ANNO VII. N. 6. Esce una volta al mese. GIUGNO 1883.
Direzione nell'Oratorio - Via Cottolengo, N. 32, TORINO ;
SOMMARIO - La festa del 5 Giugno nel Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino - La divozione a Maria SS. Ausiliatrice - Grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice - D. Bosco in Francia - Un modello ai secolari nell'esercizio della carità - Educatorio sulla riviera - Una pia proposta in onore del Sacro Cuore di Gesù - Il Conte D. Carlo Cays di Giletta - Saggio nell' asilo infantile del Nichelino - Storia dell' Oratorio di S. Francesco di Sales - Un marinaio a D. Bosco e i Salesiani di Payssandù - Accademia in onore di S. Tommaso d' Aquino nell'Oratorio di S. Francesco di Sales - Discorso di Victor Ugo sulla necessità dell'insegnamento religioso - Avviso ai Cooperatori.
Pel desiderio che il presente Bollettino giunga nelle mani dei Cooperatori e delle Cooperatrici prima della festa di Maria Ausiliatrice, ci riserbiamo di dare nel prossimo numero la relazione della Solennità, che, come abbiamo già annunziato, sarà celebrata il 5 del corrente Giugno.
Per ora notiamo solo che la festa sarà onorata dalla presenza di molti forestieri, specialmente Francesi , stati favoriti da Maria Ausiliatrice di grazie anche straordinarie, e rallegrata., mattino e sera, da scelta musica, eseguita da 200 e più giovanetti dell' Oratorio Salesiano e dai più rinomati professori di canto della città di Torino.
Se il tempo ci sarà pur esso propizio, nutriamo viva fiducia che la Solennità riuscirà non meno splendida che gli altri anni, grande il bene delle anime, magnifiche le lodi a Gesù Cristo e alla divina sua Madre.
Facciano nuovamente appello ai nostri Cooperatori e alle nostre Cooperatrici che vogliano unirsi con noi per segnalare quel faustissimo giorno con ispeciali pratiche di pietà, ed onorare la Regina del Cielo con un cuore pieno di divozione , di riconoscenza e di amore.
Da tre anni più non cadeva nè pioggia nè rugiada sulla terra d'Israele. Ogni filo d'erba, ogni virgulto e pianta era intieramente bruciata dai roventi raggi del sole; la campagna presentava l'aspetto di un vasto deserto. Era questo un giusto castigo contro del popolo, che, trascinato dal cattivo esempio del re Acabbo e della regina Gezabele, aveva abbandonato il culto del vero Dio per adorare le divinità false e bugiarde.
Un flagello così grande e cosi prolungato fece finalmente aprire gli occhi ai peccatori, che, rientrati in se stessi, cercarono di riconciliarsi col Cielo. Fu allora che il profeta Elia a nome di Dio si presentò ad Acabbo, promettendo pioggia in abbondanza ed ogni bene, se egli e il suo popolo ritornavano ad amare e servire il Signore, rovesciando gli altari de' falsi Dei. Accettata la proposta, Elia sale sull'alta cima del monte Carmelo, e prega il Signore che apra le cateratte del cielo, e versi la benefica pioggia sull'arida e desolata terra d' Israello. Ed ecco farsi poco dopo vedere dalla parte del mare una leggiera nuvoletta, che alzandosi gradatamente , e distendendosi ad ogni istante, in breve ora viene a coprire tutto il firmamento. Comincia a cadere acqua dirotta; ne beve la terra assetata, se ne riempiono i ruscelli , i fiumi e le fonti. Dopo alcuni giorni tutta la campagna rifiorisce di vita novella, per dare a tempo opportuno una raccolta abbondante (III Reg. xviii.).
Alla nuvoletta veduta dal profeta Elia è giustamente paragonata in questi ultimi tempi la divozione a Maria SS. Ausiliatrice. Di fatto, non sono che pochi anni, dacché in Torino fu dedicata una Chiesa all'augusta Madre del Salvatore, sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, e che incominciossi ad onorarvela e farvi ricorso invocandola con questo bel nome , eppure in sì breve tempo questa divozione si è già così divulgata, che ormai può dirsi universale; universale per riguardo alle classi di persone, che la professano ; universale pei luoghi , in cui è professata. A Maria Ausiliatrice, venerata in modo speciale nel suo Santuario di Torino, si ricorre da ogni condizion di persone, dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai poveri, dai sani e soprattutto dai malati e dagli afflitti ; s'invoca dagli individui , dalle famiglie , dalle comunità , dalle parochie, dalle intere città ; Maria Ausiliatrice s'invoca in Italia, in Francia, nella Germania, nel Belgio, nella Spagna; s'invoca nell'antico e nel nuovo mondo, nell'America del Nord e in quella del Sud, e nelle più remote parti della terra. Giorno poi non trascorre senza che arrivino o divoti, o lettere o suppliche per domandare grazie, o sciogliere voti ed inni di ringraziamento nel detto Santuario, come al trono della celeste e misericordiosa Regina.
Questa divozione, vale a dire questo amore, questa fiducia, quiesto trasporto e ricorso a Maria Auxilium Christianorum va crescendo ancora ogni giorno, e porge motivo a pronunziare che come la nuvoletta del Carmelo ella si diffonderà per tutto il popolo cristiano, facendo piovere dal Cielo ognor più copiose ed elette benedizioni temporali ed eterne. Ad aprire il cuore a si lieta speranza ci muovono le grazie di ogni genere anche strepitose, che Iddio comparte a coloro, che invocano Maria col titolo di Ausiliatrice, quasi che Egli voglia con ciò dimostrare tornargli questa divozione graditissima; grazie cosi numerose, che di loro relazioni si potrebbero formare dei grossi volumi. Nè di loro veracità si può ragionevolmente dubitare, sia perchè di loro narrazione si hanno i manoscritti originali, sia perché i testimoni le accompagnano quasi sempre con limosine a decoro della Chiesa e al caritatevole mantenimento dei poveri giovanetti, che sono raccolti ed educati presso il Santuario, come sotto il manto della Madre Celeste, sia ancora perchè coll'offerta materiale va congiunta la preghiera, la Confessione e la Comunione, e spesso il pellegrinaggio di coloro, che furono beneficati. Ora ognuno sa che specialmente a questi tempi una persona non s'induce a fare cotali sacrifizi, se non per un forte motivo, che nel caso nostro altro non può essere fuorchè la persuasione e la esperienza di essere stati favoriti da Dio ad intercessione di Maria, nella quale avevano posta la loro fiducia.
Si aggiunga ancora che le relazioni di grazie ricevute, quantunque innumerevoli, non possono tuttavia dare un'adeguata e compiuta idea del quanto Maria Ausiliatrice si mostri propizia ai suoi divoti; imperocchè la maggior parte dei favori, che la pietosa Vergine concede a chi ne la prega, non è manifesta, ora perchè chi li riceve non sa scriverli o non può recarsi personalmente al Santuario per riferirli, ora perchè sono grazie spirituali, e talvolta eziandio perchè non si ha piacere di far conoscere certi mali e tribolazioni, da cui si fu liberati, per essere segreti di famiglia e via dicendo.
E ragionevole adunque il dire che a guisa della nuvoletta del Carmelo questa divozione spande fin d'ora sulla terra una prodigiosa pioggia di benedizioni, le quali la faranno amare e dilatare vie maggiormente. E così, mentre solleverà dai mali di spirito e di corpo i Cristiani afflitti e tribolati, farà pur fiorire in mezzo di loro le virtù più belle, e produrrà ubertosi frutti di eterna vita.
Quale saggio di quanto sia. ormai distesa la divozione a Maria Ausiliatrice, in prova della bontà e della premura, con cui questa Madre del bell' amore e della santa speranza soccorre chi la invoca sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, e ad eccitare i fedeli a riporre in Lei la loro fiducia, noi negli anni passati e pur nel presente siamo venuti pubblicando a parte una serie di grazie, di cui ci era fatta relazione, e di tratto in tratto ne ornammo eziandio le colonne del Bollettino. Allo stesso fine altre ne produciamo più sotto, riferiteci solo poc' anzi e dalla Italia e dalla Francia.
Servano esse a preparare vie meglio le anime nostre a celebrare divotamente la festa di Maria Ausiliatrice il 5 del corrente mese, come fu già annunziato nel numero precedente; ci sieno di forte stimolo a fare pronto ricorso a questa celeste Benefattrice, quando ci troviamo afflitti da corporali o da spirituali malanni; e ci facciano animo a raccoglierci sotto il manto di sì amorosa Madre e di sì alta Protettrice, affinchè, dopo aver provato i dolci effetti del suo possente aiuto nelle battaglie della vita, possiamo, come ne fa pregare la santa Chiesa, esperimentarli più efficacemente in morte, col riportare una compiuta vittoria contro i nemici dell'anima nostra, ed entrare trionfanti nell'eterna gloria : Ut tali praesidio certantes in vita, victoriam de hoste maligno consequi valeamus in morte.
Ecco due grazie stateci solo ultimamente riferite, una corporale e l'altra spirituale.
Un padre così ci scriveva da Giustenice, presso Savona il 14 aprile.
Con mio sommo piacere notifico alla S. V. una grazia segnalatissima , ottenuta da Maria Ausiliatrice. Aveva una mia figliuolina di 8 anni tormentata dal terribile male del tétano (1). I medici dopo aver tentato ogni rimedio senza verun profitto me la diedero per ispedita. Intanto la poverina se ne stava nel suo lettuccio tutta immobile , fredda come un cadavere, senza poter inghiottire cibo di sorta, e con tutto il corpo così incurvato, che moveva a pietà chiunque la vedeva. La sua testa poi grondava sudore continuamente per gli atrocissimi spasimi che soffriva. Io e sua nonna le stavamo accanto notte e giorno, dolentissimi di vederla soffrire cotanto senza poterle recare il minimo sollievo. Ma ecco che un giorno mi balenò un lampo di speranza. Mi risovvenni che la Vergine Santissima già altre volte aveva ridonata la sanità ai suoi divoli, e che se a Dio fosse piaciuto poteva ridonarla anche alla povera mia figliuolina. Mi raccomandai caldamente a Maria Ausiliatrice, che volesse avere pietà della mia cara bimba, o promisi di mandare costì una limosina per fare celebrare una Messa in ringraziamento al suo altare nel giorno di sua festa. Fatta questa preghiera e questa promessa, la mia cara figliuolina cominciò a migliorare , e dopo pochi giorni era pienamente ristabilita, ed ora è più robusta di prima.
Rendo adunque vive grazie alla SS. Vergine Ausiliatrice, e mando la qui unita limosina in adempimento della mia promessa.
PIETRO RICCI.
La lettera seguente, tradotta dal francese, riferisce la grazia di una conversione inaspettata.
Rueil, 11 aprile 1883.
Revmo Signore,
La novena , che la S. V, si è compiaciuta di propormi il 23 marzo, in risposta alla mia dimanda di preghiere, era appena incominciata, quando una delle povere anime, per le quali noi invocavamo il Sacro Cuore di Gesù e Maria Ausiliatrice , ritornava a Dio e domandava un Sacerdote , nel momento istesso, in cui ogni speranza di sì grande mutamento pareva dileguata. Era 13 anni che il convertito, che ne conta 30 di vita, più non frequentava la Chiesa, e tutto, famiglia e circostanze, parevano rendere impossibile il suo ritorno a Dio. Ciò non di meno questo è avvenuto in condizioni eccellenti.
Io non so come esprimere la mia riconoscenza e i miei ringraziamenti Questa vittoria così imprevista accresce la mia speranza, la mia fiducia di ottenere altre conversioni non meno desiderate, e la grazia di condurre a buon termine la educazione de'miei due piccoli orfanelli.
EUGENIA PICARD.
(1) Il tétano è una malattia caratterizzata dalla convulsione permanente di uno o più muscoli, accompagnata da tensione e da dolori, che la rendono quasi sempre mortale,
Da qualche settimana i giornali di Francia e d'Italia sono pieni di notizie di D. Bosco, nostro venerato Superiore ed amatissimo Padre. Dopo la visita fatta agli Ospizi ed alle Colonie agricole già stabilite in Francia, egli pregatone si recò in parecchie città di quella generosa nazione, e vi perorò la causa delle molte migliaia di poveri giovanetti , che deve educare e mantenere , e delle opere di carità e di religione , che gli tocca di condurre a termine, tra cui la Chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù a Roma. Dappertutto egli si ebbe cordialissime dimostrazioni di stima e di rispetto da ogni ordine di persone.
Il 29 di aprile predicò nella vasta e magnifica Chiesa della Maddalena al una folla immensa accorsa ad udirlo, e i più reputati giornali di quella capitale ne tolsero occasione a pubblicare magnifici articoli, riportati poscia od accennati da varii periodici della nostra penisola.
Noi pure riprodurremmo di buon grado quanto ne fu detto dall' Univers, dal Gaulois, dalla Liberte, dal Salut public, dal Pèlerin, dal Rosier de Marie dalla France, dall' Unità Cattolica, dall' Osservatore Cattolico, dal Corriere di Torino e da molte altre effemeridi e francesi ed italiane; ma oltre che le cose ivi pubblicate sono in parte già note ai nostri Cooperatori e alle nostre Cooperatrici, noi ce ne asteniamo altresì per la ragione che contengono lodi troppo personali a D. Bosco medesimo, il quale quanto gode nel promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime, e nel trovare sostenitori delle opere sue, altrettanto soffre che noi attribuiamo a lui stesso il bene operato e l'ammirazione degli uomini.
Ci piace in quella vece di segnalare alcuni punti del suo discorso pronunciato in francese alla Maddalena, e compendiato dalla France. - Sono profondamente commosso, disse D. Bosco, alla vista di un' udienza tanto numerosa, e non so come rispondere a tanta premura. Un' assemblea così ragguardevole di buoni cattolici è per me una consolazione inesprimibile. E' della gioventù che noi siamo per intrattenerci. Secondo la parola di uno de'vostri più illustri Prelati, Monsignor Dupanloup, la società sarà buona, se date una buona educazione alla gioventù. Se la lasciate trascinare al male, la società sarà pervertita. » Don Bosco passò indi a raccontare per sommi capi l'origine dell'Oratorio e il suo sviluppo, e accennate le Case di beneficenza aperte sin qui a pro dei figli del popolo , si formò a dare più minuti particolari degli Istituti di Francia.
Spiegando poscia come aveva fatto fronte alle ingenti spese , richieste per queste fondazioni, D. Bosco disse così : -- Povero , senza mezzi di sussistenza , come ho potuto fondare e sostenere queste opere? E' questo il segreto della misericordiosa bontà di Dio, a cui piacque favorire l' opera nostra , perchè il bene della Chiesa e della società stanno nella buona educazione della gioventù. La Santa Vergine si è fatta la nostra Collettrice; è a Lei che dobbiamo la riuscita delle nostre opere ; è Dessa che ci procurò il mezzo di fabbricare le nostre Case e le nostre Cappelle. Noi non abbiamo camminato che sotto la sua protezione: Essa benedice chi si occupa della gioventù. » D. Bosco conchiudeva il suo discorso , invocando le benedizioni di Dio sull' udienza, che commossa ed ammirata pendeva dalle sue labbra.
Un'osservazione ci piace pure di raccogliere da un articolo del Clairon, riportato il 2 di maggio dal Salut public di Lione. - Parigi ed altre città di Francia risposero generosamente all'appello di Don Bosco e gli fecero graziose limosine : esagerando si fece persino salire a 100 mila lire la somma delle offerte, raccolte alla Maddalena (1). Sia pure ; ma che cosa sono mai 100 mila lire a petto delle enormi spese fatte e da farsi pel vitto e pel vestito a pro di tante migliaia di poveri orfanelli e di altri deseredati della fortuna , raccolti nelle Case di D. Bosco ? E lasciando a parte le altre sue opere , che cosa sono mai 100 mila lire per innalzare anche solo l' Ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma, il quale colla Chiesa unita, a lavoro compiuto, non costerà meno di due milioni? Quindi giustamente Le Clairon scrive : Il faut de l' argent , de l' argent toujours , de l' argent en très grande quantité.
Terminiamo questa breve relazione colle parole della Liberté di Parigi , giornale tutt' altro che tenero delle cose religiose, il quale conchiude così un suo lungo articolo del 5 maggio: « Don Bosco parte oggi da Parigi , per ritornarvi tra breve. Noi lo accompagniamo con tutti i nostri voti per la prosperità dell'opera sua, ed auguriamo che la sorte dei nostri orfanelli di Parigi, e ve ne hanno tanti sulle strade abbandonati, lo richiami un giorno tra di noi.
(1) Un altro giornale di Francia, intitolato , Journal de Roubaix, nel suo N. del 4 maggio dice che ha voluto assicurarsi personalmente sulle cifre delle offerte fatte a D. Bosco, e scrive così : - Alla Maddalena, domenica sera, egli ha ricevuto franchi 10 mila; al domani nella stessa parrochia , fr. 6 mila; infine a S. Sulpizio. fr. 8 mila. - Indi soggiunge: -- Come si vede , queste non sono le cifre annunziate fin. da principio.
Oggidì si sente più che mai il bisogno che i laici esercitino in mezzo al popolo un efficace apostolato a vantaggio della Religione e della civile società. In più luoghi i Ministri di Dio scarseggiano da non bastare più all'uopo. Per altra parte l'azione del Sacerdote in certe circostanze o non è possibile, o per volgari pregiudizi non ha sempre sull'animo di certuni quella influenza, che sarebbe necessaria per ottenere un bene o per impedire un male. In certi luoghi il Prete o non può trovarsi, o non conviene che si trovi, mentre ad un laico, ad un padre, ad un figlio di famiglia ciò sarebbe e possibile e lecitissimo. E poi è constatato che oggidì taluni restano meglio impressionati e più facilmente indotti alla virtù e alla pratica della Religione dalla parola, e dall'esempio di un buon secolare, che non da un Sacerdote. Di un bel discorso , o di un' opera edificante di un Ministro del Santuario il giudizio meno sfavorevole che porta certa gente si è : - Egli fa il suo mestiere; ei non può fare altrimenti, - e i mondani non ne fanno caso e non si muovono punto. Ma così non giudicano nè della parola nè dell'opera buona di un secolare ; anzi come uno di loro lo ammirano e lo seguono pur anche.
Per la qual cosa è non solo desiderabile , ma necessario che oggidìì sorgano molti buoni laici in aiuto del Clero, in aiuto della Chiesa, in aiuto di Gesù Cristo medesimo a sostegno , a difesa della Religione, a vantaggio della civile società, a salvezza delle anime.
La Dio mercè Cattolici di tal fatta non mancano, ed ogni città, ogni villaggio, ogni Diocesi , ogni Parocchia ne conta un numero più o meno grande. Ancor noi siamo lieti di annoverare tra questi non pochi dei nostri Cooperatori, i quali si adoperano non solo a santificare se stessi e le loro famiglie, ma si prestano volenterosi in soccorso dei loro Vescovi e dei loro Parrochi con uno zelo degno di alto encomio.
A questi ausiliarii del Clero Cattolico, a questi Cooperatori di Dio nella salute delle anime, nella educazione della gioventù, nella rigenerazione della civile società, nell' esercizio insomma della carità verso il prossimo, noi proponiamo un modello sicuro. Questo modello è il Venerabile Alessandro Luzzago da Brescia, il quale quantunque laico ha saputo fare a pro della sua patria quello, che san Carlo Borromeo e san Filippo Neri, di cui era contemporaneo ed amico , fecero in Milano ed in Roma.
Una vita compendiata di questo Servo di Dio, del quale ora si ripropone a Roma la causa di Beatificazione , ha poc' anzi veduto la luce nelle nostre Letture Cattoliche. Scritta dalla nobile signorina Elisa Girelli, ancor essa di Brescia, l'Operetta riunisce il bello al buono, l'utile al dolce, e chiunque la legge si sente non solo animato a praticare la virtù , ma concepisce vivo desiderio ed impara eziandio ad infonderla negli altri.
Di quest'opera fece alti e ben meritati elogi il principe dei periodici, La Civiltà Cattolica (Serie XI, vol. XII). Eccone un saggio : - Ma ciò che rende opportunissima la storia della sua vita in questi tempi si é la qualità sua non di religioso , o di sacerdote, o di prelato, ma di secolare ; e di secolare nobile, ricco, detto, gentilissimo e riputatissimo a' suoi giorni ; tanto che l' amicizia sua era cara così ai magnati come ai santi : e si scorge di fatto legato in intrinsichezza strettissima con S. Carlo Borromeo , che lo amava quanto un figliuolo, e col nipote suo Federico ; e poi in relazione di spirito con san Filippo Neri , con santa Catterina de' Ricci, col celebre Baronio e col Cardinale Morosini Vescovo di Brescia , che lo ebbe per fidissimo consigliere nei più spinosi negozi del suo uffizio. E in verità , a mano a mano che si svolgono le belle pagine di questo libro , si riconosce giustissimo il concetto espressovi nel frontispizio , che cioè , nella vita del Luzzago , si è voluto proporre un modello ai secolari; modello in alcune parti meraviglioso, ma in assai più imitabile da tutti. - Così La Civiltà Cattolica.
Noi pertanto raccomandiamo caldamente la diffusione di questo libretto. La sua lettura farà del bene ai padri ed ai figli di famiglia , ai laici ed agli ecclesiastici, ai membri delle Società cattoliche, i quali tutti vi apprenderanno le più belle ed ingegnose industrie per giovare al prossimo, rendersi altamente benemeriti della Religione, e procacciare a se stessi la gloria degli apostoli. I Parrochi facendolo conoscere e leggere riusciranno a formarsi degli zelanti coadiutori nelle famiglie, con grande profitto religioso e morale delle popolazioni loro affidate.
Si vende alla Libreria Salesiana di Torino a centesimi 40 la copia, e L. 36 per ogni cento copie.
L'anno scorso abbiamo appena accennata l'apertura di un nuovo Educatorio per giovinette di civile condizione nella Casa delle nostre Suore di Maria Ausiliatrice presso Bordighera, il quale va prendendo consolante sviluppo.
Siccome potrebbe darsi che Cooperatori e Cooperatrici amino di collocare le proprie figliuole in educazione presso il mare per la comodità della cura dei bagni, così proponiamo loro il mentovato Educatorio , di cui per norma diamo qui il
PROGRAMMA.
Nei piani di Vallecrosia frazione Torrione , amena e saluberrima pianura tra Bordighera e Ventimiglia, è aperto un Istituto di Educazione per fanciulle. Lo scopo si è di dare l' insegnamento morale e scientifico in modo che lasci nulla a desiderare per una giovinetta di onesta e cristiana famiglia.
La dolcezza e la salubrità del clima, che ogni anno attirano numerosi forestieri a passarvi l'inverno , la bella posizione dell' edifizio e la comodità di fare la cura dei bagni di mare , dal quale l'Istituto dista di pochi passi, fanno sperare che molti genitori se ne approfitteranno per collocarvi le loro figliuole.
Insegnamento. - L'insegnamento è dato da maestre approvate. Esso abbraccia le quattro classi elementari, vale a dire, corso di lingua italiana, calligrafia , aritmetica , sistema metrico e tenuta dei libri per uso domestico. Per le alunne, che lo desiderano , vi sarà un quinto corso complementare o di perfezionamento. La declamazione , la ginnastica ed uno speciale esercizio nello stile epistolare fanno eziandio parte dell'insegnamento. Si danno pure lezioni di disegno , di lingua francese e di pianoforte ; ma a richiesta e a carico dei parenti delle allieve.
Ritenendo la religione e la moralità come parti fondamentali della buona educazione, nell'insegnamento religioso si hanno per libri di testo il Catechismo e la Storia Sacra con riflessioni e pratiche applicazioni.
Al termine d'ogni anno scolastico si dà l'esame finale colla distribuzione dei premii e delle menzioni onorevoli.
Nel Convitto ciascuna allieva fa uso della lingua italiana.
Lavori domestici. - I lavori domestici consistono nel fare gli abiti proprii, secondo la condizione delle allieve , lavori a maglia , calze, camicie, rappezzare, soppressare , ricamare, e tutti i lavori più ordinarii di una onesta famiglia.
Per avvezzare le fanciulle alle occupazioni casalinghe , le maggiori di anni dodici fanno per turno il servizio del refettorio, per quanto è conciliabile cogli altri loro doveri. La gestione dei lavori è tutta a carico ed a favore dell' Istituto.
Condizioni di accettazione.
1° Ogni allieva nel suo ingresso deve essere munita della fede di Battesimo, certificato di vaccinazione, o di sofferto vaiuolo, ed aver compiuta l'età d'anni 6.
2° La pensione mensile è di lire 24, e sì paga a trimestri anticipati.
3° La Casa è aperta tutto l'anno. Se i parenti lo desiderano, si concedono alle allieve alcuni giorni di vacanza dal 15 settembre al 15 ottobre ; ma per tal tempo non si fa riduzione sulla pensione del trimestre. Fuori di questo tempo e fuori del caso di malattia, non si permette alle allieve di uscire coi loro parenti. Possono i parenti o chi per essi venire a visitare le loro figlie una volta la settimana. Queste visite sono concedute più spesso in caso di malattia.
4° Si hanno tutti i riguardi, affinché i commestibili siano sani e adatti all'età e condizioni delle allieve.
Al mattino hanno pane, caffè e latte o frutta. A pranzo pane a piacimento , minestra, una pietanza, vino, frutta.
A merenda pane. A cena pane a piacimento, minestra, pietanza o frutta con vino.
5° Ogni trimestre i parenti ricevono informazione della sanità, condotta morale o del profitto fatto dalle allieve nelle rispettive classi.
6° La musica vocale , la cura del medico e chirurgo, bucato, soppressatura, inchiostro, lume sono a carico dell'Istituto, ma per ciò si corrispondono in principio dell'anno lire 20. Di questa somma nulla si restituisce a chi stesse nell'Istituto anche solo piccola parte dell'anno.
Le altre spese accessorie, come sono di libri, carta, posta, medicinali, vestiario, viaggi e simili sono a carico dei parenti.
Il mese incominciato si paga metà; oltrepassata la metà, si paga intiero. Non si fa riduzione per chi stesse fuori dell'Istituto meno di quindici giorni.
7° Le allieve non possono tener danaro presso di sè per minuti piaceri , ma avendone dai loro parenti , lo devono depositare presso la Direttrice, che ne farà loro regolare distribuzione.
Corredo. - L' Istituto provvede lettiera in ferro e pagliericcio. Le allieve si devono provvedere il materasso di m. 1, 75 in lunghezza e m. 0, 80 di larghezza , guanciale , lenzuola , coperta da letto per l'estate e per l'inverno, più il copriletto bianco.
E pure prescritto l'abito di uniforme, il quale sarà unico per l'estate e per l'inverno , ed affinché sia eseguito secondo il modello comune, sarà provvisto dall'Istituto a carico dei parenti. Ogni oggetto deve essere notato col numero d'ordine ' fissato nell'atto di accettazione. Quanto al corredo personale dovranno essere provvedute dell'occorrente.
Avvertenze. - Le domande si possono fare alla Direttrice dell' Istituto, oppure a Don GioVANNI Bosco , Direttore dell' Oratorio di San Francesco di Sales - Torino.
Trovandosi l' Istituto a mezza via tra Bordighera e Ventimiglia vi si può andare in pochi minuti dall' una e dall' altra città sulla Tramvia ed omnibus.
Fin dall'anno decorso un religioso periodico di Torino «Il Cuore di Maria» pubblicava un importante articolo per promuovere una lodevole pratica nella distribuzione della SS. Eucarestia. L'articolo venne trovato molto acconcio all'uopo, e fu tradotto e pubblicato anche in Francia nell'opera che ha per titolo: Congresso delle Opere Eucaristiche, Lille, 1882.
L'autore, che è l'abate Francesco Faà di Bruno,. dotto non meno che caritatevole e zelante Sacerdote Torinese, dimostra in esso quanto sia ragionevole, conveniente e decoroso l'usare la tavoletta metallica insieme colla tovaglia di lino nel distribuire la Comunione ai fedeli, e inculca saviamente che sia introdotta una tale usanza dove ancora non v'è.
Ad onore del Sacro Cuore di Gesù, al quale è consacrato il corrente mese, noi riproduciamo volentieri il mentovato articolo, e preghiamo coloro, cui spetta, che vogliano fare buon viso alla lodevole proposta, e promuoverla ezianzio presso altri con tutto l'impegno, che loro inspira una sincera divozione verso il SS. Sacramento.
« Sarebbe assai desiderabile, così « Il Cuor di Maria » che una piissima usanza, prescritta già in varie Diocesi e praticata in molti Istituti di Italia, si diffondesse dappertutto ; quella, cioè, di servirsi di tavolette metalliche insieme alla solita tovaglia prescritta nel distribuire la Comunione ai fedeli.
» Quante particelle infatti cadono sulla tovaglia,. che non possono in verun modo venir raccolte dal Sacerdote amministrante ? Colle tavolette metalliche, tale deplorabile inconveniente non sarebbe più a lamentarsi, poichè il Sacerdote può, distribuita la Comunione , purificare le tavolette all' altare. Già fin dai più remoti tempi Origene (Hom. 13.) raccomandava con queste parole una vigile attenzione nel comunicarsi : « Voi non ignorate ( diceva ai cristiani), voi che assistete ai divini misteri, qual cura e qual venerazione abbiate a recare nel ricevere il Corpo del Signore, per timore che non ne cada la minima particella, perche voi vi credete colpevoli, ed avete ragione di crederlo, allorquando ne cade qualche cosa per vostra negligenza. » Eppertanto per riparare a tale inconveniente molti Vescovi d'Italia adottarono nei giorni nostri l'uso delle tavolette metalliche, come si vedrà nei sottoposti documenti.
» Nè si creda che il desiderio di tanti piissimi Vescovi e, colla loro scorta, di tanti buoni fedeli, sia una inutile e temeraria novità. Lasciando da parte che ogni novità , se è per il meglio, può e deve ognora accettarsi, questo però non è il nostro caso. Poiché anticamente erano già in uso le tavolette, raccomandate oggi da molti Vescovi. Si apra la importantissima opera del De Berlendis intitolata De oblationibus ad altare, Venezia 1743, e si leggerà a pag. 364 come negli statuti di antichi Monasteri fosse decretato che : Debeiit singuli ita se scutellae adjungere, ut si forte intersumendum aliquando Corpus Domini vel de ore sumentis, vel de manu porrigentis lapsum fuerit, nisi in scutellam cadere non possit. Per questo nel Convento di Cluny lasciavasi a dirittura una patena nella finestrella , per cui i monaci prendevano la SS. Eucarestia. Tertulliano nel libro De Corona militis avverte di non soffrire che nulla del Pane e Calice celeste cada in terra. Per chi ha fede in Gesù Sacramentato , e per chi ama la gloria di Dio, non vi può essere dunque dubbio nel vantaggio delle tavolette.
» Si è fatta però l' obbiezione se non fosse poi incongruo che la tavoletta su cui cadono i frammenti passasse per le mani dei fedeli comunicantisi. Certo a questo bisogna di forza arrivare , perché non si può pretendere che il Sacerdote, già abbastanza in altro impegnato, possa ancora attendere alla trasmissione della tavoletta ; nè che vi sia ognora un Chierico od altri in sacris destinato per ogni Comunione a tale ufficio.
» Ogni difficoltà però sparisce dinanzi agli usi della Chiesa antica , la quale ci dovrebbe essere maestra in molte cose. Anastasio parlando di Leone III dice : « Fecit vero communicales ex argento purissimo per singulas regiones, qui praecederent per stationes per manus acolytorum. »
Nelle opere di Giorgio, tomo I, pag. 119, si legge:
« An forte tabellae sunt velut mensulae, quae olim Eucharistiam accepturis supponebantur quemadmodum hodie linteamina, de qua re Baronius?
(per l'anno 67, Tomo I, pag. 148).
» Leggesi nell' Enciclopedia Ecclesiastica dell'Ab. Vincenzo D'Avino : « Le antiche patene furono alcune di forma più piccola , altre di forma assai grande. Le prime erano quelle, che servivano per uso del Sacerdote, le seconde per la distribuzione dell'Eucaristia al popolo. »
» D'altronde non s'ignora che per molti secoli i fedeli portavano a casa in una custodia di legno la SS. Eucaristia. Ciò era ben più che il tenere una tavoletta. - Ma si dirà: era necessità dei tempi. - Bene; ma nei nostri tempi non è forse maggior necessità il procurare l' onore di Gesù Sacramentato, quand'esso non possa ottenersi che in un dato modo? Che più? I fedeli dei primi secoli ricevevano la SS. Eucarestia nelle proprie mani , sottoponendo la sinistra alla destra mano, sulla quale poi deponevasi dal Sacerdote la santa Particola... Ed ora per procurare maggior rispetto a Gesù in Sacramento sarà sconveniente che i laici sostengano sulle loro mani la tavoletta? Dei due inconvenienti qual è il maggiore ? Il lasciare colla sola tovaglia cadere inevitabilmente in terra a migliaia i divini frammenti, oppure piamente trasmettere ad altri una tavoletta su cui essi si possono raccogliere ? Sarà minor inconveniente che li tanti frammenti tocchino una tavoletta, portata da mani di confratelli in Cristo, di eredi dell'eterno Regno, anzicchè cadano calpestati al suolo ?
» Lasciamo le cose com'erano, si dirà. - Servirà allora secondo voi la tovaglia ; però il lamentato inconveniente della dispersione dei frammenti continuerà a sussistere. Poiché chi succede alla S. Mensa non potrebbe toccare il lino , ove già cadde un frammento ? E se v'ha profanazione nel tenere ín .mano una tavoletta , ove per dissotto certo non cadranno frammenti, non vi sarà maggiore nel tenere in mano una tovaglia, sulla quale essi cadendo potranno essere tocchi dai comunicanti ?
» Ma, o Signore! non ce l'avete insegnato voi stesso l'attentissima cura, che dobbiamo avere dei frammenti che cadono dalla vostra mensa regale, allorquando nella moltiplicazione dei pani nel deserto (figura evidentissima della SS. Eucarestia) comandaste ai vostri discepoli : Colligite quae superaverunt fragmenta, ne pereant: Raccogliete i frammenti che restarono, onde non periscano ? (Giov. Cap. 6.) Il Signore adunque, che tanta diligenza usò affinchè non andassero perdute le bricciole del solo pane materiale, dovrà essere indifferente allo sperpero di tanti frammenti del suo Pane Celeste? E noi Sacerdoti, noi fedeli potremo esserlo ancora?
» Ma buon per noi che dopo aver scritto in gran parte queste linee nel 1873, venne un decreto della S. Congregazione dei Riti del 23 marzo 1875, suscitato da qualche dubbio espostole a proposito di tale usanza.
« An in ministranda fidelibus Sacra Comunione » liceat, loco tabulearum linearum, uti tabellis ex » metallo , vel hujusmodi usus tolerari possit in iis Dioecesibus, in quibus fuit introductus ? »
Cui essa rispose : Non est interloquendum , il che significa che la S. Congregazione dei Riti benchè non imponga l'uso delle tavolette metalliche, nemmeno non lo disapprova.
» Se qualche cosa ci resta ad invocare per convalidare l'uso delle tavolette si è l'attenzione stessa vivissima, che la Santa Madre Chiesa raccomanda ai suoi Sacerdoti nelle sante cerimonie liturgiche. Nelle rubriche intatti del messale si legge che il Sacerdote deve diligenter raccogliere i frammenti che fossero caduti nel corporale, e diligenter astergere le stesse dita, affinché ne quid fragmentorum in eis remaneat. Soggiunge poscia che se si fossero consecrate più ostie per conservarle , il Sacerdote deve . diligenter osservare ne aliquod fragmentum, quantuncumque minimum, remaneat super corporale; che se lo trovasse, accuratamente lo riponga nel calice. Di nuovo raccomanda di astergere il corporale, fatta la Comunione ai fedeli ; e poi si quae fuerint fragmenta Calicem immittit.
» Basta adunque aver fede, basta entrare nello spirito della Chiesa per comprendere che essa medesima brama che si raccolgano diligentemente i frammenti e s'immettano poi nel calice. Inoltre il solo cadere d' una particola per terra impone al Sacerdote l'obbligo di mondare e radere il luogo e riporre la polvere nel Sacrario.
» Se dunque la santa Chiesa è gelosa perfin della polvere, che può aver toccate le sante Particole, e vuole che si deponga nel Sacrario, non dovremo desiderare che i frammenti stessi, che possono cadere sulla tovaglia dei comunicanti , si possano raccogliere? Ma qual mezzo havvi a ciò più adatto che quello delle tavolette metalliche? Per chi ha fede, i frammenti non valgono le Ostie?
» Non si guardi perciò a spesa, a cura. La spesa è semplicissima ; qualunque orefice provvederà, con 10 - 12 lire circa, una tavoletta ovale d' ottone , argentata di sotto e dorata di sopra. La cura poi consisterà solo in questo ; riportare all' altare la tavoletta, e raccogliere nel calice i frammenti che vi potrebbero essere caduti. Nulla osta, anzi sarà bene il lasciare sempre la tovaglia sulla balaustra, come saggiamente fu prescritto dalla rubrica ; e così se arrivasse qualche inavvertenza nel servirsi della tavoletta, che noi proponiamo non in sostituzione della tovaglia, ma in aggiunta ad essa , i frammenti potrebbero ancora cadere sulla tovaglia meglio che in terra. La tavoletta poi ad esempio di ciò, che prescrive Mons. Arcivescovo di Torino, si custodirà in una borsa »
Qui l'autore a conferma della sua proposta riporta una lettera del sig. Teol. Rosignano di Casale Monferrato al Teol. Luigi Biginelli, Direttore dell'Ateneo, nella quale sin dal 1871 lo pregava di voler promuovere col suo periodico la lodevole pratica della tavoletta metallica nell' amministrazione della SS. Eucarestia. Tra le altre cose gli diceva
« Dall'esperimento fatto fui convinto, che nella distribuzione dell'Ostia Eucaristica, massime nelle Comunioni generali, e là dove le ostie non sono accuratamente confezionate , si disperdono varii frammenti sulla tovaglia o sulla tavoletta di lino, e, questi frammenti non mai raccogliendosi, si cade in inevitabile profanazione dello stesso SS. Sacramento. Ora sembra che a questo grave inconveniente si potrebbe provvedere coll' uso di una patena in metallo abbastanza grande da potervi cader sopra i frammenti , se mai ve ne sono , e questa patena fosse presentata all' altare in mano al Sacerdote dopo la Comunione per la debita purificazione, come esige la venerazione al Sacramentato Gesù.
» E bene , che con apparato magnificentissimo di ornati e di ceri venga esposto Gesù alla fede ossequiosa dei suoi adoratori : ma è pur bene che ne sia impedita la frequente profanazione , a cui involontariamente lo si espone coll'antico uso invalso nella distribuzione dell'Ostia Eucaristica; e questo si otterrebbe collo spediente suggerito di sopra. »
Seguono poscia apposite prescrizioni di alcuni Vescovi del Piemonte , che noi presentiamo in nota (1).
Degne eziandio di speciale menzione sono le parole del Can. Prof. Costamagna di Saluzzo , che in proposito scrive così:
« A mio giudizio non è cosa pili conveniente di queste tavolette ; poiché è provato per continua esperienza trovarsi sovente su di esse frammenti di particole anche notabili, i quali se fossero caduti sulla sola tovaglia , o su di un tovaglino di stoffa bianca, non si sarebbero potuto raccogliere. Avrebbe toccato agli Angeli il provvedervi nel caso. »
Dopo ciò l'articolo prosegue e conchiude
« Un piissimo membro della Compagnia di Gesù ci assicurò che le tavolette sono in uso presso tutte le Case della medesima. Speriamo quindi che sì bel esempio già dato da questa ed altre Comunità sarà seguito dappertutto (1).
» Pensando che dopo il suesposto non vi potrà più rimanere dubbio sull' utilità delle tavolette, ed osservando che la Santa Chiesa ne permette l'uso, noi invitiamo caldamente tutti a servirsene. Mentre s'infrangono in tutti i paesi e così di frequente i Santi Tabernacoli , e si gettano poi via le Sante Ostie , procuriamo noi di dare qualche consolazione al Cuore di Gesù col conservare almeno ciò che è in nostro potere di conservare e non lasciar profanare il Corpo suo Santissimo. Si vorrebbero far riparazioni con tridui , novene e digiuni per tali oltraggi, Ottimamente; ma prima di tutto non sarebbe bene di provvedere noi stessi, acciocché in casa nostra stessa ben di sovente non si profani il Corpo Santissimo di Gesù ?
» Affrettiamoci adunque , poiché il possiamo e molti Vescovi a ciò ci confortano, in questi tempi di rapine , di profanazioni , di bestemmie , a fare una così facile e perpetua riparazione a Gesù Sacramentato. Non si miri che alla gloria di Dio ; tutto ceda al suo onore, ed allora spariranno come per incanto le piccole difficoltà , che potranno affacciarsi all' introduzione di questa santa pratica. Ogni sacrificio , ogni nostro incomodo sarà lieve, se potremo così dare un compenso al Sacro Cuore di Gesù, che tutto soffrì, tutto a noi si diede per nostro amore. »
(1) Il Vescovo d'Alessandria nel calendario del 1871: « Quemadmodunn ex omnibus sacris mysterium nullum est, quod praestantissimo Eucaristiae Sacramento dignitate et excellentia comparari queat, liquet inde nullam in ejus administratione omittendam esse diligentiam et studium, quo cuncta, debita reverentia , nitore et decore semper efficiantur,statuimus idcirco ut in communione populo impertienda tabellae candido lino coopertae, vel mappae mundae et nitide, quae communicantium ori nono supponi solent, substituatur tabella formae quadrangularis vel ovalis ex auricalcho vel alio metallo, lucida et perpolita, et quod optabilius esset deaurata, in qua facile conspici possunt et detergi, si quae in ministranda Eucharistia ex S. Particulis decidant fragmenta, quae secuspereunt vel profanationis facillime exponuntur. »
Il Vescovo di Alba nel calendario del 1868:
In Communionibus Christi fidelium, etiam atque etiam commendamus usum patenae deauratue, formae ovalis , sub mento sustinendae ab ipsismet communicantibus ; exceptis Missis solemnibus in quibus eam, sustinet Diaconus.
Il medesimo nel calendario del 1871:
Patena ovalis vel quadra quae inservit fidelium. Communioni, crebro expurganda est non tantum a pulvere, verum etium a quitulis cerae, ut facilius sopra ipsam secerni possint Eucharistica fragmenta, diligenter collaegi et deponi in Sacra Pixide, vel melius in Calice, si infra Missam Communio praebeatur.
Mons. Arcivescovo di Torino nel 1872:
Discus adhibendus pro Communione fidelium sit ex aere superius bene iraurato, formae ovalis cum labro simplici et ad forma patenae et nullo alio ornamento circumdatus. Custodiatur in bursa et singulis diebus bene purgetur a pulvere. Finita Communione
Sacerdos ipse illum deferat ad altare et digito colligat fragmenta super calicem vel pixidem.
(1) Nelle Chiese e negli Oratorii dei Salesiani quest'uso è già pure introdotto da molto tempo.
Da circa un anno il nostro D. Carlo Cays era travagliato da inappetenza, e talvolta pure da insonnia per buona parte della notte, indizio che il suo corpo si andava indebolendo e come disfacendosi, per lasciare libera di volare a Dio la bell'anima, che quale prigioniera lo abitava.
Per consiglio dei Medici passò qualche mese dell'inverno e della primavera dell'anno 1882 in seno alla famiglia nel castello di Casellette, dove speravasi che l'aria salubre e la libertà dalle occupazioni dovessero giovare alla debole sua salute; ma dopo qualche settimana, temendo che una più lunga dimora nella propria casa non fosse conforme al suo stato di Religioso, egli già pensava di fare ritorno all'Oratorio. Fu necessario che chi faceva le veci di D. Bosco , allora assente , lo andasse a trovare per tranquillarlo e persuaderlo che quel soggiorno in famiglia non era punto contrario alla professione religiosa , intervenendovi il pieno consenso anzi il consiglio dei Superiori. E merita pure menzione il suo amore al lavoro e lo zelo pel bene delle anime , giacché malgrado la sanità cagionevole, egli continuava ad occuparsi in qualche opera, che gli era stata commessa mentre trovavasi ancora in prospera salute ; ed inoltre molto di buon grado prestavasi nel ministero delle confessioni in aiuto del parroco del paese.
Nel mese di Maggio, appena seppe dell' arrivo di D. Bosco in Torino, il nostro D. Carlo ritornò all'Oratorio, riprese le consuete occupazioni, quantunque poco vantaggio avesse ottenuto nella sua permanenza in famiglia. - Per suggerimento dei medici dovette ancora una volta assentarsene a fine di recarsi a San Didier presso Aosta per respirarvi le arie balsamiche e bervi quelle acque, che sono riputate cotanto salutari. - Egli però era impaziente di ritornare all'Oratorio, e parevagli ogni giorno mille, pel che anticipando la sua partenza ritornò tra noi ancor prima del breve tempo prefissosi.
La sua salute anziché avvantaggiarsi andava insensibilmente diminuendo ; la vista più poco gli serviva, le gambe non lo reggevano che a stento, e sovratutto l'inappetenza gli andava ognora crescendo. - Di tali incommodi egli non si doleva punto; solo mostrava rincrescimento che la debolezza della vista lo esponesse al pericolo di sbagliare nella celebrazione della S. Messa, in cui soleva impiegare tutta l' attenzione ed il fervore possibile. Addoloravasi parimenti che per lo stesso difetto della vista non poteva guari occuparsi a leggere, allorché presso al suo confessionale, come dicemmo, attendeva i penitenti.
Sul principio di Settembre egli fece con molto impegno i suoi esercizi spirituali nel Collegio di S. Benigno, dopo i quali, non ostante i suoi crescenti incomodi, continuò ad attendere al confessionale e al tavolino in tutto il tempo che rimanevagli disponibile. Avrebbe pur voluto mettersi con tutta esattezza all' osservanza delle regole e dell' orario della Casa , e fu necessario che l' autorità dei Superiori gli imponesse di usarsi i necessarii riguardi sia nel riposo, sia nel lavoro.
Il 28 di Settembre sentivasi più sollevato che nei giorni addietro. Nel mattino aveva ancora passato alcun tempo ad udire le confessioni, e in quella sera cenò con miglior gusto ed appetito. Tutto pareva far presagire un buon avviamento nel suo stato sanitario. All' opposto, nella notte stessa venne preso da una specie di rantolo, che alquanto gli disturbò il riposo. Sebbene l' incomodo non presentasse sintomi inquietanti e sul far del giorno fosse svanito, egli tuttavia lo tenne come avviso di ben prossima partenza da questo mondo.
Con tale idea non pensò più che a prepararsi al grande passaggio. Anziché temere la morte , egli la sospirava come mezzo di presto unirsi a Gesù. - Più non voleva pensare ad altro che al Signore e all'anima. Fattosi pertanto attaccare al braccio destro un borsellino, dentro cui trovavasi una reliquia del S. Legno, tratto tratto la baciava e supplicava il Signore a dargli la pazienza e rassegnazione necessarie, per sopportare con frutto la sua infermità, mentre considerando i dolori da Gesù sopportati su quel duro legno si animava a soffrire per amore di Lui. - Era questa la santa reliquia che tenevasi pure indosso, quando da Deputato si trovava al Parlamento , perché soleva dire che in quell' aula si aveva appunto da fare colle partes adversae , che si devono mettere in fuga col segno della Croce, secondo quelle parole della sacra Liturgia : Ecce Crucem Domini, fugite partes adversae.
Il giorno 29 sebbene si sentisse abbastanza bene, tuttavia chiese i santi Sacramenti; ma non essendo a casa D. Bosco né D. Rua si adattò ad aspettare il loro arrivo, che doveva essere di quella sera istessa. Sul far della notte fu riassalito e con maggiore violenza dal rantolo della notte precedente, il quale non servì che a renderlo più ansioso di essere confortato da Gesù in Sacramento. Arrivato D. Bosco a notte avanzata , il Sac. Bonetti , che lo assisteva, ne diede all'infermo la notizia ed ei si rallegrò grandemente. Recatosi D. Bosco a visitarlo verso le 11 1/2 , tosto l' infermo lo pregò di voler ascoltare la sua confessione, che fece coi sentimenti della più commovente pietà. In appresso per le sue calde istanze, poco dopo la mezzanotte, gli fu amministrato il SS. Viatico. Stando per ricevere il suo Sacramentàto Signore, chiese perdono di ogni dispiacere o scandalo , che avesse potuto cagionare ai confratelli, come pure di tutti gl' incomodi che avesse dato a qualsiasi di essi, parlando in guisa da muovere le lagrime agli astanti. Poscia con trasporto di amore ricevette il suo dolcissimo Gesù , trattenendosi buona pezza con Lui in affetti della più viva riconoscenza, per tanti benefizi concessigli nel corso di sua vita, specialmente per essersi degnato di chiamarlo ed aggregarlo alla pia Società di San Francesco di Sales, e di averlo innalzato alla sublime dignità di suo Ministro. Esprimeva in pari tempo il vivo desiderio che internamente lo cuoceva di unirsi a Lui in guisa da non esserne mai più separato. Erano le prime ore del 30 Settembre, festa del massimo Dottore S. Gerolamo , e nella cameretta del nostro Conte parve rinnovarsi il dolce spettacolo della Comunione di quel gran Santo.
Sebbene il male nel giorno si mitigasse alquanto, tuttavia notavasi nell'illustre infermo un sensibile deperimento di forze , onde si cominciò a temere fortemente sulla preziosa sua vita Anche il medico dell' Istituto chiamato fin dal principio della malattia conobbe la gravità del caso ; ma incoraggiandolo gli andava prodigando le più sollecite cure e prescrivendo quanto l'arte gli suggeriva.
Il malore facendo rapidi progressi, l'infermo mostrò desiderio di vedere il figlio, per lasciargli i suoi ultimi ricordi. Si telegrafò pertanto al Conte Luigi, che dello stesso giorno fu al letto del genitore, cui da quel momento più non abbandonò, assistendolo e servendolo colla più tenera sollecitudine. Quanto sia stato commovente il primo abbraccio del padre col figlio torna più facile l'imaginarlo che il descriverlo. Il D. Carlo nel timore di non aver più tempo, se avesse aspettato più tardi , approfittò di quelle prime ore per dare al figlio gli avvisi, che l'amore paterno gli suggeriva pel buon governo di se stesso e della famiglia. Fra le altre cose gli raccomandò caldamente la fedeltà nell' osservare la nostra Santa Religione, la diligenza nell'istruire in essa la sua famiglia, e la carità verso i poveri, considerandoli come suoi fratelli in Gesù Cristo. Pareva di udire il santo Tobia a dare i suoi celebri consigli al diletto suo figlio. - Egli coronò le sue amorevoli raccomandazioni, coll'impartire con tutta l'effusione del cuore la paterna e sacerdotale benedizione sopra di lui, sulla sua consorte e su tutta la sua famiglia.
Frattanto sebbene non apparisse indizio di morte prossima, l'infermo chiese che gli si fosse amministrata l' Estrema Unzione. - Desidero, diceva a chi gli suggeriva che si poteva ancora differire non essendovi grave pericolo, desidero riceverLa mentre mi trovo in pieno possesso delle mie facoltà , e non troppo aggravato , affinché possa in me operare con maggiore efficacia. - Gli venne dunque amministrato l'Olio Santo da D. Rua, ed egli accompagnò tutte le preghiere del Sacerdote colla più grande pietà, rispondendo egli stesso alle varie orazioni. Contento poscia e riconoscente di questa nuova grazia che il Signore gli fece, egli ne lo ringraziò coi più caldi affetti.
Intanto il figlio era andato in cerca del celebre Dott. Bruno, e con esso ritornò alla sera presso al letto del caro genitore. Il medico esaminò brevemente l'infermo, e, senza nulla prescrivere di particolare, lasciò detto che l'arte non vi aveva più nulla da fare Partito il Dottore, venne impartita al malato la Benedizione papale, di cui aveva mostrato desiderio, ed egli accompagnò le preghiere colla più edificante divozione. Questo avveniva al Sabato, giorno in particolar modo dedicato alla Vergine Santissima, di cui il nostro D. Carlo era divotissimo.
Alla Domenica, 1° Ottobre, festa del SS. Rosario, egli pregava istantemente la sua Madre dolcissima che il volesse prendere con sé in quel giorno medesimo. Don Bosco, non ostante il bisogno di recarsi all'ultima muta de' Spirituali esercizi in S. Benigno, aveva differito la sua partenza per assisterlo negli estremi momenti, qualora in quel giorno il Signore l'avesse chiamato a sé. - Veduto poi come egli fortunatamente avesse preso un lieve miglioramento. sul pomeriggio si avviò a quella volta. Egli passò prima a prendere congedo dall'infermo, e a confortarlo con parole improntate del più caldo affetto e della più ferma speranza di rivedersi o in questa vita ancora, o in seno a Dio nell'altra. Per quanto fosse grande il desiderio di essere assistito da Don Bosco in punto di morte, il virtuoso Conte fece di buon grado anche questo sacrifizio, rassegnandosi pienamente ai divini voleri.
Dopo la partenza di D. Bosco, di quando in quando l' infermo mandava a chiamare Don Rua che ne faceva le veci; ed ora esponevagli qualche pena, che inquietava la delicatissima sua coscienza; ora si raccomandava che pregasse e facesse pregare per lui ; ora esponeva qualche dubbio sul suo modo di comportarsi nella malattia. Chiese per esempio se non fosse male il domandare al Signore che presto lo prendesse con sé. Inteso che anzi era ben fatto, se tale dimanda partiva dal desiderio di unirsi con Dio senza pericolo di più non perderlo, e che S. Paolo stesso diceva : Cupio dissolvi et esse cum Christo, egli si tranquillò, e prese a sfogare la sua ansia di presto morire. Interrogato se mai soffrisse dolori , che gli facessero desiderare di esserne presto liberato colla morte, egli rispose : - Debbo proprio ringraziare il Signore che volle adattarsi alla mia debolezza. Io temeva d'avere a soffrire pane e dolori in liti di vita, dubitando che la mia fragilità mi avrebbe fatto perdere la pazienza; ed ora invece non provo il più piccolo dolore né alla testa, né allo stomaco, ne in qualsiasi parte del corpo : l'unico mio male è una grande stanchezza e prostrazione di forze. Penso che sia una grazia che mi ottenne la mia cara Madre Maria. -
Altra volta esortato a mettersi con piena rassegnazione nelle mani di Dio accettando volentieri la guarigione , se a Lui fosse piaciuto di concedergliela, e a far sacrifizio di sua vita, se meglio fosse stato per l'anima sua, l'infermo rispose:- Vale ben poco questa mia vita (che la darei per pochi centesimi), ma per quel poco che possa valere ne fo di buon grado sacrifizio al Signore, accettando volentieri quanto a Sua Divina Maestà piacerà disporre di me. -
Anche in quegli estremi della sua vita voleva essere regolato dall'obbedienza. Quando si trattava di approfittare di ciò, che suo figlio gli provvedeva, chiedevane precedentemente il permesso al Superiore. Al lunedì sera, 2 Ottobre, fu fatto consulto tra il medico dell'Oratorio Dott. Albertotti , ed il medico di famiglia , Dott. Peyretti.
Avendo questi, per secondare il desiderio della pia contessa Antonia, sua nuora, proposto che stesse ancor ella ad assisterlo , D. Cays si mostrò conturbato ; e dicendogli il Dottore che l' infermo deve stare alla ubbidienza del medico, egli riprese.
- Ne convengo, quando si tratta di rimedii; ma qui si tratta invece delle regole e consuetudini della Congregazione Salesiana , e io non posso e non voglio fare eccezione alcuna, senza ordine dei miei Superiori. Per grazia di Dio mi son fatto Salesiano e intendo morire da Salesiano. - Quando poi intese da D. Rua che, non essendo l'Oratorio un Convento, ma un Ospizio, dove già altre volte madri e sorelle avevano assistito allievi e persone malate, e ciò si permetteva anche per lui, il malato si acquietò , contento di non allontanarsi neppure allora dall'obbedienza, che tanto stavagli a cuore.
Nei colloqui che aveva con D. Rua talvolta si doleva e mostrava timore , perchè negli ultimi mesi non aveva sempre osservate le regole , per esempio nel levarsi al mattino cogli altri. Per tranquillarlo era necessario richiamargli alla memoria come stante la sua avanzata età tale riguardo eragli stato imposto dall'ubbidienza, e perciò non aveva motivo di rammaricarsi. Egli infatti varie volte aveva provato ad adattarsi alla regola, ma soffrendone la sua salute, i Superiori glielo avevano proibito.
Al martedì mattino, 3 Ottobre, per assecondare il suo vivo desiderio, gli venne di nuovo portata la SS. Eucaristia. Don Rua era passato a trovarlo alle 5 '/2 per riconciliarlo in preparazione alla S. Comunione, che doveva essergli amministrata alle 7. Poco prima di quell'ora si portò presso di lui, per aiutarlo a prepararsi il Sac. Lazzero , il quale ebbe poscia a riferire che sì caldi furono i suoi affetti di preparazione e di ringraziamento , che la sua poteva veramente dirsi la Comunione di un Santo. Oltre quanto l'amante suo cuore gli suggeriva, desiderava che gli astanti lo soccorressero a cercare affetti e sentimenti per pregare e ringraziare condegnamente il Signore, nè si stancava di udirsi a dettare giaculatorie e preghiere anche dai Sacerdoti novelli e di gran lunga a lui inferiori.
Tutto il giorno fu trascorso come in prossima preparazione al viaggio dell'eternità. Il Crocifisso, che da due giorni teneva sul letto, era sovente da lui rimirato con alta compiacenza, e fra le piaghe di quello e la reliquia del santo Legno andava egli alternando teneri baci, mentre le sue labbra frequentemente pure si schiudevano ad invocare ora Gesti, ora la sua dolce Mamma Maria ed i Santi suoi protettori. Più volte durante quel giorno si fece leggere le preghiere della buona morte, quali si trovano nel Giovane Provveduto, ed egli prestandovi la più divota attenzione andava ripetendo con tenero affetto l' invocazione : Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me.
Discorrendo in quel giorno medesimo con Don Rua sulle cose, che gli avevano fatto più salutare impressione, disse che molto lo aveva incoraggiato ad abbandonare il mondo la vita, che aveva letto del Servo di Dio Schouwaloff, il quale in questi ultimi tempi, avendo rinunziato alla sua carica di generale nell'esercito Russo, erasi ritirato a menar vita povera, oscura e penitente tra i Certosini ; e che anche in quegli estremi momenti lo confortava la memoria dell'ultima malattia e della morte avventurata di lui.
Si avvicinava intanto la solennità del grande Patriarca della povertà S. Franc. d'Assisi, e qualcuno gli suggerì che facesse a lui ricorso, affinchè si degnasse pagargli la festa nella dimane , in cui si celebrava il VII Centenario della sua nascita. Gli si fece osservare che i Salesiani ed i loro Cooperatori erano stati arricchiti delle indulgenze dei Terziarii Francescani, e che perciò devono anch'essi confidare nella sua protezione; che poi vi poteva confidare egli soprattutto, perchè ad imitazione di lui aveva abbandonato le mondane ricchezze , ed abbracciato la povertà religiosa per amore di Gesù Cristo. Da tali considerazioni animato si raccomandò di cuore al gran Santo, affinchè gli ottenesse di essere presto partecipe della sua gloria. E pare veramente che il glorioso Patriarca lo abbia esaudito.
La sera di quel giorno qualcuno discorrendo con lui gli manifestò la speranza che il Signore lo avesse ancora a conservare per qualche tempo in vita; ma egli con tutta franchezza e serenità disse : - Stassera non morrò; ma domani non vi sarò più. -
Vedendo che andava declinando, D. Rua lo volle assistere egli stesso per tutta la notte. Stette pure a fargli compagnia il Barone Alberto Della Torre nipote dell' illustre infermo, a cui era carissimo, non solo poi vincoli di sangue , ma per lunga ed intima comunanza di affetti , sentimenti di religiosa pietà, e premurosa carità verso il prossimo; il quale dal momento che aveva avuto sentore della sua malattia più non aveva abbandonato , se non per brevi intervalli, l'affezionatissimo zio.
Verso le 10'/2 chiese ancora una volta che gli si leggessero le preghiere della buona morte, cui accompagnò nuovamente colla più fervida divozione. in seguito D. Rua lo esortò a raccomandare nelle mai del Signore il suo spirito con quelle parole:
In manus tuas , Domane , commendo spiritum meum; e poi a mettersi a riposare dicendo ancora al Signore : In pace in idipsum dormiam et requiescam. Egli obbedì con tutta semplicità , mostrando però desiderio di ricevere ancora una volta l'Assoluzione sacramentale, che gli venne impartita.
Intanto aggiustato un paralume sulla candela , affinchè i raggi non gl'impedissero il sonno, e in guisa da rendere oscura la camera, concentrando tutta la luce sul tavolo, egli si addormentò placidamente, non disturbato neppure dalla difficoltà del respiro, che quel giorno ebbe sempre assai libero. Riposando egli tranquillamente, D. Rua uscì dalla camera di lui per andarsi a prendere un po' di lavoro pel rimanente della notte. L' infermo svegliatosi in quel breve intervallo, con aria allegra domandò al Baron Della Torre, che stava presso al suo origliere : - Che ora è ? - Mezzanotte , rispose questi. - Mai più, riprese l'infermo; non vedi come è chiara la camera ? - Eppure la mezzanotte è suonata appunto adesso. - Non pare possibile, replicò l'infermo, essendo la camera così illuminata. - Dopo di che si tacque quasi beandosi in vista di qualche cosa, che molto lo rallegrava. Sarà stato un lampo di quella luce in cui doveva fra breve immergersi, come si spera? Nol sappiamo; ma ben si può dire con tutta verità che quella luce lo riempì di una gioia indicibile. Esortato a riposare, di bel nuovo si addormentò con una serenità indescrivibile. Poco dopo si ridestò, e prese a ripetere fervorose giaculatorie. Verso ad un'ora e mezzo dopo la mezzanotte fu osservato a fare il segno della S. Croce parecchie volte ; ma gli ultimi segni più non li compieva interamente; la destra non poteva più giungere fino alla fronte. Suggeritegli alcune giaculatorie, le ripetè con fervore, ma con debole voce e con istento. Si conobbe allora versare in prossimo pericolo di morte. Si chiamarono il figlio , la nuora e il di lei fratello Baron Garofoli, che pure erasi fermato nell'Oratorio. L'infermo conservava piena cognizione, dava segni di conoscere le persone che gli parlavano , ma egli più non riusciva a far udire la sua voce. Tuttavia ogni volta che lo si chiamava per dire qualche giaculatoria, sempre dimostrava col capo e cogli occhi il suo gradimento e volontà di ripeterla. Specialmente poi diede segno di pronto e cordiale consenso allorche D. Rua, mostrandogli il figlio e la nuora, lo pregò di volerli ancora una volta benedire colla loro famiglia. Fu quello un momento straziante per quei nobili cuori.
Intanto si cominciarono le preghiere degli agonizzanti, a cui il moribondo mostrò di tener dietro finchè gli fu possibile. Ma l'ora della sua dipartita era suonata, ed egli tenendo colla mano destra il Crocifisso sul cuore rese la sua bell'anima a Dio. Erano le 3,20 antimeridiane del 4 Ottobre, giorno consecrato al solenne Centenario di S. Francesco d'Assisi, avverandosi così la sua predizione del dì precedente , che nel giorno dopo egli non vi sarebbe più.
Nella morte del nostro D. Carlo Cays si videro pienamente avverate le parole della S. Scrittura intorno alla morte dei giusti : » Iustorum animae in manu Dei sunt et non tanget illos tormentum mortis; giacchè egli morì senza spasimi , senza dolore ; anzi in faccia alla morte egli non solo non ne provò spavento, ma ne gustò dolce contentezza, riguardandola come mezzo per unirsi inseparabilmente a Gesù Cristo e alla carissima sua Mamma Maria, com'egli con infantile tenerezza soleva chiamare la Regina del Cielo.
Tre cose tenevano da qualche anno alquanto angustiato l' animo suo : il timore di non aver suo figlio presso di sè nell' ultima malattia , se fosse morto nelle case della Congregazione ; per altra parte anche più gli faceva pena il pensare di morire nel suo Castello, perchè temeva di non poter avere l'assistenza de' suoi Superiori e confratelli; e finalmente lo angustiava pur qualche volta la paura di perdere le facoltà mentali. Ma il Signore nella sua bontà lo consolò pienamente ; imperocchè ei potè morire tra i suoi confratelli e coll'assistenza dei suoi Superiori ; ebbe al letto di morte ad assisterlo il suo caro figlio ; ed una piena intelligenza lo accompagnò fino all'estremo momento.
Oh ! faccia il Signore che il nostro ultimo giorno ed il nostro passaggio all' altra vita si assomigli a quello del nostro diletto Don Carlo Cays. Ma per ottenere da Dio un tanto favore , imitiamolo in vita nostra nelle sue virtù. Imitiamolo nel distacco dalle ricchezze , dagli agi , dagli onori di questo mondo : imitiamolo nella carità verso il prossimo. specialmente verso i giovanetti più bisognosi di morale e religiosa istruzione ; imitiamolo nell'occupare saggiamente il tempo adempiendo con puntualità quegli uffizi, che Iddio ci affida per mezzo dei nostri Superiori, ed infine abbiamo pure ognor presente questa importantissima massima : - Il piacere di morire senza pena, vale la pena di vivere senza piacere. - Se la nostra vita sarà seminata di spine , e noi ne avremo sofferte con coraggio le punture per amor di Gesù Cristo, il letto della nostra morte sarà coperto più o meno di rose, e fin da quegli estremi momenti Iddio ci farà come respirare un' anticipata fragranza del Paradiso. - Non avrei mai creruto , diceva il Padre Suarez prima di spirare , che fosse così dolce il morire. - La stessa cosa hanno provato tanti altri buoni e fervorosi cristiani. Questa è appunto la morte preziosa, di cui parla lo Spirito Santo: Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius. Deh ! tale sia la morte di tutti i Salesiani e dei loro Cooperatori e Cooperatrici.
La sera del 14 di aprile, nell'asilo infantile del Nichelino, ebbe luogo un saggio , dato dai bimbi e dalle bimbe, che lo frequentano in numero di ben 130. Vi assistevano l'Ill.mo sig. Sindaco Giovanni Foresto , l' egregio sig. Conte Ippolito Cibrario Capo di divisione nell' Amministrazione dei beni dell'Ordine Mauriziano, il Cav. D. Silva, il M. R. sig. Pievano D. Giuseppe Reviglio , il rinomato Dott. Coppa, alcuni Sacerdoti e professori di Torino, parecchi signori e signore, ed un buon numero di parenti degli alunni e delle alunne.
Il saggio durò ben due ore; ed ogni esercizio di memoria, di canto e di ginnastica fu eseguito con tutta la precisione e disinvoltura, che si possa aspettare da sì tenera età; ond' è che tutti gli spettatori ne andarono altamente soddisfatti, e l'illustre Conte Cibrario, solito ad assistere a simili esercizi negli asili di Torino , non potè non rallegrarsene col Sindaco e col Parroco del Nichelino, e tributò alle Suore di Maria Ausiliatrice, maestre dell'asilo, i più alti encomii.
Sarebbe di nostro gradimento il riferire qui almeno per sommi capi il bel discorso letto dal M. Rev. Parroco, che trattò acconciamente dell'utilità degli asili d'infanzia allo scopo di gettare le prime fondamenta alla buona educazione della gioventù; dire altresì della breve e cordiale allocuzione del l'Ill.mo sig. Sindaco in lode dell' Amministrazione dell'asilo, delle maestre e dei bimbi; tessere un elogio ancora alla banda musicale del paese, che rallegrò l'intrattenimento con armoniose suonate; ma non potendoci distendere d'avvantaggio , ci limitiamo a segnalare che, se l'asilo infantile del Nichelino può oggimai contare tra i meglio ordinati, lo si deve in buona parte al Municipio, il quale asseconda lo zelo del Parroco, che n'è il presidente, con grande utile del Comune e con vera soddisfazione delle famiglie.
Suggerimento di Urbano Rattazzi - Prime basi di una società secondo il bisogno e la natura dei tempi -. Riflessi di D. Bosco e commendatizia di Monsignor Fransoni.
Per tal modo costituito, l'Oratorio di S. Francesco di Sales tanto colle adunanze festive, quanto col ricovero e coll'educazione dei figli del popolo, dava ogni anno frutti ubertosissimi. Onde avvenne che molti , conscii ed ammiratori di questo bene sociale , presero a desiderare che l' opera si perpetuasse; quindi di tratto in tratto Sacerdoti e laici ne facevano parola a D. Bosco. Per aderire ai desiderii di tante benevole persone , D. Bosco avrebbe volentieri posto mano a formare una Società , la quale continuasse quell' opera ; ma il contegno del Governo in quel tempo gli faceva giudicare il tentativo come inutile e forse anche pericoloso. Abbandonato perciò nelle mani di Dio, egli tirava innanzi, danno a tutti buone parole ; quand'ecco uscire nella stessa proposta il più volte nominato Urbano Rattazzi. Di quest'uomo appunto, che insieme col conte Camillo Cavour aveva dato le prime mosse alla soppressione degli Ordini religiosi, la divina Sapienza, la quale scherza ognora nel mordo, ludens coram eo ogni tempore, ludens in orbe terrarum, pare che abbia voluto servirsi per trarre da ogni titubanza D. Bosco , e dargli la spinta a fondare quella Società , che condotta poscia a termine, per la sua natura e poi suo scopo doveva supplire a tante altre , state divelte per mano della rivoluzione. Il fatto è tanto singolare e pel nostro Oratorio di tanto vantaggio e rilievo, che ci sembra degno di essere in questo luogo segnalato.
Un giorno adunque del 1857 il ministro Rattazzi ebbe a sè D. Bosco , e dopo essersi con lui intrattenuto per alcun tempo sull'esito della Lotteria, sull'opera degli Oratorii e sul vantaggio, che il Governo se ne poteva attendere, gli disse presso a poco queste parole : - Io fo voti che Lei, signor Don Bosco, viva molti anni alla coltura di tanti poveri giovanetti ; ma Lei è mortale come ogni altro, e se venisse a mancare che cosa ne sarebbe dell'opera sua ? Ha Lei già pensato a questo caso ? E se vi ha pensato, quale misura intenderebbe di adottare per assicurare l'esistenza del suo Istituto? - A questa uscita inaspettata, D. Bosco tra il serio ed il faceto rispose : - Per dirle il vero, Eccellenza, io non fo conto di morire sì presto, e perciò pensai bensì a procacciarmi qualche aiutante pel momento, me non per anco al modo di continuare l' opera degli Oratorii dopo la mia morte. Ora giacchè Ella me ne fa parola, sa rei a domandarle alla mia volta, a quale mezzo, giusta il suo parere , io potrei appigliarmi , per assicurare la vita a questa istituzione ? - A mio avviso , -rispose Rattazzi . Lei dovrebbe Scegliere
alcuni tra laici ed ecclesiastici di sua confidenza, formarne come una Società sotto certe norme, imbeverli del suo spirito , ammaestrarli nel suo sistema, affinchè fossero non solo aiutanti, ma continuatori dell'opera sua dopo la sua dipartita. - A questo suggerimento, un leggier sorriso sfiorò le labbra di D. Bosco. Era fatto notorio come il ministro Rattazzi, assecondato da' suoi colleghi , aveva nel 1854 presentata alla Camera Subalpina, e l'anno dopo fatto sancire la prima legge di soppressione delle Congregazioni religiose, esistenti da secoli negli Stati Sardi ; e quindi a D. Bosco pareva una stranezza udire quell' uomo istesso a consigliarne l'istituzione di un'altra. Laonde soggiunse : - Ma crede la E. V. che sia possibile fondare una cotale Società in questi tempi ? Il Governo due anni sono soppresse parecchie Comunità religiose, e forse si sta preparando alla estinzione delle rimanenti ,e permetterà egli che se ne fondi un'altra non dissimile da quelle ? - La legge di soppressione, riprese Rattazzi, io la conosco e ne conosco anche lo scopo. Essa non Le reca veruno incaglio, purchè la S. V. instituisca una Società secondo le esigenze dei tempi e conforme alla vigente legislazione. - E come sarebbe ? - Sarebbe una Società, che non abbia l'indole di mano morta, ma di mano viva ; una Società, in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte e via dicendo. In una parola la nuova Società in faccia al Governo non sarebbe altro che un'Associazione di liberi cittadini, i quali si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di beneficenza. - E Vostra Eccellenza puo Ella assicurarmi che il Governo permetta l' istituzione di una tale Società e la lasci sussistere? - Nessun Governo Costituzionale e regolare impedirà l' impianto e lo sviluppo di una tale Società, come non impedisce, anzi promuove lo Società di commercio, d' industria, di cambio , di mutuo soccorso e simili. Qualsiasi Associazione di liberi cittadini épermessa, purchè lo scopo e gli atti suoi non siano contrarii alle leggi e alle istituzioni dello Stato.
Ebbene, conchiuse D. Bosco, vi rifletterò sopra, e poichè la E. V. si mostra così benevola verso di me e de' miei giovanetti , occorrendo mi farò premura di rivolgermi alla sua saggezza ed autorità.
Le parole di Rattazzi , riputato in quei giorni quale un oracolo in materia politica , furono per D. Bosco come uno sprazzo di luce, che gli fecero vedere possibile quello, che per la condizione dei tempi tale ei non credeva. Avendo qualche tempo innanzi fatta conoscenza coll'abate Antonio Rosmini, egli ricorreva pur talvolta a lui e all' immediato suo successore , il P. Giovanni Battista Pagani ; anzi quest'ultimo aveva fin anco concepita la speranza che D. Bosco fosse per sottomettere il nostro Oratorio all'Istituto della Carità, fondato da Rosmini alcuni anni prima. Ma dopo la riferita conversazione , D. Bosco si diede attorno a formare una Società distinta, che avesse per iscopo precipuo la coltura dei giovani più abbandonati, e ne gettò le prime basi. Egli cominciò pertanto a formolare e a scrivere alcune regole, secondo lo scopo della Società novella ; ne parlò con alcuni Sacerdoti e laici di Torino, che udito di che si trattava vi diedero volenterosi il proprio nome. Passò indi a farne cenno ai chierici suoi e ai migliori e più assennati giovani dell'Oratorio, e in breve si circondò di una dozzina d'individui, sopra cui parevagli di poter fare assegnamento. Ciascuno all'intento di fare del bene ai giovanetti dell' Oratorio festivo e dell'Ospizio prometteva semplicemente di obbedire a D. Bosco e di compiere quegli uflizi, che erano a lui compatibili. Alcuni dei soci dimoravano a casa loro e si limitavano a prestare aiuto nell' Oratorio nei giorni di festa , o a fare scuola serale , o a visitare lungo la settimana i giovanetti nelle officine , o a cercare un padrone onesto a quelli, che si trovavano disoccupati o in luogo di pericolo. Altri invece abitavano stabilmente nell' Oratorio stesso , facendo vita comune con D. Bosco, sempre pronti ai suoi comandi.
Gettate così le fondamenta, D. Bosco s'accorse ben tosto che, per incalzarvi sopra un edifizio duraturo e meritevole della benedizione di Dio, era necessario ben altro. La Società suggerita dal Rattazzi era un'Associazione prettamente umana. Affinché una siffatta Associazione pigliasse florida vita e ingagliardisse in allora e per l'avvenire occorreva inspirarle un soffio celeste. Egli quindi prese a riflettere e a domandare : - Questa Società, pur rimanendo civile in faccia al Governo, non potrebbe assumere altresì la natura di un Istituto religioso in faccia a Dio ed alla Chiesa ? - Non potrebbero i suoi membri essere e liberi cittadini e religiosi ad un tempo ? - Mi pare di sì, a quel modo che in uno Stato qualsiasi un Cattolico può essere e suddito del Re o della Repubblica e suddito della Chiesa , fedele ad entrambi osservando di entrambi le leggi.
Don Bosco non si contentò di fare questì riflessi, ma ne conferì con persone dotte e pie, e ne trattò a lungo col savio suo Direttore di spirito, il Sacerdote D. Giuseppe Cafasso. Egli desiderava pure di tenerne parola con Mons. Luigi Fransoni nostro veneratissimo Arcivescovo ; ma non potando recarsi personalmente a Lione, dove quell'invitto eroe e splendida gloria della Chiesa viveva tuttavia in esiglio, gliene scrisse , domandando il suo parere. L' egregio Prelato gradì sommamente il disegno di D. Bosco, lo animò a mandarlo ad effetto, e per metterlo sopra una via sicura gli raccomandò di recarsi a Roma, a fine di domandare all'immortale Pontefice Pio IX e consiglio e norme opportune. Don Bosco accolse di buon grado la raccomandazione del suo Arcivescovo, il quale saputo poscia che egli sarebbesi portato appiedi del Vicario di Gesù Cristo, dal luogo del suo esiglio lo munì di un'ampia Commendatizia. In essa quall'ottimo Pastore rivelava la sua più alta benevolenza verso D. Bosco, ne esaltava la carità e lo zelo per la buona educazione della gioventù, segnalava il bene religioso e morale, che aveva già fatto in Torino coll'opera degli Oratorii, e rispettosamente, ma colla più viva istanza pregava il Santo Padre che gli fosse largo e de' suoi illuminati consigli e dell'appoggio della suprema sua Autorità.
Montevideo, 10 Aprile 1883. MOLTO REVERENDO PAURE,
Viva Iddio ! Viva la nostra sacrosanta Religione Cattolica Romana, che tanti illustri campioni, che tanti benefattori del genere umano ha sempre dato e dà al mondo, fra i quali con tutta ragione si annovera ne' tempi presenti il mio tanto amato Padre in Gesù Cristo !
La relazione che son per dare alla S. V. conferma appuntino quanto di tutto cuore ho sopra detto.
Proveniente da Cadice col legno ove mi trovo imbarcato in qualità di Pilota o 2° Capitano giunsi a Payssandù nella vigilia del Natale dello scorso anno. Appena affondate le àncore calai a terra e drizzai i passi verso una Chiesa molto grande e bene adorna, la quale ancora molte miglia da lontano, nei molti serpeggiamenti del Rio Uruguay, si scorge sull'altura di una lunga e piana collinetta, su cui giace dal lato Ovest la già detta città.
Erano le ore 11 del mattino quando vi giunsi; ed entratovi trovai un Sacerdote, che insieme con molti giovanotti lavorava a pulire , adornare , e preparare gli altari ed ogni altro occorrente, per la funzione della seguente notte e del domani.
Mi presentai a lui, e, dopo averlo riverito, entrai tosto in discorso delle funzioni del Natale, ed in seguito domandai se colà vi si fossero trovati Sacerdoti Salesiani. Restai sorpreso alla inaspettata risposta che n'ebbi, e preso commiato da lui me ne tornai sul bastimento. Il domani solennità del Natale portatomi nuovamente da lui mi diedi a conoscere per Cooperatore Salesiano, mostrando all'uopo il mio diploma ed un bigliettino di augurii, che da qualche tempo la V. S. ebbe la bontà d'inviarmi, pel novello anno, e che conservo tuttavia qual prezioso gioiello, perche è di sua mano. Fu allora una vera festa : chiamò gli altri Salesiani , che mi fecero le più liete accoglienze e m'invitarono a pranzo con essi. Non potendo per quel giorno soddisfare al loro desiderio promisi di accettare sì onorevole invito il 1° dell'anno, nel qual giorno realmente mi trovai in mezzo ad essi, che in tale occasione e in molte altre mi ricolmarono delle più cordiali gentilezze e furono meco ospitalissimi, mostrando con ciò un cuore paterno, un cuore veramente informato alla carità di San Francesco di Sales, alla carità di Nostro Signore G. Cristo, che è il fiore della gentilezza.
In seguito io ero da loro tutti i giorni festivi, ed il nostro discorso raggiravasi sempre intorno alla persona ed ai fatti di D. Bosco, dell'Oratorio ed altre cose di Torino. Oh ! come bene si ricordano de' dolci giorni passati con un Padre tanto buono ! quanto anelano di rivederlo! con quanta venerazione ne parlano !
Non posso ommettere di confessare che fra i tanti Sacerdoti da me conosciuti in varii punti dall'Uruguay nella dimora che vi ho fatta per quattro mesi, i Salesiani si distinguono fra i più edificanti , e lavorano nel loro arduo ministero con grande zelo ed assiduità. Aggiungo per di più che Payssandù è oggi una forte piazza dell' Uruguay, e forse la più bella, la più grande e la più popolata ; e quindi eglino vi fanno del gran bene.
Dimando in ultimo di tutto cuore alla S. V. a voler inserire nel Bollettino Salesiano questa informe, ma cordiale e veritiera relazione, con preghiera ai Cooperatori che vedendo poco chiare le mie idee e cattivo lo stile di questa lettera vogliano compatirmi , e riflettere che io sono un uomo di mare, e i marinari sono per lo più rozzi ne' loro modi di dire e poco esercitati nello scrivere. Mio scopo si è di dare sfogo al mio animo riconoscente verso i Salesiani dell' Uruguay, che come uno di loro mi colmarono di cortesie.
Fra pochi giorni sarò in viaggio per Filadelfia. Dio sa quanto mi toccherà soffrire in alto mare prima di giungervi , senza altro conforto che la lettura di un qualche buon libro. Mi raccomando alle sue preghiere ed a quelle degli Ascritti all'Opera di Maria Ausiliatrice nel corso del prossimo maggio.
Il Signore Iddio conceda alla Signoria Vostra ancora cento anni di vita, ricolmi delle più segnalate benedizioni, acciocché possa essere di giovamento e di salvezza eterna por tanti disgraziati figli della perdizione, e procurare a molti altri un sì caro e santo piacere , quale ho provato io nel Rio della Plata, a più di 6 mila miglia lungi dalla mia patria, coll'incontrare i Salesiani, conversare con essi, ed illuminare e rinfrancare così lo spirito e la mette , offuscati ed oppressi dall' impaccio delle umane cose e dai lunghi viaggi.
L' ossequio di tutto cuore, le bacio reverentemente le mani, e mi dico con tutta stima
Di V. S. Revma
Obblmo Devmo servitore e figlio in G. C.
CaNNAVALE ANTONIO
Cooperatore Salesiano.
La mancanza di spazio c' impedi finora di fare parola di un' Accademia in onore di S. Tommaso d'Aquino, tenuta il 29 di marzo, nell'Oratorio di S. Francesco di Sales, dagli studenti di filosofia e di teologia. Ad incoraggiamento allo studio della sana dottrina ne diamo ora di buon grado un breve ragguaglio.
La detta Accademia doveva aver luogo con molta solennità ; ma la morte del compianto Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, avvenuta allora di fresco, ci obbligò a ridurla in forma piuttosto privata. Essa nondimeno ottenne lo scopo pel quale era ordinata.
Il professore D. Antonio Notario lesse un forbito discorso sulla filosofia e teologia cattolica , dimostrando il posto che alla filosofia compete nella teologia, e come l' Angelico meglio di ogni altro Dottore seppe unirle in amichevole amplesso, onde si sostengono ed illustrano a vicenda. Dal compito discorso si dedusse eziandio il bisogno di seguire apertamente la pura filosofia di S. Tommaso e per la intrinseca bontà sua, e perché acconcia a porre un argine potente alla colluvie degli errori moderni , ed anche perché così non solo desidera, ma vuole il supremo Maestro delle genti.
Dopo di lui sorsero a leggere varii alunni dell'una e dell'altra disciplina, e ciascuno espose con idee chiare e corrette l'argomento assegnatogli a trattare. I principali soggetti furono: Il posto che S. Tommaso occupa tra i dotti: San Tommaso anello di congiunzione nella catena dei santi Padri e dei Dottori scolastici • Onoranze tributate all'Angelico Dottore : Commento di alcuni punti della mirabile Enciclica AETERNI PATRIS : Voti per l'unione di tutte le scuole cattoliche per secondare il nobile impulso dato dal sapientissimo Pontefice Leone XIII allo studio della pura filosofia di S. Tommaso.
Negli intervalli delle letture mani maestre sul piano-forte rallegravano l' animo dei convenuti , eseguendo scelti pezzi di musica dei migliori maestri.
L' Accademia , che durò ben due ore , venne chiusa dalla lettura di un bel madrigale del prof. D. Giuseppe Pavia, e dal grido unanime di Viva Leone XIII.
Affine poi di attirare sull'Accademia l'aiuto del Cielo, il Direttore dell'Oratorio, Sac. D. Giuseppe Lazzero , nell' assenza di D. Bosco , domandò al S. Padre la Benedizione Apostolica col seguente telegramma : Salesiani, professori e discepoli , raccolti in Accademia ad onore di S. Tommaso, offrono loro omaggio al S. Padre e implorano Apostolica Benedizione.
Sua Santità, cui sta molto a cuore che nei precetti della vera sapienza e nella nobile filosofia dell'Angelo delle Scuole sia istruita la gioventù, quella particolarmente, che è destinata ad essere il sale e la luce dai popoli , accolse con sovrana benevolenza tale ossequio e dimanda, e per mezzo dell'Emmo Cardinale Segretario di Stato inviava la seguente preziosissima risposta
Direttore Oratorio Salesiano Torino. - Il Santo Padre nell'aggradire figliale omaggio, resogli daì Salesiani, ha concesso con effusione di cuore la Benedizione Apostolica implorata per l'Accademia, tenuta in onore dell'Angelico Dottore.
L. Card. IACOBINI.
Questa Benedizione e queste benevole parole del Supremo Gerarca , oltre ad essere state di dolce conforto ai nostri Accademici, serviranno pure di ricordo e di eccitamento ai Superiori a conservare sempre tra di noi nel meritato onore la dottrina dell'Angelico Dottore, affinchè tutti gli alunni del Salesiano Istituto, e maestri e discepoli, vi attingano le ricchezze di solida scienza , e si rendano ognora capaci a scoprire e a confutare gli errori, che i nemici della Chiesa vanno disseminando contro di essa. É adagio dell'eresia: Togli S. Tommaso e io distruggerò la Chiesa : Tolle Thomam et Ecclesiam dissipabo. Questo di certo non è che una lusinga degli eretici, imperocchè la Chiesa è indefettibile non già .per S. Tommaso, ma per la parola di Gesù Cristo Dio. Tuttavia dimostra che l'errore istesso considera la dottrina e il metodo di S. Tommaso quale un martello, che lo stritola, lo polverizza, e lo disperde , e che basterebbe il solo S. Tommaso per difendere la Chiesa dagli assalti nemici. Or bene, sarà nostro vanto di essere umili e fedeli seguaci di un tanto Duce , e per quanto concerne la filosofia e la teologia noi avremo ognor sacre queste parole delle nostre Costituzioni: Il nostro Maestro sarà S. Tommaso.
Nel Senato di Francia siede oggidi un uomo, pel suo ingegno e pei suoi traviamenti , famoso , vogliamo dire il poeta e romanziere Victor Ugo. Costui coi suoi libri in prosa ed in poesia , cosparsi di errori contra la Religione cattolica e la sana morale, cooperò disgraziatamente assai a diffondere l' empietà e il mal costume tra il popolo, e a fare delle grandi rovine in Francia e al di fuori. Oggi per altro egli pare rinsavito; onde, fatto accorto che il disordine sociale ha per causa precipua la mancanza di Fede, egli rigetta la scuola laica, come si chiama in Francia la scuola senza l' insegnamento religioso , e propugna con tutto l'ardore di un credente la scuola cattolica, vale a dire l'insegnamento della Religione, dimostrandone l'assoluta necessità per la felicità dell'uomo.
Su questo argomento egli fece poc'anzi ai Senatori una splendida arringa, la quale merita di essere conosciuta , perché giova assai a confermarci in questa verità solenne che senza Religione non si dà morale educazione ; senza Religione la gioventù, la famiglia e la società vanno in dissoluzione. Ecco le sue parole
« Giammai si potrà per colpa mia ingannarsi su quello che dico, nè su quello che penso.
« Lungi dal voler proscrivere l' insegnamento religioso ; esso è, notatelo bene, esso è a mio avviso più necessario oggi che mai. Quanto più l'uomo si fa grande tanto più deve credere. Quanto più s'avvicina a Dio tanto più deve veder Dio.
« Dovere di tutti chiunque siamo legislatori o Vescovi, sacerdoti o scrittori , è di spargere, di dispensare, di prodigare, sotto tutte le forme, tutta l'energia sociale per combattere e distruggere la miseria e in pari tempo di far levare tutte le teste al Cielo , di dirigere tutte le anime , di rivolgere tutte le aspettazioni verso una vita ulteriore, in cui giustizia sarà fatta e in cui giustizia sarà resa. Diciamolo ben alto: Nessuno avrà nè ingiustamente nè inutilmente sofferto! La morte è una restituzione. La legge del mondo materiale è l'equilibrio, la legge del mondo morale è l'equità.
« V' ha una disgrazia ai nostri tempi , direi quasi non v'è che una disgrazia; ed è la tendenza di mettere tutto in questa vita. Nel dare all'uomo per fine e per segno la vita terrestre: materiale, si aggravano tutte le miserie colla negazione che vi sta a capo; alla oppressione dei miseri si aggiunge il peso insopportabile del nulla ; e di ciò che non era che la sofferenza, cioè la legge di Dio, si fa la disperazione cioè la legge dell'inferno! Da ciò profonde convulsioni sociali.
« Io sono certamente di quelli che vogliono - e nessuno di quanti mi ascoltano può dubitarne, - io sono di quelli che vogliono non dico con sincerità, che la parola sarebbe troppo debole, io voglio con ardore inesprimibile e con tutti i mezzi possibili migliorare in questa vita la sorte materiale di coloro che soffrono; ma il primo dei miglioramenti è quello di dar loro la speranza. Oh come diminuiscono le nostre miserie terrene; quando ci consola una speranza senza fine!
« Dio si trova alla fine di tutto. Non dímentichiamolo, e insegniamolo a tutti: non vi sarebbe nessuna dignità a vivere , e questo non ne varrebbe la pena, se dovessimo interamente morire! Ciò che allieva le nostre fatiche , ciò che santifica il lavoro, ciò che rende l'uòmo forte, saggio, paziente, benevolo, giusto ad un tempo, umile e grande , degno dell' intelligenza , degno della li- - berta , è d' avere innanzi a sè la perpetua visione di un mondo migliore, che brilla attraverso le tenebre di questa vita.
« In quanto a me , poichè vuole il caso ch'io parli in questo momento , e che sì gravi parole escano da una bocca sì poco autorevole , mi sia permesso di dirlo qui e dichiararlo, - altamente lo proclamo da questa tribuna - io credo, profondamente credo ad un mondo migliore.
« Esso è per me ben più reale di questa misera chimera, che noi divoriamo e chiamiamo vita; esso è del continuo dinanzi ai miei occhi; ci credo con tutte le potenze della mia convinzione , e dopo tante lotte , tanti studi e tante prove, esso è la suprema consolazione dell'anima mia !
« Io voglio dunque, voglio sinceramente, fermamente, ardentemente, l'insegnamento religioso della Chiesa, e non l'insegnamento religioso di un partito. Lo voglio sincero e non ipocrita. Io voglio che abbia per iscopo il Cielo e non la terra! »
Alcuni si lamentano che venga loro o sospesa o interrotta la spedizione del Bollettino. Per parte nostra possiamo assicurarli d' aver radicalmente rimediato. Pare che la causa provenga d' altra fonte. Preghiamo quindi i nostri lettori di avvisarci tosto che soffrano interruzione, e, investigatane l'origine, ricorreremo a chi di ragione.
Infine facciamo noto che sono ancora disponibili alcune raccolte del Bollettino con frontespizio ed indice legate in mezza tela e si vendono a modico prezzo.