ANNO XII - N. 10. Esce una volta al mese. OTTOBRE 1888
DIREZIONE nell'Oratorio Salesiano - Via Cottolengo, N. 32, TORINO
Sommario - Prossima spedizione di Missionarii Salesiani per la Patagonia e Terra del Fuoco - Il Rosario e Leone XIII Grazia di Maria SS. Ausiliatrice - Viaggio dei Missionaria Salesiani a Quito (seguito) - Lettera dell'Arcivescovo di Quito - LETTERE: dalla Terra del Fuoco - dal Chilì - dalla Patagonia - dalla Repubblica Argentina - Funerali per la morte di D. Bosco.
Come sanno i nostri Lettori abbiamo avuto quest' anno tra noi il nostro amato Monsignor Giovanni Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia. Egli dal centro del deserto ascoltava l'ispirazione di venire presto in Europa, stante la acciaccosa vecchiaia del nostro carissimo Padre Don Bosco; e non s'ingannò, spirando infatti questi nelle sue braccia due mesi appena dopo l'arrivo di lui.
Per confortarsi e rivedere i cari fratelli Salesiani dolenti di tanta perdita, veniva pure dalle lontane Terre del Fuoco il nostro caro confratello Rev. Don Giuseppe Fagnano, Prefetto Apostolico di quelle regioni.
Ora essi spinti dal desiderio di raggiungere i compagni lasciati sul Campo Evangelico, pensano far ritorno alle rispettive Missioni. Ma come la messe è colà abbondantissima, e pochi ancora sono relativamente al bisogno gli Operai, essi partiranno con una numerosa scorta di personale.
Sono pertanto non meno di 50 tra Sacerdoti, Catechisti, Coadiutori e Suore di Maria Ausiliatrice, che nel prossimo Novembre salperanno pei mari Australi, a dividersi le fatiche Apostoliche del Brasile, Uruguay, Argentina, Patagonia, Terra del Fuoco e Chili .
La spedizione presente supera in. numero e spese tutte le precedenti e la ragione si è che si deve provvedere di personale i 30 e più stabilimenti aperti in quelle remote Missioni; per evangelizzare quelli che ancora sono selvaggi, completare l'istruzione ed educazione di molti Neofiti, e sostenere, vacillanti nella fede, le molte colonie di Europei, Francesi, Spagnuoli, Alemanni, e specialmente i poveri nostri connazionali Italiani, che tratti dal desiderio di immaginarie ricchezze, si gettano tra quelle lande deserte a perire nell'anima e nel corpo.
I nostri Cooperatori si persuaderanno facilmente che una sì colossale spedizione esige colossali spese e sacrifizi alla nostra Pia Società Salesiana.
Quindi il nostro Carissimo Superiore, Don Michele Rua, che sostiene le tante opere lasciate dal sempre compianto nostro Padre Don Bosco, con apposita Circolare ricorrerà alla generosa cooperazione di tutti i buoni Cooperatori, perchè vogliano cercare e sollecitare dagli amici e loro aderenti aiuti e mezzi a sostenere le ingenti spese richieste per questa prossima spedizione.
Egli confida nel Signore e nella carità dei nostri buoni Cooperatori, che faranno buon viso alla sua domanda, diretta a promuovere unicamente la gloria di Dio e la salvezza del prossimo.
Ecco la divozione prediletta di Maria.
A Lei ricorse san Domenico per metter argine ai mali, onde gli Albigesi , seducendo e tirando a sè un numero smisurato di anime, desolavano la Chiesa, riempiendo inoltre le contrade di tumulti e di vizi. Dopo molte orazioni la Vergine benedetta gli apparve, e lo ammaestrò che predicasse la meditazione dei misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Gesù e di Lei stessa, e vi facesse aggiungere le preghiere vocali, ripetute ed insistenti, per significare le molte instanze, che sogliono fare i pargoli alla loro madre, allorchè bramano di essere esauditi. Cosi fu instituito e predicato il s. Rosario. Quale ne fu il profitto? L'eresia fu vinta, ed in breve la desolazione degli Albigesi venne meno e sparì - Quando poi i Cristiani erano minacciati dalle orde dei Maomettani, che speravano invadere l'Europa, e mettere i paesi a ruba, il Pontefice di quei dì, S. Pio V., conseguì intiera vittoria , intimando ai popoli che divotamente meditassero i misteri del Rosario, pregassero Dio e Maria SS. con le preghiere annesse a questa meditazione.
E mentre le divote Confraternite a Roma e nel mondo cattolico invocavano l' aiuto del Signore e della Regina del Paradiso , con l'orazione mentale e vocale del S. Rosario, si ottenne dai guerrieri cristiani la famosa vittoria di Lepanto, la quale fiaccò per sempre la superbia dei Maomettani.
Ora il Santo Padre, Leone XIII, vigile sentinella d'Israele, in mezzo ai molti mali che da troppe parti tormentano la casta sposa di Gesù, invita i suoi figli con amorevole insistenza alla divozione del S. Rosario. Di fatto appena assunto al trono pontificale, a salutare risveglio di pietà, volle consecrato tutto il mese d'Ottobre alla Vergine del Rosario, esortando i fedeli a recitarlo ogni dì in Chiesa durante la Santa Messa od in comune tra le domestiche pareti, aprendo a tal fine i sacri tesori delle Indulgenze. Ora vuole che la medesima festa del Rosario, solita a farsi alla prima domenica di Ottobre, cominciando da quest'anno, oltre ad essere portata a rito maggiore, abbia un ufficio ed una Messa nuova per uso del Clero di tutta la cristianità. Per la qual cosa, come Pio VII fu il Pontefice di Maria Ausiliatrice , Pio IX della Vergine Immacolata, ci pare di poter dire che Leone XIII sarà salutato dalla cristianità riconoscente, non solo il dotto, il sapiente , il re della pace , ma con il bel titolo di Pontefice del Rosario. Ed egli, novello Gedeone ci vuoi guidare a ristorarci alla fontana d'Israele, cioè alla grazia , a Maria che ne è la celeste dispensiera. Gedeone era mandato da Dio a combattere contro Madian, nemico implacabile d'Israele, e popolo molto numeroso. Vinse Gedeone. Non meno numerosi sono quelli che oggi o con la indifferenza, o con lo scherno, o con il vizio fanno sfregio alla Chiesa, ne occupano tutta la valle, e minacciano d'immensi mali il popolo fedele. Prendiamo in mano il Rosario, ci dice il Santo Pontefice, e sia come la fiaccola che tenevano fra le mani i soldati di Gedeone. La nostra divozione, la nostra preghiera sia luce alla mente, fiamma e vigore : e ciò si ha da ricavare dalla meditazione dei misteri. Inoltre quei valorosi, dice il Libro dei Giudici, combattevano gridando: Domino et Gedeoni ! Per il Signore e per Gedeone. E noi, in mezzo alle dure prove in cui ci troviamo, combattiamo per la gran Vergine N. S. e per Leone XIII ; e la vittoria incoronerà le nostre bandiere; e ritornerà la pace alla Chiesa, la salute delle anime e la benedizione di Dio in mezzo ai popoli. Imperocchè non si deve mai dimenticare ciò che disse S. Alfonso sul S. Rosario : « Quanti beni ha recati al mondo questa divozione! quanti ha condotti a vita santa! quanti han fatta buona morte e son salvi in Paradiso ! »
Reverendissimo Signore,
Prego la S. V. Rev.ma di voler inserire nel numero dei miracoli ottenuti per intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, che si onora in codesta gran Basilica, il fatto che sono per esporle, affinchè sia conosciuto ognor più che anche oggidì i miracoli succedono spesso, a smentire le asserzioni degli atei e dei miscredenti.
Era il mezzogiorno del 17 Luglio dell'anno scorso (1887) ed io e mio figlio Ausilio , allora novenne, ritornavamo dalla sontuosa Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice , dove eravamo stati ad assistere la S. Messa, quando pensammo di salire su di un tramvia per arrivare presto alla nostra abitazione.
Dopo un buon tratto di strada dissi all'uno dei conduttori il nome della via, dove io intendeva discendere: colui mi fe' cenno d'aver inteso, ma in pari tempo compresi che lui e il suo compagno erano o ubbriachi o molto sgarbati, perchè tutti i passeggieri che volevan discendere dovevano ripetere più volte il loro desiderio.
La peggio toccò a noi. Inoltrati nella via Bava, io accennai di bel nuovo al conduttore di fermarsi: ripetei ancora il cenno e finalmente mi die' segno d'aver capito. Mio figlio persuaso che il tramvia si fermasse, fa per discendere, ed io con lui; ma poichè i cavalli seguivano la corsa, io colla mente a mio figlio, che era scomparso, vidi il pericolo e gridai: Maria SS. Ausiliatrice, salvateci! e mi lasciai trascinare per un buon tratto e caddi all'indietro. Gentili persone accorsero gridando ai conduttori, che finalmente fermarono, e mi aiutarono a rialzarmi.
Confusa, smarrita, cercai di mio figlio, e me lo vidi a due passi piangente e malconcio. Anche lui era caduto e aveva corso pericolo di essere pesto dalle ruote e si doleva del braccio sinistro. Lo acquietai alla meglio, e accompagnati da quei buoni accorsi, ciò per gentilezza e buon cuore i Torinesi meritano il primato, ritornammo dai nostri ospiti, di cui non sapevamo più trovare l'alloggio.
Un materassaio, pietoso vegliardo, che non dimenticherò mai più, mi disse alcuni giorni dopo incontrandomi
- Io credeva che Ella avesse rotte le gambe, perchè quando la rialzammo, le aveva sotto il tramvia.
- No, signore, risposi; null'altro che un po' di spavento e le falde delle vesti lacere e peste dalle ruote.
- E suo figlio?
- Una leggiera scalfittura al braccio sinistro, che guarì poche ore dopo.
- E un miracolo, signora, vada pure a sentire una Messa ad onor della Madonna, che l'ha passata bella.
- Ha ragione, risposi, ritornavamo dalla Chiesa del D. Bosco allora allora. E un miracolo sicuro, se io ed il mio Ausilio abbiam salva la vita; e non è pure un prodigio se nella caduta non mi lasciai andar di mano il ventaglio, l'ombrello, il libro di preghiere e una quantità di medaglie e di immagini di Maria SS. Ausiliatrice?
Quel buon vecchio mi salutò intenerito e mi lasciò ripetendo : « - E un miracolo .... è un miracolo ! ... » -
È passato un anno. Se mio malgrado ho indugiato tanto a spedirle queste notizie, cosa che aveva promesso di far più presto per riconoscenza alla grazia ricevuta, si è perchè ogni volta che voleva scrivere, mi sentiva un brivido da capo a piedi, pensando al pericolo corso, ed era incapace di proseguire.
Oggi finalmente vinco me stessa .... ed Ella abbia, di grazia, la bontà di inserire questo fatto cogli altri, affinché sia ognor più conosciuta la potenza della Regina del Cielo, alla quale non ricorrono invano i suoi divoti.
La ringrazio del favore, ed ossequiandola profondamente ho l'onore di dichiararmi Della S. V. Rev. ma
Tonengo-Mazzè, 7 agosto 1888.
Serva Umil.ma
Rosso-BONA FRANCESCA, MARIA
Maestra elementare.
(Continuazione)
Al mattino del 17, (gennaio), insellate le bestie, partimmo da quel benedetto Puzo alle 7 1/2 dopo un po' di refezione e con due polli arrostiti di provvista.
Il cammino, ancorché cattivo, non presentava i pericoli del Torneado: andavamo sempre a scendendo ed a buon passo. Alle 10 e 3/4 giungemmo a Gualezay, borgata posta sopra un bell'altipiano della prima catena delle Cordigliere; ci ristorammo con uova cotte nell'acqua e latte ed incamminatici tosto , alla una ci trovavamo proprio sulla cima di questi monti.
Oh! che stupendi panorami ci si presentavano alla vista! Là lontano in faccia a noi s' ergeva maestoso il Chimborazo, l'arciprete delle Ande in bianca cotta; sotto i nostri piedi s'aprivano vallate incantevoli , colline deliziose, boschi popolatissimi d' ogni specie d' alberi ; e qua e là sparsi nei siti più ameni, piccoli ma bei paesetti.
Dopo tanto montare, si dovea incominciare una lunga e ripidissima discesa non priva di pericoli,.durò questa due lunghe ore ed alle 3 1/4 ci alloggiammo in una discreta casa in San José de Chimbo. Eravamo stanchi, è vero; ma anche con un gran desiderio di sfogare il nostro cuore in qualche chiesa, davanti al S. Cuore di Gesù nel SS. Sacramento. Avevamo da ringraziarlo di tanti favori che ci volle concedere: avevamo da pregarlo a volerci difendere da altri gravi pericoli a cui eravamo per andare incontro. Scossa dagli abiti e dalla faccia la polvere , ci dirigemmo, dunque , alla parrocchia. Quella casa di Dio è abbastanza povera. Dimandammo del sig. Parroco, il quale ci ricevette amorosamente e ci permise, pel dimane , di celebrare la s. Messa. Abbiamo, difatti, celebrato tutti e quattro i sacerdoti, ed i confratelli fecero la s. Comunione. Abbiamo pregato di cuore pel nostro caro D. Bosco , per i nostri Superiori e giovani e per i nostri Benefattori.
Verso le 9 antim. del 18 partivamo. La strada la trovammo buona , ancorchè in alcuni punti si facesse pericolosissima. Tre ore di cammino v'ha da Chimbo a Guaranda, ove difatti siano giunti alle 12 e senza novità.
Guaranda si trova all'altezza di 3,400 metri; città abbastanza pulita e conta 8,000 abitanti. E scala dei viaggiatori e delle mercanzie , trovandosi tra Babahoyo e Quito; i suoi abitanti si dedicano in modo speciale all'ufficio di arriero e sono in questo i più rinomati della Repubblica.
Giunti alla piazza principale trovammo un bello e comodo hótel e per prima volta abbiam potuto riposare ed alimentarci all'europea. Il Governatore della Provincia venne a trovarci e ci aiutò in tutto ciò che abbisognavamo. Si dovettero cambiar mule , aggiustare le selle , i freni ecc. ed assicurarci bene che tutto fosse in regola, perchè dovevamo prepararci all'ascensione del Chimborazo. Ci consigliarono di riposare in città almeno un giorno per acclimarci alquanto e riprendere la forza necessaria a sostenere le intemperie e gli strapazzi a cui dovevamo andare incontro.
Abbiamo dunque accettato il consiglio e ci siamo fermati fino al giorno 20. Alle 6 1/2 del mattino eravamo in sella e, con nuovo vigore, continuammo il cammino.
E qui incominciarono di nuovo le solite esclamazioni. - Oh che bei prati! che magnifiche colline! che orrendi burroni! - Era infatti una gran varietà di vedute preziose e mi rincrebbe proprio non aver imparato un po' di disegno per fare almeno qualche schizzo di queste regioni.
Ascendevamo il Chimborazo! L'aria si faceva ognora più fredda e credemmo bene metterci il pastrano : la nebbia incominciava ad involgerci, ma non era così fitta da impedirci il cammino. Alle dieci del mattino eravamo già ad un'altezza notevole ; nere nuvole coprivano il mondo-disotto ed un bellissimo arcobaleno coronava i nostri piedi : forse abbasso pioveva e noi invece ci specchiavamo in un limpidissimo cielo. Questo però non è durato gran tempo : in certi punti ove la strada girava, s'alzavano turbini abbastanza potenti che involgevano nelle loro vorticose spire terra , foglie e quanto potevano alzare.
Il freddo si faceva più intenso ed ai pastrani s'aggiunsero i ponchos de frio : grossi nuvoloni passavano fuggendo sopra il nostro capo e tutto all' intorno , lasciando sui nostri vestiti migliaia di limpide gocciolino d' acqua che poi, ai raggi del sole, risplendevano come tante variopinte perlette.
Alle 11 circa giungevamo all'altipiano, all'Arenal o Páramo. Eravamo quasi ai piedi del cono del Chimborazo ! Ci mettemmo presto i ponchos de agua (di cautchut) ; ci chiudemmo bene nella nostra roba , perchè il freddo e l'aria rarefatta c impedivano quasi di respirare.
Se ci avesse visti, caro Padre, come andavamo tutti silenziosi, rannicchiati, coperta la testa con cappellacci, infagottati col pastrano, col poncho di lana, e poncho di gomma ; e con fazzoletti e cravatte attorno alla testa, alle orecchie... La nostra carovana avea tutto l'aspetto d' una apparizione fantastica !
Che cambiamento ! pensavamo tra noi; pochi giorni fa, sotto la sferza d' un sole ardente, bagnati di sudore, appena potevamo reggere il caldo, ed ora siamo qui in pieno inverno!
Cadeva una pioggia finissima mescolata con neve, ed il vento, che soffiava impetuoso , ce la gittava in faccia senza compassione. Un negro ammasso di nuvoloni c' involse nuovamente, e con lui nix, grando, glacies et spiritus procellarum. Il vento freddissimo fischiava con forza alle nostre orecchie e muggiva da lontano rompendosi nelle creste e nelle caverne... oh ! che scena grandiosa! Era uno spettacolo da finimondo !
Passato quel trambusto , apparve il sole e ci vedemmo innanzi, come per incanto , l' argenteo cono del Chimborazo! Bella , incantevole , maestosa piramide ! Il nostro cuore si riempì di gioia, d'ammirazione, di gratitudine verso Dio che volle condurci sani e salvi fino ai piedi di quel maestoso gigante. Un grido unanime di Viva il Sacro Cuore! Viva Maria Ausiliatrice! Viva Don Bosco! scattò spontaneo ed ardente dalle nostre labbra intirizzite.
Il Chimborazo siede, come re delle Ande, sull'altipiano di Tapi e s'innalza fino a 6,524 metri sopra il livello del Pacifico. E vulcano estinto e, geologicamente parlando , la sua massa è un cumulo di frammenti di roccie trachitiche. La magnificenza del monte fa sì che tutti i viaggiatori lo visitino con piacere. Il Barone di Humbolt l'ascese fino all'altura di 5,909 metri, alla quale nessuno era ancor giunto ; ma l' intrepido Liberatore dell'America latina, l'immortale Bolivar, passò quel limite e, diritto, sopra quel mostruoso piedestallo, con l'animo commosso, abbracciando con la sua vista di fuoco l'America intera, scrisse lassù il dolce delirio della sua mente.
Il Chimborazo, dice Humbolt, s'innalza maestoso sopra tutta la catena delle Cordigliere, come quella maestosa cupola, opera del genio di Michelangelo, s'erge sopra gli antichi monumenti che circondano il Campidoglio
Continuavamo il viaggio attraversando l'Arenal e tanto era il freddo, ch' io principalmente, mi sentiva mancare le forze. Scesi da cavallo per iscuotermi un poco ed attivare , col movimento, la circolazione del sangue: fu proprio ben pensata , poiché al mettere i piedi in terra, mi accorsi che aveano perduto completamente la sensibilità; incominciai a ballare, a scuotermi, a correre, e così, poco a poco, mi ritornò in corpo un po' di fuoco e potei nuovamente inforcare il mio Fulminante.
Il nostro ch. Rostoni volle qui anch'egli farsi debitore presso Iddio. Avea a tracollo la correggia da cui pendeva il binoccolo; la sua mula, al camminare , diede una scossa forse un po' più forte del solito, si strappò la correggia e cadde a terra- lo strumento. Rostoni discese per raccoglierlo, ma lo fece con tanta mala sorte, che la mula si spaventò ed incominciò a ballare ed a fare sforzi per fuggire. Il buon chierico , impavido, la teneva fortemente per le redini , ma la bestia, crollando la testa e tirando più forte, lo vinse, lo strascinò a terra, e gli passò sul corpo calpestandogli anche la testa!'
Credevamo tutti che si fosse fatto male grave, ma egli si alzò tosto e si diede a correre dietro la sua cavalcatura, che vagava già lontano, lontano, gridando con forza: Ferma! ferma! Un arriero poté coglierla ed il fratello, che già temeva dovere restar pedone in quell'orrido sito, la ricevette con festa. La mula, al passargli sopra, non gli avea fatto altro che una leggerissima scalfittura nella faccia. Oh! come ne abbiamo ringraziato di cuore il Signore!
Era circa il mezzogiorno; passati vicino ad una cascina, pensammo fermarci per prendere un po' d' alimento. Si mangiò carne arrostita che avevamo portato con noi da Guaranda ed incominciammo poi a discendere l' altro versante del monte. La discesa era cattiva e pericolosa, noi nessuno di noì ebbe a soffrire alcuna avaria d'importanza.
Verso le 4 1/2 si giunse ad un sito nominato Chuquipoyo, ove trovammo una casa, se non pulita e comoda, almeno sufficientemente grande e con letti. Ancorchè senza spogliarci, dormimmo profondamente ed al mattino del 24, freschi come sorbetti, alzavamo le tende. La strada è eccellente : ce lo aveano detto prima gli arrieros. E opera di D. Gabriel, l'immortal Garcia Moreno, che per inaspettata morte non poté finirla tutta.
Approfittando, dunque, della pianura, mettemmo le bestie un po' al trotto , un po' al galoppo ed alle 9 eravamo già in Mocha . Preso qui un boccone in fretta, poichè volevamo giungere di giorno ad Ambato, termine del nostro viaggio a cavallo, seguitammo il cammino e siam giunti felicemente alla città verso sera. Oh ! Deo.qratias! Fu quella per noi sera di vero tripudio. Avevamo passati tanti pericoli, tanti stenti, tante privazioni e non ci sembrava vero esserne giunti al termino.
I nostri buoni arrieros , duci e maestri nel lungo tragitto , ci lasciarono con vero dolore vollero essere da noi benedetti, ci baciarono le mani con gran venerazione e vollero per ricordo una coroncina del Rosario per pregare la Vergine li contentammo tutti.
Abbiamo preso alloggio nell'Hotel Italiano, casa abbastanza decente d'un buon genovese, che da molti anni vive in quei paesi.
Venne a trovarci il Governatore , il Parroco , il Direttore del Piccolo Seminario ed altre molte persone distinte del paese. Tutti si mostrarono molto contenti della venuta dei Salesiani : ci dimostrarono che conoscono D. Bosco, la Società nostra ed il bene che fa nei duo mondi. Di qui mandammo i nostri rispettosi saluti all'Ecc.mo sig. Presidente della Repubblica ed a Monsignor Arcivescovo, i quali ci risposero subito affettuosamente.
Credevamo poter partire presto per Quito, ma dovemmo aspettare ben sei giorni , perchè non v'era diligenza a nostra disposizione.
Ci rassegnammo, ancorchè con un po' di sforzo; avremmo desiderato fare in Quito almeno il triduo in preparazione alla festa del nostro santo Patrono S. Francesco di Sales.
Ambato è una città pulitina e con buoni edifizi : il suo nome le viene dagli Indi Ambatos , che abitavano anticamente quel luogo. Nel 1699, anno in cui si sprofondò il vicino monte Carahuirazo, soffrì un forte terremoto, e torrenti di lava e fango strascinarono seco quasi tutta la città : la città nuova fu costrutta ad una lega più in su del sito primitivo. Quivi principia il servizio di trasporto in diligenza, che parte dal paese tutti i lunedì.
L'ora della partenza venne anche per noi ed il giorno 27, alle 6 del mattino, occupammo nel gran carro il nostro posto.
Questi veicoli sono abbastanza comodi e possono compararsi ai nostri omnibus di Torino. Sei povere mule furono le incaricate di strascinarci; un vetturino in capo e due aiutanti le guidavano.
Una rauca tromba squilla alle nostre orecchie; i vetturini a piedi flagellano le disgraziate bestie, saltano e gridano: mula, mulas, aità, aità e via... S'andava come il vento ; i poveri passeggieri, chiusi in quel cassono a finestre, si raccomandavano al Signore ed alla Madonna, che volessero loro concedere d'arrivare con le ossa intere al termine di quelle scosse.
Alle 10 giungevamo a Tacunga, ove si cambiarono le mule e noi ci rifocillammo. Con bestie nuove, nuove scosse; la strada, alternata da ripide salite e precipitevoli discese , presentava tuttavia facile passo e la trovammo buonissima, principalmente pensando a quella dei giorni passali. Il viaggio è anche bello ed incantevole alla vista, poichè si scorgono panorami stupendi e sempre nuovi: colline con principio di coltivazione, qualche casa di campagna in buono stato; ma; oh ! quanto terreno abbandonato!
Se vi fossero qui i nostri contadini d' Italia, pensavamo noi, quanto profitto caverebbero da queste fertilissime terre, ora incolte e neglette.
Avevamo , fino a questo punto , viaggiato usando tutti i mezzi di trasporto comuni. Per ferrovia europea, in treno omnibus, misto, diretto) e direttissimo, ed in 1°, 2' e 3° classe. Per mare, in piroscafo , vaporino e barchetta. Nell' Istmo di Panamà , in ferrovia americana ; poi in piroscafo del Pacìfico, in vaporino di fiume nel Guayaquil; a cavallo , in carrozza , in diligenza... In che modo ancora potevamo noi viaggiare? Sulle spalle d'un uomo; e questo è quanto ci accadde per compir bene l'opera. Verso le 3 1/2 giungevamo al fiume Gallo e la diligenza sì fermò.
- Signori, disse il vetturino in capo, bisogna dìscendere.
- E per qual ragione?
- Perchè la carrozza non potrà passar il fiume col peso loro.
- E va bene, discendiamo.
Accorse un nugolo di indios che, gentilmente sedendosi innanzi a noi, c'invitarono a saltar loro in ispalla; eseguimmo ridendo ed in un momento ci portarono all'altra sponda.
- Bravi ! dissi ai poveretti, e diedi loro un realito ed una medaglia di Maria Ausiliatrice che, pieni di contentezza , se la premevano alle labbra e non cessavano di baciarla.
Avremmo dovuto toccar Machache verso notte, ma giunti alla posta, ove dovevansi cambiar le mule, non le trovammo preparate e fu giuocoforza fermarsi in quel sito, denominato dai vetturini Chasqui (consisteva in una piccola casa).
Il luogo, per altro, non poteva essere più poetico; eravamo in una estesa vallata , chiusa all'oriente dal celebre vulcano Cotopaxi, che indorato dagli ultimi raggi vespertini, ostentava a quell'ora tutta la sua maestà; all'occidente da un altro vulcano , l'Iliniza , esso pure coperto da perpetue nevi.
Il Cotopaxi è la più bella montagna dell'America: ha la forma d'un cono troncato con esatta regolarità e la candidissima neve che lo ricopre è distribuita giù per le falde con una sorprendente simmetria. La sua elevazione è, secondo Humbolt, di 5,754 metri e l'apertura del suo cratere di circa 900. Noi ci fermammo proprio alla base del suo cono e la neve ci era vicinissima.
La notte fu molto fredda ma , ben involti in coperte e ponchos, abbiam dormito saporitamente fino al mattino.
Alle 5 del 28, vigilia del nostro Santo Patrono, eravamo già in diligenza, ed in mezzo alle solite grida e legnate sul dorso delle povere bestie, c'incamminammo verso Quito.
Sì, quello dovea essere l'ultimo giorno del nostro lungo e penoso viaggio ; dovevamo giungere a Quito la vigilia stessa di San Francesco di Sales!
Abbiamo collocato nel bel mezzo della diligenza una ìmmagine di Maria Ausiliatrice ; pregammo tutti insieme e da soli ; pregavamo di cuore e la nostra mente accarezzava già il caro pensiero di trovarci presto in casa, in casa salesiana.
Oh Quito, Quito, città tanto vagheggiata in Italia, desiderata in mare e sospiratissima dalla groppa della mula!
Eccola là, ai piedi di quell' alta montagna!
L'abbiam vista da lontano e la salutammo con giubilo indescrivibile.
Alla una del dopo pranzo discendemmo dalla diligenza ed i nostri piedi posavano nella famosa capitale degli Incas.
Una turba di curiosi s'agglomerò attorno a noi e tutti ci salutavano con gran rispetto e, diciamolo pure, con allegria. Un tal signor Garcia, mandato a riceverci dall' Ecc.mo sig. Presidente della Repubblica (poichè tanto egli come Monsignor Arcivescovo erano occupati in una funzione religiosa) ci accompagnò al Protectorado Catòlico, nome che si è dato alla nostra nuova dimora, ove giunti , ci gettammo in ginocchio recitando di cuore il Te Deum e tre Ave Maria alla Vergine SS. Ausiliatrice. Era il nostro cuore che, pieno di riconoscenza, sentiva ìl bisogno di sfogarsi in mille ringraziamenti verso il Cielo che, sani e salvi, volle amorosamente condurci al campo delle nostre fatiche.
Quella sera stessa ci recammo a far visita a Mons. Arcivescovo, il quale ci ricevette come un tenero padre può ricevere ì suoi cari figliuoli. Ci domandò notizie del venerando D. Bosco, dei Superiori tutti di Torino; volle essere informato del nostro viaggio, dei nostri bisogni e cì si offrì in tutto quello che poteva aiutarci. L' Ecc.mo sig. Presidente pure ci trattò con molto amore e carità, e disse che Don Bosco deve mantenere la sua promessa di mandare presto presto altri otto Salesiani a Quito , perchè il campo del nostro lavoro è qui, più che in altre parti, esteso e profittevole.
Quasi tutte le persone importanti della città ci vennero a far visita, mostrando gran stima della nostra Pia Società e molta venerazione pel nostro sempre amato Padre Don Bosco.
Oh! voglia il Signore e la benedetta Vergine Ausiliatrice assisterci, affinchè possiamo lavorare molto pel bene dell'anima nostra ed a vantaggio di quelle di tutti ì poveri giovanetti abbandonati di questo paese ! Oh ! venga presto il giorno in cui possiamo bagnare col nostro sudore l'estesa Provincia dell'Oriente, in vantaggio dei numerosi selvaggi che vagano ancora per quello selve sacrificando al demonio !
Ci assista il Cielo , ci aiutino i nostri zelanti Cooperatori e Cooperatrici, affinchè possiamo raccogliere copioso frutto nella nostra messe e poi, circondati da molte anime guadagnate pel Signore, possiamo volarcene tutti in Paradiso.
Preghi, Rev.mo Padre, preghi e faccia pregare a questo fine. La buona volontà non ci manca ci siamo consacrati al servizio del Signore e per Lui lavorando vogliamo morire : il riposo l'avremo lassù in Cielo.
Favorisca presentare i nostri umili e figliali ossequi al nostro veneratissimo Papà, il caro Don Bosco; gli dica che l'amiamo molto e che, perchè l'amiamo, seguiremo sempre i suoi savi consigli.
Ringrazi per noi tutti i nostri generosi Benefattori d'Italia, di Francia e di Spagna e li assicuri che noi preghiamo sempre per loro.
Un umile, ma ardente saluto a lei, a tutti i Superiori, confratelli e giovani. Preghino sempre per noi tutti, ma specialmente pel
Suo affamo ed obbl.mo figlio in G. e M.
D. CaLCAGNO LUIGI.
L'Arcivescovo di Quito, accolti paternamente i nostri confratelli Salesiani, si affrettava ad annunziare a D. Bosco il loro arrivo colla seguente lettera. Scriveva proprio il giorno dopo la morte dell'amato nostro Padre ! !
Rev.mo D. Giovanni Bosco, Superiore Generale dei Salesiani.
Quito, 1 Febbraio 1888. AMaTISSIMO PADRE E AMICO,
In questi giorni ho avuto l'indicibile piacere di ricevere una lettera di V. S. R.ma e di abbracciare i zelanti missionari che ci ha inviati. Li ho accolti come miei figli, e come tali li terrò sempre, sia per secondare la raccomandazione di V. S., che amo tanto, sia per i medesimi missionari, che mi paiono degni di ogni stima. Io spero che essi colle loro apostoliche fatiche saranno una immagine vera della carità di V. S, e che in questa maniera mi daranno vere consolazioni in mezzo alle pene annesse alla mìa carica.
Mi raccomando alle orazioni di V. S. R.ma, e la supplico che preghi Iddio in modo tutto speciale per tutti i Vescovi della mia Archidiocesi.
Di V. S. R.ma.
+ GIUSEPPE IGNaZIO
arcivescovo di Quito.
Per continuare la storia delle nostre missioni nella Terra del Fuoco, riportiamo alcune lettore che di là scriveva D. Fagnano, prima di ritornare in Europa a chiedere aiuti materiali e personali.
I.
Puntarenas, 3 aprile 1838. CARISSIMO D. RUA,
Le ho scritto prima in risposta alla circolare, ed ora avendo ricevuto da Monsignor Cagliero la notizia della sua nomina a Rettore Maggiore, compio il mio dovere manifestando il piacere che provano tutti i confratelli nell'aver trovato un altro padre nella sua persona. Io non posso pensare alla morte di D. Bosco senza che mi scorrano le lagrime, e non mi pare sia morto, perchè l'ho sempre avanti agli occhi. - Ho ricevuti i suoi ultimi ricordi e li custodirò veramente di cuore come ultima sua volontà.
Venendo alla nostra Missione, il mese passato abbiamo avuto qualche consolazione.
Il giorno 25 di marzo, dedicato dalla Chiesa alla memoria dell'Entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme, l'abbiamo celebrato in tutta solennità , con una messa cantata in terzo : ciò che non si vide mai in queste estreme regioni. Alla sera si battezzarono tre ragazze indiane coll'intervento di moltissima popolazione. Loro si diede il nome di Felicita, Marianna, Giuseppina Pàramo, dal luogo ove furono trovate. Lo ho consegnate ad una famiglia cristiana , alla quale paghiamo una pensione, affinché loro insegnino le occupazioni casalinghe, ed alla scuola privata, cui noi prendiamo parte, onde loro s'insegni a leggere e scrivere.
La settimana Santa si celebrò nella Chiesa Parrocchiale, facendo noi tutte le funzioni colla maggior pompa possibile. Oltre alla Comunione Generale della Domenica abbiamo preparato dodici prime Comunioni. - Fino ad ora si vede poco movimento religioso, ma si migliora quanto ai ragazzi ed alle ragazze e più si otterrà quando la Parrocchia sia tutto a nostro carico. Per varie ragioni mi sono già risolto di accettarla, come ne parlai a Mons. Cagliero, il quale era d'accordo in questo. Ho proposto il caro D. Ferrero , il quale s'è acquistata la simpatia di tutti trattando con molti, come Prefetto della Casa.
Alcuni italiani che lavoravano nell'estrarre oro da una punta della Terra del Fuoco , lasciato il lavoro, si erano diretti ad un porto per venire in Terra Ferma ; ma sbagliato il cammino andavano perduti , quando incontrarono alcuni indiani da me catechizzati in quest'ultima Missione. Buon per loro ; chè furono aiutati a mettersi sul buon cammino dando loro alcuni topi ed erbe, perchè potessero sostenersi ed arrivarono a stento al porto. Venuti a Puntarenas dovemmo ricoverarli nella nostra Casa procurando loro medicine, vitto, vestiti : altrimenti sarebbero morti sfiniti. Oh quanto mi ringraziarono pel bene loro fatto! Ho detto buon per loro, perché, or sono sei mesi, tre uomini, due del Chilì , ed uno dell' America del Nord, che andavano in cerca di miniere d'oro, furono spogliati e massacrati dai medesimi indiani; presso i quali si trovò una bussola, indizio della morte di quei disgraziati.
Il modo di ridurre a vita sociale questi infelici selvaggi è di somministrare loro vitto, vestito ed educare i loro figliuoli. Sono nomadi costantemente per necessità di cercarsi di che vivere e non potranno istruirsi, se non in tal modo. La Missione inglese al Sud della Terra del Fuoco, stabilita or sono diciotto anni ha fatto poco, ma quel poco l'ha fatto nel modo suddetto.
Potrà la nostra Congregazione disporre di centomila franchi per questo scopo? Potrà acquistarvi un terreno per tenervi Indii, animali, case ecc...? È questo un quesito , a cui rispondere tocca a' Cooperatori e che troverà la soluzione favorevole, se si mira al gran bene delle anime di due mila infelici.
Col primo Vapore vado a Malvinas, accompagnando un nostro Confratello, e resterò ivi con lui un po' di tempo per vedere come si può lavorare in questa vigna, assegnataci dal Signore.
Raccomandi alle preghiere di tutti la nostra Casa, i nostri Indiani ed ai Cooperatori la nostra Missione.
Suo aff.mo in G. e M. Sac. FAGNANO GIUSEPPE.
II.
Porto Stanley, 13 maggio 1888.
CARISSIMO D. RUA,
Ora mi trovo qui, accompagnando il confratello Sacerdote Diamond in questa missione delle Isole Malvine. Dal venti del mese passato, che sbarcai qui, fino ad oggi, mi avvidi della necessità estrema di questa popolazione Cattolica in mezzo alla maggioranza di Protestanti. - Che consolazione per tante famiglie di poter sentire la Messa , confessarsi, mandare i loro ragazzi al catechismo ! Pel passato il Missionario stava alcuni giorni qui, e quindi si dirigeva alle altre isole, e questo era un gran male ; perché avendo i Protestanti la loro bella Chiesa ed un ministro sempre fisso, alcuni cattolici erano da ciò attirati, e quindi per ignoranza o per comodità mandavano i loro ragazzi alla Chiesa Protestante, ove facevano battezzare i loro figli ed anche contraevano matrimonio alla presenza del Ministro. Abbiamo già aggiustato uno di questi Matrimoni e siamo in via di aggiustarli tutti, allargando in questa terra il regno del Signore. Si fa il catechismo due volte alla settimana nella Cappella Cattolica ai ragazzi ed alle ragazze , si dà la benedizione il Mercoledì sera, e la Domenica si fanno le solite funzioni delle nostre case. In due Domeniche sempre é aumentato il concorso dei fedeli ed anche alcuni protestanti vengono alle nostre funzioni. Maria Ausiliatrice ci aiuterà a salvare tante anime, specialmente in questo mese a Lei dedicato.
Ora è tempo d'inverno, tutto coperto di neve; soffriamo venti freddi e soventi le pioggie ci incomodano. Qui siamo alloggiati per ora in pensione pagando trenta scellini (L. 1,25) ciascuno alla settimana, ossia trenta sette franchi e cinquanta centesimi..
Se fossi autorizzato comprerei un terreno, di metri venti per cento, unito al terreno della Chiesa e innalzerei una piccola Casa e una scuola...
Suo aff.mo in G. e M. Sac. FAGNANO GIUSEPPE.
Santiago, 27 aprile 1888. REV.mo ED AMATO PaDRE,
Avrei voluto ritardare altri due giorni a scriverle, per poterle dare notizie del gran funerale che in onore dell'amatissimo padre Don Bosco si farà domani alle nove nella Chiesa Matriz di questa città; ma siccome la lettera non partirebbe se non dopo altri 15 giorni, non essendovi che due partenze di vapori per Europa ogni mese, di cui una ha luogo domani, così le scrivo delle cose nostre anteriori, lasciando quanto riguarda il funerale di domani per altra occasione.
Il Bollettino Salesiano di Marzo ci recò tutte le particolarità della morte e sepoltura di Don Bosco : è inutile che dica di quali affetti riempiano il cuor nostro le circostanze di questa dolorosa perdita : tutte si racchiudono in due parole: afflizione e rassegnazione. Intanto noi resteremo come prima, figli di Don Bosco, servi umilissimi del Signore, sotto l'obbedienza dei nostri amati Superiori, ed in particolare della S. V. che, con tanta soddisfazione di tutti , il Signore ci diede per nuovo capitano e Superiore Generale della nostra Società. .
Al presente mi trovo qui con D. Rabagliati. chiamati dall'Arcivescovo per rappresentare la Società Salesiana nel gran funerale di domani. Sua Ecc.za Rev.ma con cui parlammo ieri sera circa un'ora, insiste affinché accettiamo alcuna casa delle tante che ci offrono in questa città capitale del Chilì : volle che accettassimo di pranzare domani con lui, per così discorrere più in lungo al proposito.
Il funerale fatto per Don Bosco a Concezione il giorno 19, al quale presi parte, fu bellissimo e coll'assistenza di tutto il clero; solenne ancora fu quello di Talca, celebrato ieri con un concorso immenso di popolo; ci regalarono tutto il necessario per tapezzare tutta la chiesa nostra di nero, con galloni bianchi e altri adorni, e più di cinquanta bellissime corone : tutti gli amici o Cooperatori furono quelli che fecero ogni cosa per amore a Don Bosco ed ai suoi figli. Riceverà per posta l'Orazione funebre fatta in Concezione ed in Talca. Qui poi, la cosa sarà ancora più splendida e grandiosa ; comunicherò il tutto a suo tempo.
E incredibile, amato Padre, l'amore e la venerazione che i Chileni portano a Don Bosco, della quale godiamo noi pure come figli di un tanto padre. Aveva ragione M.or Cagliero di lodare tanto i Chileni ; dopo due mesi e mezzo di vita a contatto con questi popoli, trovo che è scarso ogni elogio.
La casa di Talca va avanti bene; abbiamo già un buon numero di ragazzi esterni, molti che frequentano l'Oratorio festivo; varii giovani grandicelli che studiano latino , 15 pupilli artigiani ; ed aumenta il numero di questi ogni giorno a misura che muratori e imbianchini ci vanno preparando la casa. Questa essendo stato un Ospedale non può servire di collegio, senza molte riparazioni e mutazioni, che costano molto tempo e molto danaro; per questo si va adagino. Tuttavia mercé la Divina Provvidenza che non ci abbandona, credo che prima del fine dell'anno potremo già accettare almeno 50 interni. I giovani poi sono di una docilità invidiabile, ottimi, semplici di costumi, desiderosi della preghiera, che non li stanca mai, e della Comunione frequente. - Quante vocazioni, amato padre, ci prepara il Signore in questo bel giardino del Chilì, che manca di giardinieri! - Possiamo proprio dire: Tutti ci chiamano, tutti ci vogliono. Arrivati ieri sera, oggi abbiamo già ricevute tre proposte di nuove case. Naturalmente diciamo loro che preghino e sperino, ed attendano la venuta di M.or Cagliero.
Ci benedica, amatissimo D. Rua, me ed i miei compagni di Talca in particolare; abbiamo buona volontà, ma siamo pochi; preghi pei suoi figli del Chilì, affinchè non sieno meno fedeli Salesiani dei Salesiani di Europa.
Il suo Um.mo Figlio e Conf. in G. e M.
D. DOMENICO TOMATIS.
I.
REV.MO ED AMATIS.MO SIG. D. RUA,
Le scrivo da Bahia Bianca, dove l'ubbidienza mi mandò a predicarvi la Settimana Santa e a confessarvi gli Italiani.
Il viaggio di due giorni in diligenza non fu molto buono. Quando giungemmo a circa tre leghe ( sei miglia di Piemonte) dal Rio Colorado, il veicolo s'immerse così profondamente nel fango, che i nostri sforzi non valsero a togliernelo, ed anzi lo ruppero. Era mezzanotte, pioveva a catinelle , e la strada, che è un paio di rotaie melmose in mezzo al campo, era tutta pozzanghera, paludi e ruscelli. Sotto la guida di una. persona pratica dei luoghi e che viaggiava con noi, potemmo, camminando tutta la notte, giungere alle quattro del mattino al Colorado: svegliammo il barcaiuolo, tragittammo ed alle cinque ci gettavamo sopra di una branda in una cattiva osteria. L'indomani alle due dopo mezzanotte si giungeva in Bahia. Era la Domenica delle Palme.
Feci le funzioni e le prediche della Settimana Santa, confessai un centinaio d'Italiani, e domattina alle quattro tornerò, a Dio piacendo, colla stessa diligenza a Patagones con nuova pioggia che sta cadendo.
Questa, ove ora mi trovo, è una parrocchietta di un cinquecento leghe quadrate di superficie , e confina con un' altra, (quella dei tre Partidor di Puan , Guamini e Trenquezanquen) di mille quattrocento leghe quadrate (circa tremila miglia piemontesi).
Nel dolore che mi produsse il transito di Don Bosco, fui molto consolato al sapere che V. S. R. era il suo successore. Me ne rallegro tanto per la Congregazione.
Sono con rispettoso affetto
Di V. S. R.ma
Bahia Bianca, 2 aprile 18S8.
Ubb.mo Suddito
SAC. ANGELO G. PICCONO,
II.
Víedma, 10 maggio 1888.
MOLTO REV.do E CARO PADRE IN G. C.,
Abbiamo ricevuto il preziosissimo Bollettino, Diario della malattia e morte del nostro veneratissimo Fondatore e Padre, e lo leggiamo alla mensa non senza frequenti e forti emozioni accompagnando il pane colle lagrime. É così bello e commovente! Io credo, che lo stesso avrà luogo in tutte le case della nostra Pia Società.
Io ne tengo una copia particolare ed ogni giorno ne vo assaporando alcuni brani. Oh come mi duole che non dica di più! Nessun libro mi strappò mai tante lagrime, nessun libro mi suggerì propositi così generosi, come quest'aureo Diario. Sento nell'anima di non aver amato abbastanza il nostro caro D. Bosco; mi dolgo di non aver praticate con più impegno le sue sante massime. Così è. Il valore di un tesoro si conosce dopo d'averlo perduto, se così si può dire del nostro caro Padre nato alla gloria del cielo. Io sento vivissimo il bisogno di amarlo cuore a cuore, di temprare il mio spirito sulla sua tomba. Ma la mia condizione me lo vieta. Prego per tanto V. S. e molto e di cuore, perchè voglia mandarmi una collezione completa del Bollettino Salesìano dove le gesta del nostro Fondatore sono così bellamente narrate. Quel poco che io mi ho visto , unito a quanto apprenderò nel Bollettino ed ascolterò da Monsignore, mi servirà di regola nel governo di me stesso e della mia piccola comunità.
Ricevemmo altresì la sua circolare e ci tornò di grandissimo conforto l'alta benevolenza di S. Santità a nostro riguardo. Procureremo dal canto nostro di consolarlo sempre , od almeno di pregare cordialmente Iddio che lo consoli. Le cose di questa casa vanno regolarmente. Abbiamo pace, unione e lavoro. Deo gratias anche quando il nostro lavoro non ottenga il risultato che sarebbe a desiderarsi. Monsignor nostro avrà significato a V. S. l'indifferenza religiosa che regna e trionfa in tutte queste regioni. Si lavora però e molto, intorno ai ragazzi e alle ragazze.
Mi raccomando alle sue preghiere, e baciandole con affetto figliale la mano mi professo
Suo Dev.mo ed Obbl.mo figlio
Sac. BERNARDO VACCHINA.
Buenos-Aires, 30 luglio 1888. REvmo E CAR.mo PADRE,
I due mondi si sono riuniti, e tolto per il nostro venerato Fondatore Don Bosco l'ostacolo dell'immenso oceano, pare che Egli col suo spirito aleggi sopra di noi di tal modo, da farci sentire la sua presenza coi suoi benefici effetti. Sappiamo, per lettere e relazioni giunte fin qua, che il sepolcro del compianto nostro padre è glorioso, che la sua abitazione, i di lui scritti, e l'immagine sua stessa sono oggetti di venerazione, e che Iddio fa sperimentare i frutti di cotesta pietosa fiducia. Noi americani e figli di Don Bosco, tanto da lui amati (riandando le lettere che ripetute volte scrisse a ciascheduno di noi, vediamo che ci aveva sempre nel cuore e sulle labbra), noi pure sperimentiamo gli stessi benefizî; e primo tra tutti è il risvegliamento dell'interesse materiale e morale per l'Opera di Don Bosco nei personaggi più distinti della Repubblica Argentina, Furono già un bel preludio le caritative relazioni tra i membri della Società di San Vincenzo de Paoli ed i Salesiani, relazioni naturali e sante sì per i ss. Patroni, come pel comune scopo.
Questo, che era vivo desiderio di Don Bosco, si compì la sera del 3 di febbraio corrente anno, 1° venerdì del mese, in Conferenza generale, e fu per opera specialmente di due dei nostri più fervidi Cooperatori, il dott. Pedro Giraud, ed il dott. Abele Basàn. In quella sera, mediante una sovvenzione delle Conferenze, convenimmo di accettare per 15 anni una ventina di poveri giovani scelti dalla Società stessa. Ecco S. Francesco di Sales che dà la mano a San Vincenzo per soccorrere la povera gioventù di questa capitale. Tutti dicevano allora: Questo fatto pare proprio un telegramma che Don Bosco ci manda dal cielo in mancanza di quello che invano aspettammo dall'Europa. Sì, lì c'era la mano di Don Bosco !
Il signor D. Bosco aveva pur desiderato la protezione delle Autorità Argentine; ed Ella, sig. Don Rua, come primo atto del suo Rettorato ebbe il bel pensiero d'inviare al sig. Presidente di questa Repubblica il prezioso ossequio che la Tipografia Salesiana dedicava al Sommo Pontefice. Noi però non sapevamo neppure come aprirci la strada per poter giungere fino a quel Magistrato sì alto. Prendemmo la via delle raccomandazioni, e il dottor Basàn, Presidente del Tribunale d'appello, e nostro buon Cooperatore, ci aprì il passo. Il Rev.mo Superiore D. Costamagna col Prefetto Rev.do D. Cassinis presentarono il regalo e gli ossequii di V. S. al Signor Presidente nell'atto che scendeva le scale del suo grandioso palazzo. Egli mostrò gradire il dono, ed incaricò D. Costamagna dei ringraziamenti a Lei nostro amato Superiore Generale. La cosa sembrò finita lì, e più non ci si pensava, quando, il 4 del corrente mese, ci giunse l'inaspettato annunzio che il Presidente della Repubblica si degnerebbe farci una visita, e che già era in cammino. Procurammo allora metterci all'ordine in tutta fretta, si fecero alcuni preparativi: la banda coi giovani schierati in due file applaudì a S. E. nell'ingresso del collegio, e tutti assisterono all'inno nazionale che suonò la banda stessa; quindi tutti i giovani, che sono 350, corsero al proprio luogo, chi nel laboratorio e chi nella scuola, perché il signor Presidente mostrò desiderio di vederli intenti al lavoro. Restammo ammirati della famigliarità che questo illustre personaggio usava coi nostri giovani, domandando spiegazioni ad alcuni del loro mestiere, guardando ciò che altri scrivevano, ed interessandosi della loro salute e condizione. Impiegò circa un'ora e mezzo visitando, il collegio; e salutato con rispetto da noi tutti cogli evviva e col suono della banda, uscì assai bene impressionato della Istituzione nostra. Il benevolo amico e Cooperatore, che ci aveva ottenuta questa preziosa visita, era il sig. Dottor Nugués, che fu già Governatore della Provincia di Tucumàn, ed attualmente è Deputato al Parlamento (1).
Intanto era giunta la festa di San Giacomo, Patrono del nostro amatissimo Ispettore e Superiore. La Casa di San Carlo, è pur bene che si sappia, é delle più feconde in celebrare feste alla maniera di Torino; e quest'anno avendo con nobile gara della due Compagnie Artigiani e Studenti celebrate le due feste di San Giuseppe e quella di S. Luigi, sembrava che non si potesse andare più in là. Banda, illuminazione generale di tutto il collegio, fuochi artificiali, declamazioni, dialoghi e commedie, tutto era esaurito. Eppure, essendosi allontanato dal collegio il Rev. nostro Ispettore per una quindicina di giorni per dettare Esercizi in Montevideo, preparammo una festa, che fu una bella sorpresa pel nostro amato Superiore, ed una delizia per quanti la videro. Crediamo che l'ispirazione ci venne dall'alto; e si può dire che la mente, il cuore e le mani e tutte le arti ed industrie Salesiane si misero d'accordo per fare una bella dimostrazione d'amore a D. Bosco nel cielo, ed al Superiore nostro in terra. Infatti, il titolo del dialogo e l'oggetto del Quadro al viva che si volle rappresentare fu « La festa del Rev.mo Superiore, Eco di quella che fanno a Don Bosco in cielo i suoi Santi Allievi ». Il dialogo spiegò come in quest'anno il modello di tutte le feste era quella celestiale fatta a Don Bosco ; e che i primi a festeggiarlo nel Paradiso dovevano essere Savio, Magone e Besucco, primizie della santa educazione di Lui. Si propose d'imitare quei tre giovanetti facendosi capitani di tutta la squadra tre giovani delle Compagnie del SS. Sacramento, di San Giuseppe e di S. Luigi; si consegnava ai tre campioni il relativo stendardo della Confraternita, e ciascuno faceva promesse, innanzi al nostro Superiore, d'imitare uno dei tre santi giovanetti. Mentre si invidiava il cuore di quei discepoli di D. Bosco, e si desiderava sentire e vedere come si portavano col loro santo Direttore, si alzava un telone, dietro al quale, illuminato a bengala, stava un magnifico quadro. Don Bosco figurava nel mezzo, seduto sopra un trono; due chierici ai fianchi ed una bella corona di giovani bianco vestiti, con fascia rossa o celeste, e coronati chi di gigli e chi di rose. Incominciava il canto dei tre giovani Savio, Magone e Besucco a Don Bosco: facendo eco cantavano pure i tre capi delle Compagnie a Don Costamagna. Come ad Elia, inneggiavano quei di dentro a Don Bosco nel cielo; e come ad Eliseo, ripigliavano il canto al Superiore nostro quei di fuori. Finalmente i due cori si univano, salutando con ripetuti e patetici evviva al Padre nel cielo, ed al Figlio di Don Bosco in terra. Varii dei più distinti Cooperatori restarono commossi della scena e chiesero che si ripetesse un'altra sera, come pure i nostri giovani, cui sembrava proprio di vedere Don Bosco; perché l'amatissimo Padre D. Bosco era rappresentato da un chierico che ne imitava assai bene l'atteggiamento, ed aveva parimenti qualche ombra di somiglianza con lui; e la distanza del gruppo dal trasparente con di mezzo la luce artificiale poi faceva tale effetto alla vista degli spettatori, da far ivi vedere D. Bosco stesso in persona e non rappresentato. Questa era la parte più patetica e commovente della festa. Il giorno dopo, 25 luglio, si doveva recitare un secondo dialogo, con varii cori, a rispettabili invitati. A mezzogiorno giunse inaspettatamente l'Eccellentissimo nostro Pastore, l'Arcivescovo di Buenos-Aires, che si degnava di visitare ed onorare il discepolo di Don Bosco e Superiore nostro; un'ora dopo ci si annunzia che il signor Presidente della Repubblica è nella Portieria, che viene pure a visitare il Rev.mo D. Costamagna. Allora fu una sorpresa ed un movimento generale: s'interruppero i complimenti della mensa, e si passò al teatrino per la recita del dialogo.
L'argomento di questo era festevole: alcuni giovani, che chiedono composizioni da leggere al Superiore: l'interpellato dice loro che ricordino ciò che facevano gli antichi alunni dell'Oratorio per festeggiare Don Bosco, che cioè cercavano giovani abbandonati e discoli per condurli a Lui. Accettano il consiglio, e succedono varii incontri: poi concertano una lotteria con confetti che portano la scritta di varie pratiche di pietà o consigli da compiere in omaggio al Superiore. Chi dava le cedole figurava un ciuciarro napoletano, che cantava mirabilmente. Dopo qualche scena, venivano a fingere gli stessi giovani di indovinare lo stato morale delle scuole e laboratori, dando le strenne corrispondenti: veniva l'indovino, sotto figura del celebre Ometto, o come qua lo chiamano Hombre antidiluviano. Si cantò pure il Coro dei matti; e si ripetè l'Inno al caro Superiore, che è lo stesso che si cantava al sig. D. Bosco in Torino, e che fu di mirabile effetto. Il signor Presidente fu salutato con diversi complimenti chi lodò il suo amore pei figli del popolo, ed il suo desiderio di vederli educare moralmente al lavoro, secondo il metodo di Don Bosco; chi lo ringraziò per le due visite, colle quali aveva voluto vedere prima i figli del lavoro, poi i lieti e festeggianti figli di Don Bosco, spiegandosi per incidenza la soavità del sistema salesiano. Vi fu poi chi ricordò gli antichi desideri di Don Bosco, di vedere l'Eccell.mo Presidente protettore della sua opera; che il visitare il collegio nella festa di un figlio di D. Bosco era un segno di deferenza verso l'Apostolo della Gioventù, ammirato dalle più civilizzate nazioni d'Europa e d'America; pertanto ricevesse il legato che D. Bosco aveva lasciato al suo Successore, ed al Superiore nostro, come a Lui stesso raccomandato.
Fu veramente ammirabile che si potesse in brevi momenti scrivere e leggere queste semplici composizioni, però dirette ad ossequiare le più alte dignità, senza che vi fosse un leggiero intoppo, nè un considerevole inconveniente. Con gran confidenza ed espansione potemmo poi dire all'Eccellentissimo nostro Arcivescovo che pensavamo proprio che Don Bosco lo avesse condotto in mezzo a noi; poiché, essendo nostro proposito festeggiare col Superiore nostro anche D. Bosco, che non era più tra i vivi quaggiù, questi mandava in sua vece chi pel gran cuore ed insigne pietà più lo emulava. Infine ricordammo che la personificazione dei tre grandi amori della umanità la Religione, la Patria, e la Famiglia si era presentata allora dinanzi a noi, e che quindi i Salesiani ed i loro discepoli avrebbero conservata eterna memoria di questo giorno. La festa durò fino alle 4 1/2 pom.; ed i nostri ospiti, salutati con allegri e rispettosi evviva ! e colle più soavi armonie, si separarono da noi, come essi dissero, colle più grate impressioni.
(1) Vedi Bollettino di Settembre 1888
(Continuazione)
Parigi : Alla Maddalena per la pia sollecitudine di quei benevoli e zelanti Cooperatori cantò la messa l'Ab. Rebours, curato : a nome dell'Arcivescovo intervenne l'Ab. Petit. Fece l'assoluzione l'Ab. Hultz. Erano rappresentate le Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e v'erano delegati di tutti gli Ordini religiosi e di tutte le opere cattoliche.
Pecetto (Torino): In questa piccola borgata della collina di Torino si fece un solenne funerale. Il parroco esortò il popolo ad intervenirvi, e fu consolato di vedere la chiesa pressoché piena come nei giorni di maggiori solennità. Presero pure parte i bambini dell'Asilo e le fanciulle delle scuole, con edificazione di quanti erano presenti per il divoto contegno.
Penango : La Parrocchia di Penango, che fu dall'anima grande di D. Bosco prediletta, regalata come fu del florido collegio di S. Pio V, volle mostrare quanto ami quel gran benefattore dell'umanità e de' suoi figli, specialmente anche ora che carico di meriti e maturo pel Cielo sen volò a godere in seno a Dio il premio delle sue virtù.
« Parroco e parrocchiani si trovarono d'accordo in una sola aspirazione, e quando dalla bocca del degnissimo Pastore uscì la proposta di dare a D. Bosco una testimonianza della loro gratitudine, ciascuno l'accolse come l'espressione d'un voto proprio ascoso fino allora nel cuore. Martedì 13 corrente la snella e graziosa chiesa di Penango era in lutto : pareva una figlia che piange la partenza del padre! Quelle poche parole scritte sulla facciata dicevan tutto il cuore de' buoni terrazzani: I Penanghesi a D. Bosco !
«Il M. R. Sig. Teol. Sereno Prevosto V. F. di Calliano celebrava la santa Messa: i figli di D. Bosco e i giovanetti da loro educati prostrati intorno al catafalco recitavano con voce sommessa il Rosario.
« Che spettacolo ! Quella prece uscente dai vergini cuori di tanti giovani innocenti che domandava alla Madre celeste la corona di gloria pel figlio prediletto, il quale tanto l'amò in vita, ti andava fino al cuore.
« E i buoni Penanghesi, quantunque pressati dal lavoro della primavera, dimenticarono per quel mattino i proprii interessi per accorrere a tributare onori e ad innalzare preci per chi tanto li aveva prediletti ; e chi sulla cantoria con flebili note, e chi prostrato intorno all' altare, pregavano la pace dei giusti per Colui che una voce interna indicava già nella gloria celeste.
« Stupendo nella sua semplicità fu l'elogio funebre recitato dopo la Messa dal Salesiano Prof. Don Giacomo Ruffino. Egli coll' amore d'un figlio che ricorda le virtù del padre, dimostrò splendidamente che Don Bosco fu nel nostro secolo di apatia e di miscredenza l' apostolo della carità e della fede. Fu fatta un'elemosina da spedirsi al Superiore Generale dei Salesiani Don Michela Rua, onde concorrere a sostenere le opere di D. Bosco; e quantunque tutti fossero nel lasciarsi, concordi in un sol pensiero : Don Bosco è un santo che già gode la gloria del Paradiso ; pure tutti si sentivano in cuore la dolce soddisfazione d'aver fatto l'opera più doverosa, dando a tanto Benefattore un attestato della propria gratitudine.»
(Gazzetta di Casale, 17 Marzo 1888).
Peveragno (Cuneo): Quel Rev.do sig. Pievano D. Schez, fece un divoto funerale con discorso. Il popolo che conosceva D. Bosco nelle opere sue, concorse con molta divozione ad ascoltarne le azioni ed a pregare pel riposo dell'anima sua..
Piacenza : Nel collegio Masnimi si fecero funerali solenni e suffragi speciali. Quel buon Rettore che conosceva a fondo la santa anima di D. Bosco e la missione che aveva intrapresa per salvare la gioventù, ne fece un breve ma appassionato elogio. Parlando specialmente dei libri che D. Bosco compose per edificazione e per istruzione della gioventù, disse che egli meglio di tanti altri dovrebb' essere l'autore da aversi sempre nelle mani degli studiosi.
Pobietto : Per cura del parroco D. Pietro Bovio, in unione dei suoi parrocchiani quasi tutti Cooperatori salesiani, si cantò l'uffizio da morto con messa, e più un' offerta per gli orfanelli di D. Bosco.
Pocapaglia (Alba) : Per cura di quel Priore, D. Callisto Carretto, si fece un divoto funerale tra quei Cooperatori, ed altri suffragi per Don Bosco.
Poirino (Torino) : Nella Prioria della Madonna Consolatrice fu fatto un divoto funerale da quel Rev.do Rettore, nostro antico allievo, in mezzo a molto concorso di popolazione.
Quebec (Canadà inglese): Anche in quella lontanissima città dell' America del nord si volle fare un gran funerale. Siano rese sentite grazie a quei benemeriti Cooperatori che vi concorsero e che mostrarono tanta pietà verso D. Bosco.
Roma : Nella chiesa del S. Cuore cantò la messa Mons. Sallua Arciv. di Calcedonia con l'assistenza di cinque altri Vescovi. L'Em.mo Cardinale Parocchi nostro protettore ne fece l'assoluzione al catafalco. Come poche altre volte la chiesa era gremita di gente. Ne disse l'elogio funebre Mons. Manacorda, Vescovo di Fossano. La Civiltà Cattolica ne fa il seguente giudizio : « Della grand' anima di D. Bosco, fondatore dei Salesiani, chi altri meglio potea dettar l'elogio, che Mons. Manacorda, per altezza di mente , per bontà di cuore e per l'amicizia che legavalo all'illustre defunto, non secondo a niuno di quanti egregi e zelanti Pastori vanti l'episcopato subalpino ? E l'elogio è dettato come gli è venuto dal cuore, con verità, con affetto, e con grande semplicità di stile. Vi spicca sovratutto l' arte di avere saputo mettere in rilievo la virtù caratteristica di D. Bosco, la carità. »
Belle inscrizioni latine, dovute al p. Angelini, ornavano i quattro lati del feretro, ed una più grande sulla porta invitava il popolo a pregare per l'anima di D. Bosco.
Saliceto : Il buon cooperatore D. Stefano Salvatico fece un funerale con l'intervento di molto popolo.
Saluggia (Vercelli) Il Comitato parrocchiale e i Cooperatori insieme con lo zelante Parroco di questo paese cantarono una gran messa per Don Bosco. Il nostre Don Cerruti, nativo di Saluggia, ne disse l' elogio funebre davanti ad un popolo affollato e divoto, che nell'ardore dell'affetto mutò quella funebre funzione in una manifestazione di gioia, chiamandola la festa di D. Bosco !
S. Albano (Mondovì) : Nella parrocchia con gran concorso di popolo si fece un solenne funerale per suffragio dell'anima di D. Bosco.
S. Benigno Canavese: Nella chiesa monumentale del Card. delle Lanze cantò pontificalmente messa da requiem Mons. Leto Vesc. di Samaria, circondato da numeroso clero. Molto popolo delle vicine terre di Volpiano , Lombardore , Bosconero, Foglizzo, Chivasso ecc. coi rispettivi parroci, dei quali se ne contavano una ventina in cotta e mozzetta. Fu quel giorno una vera solennità : gli opifizi rimasero chiusi. Molte rappresentanze di operai cattolici, quella dei pompieri con le loro bandiere, tra le quali il Consiglio municipale, le scuola elem. ecc.
Ne disse l'elogio il Teol. Piano, curato della Gran Madre di Dio in Torino, facendo mirabilmente notare la vita di D. Bosco umile e caritatevole. Fu una corona di più alle tante di cui si onorò la memoria di D. Bosco.
(Continua)