PERIODICO MENSILE PER I COOPERATORI DELLE OPERE E MISSIONI DI S. GIO. BOSCO
Anno LIX -N. 12 DICEMBRE 1935 - XIV
SOMMARIO: Le grazie di Maria Ausiliatrice e una dichiarazione di San Giovanni Bosco. -- Sotto la cupola dell'Ausiliatrice. - In famiglia. - Dalle nostre Case: Cuneo. - Pomaro. - Lettera di Don Giulivo ai giovani. - Per intercessione di Maria SS. Ausiliatrice e di San Giovanni Bosco. - Dalle nostre Missioni: Per l'ampliamento della Basilica di Maria Ausiliatrice. - Krishnagar: Rendiconto della Missione nell'anno 11934-35. - Giappone: Cifre, risultati, speranze. - Venezuela: Un viaggio apostolico nell'Alto Orinoco. - Equatore: Escursione missionaria tra i Kivari. - Necrologio. - Indice dell'annata.
Il Sac. Pietro Ricaldone
IV Successore di S. Giovanni Bosco,
i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice, colla Gioventù alle loro cure affidata, presentano i più fervidi auguri di
buon Natale e di buon Anno
ai benemeriti Cooperatori e alle benemerite Cooperatrici, invocando su tutti le più elette divine benedizioni.
Nel febbraio del 1882 D. Bosco, in viaggio per la Francia, dopo aver sostato a Saint Cyr, era passato a Hyères, suscitandovi straordinario entusiasmo per la fama di recenti prodigi che l'aveva preceduto. La domenica seguente fu invitato a rivolgere qualche parola al popolo nell'antica Basilica di S. Luigi, dopo il Vangelo, alla Messa solenne. Ed egli, umile com'era e preoccupato che non si confondesse l'opera della Madonna colla sua fede, prese l'occasione per mettere, come si suoi dire, le cose a posto, e spiegare come avvenivano i prodigi che gli si attribuivano. Disse pertanto testualmente così:
« Don Bosco sarebbe l'ultimo degli uomini se si arrogasse un tale potere. Grazie straordinarie certamente sono state concesse; ma le ha fatte a vantaggio delle nostre opere la Santa Vergine, che le ottiene dal suo divin Figlio per chi soccorre gli orfanelli tanto a Lui cari. Le nostre Case, che vivono unicamente della carità dei fedeli, non potrebbero sussistere, se grazie straordinarie non venissero a svegliare la carità cristiana, facendo deporre nelle nostre mani il tributo della riconoscenza. Ecco perchè Iddio, la cui assistenza anche miracolosa non manca mai quand'è necessaria, ci viene, in soccorso con sì segnalati favori ».
Ed ecco il segreto della fioritura dei nostri collegi e delle nostre missioni che vivono quotidianamente delle benedizioni di Dio e della carità dei Cooperatori. Il mondo che si meraviglia del rapido sviluppo dell'Opera salesiana, che si attrezza, a giorno, secondo le esigenze moderne, ha in queste parole del Santo la chiave del mistero, se tien conto della fede con cui egli pregava da vivo e della potenza di intercessione ch'egli gode ora presso il trono di Dio.
E non prova più stupore leggendo, nella sua biografia, che il Santo ha impiegato appena tre anni ad innalzar dal nulla, con otto soldi in tasca, la basilica dell'Ausiliatrice, in anni difficili, non meno tristi dei nostri.
Ebbene, l'esperienza di Don Bosco conforti anche noi nella grande impresa dell'ampliamento. Spuntano omai le fondamenta e, se il rigor dell'inverno allenterà i lavori, la bontà di Maria feconderà lo slancio della primavera, benedicendo la nostra fede. L'abbiamo già detto: ogni pietra dell'ampliamento dev'essere ancora un segno di grazia ricevuta.
E lo confermano già le vostre prime offerte, che son veri tributi di gratitudine alla Regina del Cielo. Or, mentre fate conoscere le grazie che ricevete invocando Maria sotto il titolo di Ausiliatrice, animate amici e conoscenti a far la stessa esperienza della bontà di Maria, promettendo qualcosa per l'ampliamento della sua Chiesa.
Il mese di ottobre non ha registrato grandi pellegrinaggi in comitiva; ma ha visto affluire ogni giorno numerosi fedeli alla basilica di Maria Ausiliatrice ed all'altare di Don Bosco Santo. L'Oratorio poi si è affollato di quasi trecento studenti che, insieme agli alunni artigiani, hanno ripreso, fin dalla prima settimana, le lezioni regolari nelle scuole ginnasiali ed hanno ravvivato il santuario di tutto l'incanto della loro pietà. L'inizio del nuovo anno scolastico e professionale è stato, come di consueto, benedetto da un triduo di predicazione che ha disposto i cuori dei giovani ad approfittare subito di tanta grazia di Dio. Un intenso fervore ha animato la giornata missionaria per culminare poi in un trionfo di fede e di amore alla festa di Cristo Re. Anche perchè l'ultima domenica di ottobre fu scelta dal Rettor Maggiore per commemorare la data centenaria della Vestizione Chiericale di Don Bosco.
Cent'anni or sono infatti, e precisamente il 25 ottobre 1835, il giovane predestinato riceveva l'abito chiericale nella parrocchia di Castelnuovo ed entrava, cinque giorni dopo, nel Seminario Arcivescovile di Chieri. Il Successore di Don Bosco, dopo aver invitato con apposita circolare tutti i Salesiani a celebrare la storica ricorrenza con solenni commemorazioni, dispose che quest'anno i nuovi chierici salesiani ricevessero l'abito ecclesiastico nelle varie Case salesiane ad edificazione dei loro compagni e non nella casa di formazione, e volle compiere egli stesso la bella funzione nella basilica di Maria Ausiliatrice, prima della Messa solenne di Cristo Re. Una gran folla gremiva il Santuario. Quattro exallievi dell'Oratorio, due studenti e due artigiani, già ammessi regolarmente al Noviziato, ricevettero rispettivamente l'abito sacro e la medaglia dei coadiutori dalle mani del sig. Don Ricaldone, il quale tenne loro una paterna allocuzione illustrando ai fedeli la sacra cerimonia e ricordando la cara data.
Nel pomeriggio l'Ispettore Don Persiani compì la stessa funzione nella cappella di S. Francesco di Sales, imponendo l'abito ad un exallievo del primo Oratorio festivo, alla presenza di tutti i giovani esterni, i quali fecero al loro compagno una gran festa. A sera, dopo i Vespri solenni, artigiani e studenti si raccolsero nel salone-teatro e dedicarono un riuscitissimo trattenimento alla commemorazione centenaria, rievocata mirabilmente da un felice bozzetto, che diede lo spunto al Rettor Maggiore per chiudere la giornata memoranda che lasciò nel cuore di tutti le più vive emozioni.
Giornali e periodici recarono poi la notizia che anche nelle altre case la funzione aveva assunto la massima solennità., officiando Superiori del Capitolo, Ispettori e Direttori.
La benedizione della "Casa Parrocchiale " e della "Rotativa " della S. E. I.
Il mese si è chiuso colla solenne benedizione della «Casa parrocchiale » e della « Rotativa » della S. E. I., impartita dal Rettor Maggiore nel tardo pomeriggio. Accompagnato dai Superiori del Capitolo, da Ispettori e Direttori, il sig. Don Ricaldone si portò dapprima alla « Casa parrocchiale», che sorge tra la S.E.I. e l'Oratorio, lungo la via Cottolengo, angolo piazza Maria Ausiliatrice, ed, ossequiato dal Parroco, dal Direttore D. Nigra e da rappresentanze del Consiglio parrocchiale, benedisse gli ampi locali destinati alle associazioni parrocchiali di A. C. e la residenza del personale salesiano addetto alla parrocchia di Maria Ausiliatrice ed alla S.E.I.
Dalla « Casa parrocchiale» raggiunse quindi direttamente la S.E.I., accolto a festa dai dirigenti e dalle maestranze, e, percorsi negozi, uffici, legatoria e tipografia, scese nell'ampia nuova sala che ospita la «rotativa » sotto lo sguardo sorridente del Papa di Don Bosco, il S. Padre Pio XI. Primo atto della cerimonia fu infatti lo scoprimento di una lapide commemorativa del XXV della S.E.I., dominata da un bel medaglione del Vicario di Cristo, cui venne dedicato l'omaggio di quell'ultimo progresso della tecnica tipografica. Nel porgere il saluto ufficiale, il Direttore generale comm. Caccia illustrò rapidamente le superbe affermazioni della S.E.I. nel campo della buona stampa, delle edizioni scolastiche e religiose.
Poi il Rettor Maggiore impartì la benedizione rituale alla macchina e, rivolto ai trecento fra impiegati ed operai convenuti nell'ampia sala, si rallegrò coi dirigenti e col personale pel lavoro compiuto e, ricordando le benemerenze di Don Bosco Santo nel nobile apostolato, li esortò, a continuare sulle orme del Fondatore, con spirito di fede, colla coscienza e la preoccupazione dell'alta missione cui Dio li aveva chiamati. Le parole del Rettor Maggiore scesero al cuore di tutti come eco della parola di Don Bosco, accolte con profonda riverenza e gioia manifesta. La « rotativa» prese quindi subito a funzionare, offrendo ai convenuti centinaia di copie del Bollettino Salesiano.
San Giovanni Bosco Patrono speciale dell'infanzia e della gioventù del Messico.
Con decreto della Sacra Congregazione dei Riti, in data 26 giugno 1935, il Santo Padre Pio XI ha accolto la domanda dell'Episcopato Messicano, presieduto da l'Ecc.mo Arcivescovo Mons. Pasquale Diaz, ed ha proclamato San Giovanni Bosco speciale Patrono dell'infanzia e della gioventù della Repubblica. La benigna accondiscendenza del Santo Padre ha suscitato immensa gioia nel cuore dei fedeli che, sotto gli auspici del « Santo dei Giovani », aprono il cuore a migliori speranze per la gloria della Patria e della Chiesa. E noi, esultando con essi, preghiamo il caro nostro Santo a prodigare alla nobile Nazione la sua paterna assistenza, pel trionfo della fede e della carità di Cristo.
S. E. Mons. Riccardo Pittini Arcivescovo di Santo Domingo.
Avevamo appena dato notizia della fondazione dell'Opera salesiana nelle Repubbliche di Santo Domingo ed Haiti (v. Boll. prec. pag. 325), quando il Santo Padre si degnava di promuovere alla sede arcivescovile di Santo Domingo proprio il Confratello cui il Rettor Maggiore aveva affidato le provvide istituzioni, il rev.mo sig. Don Riccardo Pittini. La nomina di tanto degno figlio di Don Bosco al governo dell'Archidiocesi, appresa con vero entusiasmo dalle autorità e dai fedeli della Repubblica, ha colmato di gioia tutta la Famiglia salesiana che vede nel gesto sovrano il più augusto apprezzamento delle incomparabili doti di mente e di cuore già così eminenti nella feconda attività ch'egli svolse nelle nostre Case dell'Uruguay, del Paraguay e degli Stati Uniti.
Nato a Tricesimo (Udine) il 3o aprile 1876 da Paolo Pittini e fu Piussi Agostina, S. E. partì infatti ancor chierico per l'Uruguay e, ordinato sacerdote in Montevideo nel 1899, fu eletto direttore di quel nostro Istituto nel 1905, passando a dirigere successivamente quello di Manga nel 1912 e quello di Villa Colón nel 1922, finché fu fatto Ispettore delle Case salesiane dell'Uruguay e Paraguay. Coprì questa carica dal 1923 al 1928, nelle Repubbliche suddette, e dal 1928 al 1933 negli Stati Uniti. Trattandosi quindi della fondazione dell'Opera salesiana in Santo Domingo ed Haiti, i Superiori non seppero scegliere persona più adatta e competente. E fu un successo. Egli seppe cattivarsi subito la benevolenza e l'affetto di tutti. Un'atmosfera di stima e di simpatia accompagna ora Sua Eccellenza legando cuori di autorità e popolo al suo ministero che noi gli auguriamo lungo e fecondo, a bene delle anime ed a gloria della Chiesa.
Don Bosco Santo al Congresso Internazionale di Salisburgo.
Al IV° Congresso Internazionale di Cristo Re, tenutosi a Salisburgo il 24-27 ottobre u. S. con l'intervento di S. E. Miklas, Presidente delia Confederazione Austriaca, e di S. Em. il Card. Innitzer, Arcivescovo di Vienna, uno dei temi proposti fu :« L'apostolato Sociale e caritativo dei Santi don Bosco e Cottolengo » - Fu invitato a trattarlo il nostro Salesiano prof. D. Alberto Caviglia, che incontrò unanime simpatia da parte dei numerosissimi congressisti delle varie nazioni, molti dei quali si professarono cooperatori Salesiani e cooperatori del Cottolengo.
Cuneo inaugura il nuovo Oratorio " Don Bosco " facendo un magnifico trionfo al Santo.
L'impulso provvidenziale di una munifica signora, la Damigella Maria Descalzi, e la valida cooperazione delle Dame Patronesse e di tutti i Cooperatori della città hanno dato al nostro Rettor Maggiore il conforto di benedire solennemente il 2 giugno dello scorso anno, alla presenza di tutte le autorità ecclesiastiche, civili, politiche e militari, la pietra angolare su cui doveva sorgere il nuovo Istituto salesiano, l'Oratorio S. Giovanni Bosco.
E Cuneo, che da tanti anni desiderava fra le sue mura i Figli di D. Bosco: Cuneo, che aveva approvato all'unanimità - cinque anni prima - la decisione del suo Podestà, Sen. Giovanni Battista Imberti, di affidare il Convitto Civico ai Salesiani e che aveva visto rivivere il suo già fiorente Istituto, plaudente assisteva alla Cerimonia che doveva preludere ad altra più solenne, più significativa. Poco più di un anno: ed ecco sorgere, su progetto del nostro architetto Giulio Valotti, il fabbricato imponente, magnifico nella sobrietà della sua linea architettonica, mentre si vanno tracciando le arterie stradali e il Corso Monviso raggiunge le sue adiacenze e la Via S. Giovanni Bosco richiama all'Oratorio del Santo i giovani della città.
È vero: ciò che s'è compiuto non è che una parziale realizzazione del grande progetto, che dovrà comprendere la Chiesa pubblica e le Scuole Professionali; ma per la vita dell'Oratorio è quanto di più moderno e di più completo si possa desiderare. Il fabbricato consta di due piani con una sopraelevazione centrale. L'ampio portale che prospetta il cortile, offre subito a sinistra l'accesso alla Cappella, una chiesina provvisoria di metri 30 x 15, ma dotata di un artistico altare marmoreo, linda, sobria, graziosa. A destra s'apre l'ingresso al teatro, capace di seicento posti a sedere, attrezzato secondo la tecnica più moderna. Al primo e secondo piano, una ventina di sale proporzionate e luminose, che dànno sopra una veranda larga quindici metri, che si estende pel lungo del fabbricato costituendo al piano inferiore un porticato lungo oltre sessanta metri, comodissimo ai giovani nei giorni di pioggia. La costruzione si volle consacrata in modo ufficiale nel mese di ottobre perchè, la sua inaugurazione coincidesse con l'apertura effettiva dell'Oratorio. Ma con l'inaugurazione dell'Oratorio « D. Bosco », Cuneo volle far coincidere anche le feste per la canonizzazione del Santo che il mondo ha già onorato quasi dappertutto. E fu una splendida corona alle precedenti celebrazioni mondiali. All'appello del Comitato, presieduto dal Direttore del Convitto D. Vignato, rispose con un palpito solo la cittadinanza e la provincia. Clero, Autorità e popolo, dall'Ecc.mo Mons. Vescovo, a S. E. il Prefetto, al Segretario Federale, al Generale della Divisione, al Podestà fu un vero entusiasmo in tutti i cittadini che vibrò attraverso le varie manifestazioni della settimana salesiana, dal 13 al 20 ottobre, per perpetuarsi in un'eco di commossa ammirazione e divozione al Santo.
Settimana intensa di preghiere e di opere! Numerosi exallievi affluirono al Convitto Civico fin dal mattino del giorno 13, alla messa di S. E. Mons. Rousset, Vescovo di Ventimiglia. Centinaia di educatori intervennero alle 10,30 ad udire la conferenza del sig. D. Fascie per onorare Colui che aveva coll'esempio insegnato come si debbano educare cristianamente i fanciulli. Fanciulli e fanciulle stiparono per tre giorni le chiese per sentir parlar di D. Bosco i suoi figliuoli D. Panciatichi e D. Luzi. I militari della guarnigione accorsero a centinaia al discorso ed alla messa di S. E. Mons. Bartolomasi Ordinario Castrense, mentre Balilla e Giovani Italiani ascoltavano quella di Mons. Rubino, e l'Azione Cattolica faceva con essi omaggio di Comunioni generali, alle messe celebrate dall'Ecc.mo Vescovo diocesano, dal Vescovo di Fossano e dal nostro Ecc.mo Mons. Coppo.
Attorno agli Ecc.mi Presuli convennero poi Sacerdoti Cooperatori e Decurioni Salesiani delle diocesi di Cuneo, Fossano, Mondovì, Saluzzo, per ispirarsi alle virtù ed allo zelo del Santo, illustrati con tanta unzione dal nostro Don Vismara.
Undici Ecc.mi Vescovi prodigarono i tesori della loro mente e del loro cuore al popolo che reverente ascoltava i misteriosi insegnamenti della vita del Santo, mentre le Madri commosse imparavano dalla voce di D. Favini i doveri santamente compiuti da un'altra Madre, mamma Margherita.
Ammirevoli le Dame Patronesse, che colla loro attività riuscirono ad allestire un ricchissimo banco di beneficenza; e le Dirigenti dell'Az. Cattolica Femminile che, coadiuvate dal Gen. Miravalle Comm. Achille e dal Prof. Rossi Cav. Giuseppe organizzarono una magnifica fiera del libro cattolico. Ai tridui preparatorii predicati nelle parrocchie cittadine, seguì il triduo solenne in Cattedrale predicato successivamente da S. E. Mons. Bartolomasi, S. E. Mons. Castelli, Vescovo di Novara e S. E. Mons. Rosa, Arcivescovo di Perugia. Al pontificale di S. E. Mons. Rosso, Vescovo diocesano, assistettero con tutte le autorità cittadine, le LL. EE. Mons. Rosa, Mons. Oberto, Mons. Briacca, Mons. Mazzini e Mons. Coppo.
Si calcola che oltre ventimila persone abbiano partecipato alla solenne processione che si svolse il giorno 2o dalla Cattedrale all'Oratorio, mentre più che altrettante assistevano ammirate al passaggio di D. Bosco cui tutto un popolo tributava una vera apoteosi. L'immensa folla sfociò nei cortili e nelle adiacenze dell'Oratorio ove alla presenza del Rettor Maggiore - accolto la sera precedente con festa indimenticabile, mentre tutte le campane delle chiese, per ordine del piissimo Vescovo, annunziavano al popolo la festa di Don Bosco - degli Ecc.mi Vescovi e delle Autorità, Donna Alda Perotti, consorte di S. E. il Prefetto di Cuneo, inaugurava il nuovo Oratorio al suono delle bande cui si univano mille e mille voci festose osannanti a D. Bosco.
Nobilissime allocuzioni di S. E. il Prefetto, del nostro Rettor Maggiore e dell'Ecc.mo Arcivescovo di Perugia richiamarono ancora una volta alla folla la figura di S. Giovanni Bosco, in uno scambio di cordiale gratitudine fra Salesiani ed Autorità cittadine; poi scese su tutti la benedizione del Signore. A notte l'illuminazione della chiesa di Santa Chiara e quella generale della città, che il Comitato colla benevola elargizione del Municipio e della Società elettrica « Piemonte Centrale» era riuscito a realizzare, nella distribuzione delle sue quindici mila lampadine presentava uno spettacolo meraviglioso, non mai visto a memoria di cittadino.
POMARO. - Inaugurazione dell'Asilo Infantile " Alessandro e Paola Marchesi Dalla Valle di Pomaro ".
Nel pomeriggio del 6 ottobre u. s. la benedizione del Signore, impartita da S. E. Mons. Pella, vescovo di Casale, ha ufficialmente inaugurato l'Asilo infantile che la Marchesa Paola Dalla Valle di Pomaro Cavalchini fece erigere « gioiello architettonico » su disegno dell'Ing. Corni, ai piedi del Castello avito, per eternare in un monumento dedicato all'infanzia e alla gioventù del Paese la memoria e la munificenza dell'illustre Casa.
Assistevano al sacro rito, in una festa di bimbi, di popolo, di fiori, il R. Provveditore agli Studi di Torino, S. E. il Prefetto di Alessandria, i Podestà di Casale e di Pomaro, il Parroco, ed il Cappellano della Marchesa Prof. Don Carlo Rota.
Alla munifica signora Marchesa facevano bella corona gli illustri Famigliari: C.ssa Maria Averoldi Cavalchini col Consorte Conte Gherardo Averoldi - Marchesa Maria Casati Gandi - C.ssa Tildina Calvi di Bergolo Facchi - S. E. il Colonnello Conte Carlo Calvi di Bergolo - il Conte Capitano Vittorio Calvi di Bergolo - S. A. la Principessa Aage C.ssa Calvi di Bergolo, ed altre molte autorità e personalità distinte, civili, politiche, religiose.
Suggestivo l'atto della consegna delle chiavi da parte della Marchesa alla Ispettrice delle Figlie' di Maria Ausiliatrice, Sr. Maddalena Villa, cui l'illustre fondatrice volle affidare l'Asilo, perché le nuove generazioni di Pomaro crescano sotto l'egida del grande Educatore S. Giovanni Bosco.
Cessati gli applausi della folla, formata non solo dagli abitanti di Pomaro e di Bozzole, ma da molti altri ancora dei paesi limitrofi, la banda attaccò la «Marcia Reale» e «Giovinezza», quindi il Conte Gherardo Averoldi illustrò l'alto significato dell'inaugurazione e le generose finalità della Marchesa alla quale esprimeva la riconoscenza di tutto il Paese.
Parlarono successivamente anche il Parroco il Podestà, ed il R. Provveditore agli Studi. La cerimonia si chiuse infine nella chiesa parrocchiale ove, dopo una breve e fervida allocuzione, S. E. Mons. Vescovo intonò il «Te Deum» e impartì la trina benedizione.
Una gloria d'Italia e di D. Bosco Santo.
Carissimi, il 28 settembre u. sc. i giovani del nostro Oratorio di Rovigno d'Istria ebbero l'alto onore e la cara sorpresa della visita dell'on. Delcroix, gloria d'Italia e di Don Bosco Santo, ex allievo dell'Oratorio Salesiano di Livorno e del nostro Istituto di Firenze. L'accompagnavano il segretario politico e il Direttore. Raggiunta la Cappella, si raccolse a lungo in preghiera dinanzi all'altare di Don Bosco, edificando tutti col palpito d'una grande fede. Poi passò nel salone-teatro ove gli venne improvvisata una calorosa dimostrazione di simpatia e riconoscenza.
Il Direttore esaltò dapprima l'eroica figura del grande Combattente cui baciava riverente le gloriose ferite.
Poi un giovanetto gli disse l'ammirazione e la gratitudine di tutti gli allievi di Don Bosco, fieri di tanta gloria. Infine s'alzò a parlare l'eroico Mutilato e chiamò fortunata Rovigno che ha un Oratorio Salesiano, fortunati i giovani che lo frequentano. Il luogo ove si trovavano gli ricordava i giorni più belli, più spensierati della sua esistenza, quando frequentava il vecchio Oratorio di via S. Andrea in Livorno. E il discorsino del ragazzo gli ricordava pure la sua carriera di oratore che si legava ancora con la sua vita di alunno di Don Bosco perchè il suo primo discorso, per incarico del direttore dell'Istituto di Firenze, l'aveva tenuto in occasione di una passeggiata annuale.
- Naturalmente, soggiunse, allora quel discorso io l'avea detto, ma altri lo aveva fatto; pure la mia vanità infantile si sentì tanto appagata nel veder poi comparire, per la prima volta, il mio nome sui giornali. - E continuò:
- Io devo tutto all'educazione ricevuta dai discepoli di quel grande Padre che fu Don Bosco, la cui paternità è vasta quanto il mondo, e, se non mi sono smarrito e non vidi la mia esistenza schiacciata, come da un macigno, dalla disperazione, quando passò la ventata di morte e sul mio cammino si fece un'improvvisa oscurità, fu perchè dai Salesiani venne gettato quel seme che dovea dar frutto, anzi che dovea dar fiori dopo. Sì, perchè se non avessi avuto la Fede, la mia sarebbe stata una grande sventura. Ma non fu una sventura, perchè della mia sventura mi sono fatto un piedestallo per insegnare agli Italiani come si ama Dio e la Patria. -
Potete immaginare l'emozione e l'entusiasmo dei giovani Oratoriani! Fu uno scroscio di applausi interminabili e, nel cuore, un palpito immenso di santa ammirazione. Ed io ho raccolto le parole dell'Eroe per trasmetterle anche a voi, ad edificazione delle anime vostre. Non dimenticatele mai! Oggi, giovani allegri e spensierati; domani può venire l'ora della prova. Siate degni dei vostri fratelli! La sventura illuminata dalla fede è un magnifico piedestallo per insegnare agli altri l'amor di Dio e della Patria.
Vostro aff.mo Don GIULIVO.
Guarita da pleurite e congestione polmonare. -
Il 15 febbraio u. s. fui colpita da pleurite e congestione polmonare. Il medico curante, pur non nascondendo la gravità del male, sperava sempre che si risolvesse benignamente nei termini prescritti dalla scienza medica. Ma inutilmente passarono le settimane previste: il male progrediva sensibilmente tanto da destare serie preoccupazioni. Si decise un consulto. Venne chiamato un professore il quale confermò la gravità della malattia e propose di farmi ricoverare all'Ospedale per l'estrazione del pus formatosi alla pleura. Ma io mi rivolsi fiduciosa alla Vergine Santissima Ausiliatrice ed al suo fedel servo D. Bosco Santo per ottenere la grazia della guarigione, se fosse possibile senza la dolorosa prova dell'operazione. Fui tosto esaudita. Il consulto si fece al sabato e l'entrata all'Ospedale era fissata al mercoledì seguente. Nel frattempo il pus si sciolse da sè internamente con grande meraviglia del medico curante. In poco tempo ottenni completa guarigione.
Invio l'offerta promessa per le Opere Salesiane e prego Maria Ausiliatrice e S. Giovanni Bosco a continuarmi la loro valida protezione.
Genova, 5 agosto 1935
BOATTI AMANDA nata ARSENA.
Ho trovato lavoro. - Chiedo perdono a Don Bosco Santo ed a Maria SS. Ausiliatrice, se solo ora rendo nota una grande grazia che mi ottennero.
Da più di un anno cercavo indarno un'occupazione, pur essendomi costantemente raccomandato a Maria SS. Ausiliatrice, e a Don Bosco santo. Ma non mi perdetti d'animo. E la mia preghiera venne esaudita nel mese di novembre 1931, coll'offerta di un posto che mi ero rassegnato a non occupare, perchè, colui che lo lasciava aveva espresso il parere che detto impiego non fosse adatto per me.
Da oltre 3 anni mi ci trovo benissimo e ne ringrazio di cuore Maria Aus. ed il caro Santo Don Bosco.
Feci allora una prima promessa di dare alle Opere di Don Bosco il primo mese di stipendio e la mantenni soddisfacendo il debito in 3 o 4 volte, ancora in principio. Ne feci poi una seconda di dare altre io lire al mese, e come l'ho mantenuta finora la manterrò sempre finchè sarò occcupato..
Con animo riconoscente
Udine, 10 giugno 1935. RINO FABBRO.
Salva la mamma. - Le sorelle Cristina e Adelaide Baldizzone rendono pubbliche grazie a S. Giovanni Bosco e a Maria Ausiliatrice per la grazia insigne ottenuta alla loro mamma, la quale il 21 gennaio 1934 nel proprio cortile cadeva a terra producendosi una grave lussazione al femore sinistro. Si chiamarono medici e professori, i quali, data l'età di 75 anni davano poche e relative speranze di guarigione. Allora si rivolsero con fiducia a S. G. Bosco e a Maria Ausiliatrice, fecero parecchie novene, promisero una buona offerta per le opere Salesiane, e dopo 70 giorni di continue ansie ebbero la grande consolazione di riavere la mamma guarita, la quale da sola, senza alcun sostegno, può tranquillamente frequentare la chiesa, e godere dell'insigne grazia ricevuta.
In fede Sac. FORMICA FRANCESCO
Bistagno, 18-6-1935. Arciprete.
Guarisce da congiuntivite acuta. - Tre giorni dopo la nascita, il mio caro piccino venne colpito da congiuntivite acuta con pericolo di perdere la vista. Poco fiduciosa delle cure mediche che gli praticavano, mi rivolsi con tutto il cuore alla cara Madre Maria SS. Ausiliatrice implorando la sua celeste protezione.
Dopo una fiduciosa e fervorosa novena la SS. Vergine ebbe pietà delle mie umili preghiere e mi esaudì. Il bambino aprì gli occhi e continuò sempre a migliorare fino a guarigione completa in brevissimo tempo.
Torino, 14-X-1935. CATERINA MASSARA.
Guarita da esaurimento nervoso. - Colpita da esaurimento nervoso, soffrivo disturbi penosissimi, simili a collassi, che mi assalivano anche 3, 4 volte al giorno.
Interrogati quattro medici e avuti pareri alquanto diversi, non riuscivo mai a liberarmene.
Mi rivolsi alfine fiduciosa a S. Giov. Bosco e a Maria SS. Ausiliatrice e posi alla mia catenina una reliquia del Santo. Nel pomeriggio del nono
giorno della novena, per la prima volta, mi sono sentita del tutto libera dai miei disturbi. Mi avvio ora alla guarigione e prego ancora il caro Santo perchè me la ottenga completa.
Roma, 23 luglio 1935 XIII.
ANNA MARCELLA QUINTILI.
Mi salva i miei bambini. - L'inverno 1935 ha lasciato un triste ricordo nel nostro tranquillo paese di Capranica. Una improvvisa epidemia di scarlattina si diffuse così rapidamente da poter affermare, senza esagerazione che nessun bambino ne rimase immune. I miei bambini (ne ho quattro) furono tutti colpiti, ma nell'ultima, la piccola Giuliana di un anno, il male infierì in forma così violenta e complicata che umanamente parlando non si nutriva più nessuna speranza di salvarla. Alla scarlattina subentrò la broncopolmonite e per la durata di cinque o sei giorni la temperatura si mantenne tra i 40 e i 41 gradi.
Una sera sembrò aggravarsi maggiormente e tutto faceva prevedere imminente la catastrofe. Con uno sforzo dell'animo angosciato e con quel sacrifizio, di cui solo un cuore di madre e di padre può comprendere tutta l'estensione, pronunziammo il fiat supremo e pur rassegnandoci alla volontà di Dio ci raccomandammo caldamente a Don Bosco Santo perché per sua intercessione la Vergine Ausiliatrice ci ottenesse la grazia della guarigione.
Già da tre giorni due candele ardevano dinnanzi all'Immagine della Vergine « Auxilium Christianorum » e davanti alla statua di S. Giovanni Bosco
Iddio sempre misericordioso volle consolarci: quella notte stessa che tutto faceva prevedere sarebbe stata l'ultima per la nostra bambina, cominciò il miglioramento. La febbre da 40 scese a 37 gradi e il miglioramento continuò, rapido e costante.
Riconoscente.
Capranica, 24-VI-1935. ANTONIA PETRUCCI.
Guarigione miracolosa. - Nello scorso febbraio la mia bambina, di 9 mesi, fu colpita da polmonite doppia e la si dovette trasportare d'urgenza all'ospedale per sottoporla ad operazione.
Iniziammo fiduciosi una novena a S. Giovanni Bosco e fummo prontamente esauditi. La malatina cominciò a migliorare e guarì benissimo senza operazione di sorta. Eterna sarà la nostra riconoscenza.
Olivone (Svizzera), 2o-V-1935
SOLARI VIRGINIA.
Guarita da ulcera gastrica. - Una mia cognata fu improvvisamente colpita da atroci dolori allo stomaco. Tutte le cure suggerite da valenti specialisti non valsero a nulla. Aggravatosi il suo stato, i dottori curanti sospettarono trattarsi di un tumore maligno. L'esame radioscopico fece alfine conoscere la natura esatta del male: un'ulcera gastrica. Era necessaria, a giudizio dei dottori, un'operazione chirurgica, ma l'ammalata si oppose risolutamente preferendo la morte all'operazione che si presentava di esito incerto. Non restava altro rimedio che ricorrere con fede ardente alla potente Ausiliatrice dei Cristiani e al suo fedel servo Don Bosco Santo e così si fece. Terminata una novena di fervide preghiere, ne iniziammo tosto un'altra ed ecco la malata dar segni di miglioramento, seguito da guarigione completa.
Fiesso Umbertiano, 31-V-1935.
BIGHETTI AMABILE.
Don Bosco Santo mi ha salvata! - Sottoposta a grave operazione chirurgica ne fui tanto prostrata da sentirmi in fin di vita. Ma su di me vegliava paternamente- S. Giovanni Bosco ed io avevo posta ogni mia speranza in Lui solo. Con sorpresa e meraviglia dei dottori curanti e dei miei cari cominciai a migliorare leggermente e in breve venni dichiarata fuori pericolo. Pur soffrendo atrocemente nella parte operata, dopo due mesi di convalescenza ero guarita e potevo sciogliere il mio inno di riconoscenza al novello Santo.
Melazzo d'Acqui, 24-v-1935
VIOLINO MORIERI LUIGINA.
Due grazie - Ridotta in fin di vita, per un male insidioso, invocai Don Bosco Santo e dopo sole 24 ore cominciai a migliorare in modo insperato, risorgendo in breve a vita novella.
Mio figlio Pietro andò un giorno a ruzzolare sotto le ruote di un carro agricolo. Ricorsi con fede al nostro Santo e l'ebbi salvo da certa morte.
Terzo d'Acqui, maggio 5935.
BALDIZZONE LACQUA MARIETTA.
Don Bosco Santo ci ha consolati. - Il nostro Carletto nell'aprile del 1934 fu colpito da gravi malanni gonfiando in modo preoccupante. I dottori assicuravano che se anche fosse guarito sarebbe rimasto difettoso. Ma noi ci rivolgemmo a S. Giovanni Bosco ed eccolo prontamente guarito senza strascichi di sorta.
Nizza Monferrato, maggio 1935.
SCAGLIONE ERNESTO e SEVERINA.
A Don Bosco Santo non si ricorre mai invano. -
Una mia figliuola, Figlia di M. A., fu colpita da tifo che poi si complicò con altre malattie tanto da ridurla in fin di vita. Invocai con fede S. Giovanni Bosco e la figliuola riacquistò perfetta salute.
Un'altra mia figlia destinata insegnante in sede lontana, dopo appena un anno, ottenne, per intercessione di Don Bosco Santo, il trasferimento in una frazione del nostro paese. Non dimenticherò mai la bontà del nostro potente Intercessore.
Bagnolo, 12-VI-1935
BUTTIGLIERO MARGHERITA.
Due grazie. - Sei anni fa fui tormentata da dolori acutissimi di stomaco complicati con itterizia e ne guarii solo per bontà di Maria Ausiliatrice. e di - S. Giovanni Bosco. Temendo che i dolori ritornassero, attesi a far pubblicare la grazia, ma godetti sempre ottima salute, fino a pochi mesi fa, quando fui sorpresa da una paralisi al piede destro. Ricorsi nuovamente ai miei intercessori, promettendo un'offerta per i missionari salesiani e subito guarii.
Mirano, 10-VI-1935. COSTA CONTE TERESA.
Guarito dal male che non perdona. - Nel 1925, colpito da malattia polmonare, ebbi tosto le più sollecite cure; ma non ottenni alcun miglioramento. Mi trascinai cosí fino al giugno del 1929 quando rivoltomi con fervore al novello Beato Don Bosco trovai sollievo. Ma il suo intervento fu più sensibile nel corso di due crisi nel 1930 e 1932, che mi ridussero in pericolo di morte. Ed ascrivo alla sua intercessione se, dopo essere passato successivamente in vari luoghi di cura, mi avviai lentamente verso la guarigione. Guarito che fui, dovetti cercarmi un'occupazione e fu ancora Don Bosco Santo che mi aiutò a sistemarmi. Non gli sarò mai grato abbastanza.
Ponte di Piave, 13-VI-I935.
MARIUZZO ANTONIO.
Guarito da pleurite. - Nell'aprile scorso un bimbo settenne fu colpito da polmonite. Dopo 15 giorni fu portato all'ospedale e, riconosciuto affetto da pleurite, fu operato d'urgenza senza troppe speranze. Difatti la febbre si ostinava ad un'alta temperatura. Io allora mi rivolsi fiduciosa a Don Bosco e al Ven. Domenico Savio perchè intercedessero da Gesù la grazia della guarigione e fui esaudita. Dopo breve convalescenza il bimbo è perfettamente guarito.
Gela, 22-VII-1935. REGAUD ROSA MARIA.
Grazia segnalata. - Una mia parente, moglie esemplare e madre affettuosa di un piccolo figlio, residente a Firenze era affetta da fibroma e appendicite. Il caso era grave ed era necessaria ed urgente una operazione, del cui esito molto si temeva. Il marito, Renato Corsani, mi aveva scritto una lettera, in cui esprimeva tutto lo strazio dell'anima sua, esortandomi a pregare per la povera inferma. Gli risposi incoraggiandolo e mandandogli una reliquia di D. Bosco Santo. Intanto l'ammalata era stata trasportata in automobile a Pisa dai suoi parenti, che risiedono in quella città, per consultare altri medici, che confermarono la diagnosi di quelli di Firenze. Entrò nell'ospedale di Pisa il 18 aprile del corrente anno. Appena ricevuta notizia della pericolosa malattia, incominciai una fervorosa novena a Maria SS. Ausiliatrice, invocando anche l'intercessione del suo Servo fedele S. Giovanni Bosco: le mie preghiere, quelle della povera Bianca e della famiglia furono pienamente esaudite. Il 23 aprile l'inferma fu felicemente operata; il 10 maggio potè uscire dall'ospedale di Pisa ed il 18 giugno è ritornata, completamente guarita, a Firenze, in mezzo alla gioia del marito e del piccolo Luigi.
Come avevo promesso nella novena in riconoscenza a Maria SS. Autiliatrice e a D. Bosco Santo per la grazia segnalata, invio una tenue offerta per l'ampliamento del tempio di Maria Ausiliatrice.
Perugia, Piazza Cavallotti, 2.
Prof. ALFREDO MANETTI.
Grazie Don Bosco! - Divenuta il giorno 16 ottobre madre di un bambino, il giorno 21 venni colta da altissima febbre. I medici Mangiola e Mantegna, chiamati a consulto, riscontrarono febbre puerperale infettiva, assicurando che, ove non fossero sopravvenute altre complicazioni, la sola febbre avrebbe avuta la durata di oltre due mesi. Tremando pei miei otto figli, mi raccomandai con tutta l'anima a San Giovanni Bosco. La febbre perdurava con la stessa in†ensità, quando il 24 mattina, tra il dormiveglia, mi parve di vedere al mio capezzale Don Bosco, che dopo avere inchinato il capo, sorridendo, spariva.
Nello stesso istante fui libera dalla febbre, col più grande stupore dei medici curanti.
Gioiosa Marina (Reggio Calabria), settembre 1935. MARIA ROMEO in GARNIRI.
Salvata da cecità. - Sottoposta all'operazione delle cateratte ad ambedue gli occhi, fortemente miopi, son ricorsa a San Giovanni Bosco perchè tutto riuscisse bene e fui prontamente esaudita.
Suor VITOLI LEONILDE Padova. 2-8-1935. delle Dorotee di S. Pietro.
Il pensionato si affolla. - S. Giovanni Bosco ha esercitato una protezione veramente paterna su questa Casa e su questa famiglia religiosa.
Quando venni a Giaveno cinque anni or sono, Direttrice dell'Istituto Magistrale allora incipiente, le Educande erano appena una ventina. Troppo poche! Invocai D. Bosco e mi affidai a Lui per ottenere un maggior numero di alunne. Con quale generosità rispose il buon Padre alla mia domanda! Sembra strano, ma è proprio vero: il primo anno chiesi trenta Educande ed Egli me ne mandò trentuna ; il secondo quaranta e ne ebbi quarantuna ; il terzo sessanta e me ne inviò sessantuna ; il quarto e il quinto settanta e ne ebbi settantadue!
Furono ampliati i locali con la costruzione di nuovi ambienti per refettorio, studio e palestra e, al presente, l'Istituto è in piena efficienza e conta il maggior numero possibile di alunne. Noi non lasciamo di pregare il caro Santo con illimitata fiducia, specialmente per la buona formazione e riuscita morale delle giovanette. Consacriamo a Lui ogni martedì con speciali preghiere, e teniamo continuamente accesa una lampada dinanzi alla sua immagine, simbolo della nostra confidenza e della nostra gratitudine.
Mentre rendo pubblica la grazia, sciolgo la promessa mandando un'offerta per la costruzione del suo altare in proporzione di lire cinque per ogni nuova Educanda che ci vorrà affidare.
Giaveno - 20 Agosto 1935.
Sr. TERESA DEL NEGRO F. M. A. Direttrice Istituto Magistrale.
Al contatto di una reliquia ex-capsa. - I primi del decorso luglio ebbi in dono da un milite volontario per l'A. O., già dipendente di mio marito e compaesano del Santo, una reliquia di San Giovanni Bosco. La presi con divozione e la riposi in un libro di preghiere unitamente ad altre immagini. Ma il io dello stesso mese, in seguito a lieve trauma, conseguente a svenimento, eccomi sorpresa da commozione cerebrale (trombosi), con emiplegia destra ed afasia. Appena mi avvidi della immobilità degli arti del lato destro, pensai subito a Dio ed all'immagine del Santo Don Bosco, e mi rivolsi immediatamente al buon Padre scongiurandolo ad ottenermi la grazia d'una completa guarigione degli arti perduti. Poi, non potendomi esprimere colla voce, cercai con gesti e con sguardi di farmi comprendere dai familiari che mi attorniavano e riuscii ad avere presso di me la reliquia del Santo in cui riposi ogni mia fiducia. Oh, prodigio! Al primo contatto della reliquia col braccio destro inerte, i miei familiari notarono subito dei lievi movimenti alle dita e una maggiore sensibilità. Il miglioramento si andò accentuando minuto per minuto, ora per ora, tanto che al terzo giorno era sensibilissimo ad entrambi gli arti, con gran meraviglia del sanitario e profonda commozione dei miei cari.
La guarigione come il medico conferma dall'unito certificato, è ora completa, ed io ne rendo grazie a S. Giovanni Bosco, cui serberò perenne divozione, tutta la mia vita.
In fede per la gloria del Santo
Roma, 24-8-1935-XIII.
FORTUNATA CARONCINI.
Testimonianza del Medico Chirurgo Dottor Clodoaldo Bozzi - Via Catone, 29 - Roma.
Il sottoscritto certifica di aver curata la signora Fortunata Caroncini, affetta da commozione cerebrale (trombosi) con emiplegia destra ed afasia e dichiara che la predetta, dal secondo giorno della malattia, ha avuto un notevolissimo miglioramento dissipandosi il male (vertigini, cefalalgie, emiplegia, afasia) in pochi giorni fino alla completa guarigione senza minimi reliquati ed ulteriori conseguenze.
In carta libera, per gli usi consentiti dalla legge.
In fede del vero.
Dott. CLODOALDO Bozzi, Medico Chirurgo.
Grazie Ausiliatrice, grazie D. Bosco!
Nel luglio scorso fui colpita da polmonite doppia che mi ridusse in fin di vita.
Mi confessai da un figlio di D. Bosco, il quale mi consigliò di aver fiducia in Maria Ausiliatrice e in D. Bosco. Ero gravissima. Baciai e ribaciai la reliquia del Santo e strinsi tra le mani la medaglina della Madonna.
La mattina seguente ricevetti con fede la benedizione di M. Ausiliatrice.
Oh prodigio! La febbre diminuì immediatamente, ed il medico potè constatare l'avvenuta guarigione.
Completamente ristabilita, sciolgo la promessa, inviando una piccola offerta.
Serra S. Bruno.
BRUNA RACHELE fu Vincenzo.
Intervento prodigioso. - S. Giovanni Bosco ci ha fatto una grazia straordinaria ed ho pregato il dottor Lumbau a rilasciare il seguente attestato perchè meglio si comprenda la portata del prodigio. Si tratta di mio figlio. Abbiamo invocato la grazia il giovedì 1° agosto, e al sabato egli si poteva considerare interamente guarito
Ho atteso tutto il mese ad inviare la presente per lo stesso consiglio del medico curante onde accertare con tutta sicurezza l'avvenuta miracolosa guarigione. Ecco il certificato:
A richiesta dell'interessato il sottoscritto certifica che il ragazzo Walter Solinas di Umberto è stato da me in cura per ematoma datante da varii mesi al braccio destro.
Detto ragazzo venne pure operato per cinque volte nella R. Clinica Chirurgica di Sassari diretta dal prof. Marogna e le dette operazioni di raschiamento vennero fatte sempre in mia presenza ottenendo sempre risultato nullo.
Ciò essendo una forma cronicizzata, fistolizzata. Ho visitato il sig. Walter Solinas dopo sette giorni di assoluta assenza di cure mediche e mi è grato certificare che il piccolo paziente l'ho trovato perfettamente guarito, residuando solo una innocua piccola cicatrice non secernente, nè più fistolosa. Rilascio all'interessato questo certificato in perfetta coscienza e fede cristiana.
Sassari, 28 agosto 1935-XIII.
Dott. DELIO LUMBAU.
Con profondo osseqiuo
UMBERTO SOLINAS capo squadra milizia ferroviaria a Sassari.
Un cumulo di mali. -- Nel febbraio del 1932 fui colpita d'influenza in forma leggera, che in breve scomparve. Pochi giorni dopo una ricaduta e una forma di gastro-enterite. In seguito fui colpita da dolori reumatici articolari che mi fecero soffrire assai. La sera del 7 maggio, un dolore acutissimo e persistente in una spalla mi fece d'urgenza chiamare il medico che, dopo esame minuzioso, riscontrò la pleurite dalla parte sinistra. È facile immaginare la costernazione mia, e delle mie care. In breve il male andò peggiorando, complicandosi con bronco-polmonite, nefrite, difterite, meningite. Ma, se la scienza medica era riuscita, mediante i suoi portentosi ritrovati, ad arginare questi ultimi mali, al primo apparire, a nulla era riuscita per la pleurite che andò sempre peggiorando, tanto, che in breve tempo, divenne bilaterale, riducendomi in fin di vita.
A nulla valendo le cure diligenti e paterne d'illustri Professori e Medici, i ritrovati della scienza, la mia giovinezza, la sera del 5 luglio, ben conscia della gravità del mio male, capii che la mia vita, per quanto brevissima, ormai volgeva al suo termine, e volli ricevere gli ultimi Sacramenti, e la benedizione del S. Padre, con fede particolarissima.
Un'ora dopo, un'ultimo disperato tentativo: morente fui trasportata in autolettiga all'ospedale, e ben ricordo lo stupore con cui, medici e Suore mi accolsero... Alla mattina seguente, una prima estrazione di liquido: la febbre persisteva sui 40-41, pulsazione 130, respiro affannoso che m'impediva di parlare.
Facendo sforzi inauditi, riuscivo a toccare le medagliette di D. Bosco che avevo appese al collo, e quel che le labbra non riuscivano ormai più a formulare, lo diceva il cuore: « Don Bosco, guaritemi voi! Don Bosco, se voi lo volete, potete guarirmi! »
Sapevo che le mie buone compagne di scuola offrivano per me, a Dio, messe e Comunioni, che tante brave Suore pregavano per ottenermi la guarigione, che i miei di casa facevano voti e novene; ma io, soprattutto, speravo in D. Bosco !
Rimasi ancora tra la vita e la morte per altri 40 giorni.
Ma, se il mio male andava lentamente risolvendosi, chi poteva garantire una guarigione perfetta ? Ogni giorno pregavo D. Bosco e dicevo: «Don Bosco, se veramente siete Santo dovete guarirmi, ma io voglio da Voi una guarigione completa e duratura! » Intrapresi una cura di applicazioni elettriche locali, e un giorno il professore (sottoponendomi forse per la trentesima volta agli esami coi raggi), battendomi sulle spalle, mi disse: « Qualche Santo t'ha voluto bene! D'ora in poi, non chiamarti più Teresina, chiamati miracolo!... » È facile immaginare la mia gioia! Il mio pensiero commosso si volse subito a D. Bosco. Era stato Lui a salvarmi!
È pur doveroso che io riconosca, con gratitudine, le cure diligenti ed illuminate dei bravi professori, delle buone Suore, che nulla risparmiarono per la mia guarigione.
Sono passati tre anni ! Di tanto male, non mi resta più che il lontano ricordo, la mia salute è ottima, e dopo un anno, senza fatica, ripresi i miei studi.
Siano rese lodi e ringraziamenti a Don Bosco! Sciolgo la mia promessa con un'offerta per le Opere missionarie a Lui tanto. care, e colla pubblicazione della grazia ricevuta.
In fede
Torino, 19-VII-1935. TERESA GONELLA. Guarisce da polmonite doppia. - Mio figlio di sei anni, colpito da polmonite doppia, era in grave pericolo di vita; ed il dottore Ramellino Giuseppe, lo dichiarava inguaribile. In quei gravi momenti, venne una mia nipote portando con sè una reliquia del Santo, decisa di fargliela ingoiare.
Il sofferente che alla sera aveva febbre altissima, al mattino era quasi sfebbrato.
Ora gode perfetta salute ed io rendo grazie a San Giovanni Bosco, e prometto un'offerta appena mi sarà possibile.
Monasterolo di Savigliano.
MELLANO MICHELE.
Guarisce da meningite. - Sento il dovere di ringraziare vivamente San Giovanni Bosco per aver guarito il mio Pierino di anni 5 da meningite. Da alcuni giorni la malattia si era di molto aggravata ed un consulto medico aveva dichiarato che non v'era alcun rimedio per combatterla. Nel timore di perderlo, mi rivolsi con fiducia a San Giovanni Bosco e gli feci ingoiare una reliquia del Santo. Quasi subito si constatò un forte miglioramento ed ora gode ottima salute, essendo stato dichiarato fuor di pericolo. Date le mie povere condizioni non posso offrire l'obolo promesso, ma spero col tempo, di poter adempiere la promessa in ringraziamento di tanta grazia.
Monasterolo. GANDOLFO.
Mi guarisce il figlio. - Da due mesi avevo mio figlio ammalato con febbre ed il medico temeva segretamente un carcinoma. Quand'io lo seppi, ricorsi angosciosamente a Don Bosco Santo promettendo una offerta se mi avesse ottenuta la grazia. Ora il dubbio è completamente scomparso, benchè il bambino abbia ancora qualche linea di febbre; ma fiduciosa in San Giovanni Bosco che mi otterrà da Gesù Sacramentato e da Maria SS. Ausiliatrice la guarigione completa, adempio la mia promessa.
Bergamo, 13-VI-1935. BIANCHI INES.
Guarito da cancrena. - Terzuolo Carlo fu Giovanni di anni 98, affetto da pielite diffusa con principio di cancrena in un piede, si fece applicare alla parte infetta la reliquia di Don Bosco, e tosto migliorò notevolmente ristabilendosi poi completamente in otto giorni.
Nizza Monferrato, 1935.
SBURLATI TERZUOLO MARIA.
Scompaiono finalmente lunghe sofferenze. - Mia sorella causa una graffiatura ad una gamba, si era buscata una grave infezione che le cagionava molte sofferenze. Una persona amica, vedendo la gravità del male, ci consigliò d'invocare l'aiuto di Don Bosco Santo cosa che facemmo con gran fervore, con una novena promettendo un'offerta a grazia ottenuta. Dopo pochi giorni constatammo un leggero miglioramento ed oggi, dopo un anno di grandi sofferenze, mia sorella è completamente guarita.
Rivarolo Canavese, 1935.
GIACCHETTI ALBINA.
Ringraziano ancora Maria Ausiliatrice e San Giovanni Bosco:
Francesco Azuria (Torino) ringrazia Maria SS. Ausiliatrice e S. Giovanni Bosco per avere ottenuto la grazia del ritorno alla fede e della vocazione religiosa, con grande pace e gioia dell'anima sua.
Gavatorta Michele (Monasterolo di Savigliano) ringrazia Maria Ausiliatrice e San Giovanni Bosco per aver trovato l'impiego da tanto tempo sospirato.
Teresa di Blasi Fardella (Trapani) ringrazia Don Bosco per aver ottenuto a più riprese sollievo notevole da acuti dolori nevralgici.
Giacone Maria (Torino) lieta di essere mamma. Piccardo Eugenia (Genova) per due grazie ricevute. Picco Angela (Cumiana) per una grazia straordinaria.
Bosco Giovanni per la guarigione da un'acuta appendicite.
Monzani Albina (Genova) per ottenuto impiego di persona cara.
Prusalpino Livia (Bianzè) per aver potuto superare gravi impedimenti alla sua sistemazione.
Gianotti Lucia. (Cossano Canavese) per la guarigione da peritonite quand'era ormai spedita dai medici.
Ceria Secondina (Torino) per la protezione. e la salvezza da certa morte del figlio Giuseppe gravemente ferito in uno scontro motociclistico.
Morbioli A., in ritardo, ma con vivissima riconoscenza pel felice esito di grave operazione chirurgica e per l'ottenuta guarigione.
Sardi Rosa (Sezzadio) pel felicissimo esito dell'esame di laurea.
Bovio Giuseppe e Ines coniugi (Bellinzago) per la guarigione dell'unico bimbo, colpito da tosse asinina, degenerata in bronco-polmonite, e ridotto in fin di vita.
Arato Francesco e Vittoria (Serra di Buttigliera d'Asti) per la guarigione della figlia Caterina. Maffiodo Michele e consorte (Vayes) pel sollievo da una lunga situazione penosa, causata da cattivo andamento di affari.
Gilardi Barucco Olimpia per l'impiego ottenuto. Bottale Santina (Torino) per la guarigione di un bambino ammalato di febbre intestinale.
Castagno Pasqualina per l'ottenuta guarigione dei figlio Domenico.
Bertolino Giovanni per grazia ricevuta.
Battuello Giuseppe (Torino) per l'ottenuta guarigione da gravi fratture del braccio destro.
Mauri Maria (Oleggio) per segnalatissima grazia. Una Mamma per raccomandare alla protezione di D. Bosco il figlio Piero ed i suoi esami.
Mione Lidia per grazia ricevuta, invocando la protezione di Maria Ausiliatrice e di San Giovanni Bosco su di sè e sulla sua famiglia.
Mione Renato per grazia ricevuta, invocando fiducioso, completa guarigione.
Marson Dott. Luigi (Vittorio Veneto) per l'ottenuta liberazione di forti dolori al capo avvenuta proprio nel nono giorno di una fervorosa novena a Don Bosco Santo.
De Simone Angelina ved. Bocco per la guarigione improvvisa della figlia sofferente per appendicite acuta.
Borzi Giuseppina (Catania) per una grazia specialissima.
Castiglione Cappelli Giuseppina (Penne) per l'ottenuta guarigione da un grave esaurimento nervoso.
Bocchino Teresa (San Remo) per guarigione da grave malattia.
Viti Iole (Livorno) per l'ottenuta guarigione prodigiosa di un bimbo.
Pillan Maria (Vicenza) per aver potuto ricuperare la salute, dopo una pericolosa bronco-polmonite.
Vacca Assunta (Littoria) pel felicissimo esito di esame di concorso della figlia.
Ferruzzi Maria (Ravenna) per l'ottenuto impiego del marito da più anni disoccupato.
Poli Maria Angela (Gorno) per la guarigione del marito che, colpito da grave malattia, era ridotto agli estremi.
Meggiolaro Alfonso (Montecchio Maggiore) per l'ottenuta sospirata ammissione fra gli agenti di Pubblica Sicurezza.
Bazzano Francesco (S. Francisco di California) per protezione e grazia speciale ricevuta.
Robinò Giacomo (Orsara Bormida) per la guarigione da sciatica dopo sei mesi di atroci sofferenze.
Bolzoni famiglia (Coccaglio) per la riacquistata salute di ben tre figli tutti e tre ammalatisi gravemente e guariti nello stesso mese!
Scala Serena (Palermo) per la specialissima grazia ottenuta dalla bontà paterna di Don Bosco Santo.
Toselli Anna (Milano) per guarigione da peritonite che l'aveva ridotta in fin di vita.
Soldi Teresa per l'ottenuta guarigione da un penoso mal di gola.
Franchi Giulia (Ravenna) per la ricuperata salute della figlia Benvenuta.
Per l'ampliamento della Basilica di Maria Ausiliatrice.
Anche i Bororos della nostra Colonia di Sangradouro (Mato Grosso), per mezzo del Direttore D. Cesare Albisetti, hanno fatto pervenire al Rettor Maggiore il frutto dei loro risparmi e dei loro sacrifici per l'ampliamento della basilica di Maria Ausiliatrice e per l'altare di Don Bosco Santo. Ducentoventi lire, che rappresentano vere privazioni per quei poveri figliuoli, minacciati continuamente dai Chavantes, e così poveri di tutto. Li ricompensi il Signore largamente, e noi preghiamo perchè il Regno di Cristo trionfi in mezzo a loro con gli ineffabili benefici della carità,
INDIA (Krishnagar).
Rendiconto della Missione nell'anno 1934-1935.
Amatissimo Padre,
Ho il piacere d'inviarle il resoconto del bene operato dai suoi Figli nel Bengala nell'anno 1934-35. Ringraziando il buon Dio e l'Ausiliatrice, registriamo consolanti progressi che aprono il cuore a migliori speranze per l'avvenire. .
I Battesimi amministrati aumentarono da 500 a 780; il numero degli orfanelli raccolti nei nostri Orfanotrofi fu quasi raddoppiato; la vita religiosa intensificata ovunque mediante lo zelo e l'abnegazione dei Missionari che si prodigano senza posa.
Una delle Opere più belle della Missione è certamente quella della S. Infanzia. Ogni mese sono in media circa dieci bambini che vengono portati presso le buone Suore. Sono creaturine abbandonate che sul principio della vita non hanno incontrato l'amore e il bacio materno; vengono raccolte dalla carità cristiana e rigenerate a Cristo. Per questi angioletti abbiamo costruito un'ampia casa, meglio corrispondente alle esigenze igieniche moderne. I bimbi vengono nutriti dalle donne cristiane del villaggio; in seguito, nella nuova casa, sotto l'amorosa sorveglianza delle Suore, come fiorellini salvati dal gelo intempestivo, si sviluppano e sbocciano alla vita. Quanto siamo grati a quelle gentili persone che hanno adottato questi piccoli per amore di nostro Signore Gesù Cristo.
La carità cristiana accompagna i bimbi della S. Infanzia nei differenti stadi della vita: dalla culla all'asilo infantile, alla scuqla, alla scelta di uno stato; nell'ora della malattia, nell'indigenza e debolezza della vecchiaia. Così il giardino d'infanzia, la scuola, il laboratorio, il dispensario, la casa per le vedove, sono tutte opere che fioriscono accanto alla chiesa nostra.
È nota la misera condizione della vedova indiana, bisognevole di protezione e d'aiuto. Sono più di trenta le poverette ricoverate nell'ospizio. Là lavorano, pregano, sono curate, e possono condurre una vita tranquilla e sicura da ogni pericolo.
Ho menzionato l'opera delle Suore. Quest'anno si celebrerà il settantacinquesimo anniversario dell'arrivo delle Suore della Carità della Beata Capitanio in questa Missione. I sacrifici e gli eroismi di questi 75 anni sono scritti nel libro della Vita; ma era giusto sciogliere l'inno del ringraziamento. Alla commemorazione ufficiale parteciparono le più cospicue autorità di Krishnagar, indù e mussulmane, che resero un omaggio di ammirazione all'opera caritatevole delle Suore.
Ma il mio cuore in quel giorno ebbe un altro grande conforto: l'accettazione di due giovani, una bengalese e l'altra santali, nella
Congregazione delle Suore indigene. Questa Congregazione fu fondata dal compianto mio predecessore Mons. Taveggia.
« Sicut lilium inter spinas ». Come giglio tra le spine, il giglio della verginità è spuntato in terra nuova, che le spine del paganesimo cercarono di soffocare fin dagl'inizi. È un'opera bella e ardita che domandò molti sacrifizi; ma ora fiorisce, e venti Suore native esercitano un fecondo apostolato di bene. Per poter ricevere un numero più grande di ragazze, che vogliono consacrarsi a Dio, abbiamo ampliato il convento e costruito una Cappella per loro.
Come Salesiani, noi dovevamo dare tutte le migliori energie all'educazione della gioventù che è la speranza della Missione. Abbiamo quindi sviluppato l'Orfanotrofio e la Scuola Industriale di Krishnagar, e aperte nuove Scuole. Purtroppo molto e molto resta ancora a fare in questo campo; inoltre la povertà dei nostri cristiani non seconda certo gli sforzi dei Missionari per promuovere l'istruzione.
Da due anni l'inondazione in qualche distretto, e la siccità in altri, si allearono per distruggere il raccolto del riso. Fu un vero disastro, perchè lo spettro della fame si affacciò terribile. Noi non potemmo rimanere indifferenti alle sofferenze di tanti poveretti e, memori del misereor super turbam, cercammo di aiutare, finchè anche tutte le nostre scarse risorse furono esaurite.
La Diocesi di Krishnagar è situata in una regione fra le più densamente popolate del globo. La quasi totalità della popolazione vive nei villaggi rurali, poveri aggruppamenti di capanne di fango, dal tetto di paglia, punteggianti l'immenso piano gangetico. Essi formano unità a sè e rappresentano il tipico villaggio indiano, che è rimasto immutato per secoli, e che ancora esiste nel suo intricato organismo sociale, nonostante l'avanzarsi della civiltà occidentale. La principale caratteristica di queste masse rurali, che formano il 90 per 100 della popolazione, è la povertà. I cristiani poi non si trovano certo in condizioni migliori. Ci sono problemi sociali formidabili che attendono la soluzione e che meritano tutto il nostro interessamento, perchè da essi dipende l'avvenire.
Abbiamo villaggi indu, mussulmani, cristiani, l'uno accanto all'altro, con divisioni nette e profonde. I mussulmani sono in prevalenza, specie al nord. Organizzazione, senso di solidarietà, spirito di proselitismo, li rendono sempre più forti e invadenti. È consolante però pensare che nella Missione di Krishnagar abbiamo nuclei di maomettani convertiti che si mantengono saldi nonostante le pressioni degli antichi correligionari. Questo fatto, raro invero nel campo missionario, ci incoraggia a continuare il lavoro in un terreno estremamente refrattario. Lanciamo perciò un appello per una crociata di preghiere assidua, fervente, generosa, affinchè l'Ausiliatrice dei Cristiani guidi a Gesù i mussulmani che ovunque oppongono barriere impenetrabili.
Anche tra i bengalesi le conversioni sono rare: troppi sono ancora i pregiudizi di casta, di razza, di abitudini inveterate che si frappongono fra noi e loro. È di ieri il fatto della conversione d'una famiglia indu. Il padre, cercato a morte, fu assalito, battuto. I cristiani poterono a stento salvarlo, e ora cerchiamo di avere giustizia e libertà dalle autorità. Nel distretto di Berhampore, la prima stazione missionaria con una Cappella dedicata a Maria Ausiliatrice, vivono circa 22.000 Santali. I Santali appartengono a tribù aborigene molto numerose, specialmente nelle diocesi di Patna e Dinajpur. I Gesuiti e i Padri delle Missioni Estere di Milano lavorano con successo in mezzo ad essi.
E nostro desiderio di metterci al più presto a contatto con i Santali, e per questo domandiamo una particolare benedizione e preghiere.
Non posso terminare senza un accenno ai lavori eseguiti pel compimento della grande Chiesa di Bhoborpara, il più importante distretto per il numero dei cristiani. Un'artistica facciata adorna ora quel tempio del vero Iddio, e la sua bellezza è un invito, una chiamata ai pagani del luogo. Un'altra opera iniziata è una Scuola di Tessitura a Shimulia, in quel fiorente Orfanotrofio femminile.
Ecco il resoconto di quel poco che i suoi figli del Bengala hanno potuto fare.
Le cifre sono insignificanti, se si considerano i sette milioni di pagani affidati alle nostre cure. Noi non vogliamo neppure insisterè più sulle enormi difficoltà della Missione, sull'esiguità dei mezzi a disposizione. Con l'aiuto dell'Ausiliatrice, con la fedeltà agli insegnamenti di San Giovanni Bosco, con la carità dei Benefattori, abbiamo speranza che il buon seme fruttificherà e che anche qui l'ora di Dio suonerà.
Amato Padre, ci benedica e ci ricordi. Dev.mo e grat.mo in G. C.
Krishnagar, 15 agosto 1935.
STEFANO FERRANDO
Vescovo di Krishnagar.
P.S. - Dati della Missione: Estensione kmq. 36.673 - Acattolici 7.270.000 - Cattolici 6.117 - Battesimi, totale 766, ad adulti 110 - Dispensari farm. 4 - Casi curati 85.700 - Scuole 39 - Allievi 1.384 - Scuole professionali 3 - Allievi 72 - Sacerdoti missionari 10 - Laici missionari 6 - Suore 40,, delle quali 7 indiane.
GIAPPONE
Cifre, risultati, speranze... Rev.mo ed amat.mo Signor Don Ricaldone,
Anche quest'anno per la grazia di Dio posso farle una breve relazione del modesto lavoro che i suoi figliuoli hanno potuto compiere nella missione loro affidata. Cifre che indicano risultati, risultati che fanno prevedere buona messe futura, speranze quindi per i Missionari e per quanti collaborano con loro nel nobile scopo della salvezza delle anime. La S. Chiesa, i nostri Superiori, i nostri Benefattori ed amici ci hanno sostenuto colle loro preghiere, coi loro preziosi consigli ed incoraggiamenti, e coll'obolo della loro carità. A tutti incondizionatamente le espressioni più calorose di riconoscenza e l'assicurazione delle nostre quotidiane preghiere e la rinnovata volontà di continuare sempre più e sempre meglio a compiere il nostro dovere.
Le difficoltà caratteristiche di questi momenti di crisi mondiale, e quelle ancor più caratteristiche del campo d'apostolato a noi affidato, non hanno permesso passi da giganti, come sarebbe nel desiderio di tutti, ma a costo di ogni sacrificio tutte le posizioni furono mantenute, e sotto certi rispetti consolidate ed ampliate. Dico a costo di ogni sacrificio, perchè il personale esiguo e stanco fu anche provato in quest'anno da disturbi non indifferenti di salute, tanto nella parte dei Salesiani che delle Figlie di M. A. Il tutto suggellato dal sacrificio del nostro amatissimo Don Piacenza, venutoci a mancare in un momento in cui, umanamente parlando, ci sarebbe stato bisogno della preziosa sua collaborazione. Il Signore sa e vede, e se così ci ha provato, è certo per purificarci sempre più, e dimostrarci proprio con questo, le finezze delicate del Suo amore per noi. Sia fatta la sua santa volontà in tutto e per tutto. Egli anche per questo ci ha aiutato in modo speciale. Una rapida corsa in questi luoghi, che Lei ben conosce anche nella loro ubicazione, la convincerà della cosa.
Al nord, la residenza di Nakatsu vede ampliato il collegetto per aspiranti al Seminario, per orfanelli, e fondato anche per venire in aiuto specialmente alle famiglie cristiane povere ed elevarle socialmente collo studio e con una buona educazione cristiana conforme allo spirito giapponese. A Miyazaki le Figlie di M. A. lavorano nello stesso senso per le ragazze. Già si pensa ad ampliare il collegetto, essendo numerose le domande. Il Missionario poi attende da tempo un buon Catechista per consolidare il promettente lavoro di propaganda cattolica nella zona a lui affidata. A Beppu la nostra buona Mamma Maria A. ha voluto ampliare il suo santuario ormai insufficiente a contenere, specialmente nella stagione in cui affluiscono i forestieri, i desiderosi di compiere i loro doveri religiosi. Le auguro che anche presto il grandioso ampliamento del Santuario di Torino sia un fatto compiuto, come il nostro, e son sicuro che anche i buoni Cooperatori e le Cooperatrici giapponesi non saranno insensibili all'appello da Lei lanciato sul Bollettino Salesiano. Noi in tre mesi di lavoro ce la siamo cavata... Anche le brave Figlie di M. A. vi hanno inaugurato ufficialmente alla presenza delle autorità e notabilità cittadine la loro opera di assistenza alla giovane e della Santa Infanzia.
Come già Le annunziai, a Oita si è eretta la bella chiesa in onore di S. Francesco Saverio. Esimie Benefattrici dell'America del Nord, buoni Benefattori ed umili Cooperatori d'Italia e di varie parti del mondo vennero in aiuto alla nostra povertà, e il grande Apostolo del Giappone ha finalmente in Oita, vero campo del suo apostolato in Giappone, una chiesa che forma l'ammirazione di tutti. Non posso non ricordare con profonda commozione l'atto gentile del Superiore Generale dei PP. della Compagnia di Gesù che procurò da Roma per la nostra chiesa una insigne reliquia del Santo. E accanto alla chiesa di Oita. il nuovo Asilo Stella Matutina... Ah, che Maria guidi alla fede i gentili e simpatici frugoli che numerosi popolano la nuova abitazione, e che per essi possiamo arrivare alle famiglie loro... Passando al Sud della Missione le residenze di Takanabe e Myakonojo finalmente sono in terreno proprio. Il Signore ci ha fatto proprio incontrare favorevoli occasioni e così con un piede a terra si pus certo fare un lavoro assai più tranquillo ed efficace. A Takanabe il Missionario viene da due anni svolgendo una intensiva propaganda a mezzo della stampa. È un tentativo che ho permesso anche « ad experimentum », e che darà, ne son certo, a suo tempo, frutti tangibili. Si possono calcolare a quasi duecentomila i libri, foglietti, giornali, riviste, ecc., distribuite dal Missionario. L'unico effetto visibile attuale è che il Missionario non è più uno sconosciuto; dai nomignoli di un tempo si è già al nome proprio: Padre spirituale - Cattolico Missionario di Roma - Giornale cattolico- ed è già qualche cosa. Anzi non è raro il caso di incontrarsi ora con gente mai vista e che parla di cose cattoliche con una certa conoscenza. Unite alle stampe ci sono sempre apposite cartoline, e settimanalmente il Missionario deve rispondere a parecchi amici, che a seconda delle cartoline ricevute iniziano corrispondenza col Missionario e gli domandano il giornale cattolico e la soluzione di qualcuna delle questioni indicate sulla cartolina. Non sono rare le affermazioni di questo genere: « Soffro spiritualmente... Come posso trovare conforto ?... Mi si insegnino le vie dello spirito... Desidero diventar cattolico, prego quindi guidarmi ed istruirmi... » e chiedono libri, e inviano indirizzi di conoscenti ed amici, che riceverebbero volentieri il giornale.
Amato Padre, non so se i lettori si faranno un'idea del lavoro non indifferente che porta con sè questa propaganda, che non è fatta tutta di rose. Anche nelle altri parti della Missione da tutti si lavora in questa branca per noi essenziale, perchè moltiplica le forze del bene, con analogi sistemi. Spargiamo il buon seme a piene mani... Verrà certo il tempo della messe. Nella nostra Missione settimanalmente si distribuiscono 1500 copie del giornale cattolico e quasi tutte vanno in mano a pagani che lo chiedono... È la goccia settimanale. Con santo orgoglio Le dico che i Suoi Figli sono in questo campo in prima fila. Ah, potessimo centuplicare all'ennesima potenza questa distribuzione organizzata, oculata, che mette il cuore del Missionario in relazione al cuore, di questo mondo, sia pure invisibile di lettori, di cui per ora conosciamo solo il nome; ma, viva Dio, verrà il momento che non più nella forma invisibile, ma faccia a faccia la buona anima pagana, che ha bevuto a larghi sorsi la santa parola, si svelerà e dirà anch'essa finalmente a Gesù che l'ha santamente perseguitata: « Ti voglio... Sono tuo... ». Aveva ragione Don Bosco quando scriveva: « Non esito a chiamare divino questo mezzo, poichè Dio stesso se ne servì a rigenerazione dell'uomo, ed è uno dei mezzi atti a mantenere il Regno del Salvatore in tante anime». Oh, se i nostri buoni Benefattori sentissero le pietose richieste di aiuto in questo campo dei miei Missionari!... Non resisterebbero certo e farebbero l'impossibile per venire loro in aiuto. Passo la parola al Suo cuore di Padre.
Al momento l'opera che devo sostenere per avviarla ad un più efficace aiuto nel campo della propaganda, è certo la Scuola Professionale di Tokyo, che già affermatasi fin dai primi inizi, ha bisogno di essere attrezzata di quanto di più moderno vi è nel campo tipografico, per riuscire a far sempre più e sempre meglio. Siamo di fronte ad una Nazione che anche in questo è alla testa.
Volga poi uno sguardo, amato Padre, alle nostre due opere massime di Miyazaki, l'Ospizio ed il Seminario indigeno, ambedue riconosciute legalmente dall'Autorità con recenti decreti. Vanno prendendo davvero uno sviluppo consolante e prossimamente Le annuncierò i risultati di questo sviluppo. Affido alla carità dei buoni queste opere, formata, la prima, dai prediletti di Gesù, e la seconda, dalle nostre future speranze.
Ho lasciato per ultimo il nostro Oratorio di Mikawajima, che continua nel suo normale ritmo di attività e di bene. Dal Paradiso il buon Don Piacenza sono sicuro che lavorerà per i suoi poveri amici.
Per il prossimo anno di lavoro? Il futuro è nelle mani di Dio.
A giorni ci riuniremo per i santi spirituali Esercizi. Rinnovati di forze spirituali, continueremo con la miglior volontà del mondo
nel lavoro intrapreso. Lei ci assista con la falange degli amici nostri e ci sostenga colla preghiera, col consiglio e con tutti i mezzi materiali di cui può disporre per la generosa carità dei Benefattori.
Ci benedica tutti e specialmente chi si professa riconoscentissimo figlio
Miyazaki, 24 luglio 1935.
Mons. VINCENZO CIMATTI Prefetto Apostolico di Miyazaki.
VENEZUELA
Un viaggio apostolico nell'Alto Orinoco.
Amatissimo Padre,
Quando si deve viaggiare per territori semideserti, è necessario essere preparati ad ogni eventualità.
Gli esploratori, più o meno scientifici, sentono il bisogno di portar seco un mondo di cose, che vanno dalla più indispensabile al più raffinato ninnolo di lusso.
Non è così per il Missionario. Il carattere apostolico e la povertà quasi estrema lo obbliga tante volte a prescindere persino da ciò che sembrerebbe necessario. Stabilita da Monsignor Prefetto Apostolico questa escursione missionaria, anche noi abbiamo dovuto fare il possibile per prepararci quel puro necessario che ci desse l'illusione di una organizzazione per garantire l'esito della spedizione.
Questo minimo indispensabile per noi che scarseggiamo di tutto voleva dire, oltre a un po' di « manòco » (farina di yuca), della carne secca e dei fagiuoli, che caricammo sulla nostra barca. Monsignore doveva percorrere circa 900 miglia e il sottoscritto altrettante in direzioni opposte.
Per potersi muovere con più sicurezza e senza bisogno di un esercito di rematori indigeni, Monsignore comperò in Città Bolivar una piccola imbarcazione che battezzò col nome della Patrona delle Missioni « Santa Teresina».
Ma il trasporto di una imbarcazione da Porto Ayacucho fino al Sanariapo presenta delle difficoltà molto serie che solo può valutare chi abita in questi luoghi.
C'è una serie di torrenti, l'uno più impetuoso dell'altro, la cui forza aumenta con le piene, che rendono problematico l'esito del trasporto anche disponendo di numerose braccia per trascinare l'imbarcazione fuori dell'acqua quando la corrente è troppo impetuosa. Inoltre la scarsezza di mezzi non ci permetteva di procurarci il personale necessario e d'altra parte Monsignore si opponeva a permettere di tentare l'avventura coi giovanotti della nostra Missione. Anche il trasporto per la strada carrozzabile si rendeva difficile per la mancanza di un veicolo adatto. Dopo lungo pensare decidemmo di ridurre l'imbarcazione al puro scheletro e di caricarla sopra un camion affidandoci alle mani della Provvidenza.
Caricata non senza difficoltà la nostra nave, ci mettemmo in cammino a passo di tartaruga temendo ad ogni istante di andare a finire in qualche fosso oppure di andare a sbattere contro qualche albero o qualche roccia sporgenti sulla strada, oppure ancòra di non poter attraversare i ponti per il troppo peso. Ma, grazie a Maria Ausiliatrice, potemmo senza il minimo incidente giungere quella sera stessa alle rive del Sanariapo e contemplare la «Santa Teresina» dolcemente cullata dalle acque.
Caricate le provvigioni, messo di nuovo a posto il motore e la tolda e attaccato il rimorchio, incominciammo il 12 luglio a risalire l'Orinoco.
Secondo il programma dovevamo fare il viaggio insieme fino a San Fernando di Atabapo, donde Monsignore doveva proseguire per l'Orinoco, Casiquiare e Rio Negro, mentre il sottoscritto doveva rimanere alcuni giorni a San Fernando e di lì, per l'Atabapo, il Temi, la montagna di Yavita e Pimichin, andare a finire al Guainia, visitando tutti i villaggi e casolari da Victorino fino alla confluenza del Casiquiare.
Il viaggio fino a San Fernando fu senza incidenti, tutti allegri e pieni d'entusiasmo, non ostante l'immancabile compagnia dei moscherini. Salutammo di passaggio alcuni centri di « Guahibos » riservandoci di fermarci tra loro al ritorno e approdammo a San Fernando il 22 mattina accolti dal festoso suono delle campane e dagli « evviva » della popolazione ch'era accorsa per salutare Monsignore fin dai luoghi più lontani.
San Fernando si trova in una posizione invidiabile: clima sano, panorama incantevole e valore strategico, giacchè chiude le comunicazioni col corso superiore dell'Orinoco, domina le confluenze del Guaviare e dell'Inìrida che, insieme con l'Atabapo, gettano le loro acque nel grande fiume; e finalmente è il punto di partenza della strada che, attraverso il passo di Yavita, mette in comunicazione l'Alto Guainia con la valle dell'Orinoco.
Quando la si scorge dal fiume, gli occhi del viaggiatore stanchi di non veder altro che una striscia di acqua tra due mura di verde, hanno l'illusione di trovarsi di fronte ad un gigantesco nido dove s'annidi qualche strano uccellaccio che temono da un momento all'altro di veder insorgere per difendere dagli intrusi il pacifico possesso della maestosa solitudine.
Ma appena messo piede a terra, svanisce ogni idillica illusione. San Fernando, nonostante la sua vantaggiosa posizione, si trova in istato agonico. Casupole scalcinate guardano melanconicamente le macerie delle loro sorelle, che sembrano invitarle a seguirle nel cammino della morte e dell'oblio. Dove in un tempo non lontano si aprivano vie e corsi, dove formicolava la gente immersa negli affari, oggi penetra trionfante l'erbaccia soffocando le rovine e i residui dei frutteti. La chiesa grande e solida con le sue eleganti torri fu convertita in una specie di club zoologico dove si alternano amichevolmente vacche, tori, maiali, cani e migliaia di pipistrelli. Il pavimento in cemento è coperto da uno spesso strato di letame di ogni genere, forse con l'intendimento di formare dei giacimenti artificiali di guano in previsione del futuro sviluppo dell'agricoltura locale. I resti degli altari, confessionali, armadi, ecc., ammucchiati nel mezzo della navata, costituiscono la ricercata abitazione di un numero infinito di topi. La parete del presbiterio in rovina lascia scorgere il cortile interno dove, all'ombra di alcuni cespugli di «mango », si è formata una vera pozzanghera, piscina natatoria degli animali immondi e semenzaio d'innumerevoli zanzare, che causano frequenti malarie. Il tetto, metà penzoloni, geme al menomo soffio della brezza, minacciando rovina, che potrebbe trascinare anche le pareti laterali, suscettibili ancora di riparazione.
Nonostante tanta rovina, la gente del luogo e dei dintorni si mostra molto ben disposta. Gente alla buona, docile e semplice, ma che aspetta tutto dal Missionario al quale sembra intimamente connessa la risurrezione morale e materiale della popolazione. La loro scarsità di mezzi è incredibile: medicine non ne hanno; il sale è scarsissimo e i fiammiferi sono un oggetto di lusso. Il denaro non ha corso e si limitano a cambiarsi i prodotti. Di industria neppur la traccia. L'agricoltura adopera mezzi quanto mai primitivi e gli abitanti si vedono obbligati ad emigrare per poter valorizzare le loro attitudini individuali.
Della bontà di questa gente darà una idea il frutto spirituale che abbiamo potuto raccogliere nella nostra breve dimora: 7o Battesimi e altrettante Cresime e 10 matrimoni. Tutti assistevano poi con edificante pietà alle prediche e alla S. Messa. Tra i battezzati vi furono con grande nostra gioia, anche 4 indi « piaroas ». Questa razza semplice e docile è stata sempre sfruttata da tutti i « siringueros » (estrattori del caucciù) e « sarrapieros » (coltivatori della sarrapia, pianta leguminosa di legno assai apprezzato il cui seme si usa per aromatizzare il tabacco da naso e preservare gli abiti dalle tarme). Oggi abita solitaria vicino alle fonti dei fiumi Cataniapo e Quejanuma. Ogni tanto scendono per scambiare i loro prodotti con degli ami e delle tele e con altre cose di prima necessità, essendo proverbiale la loro onestà. E si dà il caso strano che se domandano per esempio degli ami a cambio di qualche prodotto, e se ne vuol loro regalare qualcuno in più, lo rifiutano e si mostrano diffidenti come se si avessero dei secondi fini. Noi siamo riusciti ad intenderci con loro ed essi riconoscono nel Missionario il loro naturale protettore che li avvicina solo per far loro del bene. È difficile ciononostante far penetrare nella loro mente la religione, essendo attaccati ad un'infinità di credenze e di incantesimi e basterebbe una parola od un gesto di disprezzo per le loro abitudini per allontanarli per sempre. Sono riconoscenti e non mi dimenticherò mai dell'impressione che mi fece un vecchietto il quale, prendendomi la barba, si sfregava con essa la faccia, dicendomi nella sua lingua gutturale: « Adiba, Pare; Adiba, Pare (Padre buono, padre buono) ». Se fossimo in più Missionari si potrebbe penetrare nei loro villaggi e vivere con essi fino alla loro completa conversione. Ma il lavoro è tanto, ed i mezzi e il personale tanto pochi!
Il 30 lasciammo San Fernando. La nuova imbarcazione era molto più misera tanto che la tolda, fatta di palme, non riusciva a coprire il mio povero bagaglio. Il viaggio lungo l'Atabapo e il Temi fu semplicemente disastroso. Il fiume, cresciuto straordinariamente, non offriva nessun posto di approdo tranne che a distanze considerevoli. Eravamo ancora nella stagione delle pioggie e bisognava rassegnarsi a sopportare la pioggia di giorno e di notte, filosoficamente, senza neppur la possibilità di cambiarsi.
Offrimmo tutte queste sofferenze a Maria Ausiliatrice per il buon esito della spedizione, e, a dir il vero, la Madonna si mostrò con noi Madre tenerissima, chè, nonostante tanta pioggia e tanta fatica, nessuno ne soffrì il minimo disagio. L'equipaggio era formato da tre ragazzi della Missione, più un « baniba », che faceva da guida. La gente si meravigliava che con sì poco personale c'inoltrassimo per quelle deserte regioni e parecchi si offrivano ad accompagnarci per un prezzo veramente irrisorio; ma non potendo disporre neppur di questo, non potemmo accettare le loro offerte e proseguimmo fidenti in Dio e nella Madonna.
Seguendo il corso dell'Atabapo, facemmo tappa a Chamuchina e Canamè, dove battezzammo alcuni bambini, lasciando per un'altra volta tre matrimoni perchè gli uomini erano assenti per i lavori del « balatà » (specie di albero di caucciù). Parimenti a Guarinuma amministrammo alcuni battesimi e di lì proseguimmo fino a Baltazar. Un tempo questo era un centro importante per le sue piantagioni di caffè e di cacao. Oggi vi abita ancora il Commissario per l'Atabapo, signor Luigi Prando, al quale dobbiamo molta gratitudine per le sue attenzioni. A notte inoltrata udimmo un sordo rumore, che sembrava un doloroso muggito di animale moribondo. Domandammo cosa fosse e ci fu detto che erano gli Indi di Santa Cruz che sonavano il tamburo per una delle loro feste. Come potemmo controllare il giorno dopo, quel suono indicava la fine della festa celebrata per l'ingresso di una ragazza tra le donne della tribù. Niente di più originale e di più barbaro che questa festa chiamata nel loro idioma « nidatame ». Quando una bambina arriva alla pubertà, la mamma ne avvisa il Cacico, il quale ordina che la giovane sia separata dalla comunità ed obbligata a rigoroso digiuno per un mese. Intanto si prepara la festa. Uomini e donne raccolgono abbondanti provvigioni; se non si dispone di altri recipienti, si tolgono dal fiume due o tre piccole canoe e preparano in esse un liquido alcoolico chiamato « yaraque » che si ottiene dalla fermentazione del « casabe » arrostito. Gli Indi dei dintorni, richiamati dal suono del « botuto », accorrono alla festa e, giunto il giorno del ricevimento della giovane nella tribù, si radunano e ballano, formando circolo, il « tamarì ». La nuova donna, tutta dipinta in rosso con un liquido ricavato dalla corteccia di una pianta, e ornata con delle penne e batufoli di cotone attaccati a tutto il corpo, è introdotta nell'assemblea. Quivi, dopo di averle fatto odorare parecchi cibi, il cacico le fa una specie di esortazione e subito la sferza crudelmente alle spalle mentre la giovane, con le braccia tese sopra la testa, riceve stoicamente quei colpi.
Quando io giunsi al villaggio dove celebravano quella festa, tutti erano ubbriachi; ma ci accolsero abbastanza bene, ci fecero gustare quell'indiavolata bevanda e volevano che prendessimo parte alla loro baldoria. La giovane era avvolta in una coperta ma le scopersero la faccia ed apparve tutta macilenta dal lungo digiuno. E pensare che tutti questi Indi un giorno erano cristiani, vivevano civilmente, frequentavano la chiesa, e adesso, per l'abbandono in cui fu giocoforza lasciarli per mancanza di mezzi e di personale, stanno ricadendo nella loro primitiva barbarie.
Da Santa Cruz a Yavita, una lunga giornata di viaggio, tanto che fummo obbligati a pernottare nella canoa, sotto una pioggia incessante. Usciti da Yavita, dove abita una sola famiglia, verso mezzogiorno, decidemmo di raggiungere Pimichin prima del tramonto. L'antica mulattiera che attraversava la montagna era ridotta dalla pioggia ad uno stato intransitabile. A metà strada c'è una croce, eretta per ricordare la morte di qualche persona perita in quel luogo. Il palo verticale di questa croce appare straordinariamente assottigliato perchè gli Indi, che viaggiano per questi luoghi, ne tagliuzzano dei pezzi per farne dei decotti che, secondo loro, guariscono infinite malattie. Tanto sono superstiziosi questi poveri Indi, privi dell'assistenza del Sacerdote!
Poco lontano dalla croce, sperimentai ancora una volta la protezione di Maria Ausiliatrice; Avevo appena ucciso due « guacamayos » (specie di papagalli), che dovevano servire per far cena, e mentre ricaricavo il fucile, l'indio che mi seguiva gridò: «Attento, Padre! Il serpente! ». Alzai istintivamente la gamba destra ed ecco balzare davanti a me, dopo di avermi sfiorato il tallone, un terribile serpente velenoso lungo circa un metro e mezzo. Feci un balzo indietro, mentre il rettile si disponeva a ripetere l'assalto. Spianai il mio fucile rapidamente e al primo colpo il serpente rimase diviso in due. Senza il grido dell'indio e il movimento istintivo della gamba, probabilmente non avrei raccontato il fatto, trattandosi di uno dei più velenosi serpenti della regione, e non portando per giunta nessun rimedio per combattere il veleno. Sia benedetta la nostra buona Mamma Celeste, che vigila sempre su di noi!
Arrivammo a Pimichin a sera inoltrata. Stanchi morti, stendemmo le nostre coperte sotto una tettoia e nonostante il forte sonno cagionato dalla stanchezza, fummo più volte svegliati dal ruggito dei giaguari che gironzolavano per quei dintorni e la cui mole potemmo apprezzare dalle impronte lasciate sul terreno.
A Pimichin non trovammo altra imbarcazione che la piccola canoa della posta, vecchia, che faceva acqua in abbondanza. Ma non c'era da scegliere: caricammo parte del nostro bagaglio e con due dei quattro ragazzi che mi accompagnavano, tentammo l'avventura. La canoa era carica fino all'orlo e, con l'acqua che veniva su dal fondo come uno zampillo, il viaggio si faceva ad ogni momento più pericoloso. Non si poteva fare il minimo movimento per non imbarcare acqua, e i rematori dovevano usare tutte le precauzioni perchè la barca non si capovolgesse. Tutto finì bene, dopo sei ore di angoscioso viaggio che ordinariamente si compie in tre.
Con un vero senso di sollievo sbarcammo a Maroa che appariva bianca e linda in mezzo alla esuberante vegetazione. Maroa è il villaggio meglio tenuto di tutto il territorio. Case pulite, ben allineate secondo un piano dove le vie si tagliano ad angolo retto e portano il nome degli eroi nazionali: Nel centro una graziosa piazzetta, persino con un piccolo monumento che ricorda i lavori della commissione che stabilì i limiti fra Brasile e Venezuela. La chiesa, grande e ben tenuta, possiede una bella immagine di S. Gabriele, patrono della località.
Gli abitanti appartengono quasi tutti alle tribù indiane dei « barè » e dei « banibas »; sono di indole molto buona e attendono con vera ansietà il Sacerdote che li possa assistere nei loro bisogni spirituali. Conservano uno spirito religioso superiore a quello riscontrato nel resto della regione. Alla domenica si radunano tutti in chiesa e uno di loro legge le preghiere in un vecchio libro e ogni tanto portano in processione l'immagine del santo Patrono con vera pietà e divozione, senza quell'insieme di usanze poco serie che abbiamo visto in altri villaggi che si dànno tono di più colti. Sarebbe questo un terreno propizio per raccogliere copiosi frutti e per stabilirvi un buon centro di Missione.
Quantunque ci aspettassero con ansietà, rimasero un po' seccati per non essere stati preavvisati, giacché avrebbero voluto farci un ricevimento degno, secondo loro, del Missionario. Misero a nostra disposizione una delle migliori case e andavano a gara nel servirci ed ossequiarci. Tutto il popolo accorse alle istruzioni che si limitarono ad insegnar loro le preghiere, disponendo di poco tempo. Il capo del villaggio mise a nostra disposizione un'imbarcazione perchè potessimo con facilità visitare altri piccoli nuclei lungo le sponde del fiume e così potemmo amministrare qualche battesimo.
Da Victorino, ultimo villaggio venezuelano dell'Alto Guainia, fino alla Comunidad, Guman, Las Isletas e Democrazia, dappertutto abbiamo notato le stesse premure, lo stesso desiderio di avere vicino un Sacerdote, che essi considerano come il loro naturale difensore ed amico.
Tutti questi buoni indi vivono in condizioni miserrime: qualche prodotto della loro primitivissima agricoltura, la caccia e la pesca, sono i loro unici mezzi di sostentamento. Non hanno industrie propriamente dette e per i lavori del balatà e della sarrapia sono alla mercè di alcuni sfruttatori che li dissanguano per dar loro un irrisorio guadagno col quale non riescono mai a cancellare i debiti con cui se li legano, e che arrivano a cifre inverosimili pesando su parecchie generazioni.
Avendo ricevuto ordine da Mons. De Ferrari di trovarci a San Fernando per il 2o agosto, partimmo da Maroa il mattino del giorno 15 e, dopo un viaggio relativamente felice, arrivammo a San Fernando la mattina del 18, impiegando la metà del tempo che ci volle per l'andata.
Frutto di questa escursione furono circa 200 battesimi, un centinaio di cresime e una dozzina di matrimoni. Però, senza la premura del tempo, avremmo potuto fare molto di più, come ci auguriamo di poter fare in un futuro non lontano.
Mons. De Ferrari non giunse a San Fernando che il 2o agosto perchè, essendosi guastato il motore dell'imbarcazione, dovette scendere gran parte dell'Orinoco alla deriva. Anch'egli visitò tutti i villaggi lungo l'Orinoco, il Casiquiare e il Rio Negro, raccogliendo ovunque consolanti frutti. Peccato che tutti questi posti, un tempo fiorenti, sono oggi ridotti a mucchi di macerie e i pochi abitanti vivono miseramente e si vedranno certo obbligati ad emigrare se la situazione non migliora. Perciò tutti aspettano il Missionario nella fiducia di ricevere col pane dell'anima anche l'aiuto materiale per non vedersi obbligati ad abbandonare queste terre dove riposano le ossa dei loro antenati.
Dove Monsignore potè sviluppare di più la sua attività fu a San Carlos sul Rio Negro. Ivi la popolazione accorse in massa anche dai luoghi più lontani e, docili alla voce del Pastore, santificarono le loro unioni e battezzarono i loro figli. Commossi dalla bontà paterna di Monsignore, insistevano perchè si fermasse di più tra di loro; ma urgenti bisogni lo chiamavano altrove e, benchè col cuore dolente, dovette abbandonare il terreno così ben preparato, promettendo loro che avrebbe fatto il possibile per mandar quanto prima un sacerdote. Quando sarà? Mancano Missionari e mancano i mezzi per sostenerli. Voglia il Signore ispirare i buoni affinchè, anche in mezzo alle difficoltà della crisi mondiale, non lascino di aiutare con la loro generosità questa porzione lontana del gregge di Gesù Cristo che abbisogna di un buon Pastore che li guidi nel cammino della Verità.
Un'idea del lavoro di Monsignore lo dànno le seguenti cifre: 15o Battesimi, 200 Cresime e 25 Matrimoni.
Uscimmo dalla ex capitale del territorio lasciandoci trascinare dalla corrente e aiutandoci con quattro remi che potemmo improvvisare. Rientrammo ad Ayacucho il 27 agosto, accolti festosamente dai Confratelli e dalle Autorità che ci aspettavano.
Sia benedetto il Signore che ci ha protetti nella lunga e laboriosa spedizione. Lei ci aiuti, amato Padre, colle sue preghiere perchè possiamo provvedere ai bisogni spirituali di tanta povera gente che attende con ansia l'ora della sua redenzione.
aff.mo in G. C.
Sac. ALFREDO MARIA BONveCCHIO Missionario Salesiano.
EQUATORE
Escursione missionaria tra i Kivari. Amatissimo Padre,
Il giorno 29 giugno sono arrivato a Mendez, dopo 20 giorni di escursione sui grandi affluenti dell'Amazzone, percorrendo non meno di 300 chilometri a. piedi.
L'organizzazione della spedizione non fu cosa facile. Non si poteva fare che con kivari, caricatori forti, conoscitori dei sentieri, abili nel maneggiare canoe e zattere.
Parlai perciò coi selvaggi; ma nessuno si volle compromettere. Alcuni adducevano che eravamo nel tempo delle pioggie e che era pericoloso mettersi in viaggio per un terreno solcato da tanti e grossi fiumi; altri, che avevano colà dei nemici, e non volevano cacciarsi in bocca al lupo; altri sospettavano addirittura che volessimo condurli al Jopi per fare la guerra ai Peruviani.
Però la ragione principale era che il Missionario sarebbe andato in compagnia di un ufficiale militare, perchè il kivaro non tollera, non sopporta nessuna imposizione, ed odia terribilmente la disciplina militare; solo un metodo caritatevole e fraterno come quello di Don Bosco lo può dominare e far di lui quel che si vuole.
Fallito il primo tentativo, pensai di organizzare il viaggio coi kivaretti già cristiani, ex allievi, perciò più malleabili e docili.
Ne occorreva però un numero maggiore perchè, così teneri, non reggono a gravi pesi.
In compenso c'era il vantaggio morale che, essendo buoni cristiani, col loro esempio, con le parole e con le loro orazioni, avrebbero lasciato in quelle nuove tribù una buona impressione, valorizzando l'opera del Missionario.
L'idea si potè concretare; il 10 giugno la comitiva, composta del Missionario, da un ufficiale, da un soldato e da 10 kivaretti, partì dalla piazza di Mendez, salutata dal popolo e dalla guarnigione militare.
A mezzogiorno si giunse alla riva destra del gran fiume Upano. I kivaretti, con una voce che sembrava uscisse da un forte megafono, riuscirono a superare il rumore assordante dell'acqua, per avvertire della nostra presenza i selvaggi dell'altra sponda. In pochi minuti ecco infatti apparire sulla spiaggia tre donne kivare le quali, con gesti vibranti e con voce robusta, si misero a gridare: « Chi siete ? dove andate ? Ci sono cercatori d'oro ? Ci sono stregoni ? ». Avute notizie assicuranti e saputo che nella comitiva c'era il Missionario, indicarono più sotto un passaggio più tranquillo. Lo raggiungemmo senz'altro, ed ecco, sulla spiaggia opposta un gruppo di kivari, intenti a comporre una zattera, sconquassata dalla piena dei giorni passati. L'imbarcazione molto primitiva consiste in quattro tronchi di legno leggero, legati assieme con liane della foresta. Appena ci videro la spinsero in acqua, e due nerboruti selvaggi, presero a remare vigorosamente animandosi a vicenda con alte grida. Arrivati alla nostra sponda e salutata la comitiva ci avvertirono che il fiume era ancora pericoloso: perciò conveniva passare solo uno alla volta. Alle quattro della sera eravamo tutti dalla parte opposta. Fatti pochi passi, entrammo nella capanna del Pirucha, capo della casa, il quale, vestito a festa con calzoni, camicia, cravatta e cappello, ci accolse assiso sul suo piccolo sedile, come è loro costume. Salutati tutti, diede ordine alle donne di servire ai nuovi arrivati «ciccia» e vivande. Cominciarono quindi le conversazioni ufficiali, obbligatorie ogni volta che si entra in una casa kivara, per dar ragione del viaggio.
Al calar della notte, radunai attorno a me quella numerosa famiglia e la intrattenni per più di mezz'ora sopra le verità della fede; insieme ai kivaretti già cristiani, recitammo quindi le preghiere della sera e, augurata una buona notte, ci disponemmo al riposo. L'indomani celebrai la S. Messa. Vi assistettero con attenzione tutti i kivari e la maggior parte dei nostri kivaretti ricevette con devozione la S. Comunione. Dopo una frugale colazione, ci rimettemmo subito in viaggio attraverso la selva, che era veramente selvaggia, aspra e forte. Un sentiero stretto, quasi chiuso, pietroso, solcato tratto tratto da fiumicelli, affluenti del Gran-upano-namangosa, in mezzo ad alti monti.
Per tre giorni non incontrammo alcuna kivaria, e bisognò passare le notti in aperta foresta. Verso le tre della sera si sospendeva la marcia. I nostri kivaretti si facevano in quattro per aiutarci, dimenticando perfino sè stessi: s'internavano nella foresta in cerca di lunghe palme per prepararci un letto per la notte, chi in cerca di pali per costruirlo, chi in cerca di legna per accendere il fuoco, mentre altri pensavano a preparar la cena.
Al terzo giorno di viaggio parve che le forze della natura - congiurassero contro di noi: una pioggia dirotta ci svegliò, alle tre del mattino, così forte che il tetto provvisorio non potè resistere e noi dovemmo raccogliere tutto il nostro bagaglio e aspettare il giorno sotto quel diluvio. All'alba, ci rimettemmo in viaggio, ed ecco a pochi passi un grosso serpente attraversarci il cammino. Un kivaretto ci fece osservare che ci eravamo messi in cammino troppo presto e che i serpenti a quell'ora non si erano ancora rintanati nei loro nascondigli. Mezz'ora più tardi, ecco un grosso tigre, spaventato forse dalla numerosa comitiva, discender rapido da un alto albero a pochi metri di distanza e internarsi nella foresta prima che noi avessimo tempo a caricare il fucile. Più tardi ancora una forte scossa di terremoto scosse le piante violentemente; e i kivaretti, pensando che qualche grossa scimmia si divertisse sui rami, a deporre in fretta i bagagli a terra, e a cercarla con occhi di lince per darle la caccia. Verso mezzogiorno cominciò di nuovo la pioggia dirotta, sicchè arrivammo ad un largo fiume, mentre stava crescendo a vista d'occhio: «Presto! presto! » si grida, e ci disponemmo in catena, armati di grossi bastoni, per lottare contro la forte corrente, che quasi ci travolgeva.
Il quinto giorno dovevamo arrivare ad una kivaria sul gran fiume Santiago e di là, in canoa, navigare fino al Jopi; però verso mezzogiorno ci trovammo di fronte a vari sentieri, senza sapere quale fosse il buono. Neppure la bussola bastava a toglierci dall'incertezza, dall'inquietudine. Fu una grazia dell'Ausiliatrice che a pochi passi dalla foresta un grosso kivaro, armato di cerbottana, di ritorno dalla caccia, si offerse per guida. Verso le tre del pomeriggio arrivammo alla kivaria dell'Ungucha, accolti cordialmente. Mentre i nostri kivaretti attendevano alla conversazione ufficiale, noi ci medicammo le piccole ferite riportate nel viaggio. Il più bisognoso di cura era il tenente, il quale aveva un ginocchio quasi inservibile, essendo andato a cozzare contro una grossa pietra mentre lo trascinava la corrente di un fiume.
Terminata la conversazione ufficiale, cominciai a trattare con l'Ungucha, capo della casa, per il viaggio dell'indomani in canoa.
Il kivaro mi disse subito che la canoa grande era rotta, perciò inservibile; che c'era la piccola ma non poteva caricare più di tre o quattro persone con i relativi bagagli, perchè il fiume era molto cresciuto. Dovemmo perciò dividerci, una parte a piedi e l'altra in canoa. Lasciammo la canoa al tenente ed al soldato, infermi, accompagnati da un kivaretto come interprete.
Io cogli altri kivaretti, il mattino seguente, mi misi per il sentiero sconosciuto, senza una guida, fidando in Dio. La marcia proseguì sicura fin verso le due del pomeriggio; a quell'ora il sentiero ci condusse in un'ampia spiaggia del gran Santiago, donde non trovammo più via d'uscita.
Quella spiaggia termina in un gran vortice di circa 300 metri di diametro, dove il fiume sterza completamente al sud. È lo sbocco di tutti i rifiuti del fiume; vedemmo zattere galleggianti, indizio certo di disgrazie avvenute nel passare gli affluenti del Santiago, e scorgemmo pure vari strumenti da lavoro dei cercatori d'oro e tronchi d'alberi in quantità: il tutto in moto come una grande giostra. È la mèta di tanti kivari che periodicamente accorrono a spogliare i cadaveri portati fin là alla deriva.
Passammo ore ed ore nella vana ricerca di un sentiero. E ci sorprese la notte; bella, serena, con una magnifica luna che si specchiava argentea nelle acque del gran fiume mentre un lieve venticello mormorava tra le fronde della vicina foresta: tutto sembrava sorriderci all'intorno; ma nel cuore regnava la tristezza e la preoccupazione. Preparammo un po' di cena con la cacciagione che la Provvidenza ci aveva mandato nella giornata: recitammo le preghiere della sera; e, invocando in modo particolare la nostra Ausiliatrice, ci adagiammo sulla fresca arena sotto una rigogliosa pianta di banane. Verso le otto della notte fummo svegliati da un gran latrar di cani. Tendemmo l'orecchio: veniva proprio dalla direzione est; qualche casa o di kivari o di cercatori d'oro era vicina. Riaprimmo il cuore alla speranza e l'allegria, e tranquillamente riprendemmo il sonno.
Ma all'alba eravamo di nuovo in marcia, in fila indiana. Precedeva un kivaretto con un « macete » (lunga arma da taglio) in mano per aprire il sentiero attraverso la intricata foresta; io l'accompagnavo con la bussola alla mano per non perdere la direzione. La marcia procedeva lenta e monotona. La casa, che si sperava d'incontrare, era un'illusione: i cani, che latravano, non erano che cani o lupi di acqua, usciti nella notte dalle vicine lagune. Il terreno, completamente piano, si trasformò ben presto in un pantano profondo e puzzolente, coperto da una nube di moscerini e di zanzare che ci assalivano da ogni parte. Per cinque ore dovemmo camminare in quella situazione, muti, silenziosi, sfiduciati. I kivaretti più volte insistettero per ritornare indietro, però riescii sempre a persuaderli a proseguire, dimostrando con la bussola che eravamo nella buona direzione, e assicurando che la nostra Ausiliatrice, invocata in quei tristi momenti con tanto fervore, non ci avrebbe abbandonati.
Verso mezzogiorno, il kivaretto che apriva il sentiero, mandò un grido di gioia: « jintia pujawei! » (c'è il sentiero!). C'era davvero, e ben aperto, con impronte fresche di kivari. Difficile è descrivere l'emozione di quel momento: tutti mi si strinsero attorno e, quasi istintivamente, ci inginocchiammo per ringraziare Colei che ci aveva messi di nuovo sul buon cammino.
Dopo un breve riposo, riprendemmo la marcia. Verso le due del pomeriggio, ecco due colpi di fucile. Erano i nostri compagni, partiti in canoa, che ci attendevano non molto lontano. Affrettammo il passo; e così, verso le tre, arrivammo alla capanna del kivaro Sakém, dove incontrammo i compagni di viaggio.
Il Sakém, capo della tribù del Santiago, composta di 15 kivarie con circa 20o kivari, si mostrò molto cortese, umile e contento della nostra visita. La casa era piena di kivari dei dintorni venuti a veder il Missionario, che era per essi una novità, essendo la prima volta che lo avvicinavano. Approfittai dell'occasione per cominciare l'opera missionaria. Radunati attorno a me alcuni bambini, cominciai con essi un piccolo dialogo. Ad essi, a poco a poco, si unirono altri e poi altri ancora in pochi minuti, sospese le conversazioni, pendevano dal labbro del Missionario. Era la prima volta che sentivano parlar di Dio, della vita futura, di un'anima immortale, ecc., e si aperse ai loro occhi un nuovo orizzonte; cominciarono a comprendere che il Missionario è un loro amico, che desidera il loro bene, la loro salute; epperciò, al termine della breve predica, tutti insistettero perchè io ritornassi per rimanere a vivere in mezzo a loro.
Con facilità potei ottenere tre canoe per il giorno dopo. Di buon mattino discendemmo alla spiaggia, al piccolo porto. Il fiume era abbastanza cresciuto; ciò nonostante i kivari dicevano che era possibile la navigazione. Perciò alle ore 9 partimmo. Quasi tutta la tribù era presente alla nostra partenza; rivolgemmo un ultimo saluto, al quale risposero: Uari tata (ritorna presto).
Il viaggio durò appena due ore: circa 6o chilometri di percorso; ma la tensione e la preoccupazione erano continue, perchè continuamente sferzati dalle ondate che rovesciavano acqua nella canoa e bisognava rigettarla fuori incessantemente. Alle 11 arrivammo alla confluenza del Jopi col Santiago, posizione incantevole e strategica, dove incontrammo il Tenente politico, autorità civile, il quale ci ricevette e ci trattò con molta cordialità e generosità. Nel breve soggiorno al Jopi, imposto dalla indisposizione di due compagni di viaggio, aiutati dai kivaretti innalzammo un'alta Croce, sotto la quale celebrai la S. Messa e pregammo affinchè non fosse solo simbolo di redenzione e di civilizzazione, ma presto centro di vita cristiana in mezzo alle numerose tribù dei dintorni.
Il giorno 22 giugno riprendemmo il viaggio di ritorno, non però per la stessa via; seguimmo invece un altro sentiero kivaro che poteva condurci alla nostra Missione del Chinibimbi, per vedere quale dei due si prestava meglio per la costruzione di una via di comunicazione col Jopi. Il primo giorno lo passammo in canoa, lungo il Jopi, navigando contro corrente; il viaggio era lento, ma sicuro e tranquillo.
Raggiungemmo così la capanna del kivaro Mariano il quale, avendo conosciuto i Missionari in Mendez, ci trattò con delicatezza veramente rara in un selvaggio. Quivi mi si presentò pure un giovanotto kivaro, ex allievo della casa di Mendez, che per intrighi guerreschi di suo padre, aveva dovuto ritirarsi colà. Sorridendo, si sedette al mio fianco, ricordò con piacere i giorni passati alla Missione, domandandomi informazioni dei suoi compagni di collegio; poi, con la confidenza di un tempo, mi disse: « Padre, da tanto tempo desideravo vederti ; son più di tre anni che non posso confessarmi... Se tu stessi sempre qui, come sarei più buono! ». Tranquillizzata la sua coscienza, cominciai a chiedere informazioni su quella numerosa tribù. Seppi che la casa del Mariano è il punto centrale della tribù che consta di 44 case con non meno di 50o membri. Da questo punto, con lancia a vapore, si possono visitare tutte le kivarie, che per comodità della pesca, si trovan tutte lungo il fiume Jopi e i suoi tre affluenti Chapiza - Japi - Wambiza. Inoltre si possono visitare le tribù del basso e dell'alto Santiago. Sarebbe questo perciò il luogo preferito per la futura nostra Missione al Jopi. Il clima è ottimo: siamo a 300 metri sul livello del mare; tutta pianura leggermente ondulata. Sostammo un giorno per riposare e per rifornirci dei viveri per il viaggio di ritorno.
Numerosi kivari vennero a visitarci, ascoltando volentieri la parola del Missionario e manifestando il desiderio di averci presto in mezzo a loro.
Il mattino seguente riprendemmo il viaggio a piedi. Verso le ore 10 raggiungemmo il fiume Jopi, che per una forte pioggia notturna era in piena e non permetteva il guado. Non avevamo nè canoa, nè zattera. Il Mariano, che ci faceva da guida, cominciò ad aprire con un coltellaccio un sentiero lungo il fiume, e ci condusse in un luogo dove formava tre bracci. Egli per primo tentò il guado del primo braccio che era il più forte e solo con difficoltà potè passarlo; perciò chiamò in aiuto i kivari dell'altra sponda.
Verso sera si giunse alla casa del Cognéras, dove passammo la notte e completammo le provvigioni di viveri per il ritorno. Un kivaro si offerse come guida fino al Cinimbi; ma il viaggio ebbe le sue difficoltà. Una pioggerella ci accompagnò insistente nei tre giorni di marcia, raffreddandosi intensamente sull'alta Cordigliera del Cutucù, a 2000 metri sul livello del mare. Di notte non sempre potemmo accendere il fuoco per mancanza di legna asciutta; spesso ci toccò dormire sopra un fango profondo, ricoperto con frasche o rami di palme. Alla fine del terzo giorno arrivammo alla capanna del kivaro Ikiam, sulla riva sinistra dell'Upano, con la speranza di passare nella stessa sera alla nostra casa di Cinimbi; invece, trovammo il fiume in piena e senza zattera, perchè era stata asportata dalla piena dei giorni passati.
Pernottammo nella kivaria e, il mattino seguente, sotto una pioggia dirotta, i nostri bravi kivaretti scesero fino al fiume, tagliarono altri alberi di legno leggero e costrussero in fretta una nuova zattera. A mezzogiorno tutto era pronto. Nonostante la piena del fiume, i kivari ci assicuravano che si poteva ugualmente passare senza pericolo, Invocata con fede la nostra Ausiliatrice, iniziammo la traversata. Passò per primo il tenente e abbastanza bene; poi passai io; ma, crescendo la piena, il terzo trovò grave difficoltà; il quarto, vinto dalla violenza dell'acqua fu trascinato al basso. Fu un momento terribile. Ma tosto un kivaro, che stava spiando sulla nostra spiaggia, si lanciò a nuoto in mezzo a quelle onde furiose, all'inseguimento della zattera. Raggiuntala, l'afferrò con una mano, nuotando con l'altra in senso contrario, e diede tempo e facilità ai rematori di vincere la forte corrente e raggiungere l'altra riva. Un applauso dalle due spiagge salutò il giovane eroe, che aveva esposto la sua vita per la salvezza dell'altrui. Si sospese quindi il passaggio. Noi salimmo alla nostra casa di Cinimbi e gli altri, il mattino seguente, non essendo la piena più così impetuosa, poterono attraversare il fiume e raggiungerci verso mezzogiorno. Il dì seguente, giorno di S. Pietro, desideravamo raggiungere Mendez, terminando così la nostra escursione. Ma un'ultima difficoltà ci si parò davanti: essendo il tempo piovigginoso, il fiume Iurupasa, che ancora dovevamo incontrare sul nostro cammino, molto probabilmente sarebbe stato in piena. Ciò nonostante, il mattino seguente partimmo, portando con noi una lunga corda. Raggiunto il fiume, un nostro kivaretto, si cinse ai fianchi un estremo della corda e passò nuotando all'altra sponda; quivi legò la corda a un albero e noi facemmo altrettanto dalla nostra parte. Attaccati a quella corda, uno dietro l'altro, potemmo passar tutti senza grave pericolo. Si riprese la marcia allegramente e poco dopo mezzogiorno arrivammo alla Missione, accolti con festa da tutti i confratelli.
Voglia il Signore che presto si cominci un lavoro efficace a pro' della tribù del Jopi!
Sac. GIOVANNI GHINASSI Misionario Salesiano.
PATARELLI D. CARLO, sac. da Breil (Francia), † a Melles-les-Tournai (Belgio) il 7-VI-1935 a 68 anni di età. Don Bosco l'incontrò fanciullo a Nizza Mare e gli disse: « Tu sarai uno dei miei ». E fu uno dei nostri più cari direttori nella Francia e nel Belgio, per l'ammirabile dolcezza d'animo, la pietà profonda e l'illuminata carità.
CELMA D. LUIGI, sac. da Ares del Maestre (Spagna), † a Agua de Dios (Colombia) il 20-VII-1935 a 55 anni di età.
GIL GUGLIELMO, coad. da Madrid (Spagna), † a Carabanchel Alto (Spagna) il 31-VIII-1935 a 81 anni di età.
BERTOZZI FRANCESCO, coad., da Mercato Saraceno (Forlì), † a Roma il 4-VIII-1935 a 51 anni di età.
GAYTE FLORIMONDO, ch. da Loudes (Francia), † a Marsiglia (Francia) il 12-VIII-1935 a 25 anni di età.
COMPAGNONI MARIO, ch., da Laborde (CòrdobaArgentina), † a Alta Gracia (Argentina) il 25-VII-1935 a 24 anni di età.
ARDITO FRANCESCO, coad. da Murisengo (Alessandria), † a Torino-Oratorio il 3-X-1935 a 6o anni di età.
Dott. Cav. SEBASTIANO FILIPPELLO † a Torino il 31-X-u. S. Figlio del dott. comm. Gio. Batt., nostro insigne benefattore, chiuse la sua vita terrena a 29 anni, confortato dalla benedizione dello zio Vescovo d'Ivrea, lasciando nel commosso rimpianto il ricordo e l'esempio di ammirabili virtù cristiane, tutte impegnate nell'amore della famiglia e dello studio, e nell'esercizio della carità.
Can. D. EZIO ROSSI † a Varese il 15-X-u. sc. a 6o anni di età. Pio, zelante sacerdote era apprezzatissimo pel sacro ministero, tutto cuore per Don Bosco e per l'opera sua.
N. D. MARIANNA SEGAFREDO, † a Rosà (Vicenza) il 2-TX-u. sc. Anima tutta eucaristica, di una bontà d'animo e generosità senza pari, dalla divozione a S. Giov. Bosco aveva attinto lo spirito d'apostolato e di cooperazione salesiana favorendo in modo speciale le vocazioni ecclesiastiche. Non provava mai tanta gioia come quando poteva vederne tra le file di Don Bosco. Per soccorrere le Missioni, per i poverelli e derelitti si privava anche del necessario.
GRAMONI GIUSEPPE † a Rovasenda il 2o-VIIIu. sc. a 88 anni di età. Animò la sua vita operosa di profonda fede e l'arricchì di meriti coll'esercizio della carità, prediligendo l'opera di Don Bosco cui offerse volentieri uno dei suoi figliuoli.
DOVO PAOLO † a Torino il 3o-VIII-u. sc. a 75 anni di età. La sua vita rifulse di chiare virtù cristiane, di laboriosità costante e coscienziosa e di cordiale cooperazione salesiana.
Avv. Comm. PIERO PESCE MAINERI † a Genova il 2o-IX-u. sc. L'alta cultura e le rare doti di mente e di cuore mise coll'abilità professionale a servizio dei poveri e dei bisognosi, prodigandosi sopratutto per la cura e la salvezza della gioventù pericolante e pericolosa collo spirito di Don Bosco, che amava e venerava come un santo anche prima della Canonizzazione. La Società Salesiana, Istituti di beneficenza, Associazioni patriottiche, ed Opere pie l'ebbero patrono valido e disinteressato. Alimentava la vita colla comunione quotidiana e confortava la pratica sincera della religione colle più eminenti virtù cristiane.
LAURENTI GIOVANNI, † a Roma il 3o-VI-u. sc. a 72 anni di età dopo una lunga malattia sopportata con ammirabile rassegnazione cristiana. Zelante cooperatore, lasciò alla famiglia fulgidi esempi di bontà di cuore e di onestà.
BLANCHARD ALESSANDRO, † a Chieri il 10-Xu. sc. a 74 anni di età. Figlio del noto fruttivendolo che sfamò tante volte Don Bosco studente, ebbe pel Santo e per l'opera sua affetto costante e devozione profonda.
Conte CARLO VASSALLO di CASTIGLIONE, † a Cagliari il 17-X-u. sc. a 2o anni di età. Primogenito del Gen. Emanuele e della contessa Teresa Callori di Vignale, apprese nella nobile famiglia colle virtù tradizionali, l'amore a Don Bosco ed all'opera sua, fiorendo in una giovinezza ricca di promesse che maturò precocemente pel Cielo.
Mons. PIETRO Can. NERI, † ad Arezzo il 25-X-u. sc. Emerito direttore diocesano dei Cooperatori diffuse la Pia Unione in tutta la Diocesi, adoprandosi strenuamente per la fondazione ed il sostegno delle opere salesiane.
MARCHESI DOMENICO, † a Monza il 25-X-u. sc. Cooperatore d'antica data, tutto di Don Bosco, ha offerto alla Società Salesiana due dei suoi figliuoli che hanno raggiunto le nostre missioni dell'India.
Altri Cooperatori defunti:
Accornero Celestina, Montemagno (Asti) - Albertini Fortunato, Mineo (Catania) - Angelini Gerolamo, Rescia di Monteleone (.Perugia) - Arborio Mella Conte Edoardo, Vercelli - Arlotto Stefano, Fossano (Cuneo) - Barberini Carlo, Romagnese - Bola Annita Ved. Pioli, Parma - Bosco Carlo, Priola (Cuneo) - Brunelli Maria Ved. Modestini, Macerata - Bulgarella Dott. Giuseppe, Monte S. Giuliano (Trapani) - Burba Pietro, Sedegliano (Udine) - Bussolati Clementina, Torino - Caminada Gaudenzio, Asso (Como) - Canepa Addolorata, Menzonio (Svizzera-Ticino) - Comizzoli Mons. Giovanni, Lodi (Milano) - Da Via Giorgio, Bolzano - Davide Tribaudino Anna, Torino - De Gringis Avv. Luigi, Torino - Ferri Prof. Luigi, Ferrara - Fioretti Natale, Lesi (Ancona) - Foro Marianna, Saluzzo (Cuneo) - Francalacci Spampani Ines, La Spezia - Gamborsi Aristide, Napoli - Gioia Clemente, Magliano Sabina (Rieti) - Giors Cecilia, Giaglione (Torino) - Gorino Comm. Gabriele, Torino - Guglielmetto Antonio, Bruzolo (Torino) - Mella Casperino, S. Giovanni Ilarione (Verona) - Oglietti Maria, Morano Po (Alessandria) - Patini Avv. Francesco, Cassino (Napoli) - Petitti Clara, Fossano (Cuneo) - Piazzola Gaetano, Tregnago (Verona) - Ricca Can. Vincenzo, Modica (Ragusa) - Rolando Ugo - Ronco Luigi, Caste! S. Pietro Monf. (Alessandria) - Serafini Assunta Ved. Magnani, S. Agata Feltria (Pesaro) - Sodero Visconti Angela, Valfenera (Alessandria) - Tornquist Emma, Buenos Aires - Treu Romilda, Moggio Udinese (Udine) - Virla Aurelia, Callabiana (Vercelli) - Zaccarini Giovanni Valmontone (Roma) - Zaccarini Severina, Valmontone (Roma) - Zucchetti Ferdinando, Rho (Milano).
NOTIFICAZIONI E DOCUMENTI.
Il nuovo Cardinal Protettore S. Em. Rev.ma il Sig. Card. Eugenio Pacelli 33
La solenne chiusura dell'Anno Santo alla grotta di Lourdes in Francia 97
Auxilium Christianorum 129
Aedificavit sibi domum Maria 161
Don Bosco e Pio X 181
Pei pelleggrinaggi a Maria Ausiliatrice 19z
La nostra copertina 193
Consolatrix afflictorum 247 Santifichiamo la Festa! 257 Per la Causa di Beatificazione del Servo di Dio Professor Giuseppe Toniolo Cooperatore Salesiano . 268 Riduzione di pagine nella stampa del Bollettino Italiano 323 Le grazie di Maria Ausiliatrice e una dichiarazione di San Giovanni Bosco
PER L'AMPLIAMENTO DEL SANTUARIO DI MARIA SS. AUSILIATRICE E PER L'ALTARE A S. G. BOSCO.
Esempi che strappano le lagrime 11 e 350 Mandate la vostra offerta . . .
Sull'esempio di Don Bosco 65 Il Santuario dell'Ausiliatrice nel nuovo grandioso progetto di ampliamento 99 e 131 Tutti i cuori .
Cari ricordi 289
Dalle foreste vergini 321
IN FAMIGLIA.
Il Rev.mo Sig. Don Pietro Ricaldone ai Cooperatori di San Giovanni Bosco 1 San Francesco di Sales Dottore dell'ascetica . 5 L'inaugurazione dei nuovi locali del 1° Oratorio Festivo di Torino 66 Nel XXV anniversario della morte del Servo di Dio Don Michele Rua
Altissima onorificenza al nostro Rev.mo Rettor Maggiore 132 S. E. Mons. Mathias, Arcivescovo di Madras . . . . 132 S. E. Mons. Esandi, Vescovo di Viedma 132 S. E. Mons. Tavella, Arcivescovo di Salta . 133 Solenne commemorazione del Ven. Savio Domenico a Torino.
S. M. la Regina d'Italia alla Basilica di Maria Ausiliatrice ed alla Casa madre delle Opere e Missioni di San Giovanni Bosco x63 e 176
Sotto la cupola dell'Ausiliatrice, 170-194-226-259-291-323 e 338
Alta onorificenza del Governo Italiano a Mons. Ferrando 261 Alta onorificenza del Governo Equatoriano a S. E. Mons. Comin
L'ingresso di S. E. Mons. Mathias nell'Archidiocesi di Madras . . . . 297 Il Giubileo d'Oro delle e Letture Drammatiche » . . . 311 Funzione di addio ai nostri Missionari . . 324 Data centenaria della vestizione chiericale di D. Bosco 338 La benedizione della "Casa Parrocchiale" e della "Rotativa" della S. E. I.
Don Riccardo Pittini eletto Arcivescovo di S. Domingo 340
ECHI DELLE FESTE DI DON BOSCO SANTO.
Vedi pagine: 12, 42, 73, 103, 138, 168, 198, 250, 280, 315, 333, 341.
OMAGGI A DON BOSCO SANTO. San Giovanni Bosco sullo schermo 102 Messina - La nuova via San Giovanni Bosco . 232 Gaeta - Inaugurazione di un monumento a Don Bosco Santo 261 Shrigley (Inghilterra) - Posa della 1a pietra del Santuario da erigersi in onore di San Giovanni Bosco . . . 267 Benevagienna -Nuova via dedicata a Don Bosco Santo. 316 Motta di Como - Un nuovo padiglione della o Casa Alpina Lago Azurro » dedicata al nostro Santo . . . . 316 San Giovanni Bosco patrono speciale dell'infanzia e della gioventù del Messico . . . . 340 Don Bosco Santo al Congresso Internaz. di Salisburgo 341
COOPERAZIONE SALESIANA
Per la festa di San Francesco di Sales 11 Adunanza del comitato centrale Dame Patronesse . 66 Trovateci nuovi Cooperatori
Genova - Il cinquantesimo di fondazione del Comitato Dame Patronesse 261
Un bell'esempio di Azione Salesiana 317
Cuneo 342
CROCIATA MISSIONARIA.
Borse Missionarie. Vedi pagine: 28, 34, 93, 120, 153. 175, 210, 242, 275, 296, pag. 2° della copertina e 368.
MISSIONI.
Mostra Missionaria Salesiana al « Maschio Angioino » di Napoli 8 Il cruento olocausto dei nostri Missionari Don Fuchs e Don Sacillotti, fra gli Indi Chavantes . . . . 36 Statistica delle Missioni affidate ai Salesiani al 31-12-1934 154 Assam: Shillong, 238. - Tezpur, 271. Brasile: Mato Grosso. 23-303. - Rio Negro, 15o. Chili: Magellano, 204.
Cina: Aberdeen, 266. - Linchovv, 329.
Equatore: Macas, 239. - Cuenca, 266. - Mendez. 362. Giappone: Erezione della missione a Prefettura Apostolica, 66. - Mijazaki, 173-270. - Mukden, 25. - Oita, 270. - Tokio, 115 e 354.
India: Krishnagar, 87-171 e 350.
Sian: Bang Tan, 56. - Chumphon, 3o0. - Hua hin, 298. -
Vatphleng, 151.
Venezuela: Alto Orinoco, 356.
PER INTERCESSIONE DI MARIA SS. AUSILIATRICE DI SAN GIOVANNI BOSCO.
Vedi pagine: 29. 59, 91, 121, 155, 178, 211, 241, 276, 306, 331• 30, 64, 96, 128, 16o, 191, 223, 255, 288, 3193, 3° pagina della copertina e 344.
FIGURE DEGNE DI MEMORIA.
L'Em.mo Card. Pietro Gasparri 6
S. E. Rev.ma Mons. Eugenio Méderlet 57
Mons. Paolo Taroni di Faenza 68
Mons. Giuseppe Fagnano 133
Don Stefano Trione 135
Don Bernardo Vacchina 285
NEGLI ISTITUTI DELLE FIGLIE DI M. A..
La Causa di Beatificazione di Maria Mazzarello . . 98 Commemorazione della Serva di Dio Maria Mazzarello . 203 La nuova Casa Ispettoriale delle Figlie di M. A. in Bélem 265 Causa di Beatificazione di Suor Maddalena Caterina Morano
Figlia di M. A 330
L'Asilo Infantile di Pomaro 343
NOTIZIE VARIE: DALL'ITALIA.
Bari, 230. - Bologna, 40. - Cumiana, 324. - Littoria, 3o. - Messina, 293. - Milano, 231. - Napoli 233 e z62. - Roma (M. A.), 233. - Roma (Pio XI), 234 e 265. - Roma (S. Callisto), 237. - Roma (Via Tuscolana), 41. - Sampierdarena, 39.
DALL'ESTERO.
Buenos Aires (Pio IX), 294 e 327. - Lione, t1. - Lisbona, z68. - Marsiglia, 274. - Rosario, 293. - Santo Domingo, 325. - Sliema, ' 231.
LETTERE DI DON GIULIVO AI GIOVANI.
Vedi pagine: 22, 61, 94, 125, 149, 182, 224, 253, 285, 305, 335 e 343.
IN FIDUCIOSA ATTESA DI GRAZIE
Vedi pagine: 64, 96, 128, 16o, 192, 224, 256, z88, 320, 3• pagina della copertina e 369.
SALESIANI DEFUNTI.
Vedi pagine 31, 62, 95, 127, 159, 191, 222, 254, 286, 318,-335. COOPERATORI DEFUNTI.
Vedi pagine: 32, 6z, 95. 127, 159, 191, 222. 254. 287, 319, 336 e 367.
TESORO SPIRITUALE.
Indulgenze dei Cooperatori Salesiani, 4, 38, 94, 128, 158, 162,
206, 246, 269, 310.
Indulgenza del lavoro santificato 192 Novena consigliata da S. Giov. Bosco per ottenere grazie e favori da Maria SS. Ausiliatrice 295
BIBLIOGRAFIA.
Le funzioni della Chiesa (Don E. M. Vismara, salesiano) 69 Il Cardinal Francesco di Paola Cassetta (Mons. Vistalli) . 254 L'Oratorio di Don Bosco (Sac. Dott. Fedele Giraudi) . 207 Il Cardinal Giovanni Cagliero (Don Giovanni Cassano, salesiano) 269