ANNO XXXVII - N. 5 PERIODICO MENSILE 1 MAGGIO 1913
PERIODICO DELLA PIA UNIONE DEI COOPERATORI SALESIANI DI D. BOSCO
SOMMARIO: Preghiamo pel S. Padre . . 129 Viva Maria Ausiliatrice! (Nel ritorno del signor D. Albera dalla Spagna) 13o Aulografo del S. Padre . . . . 131 Nel XXV° dalla morte di D. Bosco: COMMEMORAZIONE DELL'ON. CESARE NAVA 133
Per il Monumento a D. Bosco . . . 145 I fanciulli e della necessità di educarli cristianamente 146
DALLE MISSIONI: Cina: Scene pietose di fede in un lazzaretto di appestati: 94 battesimi . 148
IL CULTO DI MARIA SS. AUSILIATRICE: Pel 24 corrente - Avvisi e raccomandazioni - La novena suggerita da D. Bosco - Grazie e graziati 153
NoTE E Corrispondenze : Per D. Rua - Tra i figli del popolo - Notizie varie: Italia; Estero 156 Necrologio 158
Non appena si diffusero le prime voci dell'infermità del S. Padre, noi levammo a Dio le suppliche più ferventi, e quando le notizie si fecero più gravi, celebrandosi dal 9 all'11 aprile il 1° Triduo annuale della „Corte di Maria" nel Santuario di Valdocco, lo indirizzammo al Cielo per la conservazione dell'Augusto Pontefice.
Dopo alcuni giorni di trepidazione, le notizie fra l'esultanza del mondo intero divennero e continuano ad essere rassicuranti: tuttavia in questo mese ricolmo di tante speranze noi continueremo ad innalzare quotidiane preghiere a Maria Ausiliatrice per ottenere che il S. Padre Pio X sia conservato a lungo al governo e all'affetto della Chiesa Universale. Figli di Don Bosco, professiamo altamente la più illimitata devozione al Papa e insieme nutriamo la più viva riconoscenza pel Regnante Pontefice, che ci ha da lo mille prove di benevolenza speciale. Tra queste è doveroso ricordare un recente autografo per il compimento della Chiesa di S. Agostino in Milano, prezioso autografo che reca la data del 26 febbraio u. s. e che siamo lieti di riprodurre in questo numero.
Vogliano adunque i benemeriti Cooperatori e le benemerite Cooperatrici unirsi affettuosamente, a noi nel pio tributo filiale.
(Nel ritorno del Sig. Don Albera dalla Spagna).
ALLORCHE' in questo mese di maggio D. Bosco tornava dai lunghi viaggi compiuti in Italia, Francia e Spagna, per celebrare co' suoi figli dell'Oratorio la festa di Maria Ausiliatrice: « Desidero, era solito dirci, che facciamo una bella festa in onore di questa buona Madre, che in questi mesi ci ha mostrato ancora una volta la sua predilezione Non la finirei più se volessi raccontarvi tutte le grazie che la Beata Vergine Ausiliatrice ottiene alle persone, le quali cooperano alla buona educazione e al mantenimento di tanta gioventù bisognosa di aiuto! È Dessa che guida e sostiene l'Opera nostra! Sia Essa benedetta in eterno!... »
Gli stessi affetti e gli stessi desideri in questi giorni innondano il cuore dell'amatissimo nostro Superiore Don Albera, reduce egli pure da un lungo viaggio nella Spagna, del quale non possiamo non fare un cenno speciale.
I Salesiani contano in quella nazione 30 case o fondazioni con 27 Oratorii Festivi, 3 Colonìe Agricole, 3 Scuole Professionali, 15 popolari e serali, 25 Corsi Elementari, 7 di Baccellierato e Commercio; e complessivamente hanno in esse 6oo allievi artigiani, e più di 8ooo studenti compresi gli esterni, ai quali son da aggiungere altri 5000 giovani che frequentano gli Oratorii festivi.
Le prime fondazioni ebbero luogo, ancor vivente D. Bosco, a Utrera nel 1881 e a Sarrià-Barcelona nel 1884.
Dopo sei anni ad esse tennero dietro con rapidità prodigiosa le fondazioni di Barcelona nel 1890 e di Gerona nel 1891; di Santander - Calle Vinas e Sevilla - Istituto nel 1892 ; Vigo - Scuole nel 1894; Bejar nel 1895; Baracaldo-Bilbao, Malaga, Carmona e Ecija nel 1897 ; Valencia, Sevilla-Oratorio, Salamanca - Patronato nel 1898; Madrid, Ciudadela, Montilla nel 1899; Cordoba e Vigo - Parrocchia nel 1901; Ronda nel 1902 ;- Carabanchel Alto nel 1903 Cadiz e Huesca nel 1904 Mataró nel 1905 Santander - Alta e Campello-Alicante nel 1907 ; S. José del Valle e Salamanca - Istituto . nel 1909 ; Orense nel 1910 ; le quali case formano tre gruppi o Ispettorie : la Tarragonese che abbraccia le provincie di Catalogna, Aragona, Valenza e le Baleari; la Belica che corrisponde all'Andalusia; la Celtica che comprende le due Castiglie, la Galizia e Vascongadas - cioè quasi tutta la Spagna.
Era quindi conveniente che il nostro Rettor Maggiore, a meglìo conoscere ciò che fanno i Salesiani in così vasto campo di azione e a far paghi i loro voti, nonchè i voti di tanti alunni e Cooperatori, facesse una visita anche alle Case Salesiane di Spagna.
Per questo, accompagnato dal prof. D. Clemente Bretto, Economo Generale, la sera del 2 gennaio il sig. Don Albera partiva da Torino e si recava nella Penisola Iberica, dove in gennaio visitava le Case di Matarò, Sarrià Barcelona, Ciudadela e Campello ; in febbraio quelle di Valencia, Cordoba, Montilla, Malaga, Ronda ed Ecija, ìn marzo quelle di Utrera, Sevilla, Cadiz, San José del Valle, Carmona, Madrid, Carabanchel Alto; in aprile, Salamanca, Bejar, Orense, Santander , Vigo, Baracaldo-Bilbao, Barcelona; e ai primi di questo mese, Huesca e Ge rona,. donde tornava ancora per qualche giorno a Barcelona per la solenne inaugurazione di una nuova chiesa.
Orbene, il suo viaggio fu un trionfo grandioso e solenne per D. Bosco e per l'Opera Salesiana, perchè ovunque assurse a proporzioni quasi favolose e in più luoghi emulò l'entusiasmo che Parigi nel 1883 e Barcellona nel 1886 ebbero per D. Bosco.
Donde ciò?
La stampa s'interessò del passaggio del nostro Superiore Generale come di un importantissìmo avvenimento e pubblicando i cenni biografici e il ritratto di lui faceva eco alle visite da lui compiute e ne annunziava le imminenti; mentre solerti Comitati di esimi benefattori lavoravano alacremente per rendere onore al Successore di D. Bosco. Difatti autorevoli deputazioni gli movevano incontro una, due e tre stazioni antecedenti quella della mèta prefissa e l'accompanavano per altrettanto cammino allorchè ripartiva; e nelle stazioni ove scendeva, migliaia e migliaia di persone l'ossequiavano all'arrivo e alla partenza, e per tutto il tempo della sua fermata era un continuo incredibile affollarsi di signori e popolasi all'istituto salesiano, con a capo le Autorità ecclesiastiche, civili e militari. Erano sacerdoti venerandi, interi Capitoli di Chiese Collegiate e Cattedrali, Vescovi e Arcivescovi, Senatori e Deputati, Sindaci e Prefetti, Giunte e Consigli Municipali in corpo, militari di ogni grado, nonchè i titolari dei pubblici uffici e i rappresentanti delle più rinomate industrie locali e della stampa, che quasi un sol uomo correvano a rendergli concorde, devoto, entusiastico omaggio.
Nell'isola di Menorca, ci si consenta un particolare, entrando D. Albera nel porto di Mahon, salivano a bordo ad ossequiarlo il Delegato del Governo di S. M. il Re, il Rappresentante del Vescovo, il Rappresentante del Governatore Militare, il Console Italiano, e sulla banchina l'attendevano i Parroci della città e numerose rappresentanze dei vicini paesi; e l'imponente dimostrazione si ripetè non meno solenne, tra un popolo osannante, nei singoli paesi che attraversò per giungere a Ciudadela, alle cui porte erano ad attenderlo il Vescovo e l'Alcalde con tutte le altre Autorità Ecclesiastiche e civili, la nobiltà e una moltitudine immensa, al grido di Viva D. Bosco, Viva D. Albera, Viva Menorca Salesiana! Al teatro pubblico era stata per quei giorni annunciata un'opera, e per deferenza al Superiore dei Salesiani venne rimandata.
Ed anche in altre parti si videro accorrere interi paesi alle stazioni ove D. Albera era appena di passaggio, unicamente per vederlo ed essere da lui benedetti nel nome di Maria Ausiliatrice; e dov'egli si fermò, in più luoghi fu costretto ad attraversare le vie della città in automobili scoperte, al suono festoso delle campane, fra spari di gioia; e dappertutto era tanto il desiderio di avvicinarlo, che non solo era una gara generale per assistere alle filiali dimostrazioni di gioia date dai nostri alunni al Padre desiderato, ma volendo assistere tutti alla sua Messa e molti anche ricevere la S. Comunione dalle sue mani, fu mestieri di `ammettere, quasi per turno, nelle chiese, un giorno i Cooperatori, un altro le Cooperatrici, un terzo gli Ex-Allievi e così via via, per soddisfare in qualche modo la pietà e il desiderio generale...
Donde, torniamo a chiedere, donde tanto entusiasmo? Chi chiamava, quasi a convegno, tanti illustri personaggi e tanto popolo attorno un semplice sacerdote?!
Don Albera, nelle sale e nelle chiese rivolgendo alle moltitudini accorse a rendergli onore una parola di ringraziamento, era commosso dall'avidità che avevano tutti di udirlo parlare di Don Bosco e di Maria Ausiliatrice! Allorchè pronunziava questi nomi, tosto come per incanto si faceva un così religioso silenzio che più non udiva un respiro e vedeva sul volto e sullo sguardo di tutti la soddisfazione, la commozione, e lacrime di tenerezza! Era Maria Ausiliatrice che continuava ad esaltare Don Bosco direttamente e nell'Opera sua; era Maria Ausiliatrice, che voleva sempre meglio dimostrare che Ella fu, è e sarà sempre Ispiratrice, Madre e Regina delle Opere di Don Bosco.
A Lei dunque l'omaggio più tenero del nostro amore e della nostra riconoscenza nel giorno dei suoi trionfi e delle sue misericordie... e insieme la prece più fervente che ci renda tutti sempre più degni della sua materna benevolenza.
Discorso dell'On. Cesare Nava (1)
QUANDo mi è stato rivolto l'invito perchè avessi a tenere la commemorazione di Don Bosco, ho risposto subito di sì. Ed ho risposto affermativamente e senza esitazione, nonostante che riconoscessi la difficoltà grande del compito e la mia insufficienza ed impreparazione.
Ma ho risposto di sì, perchè ai figli di Don Bosco, non si può e non si deve mai dire di no. Dovesse costare anche una mortificazione dello spirito, non si può rifiutare la modesta cooperazione propria, quando venga richiesta, ad un'opera meravigliosa di carità e di progresso, che è il frutto di tante mortificazioni e di tanti sacrifici individuali, spinti fino all'eroismo: da quelli del grande ed umile Fondatore, ai sacrifici ed alle mortificazioni dell'ultimo dei suoi figli.
Ed ho accettato anche - ve lo confesso candidamente -- quasi per soddisfare ad un bisogno dello spirito. Perchè nelle vicende affannose e senza tregua della vita moderna; nel turbinio febbrile ed ossessionante di attività dal quale si è assorbiti e trascinati; in questa esistenza senza soste e senza riposi che è propria dei tempi nostri, si sente prepotente - di tanto in tanto - il bisogno di respirare a pieni polmoni un po' di ossigeno spirituale; di vivere un po' di vita ideale, che sia al di sopra - molto al di sopra - delle banali necessità e piccinerie e miserie morali, nelle quali si è continuamente affogati; di elevarci - su, su - nella contemplazione di tutto ciò che di bello, di nobile, di puro, di eroico si è affermato nella natura umana! Guai, se non vi fossero queste soste benefiche dello spirito: questi bagni ristoratori, di ideale: queste folate di aria pura e vivificante!
Ora, per un uomo dei tempi nostri, quale maggior ristoro dell'anima, che vivere per qualche tempo, in stretta comunanza spirituale, col Grande che seppe tanto bene dimostrare la forza morale che può derivare dai lumi della fede alla attività umana, in qualsiasi campo esercitata; e quanta efficacia educativa e sociale possa avere, anche nei nostri tempi il principio cristiano ; col Grande che, in mezzo all'utilitarismo soverchiante del suo secolo, rivendicò i diritti della giustizia e della carità; che al razionalismo affermante prerogative di imperio sulla scienza, dimostrò invece le armonie fra la scienza e la fede; che fu esempio di dedizione generosa e vorrei dire eroica, di tutto sé stesso, al bene ed alla perfezione altrui; che amò con tenerezza infinita la madre propria, ed ebbe tenerezze materne per ogni dolore, per ogni orfanezza, per ogni miseria; che fu ammirabile per la serenità imperturbata dello spirito anche nei più dolorosi ed affannosi frangenti della vita, - serenità che a lui era ispirata dalla fiducia illimitata nella Provvidenza di Dio; - che seppe essere ricco nella povertà e povero nella ricchezza, monito vivente dell'uso sociale e non egoistico, che si deve fare dei beni materiali di quaggiù!
(1) Detto la domenica 13 aprile u. s. nel Teatro dell'Oratorio
Salesiano di Torino-Valdocco, auspice il Comitato Promotore del Monumento a D.
Bosco.
Di questa e di altre Commemorazioni del XXV della morte di Don Bosco diremo
collettivamente in un prossimo numero.
Ma quanto è difficile, o miei signori, costringere nei limiti di una conferenza, anche solo i profili ed i tratti sommari, della figura morale, semplice eppure tanto complessa di Don Bosco! Parlare dell'opera sua multiforme e gigantesca, che occupò, si può dire, un intero secolo e che ebbe per confini, i confini della terra!
Nè è possibile - come avviene per molti altri uomini celebri - di scomporre la sua figura morale in vari aspetti, considerabili e valutabili separatamente.
V'hanno dei sommi nell'arte, nella scienza, nella politica, pei quali le manifestazioni e le attività artistiche, scientifiche o politiche, sono assolutamente distinte da quelle della vita privata e familiare: e molte volte la fama conquistata colla luce dell'intelligenza e dell'opera, è sminuita od offuscata dalle vergogne della vita intima: sicchè la vita pubblica è da questa ben distinta.
V'hanno pure uomini di attività proteiformi: - guerrieri e nello stesso tempo artisti - uomini di governo ed insieme di lettere - scienziati e poeti - nei quali le varie manifestazioni, pure risentendo di reciproche simpatie, troppo naturali - si possono però distintamente valutare e separatamente studiare: risultandone spesso fra di esse, differenze sensibili di valore e di potenza.
Ed è anzi appunto un po' la moda dei nostri giorni, questa, di anatomizzare i grandi uomini del passato, i geni, i potenti: perseguendoli nell'intimità, frugandoli in ogni più riposta latebra, e spesso arrivando a risultati di una maravigliosa audacia ed improntitudine !
Ma in Don Bosco questo lavorio di analisi, questa vivisezione e questo smembramento da tavolo anatomico, non è possibile; perchè tutta la sua attività interiore ed esteriore, tutte le opere sue religiose, educative, economiche, sociali, per quanto varie fra di loro, costituiscono un'unità tanto salda, da riuscire inscindibile. La vita privata di Don Bosco, non è altro che la sua vita pubblica: perchè si può dire, senza esagerazione, che egli non abbia mai vissuto - dall'età cosciente fino alla morte - un'ora sola, esclusivamente per sè, per soddisfazione propria, per piacere proprio. Tutto era coordinato e destinato in lui alla vita d'apostolo, alla quale era chiamato.
Fin da quando - ragazzo - cercava di imparare sulle feste e sui mercati, ai quali era condotto dalla madre, i segreti dei ciarlatani e gli esercizi dei saltimbanchi - egli non faceva ciò per proprio divertimento e per soddisfare l'innata vigoria e vivacità: ma per procurarsi un mezzo di allettamento dei propri coetanei, col quale attirarli a sè, onde indurli poi alla preghiera e ad ascoltare la ripetizione ch'egli loro faceva delle prediche udite in chiesa nelle domeniche precedenti.
Le ore stesse che doveva consumare in viaggi - e che avrebbero potuto essere per lui dei momenti di riposo ben meritati - egli cercava invece di utilizzarle per l'opera sua di apostolato. E si narra, ed ha narrato anzi lo stesso Don Bosco, che molte volte cominciava a intrattenersi col vetturale intorno a questioni morali e religiose; continuava poi, con delicatezza, ad interrogare lo stesso intorno all'adempimento dei suoi doveri di cristiano; e finiva spesso, che prima che il viaggio fosse ultimato, l'avesse indotto a confessarsi da lui, lì nella carrozza.
Ma si può aggiungere, che nemmeno il sonno riservasse Don Bosco a proprio esclusivo godimento e ristoro: perchè è una caratteristica specialissima della sua vita, quella dei frequenti sogni avuti durante le poche ore di riposo che si concedeva: e nei quali - sotto forme simboliche - pareva quasi, che egli avesse la visione della futura sua vita d'apostolo, nelle sue varie manifestazioni.
Potrà essere soggetto ad esame il carattere di tali sogni: ma è certo, che anche umanamente considerati, essi sono la prova della intensità del pensiero dominante in Don Bosco: che non si spegneva nemmeno nel sonno e che anzi, nella inerzia del corpo, assumeva quasi una maggiore potenza e libertà, tanto da divenire antiveggente, profetico.
E come sarebbe possibile di scindere la fede di Don Bosco, dalla carità che lo infiammava e dalla sua attività pratica nel campo religioso, nel campo della beneficenza ed in quello dell'istruzione e dell'educazione?
Le opere sue di carattere educativo o sociale, i suoi Oratori, gli Ospizi, le Scuole professionali, i Collegi, le Missioni, l'Assistenza agli emigrati; cosa sono, se non la manifestazione tangibile e sempre più vasta e complessa del grande amore per l'umanità che lo animava; ancore il quale, a sua volta, aveva la propria origine ed il proprio fulcro nella fede vivissima e profonda che lo possedeva?
Come si potrebbe concepire un D. Bosco semplicemente sociologo, separato cioè, e distinto, dalla sua fede: oppure un D. Bosco assorbito interamente in pratiche di pietà - un asceta - senza la sua feconda operosità sociale e morale?
No, no: la personalità morale di Don Bosco, nella sua complessità armonica, costituisce una unità così salda e completa in ogni sua parte, che volendola scindere o frazionare, significherebbe volerla distruggere. Come l'albero poderoso, che pure dividendosi e suddividendosi in mille rami, costituisce una unità vitale, e feconda di fiori e di frutti: ma che, se troncato nelle sue parti, nelle radici, nel tronco, nei rami, non forma più che un ammasso di legna secca e sterile.
E, badate, o Signori, che in Don Bosco, non è nemmeno possibile di dividere razionalmente la vita morale, in vari periodi di tempo o di attività, aventi caratteri dissimili fra di loro.
Quella vita, a chi bene la osservi, non rappresenta che lo svolgersi naturale di un unico disegno organico di apostolato religioso e sociale: che va man mano prendendo maggiore estensione ed intensità: che investe quindi sempre nuovi e più vasti strati sociali, provvedendo a sempre nuovi e più vasti bisogni. Ma il fine è sempre il medesimo: ma i mezzi sono sempre gli stessi: ma l'idealità che si persegue non muta, ed è quella stessa che apparì la prima volta nella niente e nel cuore del povero pastorello delle case dei Becchi.
L'opera di redenzione morale, iniziata in modo rudimentale dal piccolo Giovanni nel paese nativo, a beneficio dei suoi compagni di giuoco e di lavoro; e continuata poi, con maggior spirito di sacrificio, alla Moglia, nel periodo doloroso in cui fu costretto a servire onde guadagnarsi la vita: si afferma in modo più concreto, quando percorre gli studi in Chieri, ed è per i suoi compagni, maestro insieme ed educatore: diventa risoluzione e programma di esistenza, quando entra negli ordini sacerdotali: ed assume il carattere di un vero e reale bisogno dell'anima, di una sete dello spirito, quando, fatto prete e visitando tuguri, soffitte ed ospedali, ha lo spettacolo doloroso dell'immensa miseria morale che affligge le classi più umili e diseredate: lo spettacolo di una turba innumere di poveri giovanetti abbandonati nelle strade e che vivono e crescono senza nessuna luce di vita morale, civile e religiosa.
E l'angoscia che l'animo suo ed il suo cuore devono aver provato allora, ed il proponimento fermo che ne deve essere derivato di voler essere l'apostolo di tanta miseria, ci spiegano l'entusiasmo col quale egli accolse - sul finire del 1841 - quel Bartolomeo Garelli - un povero garzone muratore, orfano, ignorante e miserabile, che venuto dalla nativa Asti, si trovava sperduto nella capitale piemontese, e che l'istinto o, meglio, vaghe rimembranze infantili avevano portato a cercare asilo e protezione all'ombra del Santuario! Deve essere apparso allora a Don Bosco che quel derelitto fosse come un inviato da Dio, mandato a lui per dimostrargli che l'opera da tempo vagheggiata e la sua immolazione al compimento dell'opera stessa, erano accette lassù.
« Don Bosco - scrive un suo biografo - si pose allora in ginocchio e pregò. Sentiva di essere al principio di una grande impresa. E infatti in quell'ora, davanti ad un ragazzo maltrattato egli non solo trovava un'anima altrui, ma ritrovava tutta l'anima sua. L'apostolo imprendeva il regolare adempimento della sua vocazione infantile e iniziava quella che doveva divenire la sua opera fondamentale: l'Oratorio ».
E l'Oratorio sorse: avversato dapprincipio in mille modi, e non soltanto dai nemici della fede cristiana; costretto, come i primi popoli, ad una vita nomade e randagia, vedeva tuttavia accrescersi intorno a sè il, numero delle simboliche pecorelle, viste in sogno dal contadinello dei Becchi.
« In poco tempo -- scrive Don Bosco nelle sue Memorie - mi trovai circondato da giovanetti, tutti ossequenti alle mie ammonizioni, tutti avviati al lavoro, la cui condotta, tanto nei giorni feriali, quanto nei festivi, io poteva in certa maniera garantire. Davo loro uno sguardo e vedevo l'uno ricondotto ai genitori, da cui era fuggito; l'altro, dato prima all'ozio ed al vagabondaggio, collocato a padrone e laborioso: questo, uscito dal carcere, divenire modello dei compagni; quello, prima ignorantissimo delle cose riguardanti la fede, ora tutto in via d'istruirsi nella religione ».
Ma lo sviluppo dell'Oratorio e la conoscenza che, per mezzo suo, Don Bosco poteva avere delle miserevoli condizioni economiche in cui versavano parecchi dei giovanetti accorrenti spesso privi di un tetto o del pane - dovevano naturalmente far nascer in Lui il desiderio di provvedere a tanta miseria materiale, che spesso impediva o rendeva frustaneo l'aiuto morale.
Ed ecco l'Ospizio! Ecco l'esercizio della carità, associato all'apostolato della fede: quella carità che il piccolo Giovannino aveva iniziato, in modo embrionale e pure tanto significativo quando, povero lui stesso e non potendo dare di più, offriva al pastorello della nativa Murialdo, suo compagno di lavoro, il pane bianco e fresco avuto dalla mamma, in cambio del pane nero e duro, che quegli aveva ricevuto dal padrone, onde sfamarsi. - E l'atto gentile e benefico cercava di far passare, quale un soddisfacimento di un proprio desiderio, onde togliergli ogni possibile parvenza umiliante di carità, fatta a chi era più povero di lui. « Il tuo pane deve essere più buono del mio - diceva al compagno, meravigliato della proposta del cambio, - e mi piace di più ».
A chi bene consideri questo fatto tanto semplice, non può sfuggire come esso sia una prima rivelazione embrionale, di quello che fu poi il carattere specifico di tutta l'opera di carità di Don Bosco: il rispetto, la venerazione, vorrei dire, per la dignità del povero: e tanto del povero di beni materiali, come del miserabile caduto in ogni abbiezione morale.
Don Bosco sentiva tanto e così fortemente il dovere della carità e della fratellanza sociale, che era riconoscente a chi gli dava mezzo di poter adempiere quel dovere!
I primordi dell'Oratorio e dell'Ospizio costituiscono certamente il periodo nel quale più fulgida appare la virtù di Don Bosco: la perfetta visione che egli ebbe, fino d'allora, dell'opera colossale che era chiamato a compiere: la fermezza dei propositi, sussidiata e sostenuta dalla confidenza illimitata che egli aveva, e che sempre ebbe poi, negli aiuti della Provvidenza.
Qualunque fibra, che non fosse di apostolo, si sarebbe fiaccata davanti alle difficoltà di ogni genere ed agli ostacoli materiali e morali, che si frapponevano all'opera sua.
Don Bosco invece - dopo aver sagrificato anche l'umile casetta e i pochi beni paterni - onde dare attuazione al programma impostosi:
« Da mihi animas, caetera tolle » - quando le necessità d'ogni genere, urgono insistenti ed assillanti intorno a lui - quando la miseria è la sua unica risorsa - quando è minacciato di non avere più un tetto od un giaciglio per sè e per i suoi figli, - ai consigli dei pavidi, che lo vorrebbero -far desistere dall'opera intrapresa, la quale pareva fatalmente destinata a rovina -- risponde semplicemente di vedere già fatto un nuovo locale per l'Oratorio, una chiesa, una casa, un recinto...
Parve follia la sua e per tale fu ritenuta ; anche da chi gli era stato compagno per parecchio tempo, nel lavoro di redenzione morale di tanti derelitti...
Era invece la fede dell'apostolo che parlava in lui; dell'apostolo che vede dinanzi a sè, nettamente tracciata la via da percorrere e che si sente chiamato dalla Provvidenza di Dio ad opere grandi, le quali non possono fallire, perchè santa è l'intenzione in chi le compie, urgente il bisogno che le reclama!
E vi è in questo primo periodo - il più burrascoso dell'opera di Don Bosco - una nota gentile, che non può essere dimenticata: la cooperazione materna nell'apostolato di fede e di carità intrapreso dal figlio.
Quella Mamma Margherita, che nel giorno della prima messa, aveva detto al suo Giovannino: « Ricordati che incominciare a dir Messa, vuol dire incominciare a patire. Tu da quì innanzi pensa soltanto alla salute delle anime e non prenderti nessun pensiero di me! ».
Quella Mamma Margherita, che apprezzando in tutta la sua nobiltà, la missione morale e sociale del sacerdozio, era insorta contro la proposta che si voleva fare al figlio, di entrare quale precettore in casa di Nobili genovesi; ed aveva esclamato con sdegno, a chi voleva dimostrarle l'utilità della proposta: « Mio figlio in casa di Signori?... che cosa gli gioverebbero le mille lire di stipendio, se avesse ad arrischiare la sua salute eterna? »
Quella Mamma Margherita, che tanto nobilmente e cristianamente sentiva, non poter non essere la compagna fedele e devota del figlio nella sua missione caritatevole: e divenne infatti la madre tenera e la massaia previdente di quella strana e numerosa famiglia della quale il suo Giovanni era insieme il padre, il maestro, l'educatore ed il sacerdote.
Ed è commovente un episodio, di questa vita comune di sagrificio, di privazioni e di apostolato. Un giorno del 1851, la povera donna, che era costretta continuamente a riparare ai malfatti che la vivacità giovanile compieva nella misera casa costituente l'ospizio e nell'orto attiguo - davanti a qualche disastro più grave del solito, non potè trattenersi dal lagnarsene col figlio - e concluse la sua requisitoria, dicendo: « Insomma io perdo la testa. Oh! era altra vita, quando stavo filando nella mia stalla. Quasi, quasi me ne ritornerei là, per finire in pace quei pochi giorni che mi restano! ».
Don Bosco - così narra un suo biografo - la fissò in volto commosso, e, senza parlare, le accennò il crocifisso che pendeva dalla parete. Margherita guardò : i suoi occhi si empirono di lagrime: « Hai ragione, hai ragione! » esclamò; e senz'altro ritornò alle sue faccende e da quell'ora non le sfuggì più una parola di malcontento.
Oh! come si comprende il dolore di Don Bosco per la morte della madre! Nell'animo suo, aperto ad ogni più squisito sentimento, quanta forza doveva avere l'affetto figliale fatto più ardente ed augusto dalla venerazione per le virtù materne! Come deve avere sentito lo strappo - brutale quasi - che la morte della santa donna, portava ad un'intimità tanto operosa e feconda di bene, che era durata per tanti anni!
Don Bosco - anche nei più tardi giorni della sua vita - non poteva ricordar senza profonda commozione la madre sua: e ne parlava tuttavia spesso, perchè desiderava procurarle l'onore che le era dovuto, come « a persona mirabile di saggezza, di pietà, di cuore, alla quale egli e le opere sue dovevano tanto. E questa industria d'un amor filiale - come ben osserva Filippo Crispolti - che si era accompagnato all'amore verso tutti i propri parenti, e che dinanzi ai discepoli era stato precetto ed esempio, perchè tutti, in qualunque condizione, amassero la propria famiglia, metteva in luce un altro aspetto raro del cuore di Don Bosco: poter amare contemporaneamente la moltitudine umana e le persone singole: raro, diciamo, anche nei cuori più virtuosi e più caldi, poichè in genere, chi abbonda nell'affetto lo restringe a pochi, e chi ama i molti, difficilmente è tenero verso ciascuno ».
Ma l'opera di redenzione morale della gioventù derelitta o traviata, non poteva nella mente lucida ed organizzatrice di Don Bosco, presentarsi come completa, colla creazione dell'Oratorio e dell'Ospizio.
Egli sentiva la necessità di tenere i suoi figli sempre più uniti a sè, sempre più stretti sotto la propria tutela paterna: perchè il frutto morale che conseguiva colle proprie fatiche educatrici e con quelle dei suoi cooperatori, non andasse perduto al contatto di persone viziose. Di quì la istituzione dei laboratori interni, iniziatasi modestamente con una calzoleria collocata provvisoriamente in un angusto corridoio - unico locale allora disponibile - e che fu l'umile principio di quelle scuole professionali, le quali costituiscono uno dei titoli più cospicui di onore per la Società Salesiana, in rapporto colla educazione popolare e col progresso delle industrie e delle arti.
Anzi è doveroso rilevare, che anche in questo campo, come in molti altri, Don Bosco fu un precursore. Egli che aveva la netta intuizione delle necessità sociali del suo tempo, comprese tutta l'importanza che la istruzione professionale, data ai giovani operai non solo colla pratica manuale, così, come anticamente s'usava, ma col corredo di tutte le nozioni scientifiche ed artistiche inerenti ad ogni branchia di attività; egli comprese, dico, tutta l'importanza che quella istruzione poteva avere per la elevazione morale ed economica del lavoratore e per il perfezionamento dell'organismo industriale : ed istituì le sue scuole professionali, quando ancora nessuno vi aveva pensato: e le portò a perfezione, quando le altre, sorte con mezzi più larghi dei suoi e con sussidi di Governo o di Comuni, erano ancora allo stato rudimentale.
Così l'apostolato religioso dell'Oratorio, che era diventato opera di carità coll'Ospizio, assurgeva alla missione di incivilimento colla istituzione delle Scuole professionali. L'albero era sempre lo stesso: ma le sue ramificazioni si stendevano sempre più, ed i frutti si facevan sempre più copiosi.
Ma se l'attività di Don Bosco si era, fino a questo punto, esercitata, si può dire, esclusivamente a vantaggio spirituale e materiale di giovanetti poveri, derelitti o traviati, pei quali il bisogno di assistenza morale era più urgente onde evitarne la completa rovina; non poteva non presentarsi alla mente sua, tanto vasta e comprensiva, un'altra lacuna negli ordinamenti educativi dei suoi tempi, e quindi la necessità di colmarla.
Non erano soltanto i giovanetti delle classi più diseredate, che mancassero della necessaria assistenza; ne abbisognavano anche quelli appartenenti alla piccola borghesia, pei quali non esistevano ancora istituti educativi, adatti a borse modeste. Vedendo il bisogno, per Don Bosco voleva dire provvedere: e nel 1863, nel paese di Mirabello, nel Monferrato, sorse infatti il primo collegio salesiano, al quale dovevano poi succedere numerosissimi altri fondati in Italia ed all'estero, Collegi, i quali tanta benemerenza acquistarono ed acquistano ai Salesiani e tanta fiducia seppero e sanno destare nelle famiglie: Collegi, contro i quali inutilmente ha tentato più volte di dare l'assalto l'ira settaria, sperando forse di poter annientare l'opera cristiana di educazione della gioventù, per parte dei figli di Don Bosco.
Ma è troppo nobile, o signori, troppo elevata, troppo pura quell'Opera, perchè la bava settaria possa arrivare ad insozzarla: e la reazione delle coscienze oneste, contro gli infami tentativi, mentre dimostra l'inanità di quei turpi conati, dice anche quanto grande sia la venerazione che Don Bosco ed i suoi degni figli hanno saputo conquistarsi nella pubblica estimazione!
Colla istituzione dei Collegi, si può dire che l'opera di redenzione e di educazione della gioventù fosse completa, come organismo. Ma l'estensione e l'importanza che quella era andata assumendo, aveva reso evidente la necessità di dare finalmente forma concreta e vita pratica, ad una idea che nella mente di Don Bosco covava da tempo, e che era certamente sorta in lui insieme all'altra dell'apostolato a prò della gioventù.
Non aveva egli detto - in uno di quei discorsi che si rivelarono poi quasi delle profezie - e che Don Bosco ebbe a pronunciare, quando maggiori erano le difficoltà per l'istituzione dell'Oratorio, creandosi fra gli amici la fama di pazzo - non aveva egli detto, che un giorno avrebbe avuto un esercito di sacerdoti, di chierici, di catechisti, di insegnanti per la educazione dei giovani?
Ebbene ora li aveva: ma conveniva che dei vincoli saldi stringessero fra di loro quei lavoratori della buona causa, perchè l'opera comune riuscisse più efficace e potesse perpetuarsi attraverso ai tempi.
Ed ecco l'istituzione della Pia Società di San Francesco di Sales: un nuovo istituto religioso, che degli antichi ordini conservava tutto lo spirito di fede, di povertà e di obbedienza; ma che - adattandosi ai tempi nuovi - rimaneva una società civile di fronte al Governo, ed i suoi membri erano ad un tempo liberi cittadini e religiosi: «A quel modo - come scriveva Don Bosco, nel quesito proposto a parecchi Vescovi circa la convenienza di un tale ordinamento - a quel modo che in uno Stato qualsiasi, un cattolico può essere suddito del Re e della Repubblica e suddito della Chiesa, fedele ad entrambi, osservando di entrambi le leggi ».
Così Don Bosco dava una nuova dimostrazione dell'altezza e della acutezza della sua mente, la quale sapeva sull'esempio stesso della Chiesa - adattare i principi immutabili della verità cristiana ai bisogni dei tempi nuovi, senza che da tale adattamento venisse fattura alla purezza dei principi, conferendo anzi a questi una immensa efficacia educatrice.
Ed è strano, o signori, ed avrebbe sapore di squisita ironia - se non si rivelasse provvidenziale - il fatto che questo nuovo istituto religioso sia sorto proprio sotto gli auspici di quel Governo piemontese, che, qualche anno prima, in una ventata di settarismo, aveva soppresso ogni ordine religioso. E sia sorto anzi colla cooperazione diretta e col consiglio di uno dei membri di quel Governo, il Ministro Urbano Rattazzi.
« Rattazzi - diceva Don Bosco, secondo quanto ne riferisce il Lemoyne - Rattazzi volle con me combinare vari articoli delle nostre regole riguardanti il modo, col quale la nostra Società doveva regolarsi rispetto al Codice civile ed allo Stato. Si può anzi proprio dire che certe previdenze, perchè non potessimo essere molestati dalla potestà civile, furono tutte sue ».
Ho detto che questo fatto si rivela provvidenziale: ma si deve anche soggiungere che esso torna ad onore di Don Bosco e dell'opera sua; opera, la quale per la nobiltà di intenti e per la efficacia educativa e sociale, non poteva naturalmente non imporre rispetto ed il dovere di incoraggiamento, a chi, avendo la responsabilità del governo del paese, doveva riconoscere lealmente di quanta utilità per lo Stato potesse riuscire l'apostolato dell'umile prete dei Becchi!
Colla istituzione della Pia Società di S. Francesco di Sales, l'opera di Don Bosco si è fatta completa. L'ideale apparso in embrione alla mente giovinetta del contadinello di Murialdo: e fattosi preciso nell'umile prete: quell'ideale perseguito con una costanza diamantina, senza mai una deviazione, senza esitanze e senza incertezze: perseguito contro tutto e contro tutti, a costo di sagrifici eroici, di umiliazioni, di privazioni, di scherni e di dolori: quell'ideale finalmente aveva preso forca concreta e si era fatto realtà.
Esso aveva già raccolti frutti copiosi: aveva sparso il bene a piene mani: ora si affermava in un organismo robusto e disciplinato, capace quindi di centuplicare l'azione propria, di estenderla, di intensificarla, di perfezionarla.
L'albero dalle copiose fronde s'era oramai abbarbicato saldamente al suolo, aveva estesa le proprie radici: sicchè poteva con sicurezza trasformare le linfe del terreno ed il calore del sole in saporosi frutti, senza temere che le raffiche dei venti lo atterrassero, o la aridità del suolo lo condannasse alla sterilità ed alla dissoluzione.
Ed è naturale, o signori, che l'Opera Salesiana, raggiunto oramai il suo pieno rigoglio, trovasse insufficiente, come campo di azione, il nostro paese e tentasse di estendere la sua efficacia nelle altre nazioni d'Europa: pensasse di spingersi nelle Americhe, onde assistervi i nostri connazionali, che le dure necessità della vita avevano costretto a procurarsi un pane, lontano dalla patria: e completasse il suo apostolato di fede e di amore, tentando di richiamare alla luce della verità e della civiltà, i popoli tuttora affogati nelle tenebre della barbarie.
È ammirabile - o signori - questo sviluppo progressivo e rapido dell'Opera di Don Bosco: dovuto alla lucidità di visione del Grande, alla sua fermezza e vorrei dire alla rigidità della sua condotta, e sopratutto alla sua virtù ed alla purezza dei suoi intenti.
Un biografo di Don Bosco - Alberto du Boys - antico magistrato francese - parlando simpaticamente dell'Opera salesiana, - che definisce uno dei fenomeni più curiosi della carità cristiana - dice che l'autore del maraviglioso movimento che dall'Italia si estese a tutto il inondo - il semplice sacerdote dei Becchi - si mise di proposito per una nuova strada, senza conoscere la grandezza del fine verso cui si incamminava e l'immensità dei risultati che la Provvidenza preparava al suo zelo.
La affermazione non è esatta: e quanto sono venuto esponendo fin quì lo dimostra. Certamente Don Bosco non avrebbe potuto conoscere, all'inizio del suo apostolato, tutti i risultati grandiosi che questo avrebbe dato: sebbene alcune delle espressioni, uscitegli di bocca e raccolte gelosamente dai compagni di lavoro, permetterebbero di supporre in lui anche tale conoscenza. Ma ciò che risulta indubitato si è, che il concetto dell'Opera sua egli l'ebbe sempre e nettamente formulato nella mente in tutta la sua complessità: sicchè, come ho già detto, egli non ebbe mai pentimenti o deviazioni nello sviluppo sempre più perfetto e più vasto dell'opera medesima. È la stessa novità dei sistemi educativi da lui adottati - la nuova strada, come la chiama il Du Boys - non fu forse inaugurata già da Don Bosco quando non era che il povero Giovannino, il contadinello dei Becchi od il servitorello dei Moglia?
E del resto, o signori, vi è un fatto, che è doveroso rilevare, parlando di Don Bosco; un fatto che sta a dimostrare in modo irrefutabile, come la missione religiosa, morale e sociale, che egli si era sentito chiamato a compiere, sia sempre apparsa alla mente sua ed al suo cuore, nella pienezza della sua dignità e della sua gravità. E questo fatto consiste nella preparazione, della quale Don Bosco ha sempre sentito la doverosità ed il bisogno, onde essere degno del l'opera stessa.
Ed è una preparazione che rimonta agli anni infantili: e che non si limita al campo intellettuale, ma si estende e si intensifica nel campo morale. Il contadinello dei Becchi non si accontenta di leggere e di studiare, mentre cura le giovenche al pascolo: ciò che è avvenuto anche per altri ingegni preclari, portati da natura allo studio delle scienze. Ma egli sente il dovere di purificare sè stesso da ogni passione; di vincere ogni sentimento meno nobile dell'animo, e sopratutto di domare la sua indole risentita e facile all'ira, disdicevole per chi si sentiva chiamato ad un apostolato di amore e di carità.
E la preparazione continua poi, infaticabile e metodica, mentre dalle strettezze economiche è obbligato a fare, volta a volta, il sarto, il falegname, il pasticciere, il fabbro, onde poter continuare negli studi. Non si limita allora ad arricchire la melate di nozioni letterarie e scientifiche e persino musicali, sagrificando le notti onde mandare a memoria i classici latini ed italiani: ma osserva attorno a sè, studia i propri compagni, ne scruta le anime ed i cuori, e stabilisce il modo più conveniente per trattare con essi. Cominciava così da parte sua lo studio oggettivo e profondo della psiche giovanile: quello studio, che continuato sempre negli anni successivi e in campi sempre più vasti, doveva fare di lui il modello degli educatori e dei pedagogisti.
E fatto prete ed iniziato fra mille ostacoli il suo apostolato pratico, la preparazione non cessa: perchè egli si sente chiamato ad opere sempre maggiori, fra le quali sa che necessitano doti morali, virtù e cognizioni sempre più elevate e vaste. E la sua poderosa produzione letteraria, storica, critica e scientifica; l'indirizzo sano e razionale dato alle sue scuole ed ai collegi; il programma tutt'affatto moderno e rispondente ai bisogni dei tempi, al quale informò l'insegnamento professionale; tutta la gigantesca e meravigliosa opera sua; ma sopratutto la perfezione morale alla quale aveva voluto e saputo arrivare, con un'opera diuturna di vigilanza e di eroica violenza su sè stesso, dimostrano come la sua preparazione fosse sempre pari all'immane compito che andava man mano assumendo!
Come si può adunque affermare che egli non conoscesse il fine verso cui si incamminava? Come si può dubitare che la strada nuova da lui scelta,. fosse scelta a caso, e non deliberatamente e per una netta visione della sua opportunità, principalmente nei tempi che correvano?
Signori. È stato detto, e con ragione, che felice prerogativa e merito reale di Don Bosco, sia stato appunto di aver compreso i suoi tempi e di essersi informato nell'opera sua alla più esperta modernità.
Si incontrano nella storia della umanità, degli idealisti e dei sociologhi, che tentarono la riforma dei costumi e della società, andando nettamente contro la corrente dei tempi.
Francesco d'Assisi, in un secolo che per la sua barbarie sanguinaria fu chiamato il secolo di ferro, predica non soltanto l'amore per le creature umane, ma l'amore per ogni cosa creata: e chiama fratello il Sole, il fuoco ed il lupo, e sorella la luna, la terra e l'acqua, che egli si rifiuta di calpestare temendo di arrecarle dolore: mentre il mondo intorno a lui è fatto di odii, di guerre e di sangue.
Carlo Marx, di fronte all'industrialismo capitalista, che asservisce il lavoratore e cerca di ridurre la ricchezza in poche mani, proclama audacemente la collettività di tutti i beni e dei mezzi di lavoro, e chiama a riscossa ed a guerra di classe il proletariato universale.
Don Bosco segue tutt'altra via: e la segue, non perchè gli manchi il coraggio morale e l'ardire, di opporsi alla corrente dei tempi: - ardire che ha dimostrato in mille occasioni di possedere largamente e che fu anzi una delle sue più spiccate caratteristiche; - ma la segue, perchè egli vede nella via prescelta il mezzo più idoneo onde arrivare al bene, combattendo e vincendo il male del secolo! E a chi bene consideri la cosa, possono apparire, in modo evidente, le ragioni della scelta.
Intanto Don Bosco non faceva che seguire l'esempio della Chiesa - rigidamente immutabile ed immutata nei principi - ma che si adatta ad ogni civiltà, ad ogni tempo, ad ogni governo, ad ogni popolo, onde rendere efficace il proprio apostolato.
Ma c'erano poi nello scorso secolo, condizioni tutt'affatto speciali di ambiente, che potevano e dovevano sconsigliare a Don Bosco ogni diverso atteggiamento, da quello assunto: e consigliargli invece la via seguita. I principi di nazionalità, di libertà e di elevazione morale ed economica delle classi lavoratrici; principi tutti fondati sul concetto di giustizia sociale e di rispetto alla dignità dell'uomo: quei principi si andavano diffondendo fra i popoli d'ogni na zione e producevano imponenti rivolgimenti politici e sociali.
Inoltre un nuovo risveglio portentoso, dal mondo scientifico si era andato estendendo al mondo industriale e commerciale, per effetto delle maravigliose scoperte del vapore e della elettricità, e vi aveva portato una vita nuova e più intensa.
In tutto questo movimento sociale, politico, scientifico ed economico, se vi erano degli eccessi biasimevoli e delle deviazioni dolorose, vi era però anche molto di buono, di sano e di utile; che non si poteva ragionevolmente combattere o trascurare. Appartarsi da quel movimento, avrebbe significato appartarsi dalla società e non avere più contatti di sorta con essa. E come sarebbe stato possibile allora qualsiasi apostolato?
Non era miglior cosa, non era anzi doveroso gettarsi nel movimento, per infrenarlo negli eccessi; per impedirne le deviazioni riprovevoli; per tentare di armonizzare le nuove energie ideali e morali, cogli imprescrittibili diritti di Dio: per opporsi a che la scienza, le arti, la politica, tutto il movimento operaio, si scostassero dai veri eterni e soprannaturali, o che, peggio ancora si ergessero - quali superbi Capanei -contro Dio, come suoi avversari decisi?
Don Bosco, anima aperta od ogni sentimento di giustizia; mente colta e pronta a comprendere e ad apprezzare il vero e sano progresso in ogni ramo dello scibile: cuore infuocato di carità pei deboli, per gli oppressi, per i derelitti, e rispondente quindi ad ogni appello in favore delle elevazioni morali ed economiche dei lavoratori: Don Bosco desideroso di fare del bene, di fare molto bene, di fare tutto il bene possibile, non poteva che seguire la via che ha seguito.
E fu uomo moderno per scienza ed antico per fede: moderno nei concetti sociali ed antico nella ispirazione cristiana della carità : fu l'uomo del suo secolo ed insieme il santo.
Ed anzi, come ho già accennato, in molte cose egli fu un innovatore.
Fu innovatore nell'adottare il sistema preventivo nella educazione della gioventù, mentre più rigido imperava il sistema repressivo. Ed è veramente ammirabile la difesa che egli fece allora del sistema preferito; ammirabile per la precisione dei concetti pedagogici, frutto di tiri costante ed acuto studio della psiche giovanile: ammirabile sopratutto per la calda dimostrazione della necessità dell'affetto, come base dell'educazione.
« Il sistema repressivo, egli lasciò scritto, potrà impedire disordini, ma difficilmente farà migliori gli animi. Si è osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti e per lo più conservano l'amarezza, e il desiderio di scuotere il giogo ed anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci badino, ma chi tien dietro ai loro andamenti, conosce che sono terribili le reminiscenze della gioventù. Dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori.
» Al contrario il sistema preventivo rende amico l'allievo, che nell'assistente ravvisa il benefattore che lo avverte, vuol farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore... Il sistema preventivo tratta l'allievo in modo, che l'educatore potrà parlargli sempre col linguaggio del cuore e in tempo della educazione e dopo di essa. Con siffatto sistema l'educatore guadagnandosi il cuore del suo protetto potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo, allora quando si troverà negli impieghi, negli uffizi e nel commercio ».
Quanta saggezza e quanta conoscenza del cuore umano, in questi precetti! Nè meno preziose sono le considerazioni che Don Bosco lasciò scritte, circa i castighi che pur troppo qualche volta si è costretti ad usare; quando i consigli e gli avvertimenti e le correzioni verbali non riescono ad essere efficaci..
« Se è possibile - egli scrisse - non si faccia mai uso di castighi: ove poi la necessità chieda repressione, si ritenga quanto segue.
» L'educatore dagli allievi cerchi di farsi amare, se vuol farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma un castigo che eccita l'emulazione, infonde coraggio e non avvilisce mai.
» Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per tale. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni, produce maggior effetto, che non farebbe uno schiaffo. La lode per una bella azione, il biasimo per una colpevole trascuratezza, può servire ottimamente di premio o di castigo...»
E continua consigliando di non dare mai castighi in pubblico e di evitare assolutamente titoli ingiuriosi o percosse, perchè tutto ciò irrita grandemente i giovani, ed avvilisce lo stesso educatore.
Il commento migliore a queste norme educative, tanto semplici, eppure tanto sapienti lo ha fatto un eminente psicologo, il Prof. Ellero - collega mio nel Parlamento - in una monografia pubblicata qualche anno fa negli Studi Penitenziari.- ed il suo autorevole giudizio è tanto più prezioso e significativo, perchè dovuto ad un convinto positivista.
« Poche letture, - egli scrisse - mi hanno così profondamente impressionato come quelle poche note lasciate da D. Bosco circa l'educazione dei soggetti traviati. Memorie che ripetono il loro immenso valore dal fatto di essere dettate da uno, che non fu un attivo sognatore ideologo, ma fu bensì un idealista impastato di attuoso positivismo, animatore e creatore di un'opera poderosa, che pochi veramente conoscono, e per la quale quello spirito imparziale e generoso che è Cesare Lombroso, non esitò ad assegnare a Don Bosco uno dei primissimi posti fra i pochi che tentarono, iniziarono e fruttuosamente svolsero un razionale sistema di emenda e di redenzione...
» Ebbene, si resta davvero ammirati e pensosi, prosegue l'Ellero, nello scorgere i prodigi che quell'uomo seppe ottenere sopra migliaia di esseri umani, con un minuscolo rudimentale bagaglio di norme regolamentari, ma con una scorta doviziosa di amore sapiente, di tatto intuitivo, di accorgimento psicologico, talchè la sua opera, anzichè uniformemente e meccanicamente regolamentare, fu varia, complessa, ricca di sagaci estemporaneità, plasmata sempre sulle varietà individuali dei soggetti, su cui si esercitava...
» E quanta, quanta sapienza nel far sentire sempre il fuoco sacro dell'amore anche nella indeprecabile necessità di una punizione!... »
Del resto una prova del grande ascendente che Don Bosco sapeva conquistare sui giovani, anche traviati, col suo sistema educativo, si ha in un episodio ricordato alla sua morte dal Bollettino delle Carceri.
Per la Pasqua del 1855 Don Bosco, pregato di un corso di prediche ai trecento e più discoli della Generala, seppe renderseli tanto docili ed affezionati, che non esitò di chiedere al Direttore della prigione, a titolo di premio, di poterli condurre un giorno - senza accompagnamento di forza pubblica - a fare una scampagnata a Stupinigi, assicurandolo che tutti sarebbero ritornati la sera con lui. Il Direttore credè che scherzasse, tanto gli pareva enorme la domanda. Ma insistendo Don Bosco, egli non trovò altro spediente che di trincerarsi dietro la necessità di un permesso del Ministro dell'interno, che era allora il Rattazzi.
Anche questi a tutta prima nicchiò; poi vedendo la serena sicurezza di Don Bosco, da uomo superiore e capace di comprendere quella tempra di educatore, finì per dare la concessione.
La passeggiata ebbe luogo, previ opportuni consigli a quei discoli, quali sapeva darli Don Bosco. I poveretti si divertirono un mondo e la sera tutti erano di ritorno alla prigione. E Don Bosco si recò allora da Rattazzi, a fare la sua relazione ed anche a toglierlo un po' dalle spine, in cui era naturale si trovasse, circa l'esito dell'impresa. Ed alla osservazione del Ministro, che lo Stato si trovava impotente ad ottenere simili successi: e Eccellenza -- replicò Don Bosco - la forza che noi abbiamo è una forza morale. Mentre lo Stato non sa che comandare e punire, noi ci rivolgiamo anzitutto al cuore dei giovani, e la nostra parola è la parola di Dio ! »
Ma la sapienza dimostrata da Don Bosco nel campo educativo, non fu minore in quello dell'istruzione: e la cosa è naturale, poichè l'una e l'altra erano frutto di una esperienza formatasi colla osservazione diretta e colla riflessione. E se non esorbitasse i limiti di una commemorazione, sarebbe interessante ed utile, ricordare i precetti ed i consigli, pieni di pratica saggezza, coi quali Don Bosco sapeva indirizzare efficacemente i suoi giovani allo studio.
Ma dove egli fu, non soltanto pedagogista insigne, ma ancora innovatore, o come già dissi, precursore, fu nella istituzione ed organizzazione delle scuole professionali, delle officine interne e delle colonie agricole; per le quali dettò norme direttive e regolamenti, che sono veri monumenti di sapienza didattica, di indirizzo educativo e di praticità tecnica.
Oh! non per nulla la Provvidenza aveva voluto che la giovinezza di D. Bosco trascorresse travagliata, nelle dure necessità del lavoro manuale !
Il pane che sa di sale, che egli fu allora costretto a mangiare, ebbe per lui un duplice beneficio. Gli plasmò la mente alla praticità tecnica, che non si ottiene che col lavoro manuale: praticità che doveva poi tornargli tanto utile appunto nella istituzione delle scuole professionali : e gli diede la nozione esatta dei- dolori, dei sagrifici, delle miserie che formano per lo più la sostanza della vita dei lavoratori, destando in lui non soltanto il proponimento di consacrasi alla loro elevazione morale ed al loro miglioramento economico, ma un rispetto profondo per chiunque sudi il proprio pane.
E questo rispetto egli lo dimostrò sempre, curando principalmente che fosse tutelata la dignità dei beneficati, anche di quelli fra i suoi figli, destinati ai lavori più umili delle officine e dei campi; e che considerava come collaboratori suoi nella grande Opera Salesiana e voleva quindi che fossero -- sia pure in modesta misura - retribuiti del loro lavoro. Egli non voleva che essi sentissero il peso e la umiliazione della carità della quale erano oggetto: e si ere~ dessero di carico all'Ospizio! Voleva - con una delicatezza di sentimento veramente ammirevole - creare in loro la convinzione di bastare a sè stessi col proprio lavoro!
E la modernità di mente di Don Bosco si dimostrò anche nell'impulso dato alla stampa buona, della quale aveva compreso tutta l'efficacia sociale e civile: e la necessità, di fronte al dilagare di pubblicazioni perverse, immorali od irreligiose.
Si dimostrò altresì; nella istituzione del mutuo soccorso, fra i giovani dell'Oratorio; forma di reciproca assistenza, che doveva più tardi ricevere uno sviluppo tanto grandioso fra le masse lavoratrici, e che se allora non ebbe lieta fortuna - non certo per colpa del Fondatore, ma di misoneisti incapaci di intendere l'alto pensiero sociale di Don Bosco - costituì però il primo impulso ed il modello per tante altre associazioni fra operai cattolici.
Si dimostrò infine la sua modernità di mente nella comprensione precoce di un problema sociale, che doveva farsi più tardi assai grave per l'Italia nostra, il problema della assistenza agli emigranti: alla quale egli provvide, quando nessun altro ancora aveva ad essa rivolto il pensiero.
E lasciate che io ricordi a questo proposito le parole nobilissime che Don Bosco indirizzò nel Santuario di Maria Ausiliatrice, al primo drappello di Missionari Salesiani, che egli inviava nell'America del Sud, nel giorno della partenza da Torino; parole che sono la prova della sua fede, della sua carità ed insieme del suo patriottismo:
- Vi raccomando - egli disse allora - vi raccomando con insistenza particolare, la posizione dolorosa delle famiglie italiane, che numerose vivono in quelle città e in quei paesi e in mezzo alle stesse campagne. I genitori, la loro figliolanza poco istruita della lingua e dei costumi dei luoghi, lontani dalle scuole e dalle chiese, o non vanno alle pratiche religiose o se ci vanno nulla capiscono. Perciò mi scrivono, che voi troverete un numero grandissimo di fanciulli e anche di adulti che vivono nella più deplorevole ignoranza del leggere e dello scrivere e di ogni principio religioso. Andate, cercate quei nostri fratelli, cui la miseria o sventura portò in terra straniera e adoperatevi a far loro- conoscere quanto sia grande la misericordia di quel Dio, che vi manda pel loro bene.
Ma, signori miei, se tutta moderna fu la mentalità di Don Bosco, capace quindi di intendere ed apprezzare ogni legittima aspirazione di libertà, di coltura, di elevazione morale ed economica delle classi lavoratrici: se quella mente fu aperta ad ogni vero progresso scìentifico, artistico, civile; se l'opera sua fu mirabile per la intuizione netta dei bisogni dei nuovi tempi e per la visione dei problemi educativi, sociali e morali che la nuova vita industriale e civile faceva sorgere ed ai quali l'opera stessa intendeva provvedere - attraverso a tutta questa attività feconda si viene delineando però una affermazione esplicita di principi morali antichi quanto antica è l'umanità: affermazione, che suona protesta e rampogna contro l'indirizzo morale prevalente nella moderna vita sociale e civile.
Tutta l'opera educativa e benefica di Don Bosco, dimostrando l'eccellenza del principio cristiano quale fattore di educazione e di redenzione della gioventù, costituisce una condanna esplicita per quanti vorrebbero la famiglia e la scuola e l'officina senza Dio: dimostrando la efficacia di quel principio, quale fondamento di giustizia nei rapporti sociali, proclama la inanità degli sforzi che si vanno compiendo, onde stabilire l'equilibrio fra le varie classi della società, all'infuori e contro ogni idealità soprannaturale: dimostrando l'armonia che può intercedere e che intercede fra il principio cristiano ed il vero scientifico, protesta contro il tentativo settario di voler creare un dissidio e quasi una incompatibilità, fra la fede e lascienza: dimostrando tutto il bene che alla patria ha saputo fare un semplice prete, ardente di fede e di carità e quanto onore, nel suo nome, abbia saputo procurare al nome d'Italia fra le nazioni civili, l'Opera di Don Bosco costituisce la prova evidente che patria e fede non sono termini antinomici, e che, anzi come affermava un vostro illustre concittadino, male serve la patria, chi sprezza Iddio.
Ecco, o signori, la sintesi e la portata morale dell'opera di Don Bosco: opera che non limita quindi i propri benefici soltanto all'esercito innumere di persone raccolte nei suoi ospizi, nelle sue scuole, nei suoi collegi, nelle sue colonie; ma estende la propria influenza benefica a tutta la società, levandosi di fronte ad essa come monito ed esempio della eccellenza e della necessità del principio cristiano quale fattore del vivere civile.
Ma arrivati, o signori, a questo punto; dopo avere esaminato l'opera grandiosa di Don Bosco ed averla ammirata nel suo rapido svolgimento progressivo; dopo aver cercato di determinarne i caratteri essenziali, le finalità ed i maravigliosi risultati; una domanda viene spontanea alle labbra. Come mai un uomo potè pensare, volere ed attuare tutto ciò? Come potè dar vita ad un'opera tanto colossale, che basterebbe da sola a dare onore ad una intera generazione?
L'aiuto di Dio, osserva giustamente a questo proposito un valoroso scrittore, e quello degli uomini, in tanto fecero prosperare oltre ogni verosimile speranza l'iniziativa salesiana, in quanto Colui che la iniziò, mentre d'ogni altro mezzo scarseggiava, aveva in compenso più virtù che non sarebbe stato richiesto da calcoli umani.
Eccolo, o signori, il segreto della fecondità benefica e del successo maraviglioso di Don Bosco; dopo l'aiuto di Dio, le sue virtù.
E se alcune di queste, come lo spirito di carità, la delicatezza del sentire, la franchezza del carattere, il coraggio, si possono considerare come virtù innate in Don Bosco: altre si devono ben ritenere quali conquiste da lui fatte su sè stesso, con un lavorio incessante di perfezionamento morale ed a costo di chissà quali battaglie interiori e di quali violenze spirituali.
Impetuoso per carattere e per esuberanza di forza fisica, volle diventare mansueto; e si narra di lui, che giovanetto ancora, provocato villanamente da un compagno, si sentì portato a tutta prima, dalla violenza istintiva, a reagire brutalmente contro il provocatore: ma poi intervenne la riflessione e riuscì a dominarsi. Tuttavia lo sforzo morale di repressione fu tale che il viso gli si imperlò di abbondante sudore e per qualche tempo egli restò come intontito. Ma la battaglia era vinta, ed il nemico interiore era domato!
Vivace per natura, egli volle essere paziente; perchè la carità è fatta anche di pazienza: e paziente divenne. E fu di una delicatezza virginea in fatto di morale e di un candore perfino scontroso.
Pronto ed acuto di rasente, non azzardava mai un giudizio od tiri consiglio, senza avere prima riflettuto lungamente, apprezzando tutto il valore della prudenza. E se si trattava di cosa grave prendeva tempo a rispondere e si consultava con altri. Scrisse Don Rua a questo proposito: « Con tale sistema D. Bosco riuscì a disbrigare gli affari più complicati e io non potrei numerare la quantità di persone, che mi dissero di essere state consolate, sollevate nelle loro afflizioni, soccorse nelle loro difficoltà ed imbarazzi, dalla esimia prudenza di lui ».
Mentre vietava ai giovani di darsi a digiuni. ed a penitenze troppo rigorose, ed andava loro ripetendo: « Miei cari giovani! Non vi raccomando penitenza e disciplina, ma lavoro, lavoro e lavoro »: con sè stesso era di una austerità eroica, sicchè Mons. Cagliero, poteva affermare con tutta verità, avere Don Bosco menata una vita così mortificata e penitente, quale non conducono che le anime giunte alla più alta perfezione e santità.
Ed era in lui una serenità imperturbabile; spiegabile del resto perfettamente, poichè egli mirava tanto alto nella sua azione, che le piccole ed anche le grandi miserie della vita non potevano scuoterlo.
Ed una prova classica ed anzi eroica di tale serenità, e della sua forza d'animo, Don Bosco la diede nel 1848, quando un malvagio, mentre egli stava spiegando il catechismo nel coro della sua chiesa, gli tirò un colpo di fucile a palla, che diretto al cuore, gli passò tra il braccio ed il petto. Non si turbò affatto ed ai ragazzi che spaventati gli si stringevano piangenti attorno: « E che! esclamò: vi spaventate di uno scherzo fatto di mala grazia? Certa gente maleducata non sa mai fare una burla senza offendere il galateo. Guardate: mi hanno stracciata la veste e guastato il muro! Ma torniamo al nostro catechismo ». E difatti sereno, come nulla fosse avvenuto, riprese la spiegazione del catechismo.
E quest'uomo che aveva un'anima forte come l'acciaio, aveva pure delle delicatezze squisite di sentimenti e di affetti: -- e basterebbe ricordare la istituzione da lui fatta - unica nella storia della congregazioni religiose - di una casa per le madri e le sorelle dei suoi sacerdoti salesiani poveri. - Il ricordo della madre sua, della buona Mamma Margherita, non deve essere stato estraneo a tale istituzione!
Ma, signori miei, non è possibile per quanto si tenti, di rendere completamente la figura morale di Don Bosco, come non è possibile rendere a parole la bellezza di un giardino nel pieno splendore della fioritura: dove, in una gloria di sole, il candido giglio si sposa alla purpurea rosa ed all'olezzante ed umile mammola!
Ma se la figura morale di Don Bosco sfugge ad ogni definizione completa e precisa, essa si impone però in tutta la nobiltà ed in tutta la grandezza di apostolo della carità, della fede e della civiltà, alla ammirazione ed alla venerazione dei popoli.
Il significato morale di D. Bosco nel suo secolo.
In un secolo nel quale furono proclamate le teorie più audaci e più utopistiche di livellamento sociale - e si tentò la distruzione di ogni idealità e di ogni ordinamento passato - quasicchè tutto si dovesse rinnovare dalle fondamenta e le alte e dorate vette della ricchezza dovessero crollare, onde colmare coi loro detriti le oscure valli dell'indigenza e del dolore; e dovesse essere scrollato e distrutto lo stesso impero di Dio sull'umanità: Don Bosco apparve come il prototipo della vera, della unica forza efficace di rigenerazione e di giustizia sociale e di progresso civile. Don Bosco, non distrugge, non sconvolge: accetta anzi il mondo così come è: nulla disprezza: niente che di buono esista, egli sagrifica. Il monte è e deve essere ancora e sempre il monte: la valle, è valle: la pianura, pianura. Ma su quel monte, ma in quella valle, ma sulla pianura, egli semina a piene mani la buona semente, con lena in faticata, senza tregue e senza riposi, tenendo conto della qualità del terreno e della semente più adatta. E lascia poi che il sole della carità divina compia il miracolo di far germogliare ovunque, fiori, virgulti ed alberi robusti dai copiosi frutti: sicchè dov'era la sterilità del male, dell'ignoranza e dell'ingiustizia, succeda la fecondità del bene, della luce di verità e della giustizia.
E quando - sfinito di corpo, ma sempre vigile e forte di spirito - questo lavoratore indefesso che mai si concesse un istante di riposo giunge al termine della propria giornata - a chi gli ricorda, quale argomento di consolazione e quale titolo di merito presso Iddio, il molto bene compiuto, egli risponde con umiltà francescana: «,Si sarebbe potuto fare di più... ma faranno i miei figli! »
La morte serena di Don Bosco avvenuta fra le lagrime di questi figli e dei suoi cooperatori e continuatori; questa morte che non chiude un periodo di attività morale e sociale, ma ne inizia anzi un altro di sempre crescente fecondità di bene; quasicchè lo spirito del Grande, liberato del peso del corpo, più libero potesse adempiere all'alta sua missione: questa morte ne ricorda un'altra, che dal Sommo Poeta fu esaltata ed eternata nella Divina Commedia: la morte di Francesco d'Assisi. Ed alla morte di Don Bosco possono perfettamente applicarsi i versi che Dante dedicò al trapasso del grande amatore della povertà di Cristo.
Quando a Colui, ch'a tanto ben sortillo,
Piacque di trarlo suso alla mercede,
Ch'ei meritò nel suo farsi pusillo,
Ai frati suoi, sì com'a giusto erede,
Raccomandò la sua donna più cara,
E comandò che l'amassero a fede
E dal suo grembo l'anima preclara
Muover si volle, tornando al suo regno:
Ed al suo corpo non volle altra bara.
E così Don Bosco, morendo, ai suoi fratelli, ai suoi figli, ai suoi cooperatori, legò e raccomandò quali giusti eredi, quella che fu « la sua donna più cara » l'Opera salesiana, e ad essi, « comandò che l'amassero a fede ».
Ed i comandi dei Padre furono legge pei figli ed essi amarono veramente a fede l'istituzione da lui fondata: sicchè la donna piè cara al cuore di Don Bosco ha avuto, per opera loro, un regno sempre più vasto e del quale si potrebbe dire come del regno di Carlo V, che su di esso mai non tramonta il sole.
E ciò che è ancora più ammirevole, l'Opera salesiana, in tutte le sue varie manifestazioni, nella vastità sempre crescente del proprio organismo, e nonostante il mutare di uomini, conserva integro e purissimo l'indirizzo e lo spirito, che Don Bosco le impresse: ragione vera ed unica questa del suo continuo progresso e della sua fecondità di bene.
E lo spirito di Don Bosco non si mantiene soltanto in coloro che si sono vincolati con voto alle regole della sua Pia Società: ma tanto è l'ascendente morale e spirituale di quel grande, che esso vive anche in quelli, che in un modo o nell'altro si poterono e si possono chiamare suoi figli.
E la vostra stessa Federazione, o Signori, alla quale io debbo l'onore di avere oggi potuto intrattenermi di Don Bosco e dell'Opera sua; la Federazione vostra fra gli ex-Allievi di Don Bosco, non è pure la dimostrazione potente che i comandi di quel Grande, che voleva i suoi figli non soltanto uniti a lui, ma uniti strettamente fra di loro, a mutua difesa morale ed a mutuo giovamento, che i suoi comandi e persino i suoi desideri sono sentiti ed osservati ancora, dopo cinque lustri dalla sua morte?
Ora, o miei signori, questa permanenza di efficacia dello spirito, dell'insegnamento e dell'opera di Don Bosco, è la prova più squisita e completa della sua santità: e se la Chiesa, nella sua rigorosità prudente, non ha creduto ancora di decretare il completo trionfo di quel Grande, la voce del popolo cristiano lo ha già elevato all'onore degli altari: ed in questo caso la voce del popolo, è veramente voce di Dio.
Io conservo, o miei signori, a questo proposito un ricordo personale che è fra i più cari e preziosi della mia vita: il ricordo di un fatto che mi parve allora e fu infatti simbolo e profezia.
Quando Don Bosco fu a Milano, ospite di di Monsignore di Calabiana, onde assistere ad una delle prime riunioni di cooperatori salesiani, io ebbi la fortuna di conoscere il grande Apostolo e di stare con lui tutto il tempo che passo nella nostra città.
E ricordo che nella adunanza tenuta alla presenza dell'Arcivescovo, Don Bosco chiese ripetutamente a questi la benedizione: ma Mons. di Calabiana se ne schermì. Anzi, quando finita la seduta, Don Bosco, pregato dai suoi cooperatori si alzò per benedirli, l'Arcivescovo, che intanto si era assentato, rientrò quasi furtivamente nella sala, e inginocchiato fra i suoi figli, ricevette devotamente ed umilmente la benedizione dell'umile prete.
In quell'atto di venerazione reso dal Vescovo, attorniato dai suoi fedeli, alla grandezza spirituale di Don Bosco, mi parve allora di vedere quasi, come dissi, il simbolo e la profezia del tributo di onori che un giorno la Chiesa avrebbe reso ad un nuovo Santo, e che ora si può dire realtà.
Ma non solo la Chiesa, o miei signori, deve rendere onore a Don Bosco: la Società pure ha doveri di riconoscenza verso di lui, perchè pochi uomini come Lui hanno saputo spargere intorno a sè, a piene mani, con una dovizia inesauribile, il bene morale e materiale.
È ben giusto adunque, che alla sua memoria grande e venerata, si elevi un monumento mondiale!
Ma che questo monumento sia limpido nella sua significazione, come limpido fu il pensiero di Don Bosco. Esso rappresenti la sintesi dell'opera di quel Grande, e dica quindi ai futuri, con evidenza plastica, che nel secolo XIX, per virtù sua, fu possibile di vedere ancora strette fra di loro in connubio armonico ed indissolubile, la fede, la carità e la civiltà!
"FEDERAZIONE"
Il 2° numero del Bollettino mensile della Federazione Internazionale degli ex-Allievi di Don Bosco, che è pure l'organo ufficiale del
Comitato Promotore ed Esecutivo del Monumento a Don Bosco, reca per intero la relazione della Giuria del Concorso Internazionale per il Monumento medesimo.
Il nuovo concorso.
Il Comitato esecutivo per il Monumento a Don Bosco, in seguito al verdetto della Giuria, che ha giudicato dei bozzetti, deliberava di aprire un nuovo concorso fra i cinque artisti Cellini, Graziosi, Rubino, Vespignani e Zocchi, da essa giudicati migliori fra i cinquantanove concorrenti ed ai quali proponeva l'assegnazione in parti uguali della somma complessiva di lire diecimila, determinata per premio del concorso. Il nuovo concorso, si chiude il 20 corrente.
LE EX-ALLIEVE DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE.
Il Comitato Centrale delle Ex-Allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice ha diramato un entusiastico Appello « Alle Direttrici delle Sezioni costituite, alle Signore Delegate ed a tutte le ex-Allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
» Il Comitato direttivo della « Federazione Internazionale degli Ex-Allievi di Don Bosco » ha lanciato da un capo all'altro del mondo il voto della più alta venerazione, della più intensa gratitudine, del più nobile entusiasmo....
» Questo voto è l'eco dell'anima nostra, o carissime amiche, ex-Allieve tutte delle Figlie di Maria Ausiliatrice!
» Formate noi pure alla scuola del grande Educatore, del Benefattore insigne di cui « la terra e il Ciel s'onorano » noi pure vogliamo « consacrare nel bronzo e nel marmo la bella unione delle anime nostre » nel ricordo suo santo....
» Sia adunque in noi una davvero simpatica gara di fede e gratitudine. Non una delle ex-Allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice, associate o no, si rimanga dal portare al Monumento glorioso il proprio cordiale, generoso contributo »
Prima ad aderire all'Appello fu la sezione ex-Allieve di Nizza Monferrato che in apposita adunanza del 16 marzo «stabilì il modo pratico per la raccolta delle offerte ».
Ad evitare ritardi e disguidi, preghiamo i benemeriti Cooperatori e le benemerite Cooperatrici ad inviare ogni offerta per le Opere di Don Bosco unicamente e direttamente al nostro venerato superiore, Rev.mo signor D. Paolo Albera, Pia Cottolengo, 32 - Torino (Italia).
Una parola ai genitori, ai sacerdoti, ai ricchi, a tutti (1).
...Se si vuol rimediare ai mali pubblici, debole riflesso dei gravissimi che travagliano le anime, se si vuol preparare un'era migliore, bisogna risalire all'educazione dei fanciulli. Non occorre molto acume per comprendere che qui sta la vera sorgente della salute individuale e sociale. Nel fanciullo è il giovane, l'uomo, il padre della famiglia, primo nucleo della civile convivenza. L'occuparsi quindi del fanciullo è occuparsi della civile società e far cristiano il fanciullo è far cristiana in radice la società.
Al proposito giova riferire il pensiero di un autore moderno, non sospetto di soverchia tenerezza per la religione. Comincia esso a far rilevare la grande importanza dell'educazione e l'influenza che avrà su tutta la vita del fanciullo. Dice che deve essere opera accurata, pronta sollecita, e cominciare subito dall'infanzia, perchè i fanciulli sono maravigliosamente disposti dalla natura a ricevere nella loro anima e conservare tenacemente le impressioni, che ricevono dall'esterno. « Educazione cristiana, si intende - sono sue testuali parole - perchè questa è la sola che renda gli uomini benevoli; ogni altra educazione li rende egoisti, e l'egoismo è il più sovente fredda insensibilità. Gli è adunque al cristianesimo che bisogna affidare i fanciulli a mano a mano che la loro indipendenza pare sottrarli all'autorità della famiglia. Il cristianesimo è l'amico dei fanciulli; il Salvatore disse: lasciate venire a me i fanciulli; e la religione ama farsene corona (Boccardo, Enc. Ital.) ».
Sì; educazione pronta, educazione cristiana. Ecco la salute. L'educazione ha da iniziarsi sui primi albori della ragione, se non prima, e il padre e la madre sono per natura i primi istitutori. Sulle ginocchia della madre si deve erigere la prima cattedra del fanciullo. Alla madre e al padre il trasfondere nella vergine anima le prime nozioni di Dio creatore, di Dio redentore, di Dio rimuneratore, le prime massime di amore, di rispetto, di giustizia; ad essi il raffrenarne i trasporti, l'eccitarne le buone tendenze, il formarne il carattere; ad essi in somma l'opera multiforme e complessa, per cui un'anima plasma un'altra anima ed un cuore forma un altro cuore. Ed il fanciullo sotto la mano intelligente ed amorosa dei genitori come tenera pianticella si piega, si raddrizza e prende stabile forma; se invece si lascia crescere senza disciplina, come pianta indurita, resisterà ad ogni sforzo per migliorarlo. Il giovanetto, dicono i Libri santi, presa sua strada, non la lascierà ne-pure in vecchiaia (Prov. XXII, 6).
L'educazione, oltrecchè pronta, ha da essere cristiana. Tale sarà quando la fede l'informerà così, da esserne il fondamento e l'anima. Bisogna che il fanciullo conosca Gesù Cristo, che conosca la sua vita ed i suoi insegnamenti come esemplare, cui conformare i pensieri e le azioni. Così avrà, secondo la frase di S. Paolo, Gesù Cristo formato in se stesso. Oh! che non dice al fanciullo Gesù nel presepio, Gesù sottomesso a Maria e a Giuseppe, Gesù nella bottega di Nazaret, Gesù evangelizzante i poveri ed operante miracoli, Gesù che richiama a vita il figlio della vedova di Naim, la figlia di Jairo, il fratello delle desolate Marta e Maddalena ; Gesù che piange su Gerusalemme, che istituisce l'Eucaristia, che agonizza nell'orto degli ulivi; che spira perdonando in croce, che risuscita per confermare nella fede i discepoli, che sale al cielo per preparare il posto ai suoi fedeli! Che non insegnano al fanciullo le sue parabole! Quella, ad esempio, del buon grano e della zizzania, quella del, ricco Epulone e del povero Lazzaro, quella del Figliuol prodigo ed altre. Hanno una tale efficacia educativa, da non temer confronto, e sotto una forma accessibile alle anime semplici, contengono lezioni di altissima sapienza....
Ma perchè l'educazione cristiana riesca piena e perfetta ha da essere vivificata e corroborata dalla grazia dei sacramenti della Confessione e della Eucaristia. Diffidate, o fratelli, dell'istruzione scompagnata dall'uso ai SS. Sacramenti. Gesù Cristo, che conosce i bisogni dell'anima, li istituì come correttivo dei difetti ed alimento di virtù. Or se i Sacramenti sono necessari agli adulti, lo sono tanto più per i fanciulli, cui dentro le passioni cominciano a far guerra, cui fuori son tesi tanti lacci. Se mancassero altri argomenti, basterebbe a persuadercene la sapiente e provvidenziale Enciclica del S. P. Pio X sulla S. Comunione dei fanciulli. Dal frequentare la Confessione e la S. Mensa il Vicario di Gesù Cristo meritamente spera non solo la loro per severanza nel bene, ma la restaurazione cristiana nel mondo.
.... In un paesello, che ben ricordo, tutto il popolo si accostò alla S. Mensa per lucrare l'Indulgenza plenaria. Era gli altri si presentarono un padre ed una madre, recanti in braccio, questa una figliuoletta, quello un fanciullo, entrambi sui sette anni. L'uno e l'altra ricevettero l'Ostia santa e poi con una grazia di paradiso sporsero a riceverla i loro piccini. Si ritirarono quindi sul banco, dove li vidi, chini sulle loro creature, suggerire pensieri ed affetti di fede e di ringraziamento all'Ospite divino dimorante nei loro cuori. A quella scena indimenticabile, io non ho potuto frenare una lagrima e dissi a Gesù che ricolmasse di benedizioni e padri e figli, poiché ne erano ben degni. Quelli erano genitori cristiani, che sapevano far cristiani i figli!
Padri e madri, voleva riserbarvi una parola particolare sui fanciulli, ma mi avvedo di avervela ormai detta, perchè non è possibile parlar di essi, senza toccare i doveri dei genitori. Mi resta tuttavia a dirvi di considerare i vostri figli non come un peso, piuttosto come un tesoro concessovi da Dio, perchè lo facciate fruttificare. Ed il tesoro, mediante la cristiana educazione, fruttificherà non a Dio solo, ma ancora a voi stessi, secondo il detto dei Libri santi: « Il figliuolo saggio è l'allegrezza del padre (Prov. X, 1) ; il figliuolo stolto è l'ira del padre ed il dolore della madre che lo ha generato (Prov, XVII, 25). Badate inoltre a chi confidate il vostro tesoro. Se si tratta di danaro, si sogliono usare tutte le possibili cautele per non perderlo; se si tratta dei figli, vi sono genitori così ciechi, che li consegnano al primo venuto. Può occorrervi di dover allontanare da voi i figli per ragioni di studio, o per altro. Ebbene assicuratevi prima se il Collegio è cristiano, se i libri che si usano sono onesti, se la famiglia pensionante è degna di fiducia, se infine i vostri figli saranno amati, assistiti, rispettati come conviensi cristianamente, acciocchè non venga distrutto in un mese l'amoroso vostro lavoro di anni ed anni.
Mentre parlo dei fanciulli ai loro padri secondo natura, non debbo obliare i padri secondo la grazia. Mi rivolgo a voi, Sacerdoti, a voi, Parroci, che la Chiesa ha costituito pastori in mezzo al popolo cristiano. Poichè rappresentate lo stesso Salvatore, del suo spirito e della sua carità rivestitevi verso i fanciulli. A sua imitazione dite pur voi, non solo colle parole, ma col fatto: Lasciate che i pargoli vengano a me...
Ed ora una parola anche a voi, o ricchi. Vedo che il mio appello vi sorprende e che forse dite in cuor vostro: E che c'entriamo noi coi fanciulli? Per fermo elle c'entrate e più di altri, è perchè a voi sopratutto disse Gesù Cristo: « Chi accoglie uno di questi piccoli accoglie me stesso ». Ogni buon cristiano deve avere il desiderio di beneficare i fanciulli, ma non tutti ne hanno i mezzi. Ciò non ostante, cosa singolare! non è raro trovare un povero orfanello derelitto raccolto in una casa di contadini o di operai, ed ivi trattato come figlio, mentre rarissimamente lo incontrerete nella casa del ricco. E non sono precisamente i ricchi designati dalla Provvidenza ad essere il sostegno dei miserabili? Quando Iddio, vero e assoluto padrone dell'universo, vi faceva, o ricchi, nascere in una famiglia agiata, od altrimenti vi apriva le vie della fortuna, intendeva forse di favorirvi a detrimento dei poveri, dei poveri che gli sono figli quanto voi? Suo intento era di confidarvi le sue ricchezze perchè le amministraste in favore dei diseredati, acciocchè nella cristiana carità si ristabilisca con reciproco vantaggio la fraterna eguaglianza. Donde la massima di Gesù Cristo : Ciò che sopravvanza, si intende, all'onesto sostentamento, datelo in elemosina (Luc. XI, 41). Io so bene che sono molte le miserie da lenire e le lagrime da asciugare, ma per me non vi è miseria, nè lagrima più degna di commiserazione di quella di un povero fanciullo derelitto, che non conosce neppure la propria estrema infelicità. Ad esso manca non solo il pane, ma l'educazione cristiana, l'istruzione che lo salvino dal delitto, dal carcere, dalla dannazione eterna. Nessuna carità dunque più necessaria e più fiorita... Date il vostro obolo per le opere parrocchiali dirette a moralizzare ed istruire la gioventù. Io son certo che le somme collocate sulla banca della carità vi dànno il frutto promesso infallibilmente da Gesù Cristo: il centuplo nella vita presente ed il possesso della vita eterna (Matt. XIX, 29).
Ma io voglio i fanciulli raccomandati a tutti indistintamente, perchè non vi è chi non possa fare ad essi del bene. Una parola buona, un consiglio opportuno, una correzione amorevole, cose, come vedete, facilissime, sono sempre a loro di giovamento. Ma se non siete in grado di procurare un bene positivo, astenetevi almeno da ogni parola, da ogni atto, da ogni cosa, che loro rechi malo esempio. Un autore pagano già pronunciò questa aurea sentenza: « Al fanciullo è dovuta una riverenza massima »; ma Gesù Cristo, che conosce la preziosità dell'anima sua innocente, la pose direttamente sotto la protezione di Dio. Egli ha detto: Badate di non far poco conto di un solo di questi piccolini, perchè vi dico che i loro Angeli vedono sempre la faccia del Padre che sta nei cieli (Matt. XIII, 10 ).
(1) Continuazione e fine. - Ved. marzo u. s.
CINA
SCENE PIETOSE DI FEDE in un lazzaretto di appestati, 94 BATTESIMI. (Lettera del Sac. Luigi Versiglia).
Yeung Shan (Macao, Cina) 24 marzo 1913. REV.MO SIG. D. ALBERA,
SEMBRA che questa parte della Cina attraversi un brutto quarto d'ora. La guerra civile e la rivoluzione passarono per ogni parte come una bufera, rapida nel suo corso, ma terribile negli effetti, avendo lasciato lo sgomento nei pacifici cittadini, mentre crebbe l'ardire nei malvagi, il commercio ed il lavoro si arrestarono e in molti luoghi i poveri furono spogliati e la prepotenza si eresse a diritto. La fame ha fatto essa pure le sue vittime, e, come se tutto ciò non bastasse, il terribile flagello della peste bubbonica venne a infestare diverse contrade.
Arrivavo da una lunga escursione quando un cristiano, salutandomi: - Padre, mi dice, non sei ancora andato a Wan Chai?
- A che fare?
- Vi sono moltì appestati.
- Dove?
- Nel lazzaretto.
Non me lo faccio ridire, e corro tosto; si tratta di un'ora circa di cammino. Non si creda che questo lazzaretto sia un edifizio in piena regola; è una grande baracca di bambù, ricoperta di foglie e circondata di stuoie, che per pavimento ha un graticcio di canne elevato un mezzo metro dal suolo. Anche gli scompartimenti sono fatti con stuoie, ciascuno ha l'ingresso da una specie di corridoio nel mezzo e misura un tre metri per lato, e lungo ogni lato, eccetto quel della porta, ha un letto, un letto per modo di dire, due nude tavole, una stuoia, posta su quella specie di pavimento, e un mattoncino di maiolica per cuscino.... Di pulizia, di disinfezione, di misure igieniche non se ne parla: basti il dire che gli ammalati ordinari e gli appestati stanno tutti insieme. Quando muore uno, si cambia tutt'al più la stuoia e si toglie la sudicia coperta, e il resto rimane ed in quel posto vien collocato senz'altro il primo che arriva, qualunque sia la malattia. Il medico vi si affaccia tana o due volte al giorno, ma non si parla di cura... ed anche il cibo è meschino: un po' di patate dolci cotte nell'acqua e condite con po' di strutto, o un pezzo di zucca gialla imbandita allo stesso modo, insomma quasi quasi neppur il sufficiente per non morire di fame.
- Padre, mi diceva il catechista, questo è un luogo dove vengono quelli che vogliono morire senza dare impicci alla famiglia e senza spese!
La prima volta che giunsi al lazzaretto, mi trovai di fronte a uno scompartimento femminile. Entro e vedo da un lato una povera ragazza di circa 12 anni, di aspetto dolce per sè e gentile, ma pallida del pallor della morte e coi cappelli scarmigliati. Il sangue, che per la veemenza del male rigetta di quando in quando, le imporpora la bocca. Stesa su uno di quei miseri giacigli, ha una grossa e rozza catena ad un piede per tèma che nel delirio della febbre abbia a fuggire... e presso a lei è il babbo, accovacciato per terra, che la contempla immobile e si direbbe il ritratto del dolore.
- Lau-fan! (straniero!) mi dice, appena si accorge della mia presenza; se hai qualche rimedio, salvala, è mia figlia...
Mi rammentai della preghiera della povera Cananea per la figlia inferma... ed oh! avessi potuto usare in quel momento della virtù del Divino Maestro per consolare quel povero padre!
- Senti, gli dissi commosso, fino alle lagrime; io non posso guarire tua figlia; però, se vuoi, le darò una medicina che la farà felice dopo morte, e dal suo luogo di felicità potrà proteggere anche te.
- Si! rispose con slancio.
- Ebbene, dille che rinunci agli idoli e adori Dio creatore del Cielo e della terra!
Alla parola Dio la piccina spalanca gli occhi in atto di adesione, ascolta attentamente la breve spiegazione che il grave caso portava e risponde ad ogni interrogazione con esile pia chiara voce: - Sì, signore, credo. - Vuoi dunque essere battezzata? - Sì... - Ebbene ricevi il Battesimo! - Verso sul suo capo l'acqua salutare, e la poveretta sembra trasformarsi ; si vede visibilmente che un influsso salutare la pervade e le dà un aspetto angelico.
- Dunque ora sono figlia di Dio? mi chiede con infantile ingenuità.
- Sì, e fra breve andrai a vederlo e godere delle sue ricchezze.
- Grazie, Padre, grazie ! - e con slancio superiore all'età mi prende la mano e vi stampa un bacio lasciandovi l'impronta del sangue. Poi, additandomi la grossa catena che teneva al piede, continuò : - E questa non mi impedirà di andare a Dio?
- No, sta' quieta! - e volto ad un infermiere, lasciandogli cadere in piano una moneta: - Sciogli quella catena, gli dissi, e non temere; ché non si muoverà più dal suo posto... - E volgendomi di nuovo alla piccina soggiunsi: - Ripeti di quando in quando: Je-su, Ma-li-a, kau ngoo (Gesù, Maria, salvatemi).
- Sì, padre! e lo fece subito.
Mi ritirai benedicendola, mentre andava ripetendomi ancora: Grazie, grazie!
Dopo un'ora, compiuto il mio giro, sono di ritorno a quel punto, e la fanciulla era già volata al Cielo.
In un altro scompartimento odo delle grida strazianti, entro e vedo un uomo ed un fanciullo attorno una giovane donna coi sintomi già evidenti di una morte non lontana, che inveiscono contro gli spiriti, emettendo grida da far raccapriccio. Dissi all'uomo
- Non vedi che, invece di confortarla, la uccidi innanzi tempo con quelle tue grida?
-- Ed allora che cosa debbo fare?
-- Se le vuoi bene davvero, procurale la felicità almeno nell'altra vita...
- Come?
- Dille di farsi cristiana.
- Ma io non ho danaro....
- Non occorre danaro: - e spiegai un po' di Dottrina Cristiana, mentre la povera inferma teneva gli occhi fissi in faccia al marito per leggerne le intenzioni. Ed egli, dopo un po' di riflessione, le domandò
-- Ebbene, vuoi andare nel luogo di felicità che ti promette questo straniero?
- Credi tu quello che or ora ti ho detto
- le chiesi io?
- Sì, sì! credo.
- Di' dal fondo del cuore: « Mio Dio, uno e trino, abbi pietà di me; Gesù, figlio di Dio, salvatemi ».
- Sì! - rispose, e ripetè con slancio le mie parole. Allora la battezzai e feci a tempo... pochi istanti dopo, presa da un attacco violento moriva esclamando: « Gesù, figlio di Dio, datemi la felicità!....».
Nel primo giorno furono una decina quelli cui si potè amministrare il S. Battesimo e tutti passarono a miglior vita.
Dopo quattro giorni che si andava al lazzaretto, il numero dei battezzati era già vicino alla trentina. Il quarto giorno m'imbattei in un povero contadino di circa quarant'anni, sul quale i bubboni del morbo erano così enormi da coprirgli la faccia, mentre la febbre lo bruciava ed il rantolo dell'agonia già stava soffocandolo. Ma aveva una perfetta lucidità di mente.
- Amico, gli dissi avvicinandomi, soffri molto, non è vero?
Mi rispose di sì col capo.
- Vuoi finire questi dolori ed andare a godere per sempre?...
Mi fece un gesto quasi di dispetto, credendo che volessi prendermi giuoco di lui.
- No, soggiunsi, non ti inganno, si tratta solo di rinnunciare agli idoli ed adorare Iddio, creatore del cielo e della terra; ed Egli, morto elle tu sia, ti darà la felicità.
A queste parole quel volto mutò d' un tratto ed un sorriso, quasi di approvazione, gli sfiorò le labbra contraffatte.
- Or bene, ascolta la poca Dottrina che t'insegnerò, e quindi se tu vorrai ti laverò la fronte con poca acqua, pronunzierò contemporaneamente una preghiera e così saranno perdonati i tuoi peccati e sarai degno di andare al Cielo.
Il pover'uomo, pur nel suo stato così grave, rimase come chi ascolta una grande e straordinaria novella. Gli spiego brevemente le principali verità da credersi; mentre il male progredisce a vista d'occhio ed anzi minaccia soffocarlo, quindi mi affretto a domandargli
- Credi a quanto ti ho detto?
Ed egli raccogliendo tutte le sue forze quasi gemendo mi risponde:
-S... o... n (son! cioè credo!)
- Vuoi dunque la lavanda per la remissione dei peccati?
Con un altro sforzo estremo china alquanto il capo per rispondere: voglio; ma gli occhi gli intorbidano e si stravolgono, il pallore della morte lo ricopre. Era tempo; la voce si perde in un lungo rantoloso e prolungato sospiro, l'acqua rigeneratrice cade sulla sua fronte e coll'ultima parola sacramentale il fortunato esala l'ultimo respiro, nato contemporaneamente alla grazia e al Cielo.... Ne benedissi il cadavere e, voltomi al catechista, vidi che egli pure col dosso della mano si asciugava una lagrima.
Questa gente, allorché è in procinto di andarsene ad un mondo nuovo, d'ordinario sente parlare volentieri di un futuro che non conosce.. Sopraffattì quasi dai dolori e sovente abbandonati da tutti, senza più una speranza su questa terra, i più quasi sempre son ben disposti ad accettare la speranza di una felicità futura e l'abbracciano anche con trasporto. Ma non sempre le cose corrono così liscie ; anche il missionario talora ha le sue disdette.
In un altro scompartimento trovo una vecchia talmente scarna che la diresti quattro ossa spolpate; le occhiaie incassate, gli zigomi sporgenti, le braccia nude e le mani e le dita così ischeletrite, da parere veramente una di quelle figure che si dipingono con la falce in mano per rappresentare la morte. La voce è stridula come di uno strumento rotto, ma la lingua è sciolta e chiacchiera continuamente, benché colpita dal male. Appena mi vide entrare:
- Oh ti conosco, mi disse, tu sei un adoratore di Dio; io non voglio adorare Dio perchè voi cristiani dopo morte mettete tutte le ossa insieme in una cisterna (alludendo all'ossario del Camposanto di Macao).
- Che t'importa delle ossa quando sei morta? pensa a salvarti l'anima.
- Gli spiriti che io adoro faranno rinascere l'anima mia in una ricca persona ed allora sarò felice. Voi invece, che non adorate gli spiriti, rinascerete nei cani.
- In tal caso abbaieremo contro di te! - gridò il catechista risentito.
- Ma chi ti disse, proseguii, che noi non adoriamo gli spiriti, mentre noi adoriamo il Primo Spirito, l'unico che meriti di essere adorato, Dio, colui che ha la podestà di farci risorgere non già in altra persona ma nello stesso corpo per premiarci o punirci secon dochè avremo o non avremo osservata la sua legge?
- Voi fan quai (diavoli di europei) credete così; noi cinesi crediamo diversamente ed io non voglio credere nulla di Europeo...
- Già perchè il sole Cinese non è lo stesso che l'Europeo! Tuttavia, prendi! - e le offro una moneta inglese, cui ella stende subito la mano; ma io ritirando la moneta soggiunsi: - Adagio, non vedi che è inglese...
- Meglio ancora, val di più!
- Ah dunque le monete anche non cinesi le ricevi perchè buone e le preferisci alle cinesi... E perchè non vuoi la religione europea, se questa è migliore della tua?
Con un gesto di dispetto si voltò dall'altra parte brontolando:
- Noi abbiamo sempre fatto così e non abbiamo bisogno di mutare; tienti la tua religione e la tua moneta.
Dall'altro lato era una povera mamma con una bambina di circa due anni; e senza molti preamboli: - Lascia, le dissi, che battezzi la tua bambina; se guarisce rimarrà cristiana, se muore l'avrai protettrice in Cielo.
La povera donna mi guardava indecisa...
- Non lasciarla battezzare, saltò a dire la vecchia megera, essi poi te la rubano e non te la daranno più.
- Bell'acquisto farebbe il Padre, se si pigliasse te; osservò il catechista; siete qui perchè non sapete ove andare...
- Taci! - gli feci e rivolto alla donna: - Non badare a quella vecchia; ora che sei in tempo, pensa a rendere felice tua figlia almeno nella vita futura; tanto ella non può più campare, non perdere la buona occasione.
- É vero, rispose colle lagrime agli occhi ; ma temo la vendetta degli spiriti.
-Anzi! gli spiriti avran paura di lei quando sarà cristiana.
- I Cristiani non adorano i loro morti, torna a dire la vecchia.
- Sta sicura che nessuno adorerà te, vecchia brontolona! - proruppe il catechista.
Dovetti dargli sulla voce una seconda volta, ma dissi anche alla vecchia: --- Senti: io non parlo cori te, nè questo affare t'appartiene; non mettere quindi il naso nei negozi altrui. Se vuoi andar tu a casa del diavolo, fa' quel che vuoi ; ma lascia liberi gli altri di fare quel che vogliono. - E volto alla mamma della bambina:
- Morta che sia, la tua figliuola non abbisognerà più di nessuna oblazione da parte tua, anzi essa ti potrà aiutare ottenendoti dei favori da Dio...
- Ebbene, battezzala.
La vecchia continuò a brontolare, ma un atto minaccioso del catechista, che aveva già perduto quasi la pazienza, la mise un po' più sull'attenti, ma non per questo desistè di scagliarci dietro un ultimo insulto quando eravamo sulla porta per andarcene : - Brutti diavoli di Europei!...
Un giorno pioveva a dirotto ; e v'era chi mi consigliava a non uscire; ma ascoltando la voce del cuore, o meglio l'ispirazione di Dio, torno al lazzaretto per cercar qualche anima da sollevare. Con me veniva il catechista, l'ex-fumatore di oppio convertito. Si cammina per lunga pezza silenziosi sotto l'imperversare della pioggia. D'un tratto egli mi dice: -Padre, quest'oggi dovremo ricevere una grande consolazione... - Perchè? - Perchè?... ti pare che il Signore non ti dovrà premiare? Tu sei Europeo e più delicato di noi; eppure nonostante un tempo sì perverso, non non badi a te stesso per correre in aiuto di quelli che soffrono... - Eh sia! risposi... staremo a vedere. - Sì, padre, il cuore mi dice che il Signore ti guida... - Così sia! - e la conversazione finì.
Giunto al lazzaretto: - Padre, Padre, sento gridare: l'angelo del Signore ti ha mandato...
Vieni presto, battezzami prima che muoia!...
Mi volgo a quella parte e vedo una donna inferma: - Come? Sai tu che cosa sia il Battesimo ?
- Sì, Padre, ho già studiato tutta la Dottrina Cristiana; ma presto, per carità, temo di morire prima di essere battezzata.
La interrogo e vedo che sa la Dottrina perfettamente. - Ebbene, Maria, le dissi, così sarai chiamata d'ora avanti, recita di cuore l'atto di contrizione ed io ti battezzo nel nome del Padre ecc....
Finita la breve cerimonia: - Ora sei contenta? le chiesi. Ora non temerai più di morire.
-No, Padre, ora più non temo, grazie, grazie!... Ma, ier sera... stanotte, che momenti dolorosi, Padre, che angoscia per me; ascolta! - e mi narrò la sua storia: Allevata da una famiglia cristiana ne appresi la dottrina; di cui a un mese o due avrei dovuto essere battezzata per sposarmi ad un giovane cristiano... ma, come vedi, il Signore ha disposto diversamente. Colta da questo terribile contagio, quella famiglia si disfece di me e sotto pretesto di condurmi dal dottore fui condotta ed abbandonata in questo luogo di dolore... Immagina, Padre, la mia costernazione quando mi accorsi del giuoco!... Sola, in mezzo a gente tutta pagana; colla fede nel cuore, ma ancor senza battesimo. Oh! non era l'abbandono che più mi straziava l'anima, era il timore di dovermi presentare a Dio senza essere ancora cristiana... Padre, che dolore!... Ma il Signore ebbe pietà di me... e il tuo angelo, sì il tuo angelo ti ha qui condotto... - Dagli occhi le sgorgavano copiose lagrime e i singulti prodotti dalla commozione le troncarono per un istante la parola.
La confortai a riporre tutta la fiducia nel Signore in quell'ultimo spazio di vita e quando la vidi calma le domandai:
- Dunque sei contenta di andare in Cielo?
- Sì, Padre: il Signore non mi voleva per le nozze di quaggiù; andiamo al Cielo, andiamo al Cielo... - Le diedi una medaglia di Maria SS. Ausiliatrice che baciò con trasporto; le raccomandai di recitare di quando in quando qualche preghiera che ella sapeva perfettamente; la benedissi e me ne andai col cuore pieno della più dolce emozione.
Nella stessa sera un nostro confratello che passò di là la vide in agonia: pareva non comprendesse più nulla, ma aveva le mani giunte verso il cielo e dalle sue labbra, come da quelle di tuia persona delirante, si udivano di quando in quando a monosillabi le parole Je-su Ma-li-à. E il catechista che più tardi la vide morta, mi disse che aveva il volto composto ad un placido sorriso e che da tutto il suo aspetto traspariva un'aria celestiale e: - Te l'aveva detto conchiudeva, Padre, che il Signore ci avrebbe .premiati!
Era già più d'una settimana che il morbo continuava nella sua intensità, e il lazzaretto era sempre affollato ed in mezzo ai molti infelici che morivano il Signore chiamava a sè altre anime.
Un uomo di statura gigantesca, un vero Ercole, stava dibattendosi tra le strette del male; due forti catene lo teneano stretto ai piedi, precauzione non superflua! guai se quel colosso nell'impeto di un delirio fosse libero di se stesso! Mi accosto e incomincio naturalmente a parlare del male, ed egli mi mostra quattro grossi bubboni alle ascelle ed al collo. Gli parlo di Dio e del Paradiso e mi ascolta meravigliato e soddisfatto nello stesso tempo; gli chiedo se vuol essere battezzato e risponde di sì. Contento di esservi così facilmente riuscito, mi affretto a completare l'istruzione di circostanza e gli amnistro il battesimo.
Allorchè sentì l'acqua sul capo, ad un tratto si scosse e mandando quasi un ruggito : -.No, no! - esclamò. Che era stato? Forse un'ultima tentazione del demonio? forse era una finzione la sua? Sconcertato non seppi trattenermi dal dirgli
- Infelice!... così tu cerchi ingannarmi? guarda che con Dio non si scherza...
Il pover'uomo, sconcertato più di me, con un moto istintivo mi afferra la veste e quasi piangendo: - Perdonami, padre, esclama, perdonami, non ho potuto trattenermi; l'acqua fredda che mi versavi sulla fronte arsa dalla febbre mi fece un'impressione troppo repentina; non ho saputo contenermi, perdonami, non andar via adirato, oh! sì., sì voglio andare in cielo, perdonami, perdonami.
Mi sentii commosso fino alle lagrime, e:
- Sta' tranquillo, gli risposi, sta' tranquillo, ora ho compreso; - gli posi al collo un piccolo crocifisso che baciò colle lagrime, e: - Stringilo di quando in quando al petto e digli con tutto il cuore: « Gesù salvatore, abbi pietà di me ». - Me lo promise con un cenno di capo, chè la commozione gli impediva di parlare, lo benedissi e partii. Il giorno dopo, tornai a vederlo; era morto e ancora teneva stretto il crocifisso sul cuore. (Continua).
Indulgenza plenaria:
1) l'11 maggio, solennità di Pentecoste; 2) il 18 maggio, festa della SS. Trinità ; 3) il 22 maggio, festa del Corpus Domini; 4) il 24 maggio, festa di Maria Ausiliatrice.
Pel 24 corrente niuno manchi di pellegrinare in ispirito ai piedi dell'augusta Regina: è il giorno dei suoi trionfi e dette sue misericordi.! Preghiamola per i nostri bisogni spirituali e temporali; raccomandiamo a Lei le intenzioni del Sommo Pontefice e le suppliche che giungono al Santuario da ogni punto della terra, e, con filiale confidenza, non lasciamo di implorare una benedizione speciale sulla Causa di Beatificazione del Venerabile Don Giovanni Bosco, che fu „l'Apostolo della devozione a Maria Ausiliatrice".
Avvisi e raccomandazioni.
Ai sigg. Direttori, Decurioni, Zelatori e Zelatrici raccomandiamo la seconda Conferenza annuale, prescritta dal Regolamento, per la solennità di Maria Ausiliatrice.
All'uopo invitino qualche zelante conferenziere, o preghino l'oratore del Mese Mariano od il predicatore domenicale della chiesa principale del luogo, a consacrare un discorso alle glorie di Maria SS. Ausiliatrice.
A tutti i Cooperatori raccomandiamo di ascriversi o di procurare nuove ascrizioni all'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice. Agli ascritti si propongono due cose: « Promuovere la gloria della Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte ; e promuovere e dilatare la venerazìone a Gesù Sacramentato ».
A tutti gli Ascritti all'Associazione dei divoti raccomandiamo la nuova edizione del manuale di pietà « Il Divoto di Maria Ausiliatrice » che ha numerosissime preghiere indulgenziate, riflessioni settimanali, speciali ossequi per ogni sabato, ed un Corso di Letture bel Mese Mariano, tratte dalle opere del Ven. D. Bosco e illustranti i loro doveri come ascritti alla Associazione suddetta.
Il Ven. Don Bosco era solito dire: « Quando uno vuole raccomandarsi a Maria SS. con qualche novena stia attento a tre cose
» 1° Di non avere niuna speranze nella virtù degli uomini: fede in Dio.
» 2° La domanda si appoggi totalmente a Gesù Sacramentato, fonte di grazia e di benedizione. Si appoggi sopra la potenza di Maria, che in questo tempio di Valdocco Dio vuole glorificare sopra la terra.
» 3° Ma in ogni caso si metta la condizione del fiat voluntas tua e se è bene per l'anima di colui per cui si prega ».
E raccomandava
1° di recitare per nove giorni 3 Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con la giaculatoria Cor Jesu Sacratissimum, miserere nobis (Cuore Sacratissimo di Gesù, abbiate pietà di noi) e tre Salve Regina a Maria SS. con la giaculatoria Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis (O Maria, Aiuto dei Cristiani, pregate per noi) ;
2° di accostarsi ai SS. Sacramenti;
3° di fare o promettere un'elemosina proporzionata alle proprie forze a vantaggio delle Opere Salesiane.
La Novena suggerita da Don Bosco.
GRAZIE E FAVORI
Al principio del mese di M. Ausiliatrice (1).
L'anno scorso, ai primi di aprile, mio marito si pose a letto con sintomi di grave malattia. Infatti non tardò a manifestarsi una violenta bronco-polmonite, cui si aggiunse un forte attacco di pleurite. Vissi giorni terribili nel timore d'una catastrofe imminente, finchè il giorno 23 dell'accennato mese di aprile nell'udire le campane della chiesa di questo Collegio Salesiano suonar festosamente per annunziare il principio del mese di Maria Ausiliatrice levai un grido alla Vergine esclamando con fede: « O Maria! mostratemi che siete l'Ausiliatrice potente e benigna; salvatelo Voi; serbatelo ai piccoli figli e alla desolata consorte.. »; e promisi un'offerta e la pubblicazione della grazia sul Bollettino e con ferma fiducia attesi la guarigione.
Senz'altro gli attacchi violenti diminuirono e lentamente ma sicuramente l'ammalato entrò in convalescenza per giungere ad una guarigione completa e provata. È passato un anno dal giorno della mia preghiera e oggi la ripeto con fede in umile ma cordiale ringraziamento.
Randazzo, 23 aprile 1913.
CATERINA RIBIZZi NATA DILETTOSO.
Crosano (Trentino). - Per più d'un mese in arresto, sotto l'imputazione di infame calunnia, architettata a base di lettere anonime convalidate da false testimonianze, nel pericolo d'esser io infamato e rovinato il paese per opera di pochi perversi, invocai Te, Vergine Ausiliatrice, e non invano! Infatti, per la potente tua intercessione, la verità si fe' strada ed il tutto terminò col trionfo di Dio, del sacerdozio e del buon popolo del paese. Grazie, o Aiuto potente del popolo cristiano,
25 marzo 1913.
P. Giov. MARCHETTI, Curato.
Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice, e alcuni pieni di riconoscenza inviarono offerte per la celebrazione di S. Messe di ringraziamento, o per le Missioni Salesiane, o per le altre Opere di Don Bosco, i segmenti
A*) - Agliano d'Asti : Margherita Gioda, 4 - Alessandria: Teresa Lorenzi, 5 - Alice Castello: T. S. 5 - id.: F. O., 2 -Andria : N. A., 3 -Aosta C. E. M., 5o - Arluno : G. B., io - Ascoli Piceno : M. M., 3 - Asti : Sac. I,. G., 2 -Ayas O. J. P.,. io.
B) - Balangero : Domenica Macellaro, io - Barazzetto : M. M., 5 - Bardalone Pistoiese : Gioachino Prioreschi, io - Bari : Maria MummoloMastrangelo, 6 - Bellinzago Novarese : A. B., 7 - Belpasso : Francesco Spina, io -- Bere guardo M. C., 8 - Bessolo : Maria Bessolo, 5 - Bianzè G. G., io - Biella : F. G., 5 - Bistagno R. B., 2 - Bobbio Pavese : Paolina Bellocchio, io - Bologna : R. R., 8 - id.: G. B., 2 - id.: I. B., 3 - Bonvicino : G. M., 7 - Borno : Margherita Venturelli, 6 - Bosconero : Margherita Pagliassotti, 3 - Bova Superiore : N. C. P., 5 - Bovalino Marina Achille Carneri, 6 - Bra : Clotilde Ternavasio, i - id.. Marcella Bertolotti - Briona : I,. G., 5 - Bronte : N. B., 2 - Brusson : C. G., 20 - Buenos Ayres (Rep. Arg.): Matilde Passatore - Busca: Francesca Einaudi - Busto Arsizio : Antonia Turconi, 15
C) - Cagliari Raffaele Piras fu Giacinto, 5 - id.: Marietta Atzeni - id.: P. M. 5 - Calizzano Filomena Cannonero, 3 - Caltagirone : Can. Giacomo Caristia, 50 - Caluso : C. C. - Camerata Cornelio : N. N., 3 - Campagna di Maniago : B. G., io - Canale (Trentino): Monica Loss-Rubin, 17,85 - Cannobbio : A. A., 2 - Caramagna (Piemonte): Giovanni Tropini fu Antonio, io - id. : Domenico Copello, 4 - id. : Maria Demichelis, io - Carde' G. M., 2 - id.: Giambattista Vaira, 15 - Carmagnola : Teresa Gruaglio, 2 - Casale Monferrato M. M. - Casal Morano : G. P., 5 - Casarza della Delizia : Anna Fantin fu Pietro, 3 - Casorate Sempione : C. L., 5 - Cassano Valcuvia : Palmira De Tomatis, 2 - Cassolnuovo : F. G., 5 - Castagnole delle Lanze : Luigia Cantone, 2 - Castagnole Piemonte : M. C., io - Castelnuovo d'Asti G. C. - Cavaglià : Giovanni Apostolo, 5 - Cavallermaggiore : Giorgio Longo - Challand St-Victor P. M., 5o - Châtillon : Filomena Jacquemet, 35 - Chioggia : Angelo Nordio, 5 -- Ciminna : Santi Ferrante, 5 - Cocquio : Palmira Morosi, 5 - Congo Giuditta Bernasconi, 5 - Corbetta : Rosalia Radael, io - Cornegliano d'Alba: Marianna V. Giordano, 5 - Crevacuore : Candidio Ciancia-Corlet, 5.
D) - Domodossola : B. C.
E) - Esanatolia : Teresa Antonioni, 5.
F) - Firenze : A. M., 4 - Fonzaso : Pasqua de Lazzero, 5 - Forlimpopoli : Teresa Giorgetti, 5 - Frassinello Monferrato : Mansueta Debernardi.
G) - Galbiate : Angela Cesarea, io - Gemona Sac. Giacomo Sclisizzo - Genova : Vittorio Gatti, io - id.: Celestina Ivaldi, 12 - Grammichele Gaetano Lirosi, io - Granarolo : Sac. Zaccaria Sante, 5 - Gussago : Giuseppe Pinardi, 5.
I) - Isolabella di Poirino : Giuseppe Chiello, 5 - Isola d'Asti: Angelo Pia, 5
L) - Lampertsmiill (Baviera): Vergina Mauro, 3 - Lanzo Torinese : Adele Magnetti - Lugano (Ticino): N. N.
M) - Mede : Virginia Demartini, 5 - Menaggio : Maria Albertini - Merlengo di Ponzano Edoardo Lanzarini, 5 - Miasco d'Asti: N. N., 5 - Milano : Veronica Lesbich, 2 - Mineo : A. C. B. - Modena : Maria Mucci, io - Moneglia : L. Perini, 5 - Monfestino: Francesca Candeli in Casolari, 8 - Montà. Albino Benazzato, io - Montaldo Torinese : Assunta Roccati, 5 - Montanaro : Giovanna Condo, 5 - Montevarchi : Prisco Nepi, 5 - Moretta : Placida Lardone, 5 - Mossano : Antonio Passuello, 2 - Molta di Livenza : C. P., io.
N) -New York City (America): L. T., io.
O) - Occhieppo Inferiore : Bartolomeo Milglossa - Oleggio Grande : Maria Fattaneo, 5 - Ozieri N. N., 5.
P) - Padova : Sac. M. Fabris, 15 - id.: G. Alberti, io - id.: Filomena Fontana, 5 - Palermo Giuseppe Scuderi - Parma : N. N., io - id. : Maria Rosselli, 5 -Pavia: Emilia Costa, 20 - Perletto : N. N., 5.
R) - Randazzo : Antonio Manitello, io - Rho Sofia Orlandi, 15 - Rimini: Malvigi, 5 -- Rio de Janeiro (Brasile): Ninfa Peloso, 5 - Robella di Trino: Leone Ferrarotti, io - Roppolo Biellese: Cristina Monti, 2.
S) --- Saltano : N. N., 5 - San Giorgio Lomellina: Giulia Anglese, io - San Michele di Piave C. G., 5 - Sannazzaro : Adelina Prigioni in Geranza 5 - San Salvatore Monferrato : Maria Cabria in Tizzoni, 2 - id.: Carolina Camerati - San Sebastiano Po : Giovanni Birolo, 5 - Sant' Alfio : Marianna Russo-Patané, io - id. : Marietta Patanè, 5 -- Sedrina : Giovanna Belli, 2 - Selva di Progno : Daniele Bugnola, 3.40 - Soave di Verona Candido Tanin, 5 - Sommariva Perno : Bartolomeo Delmondo, 5 - Sondrio : Ida Tosetti, 20 - Storanzano (Gorizia): Can. Domenico Feruglio, 21 - Stroppiana : G. C., 3.50
T) - Torino : A. C., 5 - id.: A. F. 51., ,5 - id. B. S. C., 50 --- id. : C. M., 5 - id. : Andrea Sìccardi, 5 - id. : Antonietta Beltrame, 5 - id.: G. e O. Bertinaria, 5 - id.: Catterina P., io - id. : Edvige Falconet, 5 - id. : Fortunata Ferrari, 5 - id.: Luigia Coppo, io - id.: Maddalena Berardo, 1,50 - id.: Rosa B. - Torre dei Passeri : Elisa Orlando in Cavalli, 15 - Torrione-Bordighera Sac. Perrot - Trecate : N. N., 2 -- Treviso : Ch Guglielmo Cagnin, 7.50 - Trieste : Marcella Galli, 15 Trino Vercellese : R. P., 5 - id.: R. E., 5 - id.: R. A., 5 - Trisobbio : Maria Cazzulini-Panizza, 2 - Tromello : G. V., 5 - Tronzano Vercellese : Petronilla Rubiana, 5 .
V) - Venezia : Giovanna Alexandre, 15 - id. Maria Torres, 25 - id. : Lucrezia Dei Pisani, 5 - Vidracco Canavese : N. N. - Vigevano : N. N., 3 - Vignole Borbera: Elisa Arona e fratello, 5 - Villadeati : Caterina Magnolie, 5 - id. : Luigi M. - Villagrazia : Rosa Saitta ved. Modica, 15 - Villalvernia : Maria Bianchi, 3 - Villanova di Casale N. N. - Villanova d'Asti: T. B. -- Vimercate Michelina Gallarati, 5 - Vinchio d'Asti: A. R. - Vinovo : Anna Griffa, i - Virle Piemonte : P. E., 5 - Volvera : Clotilde Martinengo - id. : Maria Porporati.
7,) - Zimone : Maria Givone, 2.
X) -- N. N., 30 - A. F. - N. N. 5 - Elisabetta Garofolo, io - M. M.
Santuario di Maria Ausiliatrice
TORINO-VALDOCCO
Ogni giorno, celebrazione di una santa messa esclusivamente secondo l'intenzione di tutti quelli che in qualunque modo e misura hanno concorso o concorreranno a beneficare il Santuario o l'annesso Oratorio Salesiano. Per ogni córrispondenza in proposito, come anche per Messe o novene o tridui di Benedizione col SS. Sacramento, rivolgersi al Rettore del Santuario di Maria SS. Ausiliatrice, Via Cottolengo, 32 - Torino.
Ogni sabato, alle 7.3o speciali preghiere per gli associati all'Arciconfraternita di Maria SS. Ausiliatrice.
Dal 10 maggio al 10 giugno.
Continua il mese di Maria SS. Ausiliatrice col seguente orario:
Giorni feriali: Messe dalle 4.30 alle 10.40 - Ore 5,30 Messa, predica del Teol. Don ANTONIo NoTARIo, benedizione -- Ore 7.30 seconda Messa della Comunità - Alla sera : lode, predica del Prof. D. ALBINO CARMAGNOLA, benedizione.
Giorni festivi.- Messe dalle 4.30 alle 10.30. - Ore 6 e 7.30 Messe delle due Comunità - Ore 10 Messa solenne - Ore 15 e 17 Vespri, predica, litanie e benedizione solenne.
11 maggio: Solennità di Pentecoste.
15 maggio -- Comincia la Novena in preparazione alla Festa Titolare.
17 maggio: Anniversario della Pontificia Incoronazione di Maria Ausiliatrice.
21 maggio - Primo giorno della Corte di Maria.
22 maggio: Solennità del Corpus Domini e Secondo giorno delta Corte di Infuria.
23 maggio: Terzo giorno della Corte di Maria Vigilia della solennità di Maria Ausiliatrice - Ore 6: Messa, Predica, Benedizione solenne - Ore 7.15: Messa celebrata da S. E. Rev.ma Mons. COSTANZO CASTRALE, Vescovo tit. di Gaza - Ore 16: Conferenza ai Cooperatori ed alle Cooperatrici Salesiane, seguita dal canto delle Litanie, Tantum Ergo e Benedizione solenne - Ore 18.30: Primi Vespri Pontificali, Discorso e Benedizione solenne - Illuminazione dell'esterno del Santuario, concerto e canti corali.
24 maggio: Solennità di Maria SS. Ausiliatrice -Messe dalla prima aurora alle 13 - Ore 6 : Messa celebrata- dal Rev.mo Sig. D. ALBERA, Rettor Maggiore dei Salesiani - Ore 7.15: Messa celebrata da Sua Eminenza Rev.ma il signor Card. AGOSTINO RIcHELMv, nostro Veneratissimo Arcivescovo - Ore 10: Messa Pontificale di Sua Ecc. Rev.ma Mons. GIUSEPPE CASTELLI, Vescovo di Susa ed infra Missam Panegirico del sac. Prof. D. ALBINO CARMAGNOLA - Alle ore 16: Litanie, Tantum Ergo e Benedizione solenne - Ore 18 : Vespri Pontificali , Processione , Trina Benedizione col SS. Sacramento impartita dall'Eminentissimo Cardinale Arcivescovo - Illuminazione e concerto.
25 maggio: Chiusura delle feste titolari - Le preghiere di questo giorno sono in suffragio degli ascritti all'Arciconfraternita dei divoti di Maria Ausiliatrice, e di tutti i benefattori defunti del Santuario. - Orario festivo.
6 giugno: Primo venerdì del mese - Ad onore del S. Cuore di Gesù, esposizione del SS. Sacramento per tutto il giorno.
PER DON RUA.
Sabato, 5 aprile, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, interamente parato a lutto, si celebrò solennemente il 30 Anniversario in suffragio del compianto Don Rua. La pia cerimonia, nonostante il cattivo tempo, richiamò a Valdocco tanti amici e cooperatori, che ne fu pieno il tempio. Celebrò, essendo assente il rev.mo D. Albera, il sig. Don Filippo Rinaldi, Prefetto Generale.
Il giorno dopo, domenica, 6 aprile, il Momento pubblicava questo nobile articolo.
Il sei aprile di quest'anno, che rinnova per la terza volta il giorno in cui Don Michele Rua fu pianto, vede costituito un Comitato di pie signore per abbellire la sua tomba di Valsalice. Gli ingegneri Momo e Tournon ne hanno dato il progetto ; il conte Galateri si offre generosamente a ritrarvi in marmo l'effigie; personaggi di prim'ordine hanno aderito. Tutto quindi promette un pronto e solenne omaggio alla venerata memoria di colui, la cui vita santa e la cui opera feconda fecero quasi credere essergli sempre durata la compagnia e la guida di Don Bosco, tanto seppe impersonarne le intenzioni e l'efficacia, quando Don Bosco lo lasciò solo.
Ben viene un tale omaggio, che anche nella tomba suggella con gratitudine la perpetua vicinanza di lui al suo maestro. Chi si consolò a vedere le speranze salesiane, dopo la morte del fondatore raccogliersi nelle mani di Don Rua, che lo venerò come mirabile adempitore di esse, è giusto che consideri Valsalice come di luogo di riposo non del primo legislatore soltanto, ma anche di quel successore che avendone serbato ed ampliato il regno dimostra essere sorta in questo apostolato novello una specie di dinastia. Il tributo sepolcrale oggi divisato renderà più palpabile il conto che i fedeli fanno di questa provvidenziale continuità.
E veramente, dopo tre anni, il morto non pure adhuc loquitur, ma ha acquistato maggiore eloquenza , perchè ogni giorno si vengono a scoprire tratti della sua vita, episodi della sua attività e genialità, che egli tenne nascosti, e che i testimoni non pensarono a rivelare finchè l'essere egli vivo rendeva certi che si sarebbero moltiplicati ancora (1).
Fin da quel tempo chi seppe degli enormi progressi fatti dall'opera salesiana sotto Don Rua, se non l'aveva conosciuto che scarsamente o soltanto di vista, rimaneva stupefatto a pensare che egli, erede visibile della pietà religiosa del maestro, ed anzi quasi più ascetico di lui nell'aspetto, ne avesse potuto ereditare anche l'attività, la tenacia e diciamo pure la temerità umilmente eroica. A vederlo, a udirlo parlare in pubblico sembrava piuttosto lo scrupoloso esecutore testamentario del retaggio affidatogli, che l'erede, libero e risoluto signore di esso, tutt'intento a gerirlo in modo da potere un giorno, come il servo del Vangelo, presentare moltiplicato il tesoro avuto in custodia. Solo chi lo conosceva da vicino poteva dedurre da mille segni questa seconda vocazione di lui. I lontani dovettero impararla dalle statistiche. Esse parlavano chiaro. Mostravano che uomo era stato Don Bosco nello scegliersi il successore...
Del resto gli stabili onori che il Comitato ora costituito intende di rendere alla sua tomba non sono che la continuazione ed il suggello di quelli che non solo Torino, ma tutta Italia, e si può dire tutto il mondo, resero di persona o in ispirito alla salma di lui quando tre anni fa fu accompagnata lassù. Uomini di ogni parte, e in straordinario numero, confessarono che era morto un gran benefattore e un continuatore insigne d'un grande beneficio. La stessa confessione faranno quanti daranno il loro concorso all'ornamento della sua sepoltura. E, ciò che vale di più, colla loro opera stimoleranno le preghiere dei fedeli, le quali unendo insieme il suffragio e l'invocazione domanderanno a Dio, dinanzi alle due tombe sorelle, che l'azione del secondo successore di Don Bosco e di quanti oggi e domani abbiano a reggere l'attività salesiana o lavorare in essa, avvantaggino meglio nel cuore della gioventù la causa di Dio e della vera civiltà.
(1) Quanti - Salesiani e Cooperatori e non Cooperatori - ricordano fatti o detti edificanti del compianto Don Rua, ci farebbero un vero regalo se volessero mandarne memoria al Rev.mo Sig D. Albera, Via Cottolengo N 32, Torino , ponendo in capo al foglio la scritta : Per la memoria di D. Rua.
Tra i figli del popolo.
VARAZZE.- L'inaugurazione dell'Oratorio Festivo. --- « Chi voglia rigenerare una città od un paese non ha altro mezzo più potente: bisogna che cominci coll'aprire un Oratorio festivo ». Così Don Bosco; e Varazze aveva già intuito il pensiero del Venerabile per togliere tanti suoi figli ai pericoli della strada e procurar loro, insieme con l'onesto divertimento, una sana e forte educazione morale e civile; ma perchè al desiderio subentrasse l'azione, le occorreva una spinta. La Provvidenza, della duale - come scrisse il Pellico - gli uomini e le cose, si voglia o non si voglia, sono mirabili strumenti ch'ella sa adoperare a fini degni di sè, permise le infami accuse del luglio 1907 ; e Varazze, sorta come un sol uomo a difesa dei Salesiani, deliberava l'erezione dell'Oratorio festivo col voto che loro ne fosse affidata la direzione e la cura.
Nel settembre dello stesso anno era già costituito un numeroso Comitato di cittadini di ogni ordine allo scopo di raccogliere i mezzi necessari. Il lavoro fu lungo, arduo, osteggiato ad oltranza. Attraverso molte difficoltà si riuscì ad avere quel tanto che occorreva per l'acquisto del terreno scelto in aprica e ridente località, di fianco al Collegio Salesiano, e in fine sorsero i fabbricati con l'aiuto e per volontà del Rettor Maggiore Don Albera, il quale disse e provò di aver a cuore gli Oratori Salesiani e specialmente quello di Varazze.
Nel novembre u. s. questo buon Padre fu a visitarlo ed a benedirne i lavori che con attività febbrile si succedevano onde affrettarne il compimento... e vide con animo lieto la bella chiesa, il grazioso teatro, i vasti saloni ed i grandi cortili pieni d'aria e di luce e forniti dei più attraenti giuochi di ginnastica.
L'Oratorio, battezzato col nome del grande varazzese il Beato Giacomo, fu regolarmente aperto l'8 dicembre, festa dell'Immacolata ; e più centinaia di ragazzi vi accorsero e continuano ad accorrervi, con un crescendo consolante.
Non se n'era però fatta ancora la propria e vera inaugurazione; e questa ebbe luogo con grande solennità la domenica 23 febbraio p. p., festeggiandosi S. Francesco di Sales, con intervento di S. Ecc. Mons. Scatti, Vescovo Diocesano e del rev.mo Teol. Don Giulio Barberis, Direttore Spirituale dei Salesiani in rappresentanza del Rettor Maggiore.
Nel pomeriggio di sabato 22 febbraio una folla plaudente, preceduta dalla fanfara del Collegio, accompagnava Monsignor Vescovo dalla stazione della ferrovia ai locali dell'Oratorio.
Sua Eccellenza, ricevuto ed ossequiato dal Comitato direttivo nei saloni del Circolo, passò da questi al teatro ove lo attendeva un'accolta di distinte persone così dell'aristocrazia, conce del ceto popolare. Dopo il canto d'un inno di circostanza e vari altri numeri del programma, prese la parola l'avv. Saverio Fino che trattò dell'Opera umanitaria di Don Bosco e delle finalità altamente sociali che, sotto l'egida di Lui, si propongono di conseguire gli Oratori festivi, che vanno moltiplicandosi in modo meraviglioso. « Anche quì, dice l'Oratore, in questa città benedetta e sorrisa dal mare, in questa città che Lo ha ospitato, il Padre della gioventù vede ora sorgere questo provvido istituto che vuol essere la risposta solenne alle provocazioni della sétta.» E con frasi incisive rievoca i giorni dolorosi del 1907 e mette in rilievo il profondo significato di questo atto solenne, con cui Varazze afferma la sua piena fiducia nei Salesiani cui vuole affidati i suoi figli. La splendida conferenza, interrotta varie volte da vivi applausi, vien coronata da una vera ovazione.
Seguì un breve ma paterno e affettuoso discorso del Teol. D. Barberis, che si rallegrò dell'opera compiuta, esortò i giovani alla perseveranza e accennò ai benefici effetti degli Oratori.
Prende da ultimo la parola Mons. Vescovo e si dice lieto d'esser tornato a Varazze per un'opera così grande e buona: « La stampa ed i fanciulli sono i principali mezzi di cui gli avversari tentano servirsi contro la Chiesa: l'uno e l'altro ci devono stare a cuore: salviamo la gioventù ».
Terminata l'Accademia; Sua Eccellenza procedette alla benedizione dei locali e infine impartì la Benedizione Eucaristica.
Il S. Padre, al quale era stato inviato un telegramma d'omaggio, così rispondeva:
« Monsignor Scatti Varazze. - Lieta circostanza inaugurazione Oratorio Festivo Santo Padre gradito omaggio filiale devozione ed obbedienza espresso da V. S. nome anche Clero - Congregazione Salesiana - Comitato fedeli Varazze, di cuore imparte ai medesimi implorata benedizione Apostolica auspice celesti favori. - Card. Merry del Val ».
All'indomani nell'ampia e divota cappella dell'Oratorio, parata a festa, convenivano di buon mattino centinaia di ragazzi insieme col Comitato direttivo e i rappresentanti delle varie Società Cattoliche cittadine. Celebrò Mons. Vescovo, mentre la cantoria, composta di tutti e soli elementi dell'Oratorio, eseguiva classici mottetti con precisione mirabile. Infra missam, previo un toccante fervorino, S. E. amministrò la S. Comunione. Raccolti, divoti, in perfetto ordine, i ragazzi si accostarono tutti alla mensa degli Angeli. Fu uno spettacolo commovente, edificante, che strappò lagrime di consolazione.
Dopo messa, Sua Eccellenza benedisse la bandiera del Circolo Giovanile « Virtù e Lavoro » già sorto nell'Oratorio: quindi nella cappella del Collegio amministrava la S. Cresima a parecchi ragazzi. Più tardi il rev.mo Prevosto Teol. Astengo celebrava nella chiesa dell'Oratorio la Messa solenne e anche Mons. Vescovo vi tornava nel pomeriggio trovandola stipata di ragazzi, ai quali dopo il catechismo rivolse parole di lode e d'incoraggiamento e in fine impartì la benedizione con Gesù Sacramentato.
Seguì nel vasto cortile superiore dell'Oratorio un concerto dato dalla Banda della Società Cattolica « Santa Caterina » e dalla Banda Municipale, che diè un altro concerto alla sera durante l'illuminazione e i fuochi piroctenici.
Se dall'alba si conosce il giorno, si può già pronosticare delle sorti del nuovo Oratorio. L'inizio non poteva essere più bello, più lieto, più promettente! Il Cielo protegga l'opera santa e faccia sì che essa, sorta nel dolore di giorni tristi, sia fonte perenne di gioie e di benedizioni per Varazze e per i suoi teneri figli.
In Italia.
PARMA. - Comunione pasquale della Scuola di Religione.- La domenica delle Palme, si compì in S. Benedetto la comunione generale degli alunni delle Scuola di Religione. Cinque sacerdoti furono occupati nel ricevere le confessioni degli alunni che, bisogna dirlo a loro onore, mostrarono di aver capito l'importanza dell'atto sacro che compivano colla serietà e col raccoglimento più profondo. Alla Messa celebrata da S. E. Mons. Arciv. Vescovo assistevano non meno di duecentocinquanta giovani che ascoltarono con religiosa attenzione il dotto e affettuoso discorso di Sua Eccellenza e si accostarono divotamente a ricevere dalle sue mani la Santa Eucaristia. Quest'anno una piccola novità distingueva la festa ed era che i giovani tenevano per la preparazione e pel ringraziamento un piccolo libro regalato loro dalla Direzione della Scuola, libro piccolo, ma di gran valore, il « Credo, Spero, Amo» dell'indimenticabile D. Baratta, dove questo amante della gioventù stillò i più teneri sentimenti di religione adattati alla gioventù cólta e studiosa. Dopo la sacra funzione tutti si raccolsero nel refettorio di S. Benedetto attorno a Sua Eccellenza per la colazione e fra infiniti applausi all'amatissimo Pastore furono proposti telegrammi a Sua Santità, al signor D. Albera e al dott. D. Munerati, già Direttore della Scuola.
FIRENZE. - Pel Santuario della S. Famiglia.La Esposizione-vendita annuale ebbe anche quest'anno un consolante risultato; la somma raccolta fu di L. 4012. Vivi ringraziamenti alla Nobil Donna Contessa Guicciardini-Corsi, alla sua famiglia, all'intero Comitato « Ars et Charitas » ed a tutte le gentili persone che coi doni e coll'offerte concorsero al felice esito dell'Esposizione-vendita.
ROMA. - Consolante spettacolo di fede. -
L'Osservatore Romano dell'8 aprile u. s. parlando della Comunione pasquale agli infermi della parrocchia di S. Maria Liberatrice al Testaccio, scriveva:
« Vivamente desiderata dagli infermi e da tutti i buoni, si svolse ieri mattina la devota processione della « Comunione in fiocchi » nella Parrocchia di S. Maria Liberatrice al Testaccio, che da parecchi anni era stata sospesa.
» Vi hanno preso parte tutte le Associazioni della Parrocchia coi loro vessilli. Aprivano il
corteo trecento giovani dell'Oratorio Salesiano, con la Ginnastica « Excelsior »: seguivano le fanciulle dell'Oratorio femminile e del dopo-scuola delle Suore di Maria Ausiliatrice, il Giardinetto di Maria, il Circolo femminile S. Maria Liberatrice, le alunne delle Scuole delle Suore della Divina. Provvidenza, la Pia Unione della Divina Provvidenza, le Figlie di Maria, le Madri cristiane dell'Associazione del S. Cuore. Facevano corona al baldacchino i giovani del Circolo della G. C. di S. Maria Liberatrice e numerosi padri di famiglia dell'Associazione S. Giuseppe. Seguiva molta folla di fedeli, d'ogni ceto e condizione.
» Il lunghissimo corteo percorse, pregando, fra due ale di popolo devoto, le vie principali del quartiere, sostando alle case ove giacevano gli ammalati; dalle finestre, molti drappi e profusione di fiori. Regnò il massimo ordine... Decisamente sbagliano coloro che continuano a dipingere il Testaccio come un quartiere anticlericale... ».
All'Estero.
MANGA (Uruguay). --- Consacrazione di una Chiesa. - Il 19 marzo u. s. venne consacrata la Chiesa costruita di recente presso il nostro Collegio « Juan Jackson ». L'imponente cerimonia fu eseguita da Mons. Giacomo Costamagna, accorsovi espressamente dall'Argentina. Il suo nome è la miglior garanzia della solennità e della puntualità del sacro rito, sia nell'esecuzione delle cerimonie, come in quella del canto liturgico, che fu a carico della « schola cantorum » degli studenti di teologia. Ciò fece si che i presenti quasi non si accorgessero della nota lunghezza della funzione. Tra i convenuti erano il rev.mo Don Giuseppe Gamba, Ispettore, ed il sig. Giovanni Goyret, cospicua nostro Cooperatore e Padrino della cerimonia. Con essa è disceso, per così dire, l'ultimo perfezionamento su quel non vasto ma artistico monumento elevato dalla pietà dei nostri confratelli al culto del grande Patriarca S. Giuseppe.
S. Em. il Card. Pietro Respighi.
Il sabato santo 22 marzo, alle ore 18.45, spirava santamente nel bacio del Signore l'Em.mo sig. Card. Pietro Respighi, del Titolo dei SS. Quattro coronati, Vicario Generale di S. Santità, Arciprete della Patriarcale Basilica Lateranense.
Era nato a Bologna nel 1843; compì gli studi in Roma nel Pontificio Seminario Pio; fu per molti anni Arciprete a Pieve di Budrio, poi Vescovo di Guastalla e Cardinal Arcivescovo di Ferrara, finchè Leone XIII, morto il Card. Parrocchi, gli affidò il Vicariato di Roma. La sua morte fu un gran lutto non solo pel Sacro Collegio di cui era fulgida gemma, per
Roma ove in nome del Sommo Pontefice compì per 11 anni santamente e con gran zelo l'ufficio di Pastore, e specialmente per tante Comunità e Istituti che amava con affetto di padre, ma per tutto il Clero e per tutto il buon popolo romano che, senza distinzione, rese omaggio all'uomo retto, integro, laborioso, lontanissimo anzi inaccessibile ad ogni sentimento umano. La dimostrazione di stima e di rimpianto datagli ai funerali fu un fatto mai visto in questi tempi!
Noi pure abbiamo verso il grande Porporato il dovere di speciale riconoscenza. Che cosa Egli non fece perchè la cura spirituale del Testaccio fosse affidata ai Salesiani e quale interessamento non ebbe durante la costruzione di quella Chiesa che volle consecrare personalmente? Il nipote Mons. Belvederi ci faceva sapere che anche durante la malattia l'Eminentissimo ebbe più volte a ricordare il bene che fanno i Salesiani nelle due parrocchie loro affidate in Roma. Pertanto noi lo raccomandiamo caldamente e affettuosamente a tutti i Cooperatori, quantunque crediamo che Egli sia in possesso della gloria celeste. Ricordiamo come il compianto Don Rua lo tenesse in somma venerazione, e ogni volta che tornava da un'udienza avuta dall'Em.mo fosse solito ripetere a chi l'accompagnava: -- Avete un santo per Cardinal Vicario! Il Card. Respighi è un santo!
Oh! ci continui dal Cielo la sua benevolenza, il suo affetto, la sua protezione!
Cav. Avv. Raimondo Di bella
Sì addormentò nella pace dei giusti, munito di tutti i conforti religiosi, il 3 febbraio u. s. in S. Gregorio di Catania dopo lunga e penosa malattia. Uomo di forte carattere e di alti sentimenti cristiani fu in tutta la lunga vita esempio luminoso di pratica e di carità religiosa. Con lui scompare una rara figura di cristiano ed uno dei nostri più benemeriti Cooperatori. Maria SS.ma Ausiliatrice, di cui fu tanto devoto in vita, premi largamente il bene da lui fatto ai figli di D. Bosco e susciti altri che gli rassomiglino!
S. E. Mons. Giovanni Blandini.
Era Vescovo di Noto ove profuse le sue pastorali fatiche per circa 4o anni! Era nato a Palagonia, provincia di Catania, il 7 marzo 1832. Mente eletta, cuore di apostolo, fu uno dei più celebri oratori sacri di Sicilia. Amico personale del Ven. D. Bosco, ne ammirò ed amò sempre le Istituzioni. Nel 1903 fu a Torino pel 3° Congresso Internazionale dei Cooperatorì ed egli ne tenne il discorso di chiusura sulla tomba di D. Bosco a Valsalice, ove espresse il desiderio di vedere i Salesiani nella sua diletta diocesi... e poi intonare il Nunc dimittis ! Il suo primo desiderio 4 anni dopo si compiva coll'apertura dell'Oratorio Salesiano in Modica, e il Signore accettava anche il secondo voto il 4 gennaio u. s. Una prece per la buona e cara e santa anima del zelante Pastore !
Gioachino Fantinati.
Cessava di vivere in Padova il 2o febbraio. Cittadino esemplare e assai stimato, cattolico sincero, ogni opera buona lo ebbe fautore indefesso ed ogni miseria largo soccorritore. La sua bontà traspariva da ogni pensiero, da ogni atto, dalla stessa cordiale bonarietà del carattere. Era anche un nostro affezionato Cooperatore: non dimentichiamolo nei nostri suffragi.
Prof. Michele Cucugliata.
Si è addormentato nel bacio del Signore nel dicembre u. s. a Caltanissetta. Tempra di cristiano come pochi, fu apostolo instancabile della divozione a Maria Ausiliatrice, fin sul letto del suo estremo dolore. I numerosi Cooperatori che attirò alla Pia Unione, la Cappelletta rurale eretta in onore della Vergine SS., la magnifica statua di Lei, a sue cure collocata nella chiesa della Saccara, le feste annuali e mensili per chiamare il popolo ai piedi della nostra Patrona, sono l'indice del fecondo apostolato che seppe esercitare in tanti anni, con fermezza e prudenza. Era solito di far solennizzare il 24 del mese in onor di Maria SS. Ausiliatrice con messe, prediche e canti divoti, accostandosi sempre alla Santa Comunione; e spirò il 24 dicembre come aveva desiderato pochi giorni avanti, nell'età di 65 anni. Che la Vergine Santa affretti il premio eterno al suo fervente divoto
Mons. Francesco Fisauli.
Fu tolto alla stima e all'amore della città di Randazzo, dove era zelante Arciprete, il 24 gennaio u. s. Comprese fin dai primi anni del suo ministero la grande questione della educazione popolare e vì provvide col far affidare ai Salesiani le scuole primarie e secondarie della sua città. Nel 1879 il Ven. Don Bosco gli mandò i suoi figli, cui Mons. Pisauli fu amico fidato e consigliere saggio fino alla morte. Una preghiera per l'anima sua.