I LIBRI DI TESTO PER LE SCUOLE ELEMENTARI, COMPLEMENTARI, NORMALI, GINNASIALI E LICEALI . . pag. 249 LO SPIRITO RELIGIOSO NELLE FAMIGLIE CRISTIANI.. . » 250 LA SPAVENTOSA INONDAZIONE DEL RIO NEGO E LE NOSTRE MISSIONI » 254
S. EM. IL CARD. RICHELMV ALL'ORATORIO DI TORINO » 2,6 MISSIONI - COLOMBIA: La grande impresa dei lazzaretti pei lebbrosi. -- AFRICA: L'Opera Salesiana in Orano - ASIA: Il Governatore della Palestina all'Orfanotrofio di Betlemme. - COLOMBIA: Benedizione della prima pietra d'una nuova Casa . » 259
GRAZIE DI MARIA AUSILIATRICE » 271
NOTIZIE VARIE » 275
COOPERATORI DEFUNTI » 275 ILLUSTRAZIONI: - L'Angelo Custode (quadro ad olio), pag. 257 - Gruppo d'Indii Aimarà, 263,- Portatrici d'Acqua di Palestina, 270.
1 libri di testo per le Scuole Elementari, Complementari, Normali, Ginnasiali e Liceali
A scelta dei libri di testo per le scuole è indubitatamente una delle cose che maggiormente preoccupano gli educatori in genere, i padri di famiglia in ispecie. Trovar un libro ben fatto, il quale risponda pienamente alle esigenze de' programmi e delle disposizioni governative, e nello stesso tempo nulla contenga che disdica sotto l'aspetto morale e religioso, sicchè il giovane allievo possa adoperarlo senza pericolo alcuno, è cosa ad un tempo delicata, difficile ed importante. Nell'intento di provveder a questo bisogno universalmente sentito, il Congresso Salesiano di Bologna fece voti che i figli di D. Bosco dessero in tempo la maggior pubblicità possibile all'elenco de' libri di testo, che unitamente al programma scolastico sogliono diramare ogni anno per le loro Scuole Liceali, Ginnasiali, Normali, Complementari ed Elementari.
In ossequio a questi voti, calorosamente espressi da Ecc.mi Vescovi e da altri illustri personaggi del Clero e del Laicato, noi tenendo innanzi le norme sopra indicate, abbiamo compilato anche pel p. v. 1899-900 un elenco di libri di testo, sufficientemente abbondante, sì di edizione nostra come di edizione altrui , per le Scuole Liceali, Ginnasiali, Normali, Complementari ed Elementari. Ed ora questo elenco manderemo gratuitamente ai nostri buoni Cooperatori che ce ne faranno domanda. Essi avranno la bontà di esaminarlo, e di sceglierne quei libri che loro paressero interessare, scrivendo per le relative commissioni di acquisto alle Librerie Salesiane che si pongono a loro disposizione. E anche a notare che in siffatta compilazione si ebbe pur riguardo alla spesa. Volere o no, la questione finanziaria s'impone potentemente, sicchè abbiam creduto cosa conforme a carità proporre i libri che, oltre alle qualità sopra accennate, abbiano pur quella di costare il meno possibile.
Viviamo fiduciosi che l'opera nostra, intrapresa coll'unico scopo di provvedere al bene della gioventù e di venir in aiuto alle famiglie, sarà convenientemente apprezzata e che questo quinto elenco incontrerà il gradimento, di cui furono largamente onorati i quattro antecedenti. Noi poi ci dichiariamo fin d'ora riconoscenti alle osservazioni, che a scopo di bene ci saranno indirizzate nell'intendimento di migliorare di volta in volta un'opera così difficile ed importante, qual'è la scelta accurata de' libri di testo.
L'INIZIO del nuovo secolo, verso cui a grandi passi ci avanziamo, è per tutti i cattolici presagio di lieto avvenire per la Chiesa e per l'augusto Vicario di G. C. in terra il Sommo Pontefice Leone XIII. Da tutte le parti del mondo s'innalzano fin d'ora ferventi preci all'Altissimo, perchè si degni far cessare la spietata persecuzione, che le sétte nemiche del trono e dell'altare muovono al Vegliardo del Vaticano per abbattere la religione cattolica apostolica romana. I voti, le preci del mondo intero saranno certamente esaudite, poichè anche il regnante Pontefice, ispirato da Dio, con due atti solennissimi e straordinari nel Pontificato dei Romani Pontefici, ha voluto contribuire all'aspettato trionfo.
Diffatti, mentre all'omaggio mondiale, che si sta organizzando a Gesù Redentore, il Sommo Leone volle associata la consacrazione del mondo tutto al SS. Cuore di Lui, dall'alma Roma, dalla rocca incrollabile del Vaticano partì e si diffuse per tutta la terra la lieta novella della promulgazione del Giubileo Universale per l'Anno Santo 1900. La Bolla Pontificia passò dalle mani di Leone XIII in quelle dei suoi figli più a Lui vicini ; e da Roma ora s'è già diffusa come un'onda placida in tutto le plaghe dell'orbe, portando ai cattolici tutti, insieme colla parola del Pontefice Massimo, i suoi voti ardenti. « Facciamo voti - esclamò il Pontefice appena consegnata la Bolla - che quest'Anno Santo riesca propizio al mondo intero pel bene delle anime, e che il Signore possa placare l'ira sua sugli uomini e che l'intera famiglia cristiana ne sia avvalorata e ne tragga profitto. » E i voti del Santo Padre saranno compiuti, se alle sue fervide preghiere quelle si uniranno dei suoi figli, e Iddio, che suol benedire i salutari consigli , vorrà concedere un prosperevole successo e senza contrasti a questo Giubileo Maggiore intrapreso dal Pontefice soltanto per Lui e per la gloria sua.
Ma per tradurre in realtà queste nobilissime aspirazioni richiedesi, oltre alle incessanti e fervide preghiere, l'opera indefessa di tutti i cattolici, e sopratutto dei Cooperatori Salesiani, per la ristaurazione della religione nelle famiglie, avendo l'indifferenza religiosa, qual pestifera atmosfera, inquinato oggidì non solo i popolosi centri e le magioni dei grandi, ma i più umili villaggi e le più piccole capanne, inaridendo dovunque i più bei fiori della vita cattolica, con la distruzione di quasi tutte le pratiche cristiane, per antichità degne di ogni venerazione.
La religione, ossia il culto dovuto a Dio, è inseparabile dalla famiglia, e questa da quella. Appartiene alla religione dare ai vincoli della famiglia tutta la potenza e dolcezza necessaria, e spetta alla famiglia assicurare alla religione tutto il suo impero sugli individui : separare l'una dall'altra sarebbe, se vi si potesse riuscire, il capolavoro dello spirito maligno, di satana. I popoli di tutti i tempi e di ogni nazione ben compresero quest'intima unione fra la religione e la famiglia; poichè essi sempre combatterono le loro titaniche lotte, ricordate dalla storia con tutti i contorni di eroi ed eroismi degni certo di ammirazione e plauso sincero, nel nome dei loro altari e dei loro focolari : pro aris et focis. Ai loro dì gli altari ed i focolari erano per lo più assaliti dai nemici col ferro e col fuoco: oggi invece con perverse dottrine e con funesti esempi si tenta distruggere questi due perni della vita umana. La lotta nostra quindi deve consistere nell'opporre all'indifferentismo, che queste perverse dottrine e funesti esempi spargono nelle famiglie, la ristaurazione dello spirito religioso in esse.
Ci sembra perciò opportuno presentare in queste pagine alcuni pensieri in proposito, affinchè i nostri lettori si accendano di santo zelo, per far rivivere lo spirito religioso nelle proprie famiglie, preparandole così a celebrare degnamente il prossimo Giubileo Universale indetto dal Papa.
Nelle prime età del mondo, per un periodo di più secoli, il culto reso a Dio fu in certa guisa confinato tra le pareti del santuario domestico. Presso tutti i popoli, per un'epoca più o meno lunga detta patriarcale, gli uomini vivevano piuttosto allo stato di famiglia che di popolo o nazione, e perciò era impossibile che la religione si manifestasse con culto pubblico e sociale. Il tempio propriamente detto ed il sacerdozio si manifesta solo quando un popolo esiste e si sente obbligato a testimoniare collettivamente, cioè in quanto popolo, le sue credenze e la sua pietà. Ma fino a quell'epoca di vita sociale e nazionale ciascuna abitazione umana è tempio, ciascun capo di famiglia sacerdote e pontefice. Così vediamo aver fatto, sotto le lor nomade tende, quei venerandi Patriarchi, perfetti adoratori dell'Altissimo, che rispondono ai nomi di Abramo, Isacco, Giacobbe. Nel centro della lor tenda, circondati dai figli e servi, essi raccontavano le antiche tradizioni del mondo, cantavano i loro inni inspirati alla più sublime poesia, offrivano i sacrifizi e facevano sentire gli accenti della lor prece. Ma, essendo cresciute assai numerose le famiglie, e volendo Iddio eleggere un popolo a custode e depositario non solo delle tradizioni redentrici, ma anche delle istituzioni religiose e sociali, suscitò il grande legislatore e condottiero Mosè, il quale, sotto l'ispirazione di Dio medesimo, sceglie una tribù sacerdotale, designa un santuario comune, prescrive un rituale obbligatorio; e d'allora in poi il culto divino non fu più soltanto l'omaggio solitario e ristretto, che s'elevava nel seno della famiglia, ma si tramutò in omaggio solenne e pubblico che s'eleva all'unissono dalla bocca e dal cuore di una gran società. È sotto questa forma che a noi pervenne il culto divino: quel culto che rifulge di mirabile luce nella Chiesa Cattolica, con i suoi ministri di tutti gli ordini, con i suoi templi che s'innalzano da tutte parti, con i suoi giorni di festa, con i suoi cantici sacri, con la sua incessante predicazione, ed in una parola con tutto l'insieme delle sue augusto cerimonie.
Ecco quanto avvenne. Tuttavia non dobbiamo già credere che il culto pubblico e sociale abbia abolito completamente quello patriarcale della famiglia ; non dobbiamo immaginarci che, dove esiste la Chiesa, debba questa bastare e quindi non siavi bisogno d'altro santuario ; non dobbiamo credere che il prete, il pastore della parrocchia sia omai l'unico ministro delle cose sacro e che il sacerdozio primitivo, naturale della famiglia sìa abolito. No, il culto religioso non può esser bandito dai nostri domestici lari ; perchè , se l'abitazione dell'uomo non continua ad esser sempre il santuario di Dio, se i capi di famiglia non compiono più le loro funzioni pressochè sacerdotali, se alle magnificenze del culto pubblico non va unita la toccante semplicità del culto religioso in famiglia; nè la famiglia sarà qual deve essere agli sguardi di Dio, ne la religione conseguirà in mezzo a noi quell'assistenza, quell'influenza e quell'imperio che giustamente esige. La famiglia è una piccola società, un piccolo stato, un piccolo regno, che ha re, regina e sudditi; che ha perciò anche leggi, usanze, spirito e vita intima, propria ed indipendente. La famiglia forma come un sol ente morale, dotato di esistenza collettiva, ma unica: un corpo solidario, in cui vi deve essere, per quanto è possibile, fusione e comunanza di sentimenti, di bisogni, di interessi e di doveri. E poichè, senza dubbio, la religione è per ciascuno di noi il primo sentimento, il bisogno più grande, l'interesse più sublime ed il dovere più obbligatorio, potrà non mostrarsi e luminosamente risplendere nell'unità e nella comunione della famiglia? Potrà non apparire necessariamente quasi vincolo di tutte le forze della famiglia riunite, per tendere d'accordo e con più vigore al medesimo fine sopranaturale della nostra esistenza, che è Dio? Se questa piccola società non deve avere che un sol cuore ed un'anima sola, non deve forse essere solo Dio il fortunato centro di questo cuore e di quest'anima? Di più, Iddio non ha forse il diritto di rivendicare a sè le primizie ed i fiori più belli del giardino della famiglia? Se i vincoli cari e divinamente sacri della famiglia sono la fonte delle più pure gioie della terra, quelli che s'inebriano di esse e le diffondono negli altri, non si uniranno forse nell'espressione pia di lor comune riconoscenza? E d'altronde, se la felicità del domestico focolare è cosa tanto delicata e fragile, che per fiorire abbisogna di tutta la clemenza del cielo, quelli cui detta felicità interessa sì profondamente, non si prostreranno forse insieme dinanzi alla divinità per implorarne la sua clemenza ? Infine, se il mutuo affetto, che è il cemento della famiglia, vuole che tutti i membri di essa fruiscano dei medesimi beni e partecipino agli stessi vantaggi, quel membro che non diffondesse a piene mani intorno a sè l'infinito tesoro della religione, cioè le celesti verità, l'amor divino e le speranze eterne, non dovrebbe forse accusar se stesso di peccaminoso egoismo ? Queste riflessioni ci fanno toccar con mano che l'unità profonda della famiglia e la sua costituzione come ente morale, avente doveri e necessità proprie, esigono rigorosamente che la religione, ed una religione sensibile, praticata in comune, si manifesti in questa piccola società per mezzo di atti , che solo in essa e per essa si possono compiere. Questi atti, che si compendiano nella preghiera e nell'istruzione, obbligano ciascuna famiglia a non defraudare a Dio il giusto omaggio dovutogli, nè a sè stessa gli inestimabili benefizi che ne provengono.
Degno di tutta la nostra attenzione è pure un altro pensiero, che a questo si collega come l'effetto alla sua causa. Per la religione sussistono vigorosi e dolci i vincoli della famiglia; ma la religione alla sua volta domanda alla famiglia che le assicuri tutto il suo impero sulle anime. Che cosa si richiede infatti per instillare e confermare la religione in un'anima? Due cose: un'educazione soda, per mezzo della quale la si semini per tempo nei vergini cuori, ed un'autorità forte che ne assicuri la crescenza fino a maturità.
L'educazione dei figliuoli non sfugge certo all'azione della Chiesa. Senza dubbio la Chiesa, con materna sollecitudine, veglia sulla culla dei neonati, e per quanto può, senza mai abbandonarli , li attira a sè per farli cristiani man mano che diventano uomini. Ma la parte più grande di quest'opera è riservata ai genitori, i quali in mille circostanze debbono supplire la Chiesa ed in mille altre aiutarla. Poichè il fanciullo comincia ad appartenere all'azione della Chiesa solo dopo aver già per lungo tempo respirato l'aria del natio focolare, dopo aver ricevuto nei primi risvegli della sua anima l'impronta dei sentimenti, delle passioni, delle idee, che si svilupparono intorno a lui. Egli viene alla Chiesa; ma dessa può solo raramente e debolmente, per mezzo dei suoi ministri, agire sopra questa natura ancor in formazione ; nè la confessione, nè le lezioni di catechismo, nè le ore di scuola, nè la predicazione che s'indirizza a tutti sono mezzi sufficienti a produrre un effetto profondo, duraturo, decisamente vittorioso di questi spiriti distratti, mobili. e cresciuti sotto l'impressione di una qualsiasi atmosfera. È necessaria un'azione continua, energica, individuale, ben adatta alla loro capacità, per impregnarli, per impastarli, siam per dire, delle verità religiose; e soltanto i capi di famiglia possono esercitarla. Solo essi possono ad ogni momento confermarli nella religione ed imbeverli, ci si passi l'espressione, di succo religioso da tutti i pori della pelle. Ai figliuoli sfugge non una parola uscita dalla bocca dei genitori, non un lampo dei loro occhi, non una sfumatura dei loro gesti, non un velato sorriso. Dallo splendore della loro presenza, della loro fisonomia morale, delle loro abitudini, essi si formano insensibilmente a loro immagine e somiglianza. Ben si comprende da ciò il potere che conseguirebbe sopra questi fanciulli la religione praticata in famiglia. Poichè se Dio regna presso il focolare domestico, Dio sarà pure la prima aspirazione del loro cuore ; se nelle conversazioni famigliari le parole dei padri e delle madri saranno di frequente l'eco dell'insegnamento cattolico, le verità di nostra religione saranno per certo le prime ospiti della loro intelligenza; se i genitori si inginocchieranno ogni giorno per innalzare le loro suppliche ed i loro ringraziamenti a Dio , essi pure piegheranno le loro ginocchia, essi pure congiungeranno le loro manine per pregare; se religìosi simboli orneranno la casa paterna, questi da essi, con gioia ed emozione grande, saranno ricordati anche nella vecchiaia, quali preziose rimembranze di immortali memorie.
Invece, cacciato Dio dalla casa, bandito l'esercizio di qualunque atto di religione, come si può pretendere che la religione, la quale viene seminata dalla Chiesa nel cuor dei fanciulli, possa metter radici e fecondare, se in famiglia non è coltivata? Suppongasi pure che metta radici, potrà poi crescere sino a maturità, se l'autorità che regna in famiglia non viene in aiuto della Chiesa in quest'opera ? L'autorità più forte per un fanciullo è quella di suo padre e di sua madre. Qual cosa più legittima dell'impero di quest'autorità ! Non son forse i genitori che ci amavano già quando non lo sapevamo neppure, e che ci sorreggevano quando non eravamo che debolezza? Non son forse essi che siamo abituati a tenere, con venerazione somma, quali giudici della nostra condotta ed arbitri del nostro avvenire? Perciò, se quest'autorità indiscutibile dei capi di famiglia sostiene quella del ministro di Dio; se, durante tutta la prima epoca della vita, la casa paterna è quasi un'imitazione della Chiesa; se i genitori parlano come i sacerdoti, se lo zelo del culto domestico si modella su quello pubblico, oh! allora consoliamoci pure nella speranza di un lieto avvenire religioso nelle giovani generazioni, destinate a guidare le sorti del secolo ventesimo! Allora tutto ci dà a sperare che, sotto questa duplice influenza e salvaguardia, la fede e la pietà dei membri della futura società prenda una forza virile, capace di resistere a tutte le tempeste e di sfidare tutte le seduzioni del mondo. Se in mezzo a questi membri vi saranno ancora delle defezioni, esse saranno temporanee; perchè è caso ben raro si apostati per sempre dai sentimenti , dalle convinzioni e dalle abitudini che furono, per così esprimerci, inoculate nel sangue dalle robuste tradizioni di famiglia. Al contrario se la casa, dove si passano i giorni e le notti, non ha nulla che ricordi il luogo santo, dove si passa appena un'ora e fors'anche solo una mezz'ora alla settimana; se mai la voce magistrale del padre o quella soave e penetrante della madre non riflette, con credenza profonda, la predicazione del sacerdote; se mai non si dà la gioia e l'edificante spettacolo di riunirsi tutti insieme a pregare ; se tutti i giorni si lavora, si mangia, si giuoca, si riposa e si va a dormire senza che il pensiero di Dio discenda sulla fronte del capo di famiglia, nè rifletta all'intorno i suoi divini raggi, come si può sperare che l'esistenza, in questa mancanza assoluta di spirito religioso, non diventi del tutto materiale, completamente indifferente e straniera alle aspirazioni ed agli atti della vita cristiana? Come pretendere, di fronte alla mancanza assoluta dello spirito religioso in famiglia, che i giovani stimino, rispettino e sentano il bisogno di queste pratiche?
E più i figliuoli avranno fede nella saggezza, nella coscienza dei genitori, e più saranno trascinati a conchiudere che tutti i doveri, esteriori ed interni di religione, inculcati dal sacerdote, non hanno grande importanza; perchè i genitori, cui venerano, se ne prendono sì poca cura, da non dar loro neppur un posto nella vita comune di famiglia. Sì, più i figli saranno sottomessi all'impero dei genitori, e più avranno ragione di opporre alle raccomandazioni, sì spesso sconosciute e disprezzate, della Chiesa, la legge quotidiana della propria famiglia. Ci sembra non vi sia bisogno d'insistere d'avvantaggio ; ci sembra si possa comprendere chiaramente che, se i capi di famiglia non fanno uso di tutta la loro autorità di approvazìone, di comando e di buon esempio per istabilire e mantenere intorno a loro una specie di servizio divino, di culto religioso, praticamente organizzato e puntualmente osservato, la religione sia inevitabilmente condannata a decadere e fors'anche a sparire dal cuore dei membri della famiglia e della società avvenire. Voglia Iddio che non avvenga tra di noi un tanto male ! Per questo però dobbiamo tutti lavorare a far rivivere nelle nostre famiglie lo spirito religioso; ed allora il regno di Gesù Cristo sarà veramente sopra gli individui, sulle famiglie e su tutta la rinnovata società del secolo venturo.
Padri e madri, conchiuderemo ancor noi coll'illustre P. Franco, questa è opera che voi. soli potete efficacemente condurre a fine : cotalchè se vi mettete all'impresa voi, non sarà forza che possa attraversarla ; se voi la trascurate, tutte le altre industrie rimarranno senza alcun pro. Come si forma quell'oro che rifulge poi sì vivido, si infocato nei palagi e nei templi? Si forma di nascosto, col tacito lavorìo della natura. Così nel segreto della famiglia si formano quegli uomini, che sono poi il sostegno della società, che ne sono l'ornamento, il decoro. Un padre cristiano, una madre pia hanno in lor potere quel che non possono le leggi, quel che non possono le discipline, anzi quel che non possono neppure parroci zelanti, confessori addottrinati, uomini apostolici. Se però la società trema, vacilla, vien meno, a loro se ne deve recare la colpa, come loro è la gloria se la società è in fiore.
AL telegramma da noi pubblicato lo scorso mese tennero dietro notizie sempre più tristi un giorno dell'altro. Senza perderci nelle spaventevoli descrizioni dell'opera di salvataggio recateci dai giornali argentini, presentiamo ai nostri lettori la lettera che l'infaticabile nostro Missionario D. Bernardo Vacchina scrisse al nostro Superiore sotto l'impressione dell'orrendo disastro.
AMATISSIMO SIG. D. RUA,
Patagones, 23 Luglio 1899. LE scrivo tremando e piangendo. Le nostre Missioni, che incominciavano ad andare a gonfie vele, non esistono più!
Uno spaventoso straripamento del Rio Negro ha ridotti in un mucchio di rovine i paesi di Roca, Conesa, Pringles e Viedma, ove si concentrava tutta la popolazione della Patagonia Settentrionale, in cui noi avevamo edifizi ed interessi del valore di più di un milione di lire
Caro Signor D. Rua, non piango la perdita del milione di lire; mi strazia il cuore l'abbandono di tante povere anime, di tanta gioventù, che senza di noi e dei nostri asili resta abbandonata al mal costume ed all'empietà !
Abbiamo visti trasportati uno dopo l'altro le perle della nostra Casa, i nostri cari giovanetti e gli ammalati del nostro Ospedale, fra cui una povera giovane moribonda !
Abbiamo dovuto spingere sulle barche e scialuppe di salvataggio i nostri poveri orfani, che non volevano saperne d'allontanarsi da noi!
Oh quanto abbiamo sofferto ! Il Collegio delle Suore di Maria Ausiliatrice, cui mi sono dovuto imporre per salvarle, formava una interminabile processione di bambine piangenti, male in arnese e piene di spavento!
Inutile che tutto il personale nostro lavorasse giorno e notte per molto tempo per scongiurare il pericolo : l'acqua irruppe spaventosamente, allagò ogni cosa, e quei pochi, che erano con me restati per le ultime misure, mi consigliarono ad abbandonare il nostro magnifico edifizio. Dico magnifico, Sig. D. Rua, perchè era la pacifica Casa degli ammalati, degli orfanelli e la scuola di virtù e salvezza.
Ora ci troviamo in Carmen di Patagones, dall'altra parte del fiume, su d'una collina, da cui possiamo perfettamente dominare lo spaventoso panorama.
Tratto tratto s'odono fragori orribili : sono gli edifizi che cadono. La gente, che è, come noi, fuggita, si guarda istupidita, e non si sentono che singhiozzi, urli e grida disperate !
Si sono viste a sparire fortune formate con lunghi sudori, ed è ben giusto il dolore degli sventurati, che tutto si sono sacrificati per formarsele... Ma dirò che il gìorno festivo non era santificato.
A tanto dolore aggiungo quello d'una angosciosa incertezza sulla sorte dei nostri fratelli di Roca, Conesa e Pringles, di cui non sappiamo altro che quello che dice la voce del popolo. In Roca, dopo molto lottare, dovettero fuggire e si trovano settanta persone sopra due vagoni di strade ferrate tra le acque. Di Conesa e Pringles, ci dicono che sono fuggiti alle colline. Sarà certo? Quand'anche fosse così, come potranno durare senza tetto e viveri, in questì rigori ?... Non si fa altro che piangere e pregare, ed è uno spettacolo lagrimevole vedere le povere orfanelle pregare a singhiozzi colle manine sotto le ginocchia.
Più tardi, appena mi sia possibile, scriverò più esatte informazionì.
Intanto preghi per noi, o Padre carissimo, e faccia pregare il Signore e la Vergine Ausiliatrice, che vengano in nostro aiuto in sì terribile sventura.
Suo Dev.mo Figlio
Sac. BERNARDO VACCHINA.
Da Buenos Aires Mons. Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia, ha intrapreso un' attiva campagna per soccorrere quelle sventurate Missioni. Anzi ci consta che nella Repubblica Argentina le Suore di Maria Ausiliatrice, munite di una circolare dello stesso Mons. Cagliero, vanno elemosinando di porta in porta per recare i primi e più urgenti soccorsi a quei nostri Missionari ed a quelle popolazioni.
Ulteriori notizie ci recano che anche il Chubut è straripato, e che Rawson, la capitale di quel territorio, è un mucchio di rovine. Di quella nostra fiorente Missione pare sia rimasta intatta solo la Chiesa.
I nostri lettori siano quindi solleciti nell'inviare il loro obolo. Si tratta di rasciugare tante lagrime, di non perdere tante anime. Nessuno lasci sfuggire quest'occasione, che Iddio ci porge per acquistarci dei meriti e consolare Lui medesimo nella persona di tanti orfanelli.
Tutto si riceve, danaro, abiti, oggetti di qualunque genere, francobolli usati antichi e recenti e di qualunque nazione.
Il tutto s'invii al Rev.mo D. MICHELE RUA, Via Cottolengo, 32, TORINO.
Coloro, che si trovassero nelle vicinanze di qualche Casa Salesiana o nelle città e paesi ove esiste il Direttore Diocesano dei nostri Cooperatori od il Decurione, e loro tornasse più comodo servirsi di questi nostri amici per farci tenere le loro offerte in danaro ed in natura, si rivolgano pure a loro. I nostri Direttori e Decurioni non solo si presteranno di buon grado in questo, che anzi si faranno premura di trasmettere al più presto possibile ogni cosa a sua destinazione.
Frattanto mettiamo sull' avviso tutti i nostri lettori contro certi impostori, che, muniti anche di false commendatizie, si aggirano per le città e specialmente per le borgate e paesi di campagna, scroccando danaro dai semplici per l'Opera nostra. Se le persone non sono nei paesi pubblicamente conosciute come nostri Direttori, Decurioni e Zelatori, nessuno si fidi. Anzi se ne informi tosto l'Autorità locale, perchè si facciano cessare tosto queste indegne truffe.
IL giorno 15 agosto si compieva il desiderio nostro e di tutti i nostri giovanetti, di aver tra noi S. Em. il Cardinale Agostino Richelmy, Arcivescovo di Torino, e così dargli prova del nostro affetto e della nostra esultanza per l'onore, a cui il S. Padre lo volle elevare creandolo Cardinale di S. Chiesa. S. Eminenza, ai figli di D. Bosco sempre benefattore e padre, non ostante gli impegni che l'avevano tenuto occupato durante la giornata, arrivava tra noi alle ore 18 1/2 per assistere alla distribuzione dei premi ai giovani studenti ed artigiani. La sua presenza nel giorno dei premi, nel giorno in cui si tributa l'onore al merito ed il premio alla virtù, scuote gli animi e li porta all'entusiasmo, che domina costante tino al termine nella festicciuola.
Eseguita una bella cantata in omaggio al novello Cardinale, il Prof. D. Francesco Cerruti, Direttore degli studi e della stampa salesiana, sì avanza per il discorso d'introduzione, che siamo lieti di poter qui riportare. Fra il silenzio generale e l'attenzione di più d'un migliaio di persone così incomincia:
D. Bosco, ecco il grido che primo erompe dall'animo al ripresentarsi di questa scolastica festa, già per tanti anni allietata dalla presenza del nostro buon padre, ed ora onorata da un Principe di S. Chiesa; D. Bosco, ecco la prima parola che spunta sul labbro di figli affettuosi al ricorrere del compleanno di chi amò e fu riamato d'un affetto altrettanto potente quanto santo; D. Bosco, ecco il sospiro di cuori riconoscenti, che nell'ebbrezza di un'estasi purissima van ricercando in questo giorno e come ricostruendo coi colori della fantasia le amate sembianze del padre.
Quando a Como, città natale dell'immortale inventore della pila elettrica, di quell'uomo, la cui fama dura e durerà quanto il mondo lontana, perchè fondata sulla fede e avvivata dal genio; quando a Como, dico, fu per la prima volta nel 1863 introdotta l'illuminazione a gas, i Comaschi, dice lo storico Monti, leggevano in ogni ondata della nuova luce il nome del loro concittadino A. Volta, che vi aveva precorso 87 anni innanzi con la scoperta della lampada perpetua, comunemente lampada di Volta. Noi, o signori, il nome di D. Bosco leggiamo in ogni angolo di quest'opera prima del suo cuore; il nome di Don Bosco leggiamo inciso sulla statua di Maria Ausiliatrice, torreggiante sul tempio, eretto dalla fede e dall'amore di uno de' suoi più cari figli; D. Bosco mormora soavemente l'aere che ne circonda; D. Bosco serbiamo vivo vivo tra i palpiti del nostro cuore.
Un carattere particolare contrassegna il secolo che muore, ed è una tendenza come prepotente a proseguire di solenni onoranze le date memorando di uomini e di fatti gloriosi nella storia. Di qui i festeggiamenti, per restringermi a quest' anno e per non accennarne che alcuni, di qui, dico, i festeggiamenti pel centenario della morte di Pio VI, pel centenario dell'invenzione della pila voltaica, pel centenario dell'Ab. Parini, dell'Ab. Spallanzani, di Maria Gaetana Agnesi, pel cinquantenario di quel miracolo di poliglotta che fu il Card. Mezzofanti, pel 25° di N. Tommaseo, ecc. ecc. E sta bene; questa tendenza rettamente intesa e saggiamente secondata - riesce grandemente utile ed altamente educativa, poichè come scrive il Foscolo,
A egregie cose il forte animo accendono L'urne dei forti...
E ciò tanto più, in quanto che le urne dei nostri, grandi non son già solo, come quelle del paganeggiante poeta di Zante, confortate di pianto, ma illuminate dalla fede e avvivate dalla carità di G. C. Su di esse verdeggia sempre viva la speranza cristiana, che non abbandona mai i sepolcri; su di esse spira perenne l'alito della pace, della fede, dell'immortalità.
Or bene, o cari giovani, anche l'opera di D. Bosco ha in quest'anno i suoi gloriosi cinquantenari. È infatti nel 1849 che si apriva, o per dir meglio si riapriva su più stabili basi l'Oratorio dell'Angelo Custode in Vanchiglia, continuato sotto la direzione di Don Bosco fino al 1866, fino a quando cioè, per la generosa munificenza della Marchesa Barolo, fu eretta la parrocchia di S.a Giulia con annesso Oratorio proprio. È nel 1819 che pigliavano forma regolare e indirizzo didattico le scuole domenicali e serali, che D. Bosco, primo in Italia, iniziò nel Piemonte fin dal 1845. E nel 1819 che appare quell'atto pubblico, così modesto in se stesso e pur così sublime nel suo significato, atto di pietà filiale la più affettuosa e di attaccamento il più sentito al Vicario di G. C., di cui diedero prova i figli di D. Bosco. Parlo, o miei signori, di quell'offerta di L. 33, che essi, i figli di D. Bosco, pur poverelli raccolsero a forza di risparmi e di sacrifizi per l'Opera, sorta allora allora, del Danaro di S. Pietro e inviarono all'esule Pio IX a Gaeta, affettuosa e candida offerta, che commosse profondamente il cuore dell'A. Pontefice, il quale ne volle particolarmente ringraziare D. Bosco per mezzo del Nunzio Mons. Antonucci. Per tal modo D. Bosco trasfondeva per tempo nei figli del suo cuore quei due grandi amori, la Chiesa e il Papa, che furono costantemente l'anima dell'anima sua, la vita della sua vita; grandi e santi amori, a cui ci ritempriamo oggi di novello vigore qui avanti a Voi, Eminentissimo Principe, altrettanto pio e dotto, quanto buono pei figli di D. Bosco, cui oggi onorate della vostra presenza.
Né sembri strano che a questi cinquantenari io aggiunga quello della prima comparsa dell'operetta di D. Bosco sul Sistema metrico decimale per la gente di campagna insieme con la rappresentazione del relativo dramma in tre atti, qual ingegnoso ed efficacissimo mezzo di farlo ben intendere ed apprezzare. E che? Disdice forse al carattere ed all'ufficio sacerdotale l'occuparsi di economia domestica, sociale, politica? Non vediamo noi il nostro medesimo Divin Maestro pigliar nel Vangelo le sembianze or di padron di casa, or di capo di famiglia, tal'altra di coltivator della vigna? Non leggiamo noi nei Paralipomeni aver Davide ordinato a' Leviti di vegliar sopra ogni peso e misura? (XXIII, 29.) Quanto poi e in quanti luoghi della Scrittura vien prescritta e lodata la giusta uniformità deì pesi e delle misure ! Nel Deuteronomio ad es. ci si ordina di non aver che un solo peso giusto e vero, e di non ritener presso di noi che una sola e fedele misura (XXV, 15). Nell'Eccles. vien apertamente ingiunta l'uguaglianza di pesi e di misure (XLII, 4). Ne' Proverbi poi Dio abbomina pesi diversi ed una stadera dolosa (XII, 25.). È dunque, ripeto, pienamente conforme allo spirito sacerdotale, è conforme al ministero apostolico, quando si è adempiuto agli altri sacri e primari nostri doveri, l'occuparci eziandio di siffatti studi e insegnamenti; è carità fiorita, fors'anche in certi casi doverosa, l' ammaestrare il povero popolo, in ispecie la gioventù, in materia economica e sociale, salvandola così dagl'inganni e dalle frodi dei ciurmadori e degli arruffoni. Ed è questo appunto che fece D. Bosco nel 1849. Sapendo egli che col 1° gennaio dell'anno seguente doveva andar in vigore il R. Editto 1845, che aboliva i vecchi pesi e le vecchie misure, varie e variabili a seconda dei luoghi, per sostituirvi uniformemente in tutto il Regno le nuove fondate sul metro, come unità di misura, pub blicò il trattatello sopra accennato, commendevole, come tutte le opere di D. Bosco, per semplicità, popolarità e precisione; anzi egli stesso si diede a spiegarlo e a farne penetrare in tutti quanto vi si contiene. Santa e ingegnosa carità, con cui il nostro buon padre salvò tanta povera gente da crudeli speculatori! Ed osservate qui, o giovani, un fatto ben consolante al cuore d'un cattolico! Un Papa, Silvestro II, in pieno M. E. (998-1003) presentava pel primo in Occidente l'idea del sistema decimale; un prete piemontese, otto secoli e mezzo dopo, ne insegnava pei primo a' suoi connazionali l'applicazione pratica. - Dopo tutto questo, non è a maravigliare se l'opera di D. Bosco venisse ogni giorno più conosciuta e apprezzata, ed egli stesso segnalato qual modello di educatore pio, intelligente e caritatevole. Io non posso, scriveva il Prof. Danna dell'Università di Torino nel Giornale della Società d'istruzione e d'educazione del luglio 1849, io non posso nominar D. Bosco senza sentirmi compreso della più schietta e profonda venerazione.... Oh! l'esempio imitabile che e' porge agli altri come si abbiano a usare le ricchezze! Consolatrici parole, come care e confortatrici sono sempre al cuore dei figli le lodi veraci del Padre; sublimi accenti, che rivelavano fin d'allora quella santa e salutare grandezza, a cui la Divina Provvidenza chiamava Don Bosco.
Ma D. Bosco, non dimenticatelo mai, o cari giovani, D. Bosco fu grande, perche cattolico; egli deve tutto sè stesso, tutta l'opera sua alla Chiesa, cui fu figlio devotissimo. Per la Chiesa fu tutto; fuori di essa sarebbe stato nulla. Ed è perciò che il grido di D. Bosco si associa per noi suoi figli e si associerà sempre inseparabilmente al grido di W. la Chiesa, W. il Papa !
Si svolse quindi il trattenimento con programma svariato ed attraente, alternandosi cantate e declamazioni ad onore dell'Em.m° Cardinale e dei giovani premiati. Merita particolar menzione la barcarola Sulla Laguna del M.° Antolisei, che, se presenta qualche difficoltà di esecuzione, è però di gradito effetto. Così attirarono l'attenzione alcune parole rivolte con molto brio da un giovane alunno a' suoi compagni, indicando loro in D. Bosco, Alessandro Volta e nel Card. Richelmy tre esempi da imitare. Destò entusiasmo ed applausi vivissimi massime quando esclamò : - Anche nella Chiesa si premia la virtù e si riconoscono i meriti; e se noi ora vediamo la perla più preziosa della cittadinanza Torinese brillare così bella incastonata nel diadema della Chiesa, si è perchè l'Eminentissimo faticò indefesso nell'arduo cammino della vita fino a quella mieta: - Dove l'alto sapere e la virtù non doma - Il premio accoglie dall'Eterna Roma. - Fu pure presentato in ricordo all' Em.mo Porporato un cingolo tessuto in oro e seta venuto dall'America, che gli tornò di sommo gradimento.
Bella corona a questo trattenimento furono le parole che S. Em. il Cardinale si compiacque rivolgere agli alunni dell'Oratorio. Preso argomento dall'iscrizione che era sul programma della festicciuola (1), nella umiltà, che adorna il suo nobile cuore, messo a parte l'elogio delle virtù che l'amore dei Salesiani trovava nell' Arcivescovo, scelse il motto « Suos ad pietatem excolit » Esortò quindi i giovani alla frequenza dei SS. Sacramenti ed alle pratiche di pietà, massime durante le vacanze. Terminò coll'impartire la pastorale benedizione. Con vivissimi evviva al Cardinale si chiuse la festa, che, breve, ma piena di santi affetti, lasciò in tutti caro ricordo.
La domenica 24 settembre scorso, a Roccaforte di Mondovì, coll'intervento dell'autorità civile ed ecclesiastica, si inaugurava uno splendido monumento, eretto dall'amore e dalla venerazione de' compatrioti, all'Apostolo de' lebbrosi di Colombia, il compianto nostro Sacerdote D. Michele Unia, Ne parleremo nel prossimo numero.
A tutti i giovanetti, che in questo mese rientrano nei Collegi Salesiani, ricordiamo la già nota utilissima pia pratica dei nove primi venerdì del mese ad onore del Sacro Cuore di Gesù, tanto raccomandata dal Sommo Pontefice Leone XIII. I singoli Superiori la, facciano conoscere bene ai loro dipendenti e a tempo diano la maggior facilità per praticarla,
(1) Nel centro del lavoro tipografico leggevasi la seguente inscrizione: Tibi-qui in Collegium Patrum Cardinalium cooptatus-Praesens solemniter - Salesianorum domum invisis - Augustine Richelmy - Archiep. Taurinensium - Adspectu alloquio recreas pueros - Quibus praemia rite adtribuuntur- Ovantes gratulantesque - Omnia fausta ominamur. - Intorno ad essa, nei quattro angoli, si leggevano i seguenti motti: Sermone festivus-Pius Comis -.Mitissimi Consilii - Suos ad pietatem excolit.
COLOMBIA
La grande impresa dei lazzaretti pei lebbrosi.
(Relazione di D. Evasio Rabagliati dal Bollettino di Settembre scorso)
REv.mo E CAR.m° PADRE,
Contratacion, 27 Maggio 1899.
GIUNSI a questo lazzaretto della Contratacion verso le 8 di notte del 12 di maggio. Temendo che lo stato degli ammalati fosse piuttosto grave, come me lo facevano supporre le notizie avute al Socorro, aveva telegrafato da questa città che sarei giunto al lazzaretto a qualunque ora della notte, qualora i torrenti non mi dessero subito il passo o la bestia venisse a stancarsi. Era quindi aspettato.
Accoglienze festose a Contratacion - I nostri ammalati migliorano - Denominazione ed origine di questo lazzaretto - Uno dei principali conduttori di microbi - Non più paura - Contatto e contagio.
Sull'alto della montagna mi attendevano non so quanti cavalieri, perche il buio della notte non permetteva veder nulla, neppure la testa della bestia che cavalcava; io udii molte voci, che mi salutarono prima, e poi che mi precedevano nella lunga discesa, che durò più dì un'ora; ma nulla vedeva. Di quando in quando mi si gridava che facessi attenzione, perchè la pendente era più ripida, o s'incontrava qualche pericolo; era fiato sprecato: era lo stesso che se avessero gridato ad un cieco, che guardasse dove metteva i piedi; per quanto io sbarrassi gli occhi e tentassi vedere qualche cosa, nulla poteva ravvisare. In quei casi l'unica mia precauzione ora lasciar libere sul collo della bestia le briglie che aveva in mano, e tenermi pronto per un capitombolo, caso mai la stanca mula scivolasse o inciampasse. Per fortuna la bestia era buona e sicura, il terreno asciutto, non avendo piovuto in quella giornata, e noi ci trovammo tutti sani e salvi davanti alla nostra casetta, dopo un'ora di discesa.
Il paese colle sue duecento e più case era tutto illuminato in quel momento : non era un'illuminazione alla veneziana, nè a giorno: erano candele fatte di grasso, messe in lampioncini di carta variopinta. Le campane del tempio suonavano a festa, e da ogni parte erano lanciati razzi, per così manifestare che qui si era contenti di quello che succedeva.
Ringraziati in fretta i miei cortesi accompagnanti, senza deporre gli indumenti di cavaliere, entrai nella stanza del nostro ammalato D. Garbari, che trovai nuotante in un mare di sudore. « Sto molto meglio, mi disse anticipando a parlare; questo sudore mi ha sollevato assai; il miglioramento è sensibile; non vi è più nulla a temere. » « Deo gratias! » fu la mia risposta. Seppi allora subito che anche in casa delle Suore le cose avevano preso buona piega, e che volgevano in meglio; che ogni pericolo era scomparso. Queste notizie mi misero il cuore in pace; e tutto tranquillo potei prendere un boccone, fare le mie divozioni di sacerdote ed andarmene a riposo.
Erano trentotto giorni che viaggiava sopra mula; quando otto, quando dieci e magari dodici ore al giorno. Mula e mulattiere eravamo proprio stanchi, e più il mulattiere che la mula; questa era stata cambiata almeno otto volte nei trentotto giorni, quello non si era potuto cangiare mai.
Contratacion per abbreviazione qui si chiama Contrata. Forse fu così battezzato questo lazzaretto per contratto fatto con qualcuno per gettarne le basi. Ho cercato negli archivi dell'amministrazione, se mai avessi potuto trovare qualche notizia sulla sua fondazione, progresso, ecc., ma ho trovato nulla: perchè gli amministratori passati, tutti lebbrosi, e l'attuale idem, hanno ben altro a pensare ed a fare che a preparare notizie cronologiche o storiche, perchè i posteri abbiano a sapere quello che essi hanno fatto e sofferto. Da qualcuno però dei più vecchi ho saputo che i primi abitatori di questa valle, convertita in lazzaretto, furono 27 lebbrosi portati qui per forza dalle autorità l'anno 1862; che anteriormente il lazzaretto era posto sulla sponda sinistra del fiume Suarez in un sito detto Curu; ma che per timore che le acque re stassero contaminato col bagno degli ammalati, questi furono obbligati a sloggiare. Seppi altresì che in quei tempi era tanto il terrore che i sani avevano di questa malattia, che quasi nessuno osava avvicinarsi al lazzaretto; e che se qualcuno per motivi di commercio giungeva nelle sue vicinanze, ricevendo il denaro del lebbroso, lo gettava in un recipiente pieno d'acqua e materie disinfettanti; solamente dopo questo bagno, osavano toccare il denaro. Allora nessun sano viveva cogli ammalati; erano obbligati a stare soli, come meglio potessero, con la piccola limosina che le autorità mandavano loro periodicamente, ma senza medico corporale, senza quello spirituale, senza assistenza di sorta.
Siamo al 1899; sono quindi trascorsi 37 anni. Quanti e quali cambiamenti si verificarono d'allora a questa parte! I 27 lebbrosi si trasformarono e moltiplicarono fino a 950. Le poche casuccie giunsero a varie centinaia; i timori più non si conoscono, nè più si fanno le disinfezioni: l'entrata e l'uscita sono libere a tutti; i mercati settimanali sono frequentatissimi, perchè i sani, che vengono qui, sono sicuri di guadagnare sempre qualche cosa anche quando piove e diluvia; perchè gli ammalati generalmente non si muovono ed hanno quindi bisogno di comprare a qualunque prezzo, avendo bisogno a qualunque costo di nutrirsi, se non preferiscono morirsene di fame. Ogni settimana entrano nel lazzaretto circa due mila scudi, che il Governo manda per sostenere i lebbrosi; nel giorno del mercato sono quasi tutti spesi, e passano dalle mani e dalle saccoccie degli ammalati a quelle dei sani, che a loro volta li portano sui mercati dei dintorni per ritornarli più tardi a questo lazzaretto. È un giro vizioso ed allo stesso tempo tanto pericoloso; la scienza discorre molto adesso di bacilli, di microbi, di larve; assicura che esistono, che si moltiplicano prodigiosamente e rapidissimamente (1) e che la carta-moneta è uno dei conduttori principali. Ma a questa gente poco importa tutto quello che la scienza scopre ed insegna! La paura non si conosce più. Quando ad un ammalato di lebbra salta il ticchio di prendere moglie, la trova ove vuole o tra le ammalate, oppure anche tra le sane; anzi, quasi tutti i matrimoni che qui si fanno, sono così, di ammalati con sane! ed il Governo lo sa, tace, approva e rimunera!! (2). Di qui spesse volte viene l'aumento della famiglia. Generalmente i matrimoni di lebbrosi fra di loro non hanno figli, ma sì li hanno quando uno dei due è sano. Qual sorte avranno questi figli, che nascono e vivono poi in un ambiente tutto saturo di lebbra? È inutile il dirlo. Anche fosso vero quello che il Congresso di Berlino ha assicurato, che questa malattia non è ereditaria, fa lo stesso, se è contagiosa. I timori antichi di trattare i sani cogli ammalati adesso sono scomparsi; qui si mangia, si dorme, si giuoca, si balla, si beve insieme i sani cogli ammalati, come se nulla fosse. Perchè la lebbra non è come il colera morbus, o la febbre gialla, o la bubbonica, che assalgono oggi ed ammazzano domani; qui anzi si dice e si crede comunissimamente che la lebbre non è contagiosa. I medici hanno gran parte della colpa di quello che succede qui; perchè, fino a poco tempo fa, favorivano quest'opinione e l'insegnavano pubblicamente, dicendo che la lebbra non è contagiosa. Adesso non la pensano più così, principalmente dopo la sentenza eloquente, terribile di quei 120 medici di Berlino. Ma ora è tardi; il male è fatto, ed i più dei Colombiani, i poveri specialmente, seguitano a credere che il male non è contagioso, perche fino a loro non arrivano le notizie dei Congressi Europei.
(1) In Nicaramanga, in una goccia di marcia tolta ad una pustola di un lebbroso, esaminata attentamente col microscopio, si videro migliaia di queste terribili bestioline dette microbi.
(2) Qui nel lazzaretto del Dipartimento di Santander le donne sane, che si maritano con ammalati, hanno diritto alla razione o paga, come se fossero ammalate! Il Governo di Cundinamarca (Bogotà), con più criterio, non fa così col lazzaretto di Agua de Dios.
Incredulità fatale - Spaventoso avvenire della Repubblica Colombiana - Mistero e sempre mistero.
A Noè, che predicava il diluvio, non si volle credere: non gli si volle credere, quando lo vedevano lavorare febbrilmente intorno alla sua arca; lo dicevano pazzo; più pazzo quando lo videro chiudersi dentro e chiuderne ermeticamente le finestre; neanco quando si aprirono le cataratte del cielo, ed incominciò a piovere a catinelle, i più credevano al diluvio predetto; si teneva per un fenomeno della natura. Solamente s'incominciò a credere ed a tremare quando s'incominciò a morire, perchè l'acqua giungeva alla gola. Ma allora era troppo tardi tentare di salvarsi. Così succederà qui in questa nazione, se le cose seguitano di questo passo per qualche anno ancora. Colombia sarà presto un gran lazzaretto, dicono i medici di Bogotà nelle loro accademie, nei loro giornali, nelle loro conversazioni. Il male è già troppo grave, si stampa nei giornali di ogni classe, e sarà presto irrimediabile, se non si fa uno sforzo, un sacrifizio; bisogna dar principio quanto prima, ai lazzaretti (vera ed unica arca di salvezza per Colombia); bisogna farli presto, farli bene, e che la legge sia uguale per tutti. - Eh ! rispondono molti, sono anni che si dice questo, e siamo ancora vivi ed anche sani. Lo crederanno solamente quando il male, come torrente impetuoso, rotte le dighe che ancora lo trattengono (e le dighe qui sono le grandi distanze, le comunicazioni difficili, le mancanze di strade ecc.), strariperà finalmente e tutto allagherà, soffocando i poveri increduli di oggi. Questo fatto può tardare, ma non può mancare.
Un secolo fa, Colombia non aveva che 97 lebbrosi ; oggi ne conta almeno 30 mila e forse molti di più. Trenta anni fa, la lebbra era circoscritta ai Dipartimenti di Santander, di Boyacà e Cundinamarca, e qualche po' nelle vicinanze di Cartagena, sulla costa. Tatti gli altri Dipartimenti erano liberi affatto o quasi; adesso più o meno sono tutti contaminati, con istupore e terrore di quelli che davvero amano il benessere della Patria. Se le cose seguitano di questo passo, e debbono seguitare così senza dubbio, perchè, non tolta la causa del male, debbono seguire gli stessi effetti, io non so proprio che sarà dì questa Repubblica fra venti o trenta e cinquant'anni. Ho detto: se le cose seguitano come adesso. Ma così non possono seguitare: o si dìstruggono, oppure, lasciate in loro balia, si svilupperanno e moltiplicheranno in una proporzione che non è dell'uomo poter definire. Una volta che una bestia feroce, rotte le sbarre di ferro della gabbia che la tenevano chiusa ed inoffensiva, si trova libera e si getta per le vie della città, nessuno sa dire quante e quali vittime farà. Il paragone è poco esatto ; giacché, con una palla di piombo gettata nella fronte o nelle tempia, l'animale è spacciato ed il pericolo scompare. Ma come si fa a distruggere la lebbra coi suoi milioni di microbi invisibili, ma reali, che l'acqua, l'arìa e cento e cento altre cause, molte conosciute o molte ignote ancora, portano per ogni dove, senza che nessuno s'accorga? Da un nemico conosciuto, per terribile che sia, io mi posso salvare e difendere; ma come mi potrò difendere e salvare da un nemico, che mi può cogliere a tradimento in ogni luogo, che può starsene in agguato nel pane che mangio, nell'acqua che bevo, nel denaro che ho fra le mani, nei panni che mi coprono la persona, nell'aria stessa che respiro? Queste cose si sanno, perchè si son dette, si sono scritte cento e cento volte; perchè non si credono? Mistero !
Nei miei viaggi è assai frequente che io sia interrogato da persone serie, perchè voglia loro spiegare le cause dell'aumento della lebbra in questa Repubblica e principalmente in certe provincie. Che rispondo? Sempre allo stesso modo, colle stesse ragioni, quelle esposte più sopra, e non mi riesce difficile persuadere e convincere. Alle stesse autorità governative io non ho lasciato di dire, in molte occasioni e con tutta libertà, come la penso, senza titubanze e senza misteri; ed esse a darmi ragione, ed anche ad ammettere che il male è grave assai e che il rimedio deve essere pronto ed efficace. Ma allora perchè il rimedio così conosciuto, tanto facile, non viene? Altro mistero.
Come si vive a Contratacion - Digiuni forzati - Vere infamie - Necessità di una Banca contro l'usura e contro la fame - Leggi, autorità e clima.
Ma torniamo al lazzaretto di Contratacion. Come si vive in esso? Quali i mezzi di sussistenza, le leggi che lo reggono, le autorità immediate che lo governano? Quale il clima, le condizioni finanziarie, la condotta, le sofferenze di questi poveri lebbrosi? Ecco tanti quesiti, cui cercherò di rispondere brevemente.
La popolazione è di circa duemila persone; la metà sani, l'altra metà ammalati; la lista di quelli che ricevono sovvenzione dal Governo è di 950 persone; ad eccezione delle donne maritate sane, ed alcune altre persone addette agli ospedali sane pure, tutte le altre sono affette di lebbra più o meno in uno stato avanzato. La sovvenzione è di tre reali, carta al giorno (un franco e mezzo della nostra moneta), ma che qui per la depressione di questa moneta, per l'alto prezzo dei viveri e di tutto, è ben poca cosa. La sovvenzione è mandata dal Governo (almeno così dovrebbe essere) ogni settimana, in un gìorno fisso; allora si fa quasi festa fra gli ammalati; si tocca la campana della chiesa, e tutti accorrono a riscuotere la parte che loro corrisponde. I più aggravati, che non si possono muovere o che non hanno forze sufficienti per giungere fino all'amministrazione, si servono di persone amiche per avere quello che loro spetta. Ma vi sono settimane, nelle quali la sovvenzione non arriva, o perchè il Governo locale non ha denaro in cassa, o perchè le pioggie hanno ingrossato i torrenti, sì da non poterli passare il messo incaricato. E meno male quando è così; mentre il messo non arriva, sempre si ha speranza. Il guaio si è quando il messo mandato di qui per il denaro al Socorro, torna colle mani vuote; per otto giorni allora i più degli ammalati, che non hanno nessuna scorta, debbono fare digiuni rigorosi e prolungati, anche senza essere comandati dalla Chiesa. Ma siccome non vogliono e non debbono morir di fame, i poverini si attaccano alle spine, come si dice, e cadono nello spinaio dell'usura che li strozza. Quello che varrebbe uno, se si pagasse subito, lo debbono comprare per due od anche per tre, non avendo di che pagarlo, colla condizione di farlo appena arrivi la prima sovvenzione; e siccome alle volte tarda due, tre ed anche quattro settimane, succede allora che la piccola quantità è tutta ipotecata, e passa integralmente nelle saccoccia dell'usuraio, e nulla resta per il povero lebbroso, che si vede nella necessità di contìnuare a lasciarsi scorticare vivo dalle mani crudeli dell'usuraio, se non vuol morire di fame. In questa materia si commettono vere infamie in questo lazzaretto, che, a Dio grazie, spero cesseranno presto e forse subito. D'accordo col Vescovo del Socorro, che conosce queste cose per essere stato qui l'anno scorso a dare la Cresima agli ammalati, si decise di fondare una piccola Banca nel lazzaretto, col solo fine di prestare, in casi d'urgenza, danaro agli ammalati, senza nessun interesse; colla condizìone di restituirlo appena arrivi la sovvenzione governativa. A questo fine destinò mille scudi come fondo di cassa; ma è troppo poca cosa; ce ne vogliono almeno otto mila per fare le cose a dovere; gli altri sette mila li ho chiesti ai ricchi di Bogotà, di Pamplona, Bucaramanga ecc., e sono sicuro che verranno; perche anzitutto non si tratta di una somma ingente, secondariamente perchè la carità qui è generosa, principalmente nella Capitale, infine perche non si tratta di dare, ma semplicemente di imprestare; il che feci osservare in una circolare che mandai giorni sono. Ad nutum degli interessati saranno restituite le somme prestate, dopo due mesi della fatta richiesta, per così aver tempo di raccoglierle, supponendole fuori della banca. E così con questo piccolo capitale, si può far fronte a tante contingenze; salvare da queste arpie di usurai tanti poveri infelici, lasciar loro integro il piccolo capitale di tre reali giornalieri che il Governo dà, e più che tutto impedir per sempre che la brutta bestia della fame torni qui ad aumentare le già troppe pene che soffrono questi meschini. Spero di non partire di qui senza che questa piccola banca sia ben in ordine e già in azione.
Leggi speciali qui non ve ne sono; sono le stesse di tutti gli altri Colombiani; vi sarebbe, è vero, quella di non uscire dal lazzaretto per tutti gli ammalati, anzi si è minacciato il carcere a chi lo facesse e si lasciasse cogliere; ma chi tiene questa gente racchiusa qui, quando si tratta della fame? In questi casi, chi ha buone gambe e salute discreta, se ne va dove vuole. Durante l'ultima rivoluzione del 1895, due terzi degli ammalati si sbandarono per i paesi vicini a cercare la limosina, perchè il Governo non mandava più nulla; non restarono se non quelli che, essendo più aggravati dal male, si trovarono impotenti per tentare la fuga.
Le autorità sono tutte persone lebbrose; lo sono l'amministratore, il giudice, il sindaco, il telegrafista, le guardie; unica eccezione, il maestro dei bambini, e la maestra delle bambine, salesiano il primo, figlia di Maria Ausiliatrice la seconda. Non parlo dei Sacerdoti e delle Suore che non sono autorità, sebbene, per poter vivere, debbono essere sovvenuti dal Governo dipartimentale.
Il clima sarebbe discreto, se non fosse molto umido. Per le troppe acque che calano dai monti, che da ogni parte circondano il lazzaretto, e per le altre molte che cadono dal cielo, perchè quasi ogni notte piove (di giorno mai), il clima è eccezionalmente umido, e gli ammalati soffrono assai. Il miglior clima per il lebbroso è l'ardente e secco; per questa parte quello di Agua de Dios è veramente eccellente. Il terreno è montagnoso , quindi sterile; anche lavorandolo molto, quantunque in terre tropicali, ove non mancano i bei soli e le abbondanti pioggie, non produce che scarsamente. Comunque sia, è felice il lebbroso che può avere in proprietà un piccolo terreno, se ha forze ancora per lavorarlo e renderlo produttivo. Ma il poco, che si presta alla coltivazione, è già nelle mani di altri giunti prima; quelli che giunsero più tardi. non trovarono più nulla; molto meno si troverebbe adesso; a meno che si abbia gran danaro per comprare; ma coloro che hanno denari non vengono qui, se ne stanno alle case loro, nei loro paesi, non potendo le autorità mandarli tutti al lazzaretto per tantissime ragioni, principalmente per mancanza di posto.
Contratacion non è più riconoscibile - La metamorfosi è opera della religione.
La popolazione di questo lazzaretto come vive? che condotta tiene? Presentemente, in generale, la popolazione è buona, vive bene e religiosamente ; è un paese formato di buoni cristiani. Ma non fu sempre così. Ricordo che il nostro D. Unia, al suo primo giungere al lazzaretto di Agua de .Dios, per farsi un'idea dello stato morale di quella gente d'allora, si travestì varie volte da secolare per non essere riconosciuto, e così faceva il giro del paese per assicurarsi personalmente come andavano le cose. « Padre, mi diceva poi, non ha idea delle cose che ho visto in quelle mie ispezioni notturne; io non posso paragonarlo se non ad un piccolo, ma vero inferno. Che brutte cose! che orrori! » Io credo che poco su poco giù le cose andassero di pari passo nei due lazzaretti. Adesso come sono mutate le cose in ambedue le parti! Di Agua de Dios si hanno già notizie sufficienti, fatte di pubblica ragione nei Bollettini degli anni trascorsi: mi limito quindi a discorrere della Contratacion. Mi basterebbe compendiare il tutto con due parole: Non è più riconoscibile da quello che era. Prima l'ubbriachezza era all'ordine del giorno; e chiedendo io, nelle mie visite antecedenti, perchè mai i poveri ammalati si lasciavano trasportare a tali eccessi : Che vuole, Padre, mi si rispondeva, si soffre tanto qui; l'ubbriachezza ci fa dimenticare per qualche ora al giorno le nostre miserie ed i nostri patimenti. Altri incolpavano la troppa debolezza dello stomaco per la scarsità degli alimenti; qualunque bibita spiritosa (chicha, agua ardiente della canna da zucchero), anche in piccola quantità, bastava per sbilanciare la testa. E qualche ragione avevano gli ultimi che parlavano così. Però, coll'ubbriachezza introdotta nel lazzeretto come sistema di vita normale, ben si può supporre quali disordini ne derivassero. Mi assicurano adesso che in quei tempi, vale a dire appena tre o quattro anni addietro, era impossibile mantenere l'ordine nella popolazione; le autorità, che lo intentavano, erano vilipese, perseguitate ed anche percosse; le risse, i ferimenti, glì odii, le calunnie, e certe cose che il tacer è bello, provenienti dai balli notturni permanenti, formavano la cronaca giornaliera invariabile di questo lazzaretto. E' naturale: mancava affatto l'istruzione religiosa.
Ed ora? Lo ripeto : ìl paese è irriconoscibile; non è scomparso affatto il disordine, ve n'è ancora, ed è probabile che ve ne sarà sempre, perché, anche i lebbrosi sono uomini come tutti gli altri di questo mondo, e Contratacion è posto in un angolo di questo miserabile mondo, pieno tutto di miserie; ma le cose in generale sono ben altrimenti avviate. Nei 15 giorni, dacchè sono qui giunto, non ho visto un solo ubbriaco. Due anni fa, nell'ultima predica della missione sull'ubbriachezza, dovei, d'accordo colle autorità locali, mettere una multa per ogni ammalato e per ogni volta che si lasciassero sorprendere ubbriachi in pubblico. « Padre, mi diceva uno di questi giorni il Sindaco del luogo, prima non mi bastava il giorno per governare questo paese, mi ci voleva parte della notte; le liti erane continue e di ogni classe. Adesso più nulla; passano settimane intiere, senza che ìo abbia a sentire cose dispiacenti; le liti sono terminate : se pure ne nascono alcune, i Padri le aggiustano con due parole, e tutto finisce. » Come è vero che la religione, ben intesa e ben praticata, basta da sè sola a governare i popoli, renderli pacifici e contenti! E la religione ha davvero fatto prodigi in questo lazzaretto. Non ne ha fatto un paradiso di un inferno che era: ma almeno vi si sta bene e volentieri. Da due anni gli ammalati si sono duplicati. Prima venivano portati colla forza solamente; adesso molti vengono spontaneamente; se non ve ne sono di più, si è perchè il locale non lo permette. Prima si stava qui solamente per timore della virga ferrea; se si poteva farla franca, si scappava; ora vi stanno rassegnati ed anche volentieri: la metamorfosi fu tutta opera della religione, in meno di due anni.
Un lazzaretto senza medico- Miseria e carità - Ritratto del povero lebbroso.
Un'autorità, che qui manca da tempo parecchio, è il medico. Nell'ultima mia visita era già sofferente assai, ma viveva ancora e lavorava; egli pure era lebbroso. Venne a morire mesi sono, e non fu più possibile trovarne un altro, che abbia voluto accettare questo posto, neanco pagandolo generosamente; non vogliono venire nè i sani, nè gli ammalati. Che anomalia! Un lazzaretto con due mila persone, fra queste circa la metà ammalate, senza medico e senza medicine!
In quanto a finanze non si potrebbe star peggio. Quel poco, che il Governo manda, è tutto necessario perchè gli ammalati si nutrano in qualche modo. Chi riceve qualche cosa altra da casa sua, ha con che comprarsi di che vestirsi e calzarsi e provvedersi il più indispensabile per la pulizia della persona; chi non ha questo aiuto, e sono i più, si vedono per le vie, nelle case, in chiesa, in uno stato che fanno veramente pietà. Si è per questo che pochi giorni fa mi son fatto ardito a scrivere al Direttore dell'Italia RealeCorriere Nazionale di Torino, l'illustre Avv. Stefano Scala, per far appello alla pubblica carità anche di tele grossolane di ogni sorta, onde cambiare e vestire tutta questa gente.
Chiunque risponderà, farà certo una bella e veramente squisita carità (1).
Soffrono assai questi lebbrosi? Tanto, che io non lo potrò esprimere: sarebbe necessario trovarsi nei panni loro, ricoperti delle loro piaghe per comprendere quello che patiscono. Per cagione del clima umidissimo e quasi freddo, il male precipita in modo quasi sensibile; da un anno all'altro io li trovo quasi irriconoscibili; non così in Agua de Dios; là si va più adagio, il male ha qualche compassione per le sue vittime; in Contratacion invece non ne ha affatto. Tutto l'organismo del lebbroso è intaccato, principalmente le estremità ed il petto. Vi sono faccie che fanno veramente paura e cagionano ribrezzo. Tubercoli sformati, di un colore livido, resi così dal sangue imputridito, si vedono su tutta la faccia, sulle guancie, la fronte, le labbra, le orecchie, che diventano lunghe lunghe. In molti il naso è affondato tanto, che più non si distingue : non si vedono che i due buchi delle fosse nasali. In altri il viso è allungato ed ha la vera forma di quello dell'elefante. La vista è in tutti molto indebolita, l'udito pure, non sono rari i casi di completa cecità e sordità. Gli organi vocali sono quasi distrutti; sono pochi gli ammalati che possono parlare liberamente e chiaramente; in molti la voce è totalmente estinta; in altri è tanto affievolita, che riesce impercettibile; altri ancora volendo lo fanno con un rantolo, che li affatica ed affatica chi li ascolta. Una tosse secca secca, forse cagionata dal forte calore, che sempre brucia loro la gola, li accompagna quasi sempre. I piedi poi in generale, sono veramente mostruosi: sono veri piedoni di elefante, che resi pesantissimi dal volume loro, non si strascinano, se non con grande fatica in alcuni, rosi dal male, sono già scomparsi. Le piaghe sono senza numero, tanto nei piedi come nelle gambe. Pochissimi hanno ancora l'uso delle mani; quando le dita non sono consumate del tutto, si sono accorciate, o rattrappite tanto, che non dànno più aiuto di sorta, ne anche per portare il cibo alla bocca; in questi casi, a persone adulte di quaranta o cinquant'anni si dà da mangiare come ai bambini di pochi mesi. Il peggio si è che per cagione del clima piuttosto fresco e dell'umidità veramente eccezionale non possono o non osano prendere bagni; il sudore poi non lo conoscono ; di qui viene che il fetore sia in certe epoche veramente insoffribile a loro stessi. Che dire poi di quando si radunano trecento o quattrocento insieme nella chiesa, come succede adesso nella Missione ? Col tempo uno arriva a costumarsi, e non ne fa più gran caso; ma al principio bisogna armarsi di un gran coraggio e di una grande forza di volontà, per tuffarsi in quell'atmosfera carica di tanti umori. In questi giorni, al vedere certi ammalati la mia mente corre a Torino, a Valsalice, a quella statua di gesso rappresentante un lebbroso, che fatta per figurare nell'Esposizione del 1898, si dovè poi subito togliere per ragioni che tutti sanno, e non posso fare a meno di fare paragoni; i nostri lebbrosi vivi sono almeno dieci volte più belli (intendiamoci più brutti) che non quello ideato e fabbricato dall'artefice torinese.
(Continua).
(1) La lettera, cui qui allude, fu pubblicata nel n. 32, 6 Agosto scorso, della Crociata, periodico religioso settimanale diretto dallo stesso Avv. S. Scala.
AFRICA
L'Opera Salesiana in Orano.(Lettera di Don Carlo Bellamy).
CREDIAMO far piacere ai nostri lettori pubblicando una bella lettera inviataci dal. Superiore della nostra Missione d'Orano, di cui finora abbiamo dato solo qualche breve cenno. D. Bellamy ora ci riassume tutte le vicende di quella Missione destinata a far molto bene.
I. - Prima della fondazione. Sempre silenzio dal Continente nero? - L' Algeria battezzata: vere missioni interne - Coepit facere et docere - Finalmente: - Buona novella.
MOLTO REV. ED AMATO DIRETTORE, Orano, 1° Aprile 1899.
LE scrivo col cuore esultante di gioia! Una buona novella venne ad allietare le nostre tende... Dunque, D. Rua, l'amatissimo nostro Padre, attraversa lo stretto di Gibilterra per far la prima visita ai suoi diletti figli dell'Algeria, o meglio dell'Orania. Questo lieto avvenimento mi presenta un'occasione propizia per iscriverle, Sig. Direttore, e troncare il lungo silenzio serbato sinora col Bollettino, che mi pesa come un rimorso.
La S. V. M. R.da m'ha chiesto più volte: Perché il Bollettino dovrà sempre mantenere assoluto silenzio sulla nostra Missione del Continente nero? - Il perchè del nostro silenzio? - Le dirò che sono molti questi perchè. Prima di tutto lettere descrittive dell'Algeria mi parvero inutili, dopo le tante che già si sono fatte. I figli di D. Bosco vennero qui nè come esploratori - de' quali non è più il tempo - nè come viaggiatori - perchè ci manca il tempo - ma bensì come Missionari; perchè questo popolo algerino, un miscuglio di gente di varie nazioni, ha un vero bisogno di esser convertito ad una vera vita cristiana. Nostro primo dovere non è perciò d'evangelizzare i popoli selvaggi, ma di salvare e preservare dalla perdizione i già civilizzati e battezzati , che corrono pericolo d'ingolfarsi in superstizioni e false religioni. Per far questo abbisognano Oratorii e Patronati per la gioventù, da cui abbiano poi ad uscire i veri missionari per l'interno ; e noi siamo venuti precisamente per fondarli Questa è la nostra reale missione; e Lei, caro Direttore, voleva ch'io le scrivessi notizie di queste opere... Ma, come Gesù benedetto coepit facere et docere, così i Salesiani di Orano ritardarono a bella posta per poterle inviare una bella relazione non di sterili voti, ma, coll'aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice, di fatti compiuti. Infatti le nostre speranze non rimasero deluse; ed ora eccole le gesta di Maria Ausiliatrice per mezzo dei Salesiani - gesta Auxiliatricis per Salesianos - su questa terra africana, ove da secoli l'indolente fatalismo musulmano non lascia crescere che rari e piccoli palmizi, viva immagine dei nostri cristiani degenerati. Sì, su questo suolo, inaffiato dal sangue cristiano, le nostre opere, per la grazia di Dio, germoglìarono e prosperarono tanto meravigliosamente, che avrei potuto dargliene relazione consolantissima già da lungo tempo. Però non l'ho mai fatto, perchè qualora le avessi scritto le gioconde e commoventi notizie, di cui magna pars fui, avrei dovuto parlarle eziandio di certa categoria di gente, che si divertiva in crearci ostacoli di ogni fatta. Ora come avrei potuto far ciò, senza correr pericolo di mancare contro la prudenza e la carità? Di più, quando i suoi Confratelli dell' Orania lottavano contro queste difficoltà - che costituiscono l'essenza d'un Missionario in paese civilizzato e ne sono tutto l'incanto ed il merito - la S. V. pubblicava sul caro Bollettino le meravigliose lettere del nostro D. Unia e ripeteva gli accenti strazianti dei lebbrosi di Agua de Dios. Di fronte a quelle lettere il racconto delle nostre traversìe ed il monotono resoconto delle nostre feste non avrebbe avuto alcuna importanza per i lettori del Bollettino, ed io attesi fino ad oggi, in cui la desideratissima visita di D. Rua mi porge finalmente propizia occasione di farmi vivo presso i nostri Cooperatori, facendo una rapida rassegna delle nostre Missioni d'Orano.
Previsioni di D. Bosco - Il Card. Lavigerie invita i Salesiani a stabilirsi nella Kabilia - Mons. Soubrier li ottiene per Orano - L'Orania giardino d'acclimatazione. - Proposte fatte ed accettate.
Lo zelo del nostro desideratissimo Padre D. Bosco, a somiglianza di quello del divin Maestro, abbracciava tutta la terra : anche l'evangelizzazione della povera Africa gli stava notte e giorno assai a cuore. Egli vedeva nei suoi sogni o visioni (gli uomini di Dio hanno tutti visioni) i suoi seguaci invadere da tutte le parti il Continente nero, indirizzare i loro passi ed i loro sforzi verso le sue misteriose profondità e strappare a Satana milioni e milioni d'anime. Tuttavia egli, novello Mosè, passò di questa vita senza poter fissare le sue pupille sopra questa terra promessa ai suoi figliuoli missionari. Iddio però non doveva tardare a realizzare queste suo apostoliche visioni. L'illustre Card. Lavigerie, il quale si sentiva fortemente e teneramente attaccato a D. Bosco più per il medesimo zelo della salute delle anime che per uniformità di carattere, gli offerse per i suoi figli le Missioni della Kabilia. Ma ciò allora D. Bosco non potè accettare.
Più tardi Mons. Soubrier, il pio ed umile Vescovo d'Orano, stanco dei suoi infruttuosi tentativi per procurare ai figli delle famiglie benestanti i benefizi d'una vera cristiana educazione (recenti avvenimenti avevano obbligato i RR. Gesuiti ad abbandonare il loro Collegio d'Orano), credette esser volontà di Dio che egli cominciasse l'apostolato della stia diocesi in mezzo alle sue pecorelle più povere ed abbandonate. Perciò incaricò Monsignor Lafuma, suo Vicario Generale, di visitare l'Opera di D. Bosco a Marsiglia e di azzardare qualche timida proposta per l'apertura d'una Casa in diocesi. Essa fu benignamente accolta da D. Albera, allora Ispettore delle Case Salesiane di Francia. Allora Monsignor Soubrier, profittando d'un viaggio ad limina, visitò egli stesso il nostro Oratorio di San Leone a Marsiglia. Rapito dalla cordialità e semplicità dei nostri giovanetti, fece sì che D. Albera presentasse a D. Rua formale domanda per l'apertura d'una Casa Salesiana nella sua città episcopale d'Orano.
In questo modo la Provvidenza destinava l'Orania, consecrata specialmente all'Immacolata Concezione, come punto di partenza delle Missioni di D. Bosco in Africa. Niun paese sarebbe stato più adatto dell'Orania, sia per la sua posizione topografica, come per la facilità di comunicazione coll'Europa. Il clima poi dell'Oranìa, i suoi costumi e la sua lingua bon ci dicono che essa è un vero giardino d'acclimatazione, un noviziato pratico per i futuri Missionari.
Nel gennaio 1891 D. Durando, Superiore del Capitolo, insieme col futuro Direttore recossi ad Orano, e, visitato il luogo offerto, lo accettava in nome della nostra Pia Società. La diocesi d'Orano metteva a nostra disposizione due case : la prima in via Ménerville nella città di Orano, coll'obbligo di funzionare la Chiesa di S. Luigi e di provvedere al quartiere una scuola primaria cristiana, di cui mancava. L'altra sita a Eckmuhl, sobborgo d'Orano, destinata per le Missioni salesiane propriamente dette.
Pii preparativi - Pellegrinaggio ai Becchi - Addio - Nostro arrivo in Orano - Prime impressioni - Un De profundis !- Pasto frugale, ma molto allegro.
Nell'agosto dello stesso anno 1891, i fortunati Salesiani scelti ad andar per i primi in Africa, da Torino dove eransi riuniti, pellegrinarono sino ai Becchi, culla di D. Bosco. Di più, la vigilia della partenza, accesero una lampada nella Cappella dell'Addolorata presso la tomba di D. Bosco in Valsalice, lampada che essi avrebbero mantenuta in nome delle Missioni d'Africa. Nella mattina del 16 agosto assistettero nell'Oratorio privato presso la camera di D. Bosco alla Santa Messa, celebrata da D. Rua, il quale poscia dìede loro la parola d'ordine, gli ultimi consigli e la paterna benedizione. Nella sera presero parte assieme ad una carovana di Missionari per l'America alla commovente cerimonia d'addio nel santuario di Maria Ausiliatrice.
Il 22 agosto, sabbato, dopo la recita delle preghiere dei pellegrinanti e dopo il paterno abbraccio di D. Albera, s'imbarcavano a Marsiglia sulla Ville de Rome. Eravamo due sacerdoti, due chierici, un coadiutore e due giovani salesiani : fra tutti formavamo il numero di sette.
Sbarcammo ad Orano il 24 agosto, vigilia di San Luigi, Patrono dell'Algeria, ricevuti al porto dagli Angeli Custodi della città ed anche dai Beni-Negros di tutte le tribù. La nostra prima visita fu al Padrone nella Chiesa di S. Luigi, e poscia ci dirigemmo alla nostra dimora in via Ménerville. Era l'antico tribunale civile. Questo stabile, composto d'un agglomeramento di costruzioni, era in tale stato da crederlo destinato alla demolizione. E poi senza cortile, con poca aria e meno luce, vere celle da prigionieri. Mi fa troppo pena il solo rammentare l'impressione ricevuta la prima volta che entrammo colà. Fermatici nell' antica sala d'udienza, la quale probabilmente verrà trasformata in cappella, ci inginocchiammo e recitammo il De profundis per il riposo dell'anima dei numerosi malfattori, che la giustizia umana aveva sommariamente condannati. Questa fu la nostra prima preghiera !... Ricordo solo per memoria il nostro primo desinare, che rimase proverbiale. La solita allegria salesiana potè renderlo accetto e scacciare ogni melanconia. A quell'epoca dell'anno quasi tutto il clero era in Francia. Noi andammo ad ossequiare Mons. Georgel, Vicario Generale : poscia un giro per la città, specialmente ad un villaggio negro, quindi all'opera.
II. - La via Ménerville.
Viva il lavoro!-Trasformazione- Installazione provvisoria - La Chiesa Matrice - La scuola - Doppia natività - «Gesù al pretorio » - L'Oratorio S. Luigi - Ricevimento episcopale impreveduto ed improvvisato - Voce di gratitudine - Il ritiro di S. Vincenzo.
All'opera adunque! È questo il momento di ricordarci che noi siam figli di quel Don Bosco, il quale riprendendo in servizio della Chiesa Romana l'antica parola d'ordine: « Laboremus », la scriveva qual divisa prediletta sullo stendardo della sua Congregazione - Viva il lavoro ! - ed avanti. Si trattava di organizzar tutto : demolire casolari e livellare il terreno per fare un po' di cortile ; rimuovere scale, tramezzi, porte... riparare, regolare... una vera trasformazione : la sala d'udienza in cappella, il pretorio in parlatorio, le celle dei malfattori in camerette di religiosi, le camere degli avvocati in silenti studi (1), l'archivio in economato, ecc.... Sopratutto poi bisognava cangiar l'anima della casa, cioè il suo spirito, la sua riputazione, e d'un tribunale di repressione convertirla in un centro d'attrazione, in un asilo di preservazione, in un santuario di perdono e di vita !
Mentre si compivano questi lavori, l'amministrazione diocesana ebbe la bontà di darci ospitalità provvisoria presso la Chiesa di S. Luigi, in una casa attualmente parrocchiale. Quivi fin dal principio dell'anno scolastico (ottobre 1891) prendevamo la direzione della Parrocchia, aprendo non senza difficoltà la nostra scuola primaria con una cinquantina di ragazzi. Queste furono le nostre prime opere.
Frattanto fin dall'8 settembre, potevamo invitare il nostro diletto Maestro, il N. Signor Gesù Cristo, a venire a partecipare ai nostri lavori ed alla nostra povertà, con offrirgli per umile dimora l'antico pretorio, « suscipientes Jesum in praetorium », non per insultarlo e coronarlo di spine, ma per adorarlo ed amarlo con tutto il nostro cuore. In quel giorno benedetto della Natività di Maria, Mons. Georgel, Vicario Generale, celebrò la prima Messa in Via Ménerville, alla presenza di cinque o sei persone amiche; noi inaugurammo la nostra vita di comunità con l'esercizio della buona morte e battezzammo la nostra Casa, nascendo anche alla grazia, col bel titolo di « Oratorio S. Luigi. »
Gli ultimi giorni di questo mese ci ricordano la visita, preludio di tante altre, del nostro insigne benefattore, Mons. Soubrier, appena di ritorno dalla Francia. Un complimento improvvisato, un Sacerdos et Pontifex a quattro voci - noi eravamo in 7! - trovano le vie del cuore del nostro buon Vescovo, felice della nostra allegria, commosso della nostra semplicità, edificato della nostra povertà... e noi assisi sopra le nostre casse da viaggio convertite in sedili, ascoltavamo rispettosamente i suoi consigli e paterni incoraggiamenti, ed egli ci rimetteva per la prima, ma non per l'ultima volta, la sua discreta e generosa offerta.
Il 4 novembre era la festa di S. Carlo, Patrono del Direttore. Quant'eran tristi i poveri confratelli per non aver nulla da offrirgli all'infuori del loro buon cuore! Per cacciare il microbo della tristezza, salimmo a S. Croce a celebrar la Messa, e poi per un lungo giro di colline discendemmo fino a Mers-el-Kebir a sorprendere il buon Curato, l'amico della prima ora e che rimarrà, dice egli, fino all'ultima. Egli accolse come suoi i figli di Don Bosco e dichiarò che da quel dì la sua canonica sarà « succursale salesiana di Via Ménerville.» La proposta fu accettata all'unanimità.
E qui non posso far tacere la voce della gratitudine, e mi sento obbligato a ricordare i nostri primi e migliori amici: il venerando Mons. Irlandès, Superiore del Seminario maggiore d'Orano, il padre, il consigliere e l'amico di tutti i preti della diocesi, la quale piange e piangerà a lungo la perdita di lui; il buon D. Rìssel e Don Cocquerel, il prete dalla lunga barba, i quali nulla tralasciano per incoraggiarci ed aiutarci. Debbo eziandio rammentare le Suore Trinitarie, le Suore del Buon Soccorso di Troyes, in ispecie la loro Superiora, Suor Fulgenzia, la quale si meritò dai nostri giovanetti, per le sue attenzioni ed incessanti predilezioni verso di loro, il titolo di mamma.... e tanti altri ancora.
L'8 dicembre, le due Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli d'Orano ci dimandarono un predicatore ed un asilo nel nostro santuarietto del pretorio per il loro prìmo rìtiro annuale, frequentato regolarmente in quell'anno da soli 15 confratelli, numero che anno per anno andò crescendo meravigliosamente. il ritiro dapprima fu di tre giorni, poscia di cinque ed infine di otto giorni, con istruzione al mattino ed alla sera, e contò successivamente una cinquantina e poi un centinaio di uomini alla Comunione generale dell'ultimo dì ! Era un'epoca di fervore, di prosperità... che durò fino al giorno, che dovremo presto registrare, in cui un atto, ancor inesplicabile, chiudeva la nostra Cappella e segnava per le Conferenze un tempo di fermata e, diciamolo pure, di decadenza. Ma non voglio anticipare gli avvenimenti.
La domenica 13 dicembre, per Orano solennità dell'Immacolata, ebbe luogo la chiusa del primo ritiro spirituale... Alla mezzanotte del sabbato gli operai ci avevano temporaneamente abbandonati, e noi avevano compiuti i lavori più urgenti d'installazione. L'antica sala d'udienza poteva servire di Cappella, ed io volli che fosse benedetta a questo fine nel dì solenne del 50° anniversario della fondazione della nostra Pia Società.
Dolce sorpresa - Commovente cerimoniaNovella trasfigurazione - consolazioni - Gli amici della prima ora- Prova dolorosa.
Di buon mattino S. E. Mons. Soubrier, preciso, come sempre, ci sorprendeva innanzi tempo in un sonno profondissimo, cagionato dalle fatiche precedenti. Tosto si compiva la commovente cerimonia. Monsignore benediceva la nostra Cappella ed una magnifica statua della Madonna, dono d'una generosa Cooperatrice di Parigi, ponendo l'una e l'altra sotto il titolo di Maria Ausiliatrice,
Quanti assistettero a questa novella trasfigurazione erano commossi. In questa sala del tribunale infatti tutto è cambiato. Al luogo d'un magistrato, che interroga pubblicamente l'imputato, pronto a giudicarlo e condannarlo, v'è il sacerdote che ascolta teneramente i penitenti per assolverli e giustificarli. Il Sacrifizio della Redenzione è offerto, il sangue del giusto Abele calma la collera divina in questo luogo, dove poco fa si elevavano le grida della moltitudine irritata contro il colpevole. E qui dove la giustizia umana aveva tante volte pronunziato sentenze di morte, ora si ascolta la voce del Vescovo, che invita i fedeli a ricorrere con fiducia a Maria Ausiliatrice, Regina e Madre di misericordia, la cui immagine benedetta risplende sull'assemblea. La grazia infine sta per sovrabbondare, dove la giustizia un tempo esercitava i suoi rigori. Ecco ciò che ciascuno provava in quell'istante avventurato: l'emozione guadagnava e dominava tutti gli animi.
Del resto all'infuori di questo profondo sentimento, nella Cappella non v'era che semplicità e pietà. Alcuni maligni osservarono perfino un filo di ferro pendente dalla vólta e reclamante con patente eloquenza l'onore di poter sostenere una lampada. Ciononostante la nostra Cappella nella sua povertà esercitò tosto sui fedeli un'attrattiva inesplicabile, ma irresistibile. Io, che scrivo queste righe, ben posso testimoniare le innumerevoli grazie d'ogni sorta, conversioni (d'uomini sopratutto), benedizioni temporali e spirituali, di cui fu sorgente quest' umile dimora. Non è senza emozione che rievoco il semplice ricordo di quelle feste indimenticabili : abiure, battesimi, e prime comunioni di adulti, ordinazioni, ritiri spirituali per uomini, riunioni di carità...
La riconoscenza volle ornare la Casa di Maria, ed una sottoscrizione in forma di exvoto, cui presero parte i nostri Cooperatori d'Algeria e di Francia, permise di farlo magnificamente.
Ma l'ora della prova doveva sonare. Il 26 ottobre 1895, senza alcun motivo, l'amministrazione prefettizia chiuse senza spiegazioni la nostra Cappella, nel dì stesso, in cui autorizzava l'apertura d'una loggia massonica ! Ho promesso a me stesso di tacere sopra questi ed altri dolorosi ricordi t dunque per pura necessità storica e senza entrare nei partìcolari che le mando, Sig. Direttore, tra gli altri documenti, le risposte alle insinuazioni perfide di certi giornali e la protesta che il dovere m'inspirò in simili dolorose circostanze.
Eckmuhl, 12 Novembre 1895.
Illustrissimo Sig. Redattore Capo,
Son già parecchi anni, dacché l'Unione Africana ha pubblicato in molte occasioni i più violenti articoli contro i Salesiani e le loro opere. Noi, fedeli discepoli di N. S. Gesù Cristo abbiamo rinunziato a difenderci, nella speranza di vincere il male col bene.
Siccome nel suo articolo del 10 c. m. piglia di mira non più soltanto noi, ma anche il nostro insigne benefattore, il clero d'Orano, ed osa, contro ogni verosomiglianza e verità, accusarlo d'avere coi suoi lamenti presso l'amministrazione civile ottenuto la chiusura della nostra Cappella, così, se tacessimo in questa circostanza, mancheremmo al nostro dovere. Quindi per far conoscere le responsabilità e attribuirle a chi di ragione, m'appello alla sua lealtà, affinchè pubblichi nel suo giornale la nostra risposta alla risoluzione del Prefetto d'Orano.
Aggiungo, Signore, che noi le perdoniamo di cuore, perchè se ella ci dà contro, è perchè non ci conosce.
Forti dei nostri diritti di cittadini francesi e della crescente simpatia popolare che godiamo, noi proseguiremo sempre con maggior zelo la nostra missione tutta pace e carità.
Ho l'onore d'essere, Illustrissimo Sig. Redattore Capo, vostro umile servo
SaC. CARLO BELLAMY
Superiore dei Salesiani.
Orano, 30 Ottobre 1895.
Illustrissimo Sig. Prefetto,
Mi pregio avvertirla d'aver ricevuta la sua del 26 Ottobre, rimessami il 28, nella quale mi prega di fare in modo d'impedire assolutamente per l'avvenire l'accesso alla Cappella a qualsiasi persona estranea al nostro Istituto.
Ci torna facile ottemperare ai suoi desideri, in quanto che, secondo il rapporto indirizzatole da Sua Eccellenza il Vescovo d'Orano, le nostre funzioni non erano frequentate ordinariamente fuori dei parenti di alcuni allievi, che da poche persone estranee, che s'interessavano dell'Opera Salesiana in favore dei poveri.
Ma Lei, Illustrissimo Sig. Prefetto, ci permetterà di meravigliarci d'una misura, che ci priva d'una tolleranza praticata in tutta la Francia, perfino a Parigi, sotto gli occhi del Governo.
La nostra Società, estranea ad ogni preoccupazione, fuorchè quella di fare del bene alla gioventù povera ed abbandonata in ispecie, ha in Francia in ogni dove incontrata la benevolenza dell'amministrazione civile. In qual modo spiegar la diffidenza, di cui siamo oggetto da poche settimane qui in Algeria?
E vero, certi giornali d'Orano non cessano di insultarci; ma il nostro silenzio, che conviene alla nostra missione tutta pace e carità, non conferma niente affatto le perfide insinuazioni, di cui siamo vittime.
Le nostre Missioni sono francesi: io, loro Superiore, sono francese: due miei confratelli l'anno scorso erano soldati della Francia, due altri l'erano in questo anno e quattro altri lo saranno fra pochi giorni.
Le nostre Case sono aperte a tutti i fanciulli poveri ed abbandonati, senza distinzione di culto e di nazionalità: raccolgono tuttavia in grande maggioranza fanciulli francesi.
Veri Missionari francesi, noi insegniamo a tutti i nostri fanciulli la lingua, la storia, l'amore della Francia.
E se, per favorire numerosi stranieri residenti nella nostra Colonia Algeriana, ci facciamo aiutare nel ministero sacerdotale da alcuni preti di loro nazionalità, in ciò havvi niente d'illegale, anzi e un mezzo per far stimare da questi stranieri e gustare l'ospitalità così generosa, che la Francia sa accordare a quelli, che, offrendole i loro servizi, le dimandano libera e facile pratica della loro religione.
E poi, Illustrissimo Sig. Prefetto, non è forse umiliante per noi, preti francesi, veder la nostra Cappella esser motivo, senza alcuna causa, di un interdetto, nel momento che si parla d'innalzare nella nostra capitale una moschea e che il Governo Generale d'Africa concede una larga sovvenzione per condurre a termine in Orano una Sinagoga?
Confidenzialmente, Illustrissimo Sig. Prefetto, ci siamo presi la libertà di spiegarvi e di dirvi quanto soffre la nostra fierezza patriottica. Noi speriamo, che la diffidenza e le severe misure che ci colpiscono, abbiano a cessare e che la S. V. voglia finalmente crederci degni almeno di quella stima ed apprezzamento che si meritano coloro, che portano al servizio della religione e della patria tutta la loro devozione e fatica.
Ho l'onore d'essere, Illustrissimo Sig. Prefetto, vostro umilissimo servo
Sac. CARLO BELLAMY
Sup. dei Salesiani.
Infine noi spedivamo alla Croix d'Algérie la lettera seguente in risposta agli attacchi del Petit Africain.
Orano, 16 Novembre 1895.
Illustris m° Sig. Redattore,
Un certo giornaluzzo africano ritorna sulla chiusura della nostra Cappella. Approva senza riserva l'atto prefettizio, perchè, dice, i Salesiani sono una Congregazione straniera, ricevendo essi il motto d'ordine da Torino.
Noi gli mandiamo queste poche osservazioni che la preghiamo di pubblicare.
Le religioni, come la virtù e la verità, non hanno patria: sono essenzialmente universali.
Vi ha un Dio francese? una carità inglese ? matematiche spagnuole ? algebra russa?
La dottrina cristiana è forse ella giudea, perchè il suo istitutore, Gesu Cristo, era figlio d'Abramo? o italiana, perchè il Papa è attualmente italiano ?
Sonvi cattolici, protestanti, frammassoni, maomettani di ogni nazione.
Le Congregazioni religiose sono aperte a tutti, senza alcuna vista di interesse; esse non hanno patria.
S. Ignazio era spagnolo, S. Francesco d'Assisi italiano, S. Bernardo francese: ora vi sono Gesuiti, Francescani, Trappisti inglesi, francesi, tedeschi, russi...
D. Bosco certo nacque a Torino; ma le sue molteplici opere in favore dei figli degli operai, il suo metodo tutta dolcezza, il suo spirito d'abnegazione gli acquistarono la simpatia universale, sopratutto nella nostra Francia, aperta ad ogni sentimento generoso.
Per ammirazione noi abbiamo scelto D. Bosco per nostro maestro e modello nella carità, adottando le sue opere, il suo metodo ed il suo spirito. Abbiam cessato per questo d'essere francesi?
Il giornaletto in questione fa la voce grossa per scacciarci. Ma che direbbe il Ministro degli Esteri, che direbbero i Francesi residenti dappertutto, in Europa, in Asia, in America... se i Governi esteri, inspirandosi agli argomenti del piccolo giornale d'Africa e usando rappresaglie, cacciassero le Suore di Carità, i Fratelli delle Scuole Cristiane, le Piccole Suore dei poveri, i nostri Missionari, perché i loro fondatori sono francesi ed hanno in Francia la loro Casa-Madre? Non fate agli altri quello che non vorrete fatto a voi, dice la saggezza delle nazioni.
La Santa Sede desidera che i Missionari e i religiosi siano di preferenza della nazione, in cui si stabilisce la Casa.
Noi abbiamo questo consiglio su vasta scala; di 28 Salesiani, infatti, abbiamo solo 3 italiani e 1 spagnuolo, e questo in uno Stato come Orano, in cui gli stranieri sono in maggioranza. E dire che il Petit Africain non è contento.
Ci si rimprovera d'aver costituito la nostra Società Civile esclusivamente di stranieri.
Prima di tutto havvii esagerazione, poiché tre francesi fanno parte del Consiglio d'Amministrazione, e poi, perfino in questo, abbiamo imitato diverse società francesi, finanziarie, industriali, commerciali, che per salvaguardare in questi turbolenti tempi i loro interessi pecuniarii, si aggiungono dei membri stranieri. È legale ed è prudente. L'abbian fatto noi pure, affine di proteggere al bisogno i beni dei poveri orfanelli di ogni nazione, di cui siamo i tutori.
Ne abbiamo il diritto, il dovere, ed anche, il piccolo giornale sembra ignorarlo, l'autorizzazione legale.
Quanto alla parola d'ordine ricevuta da Torino, eccola: Don Bosco col suo esempio e colle sue istituzioni ci proibisce assolutamente di occuparci di politica, ci comanda di far bene a tutti, senza far male a nessuno, neanche ai nostri nemici (non temete dunque piccolo giornale Africano).
Noi facciamo il voto di vivere poveramente, di consacrare l'intiera nostra esistenza al servizio dei fanciulli poveri ed orfani a Orano, ove essi son così numerosi : nessuno se ne lamenterà, tranne quel giornaluccolo. Pazienza, non si può contentar tutti in questo mondo.
E per ora basti : rientiamo nel nostro silenzio, dal quale saremmo stati felici di non mai uscire, e lavoriamo più alacremente che mai pel bene dei nostri poveri fanciulli.
Le opere nostre basteranno ormai, lo speriamo, a giustificarci.
Ho l'onore d'essere, Illustriss.m° Sig. Redattore, vostro devotissimo
Sac. CARLO BELLAMY
Sup. dei Salesiani.
Non importa, tu, umile santuario dell'Oratorio di S. Luigi, non ostante tutte le tue vicissitudini, rimarrai sempre la prima Cappella, che i figli di D. Bosco dedicarono alla Vergine Modello ed Ausiliatrice dei Missionarii d'Africa.
(Continua).
ASIA
Il Governatore della Palestina all'Orfanotrofio di Betlemme.
QUESTO cattolico Orfanotrofio, fondato 35 anni fa dal Can. Antonio Belloni, lo scorso febbraio venne visitato da S. E. Tanfik-Bey, nuovo Governatore della Palestina. I sacrifizi sostenuti dal venerando fondatore degli Orfanotrofi di Betlemme, di Cremisan, di Beitgemal e di Nazaret son noti a tutti; e da lungo tempo egli, per il suo disinteresse e per la sua saggezza, si cattivò le simpatie di tutti. Il bene della gioventù povera ed abbandonata, cui egli consacrò la sua vita, è per D. Belloni il titolo speciale, per cui viene additato alla riconoscenza di quanti hanno a cuore il benessere morale e materiale della Palestina.
S. E. Taufik, volendo vedere da vicino quest'opera tanto meritoria, annunziò la sua visita per il 13 febbraio, terzo giorno delle feste che si celebrano presso i Turchi alla fine del Ramadan.
Il Governatore arrivò verso le ore 10 del mattino, accompagnato da un aiutante di campo e da alcuni ufficiali. Fu ricevuto dalle autorità locali. D. Belloni, circondato dai suoi giovanetti, l'attendeva alle porte dell'Istituto. Mentre la banda dell'Orfanotrofio suona una marcia, si grida: Viva il Sultano! Viva Taufik-Bey !
Il Governatore fu condotto al divano, ove, dopo i soliti rinfreschi, il Superiore gli presentò il personale della Casa. Un Salesiano, a nome di tutti parlò dell'onore che procurava una tanta visita, facendo auguri per la prosperità del Governatore e del popolo alle sue cure affidato. In brevi parole espose lo stato attuale dell'Opera della Sacra Famiglia, manifestando la fiducia di tutti che questa
Casa di carità continuerà a godere la benevolenza di S. E. il Governatore di Gerusalemme. Finì ringraziando il Governatore e Sua Maestà imperiale, Abdul-Hamid, che vide sempre di buon occhio le Opere di D. Belloni.
Taufik-Bey non avrebbe potuto mostrarsi più benevolo, confermando così la somma stima che hanno di lui quanti lo avvicinano. Tutti lodano la sua fina intelligenza, l'equità dell'animo suo, la saggia sua amministrazione e la sua imparzialità. Queste belle qualità gli sono anche riconosciute dalle autorità indigene e straniere, ed il suo governo promette i migliori frutti pel paese. Prima di esser promosso al Pascialato di Gerusalemme, egli era addetto a tutti gli uffizi di confidenza presso il Sultano. Senza dubbio, egli non smentirà l'alta opinione che tutti hanno della sua prudenza e della sua abilità negli affari.
S. E. si degnò accettare di assidersi alla modesta mensa salesiana, e dopo visitò tutta la Casa, i laboratori, le classi, i dormitori, domandando particolari informazioni dei progressi dell'Opera, dei suoi bisogni, delle sue risorse e del metodo d'educazione. Essendo di carnevale, il dormitorio degli adulti era stato trasformato in teatrino ed i nostri orfanelli rappresentarono una bella commedia in francese con vari intermezzi d'opere italiane. Era inutile fare qualche cosa in arabo, poiche il Pascià comprende solo il francese ed il turco. Speriamo che questa visita produrrà buoni risultati per lo sviluppo dell' Opera Salesiana assai benvisa dal Governo turco.
L'anno scorso nel mese di luglio il Sig. Auzèpy, Console Generale della Francia in Gerusalemme, era già venuto a presiedere alla distribuzione dei premi e rinnovò la sua visìta a Natale. Egli stima grandemente il Can. Belloni. Ciò spiega perchè, durante la visita dell'Imperatore di Germania, la bandiera francese, simboleggiante quella cattolica, sventolava sull'Orfanotrofio e perche il 13 febbraio la si vedeva issata allato di quella turca. Presagio di lieto avvenire è per un'opera cattolica in oriente l'avere, oltre al protettorato francese, tutta la benevolenza del governo ottomano.
E. J. R.
COLOMBIA
BOSA. - Solenne benedizione della prima pietra del Noviziato ed Educandato delle Suore di Maria Ausiliatrice. - Lo scorso marzo, nel dì sacro al glorioso S. Giuseppe, i nostri Confratelli di Colombia si allietarono di questo giocondo avvenimento, ricco di tante splendide speranze. La religiosa funzione riuscitissima era onorata dalla presenza di Mons. Delegato Apostolico, di Mons. Arcivescovo di Bogotà e delle più spiccate personalità del clero e laicato di Bosa.
Bosa - piccola cittadina poco discosta dalla Capitale Colombiana - diede solenne prova di ben meritarsi l'onore di avere in sè due Case Salesiane, un Noviziato e l'Educandato delle Suore di Maria Ausiliatrice.
Mons. Arcivescovo di Bogotà benedisse solennemente la pietra del primo edifizio e poscia obbligò Mons. Delegato Apostolico a benedir l'altra, fungendo da madrine diciannove Signore Cooperatrici Salesiane. Poscia l'esimio Dott. Gabriele Rosas, nostro zelante Cooperatore, pronunciò un discorso ardente ed erudito ; esaltò l'Opera di Don Bosco in Colombia e riscosse l'ammirazione di tutti. Quindi recatisi in Chiesa per la benedizione del SS. Sacramento, Mons. Arcivescovo, con parola facile, popolare e franca, eccitò gli abitanti di Bosa a voler concorrere con l'opera loro alla costruzione dei due edifizi. « So, disse egli, che non potete aiutare con limosine sì benefica opera, perchè siete poveri, ma ad essa potete cooperare lavorando nella fabbrica. Se le vostre occupazioni non vi lasciano molto tempo, impiegate quello che potete; la ragione che poco potete non valga a farvi star indietro; aiutate, fosse anche a portare solo alcuni granelli di sabbia. » Però i buoni abitanti di Bosa non avevano aspettato che il loro Arcivescovo li invitasse : si erano offerti spontaneamente ciascuno a lavorare un dato giorno della settimana.
Dopo la benedizione, in casa del R.mo Parroco locale, al suono giulivo della banda del Collegio Salesiano di Bogotà, venne servito un rinfresco alle LL. EE. RR., ai Signori Cooperatori ed allo zelanti Cooperatrici, che in gran numero avevano preso parte alla festa.
Fu una giornata memoranda per tutti.
Una madre consolata.
Il mio Lamberto, vegeto e rubicondo, che formava la consolazione e la speranza della nostra famiglia, fu colpito da un rio malore allo stomaco con febbre, congiunto ad una potente enterite, che in breve me lo ridusse in punto di morte. Il medico disperò omai della guarigione. Allora io ricorsi a Maria Ausiliatrice. Ed ecco scomparire il male e la guarigione progredire rapidamente. Quanto è mai potente Maria, conforto dei tribolati. Ora, rendendo di pubblica ragione questa grazia, offro L. 20 a Maria Ausiliatrice, perche Essa continui a guarirmi il mio Lamberto e ad aiutare la mia famiglia l
S. Martino Vallata, 17 Luglio 1899.
CUNEGONDA CASOLARI IN CIATTI.
Attesto io sottoscritto essere vere e reali le cose qui sopra espresse, ed esser pur vivo il desiderio che siano rese di pubblica ragione.
D. LUIGI SAJELLI, Parroco.
Studenti, ricorrete con fiducia a Maria SS. Ausiliatrice.
Compio un po' in ritardo una promessa fatta alla potente Ausiliatrice dei Cristiani. Correva l'anno 1898 ed io dovevo sostenere, per ottenere un impiego, l'esame di promozione dalla 3a alla 4a ginnasiale in Scuola Pareggiata. Le difficoltà erano molte. Nove anni di completo abbandono degli studi, tre mesi appena di tempo per prepararmi agli Esami, mi sembrava troppo duro il cimento. Però ricorsi, come sempre, a Maria SS. Ausiliatrice, a questa potente Madre ed Avvocata, che benigna ascolta chi con fiducia La invoca. Infatti non andò fallita la mia speranza. Presentatomi il 1° Ottobre 1898 al Ginnasio Pareggiato di Mondovì, Ella mi fece da correttrice negli scritti e da suggeritrice nei verbali, e non solo sostenni con felice esito le difficili prove, ma venni classificato tra i primi dei pochi promossi nella sezione autunnale. Possano queste poche e mie povere lodi a Maria SS. Ausiliatrice, essere di stimolo a tanti studenti ad intercedere con fiducia a sì Magnanima Dispensatrice di grazie.
Rosario di S. Fè, 4 Luglio 1899.
ANNIBALE GERNANDO RICOTTI.
I portenti della medaglia di Maria Ausiliatrice.
In un ridente villaggio della ubertosa Lombardia era giunto in fin di vita un cotale, medico di professione, che da oltre cinquant'anni più non frequentava la Chiesa ed anzi apertamente dichiaravasi incredulo e materialista. Anche in quegli estremi momenti persisteva nelle tristi sue convinzioni ed ostinatamente rifiutava i SS. Sacramenti. Troppo rincrescendo all'ottimo Parroco che una tal anima, pur alle sue cure affidata, se ne andasse perduta per sempre, inspirato dalla fervida sua divozione verso di Maria Ausiliatrice, prende una medaglia di questa benedetta Vergine fatta venire da Torino, e per mezzo di persone di famiglia la fa collocare sotto il capezzale del moribondo. Mirabile a dirsi! l'effetto fu istantaneo. Appena la miracolosa effigie ebbe tocco quel giaciglio, l' infermo, come scosso da potente elettrico, chiede del Sacerdote, con lui rinnova la sua professione di fede, fa la sua confessione, riceve tutti i SS. Sacramenti, e con sul labbro il Nome santo di Maria mezz'ora dopo spira l'anima sua nel bacio del Signore. La Madonna di D. Bosco era arrivata in tempo per salvare anche quest'anima a Lei con viva fiducia raccomandata da pietose persone. I testimoni dello strepitoso avvenimento più non vogliono restituire la miracolosa medaglia; ed il buon Parroco, raccontandoci il fatto, ci chiede in grazia altre simili medaglie, parendogli senza di essa di rimaner privo d'un grande sussidio nella cura delle animo a lui affidate. L'esempio di questo zelante Parroco è degno della nostra imitazione, mentre il fatto suesposto devo ravvivar in tutti la fiducia nella efficacia della medaglia di Maria Ausiliatrice.
Torino, 2 Agosto 1899.
Sac. ANTONIO DONES.
Da morte a vita.
Mio figlio Luigi, che conta anni diciasette e mezzo, nel giorno 7 maggio si ammalò di polmonite doppia. Il medico subito prestò le sue cure, ma non potè arrrestare la malattia, che andò sempre aggravandosi. Ricevette i SS. Sacramenti; e il medico disse non esservi più speranza di guarigione. Alla mattina del giorno 17 maggio, il mio Luigi era fuori dei sensi e gli fu data l'Estrema Unzione. Verso sera era in agonia e già stava per chiudere per sempre gli occhi. Da otto giorni non prendeva più cibo, fuorche solo qualche cucchiaio d'acqua o vino. Dopo sette ore di agonia, mi sovvenni di Maria SS. Ausiliatrice e, voltomi a Lei, dissi : « Maria SS. Ausiliatrice fatemi guarire il mio Luigi, ed io Io voto di far celebrare una Messa al vostro altare colla elemosina di L. 100 (cento) e di pubblicare la grazia nel Bollettino Salesiano. Alle ore quattro del giorno 18 il mio Luigi si svegliò come dal sonno. Interrogato se voleva prendere qualche cosa, colla testa te cenno di sì. Prese un po' di cibo; più tardi ne chiese altro poco, e poi via via in breve tempo si rimise in forze; ed ora con mio contento è guarito ed è sano e robusto sicche non pare sia stato ammalato. Pieno di riconoscenza soddisfo al mio voto, pregando si faccia celebrare all'altare di Maria SS. Ausiliatrice la S. Messa e si stampi il tutto nel Bollettino Salesiano. Viva Maria SS. Ausiliatrice !
Tiedoli di Borgotaro, 19 Agosto 1899.
PIETRO BARDINI.
Busto Arsizio. - Nello scorso ottobre venni chiamato a casa, perchè il fratello Angelo era colpito da pericolosa malattia. Lo trovai sfinito di forze, tanto che a stento potè rivolgermi la parola. Essendo breve il tempo assegnatomi e d'altra parte desiderando lasciar il fratello in buono stato, gli dissi: - La tua malattia ti mette nell'impossibilità di lavorare, ti recherà grave danno nell'interesse; v'è però un rimedio. Prometti a Maria Ausiliatrice le decime di quanto avanzerai in quest'anno. - Egli subito promise, e grazie a Maria dopo due giorni cessò la febbre, potè alzarsi, e poco dopo riprendere il suo lavoro con più assiduità di prima, sì da far fronte a tutte le spese della numerosa famiglia. Ora è ben contento di soddisfare alla promessa, mandando L. 100, delle quali 60 per le decime promesse e L. 40 in ringraziamento della grazia ottenuta e in anticipazione di nuove grazie che aspetta dalla cara Madonna di D. Bosco, la cui materna bontà ebbe altre volte a sperimentare. Questa grazia mi persuade sempre più della generosità, colla quale la Madonna ricompensa coloro che, superando il naturale affetto, lasciano nelle sue mani la cura della famiglia e seguono la voce di Dio, che li chiama a vita più perfetta. Ebbi più volte ad esperimentare come Dio benedisse largamente non solo nelle cose materiali, ma più nelle spirituali la mia famiglia, che lasciai con gran sacrifizio, per dare il nome e il cuore alla Pia Società Salesiana. Viva adunque in eterno la bontà di Maria Ausiliatrice !
12 Agosto 1899.
D. GIOVANNI MaZZA.
Faenza. - Giuseppe Masolini sente il dovere di rendere alla Vergine SS. Ausiliatrice, alla quale va debitore di tanti favori, vivissime grazie per averlo liberato in modo prodigioso da un terribile male, il quale l'aveva ridotto quasi all'impotenza, e che i medici curanti definirono nevralgia isciatica con spondilite. Tutti i rimedi applicati s'erano mostrati per lo meno inutili, ma le preghiere inalzate alla Vergine SS. Ausiliatrice, nella Chiesa a Lei dedicata, dagli innocenti giovanetti del fiorente Istituto Salesiano della nostra Città, salirono al trono di questa buona Madre, la quale tosto fece retrocedere il male, in modo che in poco di tempo il sofferente se ne trovò affatto libero. Tanto questi che la famiglia, riconoscentissimi in eterno del palese favore, rendono alla cara Vergine di D. Bosco sentite pubbliche grazie e presentano l'offerta che le circostanze permettono.
Giorno di Maria SS. Assunta in Cielo del 1899.
Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice, e pieni di riconoscenza inviarono offerte al sito santuario di Torino o per la celebrazione di S. Messe di ringraziamento, o per le Missioni Salesiane, o per le altre Opere di D. Bosco, i seguenti
A*) -Acireale (Sicilia): Ignazio Rigano-Mangeri, L. 40. - Agno (Canton Ticino): Annetta Bernasconi, 10 per due Messe di ringraziamento. - Alessandria M. G. C. S., 2. - Asti : Anna Bolle, 40 a mezzo del Direttore Diocesano D. Secondo Gay; Angela Perdomo-Fassio, 5 per Messa.
(*) L'ordine alfabetico qui segnato è quello delle città o paesi cui appartengono i graziati da Maria Ausiliatrice.
B) - Bagnaria (Pavia): Francesca Tamborini, 5. - Barlassina (Milano): Enrica Asiago, 1 per Messa. - Belforte (Mantova): N. N., 5. - Bellinzago (Novara): Giovanni Barbero per una famiglia riconoscente, 10. - Besate: N. N., 5. - Bleggio (Trentino): D. Gio. Battista Lenzi, Parroco, a nome suo e per la Sig.a Clementa Malacarne di Sesto-Bleggio e Maria V. Martini di S. Croce Bleggio, 20 per Messa di ringraziamento. - Brescia: Una madre di famiglia per due segnalati favori, 5 per Messa. - Brusson: D. Z. Per rod, Parroco, 10.
C) - Careggine: Elisabetta Prosperi in Zerbini, 5 per Messa. - Casale Monf.: Una Cooperatrice Salesiana, 45 per Messa di ringraziamento.-Castelletto Ticino: Antonietta Velati-Bellini, 3 per Messa. - Castelnuovo Scrivia: D. Giuseppe Scacheri, 15 a nome di tuia buona donna, cui fu guarito il figlio sedicenne in seguito a novena a Maria Ausil. - Castiglione d'Asti: Carolina Rodano. - Cigliano: Teresa Vigliano, 5 per Messa. - Cittadella (Padova): Domenico Gnoato, 2 per Messa a mezzo della Cooperatrice L. Bravo. - Collegno: Catterina Ellena, 3. - Crescentino: Domenico Graziano e famiglia, 10 per Messa. - Crespadoro C. E. - Crodo : Giuseppe Tobelli di Pietro, 5 per Messa.
F) - Faenza: Giovanni Visani, 1. - Falicetto: Maria Mattio, 3. - Forlimpopoli : Giulia Amici, 5.
G-) - Gemona (Udine): C. Palese, 2.
L) - La Thuile (Aosta): Louis Bletton, 5. Lecco : Ch. Carlo Figini, 2.
M) -Meda (Brianza) : Cleofe Agrati-Valtolina per la guarigione del marito. - Milano: Maria Dealberti. - Monastero Bormida: Francesco Dabormida, 5 per Messa. -Moneglia: Maria Ravettino in Marcone, 6. - Montechiarugolo: Angusto Fratta. - Monterano (Roma): D.. Pietro Cassi-Canale, 5. -Malazzano: Sorelle Bersani, 5 per Messa.
N) - Nicastro (Catanzaro) : Baronessa Nicotera di Martà, 10.
O) - Orsara Bormida (Alessandria): Alessandro Sesino, 3.
P) - Parma : D. E. L., 5. - Parona all' Adige (Ve rona) : Sorelle Maria e Vittoria Campostrini, 2. - Pedemonte: Sac. B. D. Grasso, per la guarigione di due suoi nipoti. - Pobietto (Novara) : D. Pietro Bovio, Rettore, per la guarigione di certa Francesca Razzano, 10.
R) - Reda: D. Antonio Bedeschi, Parroco, 5. - Rive Vercellese: Antonio Patrucco, 2.
S) -S. Cipriano: Gaetana Semino a nomo di certa R. G. - S. Damiano d'Asti: Fiorenza Montanera, insegnante, 5 per Messa. - S. Francesco al Campo: Angela Bardina, 5. - S. Lorenzo al tifare: Teresa Vizzardelli-Varese, 10 per due Messe. - Sannazzaro: Giuseppe Autonelli a nome di certa Francesca Capsoni. - S. Vittoria d'Alba: Teresa Poro-Jardini a nomo di pia persona graziata, 2,50. - Sartirana Lomellina: Francesco Pianzola, studente, per l'ottenuta insperata guarigione della sorella Catterina, 5 per Messa. - Serrenti (Cagliari): Ch. Aurelio Maria Sanna, 2,-I) ed un paio d'orecchini d'oro per Messa. - Solzago (Conto) : D. Emilio Spaini, Parroco, 16 per Messa, a none di suo fratello. - Stradella: M. D. Ved. S., 10 per due Messe; Ercolina Santa, 2 per Messa. - Strambino: Due sorelle, 20.
X) - Tesserete (Cantora Ticino) : Adelaide Fumasoli, la cui relazione verrà pubblicata in un prossimo numero. - Torino: Luigi Rosso; Isabella Piccinini, 5; Matilde Boriero con offerta per Messa; Maria Pesce Maineri, 55 per due grazio segnalatissime; una Figlia di Maria ; Evasio Della-Valle. - Torre de' Basi (Bergamo) : Maria Losa, 5 per Messa di ringraziamento della guarigione del proprio figliuolo Carletto. - Trefiui di Monchio (Parma): N. N., 2. - Tremignon (Padova): D. Gabriele Migliorini, 1 - Trino Vercellese: Salvina Vercellese, 1; Teresa Ferraro, 50 a mezzo del Direttore del Collegio Salesiano D. Clemente Bretto.
V) - Varallo Pombia: Maria Ingignoli, 2; Catterina Ingignoli, 3; Rosa Favitti, 2; Maria Bolognini, 5 ; Maddalena Balossi, 1. - Verona : 1 Coniugi Eligio ed Emmelia Morando De Rizzoni, 5 per Messa ; R. G., 2 per Messa. - Verano: Marianna Mortarotti a mezzo di Maria Ingignoli di Varallo P., 11. - Villanova d'Asti: Francesco Vigna. - Volvera: Filippo Garrotte per la guarigione della figlia d'un suo amico.
X) - Una famiglia riconoscente per vittoria riportata ne' tribunali, 5. - Un antico allievo salesiano, 10. - Angela Sella, 5. - Francesca Cotta, Cooperatrice, 10 per due Messe. - Elisabetta Chiapusso, 2 per Messa. - Teresa Tartaglino, 2. -- Una madre di famiglia pel buon esito degli esami di suo figlio, 5 per Messa. - N. N., 10. - Maria Baratta, 5 ed un anello. - A. M.
UN NOSTRO ANTICO ALLIEVO eletto Vescovo Coadiutore di Torino.
Una notizia che fa certamente piacere a tutti quanti i Salesiani ed ai nostri cari Cooperatori si è quella data dai giornali torinesi il giorno 7 settembre, che cioè il S. Padre, volendo dare una prova di predilezione al nostro attutissimo Cardinal Arcivescovo coll'alleviargli il grave peso del pastoral ministero, degnossi di nominargli un Coadiutore nella persona dell'Ill.m° e Rev.m° Teol. D. Luigi Spandre, Curato della Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo in Torino.
Diciamo che fa piacere a noi tutti questa notizia; giacchè Mons. Luigi Spandre, pio, zelante, dotto, uomo di immensa carità ed assai benemerito della cittadinanza torinese, è antico allievo del nostro Oratorio di Torino, e sempre ci ha dimostrato uno speciale attaccamento , aiutando e sostenendo in mille guise l'Oratorio festivo Salesiano di S. Giuseppe, esistente nella stessa sua Parrocchia.
A lui quindi plaudenti porgiamo le nostre più vive congratulazioni; al S. Padre sinceri ringraziamenti. Sorga presto il giorno dell'episcopale consacrazione ! Sarà quello un giorno di gioia e di festa non solo pei suoi diletti parrocchiani e pei Torinesi, ma in modo particolare per tutti quanti sono figli di D. Bosco.
LA CHIESA VOTIVA ALLA SACRA FAMIGLIA in Ancona.
Come i nostri lettori hanno rilevato dal precedente numero di questo Bollettino, insieme al nuovo Istituto Salesiano sorge in Ancona una magnifica Chiesa votiva, che i fedeli di tutto l'orbe consacrano alla Sacra Famiglia., per impetrarne protezione e soccorso nell'imminente nuovo secolo XX, e che verrà pure ufficiata dai Salesiani.
Primo oblatore per l'erezione di questo tempio ha voluto essere S. S. Leone XIII, al quale tanto sta a cuore che la divozione della S. Famiglia si propaghi in tutto il mondo e si consacri con un solenne monumento. E molto opportunamente un tal monumento si fa sorgere in Ancona, città già celebre per antichissimi santuarii, di cui parla a lungo anche S. Agostino (Serm. 32, alias 323 de diversis), e capoluogo di quella regione e di quella provincia, che la Regina del Cielo ha prescelto per collocarvi la sua santissima Casa, ove la S. Famiglia è vissuta e donde ha irradiato tanta luce celestiale sull'universo.
S. S. Leone XIII inoltre, ad incoraggiare tutti i pii oblatori, ha regalato due splendidi doni, cioè un grande orologio d'oro con lo stemma pontificio in ismalto, e due artistici vasi giapponesi.
Altri ricchi doni ha pure aggiunto S. Em. il Card. Manara, Vescovo di Ancona: e questi ed altri magnifici regali saranno estratti a sorte entro il p. v. anno fra tutti quei pii oblatori di qualunque paese che offriranno almeno una lira, avvertendo che ogni lira in più d'offerta dà diritto ad un nuovo numero da sorteggiarsi.
Le schede di sottoscrizione con un opportuno appello si possono avere, inviando un semplice biglietto da visita ai Cancelliere Vescovile in Ancona, ovvero a Mons. Can. Rodolfo Bagnini (Ancona) promotore di quest'opera: ed ai medesimi vanno pure inviate le offerte che si raccolgono per quest'opera altamente benemerita e santa
UNA NUOVA CAPPELLA ALL'ADDOLORATA.
La nostra artistica Chiesa di S. Giovanni Evangelista in Torino quest'anno si è abbellita di una nuova Cappella dedicata all'Addolorata. Essa venne inaugurata con solenni funzioni la mattina del 6 settembre scorso, alla presenza di Sua Eminenza il Card. Arcivescovo Agostino Richelmy.
All'ora prestabilita giungeva l'Eminentissimo Porporato, atteso da gran folla di popolo e ricevuto dal Rettore della Chiesa D. Giovanni Sammorì e dal clero locale. Tosto si recò alla nuova Cappella.
Dessa è opera dell'Ing. Stefano Molli, il chiaro autore degli edifizi dell'Esposizione delle Missioni, il quale seppe costruire un edifizio che armonizza completamento coll' architettura generale della Chiesa, cui è annesso, superando anche qualche difficoltà di livellazione, avendo dovuto innalzare il piccolo santuario un po' più su dal piano normale della Chiesa, eseguendo a tal uopo una breve scalinata in marmo. Vi si accede dalla navata sinistra, presso l'altar maggiore. Ha sette arcate, nelle quali verranno dipinti da valente artista torinese i Sette dolori di Maria.
Dopo le preghiere di rito, l'Em.° Cardinale procedeva, in mezzo alla folla riverente, alla benedizione solenne di questo tempietto della Regina deì Dolori. S'organizzò quindi una modesta processione, pel trasporto della statua dall'antica cappella alla sua nuova magnifica sede. L'Eminentissimo Cardinale, che chiudeva il corteo, arrivato alla nuova Cappella, pose termine alla cerimonia con uno di quei soliti suoi discorsi, da cui tutto traspira e la sua eloquenza, ed il suo ardente affetto per le anime e la sua tenera divozione per Maria.
Questa prima funzione, compiuta dall'Em.mo Card. Richelmy , diede principio ad un solenne novenario, che ebbe uno splendido incoronamento la Domenica 17 settembre, festa di Maria Addolorata, mentre sotto al porticato del vicino Istituto si svolgeva una imponente fiera di beneficenza per sopperire ad una parte delle spese incontrate.
Ed ora la nuova Cappella è divenuta la meta de' devoti di Maria, i quali, compatendo ai dolori della Vergine, da Lei apprendono a sopportare con rassegnazione le tribolazioni della vita in unione di Colui, che, felice in so stesso, per noi volle essere l'Uomo dei dolori, tutto versando fino all'ultima stilla il suo sangue per il nostro riscatto.
IL SANTO PADRE LEONE XIII e l'Opera Salesiana in Malta.
Informato il S. Padre di quanto fanno i zelanti Cooperatori Maltesi per avere fra di loro i figli di D. Bosco, degnavasi inviare loro l'attestato del suo pieno gradimento ed una speciale benedizione per mezzo della seguente lettera dell'Em.mo Cardinal Rampolla diretta ai Sigg. Paolo Sammut e Alfonso Galea, Malta.
Ill.mi Signori,
Il Santo Padre ha appreso con piacere che, per l'iniziativa di un insigne benefattore e mercè il lodevolissimo concorso delle SS. LL. Ill.me, stà per essere fondata in Malta una Casa di Salesiani. Consapevole Sua Santità del grandissimo bene, che i figli di D. Bosco fanno dovunque sono chiamati, si compiace nella speranza che i Cattolici Maltesi non tarderanno ad essere messi a parte di siffatto bene. E tanto più se ne rallegra, perchè, avendo inteso che si ha il progetto di erigere anche una Chiesa pubblica da affidarsi agli stessi benemeriti Salesiani, ne argomenta la maggiore facilità che avranno i Cattolici Maltesi, e specialmente i giovani, di adempiere ai loro doveri religiosi.
Il Santo Padre mi ha quindi commesso di esprimere alle SS. LL. la Sua augusta soddisfazione per l'annunziata erezione del novello Istituto, e, desiderando che questo giunga presto a compimento, si è degnato impartire una speciale benedizione così a quelli che ne hanno promosso l'erezione, come a coloro che anche in seguito ne favoriranno lo sviluppo.
Nell'eseguire di buon grado il venerato incarico della Santità Sua, godo raffermarmi con sensi di perfetta stima
Delle SS. LL. Illme
Roma, 25 Luglio 1899.
Aff.mo per servirle
M. CARD. RAMPOLLA.
I FIGLI DI DON BOSCO ad Ascoli-Piceno.
Anche Ascoli-Piceno oramai è stabilito come un altro centro dei pensieri e delle azioni del nostro venerato Don Bosco.
Lo zelo instancabile di quel missionario D. Cantalamessa, l'attività costante di quel Mons. Vicario Generale, la pietà nascosta, ma pur operosa e per noi tanto benevola di quel Rev.mo Canonico Cinaglia, vogliono, e con insistenza, nella loro città i figli di D. Bosco; e sia.
Il Sig. D. Rua ora ha accettata la proposta in genere, e quando si saranno fatte le convenzioni, anche gli Ascolani diventeranno l'oggetto del suo cuore caritatevole e Don Bosco sarà in Ascoli.
Questa illustre ed antica città d'Italia, notissima per l'indole eccellente, cordiale dei suoi cittadini, apprezzerà, ne siamo certi, le fatiche dei Salesiani, ed i figli del popolo in modo particolare ne trarranno molto profitto in quel genere d'istruzione e di educazione, di cui avranno maggiore bisogno.
ESEMPI DA IMITARE.
Il Sig. Tancredi Oliva e Sorelle di Genova, in suffragio dell'anima del compianto genitore Prof. Carlo Oliva, offrirono per le Opere e Missioni Salesiane L. 500.
Il Rev.mo D. Luigi Massa, Can. di N. S. delle Vigne in Genova, con disposizione testamentaria lasciava ai Salesiani un suo altare portatile del valore di L. 300.
S'abbiano queste anime care un degno compenso da Dio colla requie e la gloria del Paradiso, che di cuore loro imploriamo con fervide preci.
Speciali feste a Maria SS. Ausiliatrice si celebrarono nella Cattedrale di Troia in quel di Benevento, a Barrafranca nella Diocesi di Piazza Armerina e nel Santuario della Vittoria a Busalla.
Si diffonda ovunque la divozione a questa nostra buona Madre, e dovunque si proveranno i benefici effetti del potente suo aiuto.
1 Ascheri Avv. Serafino - Porto Maurizio.
2 Baleria Carolina - Salto Canavese (Torino).
3 Baleria Francesca - Salto Canavese (Torino).
4 Benone Matteo - Mondovì (Cuneo). 5 Bertolino Filippo - Torino. 6 Biraghi Paolina - Milano.
7 Boetto D. Giuseppe - Cavour (Torino.
8 Bonzanino Giovanna fu Giuseppe - Torino.
9 Botta D. Serafino - Casasco (Alessandria).
10 Briscioli Cristoforo - Capo di Ponte (Brescia).
11 Callegari D. Davide - Vegni (Alessandria).
12 Cavallero Michele - Visimo (Alessandria).
13 Chiaf Prof. D. Pietro - Palosco (Brescia).
14 Dal Castagnè D. Giovanni - Trento. 15 Daville Orsola - Moeno (Trento). 16 Delfarini Ernesto - Olivone (Svizzera.
17 De Matteis Enrico - Pecetto (Torino).
18 De Michelis Valentino - Ormea (Cuneo).
19 Di Giovanni Mons. Luigi - Palermo.
20 Di Saluzzo di Paesana e Castellar Maria - Castellar (Cuneo).
21 Fadini Carlo - Orio al Serio (Bergamo).
22 Filip Peirani Teresa - Paesana (Cuneo).
23 Focacci Maria - Amborzasco (Genova).
24 Galleani d'Agliano Fra Lorenzo dei Conti di Caravonica, Comm. di Malta o dell'Ordine Piano, Cav. di Giustizia, Prof. e Comm. dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia - Roma.
25 Ghisoni Rosanna - Parma.
26 Guanella Margherita - Ardenno (Sondrio)
27 Hénin Cav. Anatolia - Milano.
28 Hénin Eugenia n. Bonthon - Milano.
29 Medici Maria - Trezzo (Milano).
30 Michela Margherita - Torino.
31 Moccafighe Giovanni - Bocchetta Palafea (Alessandria).
32 Morandi Laurettana ved. Barittoni Fusignano (Ravenna).
33 Morini Cont.a Teresa ved. Ginnasi Faenza (Ravenna.)
34 Mosca ved. Caterina - Racconigi (Cuneo).
35 Palermo Giov. Batta-Riomaggiore (Genova),
36 Prever Paolo - Borgo S. Dalmazzo (Cuneo).
37 Scrivano Giuseppe - Melazzo (Alessandria).
38 Sorci Celestina- Cagliari.
39 Sola Lucia - Carmagnola (Torino). 40 Spada Giuseppe- Marano (Verona). 41 Tarony Amalia ved. Sorisio - Ottiglio (Alessandria).
42 Tufi Basilio - Capranica (Roma). 43 Vasco Padre Enrico - Torino. 44 Zanolli Teresa - Brescia.
45 Zanoni Giov. Batta - S. Ambrogio (Verona).
46 Zunino D. Davide - Sestri Ponente (Genova).