S. Vito al Tagliamento).
Spagna Comm. Gioachino, Maestro dei Sacri Palazzi - Roma.
Zappa D. Eugenio Can., - Spezia.
MESE DI GENNAIO 1880.
Si legga : Infanti Eugenia, Buttrio (Udine). » Sassolini conte Giuseppe S. Severino (Macerata.)
» Bianchi Chierico Alessandro, Barlassina. Vivente.
» Ruggieri Monsignor Camillo, Vescovo di Bertinoro. Vivente.
Ogni Cooperatore può acquistare Indulgenza plenaria una volta al giorno, da applicarsi alle anime del Purgatorio, recitando la terza parte del Rosario di Maria Vergine avanti al SS. Sacramento, e non potendo avanti al divin Sacramento, recitandola innanzi al Crocefisso.
Indulgenza plenaria ogni volta che si accosta alla santa Comunione.
Può altresì lucrare moltissime Indulgenze plenarie nel corso del giorno mediante la recita di sei Pater, Ave e Gloria, secondo la mente del Sommo Pontefice. E queste indulgenze applicabili alle anime purganti, le può acquistare toties quoties, ossia tutte le volte che recita i suddetti Pater, Ave e Gloria in qualunque luogo senza bisogno di Confessione e Comunione, purché sia in grazia di Dio.
Oltre a queste un'altra Plenaria ne può guadagnare ogni domenica, e nei giorni qui sotto notati, purché confessato negli otto giorni, e comunicato visiti una qualche chiesa, pregandovi secondo l'intenzione del Sommo Pontefice.
5. S. Giovanni della croce.
9. S. Francesca Romana. 11. S. Catterina da Bologna.
19. S. Giuseppe sposo della SS. Vergine.
21. Indulgenza plenaria tutti i giorni della Settimana Santa , dalla Domenica delle Palme 21 marzo sino al Sabbato Santo 27 del medesimo. 28. Pasqua di Risurrezione.
Con permesso dell'Aut. Eccl. - FERRARI GIUSEPPE gerente respone. Tip. di San Vincenzo de'Paoli. Sampierdarena 1880.