ANNO XXXVII - N. 11 PERIODICO MENSILE I NOVEMBRE 1913
PERIODICO DELLA PIA UNIONE DEI COOPERATORI SALESIANI DI D. BOSCO
SOMMARIO: PARLA DON BOSCO! -I) Un prezioso documento sui primi tempi dell'Oratorio - II) In qual modo Don Bosco esercitava fin dai primi tempi il suo zelo fra i giovani dell'Oratorio - III) Una splendida prova della vigilanza, dello zelo e della santità di Don Bosco 321
Nuovi Missionari . . - 328
Alcuni fatti ascritti all'intercessione di D. Bosco . 330
L'Opera di Don Bosco nell'Argentina (Lettere di D. Trione) : I) Note di viaggio - II) I Salesiani e gli emigranti 333
Tesoro spirituale 335 Per il Monumento a D. Bosco . . 336 DALLE MISSIONI: Matto Grosso (Brasile): Amorevoli tratti della Divina Provvidenza . 338 IL Culto Di MARIA SS. AUSILIATRICE: Pel 24 corrente - Grazie e graziati . 342 NOTE E CORRISPONDENZE: Rallegramenti - A Valdocco - Negli Istituti delle Figlie di Maria Ausiliatrice - Tra i figli del popolo - Notizie varie: In Italia, all'Estero 344
Nel mese dei morti - Necrologio . . . . 349
Defunctus adhuc loquitur.
Santi sono i veri benefattori dell'umanità, non solo per le molteplici opere da loro direttamente compiute a vantaggio materiale e spirituale del prossimo, ma anche per l'eroico esercizio individuale di ogni virtù, che suona continuo rimprovero all'apatia ed alla trascuratezza spirituale dei più, e per tutti è un richiamo continuo al pensiero di Dio e della vìta futura. Ma anche i Santi sono uomini, e ognuno di essi ha un carattere speciale, che purgato da ogni vizio e rivestito di santità dà a ciascuno una particolare impronta e particolari attrattive, capaci di esercitare un'influenza benefica sii caratteri paralleli. Così un'anima mite e soave, si sente spinta a calcare le orme di un San Francesco di Sales; un'altra, di cuor grande e generoso, ammira ed esalta le opere dei più attivi tra i Fondatori di Istituti e Società religiose e generosamente si decide a seguirli ; una terza, d'indole timida ed austera, preferisce meditare sulle meraviglie operate dalla grazia di Dio nei grandi penitenti e solitari; e il Signore diviene sempre più mirabile nei suoi santi!
Anche D. Bosco - ciò diciamo senza voler prevenire il giudizio della Chiesa - ha esercitato e continua ad esercitare una forte influenza sulle coscienze. La sua vita, le sue opere e più che tutto i suoi ideali, il suo spìrito, il suo cuore, hanno riempito di ammirazione ed acceso di entusiasmo molte anime. Guardate le folte schiere dei suoi figli e delle sue figlie, eredi del suo spirito, l'esercito lieto e promettente dei loro alunni, e l'immensa falange operosa dei suoi ammiratori e Cooperatori!
Benediciamone di cuore il Signore e preghiamolo che si degni moltiplicare i membri dell'umile Famiglia Salesiana, ricordando che lo stesso Sommo Pontefice Pio X , prima ancora che venisse introdotta la Causa di Beatificazione del Ven. nostro Padre, fece i più fervidi voti perchè in tutte le città e villaggi, o si viva dello spirito del Fondatore dei Salesiani o se ne coltivi l'amore, e la pia Unione dei suoi Cooperatori si allieti sempre di nuovi seguaci (1).
Ma più desiderabile di queste nuove reclute, più prezioso ancora di questo lieto accrescimento di famiglia, dovrebb'essere il profitto dei singoli Figli e Cooperatori di Don Bosco nello studio dell'anima di Lui.
Attratti a Lui, perchè guadagnati dagli splendori a noi giunti della sua grande figura, noi, senza dubbìo, ci sentiremo sempre più spinti ad abbracciarne gl'ideali e a calcarne generosamente le orme, quanto più ne studìeremo e ne comprenderemo meglio lo spirito. I suoi primi figli e cooperatori che ebbero la fortuna di sedergli a lato e di udirne continuamente la voce, andarono di Lui rapiti e furono irresistibilmente portati a vivere della sua vìta, mettendo a profitto dell'opera sua ogni energia fisica e spirituale e le stesse sostanze. Chi non ricorda gli esempi meravigliosi di Don Rua e di altri generosi che si sacrificarono interamente a Don Bosco? Chi non ha benedetto la generosità non meno evangelica di tante nobili Famiglie che profusero i loro beni di fortuna a vantaggio dell'Opera Salesiana?
Studiamo adunque Don Bosco, e studiamolo nelle sue opere, nelle sue parole, nelle sue aspirazioni e specialmente nei suoi scritti, ov'egli trasfuse pensatamente l'anima sua.
Di lui abbiamo pressochè un centinaio di libri ed opuscoli di ogni genere, tutti altamente educativi; ma quanti possono dìre di averli letti per intero o di averne almeno un'adeguata conoscenza? Eppure chi non vede la convenienza e il dovere di una tale lettura, e il gran bene che può produrre siffatto studio?
Una delle obbiezioni, che forse ci si possono opporre, è quella di non avere alla mano tali libri. Infatti alcuni di essi sono da tempo esauriti. Un'altra difficoltà può essere quella della mancanza di tempo. All'una e all'altra abbiamo pensato di rispondere noi, determinandoci a pubblicare - possibilmente ogni mese - qualche pagina di Don Bosco, scelta fra le più vive e più efficaci, offrendo ai Cooperatori quasi un'Antologia desunta dalle sue opere, senza prefiggerci nella scelta, per amor di varietà, un ordine speciale.
Pertanto fin da questo numero diamo alcuni passi di una cara operetta pubblicata nel 1868: - Severino, ossia Avventure di un giovane alpigiano, raccontate da lui medesimo. I primi passi che noi amorevolmente ne trascriviamo, lo vedranno i lettori, sono altrettante pennellate della stessa figura morale del Venerabile, che ci balza tutt'intera dinanzi, giovane ancora e già piena di quella stessa carità per la gioventù, di quello stesso zelo per la salvezza delle anime, di quello stesso coraggio di fronte ai nemici della Chiesa, e di quella stessa tenera confidenza in Maria Ausiliatrice, che divennero le doti più caratteristiche della sua vita.
Noi siamo certi che il nostro umile proposito sarà fecondo di preziosissìmi frutti; ce ne assicura quella preghiera che Don Bosco medesimo fece al Signore, quasi in ricompensa dell'intera sua dedizione a, Lui il giorno della sua prima Messa, quando chiese l'efficacia della parola !
Oh! la sua parola che illuminò tante menti, rasserenò tanti cuori e ritrasse dal sentiero del disonore tante anime avviandole per quello del Paradìso, quella santa parola che giungeva così cara alle nostre orecchie e otteneva sempre lo scopo cui era diretta, continui a risuonare in mezzo a noi! Noi l'ascolteremo sempre con venerazione e con frutto, sapendo che quando parla Don Bosco, parla il Padre, parla il fratello, parla l'amico, parla l'Apostolo, parla l'Educatore, parla il Santo!
I. Un prezioso documento sui primi tempi dell'Oratorio.
(È Don Bosco che scrive, ma il racconto è messo in bocca a Severino).
...Trista in vero era la condizione di mia famiglia, e bisognava prendere qualche risoluzione per provvedere almeno le cose più necessarie alla vita. Alcuni parenti si presero cura de' miei fratelli più piccoli; mia madre sembrò risentirsi a tanti colpi di avversa fortuna, e si mise a lavorare da sarta secondo che aveva imparato nel tempo di sua educazione. Io poi, secondo il consiglio di mio padre, mi posi la secchia sulle spalle e feci ritorno a Torino. Fino allora era sempre stato guidato dalla prudenza di mio padre, ma in quel punto io mi trovava come un polledro non buono ad altro che a correre e saltellare sbadatamente e con pericolo di rovinarmi. I pericoli nelle grandi città sono gravi per tutti, ma sono mille volte maggiori per l'inesperto giovanetto (1).
L'anno antecedente mio padre mi aveva fatto conoscere un certo Turivano Felice, uomo di molta carità ed esemplare in religione. Io mi recai tosto da lui per avere direzione e consiglio. Questi mi cercò un padrone che mi dava pane e lavoro per tutti i giorni feriali. Ma conce passare i giorni festivi? Talvolta egli mi conduceva seco alla Messa, ai divini uffizi, alla predica e poi mi lasciava in libertà. Quindi alcuni compagni mi invitavano a giuocare, a far partita alla bettola o al caffè, dove è inevitabile la rovina morale di un par mio che appena toccava gli anni quindici. Una domenica il buon Turivano: - Severino, mi disse, non udisti mai a parlare di un Oratorio, ovvero di un giardino di ricreazione, in cui va una moltitudine di giovanetti a trastullarsi nei giorni festivi?
- Qualche cosa mi avete già detto voi l'anno scorso. Anzi m'avevate promesso di condurmivi, ma non l'avete mai fatto.
- Quest'Oratorio una volta era nella nostra chiesa di S. Francesco d'Assisi, ed ora venne traslocato in altro angolo della città.
- Che cosa si fa in quest'Oratorio?
- In quest'Oratorio ciascuno soddisfa ai suoi religiosi doveri, di poi vi si trattiene in piacevole ricreazione.
- Qual genere di ricreazione?
- Salti, corse, giuoco delle bocce, delle pallottole, delle piastrelle, delle stampelle, cantare, suonare, ridere, scherzare, e mille altri trastulli.
- Perchè non mi avete mai condotto? lo interruppi pieno di ansietà. Dove si passa per andarvi?
- Ti condurrò io stesso altra domenica, e ti raccomanderò al Direttore di quei trattenimenti affinché ti usi speciale riguardo.
I giorni di quella settimana mi parvero anni; e nel lavoro, nel mangiare, e nello stesso sonno mi sembrava sempre di udir la musica, vedere salti, giuochi d'ogni genere.
Venne finalmente la domenica e alle 8 del mattino giunsi al sospirato Oratorio. Credo che voi, miei buoni amici, ascolterete con piacere un cenno intorno alle cose che qui ho veduto. Era un prato dove oggidì appunto àvvi una fonderia di getto ovvero di ghisa; una siepe di bosso lo cingeva. Eranvi circa trecento giovanetti divisi in tre categorie; gli uni si trastullavano; gli altri stavano ginocchioni intorno al Direttore che seduto sopra una riva nell'angolo del prato li ascoltava in confessione; molti poi, terminata la confessione, si arrestavano a qualche distanza a pregare.
Venuto alla domenica nel luogo sospirato, io restai sbalordito. Non voleva interrogare nessuno, perchè era estatico di meraviglia come chi si trova in un inondo nuovo, pieno di cose curiose, desiderate ma non ancora conosciute. Un compagno accorgendosi che io era novizio tra loro, mi si avvicinò e in un modo garbato: - Amico, mi disse, vuoi giuocare con me alle piastrelle? - Questo era il mio giuoco prediletto, perciò con trasporti di gioia accettai la proposta. Avevamo terminato la partita, quando il suono d'una tromba impose il silenzio a tutti. Ognuno lasciando i trastulli, si raccolse intorno al Direttore.
- Giovani cari, disse questi ad alta voce, è ora della santa Messa; questa mattina andremo ad ascoltarla al Monte dei Cappuccini; dopo la Messa avremo una piccola colazione. Quelli a cui mancò il tempo di confessarsi oggi, potranno confessarsi altra domenica; non dimenticate che ogni domenica àvvi comodità di confessarsi.
Detto questo, suonò di nuovo la tromba e tutti si posero ordinatamente in cammino. Uno dei più adulti cominciò le preghiere del Rosario, a cui tutti gli altri rispondevano. La camminata era quasi di tre chilometri, e sebbene non osassi associarmi cogli altri, tuttavia, spinto dalla novità, li accompagnava a poca distanza, prendendo parte alle comuni preghiere. Quando eravamo per intraprendere la salita che conduce a quel convento, si cominciarono le litanie della B. V. Questo mi ricreò assai, perciocchè le piante, gli stradali, il boschetto che coprono le falde del monte facevano eco al nostro canto e rendevano veramente romantica la nostra passeggiata.
Venne celebrata la Messa, in cui parecchi compagni si accostarono alla santa Comunione. Dopo breve sermone e fatto sufficiente ringraziamento andammo nel cortile del convento per fare la colazione. Non ravvisando alcun diritto alla refezione dei miei compagni, io mi ritirai aspettando di accompagnarli nel loro ritorno, quando il Direttore, avvicinandosi, mi parlò così:
- Tu come ti chiami?
- Severino.
- Hai presa la colazione?
- No, signore.
- Perché?
- Perchè non mi sono nè confessato, nè comunicato.
- Non occorre nè confessarsi nè comunicarsi per avere la colazione.
- Che cosa si ricerca?
- Niente altro che l'appetito e la volontà di venirla a prendere.
Ciò detto mi strinse la mano e mi condusse al cesto dandomi in abbondanza pane e ciriege. Dopo il mezzodi vi sono ritornato e con tutto mio gusto ho preso parte alla ricreazione fino a notte. Per un mese non ho più potuto recarmi all'Oratorio e quando vi ritornai ho trovato un notabile cangiamento. L'Oratorio era stato trasferto in Valdocco propriamente nel sito dove in appresso fu fondata la chiesa e la casa nota sotto il nome di S. Francesco di Sales. Qui la località essendo più adattata si poterono più regolarmente introdurre gli esercizi di pietà, la ricreazione, i trastulli, le scuole serali e domenicali (1).
(1) Breve del 17 ag. 1904 al compianto D. Rua.
(1) Ci prendiamo la libertà di sottolineare quei passi che sembrano degni di maggior considerazione.
(1) Severino, ecc., pag. 32.
II.
In qual modo Don Bosco esercitava fin dai primi tempi il suo zelo fra i giovani dell'Oratorio.
Non è mio scopo di esporvi la storia, il regolamento, le vicende che accompagnarono l'origine, il progresso li questa Istituzione; intendo solamente di esporvi alcuni dei molti episodi che accaddero a me stesso o di cui sono stato io medesimo testimonio.
Frequentava da qualche mese quest'Oratorio, partecipando alla ricreazione, ai trastulli ed anche alle funzioni religiose, come sono Messa, catechismi, vesperi, predica; anzi quando si cantavano salmi, inni o laudi sacre, io prendeva parte con tutto il mio gusto e cantava con quanto aveva di voce. Non mi era peraltro ancora accostato al Sacramento della Confessione. Non aveva alcun motivo per non andarvi, ma avendo lasciato trascorrere un po' di tempo non sapeva più come risolvermi a ritornarvi. Qualche volta il Direttore mi aveva amorevolmente invitato ed io aveva subito risposto di sì; ed intanto ora con un pretesto, ora con un altro studiava di eludere que' paterni inviti. Un giorno tuttavia egli seppe cogliermi in modo veramente grazioso. Ascoltate (1).
Una domenica a sera era tutto intento in un giuoco che tra noi si chiamava bara rotta. Io vi era attentissimo e a motivo della calda stagione stava in manica di camicia. Tra l'ansia e il gusto del giuoco, e tra il caldo e il prolungamento del trastullo, io appariva fuoco e fiamma.
Nel bollore del giuoco, mentre non sapeva se io fossi in cielo o in terra, il Direttore mi chiana dicendo:
- Severino, mi aiuteresti a fare una cosa di qualche premura?
- Con tutto piacere; quale? dissigli.
- Forse ti costerà un po' di fatica.
- Non importa; fo qualunque cosa, sono assai forte.
- Mettiti il farsetto col camiciotto e vieni meco.
Il Direttore precedeva; io l'ho seguito fin nella sacristia, giudicando fosse ivi qualche oggetto da traslocare.
- Vieni meco in coro, continuò il Direttore. -- Eccomi, signor direttore... Ci sono, ma che cosa vuole?
- Confessarti.
- Oh questo sì; ma quando? Adesso non son preparato.
- Lo so che non sei preparato, ma te ne do tutto il tempo; io reciterò una parte considerevole del breviario, dopo farai la tua Confessione.
Giacchè le piace così, mi preparerò volentieri, e non avrò più da darmi briga per cercare il confessore.
Mi sono confessato con assai più di facilità di quello che mi aspettassi, perchè il caritatevole e bene esperto confessore mi aiutò mirabilmente con le sue sagge interrogazioni. Da quel giorno, ben lungi dal provare ripugnanza per andarmi a confessare, provava anzi gran piacere tutte le volte che poteva accostarmi a questo divin Sacramento, cosicchè cominciai ad andarvi con molta frequenza.
La chiesa poi, debbo dirlo, non era una chiesa ma parte di un meschino edilizio. Una rimessa bassa, assai lunga, accomodata sotto di una tettoia, era la magnifica nostra basilica. Fu d'uopo abbassare il pavimento di due gradini affinchè un uomo entrando non urtasse nel soffitto. Appunto in questo sito si facevano funzioni per noi le più care e maestose. In un angolo di essa era una cattedra sopra cui non tutti potevano ascendere per predicare. Era per altro molto adattata al celebre Teol. Gioanni Borelli, che essendo di assai bassa statura vi si accomodava a maraviglia e faceva ogni sera dei giorni festivi una predica con molto zelo e con molta soddisfazione dei giovanetti che numerosi intervenivano ad ascoltarlo.
In quell'anno Monsignor Fransoni, Arcivescovo di 'l'orino, venne ad amministrare il Sacramento della Cresima in questa chiesuola. La funzione era cominciata quando il vescovo, salendo all'altare, doveva secondo il rito mettersi la mitra, ma ne fu impedito perchè urtava colla vòlta della chiesa.
Da questo Oratorio si facevano amenissime camminate alla Madonna di Campagna, a Stupinigi, al Monte dei Cappuccini, a Sassi, a Superga ed altrove.
Queste camminate si facevano nel modo seguente.
Se era di mattino, i giovani partivano schierati e per la strada si pregava o si cantavano inni e laudi sacre. Giunti al luogo stabilito si compievano le pratiche di pietà, di poi fatta la colazione ognuno se ne andava pei fatti suoi.
Le camminate del dopo mezzodì erano più amene e brillanti: valga per esempio una di quelle che più volte abbiamo fatto a Superga. Prendevamo due od anche tre somarelli carichi di varie specie di commestibili. Seguiva la musica istrumentale che allora consisteva in un violino, in una chitarra, in una tromba con un tamburino. I giovani non erano schierati, ma raccolti intorno al Direttore, che li ricreava raccontando qualche interessante storiella. Quando esso era stanco di parlare, ripigliava la musica, ora vocale ora strumentale. Unendo poi il canto ed il suono alle ovazioni ed alle grida, facevamo uno schiamazzo da finimondo. Giunti a Superga visitammo quella monumentale basilica e dopo breve preghiera ci radunammo nel cortile dove il Direttore raccontò la storia prodigiosa di quel Santuario. Quindi una stupenda merenda in cui e per l'ora alquanto avanzata, e pel viaggio sostenuto i giovani ad ogni colpo d'occhio facevano scomparire una intera pagnottella. Fatto alquanto riposo, si andò in chiesa dove abbiamo preso parte ai vespri, alla predica e benedizione. Soddisfatti, per tal guisa i nostri doveri religiosi, abbiamo visitato le particolarità di quei maestoso edifizio, cioè la galleria dei Papi, la biblioteca, le tombe dei reali di Savoia, l'alta cupola e simili. All'avvicinarsi poi della notte fu dato un suono di tromba e tutti si raccolsero intorno al Direttore. E qui cominciò il solito canto, suono e schiamazzo da Superga a Torino. Entrando poi in città si fece silenzio e ognuno si mise schierato, e di mano in mano che giungeva al sito più vicino al proprio domicilio ciascuno si separava dalle file e si recava a casa sua. In quella guisa quando il Direttore arrivava all'Oratorio aveva appena seco alcuni giovani che gli facevano compagnia.
A gloria di queste camminate voglio notare che con tanti giovanetti non legati da alcuna disciplina, nulladimeno non avveniva il minimo disordine. Non una rissa, non un lamento, non il furto di un frutto, quantunque il numero fosse talvolta di sei o settecento.
In quel tempo io pensava che queste camminate si facessero per puro divertimento, ama dopo ne conobbi lo scopo ed il vantaggio.
Mentre quei giovanetti si ricreavano in cose lecite, teneansi lontani dai pericoli che specialmente la gioventù operaia suole incontrare nei giorni festivi, ed in pari tempo erano avviati nell'adempimento dei doveri del cristiano, sicura caparra della moralità pel corso della settimana.
Queste camminate allettavano talmente i fanciulli, che ogni edifizio diveniva ristretto a segno che non trattavasi più di andare in cerca di giovani, ma dovevasi limitare il numero di quelli che ardevano del desiderio d'intervenirvi... (1).
(1) In questo racconto è dipinta con ammirabile semplicità una della sante industrie di D. Bosco.
(1) Severino, ecc., pag. 38.
III.
Una splendida prona della vigilanza, dello zelo e della santità di D. Bosco.
(È sempre Severino che parla).
All'età di dodici anni io aveva terminate le le classi elementari ma un'ansietà di sapere ed una smania di leggere mi avevano portato alla lettura di molti libri. Tutti i compendii di storia sacra che ho potuto avere, furono da me più volte non letti ma divorati. Il Royamont, Soave, Secco, Farini, Calmet, Giuseppe Flavio e la stessa Bibbia tradotta dal Martini erano stati da me direi quasi studiati. Non vi era momento più caro di quello che poteva passare nella lettura di qualche libro storico. M'è talvolta avvenuto di passare l'intera notte sopra libri di lettura. Ma dopo avere letto i sacri, mi sentiva vivo trasporto pei profani ed anche pei giornali, che sebbene non irreligiosi, nulladimeno erano inopportuni alla mia età.
Il Direttore dell'Oratorio vegliava attento sul mio carattere focoso e studiava di correggerlo dandomi a leggere libri ameni ed utili. Quando per altro si accorse del pericolo cui mi esponeva la smania di leggere, pensò di applicarmi al disegno, all'aritmetica e al sistema metrico. Ma pigliando io poco gusto in tali studi, egli pensò di istradarmi a scienze più gravi, come sono la lingua latina e la lingua italiana. - Queste, dicevami, sono le lingue dei dotti; se tu ci riescirai, ne avrai non piccolo vantaggio. -- Questi nuovi studi non poterono appagare la mia insaziabile fantasia; io mi sentiva trasportato alla scienza, ma in modo instabile e leggero, perciò abborriva la fatica di mente e tutte le cognizioni che esigessero seria o lunga applicazione.
In questo tempo, ahi troppo fatale! alcuni fallaci amici appagarono le mie brame e mi somministrarono libri e giornali di ogni sorta. Dopo di che cominciai a trovare fastidiose le buone letture, quindi rallentai le preghiere e la frequenza dei Sacramenti. Accortosene il direttore dell'Oratorio, mi fece vari progetti e vari inviti vantaggiosi e mi animò alla frequenza della Confessione. Ma il mio cuore si andava guastando, nè sapeva più risolvermi a fare il bene che amava e a fuggire il male che altamente detestava. In me si avverava quello che raccontasi di Medea: « Veggo il miglior ed al peggior m'appiglio ». Non potendo più allora sopportare i rimproveri del direttore, presi la pessima decisione di abbandonar l'Oratorio...
(E fu pel povero giovane al principio di una serie di guai. Si lasciò arreticare dai protestanti e si fece valdese; e dopo essere stato anni nella Valle di Luserna, acconsentì ad andare a Ginevra, per fare un corso superiore di studi. Ma là cadde anche nel vizio, finche, rovinato di anima e corpo, fu mandato a Genova, dove, scosso dalla morte repentina di un amico, tornò a migliori pensieri e si trasferì a Torino, in casa della madre. Egli continua:)
Correva la quarta settimana da che io dimorava colla madre, ed il mio male sebbene non mi~ nacciasse l'esistenza, tuttavia mi costringeva a tenere il letto. Sempre mi si prometteva la venuta di un prete, che finalmente potè giungere fino a me in un modo veramente arrischiato. Eccone il racconto.
Un sacerdote di mia conoscenza, d'accordo col curato della parrocchia, dopo avere più volte provato invano di venire in mia camera, andò dal mio antico Direttore dell'Oratorio e gli raccontò ogni cosa. Questi, pel grande affetto che nutriva per me, risolse di farmi una visita a qualunque costo. Un giorno, alle due dopo il mezzodì, si porta con aria indifferente alla mia abitazione, suona il campanello in tempo che appunto il Ministro valdese erami a fianco ed egli stesso va ad aprire.
- Chi cercate, signor abate?
- Cerco di parlare all'infermo Severino.
- Non si può, non può ricevere; ne è rigorosamente proibito dal medico.
- farò una semplice commissione alla madre. - Buon giorno, disse l'accorto sacerdote a mia madre. Son venuto a prendere notizie di Severino; - ciò dicendo apre l'uscio di mia camera, e mentre il Ministro gridava forte: « Non si può, non si può » egli era già accanto al mio letto.
- Severino caro! mi disse.
- O chi vedo mai!....
- Severino, come stai? Ti ricordi ancora di me? mi conosci ancora?
- Sì che vi conosco, voi siete l'antico amico dell'anima mia; voi mi avete dato tanti consigli, che io ho dimenticati. Ho vergogna di rimirarvi in volto.
- Se mi conosci, se io sono il tuo amico, perchè temi?
- Temo non voi, che siete tanto buono; ma ho vergogna perchè vi fui ingrato, perchè ho commesso molte nefandità.
-- Signor abate, disse il Ministro, vi prego di ritirarvi, perchè la commozione, che cagionate all'infermo, può tornargli fatale. Questa è una sorpresa che gli fate; egli non voleva ricevere nessuno, ora ha bisogno di niente da voi.
- Severino, mi disse il prete, ripòsati alquanto e non istancarti a parlare; mi fermerò ancora un poco a tenerti compagnia.
- Vi dico di ritirarvi, disse il Ministro con accento risentito; voi non avete niente nè da fare nè da dire con questo giovane.
- Ho molto da fare, ho molto da dire con questo mio figlio.
- Chi siete voi che vi mostrate cotanto ardito?
- Chi siete voi che comandate con tanta pretesa?
- Io sono il Ministro Valdese e voi chi siete? - Io sono il Direttore dell'Oratorio - Che cosa volete da questo infermo? - Voglio aiutarlo a salvarsi l'anima!
- Egli non ha più nulla da fare con voi.
-- Perchè mai?
- Perchè egli si è ascritto alla Chiesa Val dese, e non ha più relazioni religiose coi cattolici.
- Io l'ho inscritto prima di voi nel catalogo de' miei figliuoli, ne sono stato e voglio esserne il vero padrone, e per questo motivo esso non ha più niente da fare, ne da dire co' Valdesí.
- Ma voi, signor abate, parlando così, turbate la coscienza dell'infermo, e vi esponete a certe conseguenze, di cui avrete forse a pentirvene.
- Quando si tratta di salvare un'anima; non temo alcuna conseguenza
- Alto là, voi dovete allontanarvi di qui.
- Alto là, voi dovete allontanarvene prima di me
- Ma voi non sapete con chi parlate?
- So benissimo con chi parlo, e credo che anche voi sappiate con chi parlate...
- Non sapete?... ho l'autorità
- In fatto di religione rispetto tutti, ma non temo nessuno. E tanto meno io temo voi in questo momento, perchè so che l'infermo è pentito d'aver dato il nome alla vostra credenza e vuol morire cattolico.
- E questa una seduzione, una menzogna. Non è vero, Severino, che voi volete essere perseverante nella nostra chiesa?
- Io voglio essere perseverante nella Religione
- Adagio! badate bene a quello che dite.
- Signor Ministro, disse il prete; parlate con calma. Permettetemi soltanto che io faccia una interrogazione all'infermo. La risposta che darà servirà di regola ad ambidue.
Tacque allora il Ministro e tenendo gli occhi spalancati sopra il prete si pose a sedere. Il sacerdote si volse a me con amorevolezza e parlò così:
Ascolta, o Severino: questo signore ha scritto un libro in cui dice ripetutamente che un buon Cattolico si può salvare nella sua religione, dunque niun Cattolico deve abbracciare altra credenza per salvarsi. Tutti i Cattolici dicono parimenti che osservando la propria religione certamente si salvano; ma soggiungono che colui il quale si ostina a stare nel protestantesimo, certamente si danna... Ora dimmi tu se vuoi lasciare la certezza di salvarti ed esporti al dubbio, anzi secondo i Cattolici, alla certezza di andare eternamente perduto?
- No! e poi no, io risposi, e sempre no! Io sono nato Cattolico, voglio vivere e morire Cattolico. Questo fu l'ultimo ricordo di mio padre... Mi pento di quanto ho fatto!
Allora il ministro si alzò, prese il cappello e voltosi al prete disse: - In questo momento non si può più ragionare: verrò a tempo migliore. Ma voi, o Severino, vi gettate in un abisso... Ricordatevi che vi vogliono far confessare, e che la confessione invece di darvi la vita, vi accelera la morte. Ciò detto, pieno di sdegno partì.
Dopo quei colloquia, che durarono due ore, io mi trovai oltremodo stanco; e sentiva tanto la spossatezza, che temeva di soccombere in quella notte medesima, perciò dimandai tosto di potermi confessare. Avendo da fare con un Direttore che già conosceva la mia giovinezza, tornò assai facile il manifestargli il resto di mia vita. E poichè non aveva mai nè predicato nè scritto contro alla religione Cattolica, non occorreva che facessi alcuna pubblica ritrattazione. Coll'assoluzione Sacramentale parmi che il Sacerdote mi avesse tolto di dosso un enorme macigno. L'animo mio tornò a godere la calma che da dieci anni non aveva più goduta. Stringeva, baciava e ribaciava la mano del sacro Ministro. Io era felice per quanto si può esserlo in questo mondo.
Compiuta la mia confessione, chiesi di ricevere il santo Viatico. - Fatemi la carità, dissi al Direttore, di andare dal nostro curato, chiedetegli scusa, perchè non l'ho accolto. Ditegliene la cagione. Se giudica bene, mi imponga qualsiasi pubblica penitenza o ritrattazione; io la farò volentieri. Se mi reputa degno, desidererei che questa sera mi fosse portato il Viatico. Temo che questa notte sia l'ultima di mia vita.
Con trasporto di gioia il curato venne a visitarmi; assicurò che mi avrebbe assistito in tutti i miei bisogni spirituali e temporali. Dipoi mi portò l'Ostia Santa, che pose colmo alla mia consolazione. Dopo ciò io non desiderava più nulla sopra la terra. Ma nacque una difficoltà; pel timore che i Valdesi non mi avessero lasciato tranquillo. In simili casi sogliono venire, ritornare, inviare, e servirsi anche delle civiili autorità per tutelare, dicono essi, la libertà di coscienza. A fine di evitare questi disturbi e le cattive conseguenze che ne sarebbero potuto derivare, fu giudicato a proposito di trasportarmi altrove, e venni di fatto traslocato in una Casa, in cui ogni angolo, o dirò meglio ogni pietra è improntata dalla benedizione del cielo (1). Si temeva qualche disastro nel mio trasporto, ma Dio era con noi, ed ogni cosa riuscì prosperamente. Il mio confessore passò meco la notte, e sul far del giorno, al suono dell'Angelus, abbiamo fatto la preghiera insieme; di poi mi parlò così:
Caro Severino, tu sei pronto a morire: è questa una grazia straordinaria del Signore. Ma io mi sento nascere in cuore una speranza; tu sei sempre stato divoto da Maria
- Sì, questa divozione non l'ho mai abbandonata, e credo proprio essere Maria che mi abbia ricondotto sulla buona strada.
- Chi sa che questa Madre non ti voglia anche compensare nella vita presente? - In qual modo mai?
- Coll'ottenerti la guarigione dal suo Divin Figlio; e ciò affinché tu possa soccorrere tua madre e assisterla in fatto di religione; imperocchè tu sai che è debole di cervello, e senza di te io temo di lei.
- Io sono nelle mani di Dio: ditemi quello che debbo fare e lo farò.
- Una novena a Maria Ausiliatrice. - Con quale intenzione?
- Per dimandar a Dio la tua guarigione, purchè non sia contraria al bene dell'anima tua.
- Io mi sento all'estremo della vita, ma se voi mi consigliate a dimandar questa grazia, io lo faccio ben volentieri: ditemi pertanto quello che debbo fare in questa novena, se vivo....
-- In questa novena reciterai tre Pater, tre Ave, tre Gloria Patri al SS. Sacramento, con tre Salve Regina a Maria Ausiliatrice.
- E se guarisco?
- Se guarisci ti occuperai per assistere tua madre, finchè vivrà, e non cesserai di propagare la divozione della Beata Vergine in tutti quei luoghi e fra tutte quelle persone presso cui ne vedrai l'opportunità e l'utilità.
- Farò quanto mi dite e in ogni cosa sia sempre benedetto il santo nome del Signore.
Mi diede allora la benedizione sacerdotale, e cominciai la novena proposta. Da quel momento il mio male sembrò diventar stazionario. Ogni giorno pregava, ogni giorno il Direttore veniva a dimandarmi se stava meglio, e siccome non si scorgeva mai alcun miglioramento, mi diceva sempre: - Preghiamo con fede; Dio ha qualche disegno sopra di te. Fede e preghiera!
Venne l'ottavo giorno: - Ebbene, Severino, come stai? - mi disse il Direttore ansioso di mie notizie.
- Sempre al solito, non peggio, non meglio, ma consumato dal male e senza forze.
- Fede e preghiera: Maria è Virgo potens: coraggio: dimani... chi sa... speriamo... - e partì.
In quella notte non ho preso un momento di riposo, e sul far del giorno credeva veramente di avviarmi all'eternità. Voleva chiamare qualcheduno, ma non poteva trar fuori la voce. - Io muoio - dissi, e col cuore recitai la giaculatoria: - Gesù Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia.
Dipoi ho passato due ore senza sapere più se io fossi vivo o morto. Infine come scosso da profondo sonno mi sveglio tutto molle di sudore. Penso a me stesso e non mi accorgo più di aver male. Domando una bibita, dipoi una minestra, dipoi altra minestra. Io era guarito!
Venne il confessore e appena lo vidi: - Io son guarito, gli dissi, ho già mangiato, ho già bevuto. La grazia è compiuta, io sono guarito.
Egli rispose con gioia:
- Sia sempre benedetta la somma bontà del Signore, e glorificata per tutto il mondo la gran Madre del Salvatore! Quanto mai sono belle e veraci le parole di S. Bernardo quando disse:
Non si è mai udito al mondo che alcuno abbia fatto ricorso a Maria con fiducia e non sia stato esaudito (1) !
(1) Venne trasportato nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Il confessore e direttore di cui si parla in seguito era Don Bosco.
(1) Severino, ecc. pag. 44 e 141.
Fidenti nell'aiuto della Divina Provvidenza mercè il concorso della vostra generosa carità, anche quest'anno, o benemeriti cooperatori, si è allestita una schiera di oltre cinquanta nuovi Missionarii e di quaranta Figlie di Maria Ausiliatrice, che in parte sono già partiti e in parte si porranno in viaggio quanto prima, alla volta dell'America, dell'Africa, dell'India e della Cina.
La funzione di addio si svolse il 4 ottobre nel Santuario di Maria Ausiliatrice, affollato di cooperatori salesiani, e rivestì, dice il Momento, « tutta l'amarezza del distacco dalle persone e dalle cose che più son care alla vita, tutta l'angoscia del pensiero rivolto ad un avvenire ignoto e che assieme ha tutta la gioia di un ideale nobilissimo per cui si affrontano impavidamente tutti i pericoli col valido sostegno della fiducia in Dio, dell'amore di Dio, che è sufficente conforto e fonte di energie e di risorse per ogni cristiano e specialmente per i valorosi figli di Don Bosco ».
Nel presbitero e subito fuori di esso si erano già radunati, col Rettor Maggiore Don Albera e i membri del Capitolo superiore, tutti i generosi che si volavano all'apostolato, quando salì in pergamo il rev.mo D. Aime, ispettore delle Case salesiane della Colombia, del Venezuela e Curação, il quale « illustrando la missione divina del sacerdote dimostrò con smaglianti frasi come D. Bosco abbia saputo copiare gli aneliti di carità di Gesù Cristo, espandendo l'opera sua di ministro di Dio su tutta l'Europa e su tutto il mondo, tanto che dall'11 novembre 1875 già da 38 volte si ripete la funzione di partenza dei missionari salesiani per le più remote regioni, ove la loro attività si esplica in molteplici opere di redenzione, mediante scuole d'arti e mestieri, collegi, oratori festivi, colonie agricole, lazzaretti.
» Commoventissimo fu il punto in cui si fermò a descrivere la vita del missionario salesiano tra i lebbrosi e la riconoscenza di cui lo circondano quelle infelici popolazioni. Quando l'ispettore salesiano visita i loro villaggi, da ogni capanna accorrono a fargli omaggio uomini e donne, fanciulli e vecchi; anche chi non può più camminare si fa trasportare sulla soglia di casa per vederlo. Parlò dell'opera sovrumana compiuta coll'aiuto della Provvidenza dal salesiano D. Unia e suscitò le lagrime dell'uditorio ricordando che un altro eroe salesiano è ora affetto di lebbra, vittima del suo zelo altruistico per amor di Dio.
» Esaltò l'opera delle buone suore di Maria Ausiliatrice, che così nobilmente hanno saputo gareggiare coi loro fratelli maggiori in tutto l'apostolato e che hanno pure la loro vittima tra i lebbrosi delle Missioni : e concluse come così grande risultato di bene sìa stato ottenuto da D. Bosco mediante la devozione in Maria Ausiliatrice ed in Gesù sacramentato. »
Subito dopo, l'Em. Card Richelmy si recò all'altare; e impartita la benedizione eucaristica, procedette alla benedizione e alla distribuzione delle croci, quindi « con la consueta paterna facondia, densa sempre di preziosissimi consigli, parlò ai partenti, ricordando loro come nelle lontane terre li aspetti una vita di sacrificio, che avrà conforto nel pensiero del bene compiuto per la gloria di Dio e nell'imitazione di Gesù Crocifisso. »
Seguì, commoventissima, la cerimonia dell'amplesso di commiato, durante la quale molti piangevano, invocando la protezione di Dio sui valorosi figli di D. Bosco e sulle loro future fatiche.
Fra la schiera dei nuovi Missionari notavansi, insieme con Don Aime, già ricordato, D. Reineri, Ispettore delle Case salesiane del Perù, della Bolivia e dell'Equatore, e D. Malan Ispettore delle fiorenti Missioni salesiane del Matto Grosso , cui stava d'accanto il giovane bororo educato nella Colonia del S. Cuore, Thiago Marques, uno dei piccoli musici componenti la prima musica istrumentale della stessa Colonia, che nel 19o8 riscosse tante simpatie e tanti applausi a Montevideo, a Buenos Aires, a S. Paolo e a Rio Janeiro, ove si recò all'esposizione nazionale.
I lettori in altra parte del periodico troveranno copiose notizie intorno a quest'ultima missione ed altre non meno care ne avranno nel prossimo numero.
« Sono stato esaudito ! »
Una grave circostanza stava per togliermi agli studi e alla pace del Seminario, mettendo a non lieve pericolo la mia vocazione. Nell'angustia mi rivolsi pieno di fiducia a Colei che è detta Aiuto dei Cristiani e, promessa un'offerta per il Santuario di Valdocco e la pubblicazione della grazia nel Bollettino, interposi presso il suo potente patrocinio l'intercessione del Venerabile D. Bosco.
La buona Madre accolse le preghiere del Venerabile Servo di Dio, e io fui pienamente consolato.
Col cuore compreso della più viva riconoscenza, sciolgo ora i miei voti, e, mentre rendo nota la visibile bontà di Maria, esorto quanti ricorrono a Lei di voler interporre presso il materno suo cuore l'efficace intercessione del Ven. D. Bosco, sicuri d'essere abbondantemente favoriti.
Roma, ottobre 1911.
MARIA BONDINI, del Pontificio Seminario Pio.
Sulla Tomba del Venerabile.
Nel mese di febbraio u. s. veniva colta per la terza volta da una furuncolosi nel canale dell'udito, che mi cagionò quasi per due mesi un continuo spasimo. Il malore erasi manifestato la prima volta nell'agosto innanzi; poi era tornato una seconda; ma la sua terza comparsa doveva essere assai più noiosa e pressochè insopportabile. Ho passato lunghi giorni di dolori inesprimibili. Il dottore mi diceva che stante l'ubicazione delicata del male non si poteva venire ad una cura energica e diretta e che attesa la sua fierezza era assai pericoloso, per cui molto lenta e problematica sarebbe stata la mia guarigione.
Erano quattro o cinque giorni che soffriva più del solito quando mi venne l'ispirazione di recarmi a Valsalice sulla Tomba di D. Bosco e di farvi la S. Comunione. Vi andai e feci la promessa che vi sarei tornata, a grazia ottenuta, recando una piccola offerta. Da quel giorno cessarono i dolori, non si rinnovò più alcuna eruzione e il male scomparve!
In quel tempo cadde ammalato il mio piccolo Luigino, di sette anni, colto da forti dolori agli arti e da febbri reumatiche. Erano due settimane che soffriva e non si trovava nessun rimedio efficace, quando mi rivolsi a D. Bosco e gli promisi che avrei condotto anche il bambino sulla sua Tomba, se me l'avesse guarito. Si calmarono i dolori, scomparve la febbre, e si alzò. Il giorno che sciolsi la promessa, salendo la collina, Luigino mi diceva: « Guarda, mamma, andiamo a ringraziare D. Bosco, ma la mano destra mi fa ancora male e non la posso muovere come vorrei. » Purtroppo era così. Io non gli risposi, ma giunti sulla Tomba, il fanciullo accostò da sè la mano dolente ad essa e pregò; e nell'allontanarci, mostrandomi la mano perfettamente sciolta, mi diceva: « Guarda, mamma, ora è davvero guarita! » Difatti la moveva benissimo e tornato a casa da quel giorno potè stringere la penna e scrivere liberamente.
E tanta la fiducia che hanno destato in me queste grazie, che ricorro a D. Bosco in ogni bisogno e ne son sempre consolata.
Torino, 25 agosto 1912.
STAMURA BARCHIESI IN GALAvoTTI.
Guarito da bronchite e febbri malariche.
Assalito da bronchite complicata con febbri malariche, mi sentiva proprio venir meno, sia per l'estremo deperimento di forze, sia perchè la bronchite minacciava di prendere altra piega.
Mi giunse in quel punto il Bollettino. Leggo con avidità le grazie ed i favori concessi dalla Madonna e strappata dal Bollettino la copertina, ov'era l'effigie del Venerabile, l'applicai alla parte dolente del mio corpo, e mi rivolsi alla Vergine Ausiliatrice acciocché per l'intercessione e le preghiere del Venerabile e per affrettare la di lui Beatificazione, mi ridonasse il primiero stato di salute. Quindi incominciai la novena, promisi un'offerta per le Missioni di D. Bosco, e la pubblicazione della grazia implorata.
Sia lode a Maria Ausiliatrice ed al Venerabile! Io sono interamente guarito. Adempio alla promessa, e spero che altre grazie mi concederà la Vergine per intercessione di D. Bosco.
Marsala, 10 dicembre 1912.
ANTONINO ANGELERI.
Guarigione portentosa di un fanciullo.
Il 26 marzo, mio figlio di nove anni cadde gravemente infermo. Dopo tre giorni il male crebbe a dismisura, ed io temeva d'impazzire dal dolore nel vedere così sofferente il mio caro bambino.
Consultato un medico, sentii che ornai era inutile ricorrere ai rimedii, perchè presto... cesserebbe di vivere.
S'immagini lo schianto d'una povera madre a simile dichiarazione! Ma un raggio di luce mi balenò alla mente e dissi fra me: « Se dunque la scienza umana nulla più vale a guarire mio figlio, ricorrerò alla Vergine, Aiuto dei Cristiani, ed al suo fedelissimo Servo D. Giovanni Bosco e son certa che l'una e l'altro mi esaudiranno ».
E tosto iniziai una fervorosa novena alla Madonna aggiungendo pure una prece al detto Venerabile, promettendo, che se il piccolo infermo fosse guarito, avrei fatto un'offerta alle Opere Salesiane e avrei resa pubblica testimonianza del favore ottenuto.
Portento divino! Il quarto giorno della novena, lasciava mio figlio più grave ancora nel recarmi in Chiesa per sentire una Messa e fare la S. Comunione; e, soddisfatta la mia pietà, ritornava a casa, parte dubbiosa di ritrovare ancora vivo il mio povero bimbo, e parte fiduciosa che la SS. Vergine e Don Bosco m'avessero esaudita. Era proprio così. Appena giunta in casa, mi sentii chiamare allegramente dall'ammalato, che si sentiva meglio, ed ora è pienamente ristabilito.
Non è questo uno straordinario favore se si considera che il povero infermo era combattuto da tre fieri morbi nel medesimo tempo, la bronchite, la polmonite e la rosolia?
Dpo una grazia così segnalata non posso fare a meno che sciogliere con tutto il cuore l'inno della mia gratitudine e compiere la promessa.
S. Pier d'Arena, maggio 1913.
SANTINA RIDELLA.
Guarito dall'epilessia.
Da sei anni a questa parte soffriva attacchi epilettici, che ripetendosi ogni mese mi lasciavano prostrato di forze e mi vietavano applicarmi a lavori di mente.
Mi presentai in Quito ai migliori medici, ma nessuno seppe darmi medicine che mi liberassero dal mio male. Ricorsi in seguito con una novena a Maria Ausiliatrice, ma neppure allora cessò di ripetersi il male.
Venni a questa città di Cuenca e qui pure mi coglievano gli stessi attacchi, quando il Missionario Salesiano D. Francesco Spinelli mi consigliò di fare una novena a Maria Ausiliatrice interponendo l'intercessione del Ven. D. Bosco.
Cominciai la detta novena,, ricevendo ogni giorno Gesù Sacramentato, e compiutala, lo stesso Sacerdote mi consigliò a farne un'altra di ringraziamento. Così feci e promisi a Maria SS. di fare la Comunione ogni mese e pubblicare la grazia sul Bollettino Salesiano.
Oh! bontà di Maria Ausiliatrice! Da quell'ora in poi non ebbi più a soffrire di quel male, ed ora mi sento benissimo di salute. Viva D. Bosco! Viva Maria Ausiliatrice!
Cuenca, (Equatore) 4 maggio 1913.
URCISINo AVILA,
Ex-alunno.
Grazie, D. Bosco!
Da tredici anni soffrivo di calcoli al fegato che mi hanno cagionato fortissime coliche. Nel 1910 il male aumentò assai, e dopo una forte crisi sembrava dileguato, ma fu vana speranza perchè si ripresentò con sintomi sempre più gravi. Costretta a letto per due mesi, dopo ottanta giorni di itterizia e forti disturbi da rendermi come pazza, fu decisa l'operazione, che, come tutti sanno, è delicata e gravissima. Madre di tre cari figliuoli, il mio pensiero era per il loro avvenire! Mi raccomandai di cuore a Maria Ausiliatrice, che per intercessione di Don Bosco mi assistesse, e mi feci anche raccomandare da un mio buon zio Salesiano.
Il mattino prima feci la SS. Comunione, e tranquilla e serena attesi il domani. Sembrava che lo spirito di Don Bosco aleggiasse presso di me e mi confortasse. Ripeto era tranquilla e serena.
Venne il mattino dell'operazione, 3 maggio 1913, baciai e mi feci legare ai capelli una medaglietta dell'Ausiliatrice, prima di lasciarmi trasportare nella camera operatoria. Baciai con trasporto anche la reliquia di Don Bosco che sempre ho tenuta e tengo presso il mio letto. « Ed ora, dissi risoluta, coricandomi sulla barella, portatemi pure!....» e mi addormentai tranquilla dicendo un'ultima giaculatoria a Gesù e Maria; e « Don Bosco assistetemi!... Poveri bambini miei!....».
Andò tutto bene... e la guarigione è dai professori stessi giudicata completa.
Mando, unitamente alla mìa famiglia, le più vive grazie alla cara Madonna di D. Bosco e a Lui stesso, insieme con l'eterna nostra gratitudine e la prima offerta. Sia in eterno Benedetta Maria Santissima Ausiliatrice ed il Suo Buon Servo che ci ha insegnato ad amarla e fidare nel potente aiuto di Lei.
Torino, 8 settembre 1913.
M. V. T.
Guarita da paralisi.
Il giorno 10 maggio 1913 mia mamma fu colpita da paralisi, restando offesa nella parte sinistra della bocca, del braccio e della gamba. Il giorno, 11, chiamata per telegramma, arrivai in casa e la trovai priva dei sensi, tanto che non ebbi la consolazione di essere da lei riconosciuta. Aveva ricevuto i Santi Sacramenti e l'estrema unzione e si aspettava da un momento all'altro la terribile catastrofe. In quegli istanti così dolorosi ebbi l'ispirazione di ricorrere al nostro Venerabile Padre D. Bosco, e coi parenti si cominciò una novena, pregando Maria Ausiliatrice, che per l'intercessione del suo Venerabile Servo ridonasse la salute alla cara mamma. Oh! prodigio!... ecco in breve il miglioramento e alla fine della novena scomparso ogni pericolo. Ora sta benissimo e non le è rimasta traccia alcuna del male sofferto.
Adempio con gioia la promessa di far pubblica la grazia, affinchè tutti ricorrano con fiducia al nostro Venerabile Padre, certi di essere consolati.
Francavilla al Mare, 22 settembre 1913.
La famiglia SINIBALDI.
Una reliquia di D. Bosco.
Da parecchi anni mi venne regalato un quadretto di velluto nero a due vetri, avente da una parte l'effige del Venerabile Don Bosco, dall'altra una finissima ciocca dei suoi capelli. Io ho sempre tenuto quel medaglione, come lo tengo tuttora, benchè un po' logoro, quale reliquia più che ricordo, e ogni volta che mi si presentano ore difficili e angosciose, prendo la reliquia che tengo nascosta fra le più care memorie, la bacio, e invoco il buon Padre certa d'averne sollievo. Specialmente, quando si presenta ai miei bambini qualche male o pericolo che ,minacci la loro esistenza, metto loro prontamente; e prima di chiamare il medico, la reliquia di D. Bosco al collo; comincio un triduo o novena alla Santa Vergine Ausiliatrice, ed ecco scomparire ogni pericolo.
Tanti casi avrei da dire a tal riguardo, da riempirne un volume; ma mi limito a dichiararne un solo.
Pochi giorni sono cadde a terra un mio bimbo di 6 anni, irrequieto al colmo. Il sangue gli usciva dal naso a guisa di emorragia, e ad un tratto divenne pallido e fu in delirio. Subito gli misi addosso come sempre, la cara reliquia; ed egli in poche ore s'addormentò profondamente e dormì con tranquillità tutta la notte. Intanto chiamai il nostro buon medico, il quale disse che il fanciullo oltre l'anemia, causata dall'emorragia, era pur stato colpito da insolazione e quindi da irritazione cerebrale. Che spavento! Il poverino non poteva tener diritto il capo, e andava ripetendo che attorno a lui tutto girava!
Incominciai il solito triduo, e alla fine del terzo giorno il caro fanciullo era guarito. Oh! io non merito d'essere così protetta dalla Vergine Santissima, ma lo meritate voi, o Ven. Don Bosco, perchè come tanto amaste in terra i fanciulli, gli afflitti, i poverelli, li amate anche dal Cielo. Deh! continuate a proteggere i miei figli tutti! Il Buon Gesù e la Vergine SS. non guarderanno alle mie miserie e in nome vostro me li benediranno ora e sempre, difendendomeli da ogni male... e dal peccato, che è il peggiore di tutti i mali.
Montemagno, 1 settembre 1913.
A. STRADELLA.
UN INVITO.
Nei luoghi visitati da Don Bosco vi sono molti che ora raccontano gli effetti meravigliosi delle sue Parole, delle sue preghiere o delle sue benedizioni, mentre Per giusti motivi li tennero celati nei giorni in cui i fatti avvennero. Ci farebbero un Prezioso regalo quelli, che potendo inviarci esatte testimonianze in Proposito, si dessero Premura di farlo.
Ecco, ad esempio, una breve relazione di una Signora di Parigi, che ci Prega di non pubblicare il suo nome.
Sarei troppo felice, se colla narrazione di una grazia ricevuta da Don Bosco, potessi contribuire ad accrescere la fiducia di tante anime verso questo gran Servo di Dio.
La nostra figlia primogenita d'anni cinque, nel maggio 1887 venne affetta da un mal di gola così grave, che i medici giudicarono necessario farle l'operazione della tracheotomia, ma contemporaneamente non ci nascosero che molto difficilmente sarebbero riusciti a salvarla.
Grazie ad una cugina, la madre della quale aveva avuto la grande ventura di ricevere Don Bosco ìn sua casa, avemmo le preghiere di quel santo sacerdote. Ci fu data una corona da lui benedetta, che mettemmo sul letto della nostra bambina, e domandammo a lui stesso una novena di preghiere.
Don Bosco rispose: - I parenti facciano la novena con me a N. S. Ausiliatrice, e la fanciulla guarirà. - Aggiunse ancora: - Il primo ex voto della mia Cappella di Parigi sarà il suo.
Queste profetiche parole si avverarono in tutto punto. Dopo parecchie settimane la nostra figlia era completamente ristabilita; e a noi non resta che benedire Iddio, il quale per l'intercessione del suo gran Servo volle conservarci la nostra cara figliuola.
Ecco, Reverendo Padre, il racconto di questa grazia segnalata che abbiamo ottenuta per mezzo di Colui che risanò tanti infermi e commosse tanti cuori!
N. N.
(1) Nello svolgere questa rubrica, torniamo a protestare solennemente che non intendiamo contravvenire in nessun modo alle Disposizioni Pontificie in proposito, non volendo dare ad alcun fatto un'autorità superiore a quella che merita qualsiasi testimonianza umana, nè prevenire il giudizio della Chiesa, della quale - sull'esempio Don bosco - ci gloriamo di essere ubbidientissimi figli.
(Lettere del Sac. Stefano Trione)
Ai primi di luglio il nostro Confratello prof. D. Stefano Trione, con la benedizione del S. Padre e del rev.mo sig. D. Albera, partiva alla volta dell'Argentina, donde sarà di ritorno sulla fine di questo mese. Di là egli ha inviato parecchie relazioni all'amatissimo nostro Superiore, le quali, per la varietà delle notizie, saranno lette avidamente da tutti e torneranno utili ai nostri lettori.
I.
Note di viaggio.
Buenos Aires, 1° agosto 1913. REVERENDISSIMO sIG. D. ALBERA, Le scrivo da Buenos Ayres, ove giunsi da Genova il 26 luglio, dopo un felicissimo viaggio di 20 giorni.
Sul Garibaldi della Ligure-Brasiliana, che mi trasportò dall'Italia, noli si trovavano troppi passeggeri, perchè questa stagione non è l'epoca delle grandi folle; quindi si stava comodissimamente. L'elegante piroscafo, rifatto a nuovo pochi anni fa, presenta le migliori comodità moderne, con lusso sorprendente: ha un rullio leggerissimo, sicchè quando il mare non è agitato, sembra di essere in terra. Il Comandante, gli ufficiali, i commissari e tutto il personale di bordo non potevano essere più amabili con tutti i passeggeri.
Il mare fece con noi perfetta amicizia e ci fu benigno durante tutto il tragitto; anche nei terribili golfi di Lione in partenza e di S. Caterina all'arrivo passamano indisturbati.
A bordo il primo giorno si è forestieri e poi ben presto si è conoscenti e si diventa amici. Io, viaggiando come Cappellano, avevo un motivo di più per avvicinarmi a tutti e, grazie a Dio, vi riuscii agevolmente, tanto più che, sia nel personale di bordo come fra i passeggeri, incontrai ex-allievi dei nostri collegi d'Italia.
Ebbi la fortuna di poter celebrare ogni mattina la Santa Messa, i giorni feriali in una piccola sala e i festivi pubblicamente sul ponte, con breve predica, restandone tutti contenti. Era la prima volta che predicava in alto mare in un ambiente cotanto nuovo per me e non mi mancarono consolanti emozioni.
I signori così detti di 1a classe, la sera in cui passammo la linea equatoriale e la domenica seguente, vollero che io parlassi a loro, e ben volentieri aderii, toccando argomenti che potevano tornar utili e gradevoli a tutti, senza dimenticare la cara Italia, verso cui sentivamo crescere i palpiti a misura che cresceva l'enorme distanza dalle sue annate spiaggie.
Nel nostro piroscafo abbondavano in terza classe gli emigranti pel Brasile, in massima parte ottimi cristiani, pieni di fede. Che la divina Provvidenza li assista nelle nuove terre ! come erano rispettosi e divoti nel sentire la santa Messa ! Fu una gran gioia per tutti quando distribuii loro immaginette e medaglie, e... a questa distribuzione non vollero essere estranei anche i signori di prima classe.
Per grazia di Dio, durante tutto il viaggio, la salute in generale fu buona; sta il fatto che trovai l'infermeria sempre vuota. Per quanta salute però vi sia in questi viaggi, si sta più tranquilli quando si sa che a bordo ci sono il medico e il prete, ed è per questo che ormai tutte le Compagnie di navigazione, oltre il Commissario medico, vogliono anche il Cappellano.
Passata la linea equatoriale, ammirai in cielo la bellissima croce del Sud; e a Santos, nello Stato di S. Paolo del Brasile, toccai terra. Fu una festa quando si cominciò a veder da lungi la lussureggiante vegetazione che circonda la ridente città elle appare come un diamante incastonato in quella baia, che è una delle più belle del inondo.
Fino a pochi anni fa, Santos era infetta dalla febbre gialla e incuteva spavento a quanti vi approdavano: ora invece pei grandi lavori di risanamento che vi si eseguirono è una delle stazioni climatiche più sane e più ricercate. Dista appena due ore di treno dalla grande città di S. Paolo, a cui serve di porto.
Disceso in città cercai del buon missionario di emigrazione, P. Malatesta, ma nol trovai in casa e fui dall'ispettore locale d'emigrazione il sig. Oscar Lófgren, con cui ebbi una lunga e interessante intervista.
La nazione che fino a pochi anni fa somministrava il maggior contingente d'immigrazione nel Brasile era l'Italia. Ora le cose van cambiando.
Nello Stato di S. Paolo il 1911 entrarono 17.000 italiani, 13,000 portoghesi, 11,ooo spagnuoli; nel 1912 entrarono 23,000 italiani, 29,ooo portoghesi, 25,000 spagnuoli. A Santos gl'immigrati vengono subito ricevuti dagl'incaricati dell'Ispettorato governativo locale; quelli di 3a classe hanno il viaggio gratuito fino a S. Paolo, ove possono trovare ospitalità gratuita per sei giorni, durante i quali vien loro procurato un impiego, qualora non abbiano già ove dirigersi. La legge fino a questo punto provvede beale; pel resto non ho dati sufficienti per parlarne.
Sebbene nel Sud-America in questi mesi sia inverno, a Santos si sentiva un tepore già primaverile, ma ripigliato il viaggio, man mano che ci avanzavamo verso l'Argentina, la temperatura discendeva fino alla minima di 10 centigradi. Non eravamo più alla massima di 29 centigradi che toccammo alla linea equatoriale; ma neppure si pre cipitò alle minime che si avvicinano allo zero, come talvolta accade in questa stagione sulle rive del Plata.
Entrati in questo fiume dall'immensa foce, larga al punto estremo 2oo chilometri, coll'acqua bionda come quella del Tevere e col corso lento e la profondità media di appena sei metri, il nostro sguardo fu ben presto rapito dall'incantevole vista di Montevideo e dal maestoso panorama che la circonda. Ci avvicinammo alquanto, per consegnare a una lancia che venne a noi, la posta e i nomi dei passeggeri di classe che sono a bordo, nomi che, telefonati a Buenos Ayres sono pubblicati subito nei giornali della gran Capitale prima dell'arrivo.
Montevideo ha l'aspetto di un'elegante e fastosa città europea. Ha il suolo ineguale come Roma, ma con rialzi e abbassamenti regolari e simmetrici. Vediamo le sue vie trasversali e fra loro parallele che tagliano regolarmente come in tante sezioni la città; emergono con varietà fantastica le cupole e i campanili delle Chiese e le sommità di vagii altri superbi edifizii. Ammiriamo la distesa grandiosa della città, il suo porto e il monte vicino che diede origine al nome Montevideo, ma presto si parte per toccare la mèta del nostro viaggio. Difatti dopo altre dieci ore eccoci alla gran capitale federale dell'Argentina, che conta 1.448.000 abitanti, di cui 400.000 italiani e siede sulla riva destra del Plata, nel punto ove questo è largo 8o chilometri.
Mi recai subito al Collegio Salesiano Pio IX, ove ebbi un ricevimento affettuosissimo dall'Ispettore Don Giuseppe Vespignani, da tutti i confratelli, dalla rappresentanza ufficiale degli ex-allievi e altri amici. La banda musicale dell'Istituto suonava a festa, ma la più gran festa era nel mio cuore, nel poter abbracciare amici e persone tanto care.
Tutti vollero sapere di Lei, amatissimo Padre, e furono lietissimi delle ottime notizie che potei dare in proposito, insieme coi paterni saluti e le benedizioni di cui Ella degnavasi incaricarmi per loro.
Quanto prima le scriverò su quanto riguarda il compito da Lei assegnatomi in questo viaggio. Gradisca intanto i cordialissimi e umilissimi miei ossequi con quelli di tutti questi confratelli e cooperatori, e ci benedica proprio con una benedizione particolare.
Della S. V. Rev.ma
Dev.mo figliò Sac. STEFANO TRIONE.
II.
I Salesiani e gli emigranti.
Buenos Aires, 16 agosto 1913.
REVERENDISSIMO SIG. D. ALBERA
Giunsi in Buenos Ayres di sabato e la domenica fui in un lembo d'Italia. Predicai nella bella Chiesa degl'Italiani intitolata Mater Misericordiae, officiata dai Salesiani fin dal 1875, cioè dal tempo della prima spedizione dei nostri Missionari organizzata dal Ven. Don Bosco per l'America. Assistei al vespro diretto da una sessantina di uomini, salii poscia il pulpito e mi vidi circondato da una folla di uditori che capivano benissimo la mia parola italiana e ne provavano soddisfazione, essendo quello il linguaggio della loro madre patria. I canti che seguirono la predica erano perfettamente come in Italia, quindi l'illusione di essere in un lembo della patria lasciata per breve, era perfettissima.
Presso questa chiesa v'ha una Confraternita italiana, una Società Cattolica di 400 italiani, uno dei principali Segretariati del Popolo che i Salesiani hanno in America numerosi e federati all' « Italica Gens », un bel Collegio Salesiano intitolato al Ven. D. Bosco, con Oratorio Festivo, teatro e cinematografo, circolo sportivo e l'immancabile Circolo degli Ex-Allievi. Anche qui, come in quasi tutte le altre Case Salesiane si ha un po' d'insegnamento della lingua italiana. Come vede, un programma abbastanza vasto. Si lavora.
Provai gran gioia nel vedere cotanto fiorente la nostra prima stazione americana e di vederla così ben amata e sostenuta dagli ottimi Italiani, che ne sono l'anima e la vita
Gl'immigrati italiani! Nell'Argentina ve n'ha quasi un milione; se poi si calcolano gli oriundi italiani, chi li può numerare? Qui si veggono ovunque nomi italiani. Ve n'ha di quelli che salirono ai più alti gradi della finanza, industria e commercio, amministrazione, e anche della politica, tenendo ben alto il prestigio del nome Italiano col rendere importanti servigi a questa ospitale Repubblica. Tutti gl'Italiani qui immigrati portarono in queste ricche città e campagne un cumulo di energie intellettuali morali e materiali da rendersi largamente benemeriti del portentoso progresso, fatto in breve tempo da questa fortunata nazione.
L'Argentina ha un territorio dieci volte più vasto dell'Italia e tutto coltivabile. Attualmente può contare tre abitanti per chilometro quadrato mentre l'Italia ne ha 117. Quindi, nazione ricca com'è, ha molto da avvantaggiarsi dall'immigrazione. Ed essa ben lo sa e per questo la favorisce assai, massime quando gl'immigrati vengono da quegli stati che le dànno preziosi elementi, come l'Italia, giacchè l'operaio italiano è indiscutibilmente il più abile, il più sobrio ed il più resistente alla fatica. Con tal mezzo la popolazione dell'Argentina va crescendo molto; nel 1797 era appena di 310 mila abitanti; nel 1869 ascendeva a un milione e 830 mila; nel 1895 cioè appena 18 anni fa, a quattro milioni, e ora a più di sette milioni.
Come provvedere convenientemente a un così gran numero sempre crescente d'immigrati? Come provvedervi sia del lato religioso e morale, che dal lato materiale e sociale?
Il Governo Argentino ha preso ottimi provvedimenti. Ad esempio, tiene presso il porto la grandiosa e comodissima Casa degli Immigrati, ove ne ospita più migliaia gratuitamente per almeno cinque giorni, paga loro il viaggio fino a destinazione in qualunque punto della repubblica e si adopera per occuparli.
Di fronte a un problema così vasto non mancarono anche le iniziative private, fra le quali una delle prime fu quella del Ven. D. Bosco, che fin dal 1875 incominciò ad inviare a tal fine i suoi figli nel l'Argentina. Ed anche ora una delle opere più importanti che compiono i nostri nell'Argentina è l'azione che continuano a spiegare in ciò, in molti dei principali centri della Repubblica.
Su questo argomento cadde naturalmente il discorso nelle visite che io feci a Mons. Internunzio e a Mons. Arcivescovo, visite che si degnarono ricambiarmi e furono perciò occasione di altri colloqui sullo stesso oggetto, di cui parlai anche col R. Ministro e col R. Console d'Italia, che mi accolsero con molta affabilità, e con varii signori della Colonia Italiana.
Per riuscire a intensificare dal canto nostro il lavoro in questo campo, si tennero varie conferenze coi Direttori salesiani dei Collegi della capitale e dintorni e si organizzò anche un speciale convegno a cui intervennero fra gli altri la direzione locale dell' « Italica Gens »; il direttore dei Missionarii d'Emigrazione, fondati da Mons. Coccolo; il Teol. D. Olimpio Torta, redattore del quotidiano cattolico « Italia », i direttori e segretari degl'importanti segretariati d'Emigrazione di Mater Misericordiae, della Boca e di Almagro.
Si lavora assai da tutti: ma il campo è immenso, le difficoltà sono molte e in proporzione i Missionari sono pochi; ma fanno assai. A questo proposito vorrei additarle quanto fanno in questo nobile ramo d'azione i nostri ottimi confratelli, non solo in Buenos Ayres, ma in tutta l'Argentina, ove hanno già 44 Case con annesse Chiese pubbliche e segretariati. Ma confido d'inviarle presto un'apposita recente relazione del nostro degnissimo Ispettore nell'Argentina del Nord, sig. Don Giuseppe Vespignani per le Case della sua Ispettoria.
Per l'Ispettoria del Sud riferirò più tardi, non avendo ancora potuto recarmi a Balia Blanca et ultra.
Amerei pure accennare nll'azione provvidenziale che anche in questo campo compiono le benemerite Figlie di Maria Ausiliatrice colle loro numerose e fiorenti Case, scuole, Oratori festivi, Associazioni di di ex-allieve, ecc. e coll'insegnamento della lingua italiana, che pur esse in qualche modo coltivano nei loro Istituti, ma di ciò in altra mia.
Ritornando a ciò che Le accennava, le confesso che debbo sempre meglio convincermi che un buon italiano, massime se buon cattolico, non può disinteressarsi di questo gran fatto che presenta oggi l'Italia emigrante. L'emigrazione è fra tutti i fenomeni sociali uno dei più conformi alla natura e dei più permanenti in tutte le epoche della storia; ma in Italia non assunse mai le proporzioni che ha ora. Ed esso arrecherà certo molti vantaggi, darà buon lavoro a migliaia di operai, aprirà nuovi campi all'indole geniale ed attiva dei nostri compatrioti e insieme nuove vie al commercio e alle svariate industrie italiane; ma non è da dimenticarsi che quest'onda, emigrante in tutte le parti del mondo corre molti pericoli. Quanti, malcapitati, sostengono all'estero sacrifizi enormi senza trarne i frutti che si meriterebbero! quanti rimangono disoccupati e miseramente obbligati ad acerbe umiliazioni!...
Che dire poi delle loro vicende religiose? Molti sono sinceri apostoli del bene e colla loro esemplare condotta sostengono la nostra fede in molte terre lontane, ma tanti... finiscono per apportare frutti assai diversi. Quindi amor di religione e amor di patria ci spingono ad intensificare il lavoro di assistenza e di aiuto a questi cari fratelli.
Oh come sapientemente e opportunamente volle la Santa Sede che sorgessero in tutta Italia i Comitati Diocesani e Parrocchiali d'Emigrazione, e la Sacra Congregazione Concistoriale, per mezzo della propria Sezione d'Emigrazione, fece appello sullo stesso argomento alla cooperazione degli Ordini e delle Società Religiose!
Anche il R. Governo d'Italia spiegò mirabili energie in patria e fuori, specialmente colla provvida istituzione del R. Commissariato d'Emigrazione che sviluppa un'attività sorprendente.
Ma il cuore e l'opera d'ogni Italiano deve unirsi a queste iniziative ufficiali, deve appoggiare le iniziative private, deve cooperare con zelo in tutti i modi possibili al buon esito d'una causa così santa.
Mi perdoni, amatissimo Padre, se questa mia povera lettera ha preso quasi il tono di conferenza! Dopo essermi occupato di opere d'assistenza per l'Emigrazione da molti anni, dopo di averne parlato diffusamente parecchi anni fa in pubbliche conferenze nelle principali città d'Italia, da Como, Belluno e Udine, a Palermo, Trapani e Girgenti, dopo essermene interessato in tanti Congressi e Comitati, ne ho concepito un amore vivo e sempre crescente e quasi la posa di propagandista.
Gradisca i miei più cordiali ossequi e mi benedica.
Della S. V. Rev.ma
Um.mo figlio in C. J.
Sac. STEFANO TRIONE.
I Cooperatori Salesiani, i quali confessati e comunicati divotamente visiteranno qualche Chiesa o pubblica Cappella, o se viventi in comunità la propria Cappella privata, e quivi pregheranno secondo l'intenzione del Sommo Pontefice, possono lucrare Indulgenza plenaria (come dal Decreto della S. Congregazione delle Indulgenze, 2 ottobre 1904):
ogni mese
1) in un giorno scelto ad arbitrio di ciascuno; 2) nel giorno in cui faranno l'esercizio della Buona Morte ;
3) nel giorno in cui si radunino in conferenza ;
dal 10 novembre al 10 dicembre:
I) il 21 novembre, Presentazione di Maria Verg.; 2) il 22 novembre, festa di S. Cecilia, vergine e martire ;
3) l'8 dicembre, Solennità dell'Immacolata.
Tutte le indulgenze concesse ai Cooperatori sono applicabili alle Anime Sante del Purgatorio ; ma pel loro acquisto è richiesta la recita quotidiana di un Pater, Ave e Gloria Patri secondo l'intenzione del Sommo Pontefice coll'invocazione: Sancte Francisce Salesi, ora pro nobis.
Mentre il Comitato Esecutivo sta compiendo le pratiche coll'Autore del bozzetto prescelto per l'esecuzione del Monumento, offriamo ai lettori lo schizzo del bozzetto stesso, di cui demmo la spiegazione nel numero di agosto (1), e riferiamo dal Plaustro di Forlì questi interessanti cenni biografici sull'Autore, prof. Gaetano Cellini.
Gaetano Cellini è nato a Ravenna il 27 agosto 1875, nel sobborgo Adriano, ora Saffi, in quel sobborgo che Telemaco Signorini ha dipinto così suggestivamente, e precisamente in quella caratteristica Virimpena che sembra una viuzza araba di un qualche eccentrico quartiere di città orientale. Sua madre era una modesta fruttivendola; a 6 anni egli perdette il padre, e la mamma che aveva altre due figlie minori, dovette pensare da sè al sostentamento di queste tre bocche che crescevano, reclamando pane.
Gaetano fu posto nell'Orfanotrofio maschile e la maggiore delle femmine in quello femminile. Il giovinetto passò alla scuola comunale, imparò presto perchè era di svegliato ingegno, ma il suo cuore più che sui libri era al disegno: « sentivo un vero solletico, scrisse egli stesso, quando potevo scarabocchiare qualche cosa ». I maestri stessi lo rimproveravano che non attendeva abbastanza alle lezioni, intento a schizzare colla matita sul quaderno, qualche caricatura dei compagni. A 14 anni il regolamento dell'Orfanotrofio imponeva che l'orfano scegliesse un mestiere, e poichè non era possibile senza studi allogarsi presso uno scultore, scelse il marmista Stefano Fenati, ravegnano, che l'accolse nella sua bottega. « Passai qualche mese scrive egli stesso, fra uno scapaccione e l'altro » finchè lo scultore Attilio Maltoni che aveva allora terminati gli studi a Firenze, frequentando la bottega del Fenati scorse il Cellini, gli piacque la foga tutta romagnola dell'indole, e comprese che qualche cosa di buono si sarebbe cavato da quel fanciullo dai grandi occhi neri.
L'accolse nel suo studio come garzone e poichè lo studio prospettava sull'accademia delle Belle Arti, ebbe occasione di conoscere l'illustre Prof. Alessandro Massarenti, insegnante di scultura, il quale prese subito a voler bene al fanciullo, l'aiutò in tutte le maniere, e lo volle suo discepolo. Il Massarenti intuì subito quale e quanto cammino avrebbe fatto il giovane ravegnano alla sua Scuola, e Gaetano Cellini nelle ore libere dallo studio del Maltoni, passava alla scuola del Massarenti che gli ispirò i primi rudimenti dell'arte. Regolarmente poi frequentò l'Accademia colla guida del Massarenti, ne compì gli studi con un entusiasmo e una solerzia che davano a presagire bene pel suo avvenire. A 18 anni usciva dall'Orfanotrofio, ma a casa la povera madre non poteva bastare a sfamare, colle tenui risorse, tutta la famigliuola. E Gaetano Cellini doveva studiare ancora di più, perfezionarsi nel disegno, vedere i grandi centri artistici d'Italia, e per questo mancavano i mezzi; il Comune di Ravenna non dava alcun sussidio, Mecenati non se ne trovavano, che volessero sacrificare qualche migliaio di lire per compiere l'educazione artistica di un ragazzo che prometteva. Fu allora che il Cellini in un momento di sconforto e d' indignazione scrisse al Consiglio accademico una lettera che qualcuno di quei signori ricorda ancora, piena di tutto l'ardore per l'arte che egli doveva contenere in petto, e insieme fieramente irosa contro chi non gli dava mezzo di proseguire gli studi. Fortunatamente, il Massarenti l'amava come un figlio e molti erano persuasi elle era peccato troncare nel giovane ogni speranza per il domani. La cosa passò con una buona lavata di capo... e finì liscia.
Nella grama giovinezza del Cellini v'era però una risorsa, un lembo di azzurro nella foschia delle avversità. Egli sapeva suonare discretamente in orchestra; scritturato pei teatri, fuori della patria guadagnava onorevolmente da arrotondare il suo magro bilancio della vita. Fu a Torino che egli capitò, per suonare al Vittorio Emanuele e là fece relazione ben presto con artisti, pittori, scultori, tutti pieni di giovinezza e di allegria. Buon sangue romagnolo è allegro. L'amicizia fu presto conchiusa e Gaetano Cellini svelava agli amici suoi la sua grande grande passione. Bisognava però saper modellare e lavorare il marmo per guadagnarsi da vivere discretamente fuori di casa, ed egli non sapeva, imparò faticosamente, s'allogò nello studio di uno scultore, cominciò a martellare sempre, senza stancarsi provando e riprovando, come nel celebre motto dell'accademia del Cimento. Fortuna volle che Pietro Canonica, lo spirituale scultore piemontese, visitasse un giorno lo studio dove silenziosamente lavorava il Cellini. Vide il lavoro del giovane, gli piacque, s'offrì di accettarlo nel suo studio, gli fece un'offerta superiore, e Gaetano accettò.
Cominciava per lui la sua alba di vita. Silentium lucescit.
Con Pietro Canonica ebbe occasione di perfezionarsi nella lavorazione del marmo, sia con buoni modelli suoi che gli dava a finire, sia colla buona volontà che tutto vince, cosicchè in tempo relativamente breve si perfezionò talmente che lo stesso Canonica gli diede onorevoli incarichi e gli addimostrò la sua piena soddisfazione. Nello studio del Canonica il Cellini fu come nel suo ambiente ideale, spaziò più sereno nei campi dell'arte, facendo tesoro dell'operosità e della elevatezza del maestro. Nel trattempo egli volle concorrere al Pensionato artistico Nazionale, pensò ad un tema poderoso e rimuginandolo nell'accesa fantasia nei brevi ritagli di tempo che gli lasciava il Canonica, nelle lunghe notti invernali, quando la scapigliata Bohème degli artisti si diverte, gioca e sciupa, Gaetano Cellini al lume di una candela provava e riprovava, incarnava nella creta il suo ideale, sudava di gran gennaio come fosse d'agosto, acceso da un ardore che gli era perenne nel sangue. L'esito fu trionfale. Il Dolore vinse in bozzetto il pensionato artistico; mandato a Milano al concorso della istituzione Fumagalli fu giudicato degno di premio. All'esposizione piacque straordinariamente ai critici e al pubblico (caso raro che vadano, d'accordo) e dal Ministero della Pubblica Istruzione ebbe finalmente l'incarico di tradurlo in marmo per la Galleria Nazionale.
A Monaco più tardi otteneva la grande medaglia d'oro, premio il più ambito per un giovane che si vede ipso facto spalancate le porte della gloria da un duplice verdetto, nazionale ed estero. Allora fu l'ascesa vertiginosa che non ha cessato più.
Liberatosi dallo studio del Canonica, egli si fece uno studio proprio, ed espose contemporaneamente statue che ebbero il vanto di essere premiate lodate, vendute. Le ordinazioni cominciarono, la fama si assodò, egli era fuori del pelago, poteva cantare l'alleluia della sua resurrezione artistica. Dopo Monaco di Baviera l'aspra via del Cellini è seminata di rose: spariti i pruni del dolore della sua lunga vigilia, egli ha coronato questa ascesa con il suo massimo lavoro, il bozzetto sul monumento al Ven. D. Bosco
TOMMAso NEDIANI.
Forlì, 28 settembre 1913.
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Segnaliamo in pari tempo la nobilissima gara degli Allievi ed Ex-allievi dei nostri Istituti per la raccolta delle offerte pro Monumento. - All'Oratorio di Torino- Valdocco i giovani artigiani del Circolo « Michele Rua » hanno offerto la somma di Lire 600, raccolte con un banco di beneficenza. - Gli Ex-allievi delle Scuole Professionali di S. Benigno Canavese radunatisi il 26 agosto a convegno attorno il sig. D. Albera, organizzarono essi pure un altro banco di beneficenza al medesimo fine.
La stessa gara ferve in altri luoghi, anche per opera delle Ex-allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ne daremo un cenno più diffuso nel prossimo numero.
MATTO GROSSO (Brasile)
Amorevoli tratti della Divina Provvidenza.
(Lettera del sac. D. Giovanni Balzola)
Colonia S. Giuseppe (Sangradouro) 1 agosto 1913.
REV.MO SIG. DON ALBERA,
AVRÀ appreso dal labbro stesso dell'amatissimo nostro Ispettore Don Malan lo stato sempre fiorente delle nostre Colonie e il bene, che, grazie a Dio, ci è dato di compiere in esse in mezzo a grandi sacrifizi; tuttavia ella avrà caro, ne son certo, che le dia io pure qualche notizia.
La prima si è che noi, Missionari del Matto Grosso, dobbiamo confermarci sempre più nella persuasione che il Signore ci protegge e ci assiste amorevolmente.
Gravissimo rischio corso dai Missionari.
Ella ricorderà, o amatissimo Padre, come, quando si fondò la Colonia del S. Cuore nel centro della foresta, noi passammo sette mesi in attesa dei selvaggi, preparando per noi e per loro le abitazioni necessarie, dopo aver disboscato un largo tratto di terreno e fatte le prime piantagioni. Fu il 18 gennaio 1902 che noi alzammo colà le nostre tende e solo in giugno e luglio comparvero i fuochi al nord e al sud, indizio che i selvaggi si avvicinavano, finchè il 7 agosto furon visti due Indii ad un chilometro di distanza dalla Missione. Ricordo che verso sera mandai due esploratori a cavallo nella vicina foresta sulle rive del fiume Darwin, e questi, ritornando, mi dissero che avevano udito le grida, i canti e gli urli di una turma di selvaggi che facevano il Bacururù. Noi si passò la notte in una certa trepidazione, perchè essendo gli indi così vicini e non essendosi presentati, ci davano a sospettare che fossero male intenzionati. Che fare? Pregammo con più fede e fervore, ed il mattino seguente, dopo aver particolarmente raccomandato l'opera nostra nella S. Messa, feci preparare i cavalli per compiere una nuova esplorazione. Si stava già per partire quando si vedono avvicinare cinque grossi uomini, carichi di archi e di frecce, col corpo bizzarramente dipinto. .
- Padre, vi sono gli Indii ! grida uno dei nostri.
E il famoso capitano Gioachino (l'uomo della Provvidenza) risponde:
- Padre, Bororos boa! Bororos boa!... Padre, siamo Bororos buoni! siamo Bororos buoni!
Pieno di gioia corsi loro incontro e li abbracciai, e tutti manifestammo la nostra contentezza per il loro arrivo. Essi rimasero con noi due giorni, trattati con speciale benevolenza, e noi spiegammo loro il nostro scopo, pregandoli a desistere dall'ammazzar gente, assicurandoli che avevamo già avvisato tutti i braide (i civilizzati) perchè non li perseguitassero più; andassero quindi a dar la notizia a tutti gli altri e poi ritornassero. Difatti, regalatili di diverse cosette, li congedammo contenti e soddisfatti; ed essi ci promisero di ritornare dopo due lune, come poi realmente fecero.
A noi parve che la Missione fosse allora ottimamente incominciata, poichè, avvenuto così il primo incontro, sembrava che non dovessimo più temere alcun pericolo o restare in trepidazione.
Invece quale catastrofe non stava per piombarci addosso ! Solo dopo dieci anni siam venuti a saperlo. Indii che ora sono cristiani e già uniti religiosamente in matrimonio e assidui alla Santa Comunione, ci hanno apertamente confidato e pregato di credere, trovandosi anch'essi nel numero dei primi accorsi in vicinanza della Colonia, che un buon numero di loro aveva abilmente circondato le nostre capanne con animo di massacrarci tutti, dal primo all'ultimo! Ci hanno detto persino dove si trovava ciascheduno di noi in quell'ora, ad esempio che io stava al tavolino scrivendo, ed avendo la mia camera le pareti di foglie di palme fino all'altezza d'un uomo, essi si erano fermati a lungo ad osservarmi, ed uno già aveva teso l'arco per scoccarmi una frecciata mortale, decisi di far poi altrettanto con gli altri; ma che tutti, mossi non sanno da chi, fecero segno a chi aveva teso l'arco di sospendere il colpo, e questi ubbidì. Dicono ora essi stessi
-Fu il Papai Grande che ciò non volle! cioè Iddio, che non lo permise!
Quindi non v'ha dubbio che se siamo ancora in vita e continuiamo l'opera di redenzione, noi lo dobbiamo unicamente alla Divina Provvidenza, le cui vie sono davvero meravigliose. Quei tali che si trovavano allora in quel gruppo, son ora quasi tutti buoni cristiani; e colui che stava per lanciare la prima freccia su di me, fu da me battezzato in articulo mortis il 1° aprile u. s. Era nientemeno che il famoso Clemente, che non si sa quanti assassini aveva compiuto e che in ultimo aveva ammazzato una delle due donne che aveva, e bandito di mezzo agli altri andò errando alcuni anni come novello Caino fino al principio di quest'anno 1913, quando si recò a questa Colonia molto ammalato, ove, accolto caritatevolmente, morì. Alla sua morte quasi nessun Indio lo avvicinò pel Bacururù; le donne specialmente avevano molta paura di lui e del suo cadavere, anche dopo che fu sepolto, dicendo che stava col Bope... cioè col Demonio. Felice lui che potè ricevere ancora il santo Battesimo!
Ah! se potessi esporre uno ad uno tutti i tratti amorevoli che ci ha usato e va continuamente usando con i Missionari del Matto Grosso la Divina Provvidenza ! Mi permetto un sol ricordo personale.
Un altro gravissimo pericolo scongiurato.
Nell'arrischiatissimo viaggio da noi compiuto in cerca dei feroci ed incommunicabili Cajabis del Rio Paranatinga nel 19oo, avevamo viaggiato una settimana in canoa, senza incontrare di essi alcun'orma, quantunque già inoltrati nel loro territorio interamente sconosciuto al personale della comitiva e interamente sconosciuto anche ad altri, perchè nessuno era ancor giunto a quel punto, all'infuori forse di due spedizioni in tempi antichissimi, dalle quali però, non essendo più tornate, non si ebbe mai alcuna notizia.
Era il giorno 10 luglio del 19oo ed io destatomi con un tristo presentimento, che non sapeva spiegare, allestii l'altare per celebrare la S. Messa; e siccome il rito lo permetteva, la celebrai da Requiem, applicandola per le Anime Sante del Purgatorio ad ottenere anche la loro protezione, vedendoci ogni giorno più in continuo pericolo, o di qualche naufragio o di essere trucidati da quei feroci selvaggi. Finita la S. Messa, diedi a quel luogo il nome di Spiaggia dei suffragi e ci rimettemmo in viaggio. Eravamo 18 persone su cinque canoe, tre grandi e due piccole; e su tutti vedevasi una tristezza e malinconia inconcepibile. Era un presentimento di ciò che doveva accarderci?!
Alle 3 1/2 pom. si giunse ad un punto, che ci parve alquanto pericoloso, causa le enormi pietre che attraversavano il fiume. Prese le dovute precauzioni, si passò prima con le canoe piccole e dietro loro filò una delle grandi con un pilota molto esperto, di modo che esse in un batter d'occhio si allontanarono veloci, trasportate dalla corrente. L'ultima canoa, in cui stava il confratello Silvio Milanese, era ancora molto indietro, cosicchè la mia, che era nel mezzo, si trovava distante da tutte le altre.
Ed ecco che giunti al luogo del maggior pericolo, la canoa fila in direzione di un grosso macigno a fior d'acqua:
- Una pietra!... - gridai; ma era tardi.
La barca battè così fortemente contro il macigno, che la poppa ne fu sbalzata contro un'altra pietra. I rematori allora, accortisi di non poterla più governare, si gettarono subito nell'acqua per indirizzarla, ma per la impetuosa corrente e le enormi pietre che ivi abbondavano, il piccolo legno continuò ad essere violentemente sbalzato da una parte e dall'altra con grande spavento di tutti. Il capo della spedizione che si trovava con noi si gettò nell'acqua e confidando nella sua abilità nel nuotare, tentava di guadagnare la riva del fiume, ma essendo vestito ed armato era continuamente respinto dalla corrente, mentre i 4 uomini rimasti con me gridavano:
- Aiuto! aiuto! siam perduti!
Per me, che non sapeva nuotare, ancor più grave era il pericolo, e me ne stava nel fragile fuscello pregando le Sante Anime del Purgatorio e Maria Ausiliatrice, pur cercando di equilibrare la barca, nella fiducia che gli uomini la potessero indirizzare.
Ma quando vidi che quella, violentemente sbattuta a destra e a sinistra, andava riempiendosi d'acqua, e, passate le pietre, andava veloce dove l'acqua misurava più di 5 metri di profondità, e già cominciava ad affondarsi, non senza grande difficoltà mi alzai e afferrata con le mani la piccola tenda sovrastante, mi appoggiai con la punta dei piedi sull'orlo della canoa che andava affondandosi lentamente... finchè l'acqua mi giunse alla bocca! Eravamo tutti nella disperazione, perchè anche gli altri, quantunque sapessero nuotare, non volevano abbandonar la canoa per il carico che conteneva, e perciò l'accompagnavano con i piedi, mentre con le mani cercavano di tener uniti i bauli, le casse ed i sacchi di viveri che erano galleggianti, compresa la cassetta dell'altare portatile. Io non so descrivere lo spavento di quei momenti che si fu tutti impegnati in quella lotta terribile! Già non aveva più forza di resistere e ci lasciavamo condurre tutti dalla corrente, quando, il più valente della comitiva, udite le nostre grida e scorto l'imminente pericolo, si mise a remare disperatamente verso di noi con la sua piccola canoa, alla quale io poi mi appigliai dando grazie a Dio ed alla Vergine Ausiliatrice, e intanto giunse anche la terza canoa grande, ove entrai in salvo, parendomi di risorgere a nuova vita!
Ebbene, neppure in tanto rischio, non uno perì. Anche il capo della spedizione che avevamo lasciato lottando colla corrente, ed arrivato vicino alla riva n'era stato respinto ed avendo già perdute le forze stava per affogare, fu raggiunto su d'una piccola canoa, preso pei capelli, e tratto in salvo!
Si perdettero, è vero, molti viveri; perdemmo la cassa dei medicinali che costava 8oo lire; perdetti la mia veste nera, che usava solo per la Messa e rimasi col mio solo pastrano bianco; perdetti le ostie, che divennero un pugno di pasta e per 40 giorni non potei più celebrare, la messa in suffragio delle Anime del Purgatorio fu l'ultima che celebrai in quella spedizione: ma a quei suffragi ed alla speciale assistenza del Signore sento di dover ascrivere la nostra salvezza.
Un'esplorazione verso il « Rio das Mortes ».
Venendo ora, amatissimo Padre, a darle qualche altra notizia, le dirò, come in questi mesi di secca i nostri indii ogni anno usano recarsi tutti insieme alla caccia e alla pesca, stando fuori anche due o tre mesi con non pochi inconvenienti.
Ad evitarli, quest'anno dissi loro che li avrei condotti io stesso al Rio das Mortes a passar colà qualche giorno. La proposta fu accolta con entusiasmo, specialmente perchè da quella parte essi non andavano mai per paura della tribù nemica.
Fatti i necessarii preparativi, stabilimmo la nostra escursione pel 14 luglio, festa di San Bonaventura.
Al mattino li invitai a venire ad ascoltare la S. Messa come le domeniche, e così fecero. Dopo Messa si fece a ciascuno una distribuzione di viveri che servisse pel primo giorno perchè dopo, con la loro caccia, avrebbero trovato da dar da mangiare anche a noi, come difatti avvenne.
La nostra partenza offriva un bellissimo quadro; peccato che non avessimo un fotografo! Noi, cioè lo scrivente, il Ch. Poli e l'aspirante Virginio e due indii, eravamo a cavallo, per guidare gli animali da soma; gli altri, uomini, donne e ragazzi, compresi due bambini, uno di tre mesi e l'altro di un mese appena, venivano dietro a noi in lunga fila, un dopo l'altro come essi usano, gli uomini con il loro inseparabile arco e frecce, le donne cariche dei bambini e di tutto il resto.
Incamminatici verso il nord, subito dopo un quarto d'ora di viaggio si dovette incominciare ad aprire il sentiero perchè mancava, e ciò fu còmpito dei giovanotti che con lunghi coltellacci a destra ed a sinistra abbattevano con facilità ogni ostacolo preparandoci libero il passo. Poco dopo ammazzarono un Tamanduà bandeira che diede un poco di carne a tutti; e dopo 4 ore e mezzo di viaggio ci accampammo come si usa in questi deserti per passare la notte.
In un batter d'occhio tutti furono a posto, chi sotto un albero, chi sotto un altro, ed ogni famiglia accese il suo indispensabile fuoco.
In mezzo all'accampamento si accese il fuoco comune a tutti gli uomini, specialmente pei giovanotti.
All'approssimarsi della notte, li invitai tutti intorno alla mia tenda per recitare le orazioni della sera, e il mattino dopo vennero nuovamente ad ascoltare la S. Messa per ricevere anch'essi le celesti benedizioni. A quel luogo diedi il nome di S. Bonaventura, augurandoci di essere davvero bene avventurati.
Rimessici in viaggio, dopo mezz'ora arrivammo alla sorgente di un fiumicello, donde si estendeva una stretta e lunghissima selva di palme intralciata di spine e di ogni sorta di erbacce, che la rendevano oscura e pareva impenetrabile anche a causa dell'acqua che vi formava un gran pantano.
Quel labirinto, che a noi sembrava impenetrabile, non fu tale per gli Indii; che anzi proprio là ci diedero prova della loro valentia. Alcuni cani incominciarono a latrare là dentro ed in un istante io vidi scomparire quei giovanotti che mi stavano aprendo il cammino, e dietro ad essi corsero tutti, senza badare alle spine, gridando e vociando che pareva un finimondo... Che cosa vi era? Dei quati (della famiglia delle scimmie). Ne ammazzarono quattro e così si ebbe altra carne da mangiare.
Continuando a farci strada nel bosco, dopo un'ora incontrammo una grande foresta che ci parve del Rio das Mortes. Gli Indii salirono sopra gli alberi per vedere la direzione che dovevamo prendere; e visto essere impossibile di entrare in quella selva, piegarono verso levante.
Dopo un'altra ora di viaggio eravamo alla riva del fiume e alla confluenza di un altro fiumicello, e così vedendoci di nuovo impediti a continuare il viaggio, fermata la comitiva, ci accampammo per verificar bene ove eravamo. Dopo aver osservato a lungo il fiume, rimanemmo tuttavia in dubbio, perchè mentre avevamo passato il luogo indicatoci da vari che in altri anni si erano colà recati al medesimo fine, quel corso d'acqua ci sembrava troppo piccolo per essere il Rio das Mores e troppo voluminoso per giudicarlo una semplice continuazione del Sangradouro.
Intanto in pochi minuti le famiglie avevano scelto il loro posto all'ombra di quegli alberi secolari; e noi pure armammo la nostra tenda tra i due fiumi.
Un'ora dopo l'accampamento era già deserto: gli uomini erano usciti per la caccia, e le donne andate in cerca di miele silvestre, che là abbondava. Si udivano infatti in tutte le direzioni cader alberi, che producevano tanto fracasso da farne tremar la terra; e verso sera gli uomini ritornarono con diversi animali di ottima carne e le donne con miele abbondante.
All'approssimarsi della notte, quando tutti erano riuniti intorno al proprio fuoco, dissi ad un capitano (a un cacique) che li avvisasse per le orazioni, e che per non incommodarli a passar in mezzo ai cespugli, rimanessero al proprio posto. Io invece mi portai al centro dell'accampamento, dov'era il gran fuoco attorno al quale stavano, come al solito, riuniti gli uomini, e bolliva un grande calderone (che aveva portato espressamente) pieno di carne da mangiarsi durante la notte; feci alzar tutti, e incominciai il segno della croce, che essi ripeterono; poi l'I nure pogiodd'ai - inn'Aroe ci Migera, - itt'aiddu kunure Ai; - i uabo giameddu tabo, - are i touge, -- are Christão d'imi koddi, ecc.), cioè il Vi adoro, che tutti ad alta voce continuarono; e così feci delle altre orazioni.
Che spettacolo! qual quadro commovente! che impressione all' udire quelle robustissime voci che una volta erano il terrore di tante vittime, ed ora facevano risuonare fino al cielo le nostre preghiere! Lo stesso loro Bari-Bonito (lo stregone), uno dei più famosi nelle atrocità passate e che ultimamente aveva piantato il coltello nel petto di un tal Clarismondo, già diverse volte ricordato, non sapendo ancora le orzioni, ripeteva parola per parola ciò che dicevano gli altri.
Finito che ebbero di pregare, un cacico, more solito, incominciò la sua concione per dare gli ordini pel giorno seguente, annunziando tutto ciò che gli avevo suggerito.
All'indomani, celebrata la S. Messa, gli uomini uscirono per la caccia e le donne, presa la scure, andarono in cerca di miele, come il giorno antecedente.
Anche noi, dopo aver fatto un poco di esplorazione, preparammo una grossa Croce, cioè allestimmo un grosso palo che servisse per braccio trasversale e l'inchiodammo ad un grande albero, affinchè neppure il fuoco potesse distruggere quel sacro simbolo e questo rimanesse quasi caparra di giorni migliori per quelle selvagge terre del nord, dove per migliaia di chilometri scorazzano ancora intere tribù selvagge.
Alla sera ritornarono gli uomini con abbondante caccia e le donne con molto miele, senza però certa notizia del Rio das Mortes.
Era nostro desiderio di vincere ogni difficoltà e proseguire sino a raggiungerlo, ma con tutta quella carovana non era possibile; e perciò giudicammo conveniente lasciar l'impresa per altra occasione in cui andremo meglio provvisti e prevenuti e intanto tornare indietro. Tuttavia quel 16 luglio, festa della Madonna del Carmine e del Trionfo di S. Croce, non lasciò di essere memorando, perchè benedissi quelle terre, pregando il Signore ad aprir loro un nuovo orizzonte.
Il dì seguente partimmo e, aprendo un nuovo cammino, ci mettemmo in via di ritorno fiancheggiando il fiume. Alle undici si giunse ad una vastissima foresta che si estendeva da ambe le sponde; e poichè gli Indii la trovarono splendida per la caccia, accondiscesi ad accamparci colà, ove si rinnovi subito la medesima scena dei giorni anteriori.
Il 18 risolvetti di tornarcene a casa portando celi noi qualche ragazzo, e lasciammo là le famiglie per qualche giorno in conformità dei loro desideri. Tutto andò bene e furono di ritorno contenti e speranzosi di poter l'anno venturo, se Dio vuole, rinnovare la nostra gita e continuare l'esplorazione.
Anche del resto posso dire che tutto procede regolarmente, e, grazie a Dio, siamo anche più forniti delle cose più indispensabili alla vita, di cui fummo tante volte privi. Persino del vino per la S. Messa ne facciamo da fornirne gli stessi confratelli di Cuyabà, chè qui la vendemmia è regolarmente due volte all'anno, preferibilmente in febbraio e luglio, potando le viti in settembre e marzo. Volendo avere uva matura anche in altri mesi si può, perchè quattro mesi dopo la potazione incomincia regolarmente a maturare. Queste cose ci fanno ricordare i primi tempi della Missione, quando - in 5 anni - si bevette una bottiglia di vino in 14 persone!
Ma ho già abusato della sua bontà e perciò finisco, rimandando il resto ad altra occasione. Voglia, veneratissimo signor D. Albera, raccomandare la nostra cara Missione ai benemeriti Cooperatori e alle benemerite Cooperatrici, assicurandoli che le umili preghiere che da queste foreste si innalzano a Dio, invocheranno ogni giorno sopra di loro e sopra le loro amate famiglie le più elette Benedizioni.
Di Lei, Veneratissimo Padre
Um.mo Figlio in Corde Jesu
Sac. GiovANNI BALZOLA.
Pellegrinaggio spirituale pel 24 corrente,
Invitiamo i devoti di Maria SS. Ausiliatrice a pellegrinare in ispirito al Santuario-Basilica di Valdocco il 24 corrente e ad unirsi alle nostre preghiere.
Oltre le intenzioni particolari dei nostri benefattori, nelle speciali funzioni che si celebreranno in questo mese nel Santuario, avremo questa intenzione generale:
Ricorrendo in questo Mese il XXX VIII° Anniversario della 1a Spedizione dei Missionari di D. Bosco (11 novembre 1875), raccomandiamo con particolar affetto alla Vergine Ausiliatrice tutte le Missioni Salesiane.
GRAZIE E FAVORI
« Grazie, o Vergine Potente ! * »
Col cuore traboccante di purissima gioia, Ti ringraziamo, o Vergine potente! Da circa tre anni, un insistente catarro bronco-polmonare riduceva i miei giorni ad una triste alternativa di crisi penosissime, con la dolorosa prospettiva di una catastrofe, che avrebbe tolto a due teneri bimbi la loro giovine madre. In queste tristi circostanze, mio grande conforto era la fiducia filiale nell'aiuto di Maria SS.ma Ausiliatrice, così che nell'oppressione più angosciosa del male, come davanti al responso più sfiduciato dei medici, io non dubitavo della Tua materna bontà ! E nel marzo p. p. mentre una nuova ricaduta mi distruggeva con una lenta febbre e più fosche si affacciavano le previsioni della scienza medica, si ravvivò straordinariamente la mia fiducia in Te ! Raccomandandomi all' intercessione del Tuo Ven. Don Bosco, cominciai una novena, implorando la guarigione, e promisi di pubblicare la grazia e di fare un'offerta al Santuario di Valdocco ed un'altra al tuo novello altare in Acqui. Anime buone si unirono a me nell'implorare la grazia; le novene si succedevano e il miglioramento si constatava regolare ed innegabile, finchè giunse il 24 maggio ed io era in forze sufficienti per andare a compiere mia supplica al tuo Santuario di Torino, supplica che al giorno seguente si cambiò in un inno di grazie, allorchè veniva constatato dal Professore specialista un insperato, decisivo miglioramento, garanzia di una completa guarigione del mio male !
Oggi, pieno il cuore di gratitudine, compio la mia promessa, pubblicando la grazia ricevuta.
Possa questo nuovo pegno della tua bontà a mio riguardo, animar tutti a ricorrere fiduciosi al Tuo Santo aiuto !
Acqui, 30 settembre 1913.
MARIA GALLO PANARA Cooperatrice Salesiana.
Ziano-Fiemme (Trentino). - Verso la fine di febbraio dell'anno scorso mio figlio Battista, di anni 15, veniva colpito di appendicite. Pur allarmata della serietà della malattia, non seppi tuttavia decidermi a fargli subire quanto prima un'operazione. Però dopo qualche tempo, con estrema trepidazione mia e di tutta la famiglia, ubbidii all'egregio dottore curante e lo condussi all'Ospedale. Là mi si accrebbe ancora lo spasimo del cuore, allorchè il Primario mi tolse quasi assolutamente ogni probabilità di un esito felice, a causa del progresso inoltrato della malattia.
Come annientata, nell'ambascia e nella desolazione più profonda, mi sovvenni di Maria SS.ma Ausiliatrice , e nel frangente La pregai di cuore , promettendole una piccola offerta e di far pubblicare la grazia nel Bollettino Salesiano. E la celeste Madre mi esaudì. L'operazione riuscì a meraviglia: e mio figlio, dopo regolare convalesceza, guarì perfettamente e continua a godere ottima salute.
Adempio con gratitudine alla mia promessa. Sia in eterno ringraziata la buona Mamma Ausiliatrice per questa grazia e per altri innumerevoli favori concessitisi. Voglia continuare la sua materna speciale protezione sopra la mia famiglia che tutta a Lei insistentemente e fiduciosamente si raccomanda.
26 maggio 1913.
MARIANNA VANZETTA n. ZORZI.
Casalmonferrato. - Sul principio di settembre il mio piccolo Marcello di 4 mesi fu colpito da grave infiammazione intestinale che in pochi giorni lo ridusse agli estremi. Temendo da giorno all'altro di perderlo feci una novena a Maria Ausiliatrice con promessa di pubblicare la grazia sul Bollettino se la otteneva. Appena finita la Novena, il mio Marcello ebbe un efficace miglioramento ed in seguito guarì. Con questo gli venne anche alale ad una gamba e nessun dottore poteva conoscere ciò che fosse. Feci ancora una novena pregando la Vergine Ausiliatrice a voler compiere l'opera e Maria SS. mi esaudì. Riconoscente alla Vergine Santa, ho fatto una piccola offerta per la costruzione del Santuario del Sacro Cuore di Gesù al Valentino.
Aprile 1913.
ROSA PATRUCCO.
Troina. - Una mia diletta nipotina, di anni 4, colpita di tifo, versò in gravissimo pericolo tanto che per alquanti giorni restò anche priva della favella. Sgomentata, ma fiduciosa mi rivolsi a Maria SS. Ausiliatrice promettendole di pubblicare la grazia sul Bollettino qualora l'avessi ottenuta. Infatti cominciò a migliorare ed ora per consolazione di tutta la famiglia trovasi completamente ristabilita. Con gioia quindi adempio il voto, rendendo grazie alla Vergine benedetta.
23 marzo 1913.
FLORA POLIZZI PINTAURA.
Casalmonferrato. - Una mia nipote di anni 8, ammalata gravemente di tifo e con sintomi di meningite, a dichiarazione dei medici era spedita, quando ricorsi a Maria Ausiliatrice. La Vergine benedetta non tardò a portar calma e conforto nei nostri animi oltremodo angosciati, ridonando perfetta salute all'amata inferma. Fu questa una grazia segnalatissima_
Aprile 1913.
P. DEAGLIO DEODATA.
Foglizzo Canavese. - Per ragioni di servizio militare, lontano dalla diletta Patria, circondato da molti pericoli, ricaduto in gravissima malattia, fui ricoverato all'ospedale di Derna in condizioni disperate di salute. Feci allora voto a Maria SS. Ausiliatrice di far celebrare una messa al Suo Altare nel Santuario di Torino, e di accostarmi in esso ai Ss. Sacramenti, qualora questa celeste Madre mi ottenesse la guarigione. Appena fatto il mio voto mi sentii più tranquillo e fiducioso. Vidi altri, di me più forti, soccombere al male: io invece giunsi al grado di sciogliere pienamente il mio voto.
Grazie, o Maria SS. Ausiliatrice, per questo insigne favore e per tutti gli altri numerosissimi concedutimi nella vita passata.
15 giugno 1913.
GNAVI M. GIOVANNI.
Torino. - Sii benedetta e ringraziata, o Buona Madre, Maria SS. Ausiliatrice !
Da alquanti mesi gravemente malata di cuore, bronchite, tosse, nervoso, per l'età già avanzata ed il male, mi sono trovata in ben cattive condizioni. Ma Tu, Celeste Regina, aiuto dei Cristiani, benigna accogliesti le suppliche mie e di quelli che pregarono per me, accettasti la mia piccola offerta colla promessa di una Comunione e di far pubblicare la grazia nel Bollettino Salesiano, e pietosa mi ridonasti la salute. A Te, o Gran Regina, tutta la riconoscenza del mio cuore, pregandoti a benedire me e la mia famiglia.
4 luglio 1913.
VALENZA ENRICHETTA ved. BRIA.
Torino. - Pieno il cuore della più viva gratitudine, sento imperioso il dovere di rendere pubbliche grazie a Maria Ausiliatrice, d'avermi guarita da un forte male al braccio destro, che il dottore curante dichiarò essere un accesso freddo, molto trascurato, che poteva portare tristi conseguenze. Mi rivolsi con fiducia a sì tenera Madre, che m'ottenesse la guarigione. Non fui delusa! ma potei tornare al lavoro, completamente guarita, senza risentirne alcun disturbo. Compio quindi la promessa di pubblicare la grazia, unendo un'offerta per le Missioni Estere. Riconoscente, confido sempre più in Maria Ausiliatrice.
11 ottobre 1913.
MARGHERITA CONTI.
N.B. - L'elenco dei graziati al prossimo numero. Santuario di Maria Ausiliatrice
TORINO-VALDOCCO
Ogni giorno, celebrazione di una santa messa esclusivamente secondo l'intenzione di tutti quelli che in qualunque modo e misura hanno concorso o concorreranno a beneficare il Santuario o l'annesso Oratorio Salesiano. Per ogni corrispondenza in proposito, come anche per Messe o novera o tridui di Benedizioni col SS;. Sacramento, rivolgersi al Rettore del Santuario di Maria SS. Ausiliatrice, Via Cottolengo, 32 - Torino.
Ogni sabato, alle 7.30 speciali preghiere per gli associati all'Arciconfraternita di Maria SS. Ausiliatrice.
Dal 10 novembre al 10 dicembre.
24 novembre - Commemorazione mensile di Maria SS. Ausiliatrice.
5 dicembre - Primo venerdì del mese - Ad onore del S. Cuore di Gesù, esposizione del SS.mo Sacramento dalle 6 alle 17 - con benedizione alla messa delle 6 ed alle ore 17.
5. 6 e 7 dicembre - Triduo dell'Immacolata - ore 8, Messa e Benedizione ; ore 17, Benedizione. - Il giorno 7, orario festivo.
8 dicembre - Solennità di Maria SS. Immacolata - ore 6 e 7,30 messe della comunione generale; ore io messa solenne ; ore 15,30 vespro, panegirico e benedizione solenne.
Rallegramenti.
Il zelantissimo nostro direttore diocesano di Faenza, Mons. Domenico Pasi, è stato nominato dal S. Padre Vescovo titolare di Filadelfia ed Ausiliare dell'Em.mo Card. Boschi e Vicario Generale di Comacchio. La sua consacrazione si compì il 19 u. S. nell'Istituto nostro Faentino.
Al degno Prelato, che ci fu sempre largo di operosa benevolenza, porgiamo i più vivi rallegramenti e i più fervidi voti di un lungo e felice apostolato.
A Valdocco.
Ai primi di ottobre avemmo la fortuna di ossequiare nell'Oratorio Sua Eminenza Rev.ma il sig. Card. Gioachino Arcoverde de Albuquerque
Cavalcanti, Arcivescovo di Rio de Janeiro nel Brasile, e per qualche giorno ci fu ospite gradito Sua Ecc. Rev.ma Mons. Girolamo Thomé da Silva, Arcivescovo-Primate di S. Salvatore della Bahia di tuoni i Santi nella stessa Repubblica.
All'Eminentissimo Principe e all'esimio Arcivescovo che vollero darci questa prova di affettuosa benevolenza rinnoviamo i più vivi ringraziamenti.
Negli Istituti delle Figlie di Maria Ausiliatrice
La VIIa Assemblea o Capitolo Generale del l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che ebbe luogo - come annunziammo - nella prina metà di settembre a Nizza Monferrato, ha rieletto a Superiora Generale dell'Istituto la rev.ma Suor Caterina Daghero, già in carica dal 1882, e ha confermate nei loro uffici tutte le componenti il suo Consiglio Generalizio, di cui fu eletta a Segretaria Generale la rev.ma Suor Clelia Genghini.
Alla rev.ma Superiora, che ha sempre spiegato lo zelo più illumitato e operoso nel suo governo, e alle singole sue Assistenti, cordiali felicitazioni accompagnate dai più fervidi voti.
CHIERI. - Il primo convegno piemontese delle ex allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice. - Promosso dal Comitato centrale di Torino e abilmente preparato da un Comitato locale, presieduto dalla signora Matilde Fasano-Masera, si tenne il 12 ottobre u. s. nell'istituto S. Teresa e vi parteciparono circa seicento ex-Allieve e Delegate di Chieri, Torino, Novara, Nizza Monferrato, Giaveno, Riva di Chieri, S. Ambrogio, Trino, Falicetto, Trofarello, Lingotto, Casale Monferrato, Mirabello, Arignano, Alessandria, Buttigliera, Tortona, Asti, ecc.
Nell'ampio teatrino sedevano alla presidenza onoraria la superiora generale dell'Istituto, Suor Caterina Daghero, le ispettrici del Piemonte, varie dell'America e i membri del Comitato d'onore di Chieri. Assistevano il rev.mo Don Filippo Rinaldi in rappresentanza del Successore di Don Bosco bon Albera, e Don Felice Cane per la Federazione degli ex-Allievi salesiani.
L'illustre professoressa Maria Vittoria Chiora della « Domenico Berti » di Torino, acclamata presidente effettiva, diresse con grande abilità le discussioni. Erano vice-presidenti Matilde Fasano, Felicina Gastini, Rosetta Croce-Sacco, Emma Caviglione-Coppa e segretarie le signorine Occella e Deregibus.