ANNO XX. - N. 9 - Esce una volta al mese - SETTEMBRE 1896.
TRISTI EFFETTI DELLA CATTIVA EDUCAZIONE . . . 225
ROMA: - I giovanetti Argentini al Santo Padre 226
IL XV CONGRESSO EUCARISTICO AD ORVIETO ED IL CELEBRE MIRACOLO DI BOLSENA . 227 NOTIZIE DELLE MISSIONI : - EQUATORE: Conversione del Sommo Sacerdote degli Jivaros di Gualaquiza a 110 anni. - BOLIVIA: Da Challapata alla capitale Sucre e la seconda fondazione salesiana. - CALIFORNIA: Da Messico a S. Francisco. - PATAGONIA CENTRALE: Una visita agli Indii del Chubut . . . . 228
GRAZIE DI MARIA AUSILIATRICE . . . . 242 AI GIOVANETTI 245
ORATORII FESTIVI 246
NOTIZIE VARIE 49
BIBLIOGRAFIA 251
QUANTO Sono consolanti gli effetti della buona educazione, altrettanto terribili e spaventosi sono quelli dell' educazione perversa od anche semplicemente trascurata. Il fanciullo è, per la corrotta natura, talmente inclinato al male, che, ove per cattiva volontà o per negligenza venisse disgraziatamente assecondato in questa sua mala inclinazione, ci piomba in sì profondo abisso di miserie, da non potersene più in nessun modo rialzare; precisamente come avviene ad un albero lasciato crescere con qualche piega o gibbosità, induritosi che sia pel corso d'anni, si scavezza, piuttostochè lasciarsi raddrizzare. Consultiamo anche stavolta l'esperienza, questa maestra così eloquente nella sua mutolezza, e facilmente ci persuaderemo come pur troppo molti fanciulli trascurati o malamente educati nell'età primiera, divennero così malvagi, che in successo di tempo le sollecitudini più amorose, le cure più assidue non poterono più nè correggerli, nè migliorarli. La storia antica ce ne porge un esempio deplorevolissimo.
Dionigi, tiranno di Siracusa, avuto nelle mani il figlio del suo giurato nemico Dione, inventò contro il padre una vendetta quanto più dolce in apparenza, altrettanto più perfida e crudele. Invece di dannare a morte quel giovinetto, si propose di corromperlo e pervertirlo. Con tal mira gli pose d'attorno compagni maliziosi e scellerati, gli permise ogni sfogo più brutale, assecondò tutti i suoi capricci, favorì tutte le sue passioni, ordinando che nessuno contrariasse le sue voglie. Il giovane così sciolto, senz'alcun freno e ritegno, si diè in braccio ad ogni vizio più nefando e finì per precipitarsi nell' abisso più profondo di ogni scelleratezza. Quando il tiranno lo vide ridotto al segno da lui propostosi, lo rimandò libero al padre suo. Dione, trovatolo malvagio, lo mise subito nelle mani dei più esperti e savii maestri: egli stesso con tutto l'impegno, l'affetto e l'autorità di padre tentò ogni via per ridurlo sul buon sentiero. Tutto fu inutile: era troppo tardi. L'infelice giovane invece di correggersi e rompere le sue male abitudini, imperversò: e smanioso al vedersi contraddetto, sorvegliato e corretto, un giorno furibondo balzò dall'alto del palazzo, si sfracellò il capo e finì così miseramente la vita.
Oh! quanti di questi lugubri fatti succedono pur troppo anche ai giorni nostri. Ma donde si deve ripeterne la causa? Senza dubbio, il più delle volte, nella cattiva educazione ricevuta in gioventù!
San Basilio racconta come una volta si costumava di misurare i figliuoli nell'età di tre anni, affine di argomentare a quale altezza di statura erano poi per giungere fatti grandi; ritenendosi per esperienza che un ragazzo di tre anni fosse alto la terza parte di quello che sarebbe divenuto poi fatto uomo. Ed il Padre Segneri, ragionando sopra di questo fatto, prosegue a dire come ei si vorrebbe valere di una tal regola per indovinare, non la statura del corpo, ma la qualità dei costumi; ed osservando un fanciullo disubbidiente, indivoto, irriverente, malizioso, oserebbe affermare, senza timore d'ingannarsi, che sarà tre volte più insolente e più indivoto nella sua gioventù di quello che ora sia nell'adolescenza. Nè lo lascierebbe mentire lo Spirito Santo, il quale non solo dall'adolescenza argomenta la gioventù, ma ancora la decrepitezza. Il fanciullo non si allontanerà dalla strada che avrà preso, nemmeno quando sarà invecchiato (1).
« Dio guardi adunque, continua lo stesso celeberrimo oratore, Dio guardi che i vostri figli comincino negli anni più teneri a darsi al vizio! Regolarmente parlando, peggioreranno da giovani, e quel che è più, non si emenderanno da vecchi, a guisa di quei monti che covan fuoco, i quali, per quanta neve sopravvenga ad imbiancarli nella invernata, non lasciano però di ardere come ardevano a mezzo agosto. È troppo difficile che quei vizi, i quali sono cresciuti con noi dalla culla, muoiano prima di noi. Comunemente avviene ch'entrino sempre più addentro, che servano di midolla alle nostre ossa indurite e che vengano solamente a finire con noi nelle ceneri del sepolcro ».
Veramente aveva ragione quel misero condannato a morte, il quale presso a salire il palco fatale, veduta tra la folla la madre sua piangente, fattala a sè venire come per dirle un'ultima parola in confidenza, rabbiosamente strappolle l' orecchia coi denti, e rimproverandolo il carnefice di sì barbaro atto: « Madre disgraziata! esclamò ad alta voce; voi siete colei che mi ha procurato il laccio che ora deve finire i miei giorni. Se mi aveste corretto, quando mi vedevate a fare il ladroncello in casa; se mi aveste castigato, quand'io frequentava malvagi compagni, io non sarei arrivato a questo punto. A voi io son debitore di questa suprema sventura. »
Per carità, riflettiamo, Cooperatori e Cooperatrici. Non sia mai che, colla nostra negligenza e spensieratezza, per non dir colla nostra cattiva volontà, noi ci facciamo i carnefici dei nostri figli. Ricordiamoci sempre che il loro avvenire, vale a dire la loro felicità od infelicità temporale ed eterna, dipende dalla prima educazione che ricevono in famiglia. Sia adunque essa buona, seria, sodamente cristiana; e così vedremo una generazione fortunata, che lungi dal maledirci, ci benedirà anche al di là della tomba.
(1) Prov. XXII, 6.
I GIOVANETTI delle varie Case Salesiane sparse nella vastissima Repubblica Argentina, coglìendo la propizia occasione che D. Valentino Cassini veniva in Italia per ristabilirsi in salute, l'avevano incaricato di portare al Sommo Pontefice, per l'Obolo di S. Pietro, la tenue offerta fra di loro raccolta di trecento e una lira in oro, quale pegno dell'immenso affetto e della profonda venerazione ch'essi nutrono pel Papa, educati, come sono, alla scuola dei Figli di Don Bosco.
D. Cassini potè essere ammesso all'udienza del Santo Padre il giorno 26 luglio scorso, dopo aver in quel mattino assistito pure alla sua Messa.
Sua Santità Papa Leone XIII, ricevendo quell'umile offerta, con compiacente sorriso: - Oh! dite, esclamò, dite a quei cari gìovanetti che io li ringrazio e li benedico di cuore. - Poi rivolgendo il suo pensiero ai loro educatori: - I Salesiani, disse, li conosco bene.... Lo so che lavorano molto e che fanno un gran bene alla gioventù cogli Ospizi e coi Collegi ed agli indigeni colle Missioni. Benedico quindi di cuore ai Salesiani, ai loro alunni ed a tutti i loro Cooperatori e Cooperatrici ! -
La benedizione del Vicario di Gesù Cristo valga a noì tutti, Salesiani , Cooperatori e Cooperatrici, di conforto e di sprone a lavorare sempre più alacremente alla maggior gloria di Dio ed a salvezza di tanta povera gioventù.
ogni parte d'Italia e dell'estero si accorre in questi giorni alla città di Orvieto, sede del XV Congresso Eucaristico. Egregiamente promosso da quell'Ecc.mo Vescovo Mons. Bucchi-Accica e dall'ottima Commissione a tal uopo da lui costituita, con isplendore più unico che raro si tiene sotto l'alta Presidenza Onoraria dell'Eminentissimo Cardinal L. M. Parocchi, Vicario di Sua Santità, coll'intervento di alcuni altri Em.mi Cardinali, gran parte dell'Episcopato italiano, e colla partecipazione di numerosa schiera d'illustri personaggi sì del Clero che del Laicato Cattolico. I giorni 5, 6, 7 e 8 del corrente mese saran segnati a caratteri d'oro nei fasti della storia orvietana. Per le vie, nelle chiese di quella città ospitale dei Papi s'affollano devoti pellegrinaggi, provenienti da ogni punto d'Italia e di fuori, i quali, prostrati innanzi al S. Corporale, una delle più grandi meraviglie compiute dall'amore di Gesù vivo e vero nel SS. Sacramento e che conservasi in quel gioiello di Duomo, si sciolgono in inni di gloria, di gioia e di benedizione al buon Dio. È un nuovo spettacolo grande e consolantissimo di fede e di amore verso di Gesù Sacramentato!
Ed il S, Padre Leone XIII, assecondando la pietà de' fedeli, con suo Breve del 1° luglio scorso accordava in forma di Apostolico Giubileo pienissima indulgenza e remissione di tutti i peccati a coloro, che, entro lo spazio di tempo che corre dal 3 agosto fino all'ultimo inclusive del prossimo ottobre, confessati e comunicati, visitano tre volte la Basilica cattedrale orvietana, o nello stesso giorno o in giorni distinti, pregando ivi per qualche tempo il Signore per la libertà ed esaltazione della Santa Madre Chiesa, per la pace e l'unità del popolo cristiano, per la conversione de' peccatori e secondo la sua intenzione, e a titolo di elemosina contribuiscono qualche cosa per i poveri o per un'opera pia. Per gli Orvietani è di più prescritto il digiuno di un giorno. Quest'indulgenza è pure applicabile alle Anime Santo del Purgatorio, e può acquistarsi nuovamente dal 1° al 15 inclusive del futuro novembre nella vicina città di Bolsena, adempiendo fedelmente a tutte le condizioni stabilite per la città di Orvieto, ad eccezione della chiesa da visitarsi tre volte, la quale sarà quella di S. Cristina, illustre per il sepolcro di questa Vergine e Martire e per la memoria dell'insigne prodigio quivi avvenuto.
Correva l'anno 1263, ed all'altare di S. Cristina, detto della Pietra, in Bolsena saliva un giorno a celebrarvi i divini misteri un sacerdote, che pellegrinava di Germania alla tomba dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Costui era da qualche tempo in gran lotta di spirito, a cagione di molte dubbiezze che gli si affollavano in mente intorno alla verità della presenza reale di Gesù Cristo nel Sacramento dell'Eucaristia, e a fine di esserne liberato, aveva intrapreso sì lungo e divoto pellegrinaggio. Or giunto che fu con la Messa alla frazione dell'Ostia sul calice, vide l'Ostia sacrosanta mutata in forma di viva e vera carne, e tutta rosseggiante di sangue, che gocciolando cadeva sul calice, sul purificatoio e sul Corporale. Solo la parte che premeva fra le dita non avea subìto alterazione; e ciò dimostravagli chiaro che l'Ostia mutata in carne era precisamente quella da lui consacrata.
Stordito al prodigio, tentò di occultarlo, avvolgendo l'Ostia santa nel Corporale, che piegò e ripiegò, anche per nascondere le macchie di sangue, onde era asperso. Ma il prodigio sempre più cresceva a' suoi sguardi. Ed ecco apparirgli chiaramente visibile in ogni goccia di sangue, caduta sul Corporale, l'immagine dell'Ecce Homo, ossia del Volto Santo di Gesù, coronato di spine. Confuso allora e tremante, non osò più andare innanzi: coprì il calice con la patena, vi pose su il Corporale e portò ogni cosa in sagrestia. In questo suo passaggio caddero alcune goccio di sangue sul pavimento della chiesa e ne restarono asperse cinque pietre di marmo. Collocato il sacro mistero nel luogo e modo più sicuro e decente che in quel momento si potesse, il sacerdote corse difilato alla vicina Orvieto, ai piedi del Sommo Pontefice Urbano IV, che colà si trovava colla sua Corte, narrò il fatto, disse le sue colpe, ne chiese il perdono e l'ottenne.
Allora il Pontefice trovandosi in mano un grande tesoro, ordinò al Vescovo d'Orvieto di recarsi immediatamente a Bolsena e di là portarsi seco il Corporale. Il Vescovo Giacomo ritornava col grave incarico, quando sul ponte di Riochiaro lo andò ad incontrare Papa Urbano, che, inginocchiato a terra, ricevè nelle sue mani il miracolo, e fra i pianti della divozione, tra i cantici e i tripudii di una gioia che non ha confine, in mezzo ad una folla di popolo strabocchevole, seguìto da' suoi Cardinali e Ministri, dal Vescovo, dal Clero e dai Magnati della città, in gran trionfo, portò e depose quel venerabile Sacramento nel sacrario della maggior chiesa orvietana, regalando ad Orvieto l'inestimabile tesoro del Cielo.
Questo stupendo prodigio, cui fu testimone l'immensa moltitudine dei due popoli di Bolsena e di Orvieto con alla testa il Papa, i Cardinali, l'intera Corte Pontificia ed il Vescovo Orvietano d'allora, fu quello che ha determinato Papa Urbano IV a istituire di precetto nella Chiesa la nuova solennità del Corpus Domini colla sua Bolla Transiturus dell'11 agosto 1264; solennità che con insolita pompa e splendore non più visto aveva celebrata egli stesso pel primo col popolo e clero orvietano il 19 giugno di quell'anno stesso, e nella quale per la prima volta era risuonata sulle labbra dei sacerdoti e del popolo, nella cattedrale e per le vie di Orvieto, quella poesia d'ineffabile dolcezza dell'Ufficio divino composto dall'Angelico S. Tommaso.
Questo medesimo prodigio, confermatoci da ogni sorta di monumenti, e particolarmente dal preziosissimo artistico Reliquiario, che venne costrutto a custodire l'Ostia Santa ed il S. Corporale bagnato del sangue di Gesù Cristo, e dal magnifico Duomo d'Orvieto, vera meraviglia dell'arte cristiana, fabbricato per conservare l'uno e l'altro tesoro, fu pur quello che mosse l'Episcopato Umbro a proporre Orvieto per questo XV Congresso Eucaristico.
È desso sicuramente un'attrattiva potente pel cuore dei cattolici, i quali vi accorrono infatti numerosi a rinvigorire colà la propria fede, a godere degli effetti benefici della misericordia di Dio, a supplicare la Divina Bontà per sè, per le proprie famiglie, per la patria, a sciogliere un cantico nuovo, pieno, caldo d'amore a Gesù Sacramentato, da cui solo la società in rovina può sperare salvezza e da cui la Chiesa Cattolica fiduciosa aspetta il suo trionfo.
EQUATORE
Il Sommo Sacerdote degli Jivaros di Gualaquiza che si converte a 110 anni.
(Lettera di D. Francesco Mattana). AMATISSIMO PADRE,
Gualaquiza, Gennaio 1895.
QUESTA mia le porterà una delle più belle e consolanti notizie, che sarà certo udita con piacere da tutti i Salesiani e da tutti i benemeriti Cooperatori e Cooperatrici nostre; ed è la conversione ed il battesimo del Sommo Sacerdote della Jivaria di Gualaquiza, venerando vegliardo di circa 110 anni. Oh! come palpitò di gioia il mio cuore, o venerato Padre, quando potei versare su quel capo le onde battesimali! Questa sola consolazione basterebbe a ripagare ad usura tutti i sacrifizi del povero Missionario.
Taita Cura Shacayman (tale era il nome di costui) fin dal tempo del nostro arrivo fu uno dei più affezionati ai Missionari, dimostrando questo e con le frequenti visite e con qualche regalo di yuca, platano, perma, chonta, incenso, ecc. Fece battezzare tutti i suoi figli, ed a sua lode devesi anche notare che, a diversità della gran maggioranza de' suoi connazionali, egli non praticò mai la poligamia simultanea. Doveva però sempre assistere in qualità di sommo sacerdote alle varie feste degli Jivaros, compiendovi le barbare cerimonie proprie di questi popoli e delle quali già altra volta s'è parlato sul Bollettino. Nelle visite che ci faceva, assistendo a qualche Battesimo e sentendo a spiegare che quelle sante acque mondano l'anima, in modo che morendo in quello stato essa va al Paradiso a godere la vista di Taita Dios, gli venne desiderio di farsi battezzare, ma in fin di vita, per esser più sicuro di non commetter più peccati e poter così subito volare al Paradiso. Io avrei, certamente desiderato di poterlo istruire almeno nelle cose più essenziali e battezzarlo presto, perchè così cessasse dal prender parte alle feste jivare e servisse di buon esempio per gli altri; ed anche perchè quasi tutte le tribù di Jivaros muoiono uccise a tradimento nelle frequenti loro lotte fratricide; ma egli, con l'incostanza propria di questi selvaggi, non si determinava mai a fermarsi almeno per una settimana presso la Missione.
Il Signore però aveva anche per lui stabilito il giorno della misericordia. Taita Cura Shacayman s'ammalò per modo che non potè più venire a trovare il Missionario e neanche prendere parte alle feste della sua tribù; e vedendosi peggiorare di giorno in giorno e che a nulla valevano le medicine dei suoi brújos o medici jivari, mandò alcuni di sua famiglia ad avvisarmi di sua malattia, perchè andassi a guarirlo. Come sempre si fa quando si va a visitare cristiani od Jivaros ammalati, presi meco delle medicine, ed arrivato alla casa di lui, vi fui ricevuto con gioia. Gli diedi qualche bibita e gli medicai un piede che aveva assai gonfio , ed intanto gli dissi di prepararsi pel Battesimo e che di lì a qualche giorno sarei ritornato, avendo chiaramente conosciuto che quella era l'ultima sua malattia.
Alcuni giorni dopo corrono alla nostra casa parecchi Jivaros dicendo: - Padre Francisco, pronto veniendo. Taita Cura Shacayman bautizando, porquè pronto moriendo pensando : Presto, presto, Padre Francesco, a battezzare Taita Cura Shacayman, perchè sembrare dover morire tosto. - Accorsi in fretta con tutto il necessario pel S. Battesimo; e pel desiderio di abbreviare la via, scegliemmo un cammino per vie pessime. Arrivato finalmente tutto sudato e trafelante alla casa di lui, vi fui da tutti ricevuto con grande soddisfazione. Il povero Taita Shacayman, già estenuato pel male e per la vecchiaia, o meglio per la decrepitezza, mi abbracciò e mi baciò la mano, dicendomi colle lagrime agli occhi: - Padre Francisco, yo macho à vos querendo medicinas no voliendo... yo ya pronto moriendo, bautizando querendo... con Taita Dios jendo: Padre Francisco, io amarvi molto... non voler medicine, già presto morire, volere battezzare e andare con Padre Iddio. - Gli feci alla meglio capire le cose più essenziali della religione, e quando mi parve di averlo ben preparato, messami la cotta e la stola e preparato sopra una vecchia tavola tutto l'occorrente, diedi principio alle sacre cerimonie ed esorcismi che il Rituale prescrive pel Battesimo degli adulti. Faceva da padrino il mio maggiordomo Giovanni Loyola, ed erano presenti due brujos o medici indii, gli Jivaros Naranza e Juambachi ed altri moltissimi, che riempivano la camera. Era una delle scene più commoventi! Quando arrivai alla domanda se rinunziava al demonio, alle vanità del mondo, ecc. ed egli ripeteva la risposta data dal padrino con voce appena intelligibile, non potei frenare le lacrime di tenerezza, perchè mi pareva che fosse il vecchio Simeone che ripetesse il « Nunc dimittis. » Quanti pensieri poi mi si affollarono alla mente, quando versai sopra di lui le acque salutari e pronunzai le parole della spirituale sua rigenerazione! Ecco un' anima per tanti e tanti anni schiava del demonio, ed ora bella come un angelo. Oh! come la Corte celeste esulterà in questo istante! Come invece dovrà per rabbia fremere l'Inferno! Quanto esulterà dal Cielo il nostro buon Padre D. Bosco. E S. Giuseppe e S. Antonio quanta cura si piglieranno di quest'anima, che viene loro consacrata coll'imposizione dei loro nomi ! E Maria SS. Ausiliatrice, protettrice di tutti i Salesiani e delle loro Opere, ma specialmente della nascente città di Gualaquiza, come si prenderà cura di questa nobile e degna conquista del suo materno amore!
Dopo il Battesimo, il fortunato vegliardo sopportava non con rassegnazione solamente, ma, direi, con allegria i travagli della sua penosa infermità, ed insisteva presso i suoi perchè non si affliggessero per la vicina sua morte. Infatti non passò un mese, e Taita Shacayman spirava la sua bell'anima dopo avere nel frattempo edificato tutti colla sua pietà e divozione, ed andava al Paradiso a benedire la misericordia del Signore che all'età di 110 anni lo aveva voluto salvare, e la carità dei Cooperatori e Cooperatrici Salesiane, la quale ha dato i mezzi al povero Missionario di D. Bosco di poterlo avvicinare e battezzare. Oh! continuino questi buoni Cooperatori e fervorose Cooperatrici ad aiutarci colle loro preghiere e colle elemosine, di cui abbiamo bisogno. Ed ella, amatissimo Padre, non dimentichi i suoi figli di Gualaquiza, e specialmente chi se le professa
Umil.mo ed Obb.mo Figlio in G. C. Sac. FRANCESCO MATTANA.
BOLIVIA. Da Challapata alla capitale Sucre e la seconda fondazione salesiana.
(Lettera dl S E. Rev.ma Monsig. Costamagna).
(Seguito dal Numero precedente)
NEL partire da Challapata ci fu dato per guida dal Signor Baptista il buon tenente Vidaure, il quale precedendoci, colla sua mantelletta di color rosso fiammante, ci dava l'aria d'una staffetta reale. - Dopo percorsi 35 chilometri fummo al tambo (posta) di Ancacato. Avevamo appena preso un boccone, quand' ecco arrivar gente da tutte parti, portandoci bambini da cresimare. Non ci fu possibile accontentarli, per aver perso nel trottare il vasetto del Sacro Crisma. Fu questa una vera disgrazia!
Risalimmo sulle mule dalla schiena di acciaio; alle tre eravamo al tambo di Vilcapugio ed alle otto di sera all'altro di Tolapalca.
Una notte disgraziata. -Buon cuore e viva fede degli Indii Aimarà. - Una leggenda ed una storia contemporanea.
Arrivammo mezzo disfatti. Erano circa ottanta i chilometri percorsi in quella prima giornata sopra mule. Il buon tenente ci calò giù uno per uno dalle stanche bestie, e ci adagiò come morti sopra certe pelliccie dianzi preparate. Quindi si fece un po' di cena, ma quasi nessuno alzò la mano per chieder cosa alcuna. Passammo la notte in quella capanna tutti accovacciati l' un vicino all'altro. Ma che notte ! Chi gemeva, chi vaneggiava per la febbre detta macurca, chi si lagnava perchè le gambe facevan sangue. Fu davvero una notte disgraziata quella di Tolapalca.
Al mattino seguente, 13 marzo, mentre ci sforzavamo per rimontar sulle nostre mule, ecco sbucar dalle loro, vorrei dire tane piuttosto che capanne, un'infinità di donne e fanciulli coi folti capegli tutti scarmigliati e colla ruggine sulla faccia. Non credo di sbagliarmi dicendo che quei poverini non siansi mai lavati dacchè vennero al mondo! E che volevan dessi? La benedizione ed una medaglia. Li accontentammo. Ma appena alcuni di essi sapevan fare, e assai male, il segno della Croce! Dovetti ripetere quanto avevo già detto un sei anni fa, passando per questi stessi luoghi. Ah! se vi fosse un bravo Missionario, che visitasse continuamente questi tambos, quanto bene farebbe!
Verso mezzogiorno arrivammo a Lagunillas, paesello d'indiani, situato presso certe piccole lagune, dove, sei anni fa, alcune donne mi avevan presentato dei carboni accesi, quasi ad una divinità. Ma questa volta la scena fu davvero consolante. La campanella della torre della chiesuola, la qual torre misura circa tre metri d'altezza, suonava a festa, e tutti gli uomini delle vallate circostanti, coi loro Cacichi alla testa, armati dell'indispensabile bastone del comando, ci eran venuti all'incontro. Peccato che parlavano in aimarà così serrato, che appena essi dovevan capirsi. Ci condussero alla lor cappella, dove appena una volta l'anno vedono un prete che viene a dire la Santa Messa. Quivi accesero molte candelette intorno ad un Crocifisso, assai bello, ma vestito da indio, cioè con un gran berretto fregiato d'oro, che gli copre la corona di spine. Poi per mezzo di un interprete mi fecero capire che loro predicassi. Ma come fare, se non sapevo una parola d'aimarà? In buon punto guardai quel Crocifisso, e l'indicai colla destra. A quell'atto molti esclamarono: Jesu Cristo! ... Allora io per mezzo dell'interprete feci loro fare l'atto di contrizione, poscia impartii la benedizione episcopale.
Mi distaccai da loro col cuore stemprato in lacrime, non senza benedire i varii ammalati che mi presentarono con somma fede. Ero già distante circa un miglio, e correvo per raggiungere i miei confratelli ; ma quei buoni Indii eran sempre là, sull' alta spianata della chiesuola, che mi guardavan fissi e mi inviavan teneri saluti. Che siate per sempre benedetti i miei cari Indii di Lagunillas !
Verso la sera dello stesso giorno, dopo aver passato senza pericolo il Rio Grande, giungemmo al tambo detto Leñas. Gli Indii ci avevano spianato alquanto il cammino, che per le tante pioggie si era reso pressochè impraticabile, e ci vennero all'incontro in processione, vestiti tutti quanti d'un poncho uniforme, che le loro mogli sanno e tessere e tingere a perfezione. Tutti vennero al bacio dell'anello, implorando una benedizione; ma poveretti! quasi nessuno seppe fare il segno di Croce!
Prima ancora che spuntasse l'aurora del dì seguente, 14 di marzo, io, per guadagnar tempo e poter dir un po' di breviario non appena spuntasse la luce, pregai un Indio che m'indicasse un' accorciatoia che mi conducesse alle cime del vicino monte, sulla cui vetta sarebbero poscia passati i miei compagni di viaggio. Subito s'offrirono ad accompagnarmi non uno , ma una ventina di Indii, tutti col cappello in mano. Il sentiero era aspro e tortuoso, ma la stella del mattino ci brillava davanti quasi luminoso faro. Tutto ad un tratto i miei Indii si fermano, e un di loro, avanzandosi verso la porta d'una cinta, comincia a sfondarla, gettandone a terra le pietre. - Che cosa è mai questo? Dove mi conducete voi, chiesi allora alquanto sospettoso. - Panteòn, Tatai ! al Cimitero, Padre! -Ciò detto mi si fanno ai panni, e con voci supplichevoli: - Tatai, mi dice uno, un responcito per Maria mia moglie! -Un responso per mia figlia Antonia, Tatai - mi dice un altro. E tutti volevano una preghiera e m'offrivano un realito (10 soldi), per ogni preghiera che dicessi. Non volli nulla. Recitai quante preghiere da requiem sapevo a me moria, benedissi quei defunti ed i loro amici ancor vivi, e mi allontanai di là commosso, ripetendo col buon Chierico Francesco Iano, che mi accompagnava, le parole evangeliche : Non inveni tantam fidem in Israel.
Verso le 10 antim. scendevamo a piedi un orribile pendio d'un'alta montagna, cercando invano di abboccarci coi timidi pastorelli di llamas, i quali al vederci da lungi, correvano a nascondersi dietro ai massi enormi del monte, oppure fra piccoli boschetti di cactus, che rigogliosi spuntano fra i crepaccci di quegli immensi macigni. Verso le 12 eravamo al tambo Locaya. E qui di nuovo un accorrer di Indii e un tempestarci di domande e di benedizioni. Ben presto risaliamo il monte, ne percorriamo rapidamente la lunga china opposta, e ci sprofondiamo nell'aprica valle di Totora, ricca di granturco, frumento, patate e legumi d'ogni genere, e seminata ad un tempo da villini assai considerevoli. Sul far della notte, stanchi a morte, ci gettiamo a terra nel tambo di Tarapaya.
Il giorno dopo, domenica 15 di marzo, guadato il fiume vicino, detta la S. Messa ed amministrata la S. Cresima a quei della piccola parrocchia di Tarapaya, movemmo alla volta della famosa spaccatura (quebradra) di S. Bartolomeo, già da me descritta nell'altro mio viaggio in Bolivia. Questa volta la trovai molto deteriorata. Le passate pioggie distrussero muraglioni e dighe, nè altro lasciarono in piedi che i sette ponti, fabbricati ancor dagli antichi Spagnuoli. Una flotta di Indii ci apriva la via, colà dove una grossa frana ce l'aveva letteralmente sbarrata. Alle 10 antim. eravamo già alla borgata Sant'Antonio; e qual non fu allora la nostra meraviglia, quando ci vedemmo venir all'incontro il Prefetto e l'Intendente della città di Potosi, che distava ancor ben cinque chilometri, insieme con molti altri signori, i quali ci avevano improvvisato lì per lì un pranzetto sic!!? Era appunto quello, di cui avevamo bisogno dopo un tanto strapazzo.
Durante il pranzo il Sig. Intendente (ossia Delegato di Pubblica Sicurezza) ci narrò fra le altre cose peregrine, come in quei luoghi romantici egli avesse tentato di scoprire l'antica dimora di un certo famigerato Rocha, che, nello scorso secolo, dentro le viscere del vicino monte batteva moneta falsa, e che, per mezzo dei suoi sicarii, che soventi volte sbucavano da quella bolgia, vestiti da diavoli, trascinando nella oscura buca i mal capitati Indii che per colà passavano, non lasciava mai mancar il contingente di braccia necessario pel suo infame lavoro. - Quel terribile Rocha, aggiungeva l'Intendente, fu poi preso dalla Polizia e giustiziato; ma allora la sua moglie, una vera megera, si chiuse dietro le spalle la porta di quella buca formata d'un grande masso a ciò preparato, seppellendo così se stessa e quanti infelici abitavano quell'antro, e facendo perdere allo stesso tempo ogni vestigio di quella fatale dimora. I miei Indii, continuava l'Intendente, lavoraron per alcuni giorni, ma poi si ribellarono e fuggirono tutti, pel timore che sbucassero ancora gli stessi diavoli , che avevan portato via i loro antenati nel passato secolo.
Quando il buon Intendente ebbe finita la sua leggenda-tradizione, io cominciai una storia contemporanea. Narrai come, un sei anni or sono, essendo io entrato notte tempo nella città di Potosi , che in quei giorni era in istato di assedio, poco mancò che un certo Intendente, avendomi scambiato per un altro Reverendo, non mi mettesse ai ferri corti, e come la Divina Provvidenza bellamente avesse disposto che lo stesso bravo Intendente fosse il primo a venire a ricevere in nome della nobile Potosi quello stesso Reverendo, tornato adesso Reverendissimo. Si finì con una solenne risata ed una stretta di mano da veri amiconi.
Imponente accoglienza a Potosi. - Tragitto del Pilcomayo. - Nella valle del pepe. - Di sorpresa in sorpresa.
Frattanto un gran numero di signori Potosini erano scesi dal Colle Imperiale chi a cavallo e chi in carrozza e circondavano Sant'Antonio. - Vi credevate di farla franca, cari Salesiani, disse allora il buon Prefetto, signor Navarro, ma dovete sapere che Potosi è la città più alta del mondo; di là noi vediamo tutto quanto passa in questa sfera sublunare, e per conseguenza tutto quanto van macchinando contro di noi i nostri amici. - E così dicendo mi porge uno stampato, col quale s'invitava tutta Potosi a prender parte al solenne ricevimento, che le Autorità ecclesiastiche e civili volevano fare ai Figli di Don Bosco, incominciando a S. Antonio, e designando le contrade per dove passerebbe il corteggio e il modo di esternare la comune esultanza. Senza più cominciammo tutti insieme la lunga e rapida salita, ed a misura che ci avvicinavamo alla città, ingrossavano le file dei cavalieri, che sì spiegavano a destra ed a sinistra gridando Evviva! Arrivati ai ruderi dell'antica Villa Imperiale, che un dì contava circa 200 mila abitanti, spuntaron da ogni parte giovanotti e ragazzi innumerevoli, gridando anch'essi Viva i Salesiani! Ma ecco un nuovo spettacolo. Le cime dei monti che coronano la città di Potosi paiono diventate vive. È il gran popolo di Potosi che colà gremito, fremendo di gioia, dapprima osserva, poi si precipita qual'immensa fiumana giù giù per la china verso di noi , rintronandoci con incessanti ovazioni.
Alle porte della città incomincia la fanfara, a cui fanno eco musiche da ogni parte, e tosto da ogni finestra e balcone cade sopra di noi una fitta pioggia di fiori naturali o finti. La nostra situazione si fa allora ben critica. Ad ogni piè sospinto un cavallo si spaventa, s' imbizzarrisce, s'impenna. Ma, la Dio mercè, nessuna disgrazia. La fiumana di popolo finalmente si riversa nella gran piazza, e là sulla gigante scalinata del tempio, forse il più bello d'America per la sua architettura, v'e tutto il clero secolare e regolare rivestito dei sacri paramenti. Ma invano avremmo noi tentato di colà penetrare, se una doppia fila di soldati con baionetta in canna non ci avesse aperto il cammino.
Dopo il solenne Te-Deum, la Benedizione col Santissimo e due parole mie di ringraziamento, per uscire ci volle un vero miracolo, avuto riguardo all'impetuosa fiumana di quell'immensa moltitudine, che faceva ressa per venir a baciare l'anello vescovile.
I buoni Padri Francescani, tutti italiani, ci accolsero da veri fratelli. Dimorammo due giorni in una casa contigua al convento, che il Governo ci aveva preparata, ma non ci fu verso di poter riposare. Cominciai ad amministrare la S. Cresima ai poveri ammalati. Ed allora una turba infinita venne ad assediarmi in chiesa ed in casa. Le vie attigue erano una massa compatta di gente, che aveva il coraggio di stare dalle 7 antim, alle 3 1/2 pom. senza muoversi per essere cresimati. Invano si diceva loro: - Andate a casa, il Vescovo è stanco e deve partir per Sucre; al suo ritorno vi cresimerà poi tutti. - Era un parlar ai sordi. Ad ogni costo volevano ch'io mi fermassi a cresimarli tutti. Non potendo accondiscendere a questo loro pio desiderio, perchè eravamo attesi, alla capitale, supplicai il signor Prefetto che annunziasse nei pubblici fogli come io prometteva di fermarmi a tal uopo nel mio ritorno da Sucre. Così fu fatto. Solamente allorchè videro un tal annunzio stampato, quella buona gente credette e si ritirò tranquilla alle proprie case.
Al 18 marzo, sempre preceduti dal buon tenente Vidaure, calammo da Potosi, e alla tarda sera di quello stesso giorno fummo generosamente accolti dall'ottimo signor Anna Tapia nel piccolo villaggio di Mójotorrillos. Nella notte si amministrò la S. Cresima agli Indii del villaggio ed a quei della vicina Parrocchia di Bartolo, con somma consolazione del loro buon Parroco, il quale, al mattino seguente, 19 marzo, dopo la S. Messa, che celebrammo alle 3, ci volle accompagnare a cavallo fino a tanto che spuntò il sole.
In quel giorno S. Giuseppe ci pagò davvero la festa. Dovemmo fare ben 75 chilometri, valicare ben cinque montagne altissime aventi i loro profondi valloni non scevri di pericoli, e attraversare il fiume Pilcomayo, sempre pericoloso in questi tempi. A questo punto Vidaure ci mise tutti in fila, quasi incatenati l'uno coll'altro, ponendosi egli stesso alla testa, e poi giù nell'acqua. La corrente era rapida assai, il pericolo imminente, ma Vidaure alla testa della colonna gridava a squarciagola: - Non guardino in basso, ma guardino il cielo! - L' obbedimmo, e in pochi minuti ci trovammo tutti incolumi all' altra, sponda. - Così è da farsi col mondo, ben più terribile del Pilcomayo, disse allora alcuno di noi: miriamo sovente il Cielo che ci aspetta, ed il vorticoso mondo non avrà forza per trascinarci nelle sue onde di morte.
Passato il Pilcomayo penetrammo in una valle tutta piena di alberetti producenti il pepe e chiamati molle. Questa regione a tutta prima ci pareva disabitata; ma essendoci fermati alcuni istanti per prender fiato, udimmo da tutte parti delle voci strane... un gridare.... un chiamarsi a vicenda in lontananza... ed in pochi minuti vedemmo spuntare di qua e di là correndo giù dal monte uomini, ragazzi e donne coi loro bambini al braccio o legati dietro le spalle. Le donne quasi tutte portavano sul petto uno, due ed anche tre cucchiai d'ottone, che col manico acuto servon di fermaglio ed anche di ornamento, quando non sono affatto sudici. In breve fummo attorniati. Quanta fede in quella povera gente: senz'altro s'inginocchiano, vogliono una medaglia, una benedizione per sè, pei loro cari bimbi, che mi presentano tremando d' emozione. Non tutti sanno fare il segno della Croce, e tanto meno pregare; ma desiderano d'essere cresimati. Promisi loro che potendo, al mio ritorno, avrei fatta la solenne funzione della Cresima sotto al più bell' albero di pepe che vi fosse nella vallata, e rimasero assai contenti.
Sul far della notte giungemmo a Calera, casa di campagna dell'Ex-Presidente della Repubblica, Sig. Aniceto Arce, il quale, conscio del nostro arrivo, ci aveva mandato all'incontro il suo nipote Luigi Argandoña, con ordine di trattarci squisitamente, come fece infatti. Appena messo piè a terra, mi si presenta un Sacerdote. Oh! dolce sorpresa! Era il buon Padre Huerta, mio amico da lunga data, religioso Filippino di Sucre, che, non curando i suoi settant' anni , ci era venuto ad incontrare ad una giornata di cammino.
Il giorno appresso, 20 marzo, scendemmo a celebrar la S. Messa nella Parrocchia di Iotála, dove l'intera popolazione ci accolse con fiori, cantici e declamazioni, Ripartimmo sulle mule passando nel letto del fiumicello chiamato dal nome del paese stesso. Ma non avevamo ancora fatti cinquecento metri, quando spuntarono nel tortuoso alveo del fiume alcune carrozze. Erano il Ministro di Pubblica Istruzione, Vincenzo Ochoa, Monsignor Taborga ed altri cospicui personaggi, che con tanto disagio vollero essi pure farci sì grata sorpresa. Lasciammo tosto le mule, ed entrammo in carrozza. Un po' più in là apparve un altro gruppo di carrozze. Era lo stesso Sig. Aniceto Arce, uomo che passa d'assai la settantina, il quale veniva ad obbligarci a far sosta nella sua villeggiatura detta La Florida, per rifocillarci ed assettarci un poco prima d'entrare nella capitale della Bolivia. L'obbedimmo ben volentieri, tanto più che a motivo del sole cocentissimo, dei venti e della polvere, noi sembravamo altrettanti Gabaoniti.
Trionfale ingresso nella capitale. I Salesiani si mettono al lavoro. - Come si celebra in Sucre la Settimana Santa.
L'entrata in città era stata fissata dal Sindaco, Sig. Carlo Arce, figlio del prelodato Sig. Aniceto, per la una pom. Ma a mezzogiorno tutto il tratto non breve fra La Florida e Sucre era già ripieno di gente. Alle carrozze succedono carrozze, ad una musica bellissima fa eco un' altra più bella ancora. Gli Onorevoli Ministri del Sapremo Governo muovono essi pure all'incontro, alcuni in rappresentanza dell'Illustr.m° Sig. Baptista, Presidente, alquanto indisposto di salute, il quale è ansiosissimo di vedere quelli che egli chiama i suoi Salesiani. Vengono i Canonici della cattedrale , i quali mi danno la dolorosa notizia che il degnissimo Arcivescovo, Mons. Pietro de la Llosa, è là inchiodato dal male su d'un seggiolone, che aspetta impaziente i Figli di D. Bosco, che egli pure chiama suoi figli.
Il corteggio intanto, movendo lentamente, è giunto alla porta della capitale. Tutta Sucre si è riversata nelle sue strade diritte e spaziose, e il cielo dell'antica Chuquisaca, che è forse il più bello del mondo, par che siasi ammantato più solennemente in quell'istante. Cominciano le ovazioni, che impediscono di udire i complimenti fatti dai bravi Maestri ed Alunni delle Scuole Comunali; poscia succede una tremenda pioggia di fiori, di mazzolini, di ghirlande. Da ogni finestra, da ogni balcone viene fuori un'ondata, un diluvio di petali volanti ed olezzanti. Il cocchio si è già ripieno, si è coperta tutta la persona fino agli occhi ed è mestieri sbarazzarsene del continuo per non rimanere soffocati; ma la pioggia di fiori continua diluviando.
Splendidissima fu l'entrata in Potosi, ma questa di Sucre la supera di certo. Gli Onorevoli Ministri ed il Sig. Arce, che mi accompagnavano, ripetevanmi sovente : - Monsignore, alzi la mano e benedica; non vede quanti chiedono la benedizione? - Ma come si fa alzar la mano, se questa è continuamente imprigionata tra i fiori?
Arrivati alla Piazza Maggiore, per poter entrare nel Duomo fu mestieri anche qui della forza armata. Dopo il solenne Te-Deum e la Benedizione, parlai all'immensa folla, ringraziando, com'era nostro dovere; quindi di nuovo in mezzo alle baionette fummo condotti come in trionfo alla casetta d'affitto, che il Sig. Presidente Baptista, per mezzo di Mons. Taborga, ci aveva preparato. Nei giorni appresso, visite infinite, le quali, avuto riguardo alle doverose restituzioni, finiscono per essere una delle gravi penitenze di questa vita !
Alla prima domenica dopo il nostro arrivo si cominciò tosto l'Oratorio festivo, che, nonostante la strettezza. del locale, ebbe subito 250 ragazzi. Ma nè D. Gasparoli, né i Chierici Razzoli e Iano, nè i Coadiutori Bodino, Notario e Spadaccini n'erano soddisfatti. - Alla Paz, dicevano essi, vi hanno già più di mille, e noi solamente 250! - Poco per volta, cari miei , rispondeva io, e state sicuri che, quando sarete alla Casa di S. Agostino che vi si prepara, emulerete i confratelli della Paz.
Prima di por termine a questa mia, vorreì parlarle, o carissimo Sig. D. Rua, del modo con cui si celebra in Sucre la Settimana Santa; ma quest'oggi stesso, 6 aprile, devo ripartir per Potosi, dove mi aspettano almeno dieci mila cresimandi. Quindi le dirò poche parole, toccando solo di quanto hanno visto questi occhi miei, essendo stato incaricato da Mons. Arcivescovo di pontificare in suo luogo in questi santi giorni.
Il Governo del Sig. Baptista doveva felicemente uniformarsi alle idee ed alla pratica del nobile suo Capo. Quindi il Sig. Presidente non solo, ma i Ministri e il Corpo Diplomatico, e la Corte Suprema e la Corte Superiore, tutte insomma le Autorità civili intervennero alla funzione delle Palme, a quelle del Giovedì e del Venerdì Santo, procedendo in quest'ultimo tutti al bacio della Croce. Le guardie del Sepolcro si cambiavan ad ora fissa, e le musiche più soavi e melanconiche risuonavan ovunque in questi mesti giorni. Fu visto il Sig. Presidente della Repubblica, colla sua guardia nobile, visitare i dodici Sepolcri o Monumenti di Sucre, l'uno più stupendo dell'altro; e ad esempio di lui molte compagnie di soldati, colla bandiera a mezz'asta ed il fucile rivolto a terra, fare le stesse visite con segni di vera compunzione. La chiave del Sepolcro della cattedrale dovetti consegnarla nel Giovedì Santo allo stesso Sìg. Presidente, com' è qui costume, ed all' indomani mi fu dallo stesso restituita. Il Passio vien cantato in musica e dura più d'un'ora. Le cerimonie vengono eseguite con molta gravità dai Canonici, dai Parroci e dal Seminario. Ma ciò che più mi ha tocco il cuore si fu la Comunione Pasquale dei varii Reggimenti di soldati. Nessuno vi fu obbligato; eppure le tre grandi navate della Chiesa di S. Domenico erano zeppe di militari. Si presentavano tutti assai compunti, col fucile bocca a terra, promettendo d'esser fedeli al Re dei Re e alla Patria. E fu cosa assai commovente all'elevazione, quando presentarono l'armi a Gesù Sacramentato, al suono della musica più marziale, e poi al momento della S. Comunione. Non è da maravigliarsi che i soldati faccian in corpo la S. Pasqua; quando il Re dà il buon esempio, tutti lo seguono: Regis ad exemplum totus componitur orbis; ed il bravo Sig. Baptista dà loro sovente di questi esempi, chè prima d'ogni altro egli è di Dio e della S. Chiesa Cattolica! Ah felice quel popolo che ha un Presidente od un Re cristiano praticante! Dopo la S. Comunione, cessate le musiche militari , diedi la S. Cresima a non pochi soldati, che divennero così soldati di Cristo. Il Ministro della Guerra fece loro da padrino.
Un' altra cosa che mi fe' molta impressione si fu la funzione così chiamata della rassegna. Essa si fa solamente nella cattedrale ed in tempo di Passione e Settimana Santa, per commemorar le vittorie di Gesù Cristo sul mondo. Ego vici mundunn. Le rassegne sono cinque, per significar le cinque età del mondo da Adamo a Noè, ad Abramo, a Mosè, a Davidde ed a Nostro Signor Gesù Cristo.
L'ultima rassegna toccò a me, e mi stancò non poco. Durante l'ultimo Salmo dei Vespri, il Clero si va a mettere in due file, dalla balaustra alla porta, ed i Canonici, avvolti in una cappa nera con cappuccio, che porta uno strascico lungo circa 12 metri, vanno essi pure lentamente due a due verso la porta maggiore. Mentre si canta il Vexilla, esce il Vescovo, e con una bandiera o stendardo, che porta una gran Croce rossa in campo nero, comincia a sventolarla e sbatterla al compasso della triste musica, prima sull'altare, poscia sulla predella, quindi, dopo d'esser stato egli ed i suoi assistenti due volte coperti dallo stesso stendardo, lo va a stendere su tutto il Clero dapprima ed in fine sui Canonici, che unitamente al Clero cadono bocconi come fossero morti, nè si rialzano che ad un certo colpo che colla stessa bandiera dà il Signifero.
Tutta questa cerimonia ricorda la predicazione e la vittoria da Gesù Cristo ottenuta per mezzo della sua morte, prima sul popolo ebreo, poscia sul gentile e su tutto il mondo. Il coprirsi del Signifero colla bandiera nera ricorda che Dio pose in Gesù Cristo le iniquità di noi tutti e che per noi Egli si fe' maledetto. È una cerimonia assai istruttiva e toccante.
E basta per ora. Parto, lasciando un pezzo di cuore in Sucre. Temo che l' Equatore si allontani assai da me. Sia fatta la divina volontà ! Torno a Buenos Aires, e nel tragitto spero di legarmi ad altri 15 mila Boliviani per mezzo della S. Cresima. In Buenos Aires abbraccerò la croce che l' obbedienza mi presenterà. Mi benedica, Padre mio , e preghi tanto per me, che ora più d'ogni altro ho bisogno della divina grazia per compiere i miei gravissimi doveri. Sono
Suo Aff.mo Figlio in G. C.
+ GIACOMO Vescovo Tit. di Colonia.
CALIFORNIA
Da Messico a San Francisco.
(Lettera di D. Angelo Piccono)
CARISSIMO SIG. DIRETTORE,
S. Francisco di California, 3 Luglio 1896.
Mi trovo qui dove l'ubbidienza mi ha mandato per esaminare una fondazione che ci fu proposta; e non avendo avuto tempo di farlo prima, voglio accennarle di qui qualche circostanza importante delle feste di Maria Ausiliatrice e di San Luigi Gonzaga, che abbiam celebrato al 20 e al 21 giugno nella nostra Casa di Messico. Abbiamo aspettato fino allora per la festa di Maria Ausiliatrice, perchè il Calendario Diocesano la trasportò al detto giorno e perchè speravamo d'aver per allora terminato il secondo piano della facciata del nostro Collegio, come avvenne realmente.
La Messa della comunità del giorno 20 fu celebrata da S. Ecc. R.ma Mons. Nicola Averardi, Arcivescovo di Tarso e Visitatore Apostolico del Messico, il quale volle per sua bontà assistere anche alla Messa solenne, cantata dal suo Segretario Sig. Canonico Teol. D. Settimio Di Paolo, e al panegirico predicato dal Rev. Can. Teol. D. Gerardo Herrera, Rettore del Seminario di Messico, che tenne pure la Conferenza Salesiana, l'uno e l'altra veri capolavori. Sua Eccellenza si degnò ancora presiedere il nostro povero pranzo, al quale assistettero i nostri principali Benefattori e l'Ecc.mo Sig. Raffaele Lopez, Ministro Plenipotenziario della Repubblica di S. Salvador in Messico. Poi tutti passarono dalle Suore di M. A., che fecero dalle loro alunne rappresentare molto bene Il Quadro della Madonna del nostro Sig. D. Lemoyne e recitare bei componimenti in onore di Mons. Averardi, il quale si ritirò esprimendoci la sua alta soddisfazione. Passo sotto silenzio i Vespri, la Benedizione e il concerto della nostra banda.
All'indomani, festa di S. Luigi Gonzaga, S. E. R.ma Mons. Prospero M. Alarcon, Arcivescovo di Messico, disse la Messa e distribuì la Comunione generale, e dopo essersi sdigiunato benedisse solennemente con mitra, piviale e pastorale due grandi nuovi dormitorii, lunghi cinquanta metri l'uno, che formano il primo piano della facciata. Lesse un bellissimo discorso, che si sta stampando, il carissimo nostro amico e protettore Sig. Cav. Angelo G. Di Lascurain e furono padrino e madrina della funzione il nostro Ingegnere Sig. Giuseppe Elguero e la sua Signora. Veda un po' che Ingegnere! Con somma abilità e solerzia dirige i lavori della costruzione e tutto gratuitamente ; di più ci procura aiuti generosi dalle persone di sua conoscenza, e in questa circostanza ci fece un delicatissimo regalo, un bel mazzetto di fiori, ma questi eran formati da tanti scudi d'oro, premii della sua fanciullezza y arras de su casamiento. Dio lo benedica!
Alle 10 cantò la Messa D. Luigi Dutto, ottimo sacerdote piemontese, che da 22 anni è Parroco negli Stati Uniti e che spero di salutar presto col dolce nome di Confratello Salesiano. Fece le sue prime armi nel nobile arringo dell'oratoria castigliana il caro D. Cozzani, facendo il panegirico di S. Luigi Gonzaga, e i nostri giovanetti musici si fecero onore nelle sacre funzioni del mattino e del pomeriggio colla musica di Mons. Cagliero e di Mons. Costamagna. Si chiusero le feste col dramma La Libertà, bel lavoro letterario, morale e religioso, com'ella sa, del nostro bravo D. Fenoglio, che fu anche, a dir vero, ben rappresentato.
Alla frontiera degli Stati Uniti. - All' Ospedale delle Suore di Carità. - Gli Indii Zuñi. - Il P. Chino. - Un patratrak.
All'indomani mattina, alle 9, io partiva con D. Dutto alla volta degli Stati Uniti, e dopo 48 ore di vapore, fra montagne aride e deserte pianure, eccettuando i dintorni ridenti di Querètaro, giungevamo alla frontiera del gran paese dell'avvenire, nella cittadella nata ieri in mezzo al deserto e già florida e promettente, che si chiama El Paso. Non voglio istituire confronti, ma si vede subito una differenza enorme fra l'ultima città messicana Ciudad Juarez e la prima americana El Paso . Quando si dice Americano senza aggiungere altri aggettivi, s'intende sempre degli Stati Uniti. Che gente maravigliosa questa schiatta Inglese! Nessuna difficoltà la spaventa; padrona della meccanica, vince con essa la natura; osservatrice e industriosa, ne strappa ed applica al bene della vita tutti i segreti, e come in un teatro cambia in un battibaleno i deserti in giardini. Ha però un gran difetto, ed è quello di non dar nè minestra, nè brodo, nè birra, nè vino nei pasti, che si fanno indigesti agli stomacuzzi della stirpe latina.
Ho detto frontiera; dunque bisogna dire dogana; ma non si spaventi: nessuno guarda, nessuno fruga : qualche domanda e nulla più. Anzi senta questa. Avevan messo una valigia nei bagagli ed avevam perduta la tessera per ritirarla. Il bagagliaio non ce la voleva dare, com' era giusto. Allora il conduttore ci domanda: - Siete preti cattolici? - Sì. - Giurate che avete perduta la tessera. - Giuriamo. - Prendete la vostra valigia. - Oh! in certi paesi cattolici non ci avrebbero usato tanto riguardo.
Ma perchè, dirà ella, siete discesi nella città del Paso, a 1625 miglia inglesi dalla vostra meta S. Francisco? - Vi siamo discesi per ottenere una riduzione nel prezzo del viaggio e la ottenemmo difatti, piccola, sì, ma meglio poco che niente.
Non potendo poi partire nello stesso giorno, ci siam rivolti ai RR. PP. Gesuiti per l'ospitalità. Essi non ce la poterono accordare per mancanza di locale, ma ce la ottennero dalle Suore di Carità nell' Hótel Dieu Sanatorium, magnifico ospedale da loro edificato e diretto. Anche con noi le buone Suore usarono la carità più delicata e cortese; e mi lasci fare rispetto a loro una nota: qui in paese protestante esse escono col loro abito religioso rispettatissime e riverite da ogni classe di persone : nel Messico, paese cattolico, non ci possono stare, perchè non si permette loro l'uso del loro abito. - I Gesuiti hanno fabbricato qui due chiese, una pei Cattolici Americani, l'altra per i Cattolici Messicani, entrambi di legno, ma grandi e belle, e sopratutto ben officiate. - Non lascio El Paso senza ricordare con legittima compiacenza l'insegna d' una bottega « Italien Maccaroni », e declamo il sonetto del Filicaia : « Italia, Italia, o tu cui fèo la sorte » patria dei maccheroni, fatti onore almeno impastandoli bene.
Ma il conduttore del treno grida : « A bórd », come se il treno fosse un bastimento, e bisogna imbarcarci, cioè intrenarci. Non c' è ancora questo verbo? Lo facciano i filologi. E adesso un'altra volta il deserto sterminato : la vaporiera vola su mari d'arena, fra colline di sabbia che mi ricordano i médanos della Patagonia, saluta sibilando i vulcani spenti che nereggiano qua e là, e traversa rapidissimo lo Stato del Texas, i Territori del Nuovo Messico, dell'Arizona, incontrando solo ogni duecento miglia qualche tratto coltivato e ad un certo punto anche una riduzione di Indiani Zuñi. Il treno si ferma ed essi lo invadono, non colle lancie però, ma coi prodotti della loro industria, anfore, pipe, figurine, tutto di terra. Son bella gente, forte e robusta, di colore olivastro scuro, con capelli lunghi e nerissimi, vestiti stranamente, che parlano il loro antico idioma. Il Governo degli Stati Uniti li protegge : ha dato loro vasti terreni, che coltivano bene, e quando per siccità o altro v' è carestia, li mantiene. Sono Cattolici, e in mezzo a ciascun villaggio sorge una Chiesa.
Traversiamo l'Arizona: un pensiero dunque al Padre Chino. È una gloria d'Italia e della Compagnia di Gesù. La più antica Chiesa, s'intende cattolica, degli Stati Uniti fu da lui fabbricata a Túcson, capitale adesso del Territorio dell'Arizona, e fu lui il primo che sfidando l'immensità sabbiosa passò dall'Arizona alla California. Ma come han fatto i primi Francescani e Gesuiti a passare per questi luoghi, arida et inaquosa? Come han fatto ad evangelizzare queste nomadi e feroci tribù? O ingegneri, che slanciate le ferrovie attraverso i deserti , inchinatevi dinanzi al Missionario.
Incontriamo un fortino, Fort Wingate: vediamo alcuni soldati vestiti d'un semplicissimo uniforme azzurro, senza cordoni, nè spalline, nè bagattelle costose, ma sono pulitissimi e montano cavalli da imperatori. E sono i soli soldati che ho veduti. Nelle città non si vede un uniforme. Quante spese di meno!
Il giorno 26, alle 2 pom., in pieno deserto patatrak! si rompe la catena che univa il nostro vagone agli altri, e i viaggiatori si fanno inaspettate e improvvise riverenze, che si cambiano anche in qualche capata.
Cosa curiosa ! Siam vicini al Cañon del diablo e il diavolo ci ha voluto fare un tiro birbone. Ma niente paura: in mezz'ora tutto s'accomoda e si va avanti. Questo mi ricorda che il giorno della festa del S. Cuor di Gesù in questo stesso mese, si sviò il treno che da Puebla veniva a Messico, ribaltò la macchina, morì schiacciato il macchinista, altri si ferirono gravemente, e il nostro D. Castelli che veniva in quel treno non ebbe neppure una contusione. Ringraziato sia il S. Cuor di Gesù, che volle conservarci quel caro Monferrino!
Una fermata nel deserto - La locomotiva divora la via. - Si arriva all'incantevole città di Los Angeles.
Finalmente suona il tam tam: siamo in una stazione, dining hall: qui si mangia. Che cos'è il tam tam ? È una piastra di bronzo, su cui si batte con una bacchetta, è uno strumento chinese che surroga, non so perchè, il campanello, forse per far piacere ai Chinesi, che col loro codino e il loro costume nazionale, come si suol dire, servono da tavoleggianti. E che troviamo da mangiare nel deserto? Nientemeno che pesce fresco, befsteak, rostbeaf, eccellenti pomidoro, insalata bianchissima, frutta squisita e ghiaccio : non parlo delle patate, queste le fanno entrare fin nel caffè latte: e alla fine avena cotta collo zucchero e more nerissime. More? Sì, more, i frutti del gelso. E di dove viene tutto questo ben di Dio nel deserto? Eh! dal Pacifico, col treno che passò poco prima! Uomini pratici questi Americani , che sanno mangiar bene anche dove non ce n'è, ma bevono male dappertutto !
Ancora un centinaio di miglia in quest'Africa cocente, e poi su per le montagne, in mezzo a folte pinete, fra miniere abbandonate. Siamo in California. Qua e là si vedono villaggi in formazione, tutti di legno, ma puliti, graziosi, perfino eleganti, e i primi e principali edifizi sono sempre la Chiesa e il Tribunale. Benissimo, Dio e la legge! E poi il Cimitero lì vicino, proprio in mezzo alle case. Non han paura dei morti questi Yankees, e son grandi e grossi, mangioni e laboriosi, che è un gusto a vederli. E noi mandiamo i morti almeno duecento metri lontani dall'abitato, perchè non ci appestino l'aria! Lungagnole o scorciatoie per giungere alla cremazione!
Corri, corri, locomotiva ! Vedi che ponti aerei, benchè di ferro : sotto si aprono abissi profondi, spumeggiano torrenti, biancheggiano case: in un baleno passiam loro sopra e poi giù, giù, scendiamo dalla montagna precipitevolissimevolmente e torniamo alla pianura. Oh! eccoci al Piemonte co' suoi vigneti pampinosi, co' suoi alberi fruttiferi, co' suoi campi di grano, co' suoi orti verdeggianti. Ma no! Non è il Piemonte, perchè vi son folti oliveti, boschi di palme, fiori che non ho mai veduti. E la celebre valle di San Bernardino, degno vestibolo di quel Paradiso terrestre che è la città di Los Angeles. - I nomi son quasi tutti spagnuoli, perchè la California solo dal 1847 appartiene agli Stati Uniti : prima fu della Spagna, poi del Messico ma per esser giusti bisogna aggiungere che la prosperità, almeno materiale, della California si deve alla gran Repubblica Anglo-Sassone.
Giungemmo a Los Angeles alle 4 pom. del 27, e vi passammo la notte nel bellissimo Collegio di S. Vincenzo de' Paoli diretto dai Signori della Missione, che ci trattarono pro-, prio da fratelli. E perchè anche questa fermata? Per approfittare della riduzione, la quale ci fu data dalla Compagnia dell'Atchison, Topeka e Santa Fé, e non dalla Southera Pacific , che ci avrebbe portati direttamente a San Francisco.
Io non ho mai sentito una temperatura così soave come in questa città. Eravamo al fin di giugno-e ci pareva di stare in Torino al principio d'aprile. E poi che città! È tutta una villeggiatura, un giardino, un canestro di fiori. Centuplichi l'area del più gentile quartiere della nostra Torino, l'antica Piazza d'Armi, co' suoi villini, togliendone la baracca dell'eterno monumento, ed avrà un'idea di Los Angeles. Tutte le case, eccettuando gli edifizi del Governo, son di legno, ma così ben dipinte che sembrano di marmo: di svariatissime e bizzarre, ma graziose architetture, e tutte circondate da giardini d'un verde vellutato e di ricca e variopinta flora. La città è solcata in ogni senso da enormi tramway elettrici, da leggiere carrozzelle, da velocipedi e biciclette d'ogni maniera. S'incontrano spesso signore sole guidando la carrozza o montate a cavallo o sul velocipede, e questo non mi piace. Abbiam visitato la Cattedrale Cattolica dedicata a S. Bibiana, nobile e severa costruzione di non so quale stile, che par finita ieri : non si può dire bella, ma è pulitissima e decorosa.
Il 28 celebrata la S. Messa e ringraziati i nostri buoni ospiti, via per S. Francisco, dal quale ci separano ancora 482 miglia inglesi. Se avessimo tempo e denari, vorremmo ascendere il vicino picco di Hamilton e veder la luna col telescopio più grande del mondo, ma ci contenteremo di vederla nel pozzo. Passiamo invece in 8 minuti la galleria di S. Fernando, traversiamo ancora qualche montagna e qualche deserto, e poi oh! che campi ubertosi, biondeggianti di frumento per quanto l'occhio si stende! Che vigneti, che praterie! E poi ecco un fiume, somigliante in questo punto per ampiezza e volume d'acque al Paranà: è il Rio Sacramento, pieno di navi. E poi spesseggiano le strade di ferro, i magazzini, le case: siamo a Oakland. Quì si discende dal treno, si entra in un'imbarcazione enorme, mossa dal vapore, che può contenere duemila persone e che in 20 minuti attraversa la baia immensa, credo la più grande del mondo, e ci trasporta a S. Francisco. Sa come si chiama il barcone? Piedmont: Piemonte.
S. Francisco di California. - Al magnifico Collegio dei Gesuiti. - Visita all'Arcivescovo. - La Chiesa degli Italiani ed il quartiere chinese. - Meraviglie di questa città.
Son le due pom. del 29 di giugno, e dopo aver corso circa seimila chilometri in ferrovia, mettiamo il piede nella maestosa metropoli del Pacifico, San Francisco di California. S'apre dinanzi a noi una larghissima, dirittissima strada, fiancheggiata da alti palazzi e piena di gente : mettiamo le nostre persone e le nostre valigie in un tramway elettrico, che passa per Hayes Street, e ci dirigiamo al Collegio di S. Ignazio che è in quella via. Passiamo dinanzi all'Hotel Palazzo, alto sette piani, che occupa un quadrato di cento metri di lato, contiene 755 ampie camere, può dar alloggio a 1200 persone insieme e costò l'insignificante somma di sette milioni di dollari. Siamo al Collegio dei Gesuiti: che maestà! È alto cinque piani, circondato da un giardino e da una cancellata di ferro, e colla sua vasta Chiesa occupa un blok, un isolato intero. Entriamo e domandiamo ospitalità in inglese. Oh! che piacere udirci rispondere in italiano dal R. P. Demasini, italiano anche lui ! Da quel momento siamo ospiti dei venerandi PP. Gesuiti .e non le posso dire con quanta bontà, con quanta gentilezza ci trattino. Quanti buoni esempi riceviamo in questa Casa di Gesù! Che osservanza, che silenzio, che raccoglimento ! Quante virtù religiose! Qui vi sono parecchi Padri Italiani; uno di essi è qui dal 1848; altri non han più veduto la patria da venti, trenta, quarant'anni. Il Superiore P. Imoda è torinese e ci accolse a braccia aperte. Voglia un po', sig. Direttore, ringraziare ancora una volta per me il R. P. Sasia, che mi procurò colla sua raccomandazione una sì cordiale ospitalità.
Ci condussero a vedere la Chiesa e il Collegio. La Chiesa è dedicata al loro Fondatore S. Ignazio, ed è la più grande, la più bella, la più ricca e la più frequentata di S. Francisco. Stile rinascimento, larghezza circa 100 piedi inglesi, lunghezza 210, di tre navi, dipinta dal milanese Moretti, con 23 grandi vetri istoriati di Monaco di Baviera che sono una magnificenza: basti dire che di sola dogana per essi si spesero diecimila dollari. Il Collegio abbraccia tutti gli studii preparatorii a qualunque carriera: ha 600 alunni tutti esterni : vi sono amplissime scuole con tutte le comodità immaginabili, musei di varie specie, laboratorio di chimica, gabinetto di fisica : questo vale un 50 mila dollari !
I Gesuiti hanno anche un altro gran Collegio a Santa Clara e un noviziato a Los Gatos. - Oltre ai Gesuiti, vi sono in S. Francisco Domenicani, Francescani, Paolini (Congregazione Americana), Dame del S. Cuore ecc. Vi si contano 27 Chiese Cattoliche. - Questo cielo è il cielo d'Italia, questo clima è il clima di S. Remo, ma più soave; tutto l'anno fiori e frutta d'ogni sorta e che frutta ! Io non ne ho mai veduto più bella, nè gustato più squisita. Celebri poi sono i vini della California: giovani somigliano alla Freisa piemontese, vecchi al Chianti toscano.
Abbiam visitato Mons. Arcivescovo, che ci accolse molto benignamente : ci volle con lui parecchie volte, per gettar le basi d'una fondazione salesiana, ed io ne scrissi subito al sig. D. Rua. Spero e faccio voti che ciò avvenga al più presto. Credo che i Salesiani faranno qui un grandissimo bene e sarei pronto a rifare i seimila chilometri di strada per condurveli.
Siamo stati anche a veder la Chiesa e Parrocchia degli Italiani. Essi sono qui da 15 a 18 mila, venditori di frutta, di rinfreschi, giardinieri, pescatori, parecchi esercitano professioni ed arti. Il loro Parroco ha giurisdizione su tutti in qualunque parte si trovino della città. È un ottimo e zelantissimo Sacerdote Napoletano, D. Decaroli. I nostri compatrioti son venuti qui da ogni parte d'Italia, ma vi abbondano i meridionali. Si sono fabbricata una bella e capace Chiesa di legno dedicata a S. Pietro e la riempiono sempre nelle sacre funzioni. Così ci disse il Parroco, ed aggiunse che ha sempre al Catechismo più di cinquecento ragazzi, pei quali ha aperto una Cappella apposta.
Tornando dagli Italiani, siam passati in mezzo al quartiere chinese, che è proprio una piccola China con case, botteghe, teatri, templi, vesti, usi, codini chinesi. Ma se questi possono girar per le vie colle loro code e colle loro proteste, perchè non potranno i preti portar la tonsura e la veste talare? I Chinesi in questa città son circa trentamila, operai, servitori, lavandai, commercianti. Zelanti Sacerdoti Cattolici hanno tentato la loro conversione, ma invano, e son tanto immorali, che il Governo degli Stati Uniti ha dovuto restringerne l'immigrazione.
Le darò ancora qualche cenno di S. Francisco e poi chiuderò quest'epistola.
Questa è una delle principali città degli Stati Uniti. Ha trecentomila abitanti ed in popolazione non la passano che Nuova York, Chicago, Filadelfia, Boston, San Louis e Baltimora. È collocata sopra una serie di colline, che formano una penisola di 30 miglia di lunghezza, bagnata a Oriente dalle acque della baia e a Ponente dalle onde del Pacifico. Si trova a 37° 46' di latitudine Nord e a 122° 10' di longitudine Ovest. La fondazione di S. Francisco data dal 1776. In quell'anno alcuni Frati Francescani, che avevano per Superiore il P. Giunipero Serra, stabilirono su queste spiagge la Missione, che chiamarono de los Dolores e che si componeva di Spagnuoli e di Messicani. Cinquant' anni più tardi vennero qui alcuni mercanti Inglesi ed Americani e nel 1847, dopo una guerra col Messico, gli Stati Uniti prendevano possesso della California e per conseguenza di S. Francisco , che era allora un villaggio di 459 abitanti. La scoperta delle miniere d'oro nel 1848 ne aumentò rapidamente la popolazione. Nel 1860 era di 56000 abitanti, nel 1870 di 149000, nel 1880 di 233000 , ma pel suo commercio coll'America , coll' Asia e coll'Europa , per la sua ricchezza, pel suo clima raggiungerà ben presto il milione.
Vi torreggiano splendidi edifizi, primo de' quali il Palazzo Municipale, composto di tre palazzi di stile greco con magnifico peristilio : dal centro s'innalza una rotonda a colonnati, alta 260 piedi inglesi, che arieggia molto alla cupola antonelliana di S. Gaudenzio in Novara, ma è meno svelta e più massiccia. La rotonda termina in un globo di bronzo, sul quale sorge una statua, che per la mia vista corta non discerno bene se sia della Libertà o della Licenza. Sulla piazza del Municipio si ammira un grandioso monumento rappresentante la California co' suoi grandi uomini, e fra questi fa piacere veder raffigurato in una bella statua di bronzo Fra Giunipero Serra nel suo saio francescano. I tramwai, tutti elettrici o funicolari, si sviluppano per 60 miglia nella sola città. Vi sono 137 templi d'ogni setta, dei quali però 127 dell'unica Religione vera; 1180 vie amplissime e rettilinee, 36000 case, 28 teatri , 24 giardini pubblici, primo dei quali in vastità e leggiadria il Golden Gate molto somigliante al Lungo Po di Torino, 49 alberghi comodissimi , 39 ospedali, 33 biblioteche, 68 edifizi per pubbliche scuole, alle quali s'istruiscono senza religione 30500 ragazzi, 168 periodici e chi sa quanti delitti d'ogni genere e specie, giacchè non è oro tutto quel che luce.
Al 10 del corrente luglio partiremo, se Dio vorrà, per S. Salvador. Venti giorni di calore soffocante sull' Oceano Pacifico, venti giorni di noia consolata dalla preghiera, dall'ubbidienza e dalla lettura della Ragione guida alla Fede del nostro dotto e carissimo Teol. Paglia, cui ella vorrà porgere i miei cordiali saluti e sincere congratulazioni.
Stia bene, Rev. Sig. Direttore, riverisca i Superiori, e specialmente l' amatissimo nostro Rettor Maggiore, e dica loro che D. Dutto è proprio il mio Arcangelo Raffaele.
Preghi per questo suo
Aff.mo e vagabondo confratello
D. ANGELO G. PICCONO.
PATAGONIA CENTRALE Una visita agli Indii del Chubut.
(Relazione di D. Bernardo Vacchina).
(Seguito dal Numero di Agosto u. a.).
È incredibile la velocità con cui si propagano le notizie in queste regioni, che pure sono deserte.
Il giorno appresso al nostro arrivo, si trovavano già riunite sul luogo più di quaranta persone d'importanza, venute dai luoghi più lontani della valle. Un Italiano di Filicudi in Sicilia, che ha qui un numeroso gregge, mi portò un bell'agnello, pregandomi che volessi benedirgli il matrimonio. Parimenti due Spagnuoli di Guascogna mi offrirono un altro agnello, supplicandomi di celebrare in suffragio d'un loro parente, morto schiacciato da un carro mentre guadava il Tecà, e di volerne benedire la tomba poco lontana : essi s' incaricavano d'avvisare e radunar gente per la cerimonia.
Nella valle del Tecà. - Progetto di una chiesuola. - Abboccamento col Cacico Sac-mata.
Pertanto il 24 novembre preparai l'altare nell'unica stanza del Sig. Pecoraro, che serve di cucina, dormitorio, sala, ecc., e in un momento fu piena zeppa di soli uomini. Poco prima erano arrivati il Cacico Sac-mata, con uno de' suoi figli, il capitanejo Edoardo Prané, cugino del Cacico, e varii altri Indii cristiani ed infedeli. Anch'essi, invitati, entrarono, e Sac-mata si collocò presso l'improvvisato altare, stando quasi tutto il tempo in piedi o seduto sulle calcagna, e fissandomi in tutti i movimenti che faceva. Mi serviva la S. Messa il Governatore, il quale fece pure la s. Comunione. Al Vangelo, rivolsi loro alcune parole. I miei uditori appartenevano a molte sette distinte : v'erano anglicani dell'alta e bassa chiesa, metodisti, calvinisti, indipendenti ed infedeli. Per dire qualche cosa di pratico per i miei cattolici, senz' offendere i fratelli dissidenti, encomiata la fede e la pietà dei due Spagnuoli e degli altri loro amici ed il loro verace affetto per l'amico e parente defunto, mi aprii strada a parlare della brevità della vita, della caducità dei beni terreni, della morte sempre infida e prossima, per inculcar loro la preziosità dell'anima e la necessìtà che abbiamo d'attendere continuamente alla eterna salvezza. Le mie povere parole venivano ascoltate con viva compiacenza e lasciarono in tutti, cattolici e non cattolici, la più profonda impressione.
Da questa riunione si potè conoscere come la maggioranza di quella popolazione è costituita dai cattolici; e però il Governatore, coll'insinuazione che gli è propria, propose il progetto d'una modesta chiesetta dedicata a Maria SS. Ausiliatrice. E tosto iniziò la lista di sottoscrizione con duecento franchi; io mi firmai per duecento altri in oggetti di culto, e la lista si trova ora a buon punto. La chiesuola si erigerà alle falde d'una montagna, vicino e quasi sulle sponde del Teca. Questo fatto fecemi ricordare del nostro venerato Padre D. Bosco, il quale nell'ardore del tenero suo affetto per Maria Ausiliatrice, raccomandava a Mons. Cagliero di farne celebrare le lodi sulle sponde del Rio Negro, allora la Missione più lontana affidata ai Salesiani. Qual non sarà la sua compiacenza dal cielo, nel vedere e nell'udire, fra non molto tempo, il nome dolcissimo e le glorie della celeste nostra Madre magnificati dal povero Indio e confusi col mormorio delle onde del lontano e solitario Tecà? ! Se questa nostra lunga e penosa missione non desse altro frutto che questo, ne sarei di troppo ricompensato.
A me premeva per altro di vedere ed abboccarmi col Cacico Sac-mata. E però appena fui libero, me gli avvicinai salutandolo cordialmente. Sacmata avrà 50 anni; è di statura ordinaria, di forme regolari, e di color bronzo-oscuro. Ha i capelli folti e neri, però alquanto brizzolati: lo sguardo vivo e penetrante, da cui traspirano segni di bontà. Porta il chiripà (giubba e corpetto di panno oscuro), ed un cappello di forma conica e color caffè. Calza i soliti stivali di puledro, che stringe al polpaccio con una fascia di tessuto indio. Si esprime regolarmente in ispagnuolo, ma parla poco, con riserbo e con certa politica.
- Sono cristiano, mi disse, e mia moglie nutre grande stima pel P. Milanesio. Quello è un uomo, cospetto! parla come noi e vuole un gran bene ai poveri paisanos. - È questo il titolo, con cui gli Indii chiaman se stessi.
- E a me non vorrai bene? Sono amico e fratello del Padre Milanesio, e farò il possibile per aiutarvi.
- Perchè non ti dovrò voler bene? Ma ci conosciamo ancora poco: col tempo saremo buoni amici, non temere.
In quella ecco un fanciullo, allegro e vispo come un capriolo, avvicinarsi a noi. Sacmata me lo presenta. - È mio figlio, disse; l'ha battezzato il P. Milanesio in Valcheta, e si chiama Venanzio. - Allora io accarezzandolo, gli regalai un crocifisso ed una medaglia, facendogli comprendere di baciarli. Gli occhi del. fanciullo brillavano d'insolita allegrezza, ed in suo linguaggio mi fe' capire che li metterebbe al collo. In quel momento mi brillò alla mente un'idea e tosto la esposi a Sacmata ; gli chiesi cioè il fanciullo per educarlo bene. Sac-mata osservò il figlio, poi rivolse a me lo sguardo e sorrise ; quindi mi rispose: - Chi lo sà? Quien sabe? Ne parlerò a mia moglie. - E così si tolse dall'imbarazzo. Una volta gli Indii affidavano volentieri i figli loro ai bianchi, perchè ne ricevessero l' educazione; ma, avendo visto che molti li tenevano in conto di schiavi e poi li rimandavano alle tribù ugualmente ignoranti, più maliziosi, corrotti ed infingardi, non ne vollero più sapere. E per questo anche il Missionario incontra gravi difficoltà.
Dopo altri preamboli volli interrogarlo sull'indovino Cayupul. Sac-mata mi rispose: - Non bisogna poi credere a tutte le dicerie.
Vi furono alcuni Indii Araucani, che passando tra la mia tribù, sebbene trattati con riguardo, disprezzarono la mia autorità. Come era giusto, ne furono ripresi e repressi, ed essi se ne vendicano screditando me ed esagerando le stranezze dell'indovino.
- Vuol dire dunque che Cayupul la fa veramente da indovino. Ma tu non gli credi, non è vero?
- Come vuoi che gli creda, se non dice altro che sciocchezze?! Mia moglie sa bene la legge del P. Milanesio!
- Se non credi, perchè non lo fai tacere Non hai compreso ancora che egli impoverisce gli Indii, facendo scannare ad ogni istante animali per averne il meglio e sprecare il resto ne' sacrifici inutili e cattivi? Era povero, ed ora ha pecore, vacche e cavalli : dove li ha presi? Per lui la yerba migliore, i preferiti bocconi ed una persona di servizio ogni mese. E meno male tutto questo! Spaccia cose, che Dio proibisce, ed eccita gli Indii contro il Governo. Sai che succederà? Verranno soldati per menarvi via, ma lontano, lontano; e resterete senza mogli e senza figliuoli. Ricòrdati di quel che toccò a Sayuhueque sul Rio Negro, e pensa a' casi tuoi. Vincere è impossibile : voi siete pochi ed i soldati molti. Pensaci bene: o restar Cacico riconosciuto dal Governo e rispettato da' tuoi, o esser portato chi sa dove. - Sai che dicono tutti di te? Che non servi a nulla, perchè ti sei lasciato prendere il comando, nè sai farti rispettare da Cayupul e dal suo favorito Salpù. Queste cose sicuramente te le ripeterà pure ogni ora la tua donna. Ma se non ascolti la tua consorte, chi vorrai ascoltare?
Sac-mata allora serio e risentito : - Ti dico che non credo niente di quel che insegna Cayupul, anzì che mi fa rabbia; ma non ho potuto fare quel che tu dici, perché la maggior parte della mia gente, specialmente le donne, gli credono. Se io tentassi qualche cosa, probabilissimamente mi si resisterebbe e potrei anche perdere del tutto il comando. Capisco che bisogna farla finita; ma ancora non è giunta l'occasione. Del resto vedo che alcune cose le dici, perchè credi tutto alle male lingue.
- Tutti la pensano così, amico caro, e qualche fondamento vi dev'essere. Ad ogni modo ascolta ancora una parola, e poi me ne lavo le mani: io ho fatto il mio dovere, come Sacerdote. Il Governatore viene col proposito deliberato di sostenerti nella tua causa, perchè gli consta che sei galantuomo; credo anzi che ti farà Agente di Polizia tra i tuoi. Visitalo ed obbedisci e tutto andrà bene. Mi par che dovresti confidare nel Governatore: non è soldato, è vecchio, buon cristiano ed amico vostro. E se vuoi saper tutto, ti dirò che è venuto qui specialmente pel bene vostro; egli cerca un buon sito per stabilire una colonia con chiesa, scuole, medico, ecc. per voi; indicagli tu il posto più adatto e conveniente.
La fronte di Sac-mata, gelosissimo del suo posto, s'era già tutta rasserenata e premurosamente rispose : - O Lañeu o Genua : ambe le valli abbondano di pascoli, di acqua e di legna; non fa gran freddo e si potrebbe avere anche piantagioni e seminati. E poi siamo anche vicino alle gole per la caccia dei piccoli guanachi.
- Benissimo, sta tranquillo e sicuro : se le valli appartengono ancora al fisco, e la cosa va, come desidera il Governatore, avrete una delle due. Conta pure su di lui, e dillo anche alla tua tribù.
- Bene, bene: sono contento. Ma ricordati di dire al Governatore, che noi preferiremmo Genua. Lañeu è per me un luogo di tristezza; là morirono duecento de' nostri in una guerra cogli Indii, ed io vi perdei il nonno, il Cacico più potente dopo Calcufurà. Era molto ricco... bisogna sentir mio padre.... per questo chiamano Lañeu quella valle, e vuol dire campo de' morti.
Sac-mata ha ancora il padre, un vecchio decrepito, quasi cieco, che pare non altro che un nero sacco d'ossa.
Intanto si organizzò una corsa di cavalli in onore del Governatore, e dovemmo tutti recarci sul posto. Ivi si discussero e stabilirono molte cose fra il Governatore e Sac-mata; fra le altre ricordo la promessa di questo ultimo di trovarsi con tutta la sua tribù in Genua per riceverci, ai 25 di gennaio, e l'ordine di quello da trasmettersi a Cayupul, perchè si presentasse nella Commissaria di Polizia della Colonia detta 16 Ottobre, dove ci dirigevamo.
In Teca amministrai parecchi Battesimi e Cresime e benedissi alcuni Matrimoni. Per appianare la via, veniva meco l'incaricato civile per le formalità di legge. Me lo aveva procurato lo stesso Governatore, onde evitarmi le molestie de' mesi passati, in cui dovetti fare di tutto per salvarmi dalla prigione pel gran delitto d'aver proceduto alla celebrazione d'un matrimonio religioso, senza la precedenza, qui obbligatoria, della cerimonia civile.
Nel toldo del capitanejo Pranè. - Abbrutimento di questi poveri Indii. - Che cosa ha potuto fare il Missionario.
Il 26 novembre, s'arrivò a Walcaina (luogo prediletto) sul Tecà-Leufù, dove si trovano alcune tolderie. Il Governatore comandò la tappa. Entro nel toldo più spazioso e vi trovo il capitanejo già nominato Edoardo Pranè, cogli occhi lucenti e semi-chiuse le palpebre.
Egli mi parla strascinando le sillabe e mettendo bava. Ha bevuto più di una doga. Vedendomi incomincia a scusarsi: - Che vuoi, Padre? È arrivato il Governatore e lo si festeggia: vedi che la mia gente sta peggio, di me. - Infatti presso al focolare, nel centro del toldo, stavano sconciamente sdraiati alcuni Indii, cotti da' liquori ed involti nelle sozzure del vomito.
Che cosa si può fare con simile gente? Rivolsi pertanto le mie cure ad alcune donne che stavano filando e tessendo coperte e ponchos con lana di pecora e guanaco, e ad alcuni fanciulli vestiti solamente di una lurida e cenciosa camicia. Cominciai col chiedere il nome ad una di esse. - Mi chiamo Cecilia, mi rispose essa; m'ha fatto cristiana il P. Milanesio, là in Chichinal del Rio Negro. Mia sorella Filtucàr, che qui m'aiuta, non si trovava colà e non potè imparar la preghiera, e per questo es paisana, è infedele ancora. -Gli Indii chiamano anche preghiera l'istruzione religiosa. Allora dirigendomi a costei: - Ebbene, Filtucàr, hai voglia d'imparar la preghiera per essere cristiana?
- Perche no? se tu me la insegni, mi farò cristiana.
A lato di Pranè giaceva, più raggomitolata che seduta in terra, un'altra India scarmigliata, sporca e fetente, che parea indifferente a tutto. - E tu, come ti chiami? Sei cristiana o vuoi esserlo?
- Sono cristiana e mi chiamano Teresa, rispose in buon ispagnuolo. Il capitanejo Pranè è mio fratello, ed ho avuto da un gringo quattro figli. - Gli Argentini e gli Indii chiamano gringo lo straniero, specialmente se parla male l'idioma nazionale.
- E cotesti tuoi figli sono battezzati?
- No : il gringo non vuole.
- Dov'è sto gringo, perchè possa averne il permesso?
- Uh ! sta molto lontano : tiene armenti presso Roca, nel Territorio del Rio Negro. È molto cattivo : m'ha fatto passar sempre mala vita, ed in ultimo m'ha abbandonata coi figli. Ma io, coll'aiuto di mio fratello Pescò, che sta dormendo la scimmia nel toldo di là, gli rubai trenta vacche. Egli m'ha fatto sapere che verrà a togliermele per amore o per forza. Allora che darò a' miei figli da mangiare?
- Non temere: ti raccomanderò al Governatore, e le vacche saranno sempre de' tuoi figli. Ma tu falli cristiani e lascia a me tutta la responsabilità. Il gringo, sebbene cattivo, come tu dici, deve conoscere la legge cristiana e per questo non ti dirà nulla.
- Così va bene : fa pur cristiani i miei piccolini.
In questo mentre entrò con aria di padronanza una quarta India attempata, e senza ombra di riguardo andò a sdraiarsi su varie pelli di pecora, e ravvolgendosi poi in una pelliccia di guanaco, incominciò a farmi gli onori di casa, ordinando a Filtucàr di prepararmi un mathe amaro. Filtucàr pose l'erba del Paraguay nella zucchetta, vi versò l'acqua bollente, e dopo d'aver assorbito colle sue bisunte labbra varii sorsoni, me la presentò perchè ne succhiassi il resto. Tra sorso e sorso continuava ad informarmi : - E quest'ultima venuta chi è mai?
Teresa rispose: - È la moglie maggiore di Pranè.
- Come? la moglie maggiore? Ne ha dunque un'altra minore?
- Certamente: ed è quella lì. - E sì dicendo m'indicò un'India sui 25 anni, tutta ornata al collo ed alle braccia di corallini di vistosi colori, portante sul petto grandi spilloni ed alle orecchie due pendenti d'argento della forma e grossezza d'un piccolo portamonete. Il lobulo ne era intieramente squarciato. Stava seduta ad un telaio semplicissimo e molto affaccendata. Il capitanejo, che pareva dormisse, incominciò a scusarsi sull'affare della bigamia: - Yo non cristiano, yo paisàno.
-Taci! Sei un tristo, e dici menzogne e sproposito, perche tu sei cristiano, e qualora non lo fossi, Iddio ha fatto la legge per tutti e a tutti proibisce di avere due mogli ad un tempo. - E mentre pensava di cantargliene quattro in buon tono, l'astuto Indio s'era di nuovo addormentato profondamente. Allora mi venne curiosità di sapere come andasse la pace in famiglia. Teresa mi rispose: - La va male, Padre; le due donne si prendono per i capelli spesso e fanno sempre grande baruffa.
- E tuo fratello?
- Se ne ride, o le batte ben bene con quella guasca (grossa correggia di cuoio).
- Ho capito. La pace si ristabilisce al suono di vigorose nerbate. - Povere infelici ! Oh quanto deve la donna cristiana amare Gesù Cristo, che l'ha sottratta da sì dura schiavitù
Dopo aver fattele dovute istruzioni, passai in un altro toldo, appartenente ad un'India chilena, chiamata Aurelia, battezzata da D. Milanesio in Junin de los Andes. È una India singolare: bianca, pulita, semplice e cortesissima, ma sempre malinconica, perché non ha figli.
- Ebbene, Aurelia, vuoi ricordare la preghiera imparata dal P. Domingo?
- Con molto piacere, Taita, ed anche mio marito ti sentirà e volentieri. - E gli diede la voce. Presi a catechizzarla, e non intendendo il marito tanto bene lo spagnuolo, Aurelia m'aiutava, offerendomi l'occasione d'imparare l'indio. Passai così quasi un'ora. Uscendo Aurelia mi disse: - Taita, noi non abbiam figli; a chi toccheranno le pecore e le vacche, morendo alcuno di noi due?
- Al superstite. -
- Ma, verrà il Commissario di Polizia e le vorrà pel Governo.
- Gli farete vedere il papel e ve le lascierà. (Sotto il nome di papel gli Indii intendono ogni documento per iscritto).
- Ma noi non abbiamo alcun papel ?
- Vel farò io al mio ritorno e lo conserverete per ogni evento. Intanto presenta tevi al Giudice, perchè vi riconosca come coniugi.
Passai quindi al toldo della madre di Teresa. I quattro figli di costei, miseramente coperti da uno straccio, di fattezze regolari, hanno i capelli quasi biondi, carnagione bruna, occhi neri vivissimi, e sono chiamati wincas, vale a dire bianchi. In questo toldo sperava di poter fare qualche po' di bene; ma, non so perchè, Teresa si mostrava stanca e svogliata, bisognava cavarle le parole colle tanaglie, e, per quanto la pregassi, non volle assolutamente farmi d'interprete per la madre sua e due sorelle, che sebbene grandette, non capivan nulla.
Visitai pure gli altri toldos, ma trovai dappertutto gli uomini ubbriachi. Tuttavia potei amministrare una decina di Battesimi, un maggior numero di Cresime e benedire qualche Matrimonio. Il Governatore si prestò molto caritatevolmente per fare da padrino e rispondere secondo il rito. Si mostrarono pure molto gentili anche gli altri della comitiva.
All'indomani, prima della partenza, ci venne a salutare Pranè, offerendoci regali in latte fresco, carne ancor palpitante e certe sue salsiccie nere, angolose e bitorzolute da far rivoltare lo stomaco al solo vederle. La fame però ce le fece sembrare molto saporite.
(Continua).
Una famiglia consolata.
Col cuore esultante e compreso della più viva riconoscenza, rendiamo pubblica testimonianza d'una strepitosa grazia largitaci dalle amorose mani della sempre buona Maria Ausiliatrice. Nello scorso dicembre una grave e pericolosa malattia veniva ad assalire la nostra cara madre: tifo e polmonite l'aggravarono ad un tratto sì fortemente, che in pochi giorni si trovò in pericolo di vita e fu necessario munirla di tutti i conforti religiosi. - Venivano messi in opera tutti i rimedii suggeriti dall'arte medica; ma tutto riusciva inutile; la meschina peggiorava di giorno in giorno, sicchè parecchi e valenti medici, che la visitavano, non davano più alcuna speranza. La famiglia sfiduciata gemeva nella più grande costernazione: ancor poche ore e poi la madre doveva dipartirsene. Senonchè ancor una speranza ci brillava agli occhi l'intercessione di Maria Ausiliatrice. Ricorremmo fiduciosi a questa Madre di grazie, La pregammo e Le facemmo delle promesse. Anche il paese, compreso della grave disgrazia che ci sovrastava, volle porgere il suo tributo, e si unì colle sue preghiere al nostro lutto. Pareva impossibile che tante preci dovessero riuscire vane presso il trono di Colei, che a buon diritto volle essere chiamata: Salute degli infermi. Nè invero la nostra speranza andò fallita; chè in breve l'ammalata si sentì migliorata, e dopo poche settimane, con grande ammirazione di tutti, si trovò pressochè ristabilita. Ora pienamente guarita, s'unisce a tutta la famiglia, per ringraziare la Vergine Ausiliatrice d'una sì strepitosa guarigione.
Foglizzo Canavese, 24 Maggio 1896.
La famiglia VITTONE. Riconoscenza a Maria.
La qui unita somma di L. 100 è offerta del Sig. Cav. Giuseppe Torrero in ringraziamento a Maria Ausiliatrice per segnalatissima grazia ricevuta. Tormentato da circa un anno da dolorosa malattia, fu visitato dal Rev.mo Sig. D. Rua, il quale gli diede la benedizione di Maria Ausiliatrice e gli promise che avrebbe pregato e fatto pregare dai Salesiani per la sua guarigione. Il fatto sta che il detto signore è guarito perfettamente, e mentre rende sentite grazie a Maria Ausiliatrice, da cui riconosce questo gran favore, prega sia pubblicato questo breve cenno, onde animare tutti a confidare in Maria Aiuto dei Cristiani, che è sempre pronta ad esaudire le preci di coloro che La invocano con fede.
TERESA PORO-JARDINI.
In te, Maria, ho sperato.
Non valse la scienza coalizzata, non valsero le premurose cure, a cui venne fatta segno la mia amata genitrice. Ogni giorno più peggiorava ! Peritonite, gonolite, cestite, nefrite sembravano si fosser dato l'intesa per abbatterla. E ciò sarebbe avvenuto, se in tempo non avessi ricorso a Te, Stella, Rifugio e Consolatrice degli afflitti. Il M. R. D. Saluzzo , Direttore dell' Oratorio di S. Ambrogio, ci fornì una medaglia di Maria SS. Ausiliatrice, che venne posta indosso all'inferma; una novena fu fatta dagli orfanelli di D. Bosco, e Maria sempre benigna mi esaudì! Dopo sei mesi che era inchiodata sul letto, oggi la madre mia si alza e continua in meglio. Il dottore l'ha messa fuori di pericolo di una ricaduta, ma disse che le durerà per molto tempo ancora questo stato di prostrazione. Ah Maria! Voi che non a metà, ma complete impartite le vostre grazie, volgete un occhio pietoso su quell'infelice e liberatela da ulteriori mali. L' offerta più gradita che io debbo far a Voi, o Madre nostra, è quella del mio cuore che io consacro interamente a Voi!
Milano, 18 Giugno 1896.
TERESA LOMBARDI-ROVATI.
Più che grazia vero miracolo.
Il primo giorno del presente giugno Luigia Giacomini della Parrocchia di Visinale in Provincia di Udine, distante di qui circa otto chilometri, tutta in angoscia, col cuore straziato, portavami una sua figliuoletta di sette anni, che da qualche tempo non prendeva più cibo, avea perduto l' uso delle gambe, e gettava le braccia qua e là sì da sembrare una spiritata. Se qualche persona estranea alla famiglia le si avvicinava, gridava disperatamente e procurava coprirsi gli occhi onde togliersi la loro vista. Alle preghiere della desolata madre, impartii una benedizione alla paziente ragazzetta, diedi alla genitrice una medaglia della Vergine Ausiliatrice, perchè l'appendesse al collo della figliuola e le suggerii che facesse un triduo e poi una S. Comunione, onde così rendersi degna di ricevere la grazia che dimandava alla Madonna Benedetta. Alla sera dello stesso giorno la fanciulla mostrò un sensibile miglioramento, tanto che mangiò con grande avidità. Al secondo giorno continuò a migliorare, ed al termine del terzo giorno fu pienamente guarita; tantochè oggi va giocarellando colle altre fanciulle del vicinato nel cortile dinanzi alla casa di sua dimora, corre, salta e canta come non avesse avuto mai alcun male. Questa improvvisa ed inaspettata guarigione suscitò nel paese l' universale ammirazione, e molti stupefatti per un sì grande prodigio, si affollavano attorno alla fanciulla, che trovarono perfettamente guarita. Il Parroco istesso del luogo corse anch'egli ad accertarsi de visu della grazia ottenuta in favore dell'avventurata ragazzetta e ne fece le meraviglie. La madre di questa fanciulla, tutta commossa e piena d'ineffabile consolazione, dice che non si dimenticherà giammai di questa stupenda grazia ricevuta da Maria SS.a, e desidera che venga pubblicata quanto prima nel Bollettino Salesiano.
Brische di Meduna, 27 Giugno 1896.
D. CELESTE BELLI.
Maria m'ha ridonato il figlio.
Col cuore innondato di gioia e piena di riconoscenza, prego a voler pubblicare per intiero sul Bollettino Salesiano la seguente relazione in adempimento alla promessa fatta alla cara Madonna Ausiliatrice. - Mio figlio Carlo, sorteggiato a partire per l'Africa, me ne dava la dolorosa notizia da Napoli prima d'imbarcarsi per l'Eritrea. È facile immaginare lo schianto che provò il mio cuore a tale annunzio! D'accordo con mio marito, corsi subito al Collegio Salesiano di questa città a far celebrare una Messa all'altare della Vergine Ausiliatrice, con promessa di farne celebrare una costi al suo altare e rendere pubblica la grazia, qualora il mio figlio ritornasse sano e salvo. Spediva intanto al mio Carlo una medaglia di Maria Ausiliatrice, affinchè se la ponesse al collo. Ed oh potenza e bontà della SS. Vergine! Mio figlio è ritornato in buona salute, nonostante i pericoli d' ogni genere incontrati. Gratissima di tale grazia ottenuta, acchiudo l'offerta per la celebrazione della S. Messa, e prego a raccomandare tutta la mia famiglia all'Ausiliatrice dei Cristiani, affinchè voglia continuarci sempre la sua potente protezione e renderci meno indegni dei suoi celesti favori.
Alassio, 28 Giugno 1896.
TOMMASINA DAMONTE..
Salus infirmorum, ora pro nobis.
Lanza Bartolomeo, mio parrocchiano, or sono due mesi , fu colto da gravissima malattia che lo ridusse agli estremi. Ricevuti gli ultimi Sacramenti, disperato dai medici che gli davano solamente qualche ora di vita, si rivolse al potente patrocinio della Vergine SS.ma, e fece voto che, ove fosse guarito, sarebbesi maggiormente infervorato nelle opere di Religione, e avrebbe spedito una limosina a cotesto rinomato santuario di Maria Ausiliatrice. Ed ora, ottenuta la grazia, riconoscente spedisce la piccola, ma cordiale offerta di lire cinque, dolente che le critiche condizioni finanziarie non gli permettano di fare di più. O Maria, beato chi in voi confida!
Silvano d'Orba, 6 Luglio 1896.
Prevosto PIETRO VERRI: Decurione Salesiano.
Maria gli ha salvata la vita.
REV.MO SIG. D. RuA - Fra le tante relazioni di grazie che si pubblicano nel Bollettino Salesiano, ottenute per intercessione della nostra cara Madre Maria SS.ma Ausiliatrice, veda un poco se conviene inserirvi questa, affinchè in tutti i lettori del periodico cresca ogni dì più la fiducia in Maria SS. Col permesso di V. S. Rev.ma nel giorno 1° del passato giugno si diede principio alla costruzione della nostra cappella, prestandovi mano con mirabile entusiasmo confratelli ed alunni nelle ore di ricreazione, affaccendati tutti a portare materiali sui ponti, e così tutti avere la dolce soddisfazione di poter dire d'aver fatto qualche cosa per la chiesetta dell'Oratorio di S. Benigno, che speriamo sarà finita colla chiusura del mese di maggio dell'anno venturo. Ma siccome la riflessione non fu mai la dote principale dei ragazzi, così accadde che nel giorno 2 di questo mese, sacro alla Visitazione di Maria SS., un doloroso avvenimento doveva funestare la pace e la serena gioia che regna in questa Casa. Verso le ore 14, un giovane che scendeva da una scala in legno che mette sui ponti della detta cappolla in costruzione, sentendo il suono della campana che dà il termine della ricreazione, nell'affrettarsi per portarsi coi compagni a cantare una laude avanti alla statua di Maria SS., com'è consueto prima di recarsi sul lavoro, cadde dall'altezza di circa quattro metri, battendo malamente della testa sul suolo, senza prodursi però alcuna ferita e senza spargimento di sangue. Sulle prime si credè ad un semplice e momentaneo stordimento; ma chiamato subito il medico locale, questi dichiarò tosto che il giovane correva grave pericolo di morire per congestione cerebrale. S'immagini, Rev.mo Padre, il dolore di noi tutti a siffatto annunzio! Chiamato , venne in fretta da Torino un distinto sanitario, ma anch' egli, dopo avere minutamente visitato lo sventurato giovane, confermò quanto ci aveva già detto il suo collega. Troppo doleva al sottoscritto ed a noi tutti che al dolce ricordo della riedificazione della nostra chiesa dovesse essere legata la dolorosa memoria della morte di un alunno. Perduta ogni speranza negli uomini , i nostri cuori si elevarono unanimi a Colei, che non invano è chiamata l'Aiuto dei Cristiani. Principiata subito una novena in suo onore , si ebbe tosto il conforto di osservare, fin dal primo giorno, un sensibile miglioramento nel nostro caro infermo. « Maria deve salvarcelo ! » avevamo esclamato nell'intimo dei nostri cuori, e Maria ci accordò questa grazia. L' ammalato continuò a migliorare di giorno in giorno in maniera tale, che nell'ultimo giorno della novena, completamente guarito, potè portarsi con noi nella nostra cappella provvisoria, per ringraziare la Vergine Celeste di avergli salvata la vita. Eccole, Rev.mo Padre, narrato in succinto un avvenimento, che deve animarci sempre più a ricorrere con fiducia a Maria Ausiliatrice in tutti i nostri bisogni, perche Dessa è la più potente ed amorosa nostra Avvocata presso il Signore.
S. Benigno Canavese, 10 Luglio 1896.
Sac. LUIGI NAI.
Maria protettrice delle nostre campagne.
Ben sapendo quanto è potente Maria SS. Ausiliatrice e quanto possa contro le diaboliche potestà dell'aria, cagione non dubbia di quelle infauste e terribili grandinate che rovinano ben sovente le più belle e ridenti campagne; fin dallo scorso anno, anzichè ricorrere alle Società che riparano i danni cagionati dalle disastrose procelle, pensai di rivolgermi a Lei, che è più che mai potente per prevenirle; ed infatti dacchè mi sono con Maria SS. Ausiliatrice abbonato, più volte minacciosa la tempesta passò terribile sul nostro capo, ma fu sempre, per grazia e per la potenza di Maria sospinta da noi lontano, lasciando intatte le nostre campagne. Viva dunque Maria SS. Ausiliatrice, custode delle nostre campagne!
Rivalta Scrivia, 24 Luglio 1896.
P. H. ANDREA DAPINO.
Una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice.
In questo mese, una cara persona di mia famiglia era stata sorpresa da tale malessere, da rendere forse indispensabile, a detta del medico curante, un' operazione chirurgica, la quale, oltre ad essere pericolosa, metteva l' infermo in istato di non poter per molto tempo accudire ai proprii affari. Sfiduciati e dolenti, non sapevamo che fare. Ma in buon punto una felice idea mi balenò alla mente. Non posi tempo in mezzo. Corsi al Collegio Salesiano di questa città, raccomandandomi perchè fosse detta una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice e si facesse pregare per la guarigione del nostro infermo, promettendo la pubblicazione della grazia se l'avessimo ottenuta. E Maria, che tutto può presso al trono di Dio, ci ha esauditi. L'indomani, il medico trovò il male molto più leggiero e tale da esser curato senz'operazione alcuna. L'infermo andò di poi sempre migliorando, ed ora, pienamente ristabilito, ha assistito con noi ad una Messa di ringraziamento nella chiesa del suddetto Collegio e, come noi non cessa di ripetere che in questa guarigione è intervenuta la potenza di Maria SS.
Alassio, 30 Luglio 1896.
ANGELINA BENzI.
Nessuno mai ricorse invano a Maria.
Una grave sciagura gettò me e la mia famiglia nella più grande desolazione. L' imminente morte di una persona sarebbe stata la nostra rovina. Ricordandomi dell'efficacia delle preghiere dei figli di D. Bosco, diedi notizia al Rev.m° Sig. D. Rua del mio tristo caso, supplicandolo che facesse innalzare preci dai suoi orfanelli a Maria Aiuto dei Cristiani, per impetrare la guarigione di quella persona, ed a me e alla mia famiglia pazienza e coraggio. Si cominciò adunque insieme una novena alla Vergine il 23 luglio, giorno in cui l'ammalato era stato dichiarato da tutti agli estremi. Ma viva Maria ! il giorno seguente il medico lo giudicò fuor di pericolo, ed oggi, ultimo giorno della novena, è guarito. Sia ringraziata la Vergine Ausiliatrice! Parimenti un mio compagno pregò Maria Ausiliatrice per la guarigione d'un suo fratello gravemente ammalato e fu subito esaudito. Inviamo pertanto l'offerta di L. 12 per la celebrazione di due Messe all' altare di Maria Ausiliatrice in ringraziamento delle due grazie ricevute.
Desio, 31 Luglio 1896.
Ch. GAETANO SOLARO.
Rendono pure grazie infinite a Maria SS. Ausiliatrice, per segnalati favori ottenuti mercé la potentissima sua intercessione, i seguenti
Sac. Carmelo Impelluso Pappalardo di Floridia con offerta di L 10, per l'ottenuta guarigione di sua madre.
Aristilla Cecchetti, la quale ottenne che suo fratello rimanesse illeso dalla febbre gialla, in mezzo a centinaia di persone colpite da questo fatal morbo e miseramente perite in America.
N. L. di Torino per aver ottenuta la guarigione dell'inferma sua genitrice.
Una persona N. N. di Borgomanero con offerta L. 20 alla miracolosa Madonna Aiuto dei Cristiani.
Ch. Luigi M. T. di Foglizzo per essere stato in modo veramente miracoloso salvato dalla leva militare.
M. C. M. di Bottigliera d'Asti, guarita da una terribile e lunga nevralgia brachiale cubitale, in seguito ad una novena a Maria SS. Ausiliatrice, con promessa di portarsi, come fece, a ringraziarla nella sua Chiesa in Torino, facendovi celebrare una S. Messa e accostandosi ai SS. Sacramenti, e di fare ogni anno un'offerta all'Opera Salesiana.
Elvira ed Ermelinda Manserati di Mirabello per l'ottenuta guarigione della mamma, la quale da parecchi mesi teneva il letto per una bronchite cronica e ne era stata portata quasi in fine di vita.
Teresina Ughini di Potenza, liberata da gravi disturbi di stomaco dopo aver fatta una novena di fervidi preci insieme colla sua padrona Sig.ra Vimercati.
Luigi Buiatti di Torreano, per aver trovato contro ogni speranza, in seguito a preghiere fatte a Maria, chi si prendesse paterna cura del suo male, dal quale ha potuto guarire senza sottoporsi, come volevano i medici, all'amputazione del pollice della mano.
G. G. di Avigliana per aver avuto salvo il figlio nella guerra d'Africa.
Ch. Pietro Acerbis di Corsale, il quale con una novena ottenne che fosse sventata una calunnia a carico di suo fratello e questi rimesso nell'impiego da cui era stato licenziato.
Giuseppe Schuster di Mariapfarr (Salisburgo), il quale, colpito da violento tifo-cefalico - ipogastrico, raccomandossi all'Oratorio Salesiano di Torino, dove dato principio ad una novena a Maria Ausiliatrice, l'infermo si sentì più tranquillo, il male rimise della sua violenza, ed in breve si ebbe la guarigione.
Angelo Cavallero, falegname, Torino. - Amalia C., Torino. - Francesco Spinelli, Cipressa, con offerta di L. 5. - C. T. Faido, per essere stata liberata da un'insidiosa e terribile malattia. - Marianna di Tamacca, Palermo. - Michela Olivero V. Prato, Sommariva - Una Cooperatrice Salesiana di San Germano Vercellese. - Il Ch. Olinto Migliorini per la Cooperatrice Salesiana Elisabetta Giorgio Migliorini di Calogna Veneta. - Due famiglie Cooperatrici dell'Opera Salesiana di Villanovafranca (Cagliari) - Giovanni Cavigioli, Seminarista, Borgomanero. - Fiorenzo ed Emanuele Bonetti, Molveno. - Suor B. M., Beitgemal. - Francesco Gennero, Olvera. - Teresa De Bernardi.-Angela Monticone, S. Damiano d'Asti. - Luigi Albero, Moretta. - Placido Ariano, Bianzè. - Teresa Capo, Farigliano. - Giuseppe Albertino, Torino. - Annunziata Gianotti, Torino. - Giuseppe Vachetta, Laloggia. - Luigi Gastaldi.
UNA GITA NELL'ASTIGIANO. Amici carissimi,
LE vacanze autunnali sono il tempo più propizio per le passeggiate, ed io stavolta voglio invitarvi a farne una, forse un po' lunghetta per le vostre gambe. Ma non spaventatevi: non si tratta di andare a piedi e neanche per ferrovia: si tratta di volare col pensiero e di portarvi collo spirito in un piccolo paesello dell'Astigiano, ove il giorno 5 del prossimo venturo ottobre si recherà un eletto drappello di giovanetti dell'Oratorio Salesiano di Torino, colla loro banda musicale, per onorare la memoria di un caro giovane, che, dopo aver lasciato una larga traccia di sé nel primo Istituto di quell'uomo di Dio che fu Don Bosco, se ne volava al cielo quarant'anni or sono, pianto da tutti quanti lo conoscevano.
Quest'angioletto è Domenico Savio, di cui Don Bosco medesimo, con affetto di padre scrisse pagine d'oro, che tradotte omai in quasi tutte le lingue parlate, ne tramandano i nobilissimi esempi ad un numero grandissimo di anime. Oh! com'era pio questo caro giovanetto! Quanto era virtuoso! Non vel dice forse il suo ritratto, che vi accompagna questa mia lettera ? (Vedi p.239). Dotato di un'indole eccellente e d'un ottimo cuore, tutto pietà e candore, ,e uguale a se stesso, tanto a quattro che a quin dici anni olezzò come giglio ovunque ebbe a trovarsi, edificando colle sue preclare virtù tutti coloro che lo avvicinarono a Murialdo, sua terra natale, a Castelnuovo d'Asti, a Torino ed a Mondonio, ove ora riposano venerate le sue ossa e dove lo scorso anno, fra l'entusiasmo ed il giubilo de' suoi conterranei e delle popolazioni confinanti, s'inaugurava una monumentale lapide sulla casa, nella quale santamente spirava l'anima sua bella quest'angelico giovane addì 9 marzo 1857.
Fu quella una festa grandissima, un solenne trionfo. Vi presero parte le autorità religiose e civili, v'intervenne il Sig. Don Rua nella persona del Prefetto Apostolico della Terra del Fuoco Mons. Fagnano, aderirono con bellissime lettere parecchi Vescovi, Arcivescovi e Cardinali, ed il Papa, il Papa stesso vi mandò la Sua Apostolica Benedizione.
Orbene, tanta solennità sarà presto commemorata ed in parte rinnovata nel prossimo ottobre, recandosi nel giorno anniversario una larga rappresentanza degli allievi dell'Oratorio Salesiano di Torino a deporre una bella corona sulla lapide marmorea ed a pregare sulla tomba del caro Domenico.
Questi giovanetti ogni anno sogliono recarsi ai Becchi, patria del loro gran Padre Don Bosco, a celebrare la solennità del S. Rosario. Colà trasformano in basilica un ampio cortile campestre e con classica musica vi celebrano le sacre solenni funzioni, come se si trovassero sotto la maestosa cupola del loro santuario di Maria Ausiliatrice. Nel pomeriggio poi, per quei colli aprichi, tra quei prati e gli ubertosi vigneti, ove il pastorello Giovanni Bosco passò la sua giovinezza, sfilano in devota processione quei bravi colligiani, dietro a cui, preceduto dalla banda musicale e corteggiato dagli altri giovani Salesiani, vien portato quasi in trionfo Gesù in Sacramento. È una festa d'immenso giubilo per quelle popolazioni e di grandissima consolazione pei figli di Don Bosco.
Al lunedì seguente, 5 ottobre, scenderanno a Mondonio, e quivi dopo calde parole di qualche eloquente oratore, tra canti e suoni poseranno una corona di mesti fiori sulla lapide commemorativa dell'antico allievo dell'Oratorio, e poi sulla tomba del medesimo, dopo avergli pregata la pace dei giusti, raddoppieranno nel loro cuore la fiamma dell'amore alla virtù, giurando odio eterno al vizio.
E voi, o miei cari amici, associatevi a questi giovanetti, volate in quel giorno col vostro pensiero al paesello di Domenico Savio, prostratevi sulla sua tomba, e ad imitazione sua risoluti andate voi pure gridando nel vostro cuore: La morte, la morte, ma non peccati
Intanto leggete quell'aurea biografia che con tanta semplicità di stile di lui ha scritto Don Bosco; imparerete così a conoscere meglio questo caro giovanetto e vi accenderete del desiderio d'imitarne le rare virtù.
Addio. Credetemi sempre
Vostro aff.mo amico
DoN GIULIVO.
ROMA.
Nell'intento di far del bene alle anime di molte giovanette, che frequentano l'Oratorio festivo delle Suore di Maria Ausiliatrice in Roma, situato in Via Marghera N. 65, un bel numero di esse furono, nello scorso luglio, invitate a cinque giorni di ritiro spirituale, da cui riportarono tutte dolce e salutare impressione.
Nella cappella dell'Oratorio, posta in fondo al giardino, riparata e protetta dagli alberi, stavano raccolte queste giovanette in divoto silenzio, avido di ascoltare la parola di Dio, che loro veniva predicata in due meditazioni dal Parroco del Sacro Cuore ed in un'istruzione da altro Sacerdote Salesiano della detta Parrocchia. Dopo la prima meditazione, assistevano alla S. Messa, ed alla sera dopo la seconda ricevevano la benedizione del SS. Sacramento. Nè si congedavano dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, senza prima estrarre a sorte un fioretto da praticarsi nella giornata seguente.
Furono quelli giorni di pace e di consolazione, giorni intieramente del Signore, che fruttarono assai a queste giovani anime!
La chiusura fu tenuta da S. Ecc. Rev.ma Mons. Domenico Ambrosi, novello Pastore di Poggio Mirteto, il quale dispensò a tutte il Pane Eucaristico, facendo precedere il celeste dono da belle e soavi parole, che veramente innalzavano il cuore a Dio, e lasciando poscia per ricordo degli esercizi la divozione a Maria Santissima, quale arra di predestinazione, dopo essere stata conforto ed àncora di salvezza nel mar procelloso della vita.
TORINO ORATORIO DI S. FRANCESCO DI SALES.
È per noi sempre una dolcissima soddisfazione assistere alle solennità dell'Oratorio festivo di San Francesco di Sales in Valdocco, dove si raccoglie un vero esercito di giovanetti torinesi, attirati dallo zelo sempre industrioso del loro Direttore Sac. Prof. D. Giuseppe Pavia. La domenica, 2 agosto, questi baldi giovani celebravano nel salone -che serve di teatrino pel Collegio, la distribuzione dei premi ai più assidui e diligenti; funzione che per la gran quantità di bravi giovanetti si dovette continuare alla domenica seguente. Presiedeva alla gioconda festa il Rev.mo Sig. D. Rua, circondato dal Direttore del Collegio D. Carlo Farina, da varii Sacerdoti e da Benefattori dell'Oratorio. Assistevano, oltre ai giovanetti, un numero grandissimo di loro parenti.
Dopo una marcia ed un inno d'introduzione, l'Avv. C. Dollero in un brillante discorso esaminò quali sono le condizioni dell'educazione odierna, rilevandone le circostanze; esortò i parenti ed i giovanetti a non trascurare mai un istituto così importante che, associando l'arte e l'istruzione alla coltura dell'anima, ai più nobili ed elevati sentimenti dell'amore di Dio, della patria e della famiglia, farnia ottimi cuori, caratteri integri e forti, che saranno un giorno esempio di serene virtù nel santuario domestico e speranza di miglior avvenire per la moderna società, così angustiata da lotte di classi e partiti.
Seguì quindi la premiazione degli allievi delle Scuole di Musica, Canto e Drammatica. Tutti ammiravano l'eleganza dei libri, dei diplomi d'onore, l'abbondanza dei premi consistenti in abiti, elargiti dalla fiorita carità dell'esimia signora Bernardina Magliano. Nè.solo ai giovani delle scuole predette si restrinse la premiazione, ma venne estesa a tutti i più distinti delle Classi di Catechismo, e quei buoni giovanetti avevano un sorriso di gioia sincera, quando commossi ricevevano dalle inani del Rev.mo Sig. D. Rua o di altri superiori le medaglie d'argento, o le menzioni onorevoli coi relativi premi.
Episodio commovente per l'affollato pubblico e per tutti i ragazzi fu la premiazione colla corona d'alloro del giovane Bertoldo Giuseppe, eletto dai compagni e giudicato dai Superiori il più diligente e il più assiduo all'Oratorio. Entusiastici applausi salutarono il buon giovanetto, il quale unitamente ai suoi genitori con lagrime di riconoscenza ringraziava i suoi ottimi Superiori, mentre per la sala echeggiavano le squillanti note della musica.
L'accademia si svolse bella, ordinata, lodevolissima per la parte che vi presero le Scuole di Musica, Canto e Drammatica dello stesso Oratorio.
Chiudeva la solennità il Rev.mo Sig. D. Rua. Coll'affettuosa, paterna e sempre dolce sua parola encomiato l'ottimo Direttore, il suo Vice-Direttore, i Maestri ed i Catechisti per il felice esito della bella festa e più per l'incremento che va prendendo l'Oratorio, esortava tutto quel mondo di ragazzi a crescere buoni, saggi, virtuosi, frequentando sempre l'Oratorio festivo, perchè non si debbono perdere i frutti dell'educazione religiosa con tanti sacrifizi impartita e perche le famiglie possano sempre trovare quella pace così soave ed invidiata che solo si trova nell'unione dei cuori amanti della pietà e della virtù.
TORINO - ORATORIO S. GIUSEPPE.
L'annuale solenne distribuzione dei premi ai quattrocento e più giovanetti che frequentano quest'Oratorio situato in via Saluzzo, ebbe luogo la sera della domenica 26 luglio. Presiedeva il Rev.mo Teol. D. Luigi Spandre, Parroco dei SS. Apostoli Pietro Paolo, nella cui circoscrizione trovasi l'Oratorio, circondato da varii sacerdoti della Parrocchia e da parecchi egregi benefattori e benefattrici dell'Oratorio. Assistevano pure i parenti dei giovanetti.
Aprì la festa il Direttore dell'Oratorio, Don Attilio Garlaschi, con un'accurata relazione dell'annata, nella quale ebbe occasione di rivolgere parole d' encomio e di ringraziamento anzitutto al Rev.mo Parroco ed al suo Vice-Curato Don Tosco, per lo zelo e la benevolenza che addimostrano verso l'Oratorio, ai Catechisti e Benefattori che formando tutti insieme un cuor solo vanno a gara nel dare un continuo sviluppo all'istituzione, ed infine ai giovanetti che corrispordono alle cure ed all'affetto dei loro Superiori, intervenendo assiduamente e diligentemeute diportandosi nell'Oratorio.
Dando corso all'ordine del giorno, fra concerti musicali , canti, dialoghi e svariate poesie, si venne alla chiamata dei premiandi, i quali mostravano in volto la gioia regnante nei loro cuori e la viva riconoscenza nel ricevere tagli d' abiti, ricchi libri ed oggetti utili di cancelleria.
Coronò la festa il Rev.mo Parroco. Con un affettuoso e commovente discorso manifestò la sua piena soddisfazione nell'andamento dell'Oratorio, elogiò l'egregio Direttore con tutti i suoi collaboratori, ebbe parole di lode e di consiglio per i giovanetti e terminò col dimostrare ai benefattori ed ai parenti conce nell'Oratorio di S. Giuseppe si faccia un vero bene.
BUSTO ARSIZIO.
Da Busto Arsizio, ove i Salesiani nel dicembre scorso aprirono un Oratorio festivo con scuole serali nei bei locali loro preparati da quel Rev.mo Prevosto, riceviamo la seguente corrispondenza:
« Domenica, 2 agosto, i Salesiani di questa città celebravano la loro festa patronale di S. Luigi Gonzaga, preceduta da un divoto triduo di predicazione fatto dagli stessi preti di D. Bosco, i quali seppero infondere nei teneri cuori di questi giovanetti un grande entusiasmo per imitare il loro S. Patrono. Alla vigilia e nel mattino della festa i confessionali furono presi d'assalto fino a tardissima ora. Alla Messa della Comunione generale, celebrata dal Direttore dell'Oratorio D. Serafino Fumagalli, uno spettacolo commovente presentavano quei cari fanciulli, tra' quali notavasene pure un buon numero dai sedici ai venticinque anni, nell'accostarsi a ricevere il Pane degli Angeli con compostezza, raccoglimento e divozione veramente ammirabile, mentre i cantori eseguivano graziosi mottetti.
» Alle ore 9, dopo soli pochi mesi di esistenza presentavasi al pubblico la banda dell'Oratorio. Primo a gustarne le armoniose sinfonie doveva essere di diritto l'amato Prevosto Mons. Tettamanti. Ed infatti i bravi musicanti in divisa, accompagnati da tutta la moltitudine degli altri giovanetti, uscirono dal recinto dell'Oratorio ad incontrarlo, quando doveva arrivare per celebrare la Messa solenne, ed al suo giungere diedero fiato ai loro strumenti facendogli così una graditissima sorpresa. Non sto a dire quanto ne godesse l'ottimo Prevosto : quel paterno sorriso che gli sfiorava il labbro, quelle dolci e cordiali parole che ai giovanetti ed ai Salesiani rivolgeva, ne palesavano l'interna gioia che provava nel trovarsi in mezzo ai carissimi suoi figli, in mezzo alla porzione più eletta del suo gregge, cui egli, come il Buon Pastore, ama di sviscerato amore.
» Ottima e ben eseguita fu la musica della Messa solenne, alla quale assistettero pure in posto distinto i Priori della festa, che erano l'Illustrissimi Sig. Leopoldo Candiani e la sua degna consorte Sig.a Felicita, insigni benefattori dei Salesiani di questa città.
» Nel pomeriggio, alle 16,30, dopo il canto di alcune sacre laudi, il Rev. P. Armando Martinoli della Congregazione degli Oblati ascese un piccolo palco che serviva di pulpito, per tessere con uno stupendo discorso le virtù del Santo. Terminato il panegirico, uscì la processione. Preceduti dalla croce, sfilarono le varie classi di Catechismo, le Compagnie di S. Giuseppe e di S. Luigi, col loro stendardo e bandiera, e quindi la banda musicale. Più di tutto attraeva lo sguardo dell'accorso popolo la bellissima statua di S. Luigi Gonzaga, opera delle Scuole d'Arti e Mestieri dell' Oratorio Salesiano di Torino, portata da otto Luigini, seguiti dal clero.
» Le vie lungo il percorso erano affollate di popolo, meravigliato in vedere uscire una sì divota processione di là, dove poco tempo prima, essendo caserma militare, non risuonavano che imprecazioni e bestemmie, e dal più profondo del cuore ne lodavano il Signore e benedicevano allo zelante Prevosto che seppe così bene convertirla in luogo di orazione ed in giardino di elette virtù. E qui manifestossi ancor una volta la fede e la pietà del buon popolo di Busto, che al passaggio del Santo si inginocchiava, si faceva il segno di croce, si teneva insomma in contegno veramente da cristiano.
» Rientrata la processione in chiesa, s'eseguì un Tantum Ergo del Gounod e s'impartì la benedizione col SS. Sacramento.
» Incoronò la festa il magnifico dramma Santo Eustachio di Mons. Allegro, recitato dai giovani dell'Oratorio con tanta maestria e possesso della lor parte, da essere più volte interrotti dagli spontanei ed entusiastici applausi dei più che millecinquecento spettatori.
» Tutt'insieme questa festa è riuscita uno spettacolo di vivissima fede e di tenerissima divozione. Per tutto il giorno fino a sera inoltrata fu un accorrere continuo di popolo a visitare la chiesuola dell'Oratorio, artisticamente addobbata dal valente bustese Sig. Pietro Triulzi, e prostrarsi innanzi alla statua di S. Luigi per raccomandargli questa buona gioventù che forma le nostre più care speranze. Anzi, durante le funzioni, non potendosi più accedere alla chiesa perchè gremita di giovani e di parenti, la moltitudine giunse al punto d'invadere l'orto attiguo e salire fin sopra le finestre della cappella, con grave pericolo della vita, ciò che indusse la Direzione ad ordinare si chiudesse l'ingresso, onde evitare disgrazie; ma l'affollato popolo pur dal cancello e dalla pubblica via con mesto e divoto sguardo stette fermo ad assistere alla funzione che nella cappella celebravasi.
» Quanta fede in questi bustesi ! S'abbiano essi una pubblica lode, ma sopratutto si tributino cordiali encomii all'ottimo loro Sig. Prevosto, che seppe arricchirli di questa benefica opera dei figli di D. Bosco, che tanto bene arreca ai loro figliuoli. Faccia Iddio ch'essa prosperi sempre meglio e procuri sovente alla città di Busto feste così belle e così devote!
MESSINA.
Dopo una divotissima novena con predica, canti e benedizione col Santissimo, si celebrò solennemente nell'Oratorio Salesiano di Messina la carissima festa di S. Luigi Gonzaga, che ne è il Protettore, riuscita davvero bella ed edificante assai.
Già alquanti giorni prima parecchi di quei giovani riunitisi in Comitato si diedero attorno per preparare tutto ciò che potesse concorrere a renderla più splendida. Alla vigilia poi, era un muoversi, un affaccendarsi, un lavorare continuo che faceva piacere, e S. Luigi coronò gli sforzi di quei giovani col dissipare in quella sera i nuvoloni carichi di pioggia che minacciavano di guastare la festa.
All'alba della domenica il cortile formicolava di giovani, fra cui si distinguevano quelli che dovevano fare la prima Comunione, dal candido nastro al braccio, dalla medaglia al petto e dalla candela in mano, nonchè i membri del Comitato per la festa e i giovani della Compagnia di S. Luigi col relativo distintivo. Intanto il cortile presentava un colpo d'occhio stupendo. All'entrata sorgeva un arco di trionfo, ornato da festoni d'ellera, orifiammi, e palloncini coronanti una bella iscrizione. Stendardi e bandiere sventolavano in ogni lato, attorno al cortile spiccava una corona di verdi festoni, che sostenevano vari palloncini; dappertutto si leggevano grandi e piccole iscrizioni a colori, ornate di serti di fiori e fregi, portanti opportuni motti e sentenze. Dai davanzali delle finestre pendevano drappi; i muri erano ornati da trofei di scudi e bandiere. Dominava il tutto una grande iscrizione portante : Viva San Luigi Gonzaga a lettere cubitali su fondo rosso. A dirla in breve quel cortile sembrava una gran sala parata a tutta festa.
Verso le ore 9 si andò in chiesa, tutta addobbata con drappi e trine, che si riempì di giovani e di signori e signore che desideravano di godere della cara funzione. Intervennero pure in corpo i giovani dell'Ospizio Provinciale Cappellini, di cui moltissimi fecero la Comunione, e una rappresentanza dell'Oratorio Salesiano di Catania con la propria bandiera. Durante la Messa furono eseguiti dai giovani cantori dell'Oratorio vari canti del M°. P. Nicosia e un mottetto del P. Da Falconara. - Alla Comunione fu uno spettacolo consolante quel lungo sfilare di giovani composti e devoti che andavano a fare la S. Comunione. Dopo la Messa fu cantato il Quasi arcus e un Tantum ergo di Mons. Cagliero e fu data la solenne benedizione col Santissimo e così fini la cara funzione del mattino.
Verso le 15 una folla grandissima di giovani innondò il cortile, in fondo al quale sotto elegante apparato sorgeva un altare, su cui posava la statua di S. Luigi circondata da fiori. Alle 18, appena giunti i giovani dell'Ospizio Cappellini, con alla testa la banda, si diè principio ad una riuscitissima accademia. Assisteva una folla grandissima di signori e signore. Appena la banda prese posto sul palco che sorgeva in mezzo al cortile, intonò un'applaudita marcia, a cui seguì un inno d'introduzione eseguito dai giovani cantori dell'Oratorio. Si cominciarono allora a recitare dai giovani vari componimenti in lingue diverse ed in dialetto, intercalati da due graziosi canti e dalle allegre note del simpatico concerto dell'Ospizio Cappellini - Tutto quivi era applaudito, ma sopratutto si ammirava lo slancio con cui quei cari giovanetti dicevano le lodi a S. Luigi. - Sul finir dell'accademia cominciò l'illuminazione gaia e fantastica di tutto il prospetto dell'Oratorio e di tutto il cortile, mentre i giovani nel colmo dell'entusiasmo, al suono della musica gridavano Viva S. Luigi! - Si ascesero numerosi palloni, ed infine si spararono alcuni fuochi d'artificio, che chiusero la simpatica festa.
SAVONA.
Due parole anche sulla riuscitissima accademia tenutasi nell'Oratorio di N. S. della Misericordia per la festa di S. Luigi e pel Giubileo Eucaristico del Papa, nella quale si distribuirono pure i premi agli allievi delle scuole di Catechismo. Le prendiamo dal Letimbro di quella città.
» Esordiva il geniale trattenimento una ben suonata marcia della banda dell'Oratorio, cui seguiva un forbito e dotto discorso del Direttore D. Descalzi. Saremmo ben lieti che dato alle stampe venisse diffuso largamente: forse molti illusi avrebbero a convincersi che l'educazione del giovane non è affare così leggiero e trascurabile, e che l'educazione morale unica e sola a darsi al giovane è l'educazione cristiana, l'educazione del Catechismo, se non si vuol tradire l'innocente età.
» Abbastanza riusciti furono i componimenti poetici e i dialoghi; riuscitissima la poesia « Un pensiero al Papa », lo svolgimento « Tutti all'Oratorio » recitato con slancio e franchezza. La musica e il canto inappuntabile e soddisfacente. Il « ballo patagone » eseguito a puntino fu una bella novità, che mise il buon umore in tutti. Fu pure molto divertente ed allegro il duetto: « La prova di un'opera seria ». Dopo tutto vennero i premi molti e ricchi, che tennero più allegri e contenti i bravi allievi, ed infine una ricca illuminazione, resa più vivace dalle allegre marcie della banda.
» Che care feste ! che poesia ! che gioia ! L'entusiasmo che brillava sulla fronte di quei tanti fanciulli e giovani, era un inno di gloria a Dio, a San Luigi, al Papa! Sì, il vedervi ricordato anche il Papa in quella festa, fu ciò che più commosse; quegli evviva a Leone XIII andavano proprio al cuore.
» E non cercano i cattivi di staccare i giovani dal Papa per staccarli da Cristo? Dunque, o cattolici, stringete i giovani al Papa.
» E voi, o giovani dell'Oratorio, che siete la speranza della Chiesa e della Patria, ne sarete un giorno l'onore ed il vanto !
» Bella e benefica la Chiesa, che in ogni tempo ebbe sue speciali cure alla gioventù; e fortunate le nazioni, ove potè la Chiesa svolgere liberamente la sua azione in mezzo alle anime giovanili; disgraziate quelle che incepparono tale azione; gli orrori della Comune di Francia parlano abbastanza dei frutti della scuola atea e irreligiosa. E nella nostra Italia, quali sono i frutti della « scuola laica? ». A quindici anni si hanno atei, positivisti, uomini senza carattere, senza ideali, senza grandi affetti, senza onestà, solo conscii dei proprii diritti, poco o nulla dei propri doveri. Gloria pertanto a quei cuori generosi, che sacrificano la loro vita all'educazione dalla gioventù : essi fanno opera, che grandemente merita della Religione e della Patria. »
NUOVO OSSERVATORIO METEOROLOGICO SALESIANO.
Il giorno 24 giugno scorso, mentre noi a Torino festeggiavamo la cara solennità di S. Giovanni Battista cogli onomastici del venerato nostro Fondatore e dell'attuale nostro Rettor Maggiore, i Salesiani del Plata facevano a noi eco con altra festa interessantissima per l'inaugurazione e benedizione d'un nuovo Osservatorio Meteorologico, recentemente costruito nel Collegio Pio IX di Almagro in Buenos Aires, il quale porta il nome del compianto Monsignor Lasagna in memoria di questo nostro carissimo Vescovo, cui tanto deve la scienza non meno che la religione nelle Republiche dell'America Meridionale.
Alle 2,30 pom. Mons. Uladislao Castellano, Arcivescovo di quella città e diocesi, procedeva alla benedizione dell' edificio. Facevano da padrini della cerimonia S. Ecc. il Presidente della Repubblica, Ill.mo Dottor Uriburu, e la sua degna consorte, la gentilissima Sig.ra Leonora Tezanos-Pinto de Uriburu.
Terminata la cerimonia, prese la parola D. Giuseppe Vespignani, Ispettore delle Case Salesiane dell'Argentina, riferendo sull'avanzamento progressivo dell'Opera Salesiana in quella Repubblica. Quindi D. L. Morandi, Direttore dell'Osservatorio Meteorologico del Collegio Salesiano di Villa Colon, venuto espressamente da Montevideo per questa solenne inaugurazione, pronunciò un interessante discorso sulla storia e sull'importanza degli studii della meteorologia. In seguito gli alunni del Collegio eseguirono un bellissimo inno d'occasione accompagnato dalla banda musicale, e rappresentarono una divertente commediola assai gradita dalla numerosa adunanza, la quale rimase pur favorevolmente impressionata dalla visita fatta ai laboratorii varii di quell'Istituto Salesiano.
Il verbale di tale cerimonia fu firmato dalla maggior parte dei presenti, ed il Sig. Dott. Uriburu ebbe parole di lode e di incoraggiamento per la direzione di quel Collegio e per i continuatori della benefica Opera di D. Bosco.
Noi facciam voti che anche questo nuovo Osservatorio, arricchito dei migliori strumenti d'osservazione diretta e grafici, sotto l'abile direzione del giovane Sacerdote D. A. Del-Carria, possa apportare servigi importanti alla climatologia ed alla meteorologia dinamica della regione del Plata.
GENEROSITÀ DELL'EM.MO CARD. BAUSA. Leggiamo nell'ottima Unità Cattolica di Firenze:
« Nell'Istituto Salesiano di Don Bosco, posto in via Fra Giovanni Angelico, 8, venne solennemente festeggiata domenica, 2 agosto, la chiusura dell'anno scolastico.
» La mattina durante la celebrazione della Messa, buon numero di quei bravi giovanetti si accostarono alla Santa Comunione, dimostrando anche nel contegno esteriore una pietà veramente esemplare.
» Alle 6 della sera ebbe luogo la solenne distribnzione de' premi, presieduta da Sua Eminenza il Card. nostro Arcivescovo.
» L'ottimo Direttore dell'Istituto, Sac. Dott. Stefano Febraro, diede lettura prima ad un breve indirizzo al Cardinale, poi ad un ampio resoconto dei successivi e sempre maggiori progressi della Casa dal 1881 - epoca della sua fondazione - a tutt'oggi.
» Vennero quindi letti i nomi dei promossi in ciascuna delle classi ginnasiali, elementari e professionali, parecchi dei quali, oltre ad alcuni giovanetti frequentanti l'Oratorio festivo, ricevettero il premio meritato dalla loro condotta o dal loro studio dalle mani dello stesso Eminentissimo Principe.
» Negli intermezzi fummo rallegrati da scelti pezzi di musica suonati dalla brava banda dell'Istituto, nonchè da varie cantate eseguite da quei bravi giovani con vera maestria.
» Prese da ultimo la. parola il nostro amato Pastore, il quale, tolta occasione dalla storia della Casa, accennata dal Direttore, ricordò come nel 18:0 e nel 1881 egli tenne due pubbliche conferenze per la fondazione dell'Istituto, che doveva essere un monumento della Società Operaia Cattolica Fiorentina alla memoria del grande Pio IX.
» Constatò con piacere come la benedizione di Dio fosse scesa sui Salesiani di Firenze, e si augurò venga presto ad avverarsi la parola di Don Bosco, il quale disse che la Casa Salesiana Fiorentina avrebbe un giorno dato ricovero a ben 500 giovanetti.
» Ricordò come nel giorno 30 agosto egli porrà la prima pietra della chiesa che i Salesiani edificheranno nella nostra città dedicandola al culto della Sacra Famiglia. E siccome il Direttore aveva accennato a mancanza di mezzi per questo scopo, Sua Eminenza disse che egli cominciava coll'offrire cinquecento franchi ed invitava caldamente i Fiorentini a fare ciascuno la sua offerta secondo la propria possibilità.
» Da ultimo benedisse i bravi figli di Don. Bosco, che spendono tante fatiche per l'esecuzione dellaloro missione, e gli alunni coi loro parenti e benefattori. »
UN EDUCATORIO PER FANCIULLE a Giaveno.
Fra gli Educatorii delle Figlie di Maria Ausiliatrice va pure annoverato quello già iniziato in Giaveno, dove qualche mese addietro già si fece, alla presenza di un'eletta schiera di signori e signore, la distribuzione dei premi alle alunne riuscite più diligenti e studioso nell' anno ora decorso.
« Fino a qualche anno fa, così una corrispondenza di un giornale di Torino, Giaveno, che pure mantiene buone scuole, non aveva. ancora il bene di possedere un Educandato femminile che impartisse un corso d'istruzione e d'educazione superiore a quello delle scuole elementari; ma ora di certo sono soddisfatte le esigenze della popolazione, perchè questo, sorto per nobile iniziativa salesiana e di un'egregia signorina di Giaveno, promette molto.
» Già sapeva come le egregie Suore s'adoprassero ad infondere ottimi principii, ma ora ebbi occasione di convincere me stesso e così poter augurare un brillante avvenire a così novella Istituzione.
» La sala addobbata con gusto artistico, presentava bene, e noi trovandoci fra tutto quell'esercito di fanciulle ci sentivamo presi da un intimo piacere. Ad un cenno della Direttrice si principiò a svolgere uno svariato programma di recitazione, canto e musica, che destò in tutti una vera ammirazione. Di certo, quanta fatica, quanto lavoro da parte delle maestre e delle allieve! Eppure queste, dal viso rubicondo e dallo sguardo scintillante e furtivo, ci si paravano innanzi franche e spigliate, quasi fossero orgogliose di farci comprendere come avessero studiato. Brave davvero!
» Dopo un dialogo allegorico, portato bene da cinque allieve, tutte queste comparirono in ordine perfetto e ci fecero gustare un indovinato canto ginnastico, accoppiando sempre alla modulazione della voce quella del gesto, che sempre aggiunge intensità e grazia all'effetto.
» E finalmente si compì la desiderata distribuzione dei premi, consistenti in magnifici libri di educazione, d'una considerevole spesa. Le premiate, modeste e compite, ci passavano davanti, e sebbene volessero celare la propria soddisfazione, pure l'intima commozione le tradiva, e sovente lasciavano sfuggire il sorriso dolce della riconoscenza .
» Alfine sorse il reverendo Don Francesia e, con nobili ed elevate parole, pronunziò un forbitissimo discorso d'occasione. Ricordò i giorni della passata fanciullezza ; trattò con giustezza di sentimento dei doveri della donna e con aneddoti e fatti storici, cercò d'istillare nelle presenti fanciulle l'autore allo studio, al lavoro ed alla carità. Le sue ultime parole furono salutate da una salve d'applausi.
» E così ebbe termine la graziosa festa delle fanciulle, che lasciò nell'animo di tutti la più grata impressione ed il desiderio vivo di poter rivederla rinnovata negli anni futuri. »
GIUBILEO D'ARGENTO del Collegio S. Carlo di Borgo S. Martino.
Il fiorente Collegio S. Carlo di Borgo S. Martino celebrava in quest'anno il suo Giubileo d'argento, essendo appunto 25 anni dacchè veniva da Mirabello trasportato colà nel palazzo del Marchese di Caucino, che presenta maggiori comodità e per lo studio e per l' igiene e per le facilità di comunicazioni. Detto Giubileo venne celebrato per iniziativa di quel Direttore Dott. D. Angelo Bordone e dei suoi Collaboratori, in duplice modo : con una divota festa ad onore del S. Cuore di Gesù, e con una solenne accademia musico-letteraria di conclusione dell'anno scolastico; e tanto l'una quanto l'altra servirono a dimostrar sempre più la bontà del metodo di istruzione ed educazione che tengono i benemeriti figli di D. Bosco.
E per tacere della riuscitissima festa. Lo svariato e ricchissimo programma dell'accademia venne eseguito sia per la parte musicale, quanto per quel che riguarda le declamazioni, in modo non solo inappuntabile, ma tale da strappare frequentemente sentiti e vivissimi applausi a tutti i benemeriti signori intervenuti. Il Prof. Giovanni Garino Salesiano, noto in Italia ed all'estero pei riputati suoi lavori di filologia greca e latina, esordiva con un magistrale discorso, in cui si diede a svolgere il concetto Del pregio delle dottrine. Fecero seguito bellissime cantate a soli ed a coro, fra cui non possiamo tacere dei due scherzi « Declinazione del pronome hic, haec, hoc del Carissimi e "Venerabilis barba Cappucinorum" di Mozart, ed il grandioso e patetico "Super flumina Babylonis" di Gounod. Fu pure assai gustato e meritamente il bellissimo inno d'occasione del M°. D. Attilio Bettini che educa quei bravi giovanetti " con intelletto d'amore " al gusto della musica classica dei grandi autori nostrani e stranieri. Sorse in fine il Prof. D. Francesco Cerruti, che presiedeva, la cara solennità, a dire poche parole, ma da pari suo, sui doveri degli educatori, delle famiglie e degli alunni, perche il Collegio possa pienamente adempire il dovere che ha di dare alla Chiesa ed alla Società una gioventù che sia la speranza del presente, la salvezza dell'avvenire.
L'illustre letterato dava termine al suo dire facendo voto che di qua ad altri venticinque anni con maggior- solennità e colla stessa frequenza di alunni grati e riconoscenti ai loro educatori, si possa celebrare il Giubileo d'oro di questo Collegio che, essendo il primo fondato da D. Bosco fuori di Torino, ha sempre a buon diritto goduta la stima di tutte le civili e cristiane famiglie.
P. C. T.
SAGGIO FINALE nell'Istituto del Sacro Cuore in Casale.
Leggiamo nel Corriere di Casale : « Il giorno 14 luglio abbiamo avuto l'onore di assistere alla solenne chiusura dell'anno scolastico ed alla distribuzione dei premi nell'Istituto del Sacro Cuore diretto dalle venerande Suore di Maria Ausiliatrice nella nostra città.
» Alla presenza di numeroso clero e di sceltissimo pubblico, recitava il discorso di apertura il Rev. Dottore D. G. B. Francesia, dei Salesiani. Parlò dell'educazione della gioventù in generale ed in particolare dell'educazione della donna. L'illustre discepolo di T. Vallauri non venne meno all'aspettazione degli uditori. La sua parola facile e bella, i concetti pieni di erudizione storica, filosofica e letteraria esercitarono un fascino potente su tutti i presenti, che applaudirono entusiasticamente all'insigne letterato.
» Quindi le alunne dell'Istituto con ammirabile maestria eseguirono brani di sceltissima musica sul cembalo e sull'harmonium.
» Diedero saggio di declamazione in italiano ed in francese, nonchè di esercizi ginnici.
» La graziosa movenza della persona, il porgere semplice e naturale, la pronunzia aggraziata e soave, fecero a tutti palese quanta sia l'abilità e valentia delle esperte e venerande istitutrici, e come esse sappiano in un coll'amore allo studio inspirare nell'animo delle educande tutte le virtù che possono formare la gloria più pura, e l'onore più splendido e duraturo di una giovanetta.
» L'accademia veniva chiusa colla visita all'esposizione dei lavori di ricamo eseguiti dalle ragazze.
» Ed anche qui le docili ed intelligenti fanciulle si accattivarono il plauso e l'ammirazione dei numerosi visitatori e visitatrici.
» Noi facciamo voti che questo Istituto abbia sempre più a crescere e rifiorire a gloria di Dio, a lustro della nostra città e a consolazione delle pie, sollecite ed accurate istitutrici e di tanti padri e madri cristiane, che vedono così le loro fanciulle, lontane da ogni mondano amore, crescere in sapienza, in età e nel timor di Dio. »
La Ragione guida alla Fede, Corso d'istruzione religiosa e apologetica ad uso delle Scuole Superiori, pel TEOL. FRANCESCO PAGLIA della Pia Società Salesiana - Due volumi in-12, di pag. complessive 1918 - Torino, Libreria Salesiana - Prezzo L. 8,50.
Un nuovo prezioso documento si aggiunge ora ai molti altri ad onorare quest'opera del nostro carissimo Teologo Paglia. P, una delicata letterina dell'Em.mo Cardinal Parocchi, che nella sua brevità dice assai di questi due grossi volumi. Siamo ben contenti di poterla qui presentare ai nostri lettori. Eccola:
REV.mo SIG. TEOLOGO,
ADATTI alle Scuole Liceali mi sembrano i due volumi di V. R., intitolati: - La Ragione guida alla Fede. Chiarezza d'esposizione ordine logico, sanità di dottrina, ampiezza di svolgimento, rendono il suo lavoro opportuno all'età, in che la fede va in traccia dell'intelletto - fides quaerens intellectum, secondo la bella frase di S. Anselmo.
Spero che i due volumi saranno apprezzati conforme al merito, e si faranno strada nelle Scuole Cattoliche, riconfermando negli eterni principii della ragione e della fede la crescente generazione, dalla quale si aspetta il rimedio ai tanti mali della generazione presente.
Ed ora, con le mie congratulazioni ed i ringraziamenti più vivi , gradisca l'augurio d'ogni felicità che le invio, proferendomi
Di V. R.
Roma, 1° Agosto 1890.
Dev.mO in G. C. L. M. Card. PAROCCHI
Protettore dei Salesiani.
Rev. Sig. Teologo D. FRANCESCO PAGLIA della Congreg. Salesiana
TORINO