L'INONDAZIONE DEL RIO NEGRO E LE NOSTRE MISSIONI DELLA PATAGONIA pag. 221
UN ALTRO PREZIOSO DOCUMENTO sulla divozione al Sacro Cuore di Gesù » 223
LA POSA DELLA PRIMA PIETRA dell'Istituto Salesiano di Ancona » 225
MISSIONI: - COLOMBIA: La grande impresa dei lazza retti pei lebbrosi. - TERRA DEL Fuoco: Le vere notizie intorno a Mons Fagnano. - PATAGONIA SETTENTRIONALE : La Missione delle Ande e delle Pampas Patagoniche. - AFRICA : Due Battesimi a La Marsa (Tunisi) e la Parrocchia di Manouba » 230
GRAZIE DI MARIA AUSILIATRICE . . » 242
NECROLOGIA: Il Dott. Gio. Battista Carattini . 244
NOTIZIE VARIE : - L'Istituto S. Benedetto e la Scuola di Religione a Parma - Una nuova cappella a Maria Ausiliatrice - Esempio da imitare . . » 244
ILLUSTRAZIONI: - D Giuseppe Cafasso, pag. 226. - Prospetto parziale dell'erigenda Chiesa della S. Famiglia e dell'annesso Istituto Salesiano di Ancona. - La moltiplicazione dei pani (quadro ad olio), 235.
VErso la fine dello scorso luglio i giornali annunziavano che il Rio Negro nell'Argentina era straripato nuovamente, inondando tutta la regione circostante, rovinando le campagne e distruggendo tutto quanto trovava sul suo passaggio. La desolante notizia veniva da Buenos Aires ed era concepita in questi termini: « Si narrano scene terribili: le località di Roca e di Viedma vennero completamente distrutte, così che i due paesi sono ridotti ad un cumulo di rovine; molti abitanti si salvarono a stento; tutto il bestiame si annegò e si teme che vi siano anche vittime umane. Cinquemila persone sono restate senza tetto e senza pane, ridotte alla più estrema indigenza. Il Governatore di quella provincia ha chiesto urgenti soccorsi. e venne subito aperta una sottoscrizione, che ha già fruttato una bella somma. Il Presidente della Repubblica, Generai Roca, allo scopo di prendere i necessari provvedimenti a favore di quelle popolazioni colpite da tanta sventura, ha rinviata la sua, partenza per il Brasile al giorno due del prossimo agosto. »
È più facile immaginare che descrivere la trepidazione prodotta nei Salesiani e nei nostri Cooperatori dall'annunzio di questa terribile inondazione, avendo noi a Viedma ed in Roca i due centri più importanti delle nostre Missioni Patagoniche. La dolorosa notizia pareva a tutti incredibile, e noi ci lusingavamo ancora nella speranza, se non di uria totale smentita, almeno di una relazione meno sconfortante ; quando il nostro Superiore ricevette da Monsignor Cagliero. Vicario Apostolico della Patagonia e Superiore di quelle nostre Missioni, uri assai laconico telegramma che nella sua brevità ci toglieva persin quest'ultimo filo di speranza. Il telegramma era semplicemente così concepito:
MISSIONI TUTTE INONDATE RIO NEGRO.
Bastarono queste cinque parole a farci comprendere lo strazio d'animo dell'amatissimo nostro Monsignor Cagliero, la guida e l'angelo tutelare dei pionieri salesiani in Patagonia, ed a rappresentarci in tutta la sua triste realtà lo stato di quelle infelici nostre missioni.
Le fatiche di tanti anni, le enormi spese sostenute per fabbricare Chiese, Case ed Ospedali in Viedma, Roca ed altri punti del Rio Negro sono ridotte ora ad un mucchio di rovine: tutto è perduto! Per ora non sappiamo di disgrazie a persone; confidiamo che tutti, Missionari e Suore, coi numerosi alunni ed allieve, abbiano potuto salvarsi. Ma quando potranno esser ristorati di sì gravi danni ? Chi può calcolare di quanti. anni ha retrocesso il sempre crescente progresso di queste Missioni, che in soli venticinque anni erano divenute già tanto fiorenti ed ubertose di abbondanti frutti per la civiltà e la religione dei Patagoni ?
Ci conceda Iddio e la nostra Madonna che non si abbiano a lamentare e piangere vittime umane nella persona dei nostri benamati confratelli !
Intanto noi facciamo caloroso appello alla carità di tutti i nostri Cooperatori, perchè ci vengano premurosamente in aiuto in questa dolorosa circostanza. La carità è sempre industriosa, quando sopratutto la mano del Signore si aggrava sopra i suoi servi per meglio esperimentarli alle lotte dell'apostolato, come nel caso presente accade ai nostri fratelli della Patagonia. Essi ben possono ripetere le parole del Profeta: «Manus Domini tetigit mie ». Ma poi, sollevando al cielo le pupille, si sentono supernamente riconfortati, perchè veggono quella mano, che li ha percossi, suscitare dappertutto nuova generosità di cuore negli amici della prima ora, nell'istante medesimo che fa sorgere dalla polvere altri campioni della carità, che non isdegnano recare pur la loro pietruzza all'edifizio ricostruendo. Quelli che credono (e sono tutti i nostri lettori) in una Provvidenza suprema, regolatrice delle cose di questo mondo, hanno questo singolare vantaggio, che fanno, per una causa santa come quella delle Missioni, sacrifizio di tutto le forze loro, e poi si accorgono di non averle mai. piú utilmente collocate, anche quando in poco d'ora veggono distrutta tutta l'opera di tanti e tanti anni e di sudori immensi. Inoltre la Provvidenza è sempre la cara serena inspiratrice d'ogni virtù più sublime, e pesca sovente i suoi tesori là, dove l'occhio profano non avrebbe potuto nemmeno sospettare. E noi fidenti in questa diva celeste, a lei ci attacchiamo in questo luttuoso avvenimento, affinchè si degni scaldare i petti, entusìasmare le menti ed intenerire i cuori di tutti in favore delle nostre Missioni della Patagonia.
L'appello nostro è rivolto a tutti, e tutti siam certi, vorrete essere anche in quest'occasione cooperatori di cuore; siatelo in modo che il vostro concorso non sia meno prezioso di quello che danno coloro, che, avendo consacrato le fatiche, le privazioni, i disagi, il sangue, la vita all'apostolato della Buona Novella, si trovano ora nella dura alternativa di veder perduta l'opera antecedente o di correr rischio di rimaner neghittosi sul campo della lotta.
Il vostro concorso, o buoni Cooperatori e pie, Cooperatrici, sia premuroso, ricco di zelo attivo, facendovi vivi presso il nostro afflitto Superiore Don Rua con offerte di qualsiasi genere e natura a favore delle Missioni distrutte dalle acque del Rio Negro.
Coraggio tutti e subito all'opera!
Charitas Christi urget nos !
TUTTI i nostri Cooperatori e Cooperatrici, unitamente ai Salesiani ed alle Suore di Maria Ausiliatrice , leggeranno con sommo piacere la seguente lettera, con cui Sua Eminenza il Card. C. Mazzella, Prefetto della S. Congregazione dei Riti, comunica ai Vescovi dell'orbe cattolìco i desideri e le volontà del Pontefice Sommo per l'ampliamento del culto al S. Cuore di Gesù.
ECCELLENZA REVERENDISSIMA,
PER quanto mi sia sempre stato gradito di comunicare ai Presuli della Chiesa tutto ciò che il Pastore della medesima abbia comandato di render noto, oltremodo gradito mi torna ora far manifesto ai singoli Antistiti Sacri la soavissima compiacenza, onde è stato tocco il Santissimo S. N. P. P. Leone XIII° in seguito alla promulgazione dell'ultima sua Lettera Enciclica, con la quale eccitava alla consacrazione solenne di tutto l'uman genere al Sacratissimo Cuore del Signor Nostro Gesù Cristo. Gli è noto infatti con, quanta propensione d'animo, con quanta concordia di volontà siano state accolte quelle lettere da tutti e Pastori e fedeli, e con quanta premura ed affetto siasi in ogni luogo corrisposto.
Egli medesimo il Sommo Pontefice volle coll'esempio suo andar innanzi a tutti; e nei Palazzi Vaticani, nella Cappella Paolina, premesse devote suppliche, Egli stesso volle al divin Cuore di Gesù consacrare ed offrire il mondo iutiero. E sull'esempio di Lui il popolo di Roma con grande frequenza si raccolse nelle Patriarcali e minori Basiliche, in tutte le Chiese parrocchiali, in ogni singola Chiesa, per quivi rinnovare la solenne formola di consacrazione e quasi ad una voce sola confermarla.
Poscia pervennero lettere da ogni parto ed ogni giorno ancora ne pervengono, per annunciare che il medesimo rito di consecrazione con pari affetto e pietà è stato compiuto in tutte le diverse, anzi pressochè in tutte le Chiese, non solo d'Italia e d'Europa, ma anche delle più remote regioni. Di questa concordia di tutto il popolo cattolico nel corrispondere al desiderio ed al comando del supremo Padre comune certamente si deve la più grande lode ai Sacri Presuli, che ai loro greggi furono in ciò consiglieri e guida. Onde io, ossequente al desiderio del Sommo Pontefice, con Lei e coi singoli sottoposti alla sua autorità ed aventi cura di anime vivamente mi rallegro e ringrazio.
E in verità, come il Santissimo Padre ammoniva nelle Lettere Encicliche, Egli confida e noi confidiamo con Lui, che da questa offerta solenne siano per derivare ubertosi e soavissimi frutti non solo ai singoli cristiani, ma a tutta la, cristiana famiglia, anzi a tutto l'umano consorzio. Tutti infatti sono intimamente persuasi della grande necessità di suscitare più viva la fede omai. troppo languente, di riaccendere l'ardore della sincera carità, per porre un freno alle troppo sbrigliate passioni e trovare un qualche rimedio alla corruzione sempre crescente dei costumi. Devo stare in cima al desiderio di tutti che l'umano consorzio si assogetti al soavissimo imperio di Cristo, e che il suo regale dritto, a Lui divinamente conferito su tutti i popoli, anche dalle civili autorità sia riconosciuto e riverito, onde poi avvenga che la Chiesa di. Gesù Cristo, che è il suo regno, sempre più si amplifichi e possa godere di quella libertà e pace, che le è affatto necessaria per procurare sempre nuovi trionfi. Però finalmente devono tutti sforzarsi che le innumerevoli gravissime ingiurie, che di continuo alla divina maestà da ingratissimi uomini per tutto il mondo si arrecano, siano con buone opere compensate e riparate.
Ma perchè la concepita speranza acquisti sempre nuove forze ed il buon seme copiosamente germogli e rechi messe più abbondante, occorre che la devozione, che si è desta verso il Sacratissimo Cuore del Redentore divino, perduri stabile, o meglio si alimenti assiduamente. Giacchè la costante perseveranza della preghiera fa, per così dire, violenza al dolcissimo Cuor di Gesù, per schiudoro la fonte di quelle grazie, che Egli ardentemente desidera di spandere, come ben più volto Egli ebbe a dire alla sua amantissima B. Margherita Alacoque.
Per la qual cosa il Sommo Pontefice, facendo me interprete della sua volontà, esorta vivamente l'Eccellenza Sua e tutti i Sacri Antistiti dell'orbe cattolico, affinchè, persistendo alacremente nell'opera, escogitino e stabiliscano tutto quanto, secondo la varia condizione dei tempi e dei luoghi, sembrerà più acconcio a conseguire il fine desiderato.
Lo stesso Beatissimo Padre raccomanda poi sommamente l'uso già accolto in molte Chiese, di offrire pubblicamente per l'intero mese di Giugno particolare ossequio di devozione al divin Cuore; e perchè ciò si faccia con più fervore, schiudendo i tesori della Chiesa, concede ai fedeli indulgenza di trecento giorni da lucrarsi ogni qualvolta intervengano a tali esercizi di pietà, e plenaria a chi vi abbia partecipato almeno dieci volte lungo il mese.
Vivamente ancora desidera il S. Padre che la pratica tanto commendata e seguitata già in moltissimi luoghi di rendere ogni primo venerdì del mese qualche speciale ossequio in onore del Santissimo Cuore, si propaghi sempre più largamente con la recita pubblica delle Litanie, che Egli ha di recente approvate, e colla rinnovazione della formola consecratoria da Lui proposta. Se questa pratica si rafforzerà tra il popolo cristiano e passerà in costume, diverrà potente ed assidua affermazione di quel divino e regale dritto, che Cristo ha ricevuto dal Padre su l'uman genere, conquistandolo collo spargimento del divin sangue.
Per questi ossequi placato, Egli, ricco come è in misericordie e mirabilmente pronto a ricolmare gli uomini de' suoi benefici, perdonerà le loro colpe e li abbraccierà non solo come sudditi fedeli, ma come amici e figli carissimi.
Brama inoltre vivamente il Beatissimo Padre che i giovani, e massimamente quelli che sono avviati per gli studi, si ascrivano a quelle associazioni che sono note sotto il nome di Pie Unioni e Sodalizi del Sacro Cuore di Gesù. Sono essi come una schiera di scelti giovani, che danno spontaneamente il loro nome, ed in giorno ed ora stabiliti nella settimana si raccolgono in qualche oratorio o chiesa o nella stessa cappella delle scuole, e sotto la guida di un sacerdote devotamente compiono qualche esercizio in onore del Sacro Cuor di Gesù. Se ogni pio ossequio che gli sia reso dai suoi fedeli torna grato ed accetto al divin Redentore, graditissimo certamente si è quello che gli derivi dal cuore della gioventù. Nè si può dire a parole quanto di giovamento sia per venirne alla stessa età giovanile. Poichè la meditazione assidua del divin Cuore e la più intima conoscenza delle sue virtù e dell'ineffabile amore suo non può non spezzare le bollenti passioni dei giovani e non aggiungere stimoli a ricercare la virtù. Queste associazioni potranno anche fondarsi e frequentarsi dagli adulti, nel seno delle Società Cattoliche di ogni specie.
Del resto tali devote esercitazioni non sono menomamente dal S. Padre imposte, ma egli tutto rimette alla prudenza ed alla saggezza dei Vescovi, nella cui zelante e propensissima volontà tranquillamente confida, questo solo desiderando che fra il popolo cristiano la devozione verso il Sacratissimo Cuore di Gesù continuamente fiorisca e vigoreggi..
Prego intanto alla Eccellenza Sua con tutto il cuore diuturna felicità.
Della Eccellenza Sua come fratello
Roma, dalla Segreteria della S. C. dei Riti,
31 Luglio 1899.
firmato: C. Card. MAZZELLA Prefetto
D. PANICI Segretario.
Questa lettera forma un vero tesoro per tutti, e noi facciamo voti fervidi, perchè non passi inosservata a nessuno di quelli che sono in qualsiasi modo ascritti al Pio Sodalizio Salesiano.
A far tesoro di essa primi debbono essere i Salesiani e le Suore di Maria Ausiliatrice, cui D. Bosco ha legato in retaggio un amore tenerissimo e superiore a qualunque altro verso il Cuor di Gesù ed un'ubbidienza illimitata e senza restrizioni di sorta ai voleri non solo, sibbene anche ai desideri del Vicario di Gesù Cristo, il Papa. Continuino essi ed aumentino lo zelo nel propagare indefessamente questa soavissima devozione presso i giovinetti. e le giovinette alle loro cure affidati, con dare un'importanza e solennità speciale alla pia pratica del 1° venerdì di ogni mese e con eccitare tutti i loro dipendenti e soggetti ad ascriversi a quelle associazioni, che sono note sotto il nome di Pie Unioni o Sodalizi del Sacro Cuore di Gesù. Fra queste Pie Unioni ci piace insistere in modo speciale su quella dei Nove Uffizi del Sacro Cuore, che fiorisce già in quasi tutti i nostri Istituti. Immensi sono i vantaggi, che ritraggono i giovani da questa pia pratica di facilissima attuazione per tutti. Ottima cosa sarebbe pure, e veramente conforme ai desideri di Leone XIII, se i fanciulli e le fanciulle tutti educati dai Salesiani e dalle Suore di Maria Ausiliatrice facessero parte della Guardia d'Onore al Sacro Cuore di Gesù, pia Associazione che conta già più milioni di associati. Noi facciamo appello ai venerandi nostri Confratelli ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice di voler porre tutto l'apostolico loro zelo per questo altissimo fine.
Lo stesso poi diciamo ai benemeriti nostri Cooperatori e Cooperatrici. La vita attiva, cui li obbliga la Pia Unione, per diffondere dappertutto lo spirito di carità, impone necessariamente a loro di zelare con tutte le forze l'ampliamento del culto al Sacro Cuore di Gesù, poichè questo divinissimo Cuore è fornace ardente di carità, ed è impossibile compiere le opere di carità, senza attingere alla sorgente di tutta la carità, che è la carità stessa di Gesù Cristo.
Quindi facciamo tutti tesoro di questo prezioso documento, e per quanto da noi dipende facciamo sì che il secolo futuro si possa con ragione dire consacrato a Cristo Redentore ed al suo divinissimo Cuore.
(*) Dalla Patria, giornale cattolico di Ancona, n-4-5 Agosto, rileviamo quanto riguarda questo consolantissimo avvenimento salesiano.
NEI momenti più critici della vita dei popoli (così il giornale cattolico di Ancona La Patria), quando i mali più propri di alcune età sono giunti al colmo, o quando si vanno formando nella società dei turbini che sembrano dover travolgere una serie di generazioni, Dio ha sempre suscitato degli intelletti giganti, medici o condottieri dell'umanità sofferente. Le pagine della storia rigurgitano di esempi ; ma esempio vivente agli occhi stupiti della mondanità odierna sono le opere del pastorello di Castelnuovo d'Asti, di Don Bosco, che consacrato prete, dovea ricoprire la terra di istituti di ogni genere per la salvezza dei figli del popolo.
Quando i principii dell'ottantanove hanno raggiunto l'apice e già se ne intravedono le conseguenze nell'apparire del socialismo scientifico e organizzato, come frutto maturo che penda da un albero rigoglioso, due uomini s'affacciano alla gran scena del inondo, scendono nel gran campo sociale ad ingaggiare battaglia in nome dei diritti di Dio e dei diritti del popolo ; e sono un Vescovo ed un Prete : Emmanuele Ketteler e Giovanni Bosco: entrambi spinti da una carità ardente, da un'abnegazione sovrumana a tentare il miglioramento morale ed economico della classe infinita dei proletari per mezzo dei proletari medesimi, offrendo nello stesso tempo alle classi dirigenti il mezzo di compiere la propria funzione sociale coadiuvando le classi inferiori nell'auto-redenzione.
Perchè, mirabile disposizione della Provvidenza, la maggior parte, la massima parte di quegli intrepidi, che formano la Pia Società Salesiana, vengono dalle classi inferiori. Figli di operai, che, entrati pei primi studi negli Oratori Salesiani, si sono sentiti sbocciare la vocazione di prete e di missionario fra i nugoli d'incenso delle solenni, devote, inappuntabili funzioni delle chiese maestose annesso agli Oratori, o fra la quiete raccolta e soave delle cappellette degli Istituti: figli di operai, diventati maestri operai alla lor volta, che, innamoratisi della vita di abnegazione , di attività, di lavoro febbrile della Pia Società Salesiana, hanno domandato di dividere la vita umile dei figli di Don Bosco, e si sparsero per tutte le scuole d'arti e mestieri dell'Italia, della Francia, della Spagna, dell'Austria, del Belgio, dell'Africa, dell'Asia e delle due Americhe, ad insegnare a centinaia di migliaia di giovanetti della stessa loro condizione come si può diventare operai abili, coscienti, cristiani, mercè l'industria e la pietà dei poveri e la generosità dei ricchi, che soccorrono ai continui ed urgenti bisogni di un numero così straordinario di Case, di Ospizi, di Oratori, di Scuole , di Missioni, mostrando a tutti l'embrione di quell'armonia sociale che dovrà conquistare il mondo.
Don Bosco apparve quando la grande industria era entrata nel periodo acuto: le dodici, le quattordici ore del padre di famiglia non bastavano più alla macchina, che, entrata nel campo operaio per limitare la mano d'opera, finiva per moltiplicarla. L'officina, come una voragine , dopo il padre, inghiottiva la madre, l'angelo tutelare della famiglia, la sacerdotessa del focolare domestico. E i vincoli famigliari erano spezzati, la casa abbandonata nel disordine, gli uomini prendevano la via dell'osteria, illusi di potere col veleno dell'alcool restituire al corpo affranto le forze negategli da un riposo insufficiente; la donna s'abbrutiva nella stanchezza accasciante di un lavoro monotono ; i figli vagavano alla ventura per le contrade della città in preda a tutte le suggestioni del vizio fin dai pili teneri anni, predestinati a riempire le carceri e i bagni, marchio vivente della società scristianizzata e utilitaria.
E Don Giovanni Bosco ebbe infatti l'intuito della sua missione nelle carceri di Torino, dove, appena ordinato sacerdote, fu condotto periodicamente dal suo maestro Don Cafasso, che ne aveva fatto il campo delle sue fatiche. Il vedere quelle turbe di giovanetti nell'età dai 12 ai 18 anni, inoperosi, rosicchiati dagli insetti, espiare con una triste reclusione le colpe di una precoce malizia, fece inorridire il giovane prete. Egli vide in quegli infelici, personificato l'obbrobrio della Patria e il disonore della famiglia; vide anime redente e francate dal Sangue di un Dio, gemere schiave del vizio e nel più evidente pericolo di andare eternamente perdute. Osservò ancora che il numero di quei disgraziati andava ogni giorno crescendo ; e quelli stessi che, scontata la pena, erano restituiti a libertà, ben presto ritornavano in quel luogo carichi di nuovi vizi e di nuovi delitti. Bisognava salvare i figli del popolo, bisognava supplire i padri e le madri costretti all'improbo lavoro, bisognava insegnar loro ad amare Iddio, la Patria e la società, bisognava renderli cittadini onesti, e toglierli dall'abbominio della strada. E così sorsero gli Oratori festivi, dove i piccoli abbandonati imparano il catechismo e i principii di morale, le Scuole serali, che Don Bosco istituì primo in Italia, le Scuole d'arti e mestieri, gli Ospizi, i Pensionati, gli Educandati ed i Noviziati per gli operai di una messe così abbondante; e così ben tre cento mila fanciulli ogni anno ricevono l'istruzione, l'educazione ed un mestiere, mercè l'opera provvidenziale della Pia Società Salesiana.
Ed il giovedì, 3 agosto, Ancona ha esultato pel faustissimo avvenimento del collocamento della prima pietra di un Istituto Salesiano, antiveggendo le centinaia di figli del popolo, che vi troveranno ben presto il mezzo di divenire buoni cittadini , perfetti cristiani, valenti operai, onore della Religione e della Patria.
La funzione.
La giornata del 3 agosto 1899 rimarrà incancellabile nella memoria di tutti gli Anconitani, che ebbero la ventura di partecìpare alla festa della posa della prima pietra dell'Istituto Salesiano, vera festa di popolo, che gremiva non solo il recinto, ma tutte le adiacenze.
E noto come al Piano San Lazzaro per mezzo della Pia Opera di San Luigì si deve erigere un grande Istituto, che verrà affidato ai figlì di Don Bosco. Il disegno con l'annessa pubblica chiesa è grandioso assaì; oggi però non si tratta che di costruire una porzione di esso e precisamente soltanto un braccio composto di due piani, attiguo alla futura Chiesa. Di mano in mano che la Provvìdenza susciterà oblatori, si verrà costruendo il resto, e non è a dire come noi facciamo fervidi voti, perchè molte e assai cospicue piovano le offerte per questa Opera delle Opere, che è destinata a recare un vantaggio immenso alla città di Ancona coll'educazione ed istruzione deì figli del popolo.
Fino dalle 14 notavasi nel corso Carlo Alberto un'animazione insolita. Lo spazio, ove dovrà sorgere la chiesa, era stato circoscritto da un alto steccato adorno di festoni di lauro e stendardi, bandiere ed orifiamme. Di contro alle casette che esistono sul terreno era stato innalzato un palco pel Capitolo della Cattedrale e un trono per l'Emìnentissimo Cardìnal Vescovo: a sinistra del palco, in fondo al recinto, un padiglìone per la musica e cantori dell'Istituto Buon Pastore. Il recinto presentava un aspetto festoso e simpatìco. Tutto intorno erano state dìsposte parecchie file di sedie e di panche, onde ben quattromila persone vi avevano preso posto, quando si diede principio.. Moltissimi i signori e le signore venute dalle campagne per prendere parte alla festa.
Alle 17,30 giungeva S. Eminenza il Cardinal Manara, accompagnato dal Vicario Generale, dal Capitolo della Cattedrale, dal Vice-Procuratore Generale della Pia Società Salesiana Don Tommaso Laureri, dai Direttori delle Case Salesìane di Jesi, Macerata e Gualdo Tadino, dal Dìrettore della Patria, da una rappresentanza del Seminario di Jesi e da parecchi altri invitati. Erano ad attenderlo il solerte Can. Bagnini, Presidente della Commissìone per l'erìgendo Istituto, e il bravo Parroco del Crocifisso Don Soccetti, che tanto spera di bene alla sua amata parrocchia dal nuovo Istituto. La brava musica del Buon Pastore intuonò una marcia.
Vestiti gli abiti pontificali, preceduto dalla croce capitolare, dai seminaristi e dal Capitolo, fra il suono della musica, Sua Eminenza faceva l'ingresso nel recinto e prendeva posto sul palco.
Quivi, recitatì i salmi d'uso, procedeva alla benedizione dell'Acqua Santa, mentre i bravi cantori dell'Istituto Buon Pastore, lodevolmente istruiti dal maestro Lori, cantavano l'antifona Signum salutis pone, Domine Jesu Christe, in loco isto et non permittas introire angelum percutientem; cioè : « Stabilite in questo luogo, o Signore Gesù Cristo, il segno della salvezza, e non permettete che vi entri l'angelo punitore », Il clero si mette in moto processionalmente e arriva all'artistica croce innalzata, nel mezzo del recinto.. La musica dell'antifona è un soave andante religioso del maestro Polidori.
Sua Eminenza benedice la Croce, ìndi ritorna processionalmente al palco. Tuttì si inginocchiano e il Capitolo intuona le Litanie dei Santi, a cui ìl popolo risponde; è un istante commovente. Il Cardinale benedice la prima pietra, che viene tolta dal. palco, e recata vicino all'ingresso del recinto, dove verrà costruito il muro comune alla Chiesa e all'Ospizio. Intanto i cantori del Buon Pastore intuonano , su un bel motivo del maestro Polidori, l'antifona: Mane surgens Jacob erigebat lapidem in titulum, fundens oleum desuper, votum vovit Domino: vere locus iste sanctus est, et ego nesciebam : « Nel mattino levandosi Giacobbe ergeva una pietra in monumento, versandovi sopra dell'olio, disse in voto al Signore : in verità questo luogo è sacro ed io l'ignorava ».
Preceduto dal clero, il Cardinale si reca sul posto ove deve essere murata la pietra. Il Segretario Can. Giovagnoli legge la pergamena, che, rinchiusa in un cìlindro di latta deve essere murata dentro la pietra. Essa dice:
L'anno del Signore 1899 - XXII del Pontificato di Sua Santità Leone XIII - nel giorno di Giovedì 3 Agosto - S. Eminenza Rev.ma il Cardinale Achille Manara - Vescovo di Ancona, Vescovo e Conte di Umana - colla solennità del rito - presenti i sottoscritti e molte centinaia di fedeli - collocava sulle fondamenta questa prima pietra - di una chiesa ad onore della Sacra Famiglia - che si erige colle offerte dei devoti - di Ancona e di tutto l'Orbe - quale monumento votivo per impetrarne soccorso - nell'imminente nuovo XX° secolo - e di un Istituto che sorge unito al tempio - d'affidarsi ai Salesiani di .Don Bosco - per la cristiana educazione dei figli del popolo. - La Sacra Famiglia - benedica gli Oblatori e i Benefattori - di quest'opera a Lei sacra -.protegga la medesima da ogni pericolo e sventura- la renda prospera nei secoli - per la gloria sua, pel bene delle anime !
L'Eminentissìmo Principe firma la pergamena, che viene quindì firmata pure da Don Tommaso Laureri come rappresentante ìl Superiore Generale dei Salesìani, daì Direttori Salesiani presenti, dall'Architetto Cirillì, dal Vicario Generale, dai singoli membri del Capitolo e da parecchi distinti signori.
L'egregio ìngegnere Cirilli impartisce gli ordinì, e la pietra vìene daglì operaì collocata a posto nel punto designato delle fondamenta. La banda del Buon Pastore intuona una marcia trionfale.
Il clero ritorna processionalmente sul palco, e quivi prende la parola il Salesiano Don Laureri come rappresentante di Don Michele Rua, successore di Don Bosco. Eglì esordisce portando i ringraziamenti del suo Superiore per la deferenza usata verso i Salesianì dalla cittadinanza di Ancona, affidando alla Pia Società Salesiana l'erigenda Chiesa e stabìlimento educativo ; la quale deferenza sarà di stimolo ai suoi Confratelli per lavorare cori tutte le forze, specialmente in pro della gioventù povera ed abbandonata della nostra città. Si congratula del pensiero altamente umanitarìo di fondare un Istituto, in cui la gioventù del popolo possa trovare istruzione ed educazione, Non è rettorica, dice, l'affermare che un Istituto educativo che si apre è una prigione che si chiude ; fermandosi efficacemente a dimostrare come segnatamente dalla gioventù povera ed abbandonata bisogna incomincìare per curare la società odierna, poichè è dessa che va ad ingrossare le file dei nemici dell'ordine civile e religioso. Fa voto perchè l'edificìo, di cui si è posta la prima pìetra, possa sorgere quanto prima dalle fondamenta e permettere ai Salesiani di venire a intraprendere quanto prima la loro missione educativa. Ma perchè questo avvenga, raccomanda caldamente l'Opera alla carità ben nota degli Anconitani, i quali devono venìre in soccorso della benemerita Commissione, la quale con tanto slancio e mirabile abnegazione si è sobbarcata alla non men difficile che santa e patrìottica impresa.
Terminato ìl discorso, il Cardinale, preceduto dal clero, gira tutt'intorno al recinto benedicendo coll'aspersorio le fondamenta tracciate della chiesa; ìl clero canta i salmi di rito, mentre i bravi giovani del Buon Pastore egregiamente diretti cantano l'antifona: Pax aeterna ab aeterno huic domui. Pax perennis, Verbum Patris, sit pax huic domui. Pacem pius Consolator huic praestet domui; cioè : « Dall'Eterno si conceda eterna pace a questa casa. La pace perenne, il Verbo del Padre, sia la pace di questa casa. Il pio Consolatore largisca la sua pace a questa casa. »
Terminato il rito, il clero ritorna sul palco; la brava musìca del Buon Pastore intuona il Veni Creator, che viene cantato da tutto ìl popolo. Indi Sua Eminenza si avanza sul palco, e impartisce alla immensa radunanza inginocchiata la pastorale benedizione.
Squillano le allegre note della musica, la folla rompe i cordoni e si accalca intorno all'amato Pastore. La funzione è rìuscita mirabìlmente e con edificazione grande e massìma soddisfazione di tutti. Regnò sempre ordine perfetto, senza alcun incidente, grazie alle sapienti disposizioni prese dalla Commissione, i cuì membri furono tutti infaticabili.
La folla si allontana lentamente quasi a malincuore dal recinto ; al di fuori un' onda di popolo non meno numerosa di quella che ha potuto prender parte alla festa è stipata nelle adiacenze : l'animazione è grandissima.
Abbiamo udito molti abitanti del Piano San Lazzaro rallegrarsi della buona ventura loro capitata, e far voti per la pronta inaugurazione dell'Ospizio. A loro ci assocìamo noi pure, augurandoci, mercè l'Opera Salesiana, tempi migliori pel nostro popolo, per la diletta Ancona.
COLOMBIA La grande impresa dei lazzaretti poi lebbrosi.
(Relazione di D. Evasio Rabagliati)
Contratacion (Dip. di Santander), 18 Maggio 1899.
REv.m° SiG. D. Rua,
Come conseguenza dell'approvazione ed incoraggiamento del Sig. Presidente della Repubblica, di rimettermi all'opera interrotta da qualche tempo dei lazzaretti per i lebbrosi, subito dopo Pasqua, come già ebbi a notificarle, lasciai la capitale Bogotà, e colla compagnia di uno dei nostri giovani più grandicelli e più serii, me ne venni a questo Dipartimento di Santander, il più infestato dal male, il foco vero della lebbra in queste regioni colombiane.
Consultate le autorità locali, le civili e le ecclesiastiche, si prese la risoluzione di dar principio all'opera colla fondazione di tre lazzaretti capaci almeno di due o tre mila lebbrosi ognuno.
Cifre spaventose - Fabbriche di lazzarini - I futuri lazzaretti dei Dipartimento di Santander - Terribile scoperta dei Dott. Olaya Laverde - All'Oriente di Pamplona - L'arma del Missionario.
Forse lei ed altri faranno le grosse maraviglie al sentir discorrere di tre lazzaretti capaci di due o tre mila lebbrosi in questo solo Dipartimento, e non senza ragione. Una nazione europea, che avesse la disgrazia di contare, tra i suoi 20 o 30 milioni di abitanti, 8 o 10 mila lebbrosi, lo terrebbe per un vero flagello, e farebbe di tutto per distruggere questa piaga, che la rode e l'avvelena, minacciandone anche l'esistenza. Qui le cose corrono altrimenti : non sono meno di 20 mila i lebbrosi in questo Dipartimento di Santander; arrivano certamente a 30 mila quelli di tutta la Repubblica; ad eccezione di due migliaia, che vivono nei due lazzaretti di Agua de Dios e di Contratacion, e di una sessantina raccolti in un terzo lazzaretto della Costa, in Caño del Loro, tutti gli altri, vivono dove loro meglio talenta, nelle città, nei paesi, sulle strade pubbliche, per le piazze, da per tutto. Eppure finora si è fatto nulla o quasi nulla per levar su una diga ad impedire che il male la allaghi tutta e la distrugga. I due lazzaretti poi esistenti., la cui conservazione costa alla nazione non meno di mezzo milione di scudi colombiani annualmente, non servono a nulla, perchè di lazzaretti non hanno se non il nome e null'altro; anzi, per dirla schìetta, son più di danno che di profitto, malgrado il grosso dispendio che costano alla nazione. In più d'una occasione, non solamente in privato, ma anche in pubblico, davanti le stesse prime autorità civili, chiamai quei lazzaretti grandi fabbriche di lazzarini; e l'esperienza di vani anni mi insegna che ho avuto ragione di così battezzarli. La libera mescolanza dei sani cogli ammalati, il denaro (biglietti di corso forzoso di ogni valore) che passa dalle saccoccie e dalle mani dei sani a quelle degli ammalati e viceversa, unti, bisunti, schifosi, veri nidi di microbi; i mercati frequentatissimi in ambidue i lazzaretti; i matrimoni misti di ammalati con sani, e cento altre cause, fanno di questi lazzaretti veri fochi d'infezione, donde esce il male a ondate, e a poco a poco allargandosi va innondando tutta la Repubblica, infestandola e corrompendola. Se non fosse che in questi lazzaretti si fa del gran bene spirituale e si salvano questi due mila infelici raccolti più o meno spontaneamente, sarebbe proprio il caso di consigliarne l'abolizione, distruggendo così un vero pericolo per la nazione, ed in pari tempo risparmiandole una somma ingente, che per adesso non serve ad altro che ad alimentare il mostro della lebbra, già di per sè così feroce. Ah! ben altra cosa io voglio che siano i lazzaretti futuri, se Dio mi concede la grazia di poterli fare ! Dopo d'aver visto quelli della Norvegia, dopo d'aver consultato quella celebrità medica che è il Dott. Hansen, dall'esperienza che ho di varii anni saprei ben io come farli, vantaggiosi per tutti, sani ed infermi.
Bucaramanga è la capitale del Dipartimento di Santander, che è il più flagellato dalla lebbra; esso solo forse ha più lebbrosi che non tutti gli altri insieme. È la sede delle autorità civili, e si è perciò che là mi diressi, per trattare colle medesime sul da farsi. Presentai al Governatore lettere d'accompagnamento e di raccomandazione che mi aveva dato il Presidente della Repubblica allo scopo di facilitare l'opera mia; e quegli cortesemente invitò i principali signori della capitale; si discusse la questione famigliarmente ed amichevolmente, e fu là che si decise la creazione immediata di tre lazzaretti, capaci ognuno di due o tre mila ammalati, assicurando tutta l'opera sua e la cooperazione del suo governo, per quando si potesse dar principio ai lavori. Il Dipartimento è diviso in varie Provincie; le più infestate dal male sono quelle del Nord e del Sud; le centrali lo sono meno. Decisi quindi partire pel Nord e dar principio all'opera salvatrice, cercando una regione che avesse le condizioni per essere convertita in un vero lazzaretto.
Prima però volli visitare un medico, amico mio e dell'opera che ho tra mani, per avere la sua opinione ed i suoi saggi consigli; me li diede con grande discernimento. Si chiama il Dott. Olaya Laverde. È uno dei 120 medici che presero parte al Congresso di Berlino, nel 1897, dove venne da tutti ammirato per i suoi studi in materia di lebbra; lo stesso Imperatore di Germania lo volle conoscere personalmente e congratularsi con lui per i suoi studi, animandolo a perseverare negli stessi a vantaggio della scienza e dell'umanità sofferente. Prima di tornare in patria, aiutato e consigliato dai migliori medici leprologi di Berlino, Parigi e della Norvegia, si provvide di un completo laboratorio chimico per lo studio del bacillo della lebbra. - « Padre, mi diceva questo medico prima che io mi accommiatassi da lui : io sono spaventato di quello che mi accade; coi miei nuovi strumenti di professione che ho qui nel mio laboratorio, ho fatto scoperte mai più immaginate. In meno di un anno, fra le persone che vengono qui per consulti, ne ho trovate 160 che hanno già sviluppato il germe della lebbra, senza che neppure esse lo sospettino ; voglio dire che abbiamo in questa città 160 candidati lebbrosi per l'avvenire, senza contare i molti altri che non fanno parte della mia clientela, senza contare i molti lebbrosi già dichiarati. Sarà domani, sarà fra un mese, un anno forse, o magari dieci, un'imprudenza, un colpo di aria, un bagno fuor di tempo, o qualsiasi cagione, ed ecco che avremo l'apparizione del terribile male in tutti questi 160 disgraziati. Io sono davvero accasciato e spaventato di questa scoperta. ». Il fatto è veramente tale da spaventare qualsiasi che ami la sua nazione, che la vede all'orlo di un abisso e non la può salvare.
Partii col mio indivisibile compagno, certo Nepomuceno Gomez, giovane sui 18 anni, che ha mille riguardi per me in così lunghi e pericolosi viaggi, alla volta di Pamplona, sede vescovile. La stessa sera dell'arrivo vi fu, nel palazzo, del Vescovo, riunione, nella quale presero parte lo stesso Vescovo, cinque medici e varii dei principali della città. Presto ci mettemmo pienamente d'accordo : le regioni poste all'Oriente della Provincia, a circa 20 leghe da Pamplona, sulla strada che conduce alle immense pianure di Casanare, sono quelle che offrono tutti i vantaggi per un vasto e conveniente lazzaretto, per due, tre ed anche per cinque mila lebbrosi. Un medico giovane, eccellente in tutti i sensi, come l'ebbi poi a provare, si offrì ad accompagnarmi ; un secondo fu incaricato di accompagnarmi come ingegnere; tre altri conoscitori di quei siti spontaneamente vollero pure venire gratis et amore Dei; il Vescovo volle che venisse meco anche un Sacerdote, scelto fra i parroci dei paesi più vicini al punto che dovevamo visitare, caso mai ne avessi di bisogno, ben sapendo quanto sono pericolosi i viaggi a traverso di montagne, selve vergini, fiumi di gran corso, ecc. ecc. Si provvidero le cose più necessarie per dormire e mangiare durante 12 o 15 giorni, e si partì. La comitiva riuscì composta in tutto di 15 persone : sette erano quelle che formavano la commissione ufficiale, la chiamerò così; le altre otto erano persone di servizio, mulattieri, che conducevan le bestie da carico coi viveri e tutto il resto, uno che sapeva far cucina, due altri armati di una falce, o piuttosto di una ronca, per tagliare i rami che c'impedivano il viaggiare a cavallo e così renderci la via meno difficile e meno lenta. Avevamo poi un individuo scelto ex professo, amico di certe tribù di selvaggi che hanno loro stanza nelle vicinanze dei paraggi che andavamo ad esplorare. Egli veniva armato di un corno di bue, col quale chiama i selvaggi, quando vuol trattare con loro. Varii della comitiva portavano alla tracolla un bravo remington; tutti alla cintura un revolver, caso mai si avesse qualche brutto incontro o della tigre, o del leone, o di rettili velenosi, che non mancano mai nellé foreste dei climi ardenti; l'unica arma mia era il Crocifisso, la medaglia di Maria Ausiliatrice e lo scapolare della Vergine del Carmelo; le altre armi sarebbero state inutili per me, anche me l'avessero offerte; in mia vita non ho mai sparato un colpo di nessuna arma.
Un'ingrata sorpresa - Necessità e tradimento - Alla sponda del Margua - Ponte aereo - Orrendo passaggio -Congratulazioni scambievoli - Danza sopra l'abisso - Povera pazza ! - Assennata riflessione.
Fin dal primo giorno ebbi una ingrata sorpresa; me la diede il sacerdote che faceva parte della comitiva. « Padre, mi disse, se il lazzaretto, che si tratta di fondare in questa provincia di Pamplona e di Cucuta, non ha da contenere che due o tre mila infermi, basto io per riempirlo. Ecco là Labateca, è la mia parrocchia; e mi mostrava un grosso paese posto sul dosso di una collina; conta cinque mila anime all'incirca; e sono sicuro che almeno 1500 sono già lebbrosi avanzati nel male, senza contare molti altri che hanno già visibile in fronte il sintomo del male, o perchè figli di lebbrosi, o perche sono persone che imprudentemente vivono troppo al contatto con loro. Ho nella parrocchia famiglie composte di 12 persone, tutte lebbrose; nelle campagne i più fra quelli che coltivano la terra sono lebbrosi. La maggior parte delle frutta, dei formaggi, di certi dolci che si trovano sui mercati di Pamplona, di Bucaramanga e di Cucuta, sono mani lebbrose che li hanno raccolti o fabbricati, ed è con questo commercio che la maggior parte di questa gente vive. » Mi assicurava poi un medico che in S. Andrea (Provincia di Garcia Rovira) su 20 mila persone che conta quel grosso municipio, non meno di otto mila sono già lebbrosi. Bagattella! S'incomincia bene, diceva a me stesso, pieno di stupore all'udire tali cose. Ed è naturale che le cose stiano così. Come si possono sostenere queste migliaia di ammalati, che non vivono nei lazzaretti? Lavorando. Ma i prodotti loro non sono comprati da quelli del paese, perchè li conoscono; anche offerti per poco o nulla, non sarebbero accettati; l'unico smercio possibile è sui mercati, portati da persone sane; e l'inganno, vorrei dire, il tradimento o l'avvelenamento ha luogo senza che quasi nessuno se ne avveda. Così si spiega facilmente lo sviluppo della lebbra in queste contrade ! quante cause e quanto terribili, mentre tutti dormono o fingono di dormire, per non vedere e non temere il mostro! E questo avviene ed avverrà finchè le autorità non si decidano una buona volta ad avere un po' più di pietà per i sani, in continuo pericolo di essere contaminati; ed anche per gli ammalati, isolandoli, ma avendone tutte quelle amorevoli cure che hanno diritto di esigere dal governo e dalla società, come compenso del sacrifizio che debbono fare nel separarsi per sempre dalle loro famiglie e dal consorzio degli uomini.
Passata la notte alla bell'e meglio in una capanna, e detta la S. Messa per tempo con assistenza devota di tutta la comitiva, ci rimettemmo in viaggio. Ma ecco una difficoltà non lieve che ci si presenta innanzi; siamo alla sponda sinistra del fiume Margua; per pioggie recenti è cresciuto di molto, e precipitando rapidamente fra enormi macigni, fa un fracasso che assorda e spaventa. Si era parlato di questo ostacolo, ma nessuno di noi avendolo visto, non lo temeva gran che. Tempo fa vi era un ponte, che poi precipitò o per abbandono o per incuria o perchè non troppo ben fatto; se ne vedono ancora gli speroni nelle due sponde, come aspettando che il ponte venga ricostrutto. Ed ora come si fa a passare ? Il fiume ha circa venti metri di larghezza ed altri venti di profondità dalla sponda alla superate dell'acqua, ed una decina di metri dalla superficie dell'acqua al letto del fiume. S'immagini che il nostro Po abbia queste dimensioni; due spranghe di ferro sono piantate sulle rispettive sponde; a queste spranghe si è legato fortemente un grosso fil di ferro da ambo i lati, assicurato per di più a qualche rocca vicina; i due fili corrono parallelamente da una sponda all'altra, formando così da soli le due sponde del ponte sui generis. E meno male; le mani hanno qualche cosa per attaccarsi. Ma e i piedi? due altri fili alla distanza d'un palmo l'uno dall'altro, sono tirati nel centro, legati ai capi allo stesso modo dei sopra descritti. Su questi fili si collocarono assi di legno, in modo da farne una lunga fila stretta tanto, che appena vi stanno i due piedi sopra. Le assi sono sciolte, voglio dire non sono assicurate in nessuna maniera, e succede che se uno inavvedutamente mette il piede su una delle punte, l'altra punta si alza, e l'abisso è li sotto la persona che trema. Al mettere il piede sulla prima tavola, il ponte, che non ha altro appoggio che quelle quattro ferree sbarre fermate a venti metri di distanza, comincia a dondolare per benino, e l'altalena ha principio.
A quella vista ci guardammo in faccia l'un l'altro senza parlare; e si voleva dire: « Io non passo su quell'abisso ! » Infatti era già una buona mezz'ora che eravamo là, e nessuno osava arrischiarsi pel primo. Chi ha cura di quell'arnese, che prima chiamai ponte, passò una e due e tre volte, per dimostrarci che ben si poteva passare e per animarci a imitarlo; malgrado ciò, nulla di nulla; nessuno si moveva. Allora si offrì a portarci uno per uno a cavalcioni, vo' dire sulle sue spalle; l'offerta fatta con tutta serietà, ci fece rompere in uno scroscio di risa, ed è inutile che io aggiunga che nessuno accettò. Ma che fare allora? Tornare indietro era ridicolo; altro mezzo per passare il fiume non v'era, neppure a nuoto, che nessuno osava gettarsi fra quei vortici, anche essendo destro nel nuotare Che fare? Primi ad animarsi al terribile passaggio furono alcuni dei servi che venivano con noi; nudi i piedi, le mani fortemente abbrancate ai due fili di ferro, passo passo, con una lentezza mortale, uno dopo l'altro, giunsero sani e salvi all'altra sponda. Allora ci venne il coraggio; e tutti, uno ad uno, scalzi anche noi, per non scivolare su quelle assi, prima col segno di croce in fronte e l'atto di contrizione nel cuore, si fece il tragitto. Succedeva che tuttì di quando in quando ci fermavamo, o in un punto od in un altro, quasi a riprendere il fiato che ci mancava soffocato in petto dal terrore: e la guida a gridarci: Gli occhi in alto, non guardi l'abisso, distragga la fantasia! Ma come si faceva a non guardare l'abisso, se bisognava vedere dove si mettevano i piedi, data la strettezza delle assi ?
Quel passaggio ci costò la bagattella di tre ore; e noi a salutarci reciprocamente, a congratularci e farci i convenevoli, come si usa fare con quelli che hanno scampato un grosso pericolo. « Bravi ! ci disse quel. guardiano, siete proprio valorosi; io non mi stupiva vedendovi restii al passaggio; molti altri non lo vollero passare a nessun costo. Il generale tale (e ce lo nominava), tanto valoroso sui campi di battaglia, che sfidò la morte cento e cento volte, giunto qui non ebbe il coraggio di passare, e preferì tornare indietro; e molti altri ne ho visti tornare indietro; altri accettarono l'offerta che voi rifiutaste, e li passai sulle mie spalle cogli occhi bendati, per evitare le vertigini e forse un capitombolo; altri nell'estate, quando la corrente è pieno forte, preferirono passarlo a nuoto. Conosco individui, che avevano iniziato grossi negozi in bestiame nelle pianure di Casanare, e li abbandonarono per non dover passare di qui. » E quell'uomo, passati noi, rifece la via dieci o dodici volte, portando sulle sue spalle le nostre selle, le nostre casse, tutto quello che avevamo con noi; meno le mille, ben s'intende, le quali passarono a nuoto con tempo immenso, immensa fatica, ben dimostrando, colla resistenza che opponevano per entrare nell'acqua, che non erano ignare del pericolo, al quale erano obbligate ad esporsi. Il resto della giornata si passò là nella misera capanna del guardiano del ponte, essendo troppo tardi per poter arrivare di giorno ad un alloggio qualsiasi, e non arrivando si avrebbe dovuto passare la notte nella selva, letto poco gradito per tutti noi.
Verso sera di quello stesso giorno, ecco uno spettacolo che ci fece rabbrividire; una donna in mezzo a quel ponte sopra descritto, gesticolando, cantando e saltando come una pazza, non si teneva a nessuno dei due fili; una delle sue mani era occupata nel tenere un sacco ripieno di non so qual cosa, che portava sulle suo spalle ; nell'altra aveva alcuni lunghi bastoni. Fermatasi qualche tempo su quell'orrido abìsso, parlando in un gergo a noi incomprensibile, riprese la via, e venne dove noi ci trovavamo. Noi la miravamo stralunati, senza saperci spiegare quello che avevamo visto. « È una povera pazza, ci disse il padrone della capanna; quello che avete visto or ora, lo fa tutti i giorni, e varie volte al giorno, senza un timore al mondo; io non mi so spiegare come non sia caduta mai; cento volte tentai impedirle il passaggio, ma essa aspetta che io non sia presente, o che mi trovi occupato, e rifà la via ogni giorno e non so ben dire quante volte. In questi boschi, or sono tanti anni, perdè il marito per la morsicatura di una vipera; fin d'allora si notarono i sintomi della pazzia, che crebbe sempre fino a trovarsi nello stato attuale. Non vi è al mondo chi si occupi di questa infelice donna; ha fratelli, ma l'abbandonarono alla sua misera sorte ; ha una figlia, che non le può prestare assistenza alcuna, perche troppo giovane e perchè la madre non la può vedere: l'ho qui nella mia capanna e le fo da padre in cambio di qualche servizio che mi può prestare ».
Era impossibile che noi ci rassegnassimo a passare quella notte con quella pazza in casa; tanto più che una delle sue manie più marcate si è di gettare nel fiume tutto quello che le capita fra mani; quasi tutto il giorno lo passa in quest'occupazione : raccogliere pietre, rami, piccoli tronchi di alberi. foglie, e gettarle nell'abisso; e noi avevamo là sotto una piccola tettoia le selle, i freni, le gualdrappe, tutte le nostre cose, e tutte all'aperto, perché la tettoia non aveva pareti di sorta. Vi si aggiunga la circostanza che quella pazza non dorme mai, come ci assicurava il solito cicerone; se la passa cantando, parlando e lavorando nel portare al fiume quello che trova. Vi era quindi pericolo, se non si prendeva qualche precauzione, di trovarci al mattino svaligiati di tutte le cose nostre; e poi si aveva bisogno di riposare e riprendere forze per seguitare il viaggio al mattino. Si tentò far ripassare il ponte alla pazza, ma non voleva per nessun conto ; si provò a minacciarla, sparandole vicino vani colpi di fucile, le si fecero luccicare agli occhi certi coltellacci..., allora prese una corsa sfrenata e vertiginosa, ed in pochi secondi si trovò sull'altra riva. Respirammo. Senonchè, dopo neanche un'ora, quando noi si incominciava a sonnecchiare, ecco destarci un canto sui generis; era la pazza che, proprio sull'uscio del nostro dormitorio, era tutta intenta nel darci una serenata. Non so ne potè far a meno; si dovette legare colle mani dietro le spalle, e due della comitiva la portarono lungi sotto una tettoia, dove si macina la canna da zucchero, perchè non arrivassero fino a noi i suoi canti e le sue strane conversazioni. Pare impossibile, all' indomani, mentre mi preparava a celebrare la S. Messa. essendo ancora notte fitta, ecco la pazza a ricominciare da capo la sua serenata; l'infelice, dimenandosi in tutti i sensi. com'è facile il supporlo, mettendo a partito i suoi denti, era finalmente riuscita a liberarsi. Mi fece tanta compassione quella disgraziata, che al ritorno dal nostro viaggio, cinque giorni dopo, pagai due uomini e la feci portare colla figlia fino a Pamplona, perche fosse ricoverata in qualche Casa di beneficenza. Il che difficilmente si ottenne, malgrado gli impegni del Vescovo, per mancanza di un posto conveniente; al mio partire da Pamplona, la sua casa era ancora il carcere, come posto il più sicuro, mentre si provvedeva.
Al lasciare quella capanna, al gettare ancora uno sguardo sii quel ponte e ricordando le stranezze e peripezie della pazza, uno della comitiva osservò : « L'infelice donna adesso canta, giuoca, balla su quel precipizio; ma un giorno vi precipiterà di certo, se non si pensa presto a salvarla dal pericolo ; così è della nostra povera Repubblica di Colombia ; è sull'orlo di un orrido precipizio, la lebbra ; ed i Colombiani a ridere, scherzare, senza un pensiero al mondo sulla sorte infelice che loro si prepara; quando meno lo pensino, cadranno nell'abisso di certo, se non si pensa presto al rimedio ». Paragone assennato e giustissimo, a mio modo di vedere.
Attraverso la foresta - 800 metri sul livello dei fiumi - Il Murillo - La cena pronta - Un po' di pazienza - Lo scopo del viaggio è raggiunto - Il futuro lazzaretto Don Bosco - Le capanne degli Indii.
Per vie capresche (di capra) si viaggiò tutta quella giornata, e verso sera colle mani e la faccia più o meno graffiato ed insanguinate per le spine e rami che ci trattavano senza compassione, colla persona tutta rotta per la ginnastica continua che si dovè fare, affine di schivare i tronchi caduti sulla via ed altri ostacoli che si trovavano, si giunse al punto di fermata. In quel giorno più di venti volte tutti dovemmo discendere dalla nostra cavalcatura, preferendo andarcene a piedi, malgrado si dovesse pestar fango, per così evitare di precipitare in qualche burrone. In certi punti eravamo fino a 800 metri sul livello del fiume; la montagna era tagliata perpendicolarmente, e la vista si offuscava e girava la testa al gettar l'occhio in quelle profondità. Per fortuna i grossi alberi, i fitti ed alti arbusti di ogni sorta ce ne toglievano la vista quasi sempre; altrimenti nessuno avrebbe osato restare a cavallo a quell'altezza, su di un sentiero che non giunge ad avere un metro di larghezza. Quante volte ho ricordato, in quei giorni di viaggio a traverso quelle foreste, il detto della S. Scrittura: Angelis suis Deus mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis. Allora feci a me stesso, e ripetei al compagno sacerdote, un'osservazione che mai aveva letto, nè sentito da alcuno : il testo usa il plurale parlando degli Angeli, ed usa il singolare riferendosi agli uomini. Perchè mai? Non basta un Angelo solo per guidare l'uomo nelle sue vie? Il testo lascia supporre che in certi casi l'uomo ha bisogno di varii Angeli per liberarsi dai pericoli che lo circondano. « È proprio così, seguitava io a dire, per queste strade, fra mezzo a questi precipizi e pericoli che si succedono e si moltiplicano ad ogni passo, o il cavaliere ha bisogno di due Angeli almeno per tenersi in arcione e non cadere, o ce ne vuole uno per l'uomo ed un altro per la bestia. Comunque sia, il plurale, parlando degli Angeli, è veramente a suo posto. Se mai qualcuno notasse una qualche irriverenza in questa mia interpretazione di un testo santo, se l'abbia per non fatta. Il fatto si è che i sette cavalieri e gli otto pedoni alla sera ci trovavamo sani e salvi nel nostro nuovo alloggio detto Murillo.
La descrizione di questo Murillo è presto fatta : 6 pali o grossi bastoni sostengono una tettoia di paglia; da una sola parte vi è una parete fatta con canne silvestri, non tanto compatte da impedire l'entrata al vento ; le fessure sono tante quanto sono le canne; gli altri tre lati sono aperti al freddo, al caldo, ai venti, alle pioggie ed anche alle bestie feroci, se mai capitassero da quelle parti, ed avessero il ticchio di ricoverarsi là sotto. In un angolo sono tre pietre ; sono tutti gli attrezzi di cucina. I nostri cucinieri e marmittoni in quel giorno ci avevano preceduti a piedi, portando sulle loro spalle la pentola, una pignatta e le altre cose più indispensabili per una cucina. In certe parti del mondo, come, per esempio, quelle che descrivo, si va più lesti camminando a piedi, che andando a cavallo ! Al nostro arrivo pranzo e cena erano lesti e preparati; e noi, seduti sulle nostre selle, altri per terra, con un po' di pazienza per parte dei più, non avendo che due scodelle di legno e due cucchiai pure di legno, che si passavano dall'uno all'altro, ci siamo proprio divorato quel po' di ben di Dio, tanta era la fame che ci pungeva dentro. E per dormire? Ognuno trattò di aggiustarsi alla meglio. È superfluo il dire che non si aveva nè lettiere, nè materassi ; ma si aveva una tenda militare, che generalmente serviva da materasso ed in Murillo servì invece da cortina, per impedire che un forte e freddo vento, che in quei paraggi è cosa di tutte le notti, ci facesse del male; si aveva qualche coperta, alcuni capezzali, il resto si toglieva dalle montare; tutto serviva, tanto più che la stanchezza era all'ultimo grado ed il sonno quasi. A me toccarono i coperchi di due delle nostre casse vuote; cosi aveva la persona a, qualche palmo da terra, e poteva riposare sufficientemente senza timore di svegliarmi con una qualche puntura alle reni. Si dormì come Dio volle ; al mattino si tentò di dir Messa ; ma non si potè, perchè il vento soffiava ancora con tutta forza, minacciando di abbattere quella così poco solida casa. Si fece una piccola colazione, e poi in groppa.
Era il quarto giorno che si era partiti da Pamplona ; i conoscitori di quelle regioni assicuravano che in quel giorno avremmo trovato quello che si cercava, e furono profeti. Il bisogno era d'un terreno vasto, sufficientemente piano per edificarvi qualche casa, come una piccola città, che fosse fertile assai, attraversato da molte acque, con molto legname da costruzione ; il clima ardente, secco qual si conviene ai futuri abitatori, i lebbrosi. E l'abbiamo trovato tale quale si desiderava. Alle 12, fatta una piccola refezione in secco, perchè non v'era tempo da accendere il fuoco, lasciate le mule assicurate a qualche tronco d'albero, a piedi si fece l'esplorazione. Da un piccolo rialzo di terra, di dove si poteva dominare la regione circostante, si scoperse che la pianura aveva varie leghe di estensione; cogli strumenti si misurò la temperatura: la minima 26 centigradi, la media 30, la massima 34. Quello appunto che ci voleva! Si analizzarono le acque delle varie sorgenti, e furono trovate eccellenti ; si trovò certa, terra molto adatta per fare mattoni e tegole per le costruzioni , si trovò anche una sorgente abbondante di acqua sulfurea, molto utile, a detta del nostro medico, per le malattie della pelle, e la lebbra è la regina di queste malattie; di legname non dico, ve n'è un subisso, tanto per fare dieci città come Londra ; è tutto un bosco con alberi piccoli e grossi, molti veri giganti che paiono giungano alle nubi, e questo bosco continua per leghe e leghe, e non se ne vede la fine. Prima di lasciare quel promontorio, si volle battezzare quel luogo ; sulla corteccia di un grosso tronco d'albero, colla punta di un coltello, si fece una croce ; su di altro tronco si incisero queste parole : Lazzaretto Don Bosco, Maggio 1899. Aprendoci la strada con coltelli ad hoc, siamo giunti alla sponda destra del fiume Margua, di assai ingrossato da quando l'abbiamo lasciato, per i molti torrenti che vi mettono dentro. Ma ecco sull'altra sponda le capanne degli Indii ; sono tutte disseminate sul declive di una collinetta bellissima posta in faccia a noi. Intorno alle casette vediamo piantagioni di platani, yuca, cacao, mais, ecc., ecc.; in lontananza udiamo il corno dell'interprete che fa i segnali convenuti, indicando che aveva cose urgenti da comunicar loro. Aspetta che aspetta, ma gli Indii non si presentavano. Noi avevamo un piccolo mondo di cosette da regalar loro, fazzoletti di, vario colore, spilli, filo, specchietti, acciarini per accendere il fuoco, chè i fiammiferi non li conoscono ancora quei poverì selvaggi, e non li saprebbero usare; per accendere il fuoco hanno un modo ancora tutto primitivo : battono due pietre, finchè traggono la scintilla, che cade nell'esca preparata; avevamo del sale, del quale sono ghiottissimi ; alcune scuri per abbattere gli alberi, queste le avevamo destinate per i caciques o capitani della tribù; sono il più bel regalo che si possa fare ad uno di quegli Indii ; avevamo ancora molte e molte altre piccole cose da offrir loro, perchè avessero a concepire un'idea favorevole delle vesti nere, come si chiama fra loro il sacerdote ; ma dopo molto chiamare ed aspettare, nessuno si lasciò vedere. « Ho due spiegazioni, ci disse l'interprete quando si unì alla comitiva, per capire questa assenza di tutta la tribù ; od è ancora alla pesca, approfittando degli ultimi giorni dell'estate, alla confluenza del fiume Sarare, a varie leghe di qui; oppure i. poveri selvaggi si sono spaventati ai colpi di fucile che udirono poco fa, e si sono intornati nella foresta, temendo qualche agguato da parte dei bianchi. » Infatti i nostri cacciatori avevano varie volte scaricato il loro fucile o per tirare ad uccelli, o per ammazzare una serpe che prendeva il sole avviticchiata al ramo di un albero, o per altri motivi ; e forse questo giuoco innocente ha spaventati e fatti fuggire gli Indii, privando noi di una curiosità e di una soddisfazione tanto desiderata, ed essi dei regalucci che avevamo portato loro. Si rifece la via verso le cavalcature, e bel bello si ritornò al nostro alloggio di Murillo. Quel contrattempo inaspettato dei selvaggi non mi privò del pìacere di sentire dalla bocca dell'interprete tante e tante belle cose. Gli Indii in quelle montagne sono di due razze : l'una la formano i Pedrazas, l'altra i Tunegos; dei primi non ve n'è più che una sola tribù, composta di circa 500 persone; i secondi sono suddivisi in varii gruppi, dimoranti in montagne distinte, ma parlando una sola lingua; arrivano in tutto ad essere da tre a quattro mila. I primi sono piuttosto tranquilli, amano il lavoro, e non temono presentarsi di quando in quando nelle haciendas dei bianchi in cerca di qualche occupazione, in cambio di sale, vestiti, strumenti per coltivare la terra; il denaro non l'apprezzano e non lo vogliono ; questi si possono, per la loro indole e docilità, ridurre facilmente ad accettare il battesimo e la civiltà. I secondi sono piuttosto diffidenti riguardo ai bianchi, sono feroci ancora, non amano il lavoro e sono un pericolo per chi ha la disgrazia di capitare fra loro ; il che non dev'essere un ostacolo, perche si tenti di far loro qualche bene, e poco a poco ridurli a migliori. sentimenti, fino a renderli cristiani, figli di Dio, membri di una società civile.
L'allegrezza del Vescovo di Pamplona - Inspirazione divina - L'evangelizzazione degli Indii - A Cucuta - Incidente più comico che serio :i Bucaramanga - S. Gil - Al Socorro - Triste notizia.
Giunti a Pamplona, otto giorni dopo la nostra partenza, il carissimo Monsignore, nel palazzo del quale aveva io alloggio e vitto, volle subito essere informato di ogni cosa. Indicibile fu la sua allegrezza, quando sentì a dire che il punto scelto per il nuovo lazzaretto era nelle vicinanze delle tribù dei selvaggi. « Sono anni ed anni, mi diceva, che chieggo al Signore mi mandi qualche operaio evangelico per l'istruzione di quei selvaggi miei figli (sono nella diocesi dì Pamplona), e finora non ebbi ancora questa grazia. Scrissi più volte al Sig. D. Rua, perchè mi mandasse qualcuno de' suoi figli. ; lo feci ancora l'anno scorso, rinnovando la mia supplica, e sempre mi si rispose che per adesso non si poteva, io ho sempre pensato che sarebbero i figli di D. Bosco i scelti per l'evangelizzazione di quelle tribù, sepolte ancora nell'ombra dell'errore e della morte. Adesso incomincio a credere che fu la mia una inspirazione divina, e credo pure che la mia preghiera di tanti anni sia per essere esaudita. » Dio lo voglia! E lo vorrà il Signore, se arriviamo a fondare quel lazzaretto sulle rive del Margua, come non dubito che si farà. Allora i sacerloti addetti all'assistenza dei lebbrosi vedranno il modo di passare all'altra sponda del fiume e d'introdursi fra quegli altri più lebbrosi ancora, i poveri selvaggi, e ridurli al bene e convertirli a Cristo. Presto si saprà se questa speranza non avrà da essere che una povera illusione, o se sarà un fatto da scriversi nelle pagine della storia della nostra Pia Società.
In quella stessa sera, per mezzo di avvisi stampati affissi alle pareti, si radunarono i principali della città per dar loro contezza della missione compiuta; si nominò una Giunta di sei persone autorevoli per vedere il modo di dar principio all'opera; per acclamazione fa nominato l'Eccellentissimo Vescovo a Presidente onorario della Giunta, per dare così maggiori garanzie a tutta la Provincia, principalmente in quanto all'inversione dei capitali, che si sono raccolti già, o che si possono raccogliere più tardi.
All'indomani partii alla volta di Cucuta, senza dubbio la più grossa, più commerciale e più ricca città della Provincia ; trovai l'antica Giunta formata quattro anni prima da me stesso, sempre ben organizzata, la quale dispone subito di 52 mila scudi raccolti nella sola popolazione per dar principio ai lavori, somma che misero, dietro mia richiesta, a disposizione della Giunta di Pamplona, nel caso ne abbisognasse ; e dopo due ore di conferenza con quei cari amici, rifaceva la via verso Pamplona, cori due giornate di cammino, e, di qui subito a Bucaramanga per fare relazione verbale al Sig. Governatore del mio operato, mentre la Commissione ufficiale nominata da lui, composta del medico e dell'ingegnere, gliela preparassero per iscritto. Stampata che sia, la potrò avere io pure, e vedrò se avrà qualche importanza per essere mandata a Torino.
In Bucaramanga mi fermai 24 ore, tanto per radunare i principali della città e riorganizzare la Giunta primitiva disciolta da qualche tempo o per la, morte o per l'assenza di alcuni de' suoi membri, il che si fece con qualche incidente serio-comico, e più comico che serio, che esilarò un po' la numerosa udienza. Ad un certo punto, dopo aver io parlato a lungo, un giovanotto, che si disse rappresentante della stampa, si levò su ad interrogarmi che n'era dei fondi raccolti in Santander quattro anni prima, e se era vero quello che anni addietro si era pubblicato in Caracas e pochi mesi prima riprodotto in un giornale di Cucuta, che io avessi mandato due milioni di scudi tolti al fondo dei lazzaretti all'Equatore per fare la contro-rivoluzione contro Alfaro. Capii tosto l'indiretta ; si voleva attaccar briga, fare uno scandalo in quella riunione ed impedire forse lo scopo che ci eravamo prefissi nel riunirci. Non so più che risposi : il sangue m'era corso tutto al cuore e poi alla testa al sentire ripetere una calunnia tanto ingiuriosa per un sacerdote; ricordo solo che d'improvviso mi trovai in mezzo della sala, e colle mani distese verso il pubblico: « Ecco, dissi, le mani pronte alle manette ; se chi mi ha interrogato o qualcun altro dei presenti ha vera convinzione che ho rubato ì due milioni, di cui si fece menzione or ora, sono pronto alla prigione.» Un fragoroso battimano coprì le mie ultime parole. Tornò a parlare il mio interlocutore e chiese nuove spiegazioni, che gli diedero abbondanti e forse troppo abbondanti e troppo pepate il Sig. Governatore presente e varii altri signori; io non volli più rispondere. L'ultimo a parlare fu il Parroco della città, un degnissimo ecclesiastico, che, con una calma ammirabile, trattò di far dimenticare a tutti i presenti quell'incidente veramente increscioso (?). La Giunta era stata già organizzata prima, e la seduta si sciolse con quel finale proprio serio-comico, e, come dissi più sopra, più comico che serio.
In due giorni arrivava a San Gil, altra grande città; in sei ore il Socorro, risuscitando in ogni parte il morto progetto dei lazzaretti, per la salvezza della Colombia. Qui trovai brutte notizie. - « Sa lei già, mi diceva la Superiora dell'Ospedale, dove aveva preso alloggio, che il P. Garbari fu vicino alla morte. » - « Ma io so nulla, risposi spaventato.» - « È proprio così; giorni sono si seppe qui che era gravissimo ; adesso però deve star un po' meglio.» - In quel momento mi veniva consegnato un telegramma proveniente da Contratacion. - Acceleri il viaggio quanto più possa, diceva lo scritto, P. Garbari e Suore molto ammalati; venga, senza indugio. - In quella sera interrogai varii medici, preparai medicine, cordiali, tutto quello che potei e credei necessario in quelle circostanze, ottenni da un medico che stesse preparato a partire, se l'avessi richiesto, e l'indomani a marcie forzate, dopo 12 ore di mula, verso le 8 di sera, essendo notte buia già, giungeva a questo lazzaretto, da dove scrivo questa corrispondenza; e qui finisco per oggi per andare alla chiesa a far la predica della Novena di Maria Ausiliatrice; il resto lo riceverà in un'altra corrispondenza, che spero poter scrivere dopo finita la missione a questi lebbrosi, missione già annunziata per il 25.
Preghi per noi, Salesiani della Colombia, principalmente per quelli dei lazzaretti, ed in modo particolare per questo tutto suo
Affez.m° in Cristo Sac. EVAsIO RABAGLIATI.
TERRA DEL FUOCO
Le vere notizie intorno a Mons. Giuseppe Fagnano Prefetto Apostolico della Patagonia Meridionale.
CONTRARIAMENTE a quanto nello scorso giugno circolava su per i giornali italiani - che cioè Mons. Fagnano fosse stato trucidato dagli Indii siamo in grado di poter dare ottime notizie di questo nostro carissimo confratello ed intrepido campione dell'apostolato cattolico. Il venerato nostro Superiore ha ricevuto ultimamente una lettera da Monsignore stesso, in cui dice che dall'11 aprile al 30 maggio si occupò nella Missione della Candelara, facendo un' escursione in mezzo ai boschi per convincere alcune tribù a non recar danno alle tenute dei cristiani e venire piuttosto alla nostra Missione. Questa escursione ha dato origine alla falsa notizia, trasmessa ai giornali italiani, sul suo conto. Il Commissario di Polizia e tutti gli impiegati del Sig. Menendez, che vanno sempre armati ed in buon numero e qualche volta ricevettero frecciate dagli Indii stessi, mentre Monsignore erasi inoltrato accompagnato solo dal confratello Ferrando e da otto Indii della Colonia, non vedendolo arrivare dopo cinque giorni, sparsero la voce che gli Indii lo avevano ucciso, e questa a mezzo di un vapore venuto a Buenos Aires in un lampo si ingrandì e fece telegraficamente la traversata dell'Oceano. Dopo queste notizie personali, Monsignore accenna ai progressi della Missione ed alle fondate speranze che mutre per un sempre crescente sviluppo.
Il Governo Argentino gli concesse il denaro necessario per innalzare una chiesa ed una casetta a Gallegos, sì l' una che l'altra già in costruzione, ed un sussidio per la Candelara. Questa stazione ha bisogno di esser aiutata in modo speciale, perche ormai è un paesello bell'e fatto con 200 Indii stabili, divisi per famiglie ed aventi bisogno di tutto.
Per questi nel 1898 si consumarono 65,000 kg. di carne, 20,000 kg. di pane, 2,500 di riso, 7,500 di patate, ecc. Oltre a questi vi sono ancora i nomadi, che vengono alla Missione, rimangono sette od otto giorni e poi se ne vanno di nuovo, perche non si adattano ancora alla vita civile, ed anche perche non si può ancora far loro una casetta e dare carne in abbondanza, e senza di questo non si può civilizzarli. Forse in quest'anno alcuni verranno collocati a servire nelle grandi cascine vicine, avendo così il Missionario occasione di tenerli d'occhio, affinchè perseverino nella fede e nell'amore al lavoro.
La salute di questi Indii, scrive Monsignore, è buona, e quest'anno morì solo una donna. Ha ricevuti tutti i Sacramenti, ed è la prima che fu accompagnata da tutti gli Indii con solennità al cimitero. I ragazzi si occupano tutto il giorno in custodire e mungere le vacche, in provvedere legna pel fuoco, nel trasporto delle piccole cose e quasi sempre all'aria libera, eccetto il tempo di scuola. Le fanciulle sono occupate nella cucina, nel raccogliere legna, nel cucire e nelle altre faccende domestiche. C'è bisogno di terminare la chiesetta, di fare un laboratorio per le donne, affinchè possano imparare a filare e tessere lana e nello stesso tempo il catechismo e le preghiere, passando più ore al giorno colle Suore. Un gran passo s'è fatto per la Candelara, e pagati gli attuali debiti camminerà da sè al cominciare l'anno 1900, nel quale spero vedermi sollevato da tanta miseria, perche Dawson, ossia la Missione di S. Raffaele va avanti bene coi suoi legnami, colle sue lane e colle sue pelli.
Monsignore passa quindi a dare altre consolanti notizie delle altre stazioni di Missioni; e noi, mentre ringraziamo Dio e la Madonna Ausiliatrice per non aver permesso che accadesse finora alcun male a Monsignor Fagnano tanto necessario al buon andamento della Missione fueghina, facciamo umile, ma caloroso invito ai nostri lettori a volersi spesso ricordare con preghiere ed abbondanti offerte degli infelici Onas della Terra del Fuoco.
PATAGONIA SETTENTRIONALE
La Missione delle Ande e delle Pampas Patagoniche. (Note di D. Domenico Milanesio)
L'INFATICABILE nostro Missionario D. Domenico Milanesio da Junin de los Andes lo scorso gennaio scriveva al nostro Superiore:
Sono due anni che più non le scrivo e per non privare più a lungo la S. V. R.m ed i lettori del Bollettino di alcune notizie sii questa importante Missione di Junin, le mando alcuni appunti riguardanti le operazioni evangeliche dello scrivente.
Una nuova Casa a Junin - Ringraziamenti.
Il Bollettino Salesiano ha già altre volte accennato alla costruzione ed apertura d'una modesta Casa e Collegio in Junin de los Andes, situato ai piedi della Cordigliera, di fianco alla linea divisoria fra il Chili e l'Argentina. Ora però è bene che registri anche un'altra costruzione oramai terminata e destinata per le Suore di Maria Ausiliatrice.
La costruzione di queste due Case ci costò tante fatiche e sudori, che credo assai più facile immaginare che descrivere. Le immense distanze, i mezzi di trasporto, consistenti solo in alcuni giumenti, le strade pressoché impraticabili, la somma povertà di questi luoghi e la calamità dei tempi, come sono sempre quando corre pericolo di guerra, sono tanti motivi che indicano eloquentemente le fatiche sofferte e le difficoltà superate. Era però necessario superare tutto per assicurare il tratto della Missione, perche ora stabiliti i Salesiani le Suore, i fanciulli e le fanciulle, la maggior parte indigeni, bevono alla stessa foute le acque salutevoli di vita eterna coll'istruzione religiosa e possono essere un giorno buoni cristiani ed onesti e laboriosi cittadini.
E di tutto questo po' di bene va dato merito a quanti con cristiana liberalità ci aiutarono colle loro limosine; ed io ringrazio con profonda riconoscenza tanto i nostri cari Cooperatori e Cooperatrici, come le altre migliaia di buoni cristiani che ci hanno offerto il loro obolo nelle città e paesi, ove ho tenuto conferenze a questo scopo. Come si avvera qui che il Missionario colla grazia di Dio ed aiutato dalle elargizioni dei buoni può condurre a felice esito grandi imprese per la salvezza di tante povere anime !
Vita del Missionario.
Il Missionario, armato della croce e anelando solo a conquistare anime a Dio, non tenne nè il freddo, nè il caldo, nè la pioggia, nè i venti, né la neve, nè la tempesta. Egli non dà indietro alla vista di alte e scabrose montagne, nè lo intimidisce o la profondità degli abissi, o le folte boscaglie, o la corrente minacciosa degli spumanti fiumi: imperterrito prosegue la sua missione. Spesso il suo letto è la nuda terra e talvolta il bianco e gelido manto di una spessa cappa di neve; e quando gli sorride la fortuna, trova per albergarsi qua una capanna di giunchi, là un tondo di cuoio, qui gli si offre un'alta rocca ed altrove il concavo di un grosso tronco d'albero, che muti e pazienti gli danno gratuita ospitalità. Ma che vado io perdendomi a dir cose che lei, amato Superiore, conosce meglio di me? Si è perchè tale è la mia vita e più volte tutto ebbi a provare.
Anzi più volte dopo aver percorso ben 70 miglia a cavallo attraverso la Pampa, giungendo di notte a qualche capanna, stanco e collo stomaco vuoto, il Missionario si siede sopra un tronco d'albero o sopra il teschio d'un qualche animale morto, ed insegna la dottrina cristiana ora ad un gruppo di cristiani e tal altra volta ad un nucleo di indigeni. Frattanto la padrona di casa infilza allo spiedo un grosso pezzo di carne selvatica e lo fa arrostire al fumo e fuoco, la cui fiamma suol esser anche l'unica luce che illumina l'interno di quel tugurio. Arrostita la carne, si pianta lo spiedo nel suolo ed ognuno si avvicina armato di un grosso coltello, ne taglia un bel pezzo e se lo manduca col miglior appetito del mondo, in simili circostanze poi non si fa mai uso di vino, ma si è fortunati quando si può bere acqua dolce e non putrìda. Dopo cena si prega per lo più in comune, e quando lo circostanze lo permettono, si recita il Rosario. Fatto quindi un breve sermoncino si va a dormire. Già si sa che il nostro letto non è elastico, nè di piume, ma fatto con alcune pelli dìstese sul nudo suolo, sotto un tetto di giunchi o a ciel sereno. Ciò non ostante si dorme saporitamente, perchè la coscienza tranquilla ci assicura di aver passato il giorno in sante operazioni. E quando la troppa stanchezza ci toglie il sonno, il cielo azzurro tutto trapuntato di brillantissime stelle ci rapisce in dolci meditazioni, mentre le nostre labbra vanno mormorando le parole del Salmista : Coeli enarrant gloriam Dei. All'indomani si alza per tempo e, dove si può, recitato il Rosario e celebrata la S. Messa; si parte, oppure si fa stazione per due, tre ed anche per nove giorni. In questo caso si manda subito ad avvisare i vicini dell'arrivo del Missionario invitandoli a participare alle istruzioni e funzioni religiose. Si noti, di passaggio, che in queste regioni, le parole vicino o lontano non suonano sempre come in Europa. Così a mo' d'esempio, se si chiede ad un patagone la distanza per arrivare ad un dato luogo, risponde con indifferenza, è vicino. oppure non è lontano, mentre si sa che quel luogo dista 10, 20 o 30 miglia. Dimodochè per arrivare ai così detti vicini, si deve impiegare or un giorno, or due.
Non sempre la Missione produce gli stessi frutti, perchè l'esito felice di essa, dipende da mille circostanze di luogo, di persone, di volontà e che so io. Nei punti dove si trovano i cristiani più istruiti e meno esposti alle arti sofistiche e maligne dei cattivi, è naturale che la scienza, la pratica e lo zelo del Missionario ottenga più copiosi frutti. Così pure si hanno maggiori frutti in mezzo alle tribù isolate degli indigeni, che non nei centri dove siano aggruppati indigeni e civilizzati insieme. E la ragione è chiara e più che naturale. Gli indigeni segregati e soli sogliono nella lor rozzezza seguire i principii della legge naturale, mentre quelli che hanno avuto occasione di trattare coi popoli civilizzati con più difficoltà si arrendono alle esortazioni del Missionario, perchè hanno acquistato più malizia per i cattivi esempi avuti.
Durante la Missione le pratiche di pietà si fanno così. I più fervorosi sogliono venire muniti del necessario pel vitto e riposo. In questo caso si improvvisa un vero villaggio, donde è sbandita la bestemmia e la mormorazione. Si prega, si medita, si fa lettura spirituale, si cantano inni sacri, come in una casa religiosa. Le confessioni sono continue e nei centri più popolati si contano ogni giorno da 40, 60 e fin 100 comunioni. Si amministra pure il Battesimo ad un buon nu mero di bambini e ad altri molti la Cresima. Si benedicono eziandio numerosi matrimoni. Soddisfatta la loro pietà, ritornano alle loro case, per lasciar liberi di venire quelli che erano rimasti ad accudire le domestiche faccende. L'ultimo giorno della Missione, dati i ricordi, si benedice il popolo e si va a dar Missione in altro punto. D'ordinario questa buona gente, riconoscente al benefizio che ha ricevuto ed in ossequio al Missionario, lo provvedono di vettovaglie e lo accompagnano lungo tratto di via e poscia nel separarsi dolentissimi gli augurano un buon viaggio ed un pronto ritorno.
I Battesimi dei bambini e degli adulti.
Tale è la vita del Missionario di D. Bosco nelle Pampas patagoniche ; e qui dovrei far punto, ma voglio ancor aggiungere una parola sui battesimi. In quanto al battesimo dei bambini indigeni può nascere il dubbio se sia conveniente battezzarli , prevedendo che, cresciuti attorniati dagli infedeli, siano in pericolo di perdere il frutto del Sacramento. Ora se per questo pericolo si dovesse non battezzare i bimbi indii, parimente non si dovrebbero battezzare gli altri parvoli, perchè si prevede pur troppo che un gran numero di essi, fatti grandicelli, non osserveranno più le promesse fatte per mezzo dei loro padrini. Ma la Chiesa vuole che, ciò non ostante, si battezzino ; quindi non veggo per qual ragione non si debba fare altrettanto per i bimbi indii. E in quanto a pericoli, non saprei dire ove siano maggiori o nel seno di una civiltà miscredente e corrotta, o fra le tribù indigene, le quali più o meno ammaestrate già dai nostri Missionari riconoscono nel Battesimo un Sacramento che li fa cristiani e loro apre le porte del cielo.
Nel battezzare i Patagoni adulti poi teniamo questa pratica. Prima si ha cura speciale di istruirli intorno alle verità principali della fede necessarie di necessità di mezzo per salvarsi. Dove vi è maggior comodità si insegnano pure le verità necessarie a sapersi di necessità di precetto. Così si è fatto nei punti più centrali della Patagonia e con preferenza in Patagones, Viedma, Conesa, Chi-chi-nal, ecc. Questa regola fu praticata dai Gesuiti del secolo scorso nell'Araucania e da alcuni di loro che visitarono in quei tempi alcuni punti della Patagonia; fu praticata da Monsignor Antonio Espinosa, da D. Giacomo Costamagna (ora Monsignore) nel 1878 e più tardi da Monsignor Cagliero nelle sue escursioni sulle rive del Rio Negro e del Neuquen e sulle Cordigliere delle Ande. Questo sistema fu suggerito dall'esperienza, ed è l'unico, finche non si possa avere un maggior numero di Missionari per istabilire e moltiplicare dappertutto stazioni permanenti. È vero che così facendo alle volte può accadere che vi siano di quelli che si facciano battezzare due volte, e ciò avviene sopratutto quando gli Indii, alquanto civilizzati, si recano nelle città, dove i parroci, non conoscendo il loro idioma, possono cadere in errore. Grazie a Dio però ciò non è ancor accaduto nè a me, nè ad alcuno dei miei Confratelli. Preghi e faccia pregare, amatissimo Sig. D. Rua, perchè possiamo sempre fare del bene. »
AFRICA Due battesimi a La Marsa (Tunisi).
(Corrispondenze di D. Antonio Josephidi)
REv.m° ED AMAT.m° SIG. D. RUA,
Tunisi (La Marsa), 1° Aprile 1899.
LE scrivo per comunicarle una grande gioia della piccola famiglia salesiana di Cartagine. Oggi, Giovedì Santo, 1° aprile, abbiamo avuto due bei pescì, che formano le nostre più care delizie. Due dei nostri neofiti, due negri autentici, nacquero a Gesù Cristo nelle acque rigeneratrici del santo Battesimo.
Dirle la gioia della nostra piccola comunità, esprimerle le consolazioni provate e le speranze concepite, e sopratutto descriverle la gioia di questi due fanciulli del Continente nero, è cosa superiore alle mie forze e perciò mi accontento di darle solo alcuni semplici appunti sopra questo fatto consolante.
La preparazione dei catecumeni ci costò due anni di ripetizioni e di laboriose spiegazioni, perchè si dovette insegnar loro la lingua prima del catechismo.
Finalmente però eccoli alla porta della Chiesa : i loro vestiti bianchissimi fanno mirabile contrasto con il bel negro d'ebano delle loro figure africane. Sua Ecc.a Rev.ma Mons. Combes, Arcivescovo di Cartagine e Primate d'Africa, da buon padre qual è per noi, è tutto felice di poter egli stesso conferire il Sacramento della rigenerazione ai nostri cari neofiti. I suoi due nipoti, l'esimio Sig. Peufaillit, ed il pio Sig. Marcale, a noi affezionatissimi e pieni d'interesse per tutte le cose nostre, ben volentieri si prestarono a far da padrini. Le madrine sono presenti solo in ispirito e per procura. Esse sono : per il neofito più giovane la Signorina Maria Deubel, un'anima tutta consecrata al santo sepolcro, avendo già tre volte per puro spirito di divozione pellegrinato fino al Sepolcro del Salvatore; e per il più grande la Signora Contessa Barbier Lamey de Sonis, ch'io non ho il bene di conoscere personalmente, ma il cui nome solo risponde della sua fede e della sua carità essendo il nome d'un eroe cristiano, l'eroe del Sacro Cuore. Le cerimonie si fanno con tutta la pompa consentita dalla nostra piccola cappella arcivescovile. I catecumeni rispondono essi stessi al Vescovo celebrante; il raccoglimento s'impadronisce di tutti i cuori, il silenzio è profondo, il momento solenne. L'acqua benedetta discende su quelle eburneo fronti ; la formola sacramentale è pronunziata e la nostra Santa Madre Chiesa ha due figli di più : Renato Maria Agostino Annibale e Luigi Michele Alfonso Maria. A compimento della comune letizia i nostri giovani viticoltori con le loro robuste voci intuonano il canto : Je suis chrétien !
Amatissimo Padre, questa è un'ora di paradiso per i suoi figli, che aspirano solo alla diffusione del regno di Gesù Cristo.
In questi neofiti veggo con vera compiacenza le primizie dell'apostolato salesiano in mezzo ai figli di Cam. In essi saluto l'aurora d'un'evangelizzazione e più estesa e più feconda nel centro stesso del Continente nero. La mia indegnità, più ancora della mia salute, mi toglie la dolce illusione di vedere un sì bel giorno ; ma, fedele all'ordine datomi da lei, impiegherò tutte le forze che mi rimangono in prepararne i pionieri e gli apostoli. È a questo fine che speriamo di porre presto la prima pietra dell'Oratorio S. Agostino, che sarà specialmente destinato alla coltura delle vocazioni apostoliche.
Invochi, veneratissimo D. Rua, sopra di noi e sulle nostre Opere la protezìone del Signore, senza cui tutto le nostre fatiche approdano a nulla.
Ci benedica, caro Padre, benedica le nostre opere e sopratutto benedica lo scrivente.
Ubb m° ed Aff.mo figlio in G. C.
Sac. ANTONIO JOSÉPHIDI.
La parrocchia salesiana di Manouba.
LA nostra modesta cappella fino ad oggi in fatto d'immagini sante possedeva unicamente la statua del Sacro Cuore, che S. Ecc. Mons. Combes, Arcivescovo di Tunisi e Primate d'Africa, aveva offerto fin dall'apertura della nostra cappella. In breve spazio di tempo la nostra chiesa fu dotata di due belle altre statue. La prima, quella di Nostra Signora Ausiliatrice, fu benedetta da S. E. Mons. Tournier, Vescovo titolare d'Ippona e Zarite, che volle anche celebrare la santa Messa prima della cerimonia. La banda della nostra Casa di Tunisi fecegli alla stazione un solenne ricevimento. La seconda statua è quella di S. Giuseppe. Essa ci fu donata da un'eccellente e caritatevole famiglia di piccoli commercianti della località, la quale volle così concorrere ad onorare la casa di Dio. I nostri giovanetti di Tunisi, sotto la direzione di D. Corlay, vennero di nuovo ad accrescere lo splendore di questa bella cerimonia regalandoci musica eccellente. Il Sig. DebonoSaliba, il generoso donatore, volle fare pressochè tutte le spese per una sostanziosa refezione ai nostri giovanetti. Mons. Pavy, Vicario Generale, presiedette la cerimonia. Al vangelo prese la parola, e con un'eloquenza proprio cordiale, disse quanto volontieri siasi recato, dietro l'invito dello zelante Pastore, a questa nascente parrocchia, e, salutato il numeroso e benevolo uditorio raccolto sotto la splendida cupola moresca della chiesa, espose la dottrina della Chiesa intorno al culto dei Santi, raffigurata nelle immagini. Poi, inspirato dalla statua del glorioso fabbro di Nazareth, parlò del lavoro.
Il primo operaio è Dio: la sua opera è il mondo, che volle creare in sei epoche o sei. giorni : sei giorni di lavoro ed il settimo di riposo : è il tipo, il modello della divozione ebdomadaria del tempo, della settimana. Compiuta la sua opera, il Creatore la rimette alla sua creatura, fatta a sua immagine e somi-. glianza, all'uomo. L'uomo è posto in un giardino delizioso per coltivarlo, per lavorarlo. ut operaretur. Così, anche nello stato d'innocenza, si trova la legge del lavoro, legge che dopo il peccato, divenuta più imperiosa, più penosa, si trasforma per noi in espiazione e preservazione.
Nella seconda parte del suo discorso, Mons. Pavy considera il lavoro manuale in. quanto fu santificato da N. S. G. C., il quale volle praticarlo facendosi apprendista falegname sotto la direzione di S. Giuseppe. È alle mani adorabili del Salvatore che le opere servili debbono la loro riabilitazione, e le masse di schiavi, i soli che penavano quaggiù, il loro riscatto, la loro liberazione, la loro dignità. In sul finire, Mons. Vicario Generale invita il suo uditorio a visitare spesso la Sacra Famiglia nell'umile casetta di Nazaret.
I coloni, i lavoratori, i proprietari della bella campagna di Manouba, come pure i giovanetti dell'Orfanotrofio D. Bosco, venuti da Tunisi per questa festa, ne conserveranno preziosa rimembranza.
A. J.
Efficacia della novena a Maria Ausiliatrice.
Compio la promessa fatta coll'inviare una tenue elemosina (L. 5) per la celebrazione di una Messa all'altare di Maria SS. Ausiliatrice e questa in ringraziamento della grazia che sto per narrare.
Da parecchi mesi mio marito trovavasi in grave pericolo di dover perdere la vista; il male aveva preso proporzioni tali, da far mettere molto in dubbio la sua guarigione. Io era oltremodo angustiata per simile disgrazia; pure non mi perdetti d'animo e più che sperare nei mezzi materiali che l'arte medica suggerisce, sperai in quelli soprannaturali. Mi rivolsi con gran fiducia alla nostra comune Madre Maria SS. Ausiliatrice, e quasi con certezza di ottenere la grazia feci una novena in suo onore, promettendo in pari tempo di far celebrare una Messa di ringraziamento nel suo santuario di Torino. Non avevo appena finito la novena, che mio marito incominciava già a mìgliorare. Di lì a pochi giorni era del tutto fuori di pericolo e poteva riprendere il suo abituale lavoro. Per tale grazia ottenuta rendo a Maria SS. pubblici ringraziamenti e prego a far pubblicare nel Bollettino Salesiano questa mia relazione a maggior gloria della gran Vergine Aiuto dei Cristiani ed a saluto ed incoraggiamento de' suoi devoti.
Bagnacavallo, 28 Giugno 1899.
CARLOTTA SAPoRETTI-ANTONELLINI.
Speculum justitiae, ora pro nobis.
Oh! quanto è vero che alla Vergine Santa non si ricorre mai invano! - Fin dai primi dello scorso novembre, innocente venni accusato di appropriazione indebita. A quell'imputazione tutta la mia cittadinanza mi si ribellò contro come fossi un piccolo Dreyfus (sono parole di un testimone in processo). Sotto l'incubo di tanta accusa, non posso esprimere quali pensieri passassero per la mia mente, quali sentimenti occupassero tutto il mio spirito. Quasi convinto che, innocente, avrei dovuto pagare il fio d'altrui colpe, fui per alcun tempo fuori me stesso ed in preda alla disperazione, tanto che ripetutamente s'affacciarono alla mia mente pur le tetre idee del suicidio. Senonchè, la lettura nel Bollettino Salesiano delle immense grazie prodigate dalla taumaturga Vergine Ausiliatrice mi diede un raggio di luce e di speranza, ed a Lei subito ricorsi, fiducioso che Ella avrebbe fatto trionfare la una innocenza. Da quel momento cominciò un po' di calma nell'anima mia, e giorno per giorno aumentava la mia fiducia nella potenza di Maria. Non fui deluso. Di fatti guidando la Vergine Santa le cose e gli uomini nel processo, fu dal Tribunale riconosciuta la mia innocenza ed io venni pienamente assolto. Non contento di ciò, il Pubblico Ministero volle appellarsi; ma la Corte d'Appello respinse il suo ricorso e confermò la prima sentenza del Tribunale. Intimamente persuaso che tutto ciò debba attribuirsi alla potenza di Maria Ausiliatrice, sommamente grato a tanta sua bontà, prego sia questa raia inserita nel Bollettino Salesiano, perchè tutti conoscano che nulla è impossibile alla Gran Madre di Dio e Madre nostra Maria !
Bagni Canicattini, 1 Luglio 1899.
SEBASTIANO CARPINTERI-Russo.
Maria aiuta a pagare i debiti.
Una Cooperatrice Salesiana di Borgo San Martino si trovava da molti anni aggravata da un debito che opprimeva la famiglia. Già si era appigliata a tutti i mezzi, di cui poteva disporre per estinguerlo, ma inutilmente. Lesse nel Bollettino Salesiano di giugno una grazia che le aprì il cuore alla speranza; ravviva la fede in Maria Ausiliatrice, di cui altra volta aveva sperimentato il potente patrocinio, ed incomincia una novena di preghiere, facendo celebrare una Messa e promettendo di far pubblicare la grazia che sperava di avere. Al quarto giorno della novena il creditore, come inspirato dalla Ma donna, manda a chiamar la debitrice, e, contro ogni aspettazione, con lei aggiusta ogni cosa, condonandole parte del debito. Riconoscente . a Maria, manda una tenue offerta al santuario di Lei in Torino e prega che la grazia sia pubblicata nel Bollettino Salesiano.
Borgo S. Martino, 1 Luglio 1899.
Sac. ERMENEGILDO BIANCO.
Maria Ausiliatrice lo ha esaudito.
Un ottimo Signore su quel di Pavia, l'anno passato ebbe danneggiati interamente i vasti suoi raccolti dalle acque del Po. Il danno sofferto fu così grave, che, se si fosse ripetuto ancora quest'anno, egli si sarebbe trovato in ben critiche circostanze. Per scongiurare adunque questa disgrazia, fece voto a Ilaria SS. Ausiliatrice di offrirle una graziosa gomma, se gli avesse scampati i suoi raccolti. La Vergine lo esaudì perfettamente, ed egli riconoscente spedisce al suo santuario l'offerta di L. 100.
Torino, 21 Luglio 1899.
Sac. DOMENICo BELMONTE.
Torino. - La Signora Cristina Ansaldi il 20 giugno venne al santuario di Maria Ausiliatrice a ringraziare questa nostra buona Madre per una bella grazia ottenuta proprio il dì sacro alla Madonna di D. Bosco. Il marito di lei Prof. Giorgio, già da tempo malazzato, fu il 20 maggio assalito da fiera bronco-polmonite con minaccia, a giudizio del medico curante, di complicazione col tifo. In tale frangente la desolata sposa ricorso con gran fiducia all'Ausiliatrice di D. Bosco e promise L. 10 per le Opere Salesiane, se la Madonna avesse scongiurato col suo potere ed aiuto il minacciato pericolo. Questa promessa fu fatta il 23, vigilia del gran giorno dell'Ausiliatrice, ed il 24 (oh! bontà e potenza di Maria!) la febbre aveva cedute le armi e l'infermo si trovava già fuor d'ogni pericolo e pochi dì appresso perfettamente ristabilito. Ora si unisce alla diletta consorte in soddisfare la promessa votiva , ringraziando di tutto cuore la Madonna di D. Bosco, che supplica. mattina e sera a voler continuare la celeste sua protezione su tutta la sua famiglia.
Sac. ABBONDIO ANZINI.
Torino. - Come è mai buona Maria ! Mi stava a cuore che mio figlio studente all'Università di Torino potesse fare i suoi corsi e li coronasse con la laurea: tanto più in questi tempi di corruzione non perdesse la fede. Dal primo momento lo misi sotto la protezione di Maria Vergine Ausiliatrice, con promessa di fare alla fine un'offerta e pubblicare la grazia. Fui ad un punto che avevo dei timori, delle inquietudini, talmente ne ero scoraggiata. Fiduciosa più che mai, mi rivolsi a cotesta Madre di misericordia, di cui già altre volte avevo sperimentata la potenza, ed oh ! Maria come fu buona! Mio figlio coronò i suoi studi con la laurea, continuando a conservarsi un buon figliuolo. Pieno di gioia e di gratitudine compio il mio dovere, ad incoraggiamento di altri bisognosi, per mia riconoscenza verso sì buona Madre e nella speranza di ottenere sempre da Lei il suo valido patrocinio!
Luglio 1899.
UNA COOPERATRICE.
Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice, e pieni di riconoscenza inviarono offerte al suo santuario di Torino o per la celebrazione di S. Messe di ringraziamento, o per le Missioni Salesiane, o per le altre Opere di D. Bosco, i seguenti
A*) - Ales: Sac. P. Murru. - Amden (Canton S. Gallo): Thoma Adolfo, 1, a mezzo del Coadiutore D. Giov. Brander. - Ancona: Virginia Penna-Uccellini, Lire 2. - Artegua : F. M., 20, per due S. Messe all'altare di Maria Ausiliatrice.
B) - Baggiovara (Modena): D. Annibale Casolari, Prevosto, Decurione Salesiano, per la miracolosa guarigione della propria sorella, 5 per dito S. Messe. - Barlassina: Ch. Ambrogio Trezzi, 5. - Borgo S. Giacomo (Brescia): Vincenza Scanzi. - Borzoli (Sestri Ponente): Eugenio Bonelli, per due segualatissime grazie, 2 per Messa e 5 per le Missioni.
C) - Caraglio: D. Giovanni Delfino, Vice Curato, a nome di una famiglia consolata colla guarigione d'una figliuola da pericolosissima malattia, 21. - Catania: Catterina Struzzo. - Catanzaro: Ilario Corabi, 5 prima rata di un voto esaudito. - Cevio (Svizzera): N. N., 20; N. N. 6. -- Chatillon: Celestina Noussan Ved. Bognier, 11. -- Chieri: Maddalena Vestapane, per la strepitosa guarigione della propria sorella. - Chivasso : Una pia persona graziata, 5. - Cuneo Passatore: Lorenzo Rebuffo per la guarigione del fratello Antonio.
D) - Desenzano sul Lago: Maria Maray per essere stata guarita da incurabile infermità; D. Angelo Caimi, per auto speciale favore che da, lungo tempo sospirava dalla bontà divina e che ottenne dalla potente intercessione di Maria Ausiliatrice.
G) - Gambarana: Giovannina Arrigoni, una pezza di tela. - Godiasco: Teresa Guagnini. - Govone: Giovamiino Sacco, 5.
M) - Marcos Juarez (R. Argentina) : Bartolomeo Ribba. - Mezocorona: Rosa V. Mathiovitz, 10. - Mezzana Bigli (Pavia): D. Giovanni Cei, 5. - Milano: Teresa Zunola, 5; Carolina Pedotti-Comerio, 6. - Modena : Cli. Paolo Valle, per due grazie: la guarigione del nonno e l'esenzione dal servizio militare. - Montese: Contessa Ernestina Mangoli-Barattini. - Morozzo: N. N., 6.
N) - Negrar (Verona): Battista Bustagi, 2.
P) - Pamparato: Antonio Balbo, 2. - Parma: Michele Giribaldi; Archimede Lorenzini ; Gio. Battista Buffetti, 5 per Messa. - Perosa Argentina: Giacomo Raviol, 10. - Pessina Cremonese: Lorenzo Puerari, 4. - Pieve di Capio (Bologna): D. Giuseppe Moruzzi per la guarigione del nipote Leo, 10.
R) - Rocca Grimalda: Maria Spirita Perfumo. - Roma: D. Anastasio Crescenzi; Ernesto Bellocci.
S) - Sarone (Udine): Giovanni Polo, 5 per Messa. - S. Bernardino (Alessandria): Rosa Stassano Scacheri, 3. - S. Nicolas de los Arrogos (Rei). Argentina): I Coniugi Filippo Ronco e Maria Zimerman, per la guarigione d'un loro bambino di due anni da rio malore ridotto in fin di vita. - Scarmagno Canavese: Rosa Maga, 5.- Sesto al Regheno: Tiziano Tren. - Sesto San Giovanni: Giuseppe Girotti Ved. Marazza. - Silvano d'Orba: Teresa Leva di Paolo.
T) - Torino: Una Signorina dell'alta aristocrazia. - Torrevilla: Ch. Francesco Carera, 1. - Trento: Il Cooperatore Salesiano A. Vitti. - Trino Vercellese: Camillo Scapini; Sac. Federico Emmanuel a nome di certa N. N., cui la Vergine guarì il figlio tormentato (la ostinata artritide.
X) - Ermelinda Raviolo, 2. - Margherita Sacchi, 2. - C. G., 10. - A. M. - A. G. i.
(*) L'ordine alfabetico qui segnato è quello delle città e paesi cui appartengono i graziati da Maria Ausiliatrice.
Gio. Battista Carattini.
ABBIAMO ricevuto con pena l'annunzio, che "rassegnato al divin volere, munito dei conforti di nostra Santa Religione , dopo breve malattia , nel giorno 30 luglio rendeva la sua bell'anima a Dio il Dott. G. B. Carattini di Varazze.
Fin dal primo giorno, che i Figli di D. Bosco, nell'ottobre del 1871 andarono nella città di Varazze a dirigere quel Collegio-Convitto, egli vi si mostrò buon padre ed amico fedele. Alcuni de' nostri lettori ricorderanno ancora, come in principio di dicembre del medesimo anno, il venerato nostro Maestro e Padre D. Bosco, andato là a consolare di sua presenza quei figli e ad ammaestrarli con l'opera nella difficile arte di educare, cadde gravemente ammalato. Nella sera del sei dicembre, verso le undici di notte, il Dott. Carattini fu chiamato di premura, e si portò al letto del nostro amato infermo. La sua impressione fu piuttosto di cosa grave: ma seppe dissimularla. Egli s'accorgeva che un travaso di sangue minacciava il cuore, e che bisognava fermarlo a qualunque costo. Mentre noi stavamo là per interpretare dal suo sguardo il carattere della malattia, egli tastava il polso, accostava l'orecchio, si sedeva, chiamava...
Pareva che non osasse parlare. Finalmente con aria disinvolta così parlò a D. Bosco : « Mio buon Signore, avrebbe piacere di un salasso? Raramente ora si fa, ed io mi vi adatto : nel caso suo... »
« Sono nelle sue mani, disse sorridendo Don Bosco; faccia di me ciò che Ella crede.»
« Mi basta. »
Tuttavia non sapeva ancora decidersi... Tanto gli pareva grave la risoluzione!
A mezzanotte si risolse di praticare il salasso.
Il buon paziente se ne risentì subito un po' di sollievo, e l'oppressione al cuore pareva diminuita. Malgrado questo, il Dottore, vedendo che il male era grave, non si era mosso, ma accompagnava ogni momento il progresso della malattia. Due ore dopo, credette bene praticargli il secondo salasso. D. Bosco gli disse: « Grazie, Dottore. Mi sento meglio. »
Solo verso le quattro egli andava a casa a riposarsi, per tornar presto presto, appena si era fatta l'alba.
Tuttavia si temeva : tutti gli amici di D. Bosco guardavano sospettosi verso Varazze, ed anche colà si temeva sull'abilità del dottore. Si chiamò un consulto, e vi andò il celebre Dott. Fissore dell'Università di Torino.
Fu allora che dopo una lunga conferenza tra i due periti dell'arte, mentre noi trepidavamo sull'incertezza dell'esito, il Dott. Fissore disse a quei nostri Confratelli : « Don Bosco, stia tranquillo nelle mani del Dott. Carattini ! Egli merita la sua confidenza. »
E gli eventi confermarono la parola di quel celebre professore della nostra Università.
L'affetto, che egli pose a D. Bosco, non mancava di metterlo a quanti in quel Collegio abbisognavano della sua opera. Ed egli la prestò quest'opera per un quarto di secolo e più con una esattezza inappuntabile e con una carità veramente da padre.
Umile, non ambì mai gli onori, contento solo di far del bene, e ne fece sino agli ultimi anni della sua vita.
Lo raccomandiamo alla carità de' nostri lettori.
L'ISTITUTO S. BENEDETTO e la Scuola di Religione a Parma.
Ben si può giudicare di un'opera dopo dieci anni di vita, e noi fin dallo scorso maggio avevamo intenzione di regalare ai nostri lettori alcuni cenni intorno all'Opera Salesiana in Parma, la quale iniziata nel 1888 ed organizzata definitivamente nel 1889, è già entrata nel suo decimoprimo anno di vita, ricca di frutti tali da poter star a pari con qualunque altra istituzione del genere.
Il principio dell'Opera Salesiana a Parma si deve specialmente alle insistenti sollecitudini presso D. Bosco per parte di S. E. R.ma Mons. Giovanni Miotti di v. m., alla prudenza con cui S. E. Mons. Giovanni Battista Tescari, attuale Vescovo di Borgo S. Donnino e già Canonico a Parma, ne rimoveva tutte le difficoltà, e allo zelo di Mons. Giuseppe Burlenghi - vero padre e primo consigliere dei Salesiani di Parma - allora Vicario Generale della Diocesi, il quale, accompagnando D. Bosco dove ora sorge l'Istituto Salesiano, gli faceva conoscere e toccar con mano in quale miserando abbandono morale e religioso si trovava la gioventù e la popolazione di quel popolare e frequentatissimo quartiere. La presenza di D. Bosco ha certo santificato quel luogo, e solo in tal modo si può spiegare lo sviluppo preso in Parma dall'Opera Salesiana. Questa Casa fu l'ultima accettata da D. Bosco e la prima aperta da D. Rua.
Nel novembre del 1888 s'iniziò con la cura della Parrocchia S. Benedetto, affidata ai Salesiani, e di un Oratorio festivo maschile. Nel 1889 incominciò l'Oratorio festivo femminile diretto dalle Suore di Carità fino al 1891, anno in cui si recarono a Parma le Figlie di Maria Ausiliatrice. Nello stesso anno fu aperto un piccolo Oratorio festivo a Piazza di Basilicanova fuori città, diretto da un sacerdote salesiano. Il Collegio Convitto ebbe principio, con poco più di 20 alunni, nell'anno scolastico 1889-90. In quest'anno - cioè - a dieci anni di distanza - i 20 alunni del 1889-90 si moltiplicarono fino alla bella cifra di 250 convittori. Le scuole professionali, o laboratorii per artigianelli, si aprirono man mano che la generosità dei Cooperatori parmensi lo permetteva. Così si poterono - sebbene in proporzioni molto ristrette a paragone del bisogno di tanti poveri giovanetti - iniziare nel 1892 i laboratori per i sarti, calzolai e falegnami; nel 1893 una legatoria di libri ; nel 1894 una piccola officina di fabbri ferrai e nel 1895 una scuola tipografica con compositori e stampatori. Quest'ultima istituzione avvenne in seguito all'acquisto fatto dai Salesiani dell'antica e premiata Ditta Fiaccadori, nota ovunque in addietro per le accuratissime sue edizioni delle opere dei più celebri autori nella storia del pensiero cristiano ed oggi per pubblicazione di una serie di importantissimi e ricercati lavori in rapporto alla questione sociale nella base delle nuove idee economiche agrarie del Cav. Stanislao Solari. Finalmente nel 1896 la generosità del Missionario Salesiano Mons. Giuseppe Fagnano procurava i principali strumenti per l'impianto d'un Osservatorio metereologico, che la riconoscenza dei suoi confratelli intitolò a Mons. Fagnano stesso. Le regolari osservazioni datano dal I° luglio 1896.
Tutte queste istituzioni si comprendono ora sotto l'unica denominazione di Istituto S. Benedetto, e di esso dà questo sensatissimo giudizio la nuovissima Guida di Parma al capitolo Scuole ed Istituti privati: « L'Istituto S. Benedetto in Parma, diretto dai Sacerdoti Salesiani di D. Bosco, comprende un collegio convitto maschile con corso elementare e ginnasiale, le scuole professionali per artigianelli, un ricreatorio festivo maschile, un ricreatorio festivo femminile diretto dalle Suore di D. Bosco e l'Osservatorio Metereologico Mons. Fagnano. Dagli stessi Sacerdoti Salesiani di D. Bosco è diretta la scuola vescovile di religione per gli studenti dei corsi superiori, che ha sede nell'antico monastero di S. Giovanni.
» La saluberrima posizione, la bellezza dei locali costrutti secondo le moderne esigenze, l'insegnamento razionale che vi si impartisce, i sani principii di onestà e moralità in cui i giovanetti vengono allevati, le cure di cui essi sono circondati, tutto ciò ha contribuito efficacemente all'incremento rapido di questo fiorente istituto. »
Questo giudizio fu scritto, se non erriamo, almeno quattro anni fa, e d'allora in poi l'Istituto ha sempre continuato la sua progressiva ascensione, confermando, in un continuo crescendo di attività, la bella rinomanza acquistatasi nei primi anni di vita. Una bella prova di quanto asseriamo l'abbiamo avuta quest' anno nelle solennissime circostanze delle distribuzioni dei premi fatte in epoca diversa ai Convittori dell'Istituto ed agli alunni della Scuola Vescovile di Religione in Parma. Della prima, che ebbe luogo il 27 scorso luglio, così scrive l'Elettore Cattolico di Parma del 5 agosto:
« È una festa solita a ripetersi ogni anno, eppure quanta attrattiva, quanta gente : di tutte le feste scolastiche questa senza dubbio è la maggiormente aspettata e desiderata dai giovani e dai genitori. Bastava trovarsi nel vasto cortile di S. Benedetto la sera del 27 luglio, osservare quell'onda di popolo attento, religiosamente silenzioso, per dover ripetere a se stessi, o che è falso l'antico proverbio : assueta vilescunt, o che veramente i Salesiani hanno l'intuito di saper rendere attraenti, rivestendole di forme nuove, cose a cui si è già da lungo tempo avvezzi.
» L'elegante programma comprendeva 15 numeri, divisi in due parti : a prima vista sembrava eccessivamente lungo, ma la materia era così saviamente distribuita, che anzi si arrivò alla fine in un'ora e tre quarti circa. Questa brevità relativa devesi al lodevole pensiero di far succedere l'un l'altro i numeri del programma senza frapporre tempo in mezzo ed alla brevità dei componimenti declamati o dei brani di musica eseguiti.
» Oltre ad un numero grandissimo di parenti ed amici dei convittori, notammo una rappresentanza numerosa delle principali persone del laicato e del clero e dei Superiori dei varii Ordini religiosi della nostra città.
» Presiedeva la simpatica festa il Rev.mo nostro Vicario Generale della Diocesi, Mons. Conforti.
» Alle 18 precise si dava principio con una marcia d'introduzione del M.° Contini, cui seguiva uno splendido Coro a 4 voci del M.° Arnaldo Galliera. Quindi il Rev. Direttore dell'Istituto D. Baratta leggeva un discorso sulla libertà dell'animo; uno di quei discorsi brevi, calmi, pensati, pratici, ma che fortunatamente ogni anno ci fa gustare ed applaudire.
» Riscossero le calde approvazioni del pubblico i varii giovanetti che si presentarono o declamando varii brani, quali serii, quali improntati ad uno schietto buon umore, o sonando al pianoforte pezzi scelti del nostro Verdi. Siamo lieti di porgere per mezzo del nostro giornaletto sincere parole di plauso e di incoraggiamento a tutti quei buoni e bravi giovani; dispiacenti che lo spazio non ci permetta di ricordare i meriti di ciascuno.
» I vari cori di Schumann, Biblema, Weber, Mendelssonhn, opportunamente intramezzati alle recite, riescirono di effetto splendido, vuoi per la bellezza loro, vuoi per la valentia con cui furono eseguiti dalla Schola Cantorum del Collegio, Schola alla quale è inutile ormai tributare elogi, essendo troppo conosciuta.
» Quindi seguì la proclamazione del risultato finale e la distribuzione de' premi.
» Mons. Vicario prese per ultimo la parola e rivolse a' giovani educandi uno di quel suoi discorsetti, che non si possono riprodurre, perchè bisogna sentirli , mentre escono da quella bocca, da quell'anima eletta, inspirata da un unico sentimento : la salute delle anime, il trionfo della religione.
» Una marcia finale alle 19,40 circa avvisava che il trattenimento era finito. Quel pubblico dapprima così attento, parve scosso da una corrente elettrica ; era un abbracciarsi, un baciarsi di padri, di madri, di fratelli. Mezz'ora dopo due terzi dei collegiali erano già in viaggio, per godere nell'ozio delle vacanze il frutto degli studi prolungati per tutto l'anno scolastico.
» E noi, nel congratularci vivamente cogli egregi figli di D. Bosco, i quali con tanto sacrificio allevano alla patria nostra dei figli buoni e studiosi, mandiamo a tutti di cuore un augurio : buone vacanze ! »
Della seconda solenne distribuzione di premi, che risale ad un'epoca più lontana, cioè al 17 maggio scorso, vogliamo pure dare qui un breve cenno, perchè la Scuola di Religione di Parma, quantunque Vescovile, è talmente incarnata con l'Opera nostra, che anch'essa può ben meritarsi il titolo di Salesiana. Nulla diciamo dell'origine di questa Scuola di Religione ; solo ci piace notare che essa fu la prima istituitasi in Italia e che quest'anno compì il suo primo decennio di vita.
Fummo presenti alla solenne premiazione del 17 maggio e ben potremmo scrivere le nostre impressioni ; ma poichè forse si correrebbe rischio di sembrare parziali e perchè in quella circostanza si trovava pure presente il nostro grande amico l'illustre Avv. Stefano Scala, Direttore dell'Italia Reale-Corriere Nazionale di Torino, il quale, pregato di dire qualche parola, fu tanto entusiasmato alla vista di quella balda gioventù non solo delle scuole secondarie, ma anche degli Istituti Superiori ed Universitarii, che tessè un magnifico discorso degno di fregiare le nostre colonne, tanto più perchè mostra bellamente il gran bene che fa in Parma questa Scuola fiorentissima di 400 e più alunni. Il sullodato discorso venne pubblicato sull'Italia Reale del 20-21 maggio nell'articolo di fondo dal titolo : La restaurazione sociale e la scuola di religione di Parma, e suona così
« Mi si è domandato un discorso, ed io non potei ricusarmi di rivolgervi qualche parola, non certo con autorità di maestro, bensì con vera cordialità di fratello. Ma il più bello, il più vivo, il più simpatico discorso, cari giovani, siete voi, è la vostra presenza, e, più che il premio, l'onoranza che vi è data in questa festa della Religione. Anzi, più che un discorso, è un poema: commovente poema, di cui ogni canto, ogni strofa, ogni verso non è solo parola scritta, ma pensiero ed azione vivente.
» E siete voi, giovani carissimi, che formate gli elementi e l'armonia di questo vivente poema, uno nel concetto, polimetro nella varietà degli anni, degli ingegni e degli studi, dai baldi adolescenti delle scuole secondarie alla valente gioventù delle scuole superiori ed universitarie, la quale giustamente ha veduto come fra la proclamata bancarotta delle promesso dei moderni scienziati, di una sola scienza le promesse non hanno fatto, nè potranno mai far bancarotta : la scienza della Religione cattolica apostolica romana.
» Appositamente ho detto : bancarotta delle promesse dei moderni scienziati, e non già bancarotta della scienza, perchè ritengo che per sè non possa essere bancarottiera la scienza, figlia della ragione e della natura, sorella dell'arte, e quindi a Dio quasi nepote. Ma bancarotta è lo squilibrio degli scienziati, non della scienza : è la colpa d'aver invaso il campo della fede per regnar soli, disconoscendo quell'armonia che è la più stupenda gloria della verità del creato nell'unità del concetto creatore; bancarotta è il non aver capito che per mantenere l'equilibrio fisico, intellettuale, etico ed estetico , ad ogni ascensione altera e fredda della scienza umana deve corrispondere l'armonia di una più calda ed umile espansione della fede, della speranza e della carità, trono della scienza divina.
» Onore a voi, o giovani, che di quest'armonia incarnate il concetto; onore agli incliti vostri Maestri e Duci; onore alle famiglie vostre; onore ed omaggio al venerando Vescovo, che la dolcezza di quest'armonia incorona colla gloria della sua augusta presenza, della sua paterna benedizione, la quale per virtù di Dio dà la celeste fecondità ai campi affidati dallo Spirito Santo alle sue cure di Pastore e di Padre.
» Con incisivo e stupendo discorso del vostro carissimo ed ammirabile Direttore, o eletti giovani, vi fu esposta, la posítìvità della nostra fede nell'omaggio positivo della ragione; e in discorsi delicati e squisiti, alternati dalle armonie più soavi, vi furono narrati da diletti compagni gli splendorii di civiltà che la: Fede produce in genii imnmortali, di cui celebrasi ora il Centenario, e la cui gloriaa si riverbera su di voi per diritto, direi, di cittadinanza. Oh come vorrei io stesso avere il metro, rude forse talora, ma forte ed onesto sempre, di un altro grande italiano, di cui pure festeggiasi quest'anno il Centenario, dell'immortale Parini, carattere di cittadino, che non vuole stare dove non è ammesso il cittadino Cristo; come vorrei avere le dolci rime di quel grande triumviro delle italiane lettere, che la nobile Parma può ben chiamare concittadino nei ricordi della sua magnifica Cattedrale, Francesco Petrarca, per cantare, non in un sonetto, ma come in uno dei suoi Trionfi le grandezze di questo Poema vivente di Religione e di Patria, che è la festa odierna dì Parma.
» Ma la poesia di un cantore ancora più illustre, oso dire, del Petrarca e del Parini, aleggia sulla vestra festa ; è un cantore, per cui io vo altero di portarvi i saluti dall'augusta Torino, e della sua radiosa aurora di romana Porpora, di quel cantore amico; è un cantore capo scuola di gloriosi poeti, e di giovanetti discepoli, nel cui volto io leggo la rima del suo gran nome: Don Bosco.
» Un motivo specialissimo di esultanza abbiamo nella premiazione di quest'anno: poiche è l'anno del Decennio dalla fondazione - decreto vescovile, 22 dicembre 1889 - e del quinquennio dell'indimenticabile e trionfale intervento, per la premiazione - 8 giugno 1894 - di quell'augusto vostro Concittadino che col fulgore della Porpora e delle virtù onora la Cattedra di S. Ambrogio.
» Quanti eventi in questi cinque, in questi dieci amni ! Gloria e plauso ai pionieri della prima ora, agli ammirabili giovani che a quei dì ricevevano le meritate corone, ed oggi coll'esempio nobilissimo dell'età più matura avvivano i fiori novelli sbocciati sulla benedetta pianta.
» Che vi dirò di più ? Vi ho detto i vostri titoli di nobiltà. Non mi resta che soggiungervi : Noblesse oblige.
» Questi germogli e questi fiori della Scuola di Religione di Parma, primizia in Italia di tali magnifiche istituzioni, promettono una raccolta abbondante di frutti squisiti e stupendi, e voi la darete.
» Voi entrerete nel mondo, e sarete lievito gagliardo di civiltà cristiana; luce ed olezzo di virtù, di scienza, di operosità, di progresso civile e sociale, d'integrità di carattere e di costumi.
» Ogni scuola che veramente sia tale è luce, ma la Scuola di Religione è luce e fiamma dell'Altare; e voi questa fiamma, accesa al Sole del Tabernacolo Santo, porterete nelle famiglie e nella società, mite e benefica, ad accendere i cuori non alle vampe del petrolio ed agli scoppii della dinamite, ma agli splendori della, carità, al rispetto dell'autorità, al progresso del vero e del bello. E ne additerete la fonte là donde voi l'attingeste, apostoli delle Opere Eucaristiche, di cui appunto oggi, 17 di maggio, si festeggia il celeste Patrono, proclamato non ha guari dal glorioso Pontefice Leone XIII: S. Pasquale Baylon, povero laico francescano. E nel nome dell'umile frate laico, datoci sapientissimamente a guida, noi, laici fratelli, stringiamoci e giuriamo il patto, adorando e cibando il Pane Eucaristico, di mostrarci ed essere sempre fedeli discepoli del Sacerdozio, dell'Episcopato, del Romano Pontificato, che quel Pane celeste ci consacrano e ci comunicano, mentre altresì ce ne porgono, pascolo di vita eterna, l'infallibile insegnamento. E questo giuramento deponiamo nelle mani venerate del piissimo e dottissimo Vescovo, che corne ha di Pastore la grazia e la dignità, così di Padre ha il cuore, e la gloria di sì bella corona di figli, cho D. Bosco con delizia di amore gli offre, indissolubilmente uniti al Papa, all'Episcopato, al Sacerdozio, per essere uniti a Cristo.
• Onore pertanto e plauso a Voi, amatissimi giovani, poema vivente di grazia, di speranza e di gloria; gloria di Parma, delle vostre famiglie, del vostro buon Padre Don Bosco, le cui armonie e celesti e terrene l'inclito ed impareggiabile vostro Direttore e i degnissimi suoi cooperatori, vi suscitano così vivamente in cuore, da fare di voi non solo i cantori o gli ammiratori, ma nella realtà gli apostoli della Risurrezione di Cristo nella società, nell'imminente secolo ventesimo. Voi speranza della nostra Italia, che tante speranze ha visto deluse, ma non vedrà delusa questa, che dallo Scuole di Religione esca una schiera ferma e potente per la salvezza dell'ordine pubblico, per l'ascensione di tutto il popolo all'ideale cristiano.
» Costanza. Ogni Scuola è milizia, e le Scuole di Religione sono come l'Accademia Militare del grande Esercito della Croce. Voi dovete uscire di qni, quando sarete nel inondo, come i soldati del genio, che dico? corno gli ufficiali del genio nella Milizia di Gesù Cristo.
» E quando nel nuovo secolo, che è la nostra speranza, e sarà il campo di vostra gloria, vi tro verete, Eroi della Croce, a raccogliere le palme che dalla Scuola di Religione debbono germogliare, vi sovvenga di questo giorno, in cui, sotto gli auspizii della Madonna di D. Bosco, dell'Ausiliatrice dei Cristiani, il vostro Vescovo vi ha fatti, col premio che vi ha dato, Cavalieri della Legione d'Onore della Fede e della Patria; - e allora vogliate di grazia, sovvenirvi anche di una prece per chi vi fa oggi, di quelle venture glorie, il saluto e l'augurio. »
Pagina migliore di questa non avremmo potuto scrivere per ricordare ai nostri lettori il 1° decennio della Scuola di Religione di Parma, e noi più nulla aggiungiamo; solo innalziamo fervidi voti, affinche il Signore e l'Ausiliatrice nostra si degnino far prosperare in avvenire l'Istituto San Benedetto e l'annessa Scuola Vescovile di Religione per la maggior gloria di Dio e per il bene della diletta patria nostra.
UNA NUOVA CAPPELLA A MARIA SS. AUSILIATRICE.
L'Istituto Salesiano di S. Michele in Castellamare di Stabia con solenni feste, la memoria delle quali rimarrà incancellabile in quanti ebbero la fortuna di pigliarvi parte, celebrava nei giorni 5, 6 e 7 del p. p. agosto la benedizione della nuova cappella consacrata a Maria SS. Ausiliatrice. Già da molto tempo era vivamente sentito il bisogno di un luogo più ampio ed adatto per le sacre funzioni, mentre il numero sempre crescente degli alunni rendeva pure necessario un ampliamento dei locali dell'Istituto. Il veneratissimo nostro Superiore Generale, Sig. D. Rua, nella visita che fece nel dicembre del 1898 a quella nostra Casa, dopo la solenne benedizione della chiesa del S. Cuore di Maria in Caserta, lasciandosi muovere dalle insistenti preghiere,di quei Confratelli ed alunni, dava ordine che si ponesse mano ai lavori riconosciuti necessarii, i quali furono proseguiti con tale alacrità, da permettere che prima del termine dell'anno scolastico si potesse fare l'inaugurazione della cappella, del teatrino e di due nuovi cameroni, che colla destinazione ad aule scolastiche dell'antica cappella permetteranno l' accettazione di molti nuovi alunni pel prossimo anno scolastico.
S. E. Rev.ma Mons. Michele De Iorio, Vescovo Diocesano, a nessuno secondo nell'affetto verso le Opere Salesiane, nel mattino del giorno 5, che era stato dedicato per la festa di Maria SS. Ausiliatrice, procedeva, assistito dai Rev.mi Canonici Gambardella, Parroco della Cattedrale, e D'Arco, Cancelliere della Veneranda Curia, alla rituale benedizione del nuovo edifizio , e lo inaugurava al culto divino col celebrarvi per la prima volta la S. Messa e distribuirvi la S. Comunione a tutti quei bravi giovanetti che vedevano così soddisfatto uno dei loro più ardenti desideri. Alla Messa solenne la Schola Cantorum dell'Istituto fece gustare agli intervenuti la Messa a 4 parti del Maguer. Dopo i Vespri in falso bordone del Bernabei ed il Laudate pueri del Capocci, il Rev.mo Parroco della Cattedrale tesseva il panegirico di Maria SS. Ausiliatrice, riboccante di affetto per D. Bosco e pei Salesiani, assicurando gli Stabiesi che anche qui in mezzo di loro la Madonna di D. Bosco saprà operare quei prodigi che dappertutto altrove accompagnarono lo svolgersi del suo culto. Alla sera una. ben riuscita illuminazione di tutto l'Istituto, accompagnata da scelto programma musicale eseguito dai giovani allievi della banda musicale, attirava la generale attenzione e poneva termine alla prima festa di Maria SS. Ausiliatrice celebrata nella nuova cappella a Lei dedicata.
Dei due altarini di marmo, dono di due egregi, benefattori, uno è dedicato all'Arcangelo S. Michele, titolare dell'Istituto, e l'altro, per voto fatto durante l'anno scolastico da quel Direttore, al S. Cuore di Gesù. Il giorno 6, festa della Trasfigurazione, veniva scelto appunto per festeggiare il S. Cuore. La Messa solenne con musica di D. Lorenzo Perosi veniva pontificata da uno dei Rev.mi Canonici mitrati della Cattedrale, ed alla sera, dopo i Vespri, il M. R. Dott. D. Antonino Di Napoli tratteggiava in uno stupendo e magistrale discorso le glorie del S. Cuore, invitando tutti a rendere proficua la solenne consecrazione, che per invito del sapientissimo Leone XIII testé fu fatta di tutto il mondo a quel Cuore divino che tanto ha amato e beneficato gli uomini.
Riuscì pure superiore ad ogni aspettazione, e per l'intervento di cospicue persone e per l'ottima riuscita in ogni parte, l'inaugurazione che con uno splendido programma di canto e suono volle farsi nella sera stessa del nuovo teatrino, che doveva compensare quei bravi nostri giovanetti di aver passato l'intiero anno scolastico senza alcun trattenimento drammatico per mancanza di locale adatto.
Il giorno 7 era destinato per la solenne distribuzione dei premi. L'accademia musicale e letteraria, di cui un giornale di Napoli scrisse che il programma conteneva quanto vi ha di meglio in fatto di musica e letteratura, riuscì di generale soddisfazione. Fu vivamente applaudito il discorso del Prof. D. Tommaso Chíapello, Direttore dell'Istituto, che parlò della missione della gioventù nei tempi presenti. I giovani allievi declamarono con sentito entusiasmo alcuni passi in prosa e poesia, e la Schola Cantorum e la banda musicale nella esecuzione dello svariato programma non si mostrarono per nulla stanchi delle gravi e prolungate fatiche dei giorni precedenti. Prima di procedere alla premiazione, il Direttore in un breve resoconto dell'andamento degli studi ebbe occasione di far apprezzare gli eccellenti risultati ottenuti negli esami finali, specialmente nella licenza elementare, in cui su 14 presentati 13 furono subito promossi, e di proscioglimento con 10 promossi su 11 presentati davanti alle rispettive Commissioni governative nominate dal R. Provveditore agli studi di Napoli. Presiedevano l'adunanza, circondati da bella corona di ammiratori delle Opere salesiane, S. E. Rev.ma Mons. Vescovo e l'Ill.mo Sig. Sindaco Cav. Tommaso Cuomo, ai quali porgiamo le più sincere azioni di grazie per tanta loro bontà. La simpatica festa fu coronata da brevi, ma toccanti parole di Mons. Vescovo, che esortava tutti a congratularsi coi Salesiani dello sviluppo insperato che in pochissimo tempo potè prendere il loro Istituto in Castellamare a benefizio dei poveri orfanelli abbandonati e della studiosa gioventù.
Di tutto siano rese grazie a Dio ed a Maria SS. Ausiliatrice ; ed ora che Maria aedificavit sibi domum, sia speciale impegno di quei nostri cari confratelli ed alunni di mostrarsele teneramente e sinceramente divoti, seguendo i consigli e gli esempi del comun Padre D. Bosco.
ESEMPIO DA IMITARE
I giovanetti della la Classe Tecnica del Collegio Pontificio diretto dai Salesiani nell'ameno borgo d'Ascona (Canton Ticino), il giorno 23 maggio, vigilia della solennità di Maria Ausiliatrice, si raccolsero nella loro scuola convertita in elegante salotto, sotto gli occhi della Celeste Patrona, per festeggiarla con una ben riuscita accademia. Presenziava il geniale convegno il Rettore del Collegio con alcuni Professori. Dopo un discorsetto del Professore della Classe, che esortava i suoi alunni all'amore ed alla divozione di sì buona Madre, quei cari giovanetti, di tenera età e poco studio, si avanzarono a declamare le loro semplici composizioni, ma con tale elevatezza di pensieri e correttezza ed eleganza di forma da meravigliare tutti i presenti. Infine fu fatta una colletta per l'Opera dei Figli di Maria Ausiliatrice, tanto raccomandata da D. Bosco di v. m. e dal suo successore D. Rua, colletta che fruttò la bella somma di L. 40. Pose termine il Rettore, encomiando quei bravi giovanetti, che seppero organizzare sì bella festicciuola, preparata anche assai bene da un mese di maggio di vere Comunioni quotidiane. Nobile esempio, che si vorrebbe vedere imitato nei giovani di tanti e tanti Istituti cattolici ! Bravi giovanetti, crescete con tali sentimenti, e formerete davvero l'orgoglio dei vostri genitori, la speranza della patria e la gloria di cotesto Collegio Pontificio, che diede già alla Chiesa ed allo Stato in tre secoli d'esistenza tanti e tanti celebri uomini, educati ben s'intende alla scuola della Religione ed alla morale del S. Vangelo.