ANNO X - N. 7. Esce una volta al mese. LUGLIO 1886
DIREZIONE nell'Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo, N. 32, TORINO
SOMMARIO - La festa di Maria Ausiliatrice a Valdocco in Torino - Grazie di Maria Ausiliatrice - Don Bosco nella Spagna e il monte Tibi dabo-Una Chiesa nuova - Missione sulle sponde del Rio Colorado - Il Cuore di Gesù e l'umiltà - Una lettera di Augusto Nicolas - Collegio Convitto Manfredini in Este - Esercizi Spirituali per Signore, Zitelle e Maestre e Cooperatrici Salesiane in Nizza Monferrato = Catalogo assortito di libri di premio per gl'Istituti maschili e femminili - Avviso.
Viva Maria Ausiliatrice! Questa fu l'ultima espressione di gioia, di meraviglia e di sacro entusiasmo che noi abbiamo sentito, il 24 maggio, dal labbro eloquente di D. Luigi D'Antuono, che diceva le lodi di Maria SS. invocata sotto questo bel titolo. Tale pure era il grido delle migliaia di persone che lo ascoltavano e tale fu il nostro alla vista di tanta fede che in questi giorni si era manifestata ai piedi degli immacolati altari della Regina degli Angioli. La festa di Maria Ausiliatrice fece provare a tutti dolcezze ineffabili e dicevano gli uni, gli altri : Finché la fede ha così profonde radici nel cuore delle nostre brave popolazioni, invano si travaglierà l'opera degli empi al danno della religione in questi paesi.
Il concorso dei fedeli, già numeroso durante il mese di maggio, domenica, 23, era cresciuto a tal segno, che pareva non la vigilia, ma il giorno della festività. Il tempio era adobbato con gusto squisitamente cristiano.
Alle 5 3/4 ant. la sezione S. Gioachino dell'Unione cattolica operaia di Torino, preceduta dalla bandiera, entrava nel Santuario con operai di altre sezioni. I soci erano stati convocati col seguente invito
« Operai, fratelli nostri in G. C.,
» Da S. E. Rev.ma Mons. Giovanni Cagliero, vicario apostolico della Patagonia , socio onorario di questa Sezione, ci è pervenuta una consolante notizia.
» Nel mese di marzo u. s. per la zelantissima opera di questo Prelato fu fondata a Buenos-Ayres nella parrocchia estesissima di S. Carlo in Almagro una Società operaia cattolica. Ed ora sta pure per essere inaugurata una consimile Società in Carmen, territorio patagone.
» La sezione S. Gioachino, che innalza da due anni fervide preci per monsignor Cagliero e per le missioni salesiane, ed ora vede queste benedette e prosperate, sente il bisogno di renderne pubbliche grazie a Maria SS., la quale, invocata Ausiliatrice dei Cristiani, non venne mai meno alle speranze dei suoi devoti.
» La funzione avrà luogo la vigilia della festa di Maria SS. Ausiliatrice, cioè domenica 23 maggio, alle ore 6 antim. precise, nella chiesa da lei intitolata in Valdocco.
» Vi celebrerà la santa Messa il Rev.mo canonico Raffaele Forcheri , segretario di S. E. il Cardinale Arcivescovo e socio onorario. Infra Missam, si farà l'offerta di ringraziamento, e dopo il fervorino la comunione dei presenti con accompagnamento d'organo e canto di sacri mottetti.
» La nostra funzione sarà seguita alle ore 7 dalla Messa della comunità salesiana. Quelli che non ne sono impediti, vi si fermino e ne riporteranno certamente soave e commovente ricordo.
» Soci carissimi,
» Il venerando D. Bosco, nostro presidente onorario, reduce testè dalla Spagna, veda che gli operai cattolici di Torino non sono dammeno di quelli della Francia e della Spagna. Accorriamo gloriosi del nostro distintivo e della nostra bandiera. Ringraziamo Maria SS. Ausiliatrice del felicissimo viaggio di D. Bosco, ringraziandola della prosperità delle missioni e dei nuovi fratelli acquistati. Preghiamola a continuarci tante benedizioni.
» Auxilium Christianorum , ora pro nobis.
» Torino, 16 maggio 1886.
» Il presidente della Sezione
» CARLO RIVA
» Il segretario
» ALBERTO PIOTON.
» NB. Quei soci che desiderano riunirsi colla Sezione, si trovino nella chiesa di S. Gioachino alle ore 5 1/2, ove si partirà in corpo colla bandiera. »
Fu uno spettacolo meraviglioso il vedere quei robusti operai pieni di fede inginocchiarsi a fianco dei piccoli artigianelli dell'Oratorio. Giunta la Messa all'offertorio, il presidente della sessione si avanzò ai piedi dell'altare e lesse ad alta voce un bel indirizzo di ringraziamento a Maria SS. Il Rev. can. Forcheri con eloquenti parole gli rispose come la Madonna accettasse quell'atto di ossequio e i motivi pei quali erale gradito. Prima della comunione eziandio si rivolse alla moltitudine , e con sentimenti che traboccavano da un cuore pieno di affetto per Gesù Cristo , la invitò a ricevere degnamente il divin Salvatore in Sacramento. Intanto D. Bosco era uscito a celebrare la santa Messa nella cappella di San Pietro, servendolo all'altare il Presidente delle Sessioni riunite degli operai di Torino e il presidente della Sessione di S. Gioachino, il signor Boniscontro e il signor Riva. La folla allora serrossi così compatta intorno a quella cappella da interrompere il passaggio alla sacrestia.
Alle 10 1/2 monsignor Cumino, vescovo di Biella, tenne il suo primo Pontificale, e fu eseguita la Messa dell'Haydn a grande orchestra. Nelle ore pomeridiane poi si tenne nella chiesa la Conferenza salesiana che riuscì numerosissima. V'intervenne Don Bosco, reduce dalla Spagna e dalla Francia, ove colla sola sua presenza aveva mosso i cuori alla beneficenza. Comparve all'altar maggiore fra i suoi Cooperatori, e la sua vista fu per tutti quella di un padre tra i figli. Aveva lasciato sperare che avrebbe parlato , ma non sentendosi abbastanza in forze. parlò in sua vece il bravissimo Don Bonetti Giovanni. Egli seppe santamente commuovere il cuore de' suoi uditori , dicendo che la Vergine Ausiliatrice nell'averli chiamati a cooperare alle opere salesiane a benefizio della gioventù pericolante od abbandonata, rivolgeva a ciascheduno di loro quelle espressive parole che disse la figlia di Faraone alla madre di Mosè quando le consegnava il figlio di cui ella doveva essere la fortunata salvatrice Prendi questo bambino e allevamelo e io ti darò la tua mercede. Presiedeva l'assemblea monsignor Chiesa, vescovo di Pinerolo, e chiamato or ora dal Pontefice a reggere la diocesi di Casale, che poneva termine alla conferenzione, benedicendo pontificalmente col Santissimo Sacramento. Il racconto delle opere fatte, di quelle che sarebbero da farsi per mano dei Cooperatori salesiani colle loro elargizioni, mossero gli animi a generosità, e cospicua ne fu l'elemosina raccolta con difficoltà, essendo troppo grande la calca.
Tra gli altri è memorabile l'esempio di un povero artigiano che, malgrado la moltitudine , aiutandosi di braccia , riuscì ad avvicinarsi a D. Bosco , e deponendo dieci scudi nelle sue mani, gli disse : -- Sono sei mesi che metto in disparte questo po' di risparmio. Se lo abbia per i suoi orfanelli. - Altre offerte arrivarono per altre vie nelle mani dell'uomo venerando che si ebbe una generale ed affettuosa ovazione, quando uscendo di chiesa comparve nel gran cortile dell'Oratorio, ove eransi affollati i Cooperatori col desiderio di ossequiarlo. Era un trasporto generale di affetto che muoveva i cuori e li agitava a manifestarsi in più modi. Chi non vide D. Bosco tra i suoi non può farsi un'idea che cosa sia entusiasmo. Era però questo mescolato ad un sentimento di pena, vedendo D. Bosco così lento a muoversi, così incurvato nella persona! - Come invecchiò, buon Dio, si esclamava; ma il Signore e la Madonna ce lo conserveranno per molti anni ancora. - Alle 6 incominciarono i vespri pontificati da monsignor Cumino, il quale dopo la predica impartì per la seconda volta la benedizione col Venerabile.
Ma spettacolo bello, commovente presentava la chiesa di Valdocco nelle ore antimeridiane di lunedì. Quanta gente d'ogni condizione, d'ogni paese che si accostarono alla Mensa eucaristica! Dall'alba fino al mezzodì fu un avanzarsi continuo di comunicanti desiderosi di acquistare le sante indulgenze e la protezione di Maria SS. Ausiliatrice. Mons. Cumino lesse la messa della Comunione generale. Perfin dalla Lombardia vennero pellegrini a piedi, desiosi di assistere alla cara festività. Il certo è che lunedì all'Oratorio Salesiano tanta folla non si vide mai. Eppure era giorno feriale.
Alle 10 e mezzo chi potè trovare un posticino in chiesa ebbe bella fortuna. L'Eminentissimo Cardinale Arcivescovo , ricevuto dal clero alla porta del tempio, assisteva in cappa magna alla Messa pontificata da Sua Eccellenza Rev.ma mons. Chiesa. Fu eseguita la Messa di mons. Cagliero detta di Santa Cecilia , concertata e diretta dal bravo maestro Giuseppe Dogliani, ed accompagnata all'organo dall'abilissimo professore sac. M. Ottonello. Vorrei essere capace a descrivere l'effetto che quelle note armoniose e soavi produssero in tutti gli astanti. Quale intreccio di voci, quale grazioso accompagnamento di violini, di trombe e flauti! Su quell'orchestra eransi radunati, coi figli di D. Bosco, moltissimi cantori e suonatori di vaglia che prestarono gratuitamente l'opera loro. Tra suonatori e cantori passavano il numero di 200: eppure accordo più perfetto non potevasi desiderare.
Quella musica è sacra, è ricca di tanta melodia, che innamora. L'intendono tutti. Felicissimo il Qui tollis peccata mundi : è un'anima innocente che comincia a chiedere misericordia al Signore; una voce fanciullesca che con quella ripetizione pare abbia diritto ad essere esaudita da Dio. Meraviglioso effetto l'Incarnatus est del
Credo e il Sepultus est, messo in nota di una quasi marcia funebre. Brillante il Resurrexit, che pare annunzii una vittoria.
L'Agnus Dei commosse tutte le fibre.
É una ripetizione lunga, ma sempre soave, bella, veramente cristiana. L'eccellentissimo monsignor Cagliero, se anche non avesse nel suo partire per la Patagonia lasciato ricordi carissimi della sua persona, può star sicuro che basterebbero le sue Messe, i suoi Vespri, i suoi Inni a rendere eterna la ricordanza di lui nell' Oratorio Salesiano e in tutti i Torinesi. Se Egli non solo col pensiero, ma col corpo avesse potuto il giorno 24 trasportarsi tra di noi e sentire l'esecuzione della sua musica avrebbe certamente applaudito. I musici nella loro interpretazione furono veramente felici. Per quelle note si sentiva un non so che di celeste ad aleggiar per la Chiesa che accendeva a divozione.
In quanto ai Vespri e all'inno detto la Battaglia di Lepanto, diremo che ascoltando il Laudate pueri del Capocci sentivamo la verità di quel detto Scritturale, le lodi dei fanciulli essere gradite al Signore e ascoltando il Saepe dum Christi credemmo assistere ad una vera battaglia. Il reverendo D. D'Antuono, che predicò tutto il mese di maggio, tessé il panegirico di Maria Ausiliatrice dimostrando che questo titolo di Maria è un inno di trionfo pel passato, ed una profezia per l'avvenire. L'uditorio crebbe ancora, ma la vasta chiesa non potè contener tutti i fedeli : ci sarebbe voluto il Duomo di Milano. La benedizione, impartita col Venerabile dall'Em.mo Cardinale Arcivescovo, assistendo pontificalmente Mons. Chiesa, mise sigillo alla splendida solennità religiosa. L'altar maggiore attraeva lo sguardo in un modo sorprendente per gli ornati, opera del valente indoratore Torinese Minoja Giovanni, e per il gran numero di lumi.
La festa nell'interno dell'Oratorio fu pure lietissima. Se nel tempio migliaia di fedeli eran convenuti da ogni paese, nella Casa di D. Bosco , ove l' ospitalità è proverbiale , si erano radunati centinaia di sacerdoti e laici amici di Don Bosco venuti da lontani paesi per rallegrarsi con lui e tenergli lieta compagnia. Oltre l'eminentissimo Principe, resero colla loro presenza più bella questa giornata i Vescovi di Casale, di Biella, monsignor Richelmy, nuovo vescovo di Ivrea , e il Conte Colle di Tolone con la sua illustre consorte.
Possa il nostro amatissimo D. Bosco provar sempre consolazioni ineffabili. La Vergine Ausiliatrice lo benedica , lo assista sempre amorosamente, e lo conservi per moltissimi anni all'affetto dei buoni, al vantaggio dei numerosissimi suoi figli spirituali, sparsi in Italia, in Francia e fin nelle lande selvagge della Patagonia.
In quella sera egli potè udire dalle sue camere il grido immenso di Viva Maria Ausiliatrice in cui proruppe un popolo di sei o settemila persone che uscito dalla Chiesa e riversatosi nella piazza e strada prospicienti, lasciavasi trasportare dalla gioia e dall'entusiasmo alla vista della cupola illuminata come per incanto. Quel grido sarà stato certamente per lui la più cara ricompensa per quanto si era faticato in questo mese per la gloria della Vergine Benedetta.
A compimento della relazione sulla festa di Maria SS. Ausiliatrice , notiamo alcune fra le moltissime grazie ottenute , delle quali abbiamo ricevuta notizia, riserbandoci a suo tempo di pubblicare le pìù belle in apposito libretto a gloria della gran Madre di Dio.
Gerra Gambarogno (Canton Ticino) 14 Maggio 1886.
Dopo quattro anni di incredibili angoscie in cui versava la mia famiglia causa una terribile disgrazia che incolse mio fratello, colpito da monomania, or finalmente siamo consolati e rallegrati per la di lui prodigiosa guarigione. Il giorno 11 gennaio p. p. supplicavo la S. V. R. a voler pregare e far pregare Maria SS. Ausiliatrice per l'infelice mio fratello quando la guarigione fosse espediente alla salute dell'anima sua ed ebbi per risposta che il giorno 20 dello stesso mese si sarebbe incominciato nell' Oratorio una novena di preghiere e di comunioni. Or bene mentre io pure mi univo a questa novena colla recita di tre Pater, Ave e Gloria al sacro cuor di Gesù e tre Salve Regina a Maria Ausiliatrice venni poco dopo a sapere che mio fratello era migliorato. Il 30 aprile riceveva il consolante invito dalla Direzione del Manicomio di Como ove da tre anni era ricoverato con grande sacrifizio della famiglia, di andarlo a ritirare perchè ricostituito nelle facoltà mentali. Mi recai tosto a Como e il primo giorno del mese sacro a Maria lo ricondussi a mia casa e quindi in seno alla famiglia, ove fu accolto fra il giubilo dei parenti e degli amici ! Siane mille volte benedetta e ringraziata Maria SS. Ausiliatrice la quale ci ottenne dal suo divino Figlio una così segnalata grazia.
Sac. PIETRO PEDROTTA Curato. Torino 17 maggio 1886.
Sono debitore alla nostra buona Madre Maria SS. Ausiliatrice della mia ricuperata sanità. Dopo un mese di gravi malattie, complicate, dalle quali avevo poche speranze di guarigione, eccomi per intercessione di Maria SS. quasi allo stato primitivo cioè di quando stavo perfettamente bene. Sono padre di numerosa famiglia ed una mia disgrazia sarebbe stata doppiamente funesta. Maria ha visto le mie necessità e mi ha risanato. Sì, lo riconosco proprio e me lo sento in cuore che sono in vita per grazia della Madre celeste. Ma che farò io in compenso? Non sapendo fare altro ho promesso a Maria di essere tutto suo, di far tutto a suo onore e gloria e di manifestare a lei molto rev. D. Bosco la mia obbligazione e riconoscenza perpetua. Anzi se ella vorrà in qualche modo rendere per me un tributo di ringraziamento a Maria Ausiliatrice rendendo pubblica l'ottenuta mia guarigione, lo faccia pure che gliene sarò obbligatissimo.
Rossi GIUSEPPE.
Fano 24 maggio 1886.
Le spedisco una mia offerta in ringraziamento di un favore ottenuto per intercessione di Maria Ausiliatrice ed eziandio perchè essendo ammalato in pericolo di vita, invocata Maria Ausiliatrice, fui ristabilito in perfetta sanità.
FRANCESCO ARCID. MASETTI.
Caresana 29 maggio 1886.
Accetti questa tenue offerta in onore di Maria Ausiliatrice che fu preceduta da novena alla gran Madre per grazia ricevuta istantanea.
A. B.
Mont... 30 maggio 1886.
REV. SIGNORE,
Adempio, dopo dieci mesi dacchè le ho scritto, ad un sacro dovere e lo adempio col cuore ripieno di santi affetti di gratitudine di riverenza e di amore verso Maria SS. Ausiliatrice. Le scriveva l'anno scorso col cuore rigonfio di ambascia, non sapendo a chi rivolgermi per aiuto nel sostentamento della mia famiglia alle sole mie cure affidata. Avevo cercato per vie umane soccorsi, i quali con somma mia umiliazione mi vennero bruscamente negati, quando Maria Ausiliatrice per mezzo di una pia persona, mi pose sott'occhio il libretto banditore della sua potenza e gloria, ispirando di affidarmi a lei. Lo feci. Non era peranco finita la novena che costì facevasi per me che mi giunse il sospirato aiuto, precisamente per quella stessa via la quale gli uomini mi tenevano chiusa e potei collocare due figlie in un pio istituto ove sono gratuitamente mantenute, educate ed istruite. Vedendo però Maria che tal soccorso era troppo scarso pei miei bisogni, mi ottenne un impiego onorevole pel quale sopperisco ai bisogni del restante della mia famiglia. Ora che di tanto mi ha favorito Maria Ausiliatrice, rendiamogliene grazie coll'aggiungere alla luminosa corona delle sue glorie anche questo bel fiore che per la sua rarità è degno di unirsi agli innumerabili che già cingono il di lei capo glorioso.
G. Z. S.
Lequio Tanaro 31 maggio 1886.
Qualche anno fa pervenutomi un libretto delle grazia di Maria Ausiliatrice , lo porsi al figlio primogenito gravemente infermo di polmonite. Questi in leggerlo trovò una guarigione miracolosa in un caso simile al suo, ravvivò la fede, si raccomandò a questa Regina delle grazie e fu guarito. Ora un'altra grazia debbo segnalare di questa portentosa Vergine, che non volle orfani i miei cinque figli dei quali l'ultimo in fasce. Caduta inferma di polmonite nel settembre scorso, con incredibili sforzi passai l'inverno, e in questo essendo io ricorso a Maria Ausiliatrice Essa mi diede guarita proprio nel suo mese prediletto, in quel mese nel quale ho più bisogno di sanità per le molteplici faccende domestiche e di campagna.
V. GIOVANNA.
(Estratto dall'Unità Cattolica 9 Giugno 1886.) lll.m° sig. Direttore dell'Unità Cattolica, Barcellona, Giugno, 1886.
Le scrivo queste linee coll'animo ancora profondamente commosso dalle prove di fede e di religione che si ebbe Don Bosco nella Spagna. Accenno qui solo ad un fatto, che, come resterà incancellabile dalla memoria dei Barcellonesi, formerà pure epoca nella storia della Pia Società Salesiana. Esiste in Barcellona un illustre Santuario dedicato a Nostra Signora della Mercede, e frequentato da numerosi forestieri, che accorrono in quella città; ed anche Don Bosco, il 5 maggio, vigilia della sua partenza, volle far visita alla Vergine Immacolata, per ringraziarla dei benefizi che, durante la sua dimora in Barcellona, gli aveva largiti.
Verso le 4 pomeridiane, prima ancora che Don Bosco giungesse, già la Chiesa, la piazza e le vie attigue erano gremite di gente, che attendevano il suo arrivo; ci volle fatica e pazienza prima che la vettura potesse giungere sul luogo. Don Bosco fu accompagnato dal clero e da varii illustri signori nel presbiterio, e là un scelto coro di fanciulletti del piccolo clero intuonò una magnifica Salve Regina, che da alcuni di essi era accompagnata cogli accordi del violino.
Dopo di che il presidente della Società di S. Vincenzo De Paoli, unito ad undici altri signori, si presentò a D. Bosco, e gli disse: « A perpetuare il ricordo della vostra venuta in questa città , questi signori si sono consigliati e di comune accordo hanno deliberato di cedervi la loro proprietà del monte Tibi dabo, affinchè la cima di esso, che minacciava di venire un semenzaio d'irreligione, sia consacrata con un Santuario al Sacro Cuore dì Gesù, a mantenere ferma ed incrollabile quella religione che con tanto zelo ed esempio voi ci avete predicata, quella religione che è il retaggio dei padri nostri. » Allora D. Bosco , profondamente commosso, rispose: « Sono confuso dell' inaspettata e novella prova che mi date della vostra religione e pietà. Ve ne ringrazio, ma sappiate che in questo istante voi siete lo stromento della Divina Provvidenza, voi compite i suoi imperscrutabili disegni.
« Quand'io lasciava Torino per venire a questa volta, pensava tra me: - Ora la chiesa del Sacro Cuore a Roma è pressoché terminata ; bisogna che io studii qualche altro mezzo per onorare e propagare questa salutare divozione. - Ed una voce interna mi rendeva tranquillo pensando che io qui avrei potuto soddisfare al mio voto; era una voce che mi ripeteva: Tibi dabo! -- Interrotto dal pianto suo e degli astanti , Don Bosco continuò : - Sì! o signori , voi siete lo strumento della divina Provvidenza; col suo aiuto ben presto sorgerà su quel monte un maestoso Santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; là avranno tutti comodo di accostarsi ai santi Sacramenti , e ricorderà in eterno la vostra carità e la divozione alla religione cattolica di cui mi avete date tante e così belle prove. »
Barcellona a somiglianza della nostra Torino , è coronata di fertili e belle colline, ed una di esse, la più alta di tutte, è detta il monte Tibi dabo, perché una leggenda popolare dice che colà il demonio abbia trasportato il Divin Salvatore quando lo tentò, dicendogli: Tibi dabo omnia regna mundi si cadens adoraveris me. Quel monte è frequentato da molti forestieri, come la vetta da cui si domina Barcellona, e si vede il celebre Santuario di Monserrato , le circostanti città e campagne. Alcuni anni or sono questo monte era in possesso di persone che volevano colà edificare un tempio protestante od un luogo di cattivo ritrovo. Questi buoni signori lo tolsero a quei mali intenzionati, ed ora, colle parole stesse di Cristo , hanno risposto alle insinuazioni del demonio : Vade retro, o Satana.
E satana dovette cedere il luogo ad una graziosa cappella che venne subito innalzata in onore del Sacro Cuore e che colla graziosa sua cupola pare che inviti a se gli abitanti di tutte le città e villaggi dei dintorni e popoli intesero quella voce e già incominciarono i divoti pellegrinaggi.
Non voglio chiudere questa mia senza far cenno della gran moltitudine di gente che ogni giorno accorreva ai Talleres Salesianos, dove D. Bosco dimorava, per ricevere la benedizione e la medaglia di Maria Ausiliatrice.
Era cosa commovente vedere gente che anche alla notte aspettava il momento desiderato; talvolta i cortili e le vie attigue erano zeppe di una moltitudine che prostrata a terra recitava divotamente il Santo Rosario; digiuna talvolta dal mattino alla sera aspettando l'arrivo di D. Bosco che, stante la gran moltitudine, era costretto ad uscire sul poggiuolo per benedire alla folla.
Assicurarono gli agenti della ferrovia che non mai dacché esisteva la linea di Barcellona-Sarrià, aveano avuto tanto lavoro; dovettero infatti stabilire ad ogni quarto d' ora le partenze e porre due macchine a trasportare i convogli sovraccarichi di persone. Noi siamo certi che per molti anni ancora durerà viva nei Barcellonesi la menoria del venerando Don Bosco, giacchè in noi è imperituro il ricordo della pietà che essi addimostrarono. V. C.
MONTE « TIBI DABO » PRESSO BARCELLONA
SONETTO.
accia il profano Pindo e l'Elicona I largiti agli eroi doni del fato Dinanzi al nuovo che tornò sì grato Al commosso Don Bosco in Barcellona. l grande Salesiano, onde risuona Anco in Ispagna il nome venerato, Quell'alme generose hanno donato Di verdeggianti colli una corona. sul maggior, che Tibi dabo è detto,
Al tuo Cuore, o Gesù, con santo esempio, Sarà tra breve un monumento eretto: là dai Pirenei, là fin dall'Ebro Vedran le genti torreggiare un tempio
Pari a quel che già sorge in riva al Tebro.
G. SCAVIA.
S. Nicolas, 31 marzo 1886. REv. SIG. DIRETTORE,
Se si ricorda l'anno scorso il Governo della provincia della Plata aveva concesso ai Salesiani un bel pezzo di terreno, con certe condizioni, le quali non compite rimaneva senza effetto il contratto. Prima fra tutte le condizioni era di fabbricare. Ma con il debito enorme di S. Carlos come fare a incominciare una nuova fabbrica fosse pure delle più meschine? Si lasciò pel momento ogni pensiero di andare alla Plata, ed i Protestanti ottennero dal governo quello stesso terreno a noi promesso. Là piantarono le loro tende , vi edificarono un bel tempio , due case per loro alloggio e poi.... la Provvidenza faceva il resto. Non so perchè, i Protestanti dovettero sloggiare prima d'aprire al pubblico il loro tempio. Il sig. canonico Carrenza, cura parroco della Plata ottenne la proprietà di tutto... poi una raccomandazione pressante del sig. Arcivescovo, di qualche deputato ecc.... e finalmente il curato si presentò ai Salesiani per offrir loro terreno e case e tempio - Ciò accadde il 18 marzo la vigilia della festa di s. Giuseppe. Che ne dice ? I Salesiani avevano una gran voglia di andare alla Plata dove più della metà della popolazione è italiana, ma non avevano mezzi. La Provvidenza vi mandò i protestanti che vi edificarono quanto faceva di mestieri ai Salesiani e poi li obbligò a ritirarsi. Monsignor Cagliero era deciso di non aprire più case, per quest'anno almeno, ma dopo questo fatto, non poteva rifiutare quell'accettazione e a giorni partirà D. Caprioglio e un prete milanese anche mandato dalla Provvidenza , per aprire la casa della Plata e attendere per ora alla nostra numerosissima colonia Italiana. Si ricordi che l'anno passato in un giorno solo, il giorno di Pasqua, si ebbero in questa città 700 comunioni, quasi tutte di uomini e tutti Italiani. É un bel campo !
D. RABAGLIATI.
REV.MO E CARISSIMO SIG. DON Bosco,
Il 25 di agosto del 1885 , ricevuta la benedizione dal nostro amatissimo Monsig. Cagliero, Vic. Ap. della Patagonia , partiva accompagnato da un Catechista e con buona scorta di cavalli, per una Missione sulle rive del Fiume Colorado. - Qualcuno potrà domandare: Come si trasportano le cose necessarie per la missione e tutto il resto pel vitto e pel vestito? - L'equipaggio del Missionario va in due sole valigie; una contiene la Pietra Sacra, i Sacri Vasi ed altri oggetti per la Celebrazione della S. Messa e amministrazione dei Sacramenti; l'altra, la biancheria, i libri e gli oggetti divoti da distribuire alle famiglie sul campo della Missione.
Il tutto si carica sul dorso di un cavallo. Suolsi pure portare una tenda per difendersi dalla pioggia e dai venti, qualora ci sorprendano lontani dalle Capanne o Case, oppure ci tocchi passar la notte a cielo scoperto e sulla nuda terra. Il Missionario dev'essere pratico della geografia ed accostumato alla vita del Campo o deserto, e l'uomo che l'accompagna, destro nel maneggio dei cavalli.
Non è raro pel Campo, costretti dalla necessità, di dover improvvisare una cucina campestre e col mezzo di pochi arbusti o con ossa e sterco di animali secco, far bollire in una pentola. un po' di carne, ovvero, per guadagnar tempo, arrostirla sulla bragia e cibarsi senz' altro servizio che del coltello.
Il pane è cosa rara; rarissimo, cattivo e costosissimo il vino: quindi migliore e meno costosa l'acqua del fiume. La mia Missione durò 46 giorni, durante i quali percorsi 235 leghe (1200 Chilometri). E questo lunghissimo viaggio lo feci solo per amministrare il S. Battesimo a 24 bambini, a 9 indii adulti, convalidare 6 matrimoni legittimando 15 creature, e preparare 40 persone a ricevere la S. Comunione. Con tutto ciò furono ben premiate le nostre fatiche, se, come dicono i SS. Padri, Iddio sarebbe venuto dal Cielo in terra per salvare anche un'anima sola. Tanto è preziosa ai suoi occhi divini. Ciò premesso, passo a narrarle ad una ad una le varie circostanze di qualche considerazione.
I.
Da Patagones al Rio Colorado. - Acqua salata - Natura del terreno - Coltivazione della vite - Lezione di dottrina - Una notte da cane - Avventure.
Da Patagones o Rio Negro al Rio Colorado
havvi una distanza di 40 leghe circa. Si cammino sempre in mezzo a praterie e pianure, piene di arbusti e piccoli monticelli sabbiosi ricchi di spine. Durante tutto questo tragitto, appena ogni 6 od 8 leghe si trova acqua e questa amara ancora ed alquanto salata. L'unico pozzo di acqua dolce che incontrai si fu a dieci leghe dal fiume Colorado, in un luogo detto Gauchos o Uomo del Campo.
La sterminata pianura che dal Rio Negro si estende al Colorado è probabilmente atta alla coltivazione. In effetto alcuni hanno già cominciato a coltivare la vite nelle alture e con ottimo risultato, mentre sinora la si coltivava solamente sul margine del Rio Negro.
Percorse 8 leghe, giungemmo ad una capanna ove viveva una famiglia composta di 11 persone, padre, madre e nove figliuoli. Il sole era scomparso dall'orizzonte e la notte comincinciava a brillare di lucentissime stelle. Il Rancho o casipola di terra cruda si componeva di soli due membri, una cucina cioè ed una stanza da letto, senza porta nè finestra.
Offertemi dalla padrona l' alloggio per quella notte, accettai. Poco dopo giunse dal campo il padre coi figli maggiori, e salutatolo gli manifestai il desiderio d'istruire i suoi figliuoli nella dottrina cristiana. « Perché no? rispose egli, qui nel campo si vive a guisa di selvaggi. Faccia pur ciò che le aggrada; i miei figli sono a suoi ordini ». Per il che seduto accanto al focolare, mentre s'arrostiva un pezzo di carne, insegnai loro il catechismo. Venuta l'ora della cena, fui invitato a tavola, cioè a sedere attorno ad una spranga di ferro piantata in terra cui era infilzata la carne nè arrostita nè da arrostire. Ciascuno con un grosso coltello, tagliava il pezzo a suo gusto, e dopo il primo trinciava il secondo, il terzo e via via secondo lo sue disposizioni più o meno digestive, sicché dopo pochi istanti la tavola, o meglio la spranga rimase pulita e sparecchiata. Questo è l' ordinario ed unico piatto degli abitanti del campo, ed è pur l'unico possibile nel deserto, e chi di più ne vuole, può andare all' Hotel di Londra!
Dopo cena feci altra spiegazione di Catechismo ai ragazzi e venne l'ora di dormire.
La famiglia si ritirò tutta nell'unica stanza attigua, lasciandomi col mio Catechista, padrone della cucina.
Qui posi il mio letto, formato di poche coperte distese al suolo. Prevedendo i miei buoni ospiti che i cani, accostumati a dormire essi in cucina, mi disturberebbero, li scacciarono a sferzate. Ma ben presto riacquistarono il campo perduto, sicché, visto riuscir inutile ogni tentativo, per liberarmi dall'importunità di quei troppo famigliari amici, io tentai conciliare il sonno alla bella meglio, poiché era stanco assai. Ma invano! Chè i cani, forse sdegnati perché io avessi, benché innocentemente, occupato il loro giaciglio, di tal modo s'inasprirono, che continuamente digrignavano i denti, ringhiavano e si mordevano a vicenda. Mi passavano senza alcuna discrezione sulla persona, e, con tutta libertà adagiavansi al mio lato, mentre alcuni, vinti dalla fame, fiutavan qui e là per ogni canto e non di rado a me assai vicino, cercando qualche osso a rosicchiare. É inutile ch'io dica che non dormii quella notte. Al mattino volli contare la numerosa turba cagnesca: erano ben 13 e tutti grossi da far paura! Dissi allora tra me e me : Comprendo adesso il perché passai una notte da cane!!! Ringraziai i nostri buoni ospiti e partimmo, lasciando però indietro nel campo uno dei migliori nostri cavalli perché troppo stanco, Dopo lungo cammino incontrai una povera capanna, ed un buon vecchietto c'invitò a dividere secolui uri guazzetto di lepre, e fummo a dormire sotto la tettoia della Posta che va da Patagones a Bahia Bianca. Spuntata l'alba marciammo, ma avendo errato il cammino, fummo obbligati a per. nottare in altro punto detto: Los Cumiales, ove alloggiano gli impiegati di altra Posta. Essi cortesemente ci esibirono carne di struzzo arrostita e cenammo. Alle 10 del dimani, 28 agosto, arrivammo finalmente a Rio Colorado.
II.
Arrivo al Rio Colorado - I balli - Il giuoco Lutto delle madri indiane.
Giunto al Rio Colorado, fui molto ben ricevuto in casa del Signor Luigi Crespo, Alcalde (Sindaco) di quella località.
Sparsasi tosto la notizia del mio arrivo, alcune famiglie vennero ove io risiedeva, perché battezzassi i loro bambini. Ma, come l' oggetto della Missione era pure di istruire e preparare gli adulti ai SS. Sacramenti, io percorsi le due sponde del Fiume, prendendo stanza in qualche casa particolare, che diventava quindi anche Cappella pel tempo di mia permanenza. Quivi io celebrava, catechizzava, battezzava ed amministrava la S. Comunione a quei pochi che aveva potuto preparare.
Un dì, dopo celebrata la S. Messa e benedetto un Matrimonio in un Rancho, i miei ospiti vollero solennizzare quest'atto con un ballo religioso. La casa o piuttosto tugurio era diviso in due membri al pari di tutte le altre, costrutta di giunchi ed intonacata con fango. Un membro era destinato per mia dimora, l'altro per la sala da ballo. Era accorsa molta gente. La religiosa funzione erasi fatta circa le ore dieci antim. e da quell'ora non cessò lo sgambettare che all'indomani; e ripresa poscia la danza dopo breve respiro, continuò fino alle 9 del dì seguente. - Fu inutile ogni osservazione in contrario, ed io dovetti allontanarmi di là e stabilire la mia dimora dentro di un carro coperto di un tendone.
Ivi per tre giorni, studiava, mangiava e dormiva, mentre nei momenti liberi preparava al battesimo alcuni Indii ed altri ragazzi alla Comunione.
In questo mentre ad una donna, che poi congiunsi in matrimonio cristiano, essendo morto un bambino, essa ordinò nientemeno che un ballo di tre giorni!
E non v'è mezzo di togliere questi usi o meglio abusi!
Le fanciulle non sanno farsi il Segno di S. Croce, ma apprendono a suonar la Chitarra come gli uomini, mentre in passato suonavano solamente il così detto tamburello a sonagli. Gli uomini poi giuocano alla Carrera o corsa di cavallo ed al così detto Choclon, che consiste nel far entrare una palla in alcuni anelli di ferro o di giunchi.
Stando io al Colorado, un Gaucho (uomo del Campo) perdette 400 scudi in due ore. Un altro 200 eziandio in brevissimo tempo. Succede talvolta che perda taluno capitali interi. Un padre di famiglia perdette in una scommessa alla Carrera 300 vacche. Quando si presentò l'incaricato a riceverle, (che era il medesimo che mi raccontò il fatto), la madre coi figli tutti in lagrime, lamentavano la comune disgrazia. Un piccino che contava appena cinque o sei anni al vedere che si radunavano le vacche e si conducevano via, disse alla mamma : « E pigliano anche la overa? (vacca del color dell' uovo). » E la madre tra i singhiozzi: Sì, figlio mio... E continuandosi a condurre via il bestiame « Mamma, riprese il piccino, ci portano via anche la negra? Purtroppo, Carluccio mio, anche la negra e tutto, tutto! » « E non avremo più latte? « Non più' rispose la madre singhiozzando miserabilmento.
Queste parole fecero tanta sensazione sull'animo di chi spingeva lo vacche, che lasciandole, andò a riferire al suo padrone la triste scena, protestando che se le voleva, andasse egli stesso a prendersele. Andò colui, e mosso a pietà, fecene dono alla disgraziata famiglia, colla condizione però che fossero proprietà della moglie.
III.
Fiume Colorado - Come si passa - Fortin Mercedes - Cappella di N. S. de Mercedes. - Strana occorrenza di un Indio
Il Rio Colorado, partendo dalle Cordigliere percorre circa 220 leghe prima di gettar le sue acque nel mare. È più piccolo del Rio Negro; il suo fondo in più parti è fangoso, per cui il suo tragitto è pericoloso per gli animali, dei quali si vedono quasi ogni dì qua e là alcuni morti ed impantanati nella melma. Due dei nostri cavalli vi rimasero pure dentro, e certo fa meraviglia che non siano morti, essendo rimasti 18 e più ore nell'acqua. - Pare che il nome di Colorado gli venisse dal colore delle sue acque rossiccie, poichè a cento e più leghe dalla foce, vi sono catene di monti la cui terra è rossa. Come pure sembra che il Rio Negro tragga la sua appellazione per analoghe cagioni, sebbene alcuni lo facciano così chiamare dal nome di un tal Cacico Negro, vissuto ai tempi degli Spagnuoli, che possedeva una gran parte del territorio lungo le sue sponde.
D'inverno il Rio Colorado si può guadare; d'estate però allo sciogliersi delle nevi nelle Andes, cresce assai; ed allora i cavalli le passano a nuoto, e noi coll'equipaggio lo traghettiamo in barchetta.
Durante la mia escursione apostolica passai al Fortino Mercedes, situato sopra una prominenza, dalla quale si domina sulla valle del Colorado. Il Governo Argentino vi mantiene una guarnigione di soldati per difendere le frontiere dalle invasioni degli Indii.
In una piccola cameretta appartenente al Fortino, vi si venera l' immagine di Maria Immacolata, che per ignoranza fin da tempo remoto è detta di N. S. della Mercede.
La statua è di m. 0,40 incirca, vestita di bianco con manto di color celeste. La Vergine tiene le mani giunte e col piede preme la testa del serpente. Narrasi che fu trovata, non si sa bene quando, in un cespuglio, dopo un incendio che distrusse la campagna : alcuni però dicono che fu rinvenuta nel Colorado. Essendosi divulgata questa notizia, la S. Vergine era onorata con visite, offerte di candele, le quali perciò raramente mancavano di arderle innanzi. Ma col tempo si rattiepidì questa divozione, vuoi per le persone di mali costumi di quelle località, vuoi per i continui furti che vi si commettevano nella stessa Cappella. Di più un Comandante del Fortino mal soffrendo la privazione di una cameretta che si poteva utilizzare per la guarnigione, dispose che una China (donna morena) di poco buoni costumi, si portasse altrove la statua della Vergine. Accadeva ciò l'anno 1880 durante l'ultima rivoluzione. Passato alcun tempo, dicesi, che una notte apparve alla sentinella una signora assai ben vestita, la quale simulando non far caso del soldato entrava nella cappella ora destinata a stanza.
Quegli intimò il « Chi va là » e la Signora « Voy a mi casa » rispose, e scomparve. Fattosi giorno la guardia raccontò ai suoi commilitoni il successo, ed eglino facendone le più grasse risa, lo qualificavano effetto di dappocaggine nel soldato: V'ebbe un più ardito che si esibì a fare da sentinella la notte seguente, dicendo non temerebbe d'impedire il passo alla fantastica Signora. Stando pertanto egli di guardia quella notte, ecco alla stess' ora apparire la Signora che tranquilla e maestosa entra nella cappella, lasciando lui come morto disteso al suolo. Stette così immobile sino all'alba ed interrogato dai compagni sull'accaduto, con cenni e tronche parole diede ad intendere essergli apparsa la Signora e come volendole egli interdire il passo, era caduto a terra spinto da forza invisibile e rimasto privo dei sensi.
Lo portarono al letto e prodigarongli le cure possibili senza buon risultato, poiché dopo qualche tempo all'infermità si aggiunse la pazzia, per lo che fu condotto a Patagones per curarlo in quell' ospedale. Il Comandante del Fortino in vista di tal prodigio fece ristabilire la cameretta e la destinò all'antico suo uso di Cappella, ordinando in pari tempo alla donna morena di restituire la statua che ella aveva trafugato.
Per accertarmi di questo fatto ho interrogato varii di quel vicinato ed avendolo scritto con tutte le circostanze sopra esposte, lo lessi alla presenza di un testimonio oculare che mi disse stare pienamente conforme alla verità.
Voglio ancora narrarle un lepido episodio.
Un giorno avendo amministrato il Santo Battesimo a due giovani Indiani, se ne presentò un terzo che prima ricusava riceverlo, ma avendo visto che i suoi compagni si erano fatti cristiani, insisteva perche gli si facesse la stessa grazia. Mi opposi, dubitando lo domandasse con non retto fine. Allora insistendo egli: Se non vuoi lavarmi interamente, diceva al Sacerdote, gettami almeno un poco d'acqua sul capo e fa ch'io sia fatto alquanto Cristiano!
IV.
Popolazione del Colorado - Suo territorio Alcuni animali più notevoli - Come si cacciano - Vista di Guanachi - Caccia del Leone.
Siccome non si è fatto ancora alcun censimento, la popolazione del Colorado si può calcolare da 350 a 400 persone; tutti adetti alla pastorizia. La valle che giace alle rive del Colorado presenta in certi punti un bellissimo prospetto. Pare altresì che una gran parte dei suoi terreni siano atti alla coltivazione di cereali, una volta che si aprano dei canali per irrigarli.
Le sponde del fiume sono fiancheggiate da alberi di alto fusto. La vastissima pianura è interrotta da alcune catene di colli che la natura disseminò qua e colà con varietà ammirabile. La superficie del suolo verdeggia di pascolo duro e svariatissimo. La terra in generale è argillosa e mescolata con arena.
Di tratto in tratto incontransi strati nitrosi più o meno estesi. Vi hanno pur lagune o serbatoi di acque perenni, per lo più salate. Raramente se ne scoprono di acqua dolce, se si eccettuano quelle che sono originate dalla pioggia.
Gli animali che popolano questa immensa pianura, sono molti e di sì differente specie, che si richiederebbe l'opera di un abile naturalista per far risaltare debitamente la quantità e bellezza di uccelli, insetti ecc. Forniscono l'alimento quotidiano alle varie famiglie del campo, la pernice, l'anitra selvaggia, la cicogna, il tatu l'armadillo, la lepre, la volpe, la gama, lo struzzo ed il guanaco. Il nemico comune è il Leone Puma.
Caccia dello struzzo. - Convenuto il giorno della caccia, un gruppo di 10, 15 o 20 uomini armati di boleadoras (laccio lungo poco più di un metro e con alle due estremità due palle di piombo, ferro o di pietra), e seguiti da grossi cani e cavalcando veloci cavalli, si portano là ove sanno esservi stormi di struzzi.
A un certo punto si separano e mettendosi a certa distanza formano un grande circolo. Al segno dato ciascuno corre verso il centro. Lo struzzo inseguito fugge, ma sempre attorno alla circonferenza di detto circolo che si va restringendo, restringendo, finchè il povero animale resta circondato per ogni parte senza veder modo di uscirne. Allora i cacciatori scagliano le boleadoras che avviluppano le lunghe sue gambe e cade. Se poi erra il colpo, i cani l' assaltono e l'uccidono.
Caccia del guanaco. - Il guanaco è una specie di cervo, ma più piccolo, senza le corna e di una carne squisita e di una pelle preziosissima. Esso fornisce il vitto ed il vestito all' Indio. Va a stormi come le pecore. E la boleadoras in mano all'Indio è sempre causa di sua morte. Nella primavera la caccia è più facile, perchè hanno i loro piccoli nati, i quali avvicinano e talvolta seguono il cavallo. Quest'animale è innocuo ed amante dei dolci, per cui se addimesticato, si avvicina alle persone ed alzando il lungo collo, guarda fissamente, aspettando qualche gradito boccone. Un giorno si presentavano a mia vista drappelli di guanachi in tanta quantità che ne biondeggiava il colle su cui pascolavano. Mi ricordo che nel deserto di Balcheta furono veduti branchi di quattro o cinque mila. Accortisi di nostra presenza si diedero a precipitata fuga, sicché pareva che il monte corresse con loro !
II guanaco si difende dall' importunità dei ragazzi in due modi: con lo sputo assai puzzolente e ributtante, che scaglia con precisione e destrezza in faccia all'avversario, e col salto. Questo salto lo fa con tanta sveltezza e delicatezza insieme, che non cagiona danno veruno all'individuo, facendolo solamente cadere a terra coll'urto che gli dà col suo corpo. Perciò il ragazzo va munito di una sferza, vista la quale, il guanaco fugge.
Caccia del leone puma - Il leone è la belva più dannosa che si conosca in queste parti dell'America Meridionale. Entra nottetempo negli steccati dove stanno a riparo le pecore, ne addenta una per la gola, le rompe il collo e ne succhia il sangue. Quando già è satollo, spinto da feroce istinto, ne ammazza altre ancora, e se ne va. Talvolta si sono viste venti e fin trenta pecore strangolate in questo modo. I guardiani di mandre vanno alla caccia di questa fiera muniti di arme da fuoco, su destri cavalli e seguiti da grossi cani. Il puma teme l'uomo e lo fugge e raramente lo assalta.
Eccole, Carissimo Don Bosco, descritta la mia Missione al Rio Colorado, con le particolarità che l'accompagnarono. La Missione che ho dato con lo stesso amatissimo Monsignore lungo le sponde del Rio Negro fu assai più fruttuosa, come le verrà scritto. Adesso sto preparandomi per partire col nostro Don Panaro per altra Missione assai più lontana, cioè alle falde delle Cordigliere, dove havvi una popolazione di 15 e più mila Araucani.
Preghi, Veneratissimo Padre, preghi Maria Aus. perchè ci liberi da ogni pericolo, e ci aiuti a salvare molte anime.
Mi benedica e mi creda
Suo affez. in Gesù e Maria. Sac, DOMENICO MILANESIO.
Gesù Cristo nel gran lavoro del Cristianesimo scolpì intera la propria fisionomia; questa é l'umiltà (1). Queste sublimi parole rivolgeva anni sono a' Genovesi in una delle sue dottissime Conferenze l'Alimonda , sublimi parole che rivelano di per sè sole il carattere, come i doveri del vero divoto del Cuor di Gesù. Poichè questo carattere e questi doveri si riassumono e si compiono nella pratica soprattutto di quella fra le virtù del Divin Redentore, che egli amò come la cosa più cara, e l'amò non solo colle parole inculcandola, ma l'amò cogli esempi e con le opere facendone la regola costante di tutta la sua vita e ponendola a base, a fondamento della nuova religione.
L'umiltà come virtù era assolutamente sconosciuta al gentilesimo; tutta quanta la letteratura di Grecia e di Roma pagana non ha pur una parola che la significhi. Ed è naturale, perché mancava l'idea ; quei due popoli assorti nella vita clamorosa esterna erano incapaci di comprendere le grandezze e le soavità della vita interiore, che si fonda sull'umiltà. Gli esempi, che si adducono di Socrate e di Diogene, son ben lungi dal corrispondere al concetto cristiano e solo vero dell'umiltà, giacché l'umilissimo Socrate, al dir dello stesso Rousseau, si mostrava e si fingeva umile per accattar lode nella gente con falsa modestia, peccando per tal modo di finissima superbia, e il cencioso Diogene, in quella che si atteggiava a sprezzatore della fastosa grandezza di Platone, piacevasi con sottilissimo orgoglio della sua cinica impudenza. Non vi è maggior superbia, esclama a questo proposito quell'altissimo ingegno di S. Agostino, che la simulazione dell'umiltà. Simulatio humilitatis major superbia est (1). L'umiltà dunque, non sarà mai troppo ripeterlo , è una gemma preziosa, ma una gemma della nostra santa religione; è un fiore, ma fiore trapiantato dalla mano di Dio nel giardino della Chiesa e inaffiato dal sangue di G. C.; è un frutto, ma frutto cresciuto al grand'albero del Cristianesimo.
E la pratica dell'umiltà è appunto il fine che subito dopo la fede e l'amore all' Eucaristia si propose quell'ardente e illuminato promotore della divozione al S. Cuore, che fu il nostro S. Francesco di Sales. Egli infatti collocò l'umiltà a base e fondamento dell' Ordine da lui istituito e le Figlie della Visitazione volle che vivessero dello spirito di abnegazione e di annichilimento di Gesù, il cui nascondimento non pur agli occhi, ma agl' intelletti stessi, durò ben 28 anni, interrotto una volta sola da un lampo, quello cioè della sua conversazione co' dottori del Tempio e della divina risposta alla Madre Maria (2). Voi siete morte, diceva e scriveva colle parole di S. Paolo alle Figlie della Visitazione il Santo Vescovo di Ginevra, voi siete morte e la vostra vita é nascosta con Cristo in Dio. Mortui enim estis, et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo (3). Vale a dire, voi siete morte alle cose della terra, al mondo, alla carne, agli affetti terreni, e la vita spirituale soprannaturale, di cui ora vivete, nascosta in Dio con G. Cristo, che è principio e fonte di essa vita, non è intelligibile fuorché alla fede ed all'amor di Dio , perché appunto nella cognizione e nell'amor di Dio essa consiste. Ed affinché queste parole rimanessero insieme col senso, che racchiudono, profondamente scolpite nella mente e nel cuore, volle che fossero loro pronunziate e come lasciate a perenne ricordo nel momento più solenne della vita, quello cioè della professione religiosa.
Né si dica che queste parole, queste massime, che S. Francesco rivolgeva alle Figlie della Visitazione, valgono solo pe' religiosi e per le religiose. No mai; S. Paolo, da cui egli le toglie, le indirizzava indistintamente a tutti i cristiani di Colossi e per essi a tutti i cristiani del mondo, come quelli che risorti con G. C. debbono spogliarsi dell'uomo vecchio co' suoi vizi e le sue concupiscenze, e rivestirsi del nuovo, creato da Dio nella giustizia e nella santità della verità. No , non vi ha Cristianesimo senza umiltà, né vero divoto del Cuor di Gesù senza lo spirito di abnegazione, di nascondimento e come annientamento di se medesimo, che ne costituisce il principal carattere.
Ma come ed in qual maniera deve effettuarsi questo annientamento? La risposta non è difficile. Due infatti sono le parti, di cui si compone il Cristianesimo e che richiedono quindi l'assenso nostro, cioè il dogma e la morale. Due perciò devono essere gli atti corrispondenti dell'umiltà, l'atto cioè dell'intelletto e l'atto della volontà. Quanto al primo non dovrebbe presentar gran difficoltà, sol che diamo uno sguardo a quel che siamo e a quello che ci circonda. La vita e la morte , l'amore e il dolore, la cognizion naturale e la cognizione per fede, l'intelligibile e il sovraintelligibile , tutto è involto nella oscurità e nelle tenebre; il mistero è il centro d' ogni cosa, d'ogni esistenza, di ogni evidenza. Quando Gesù, sapienza del Padre, disse che senza di lui nulla possiamo noi fare, sine me nihil potestis facere (1), alluse non solo agli atti della volontà, ma a quelli ancora dell'intelletto, e dicendo nulla, volle escludere, come osserva S. Agostino, il molto e il poco , il facile e il difficile , il piccolo ed il grande; nulla assolutamente. Comprender ben addentro questo è la scienza delle scienze e ad un tempo la via più sicura alla salvezza. Imperocchè, come osserva un profondo ingegno, Iddio avendo fatto centro all'universo e fonte della nostra salute un mistero, ha pietosamente ordinato le cose in modo che tutte ci dimostrino la via di andar là, e quasi ci facciano forza a volerci salvare (2). Benediciamo adunque anche in questo il Cuore di Gesù, e con la sottomissione dell'intelletto e la docilità della mente, fiore e frutto l'una e l'altra dell'umiltà, manteniamo viva la nostra fede e rendiamo meritorie le nostre opere.
Ma l'umiltà dell'intelletto non basta; ci vuol anche quella della volontà, perché la religione nostra non è solo un insieme di verità da credere, ma ancora di virtù da operare, non ha solo il dogma, rna la morale. E certamente questo secondo atto dell'umiltà presenta maggiori difficoltà del primo; lo proviamo in noi stessi tuttodì. Quante lotte , quante contraddizioni fra l'intelletto che impone le sue cognizioni e la volontà che si ribella a metterle in pratica! Quanta ripugnanza a far quello che pur conosciamo doveroso! Quale sfrenata tendenza a ciò che fede e ragione ci attestano concordemente come vietato, peccaminoso, colpevole! Vogliamo noi vincere questa guerra, che ci costa ogni dì tanti dolori e tante angoscie? Attacchiamoci all'umiltà, facciamo che essa presieda all' esercizio della virtù. E per riuscirvi modelliamoci sul Cuor di Gesù, sì di Gesù, che non potendo quanto alla sua divinità stimarsi un nulla, perchè e ogni bene in se stesso e fonte di ogni bene per tutti gli altri, pur riconobbe subito, appena fatto uomo, che tutto doveva al suo Eterno Padre; substantia mea tanquam nihilum ante te (1). E non solo lo riconobbe in astratto, ma nella pratica, facendo della sua vita una catena non interrotta di atti di umiltà, e l'umiltà invitando, o piuttosto comandando di apprendere da lui al conseguimento di quella pace de' figliuoli di Dio, che S. Tomaso definì bellamente la tranquillità nell'ordine. L'umiltà fu nelle mani di Dio lo strumento dell'opera sovranaturale della creazione e della redenzione, per l'umiltà fu Maria perdono divina, per umiltà tutte le altre creature acquistano del divino in loro, ma umiltà d'intelletto e di volontà, di mente e di cuore. No, la divozione al S. Cuore di Gesù non è un'astrazione e meno ancora un sentimentalismo; essa importa la conoscenza di Gesù Dio e Uomo, la conoscenza amore e l'amore imitazione. E come fra tutte le virtù l'umiltà è quella, che insieme con la mitezza predilige particolarmente il Cuor di Gesù, noi saremo suoi veri devoti se ci studieremo di farne la regola costante così dei nostri pensieri , come delle nostre azioni.
(1) Il Sovrannaturale nell'uomo. Vol. 1, Conf. 12'
(1) De sancta Virqinitate, 43. (2) Luca II. 46 e segg. (3) Coloss. III, 3.
(1) Giov. XV, 5.
(2) V. Fornari, Vita di G. C., lib. II, Vol. 1.
(1) Salmo 33°
L'ultimo bellissimo libro dell'illustre Augusto Nicolas ROMA E IL PAPATO fu tradotto in Italiano dal chiarissimo M. R. D. Parodi, il quale per abbracciare lo stato Ecclesiastico, abbandonò un posto eminente della R. Marina. Questa pregievole versione fu pubblicata dalla tipografia Salesiana dell'Ospizio di S. Vincenzo in Sampierdarena.
Ora apprendiamo dall'Ottimo Univers di Parigi per mezzo dell'Amico delle famiglie, che l'illustre autore ha scritto al suo traduttore la seguente bellissima lettera, che torna di grande onore al regio e dotto Sacerdote.
REVERENDO SIGNORE,
La vostra traduzione italiana del mio libro Roma e il Papato ha creato fra di noi come una fratellanza di devozione a questa causa sublime. La parte che voi ci avete presa è stata troppo ragguardevole, pel gran merito di questa traduzione medesima, perchè io non abbia sentito dispiacere, di non potere, tutto all'opposto del noto adagio , traduttore traditore, tradire a mia volta il mio traduttore , segnalandone il nome alla pubblica stima. Ma il vostro nome avrebbe portato seco anche la vostra qualità P la condizione ; di che, tenuto conto dello spirito che regna in questi tempi, abbiamo creduto più giusto e più conveniente di serbare il silenzio. lo ne fui dolentissimo perchè si sarebbe potuto allora spiegare, ciò che maggiormente si nota nella vostra penna, voglio dire, oltre al letterato, egualmente esperto nelle due lingue, anche l'uomo di azione , il cui stile vigoroso richiama in qualche modo alla mente quello di Dante.
Ma ciò che mi vien fatto ora noto, mi scioglie e ben ampiamente da ogni riserva : da ufficiale superiore nella marina da guerra del suo paese, Domenico Parodi è passato, per la grazia di Dio, al grado di soldato nella milizia di Gesù Cristo, diventando suo sacerdote.
A dir il vero, comandante, voi non avete cambiato già di carriera, ma di marina, e, senza voler recare offesa a quella che avete onorato, mi permetterò di dire ch'essa non regge al paragone con quella che oggi vi onora, quella cioè di questa Barca di Pietro, che, uscita dal lago di Genesaret, è divenuta incontanente Roma e il Papato; nave ammiraglia che, senza aver mai provato il naufragio, solca da duemila anni l'oceano di questo mondo, affrontandone tutte le tempeste per la salvezza eterna delle anime e temporale delle nazioni.
Avendo quindi inteso dire che il nostro libro, umile navicella, il cui pregio potissimo consiste nelle relazioni che lo congiungono a quella nave sublime, e che perciò appunto ne ha preso l'insegna colla benedizione di Leone XIII, stava per esser rimesso a galla con una nuova edizione italiana, io non dubito punto che non vi inalberiate questa volta il vostro stendardo per inaugurare il vostro passaggio al suo glorioso servizio. E chi sa che forse un nuovo avvenimento sul genere di quello di Lepanto e di tant'altri simiglianti, non ne abbia ad essere il riscontro fortunato.
Vogliate gradire, caro ed onorato signore, con questa fiducia la cordiale assicurazione dei miei sentimenti affezionati e devoti.
Versailles, 12 marzo 1886.
F. AuGusTo NIcoLAS.
Ricordiamo che il sullodato stupendo libro del Nicolas si vende al prezzo di L. 1, 70 presso tutti i librai cattolici ad esclusivo vantaggio degli Ospizi di D. Bosco.
Questo istituto appartenente a D. Bosco fu aperto l'anno 1878 ad alcuni minuti fuori della città di Este , nella regione detta Torre , sulla strada Este-Montagnana. L'edifizio ampio ed elevato fu fatto costruire il secolo passato dall'Illustre famiglia Pesaro di Venezia. Esso è posto all'aperta campagna, reso più ameno dei colli Euganei che in parte lo circondano da tramontana. Sicchè presenta il vantaggio dell'igiene, favorendo lo sviluppo fisico degli alunni, mentre la quiete che vi regna, concilia non poco lo studio. La città ha stazione sulla via ferroviaria MonseliceLegnago-Mantova; inoltre un servizio di omnibus la congiunge con la stazione S. Elena sulla ferrovia Venezia-Bologna in coincidenza con tutte le corse. Scopo di questo Istituto è di prestare ai giovanetti ogni opportunità per una educazione religiosa, civile ed intellettuale. L'insegnamento abbraccia il corso Elementare e Ginnasiale, che viene impartito a norma dei Programmi governativi e da professori approvati. Oltre le materie richieste dai programmi avvi la scuola di declamazione, di canto, di buona creanza.
Non si accettano allievi oltre i dodici anni d'età, nè si ammettono giovanetti espulsi da altro Collegio. Solo il Direttore potrà fare eccezioni. Ogni allievo nella sua entrata deve essere munito 1° della fede di battesimo ; 2° della fede di vaccinazione o sofferto vaiuolo ; 3° di un attestato della classe percorsa e di un attestato di buona condotta. Le domande di ammissione si fanno al Direttore del Collegio Sac. GIovANNI TAMIETTI, dottore in lettere , oppure in Torino al Reverendo Sac. GIOVANNI Bosco.
La pensione è a lire 35 mensili. Ogni convittore deve inoltre pagare per diritto d'entrata L. 30 (senza rimborso). Per più fratelli si condona l'entrata. Non si concedono riduzione di pensione. La pensione comincia dal giorno fissato per l'ingresso e si paga a trimestri anticipati. A chi passa alcuni giorni in Collegio viene computata la metà del mese; e a chi oltrepassa la metà è calcolata l'intiera mensile pensione. Se prima del termine dell'anno i signori genitori vorranno ritirare i figliuoli dal Convitto, dovranno darne avviso al Direttore almeno un mese prima : in caso diverso non avranno diritto a rimborso.
A chi volesse notizie più particolareggiate sarà mandato il programma del Collegio.
Noi raccomandiamo caldamente questa casa di educazione ai nostri buoni cooperatori, benchà già si raccomandi da sè e per gli eccellenti professori che vi insegnano e per la costante buona riuscita dei giovani alunni. I padri di famiglia si ricordino che è troppo necessaria la scelta pei loro figli di un collegio veramente cristiano, se desiderano aver la loro vita infiorata di grandi consolazioni.
in Nizza Monferrato.
Per secondare il desiderio di molte zitelle e maestre di scuola, nonchè di pie Signore e Cooperatrici Salesiane, le quali amerebbero passare alcuni giorni di sacro ritiro per attendere al bene dell' anima loro, saranno dati anche quest' anno gli esercizi spirituali nel Conservatorio della Madonna delle Grazie, diretto dalle figlie di Maria SS. Ausiliatrice in Nizza Monferrato.
Incominciano la sera del 2° di Agosto e terminano la mattina del 11, e saranno dettati da Sacerdoti Salesiani.
La pensione è fissata in L. 20. Si fa una eccezione per le Maestre, la cui quota sarà di L. 15.
L' aria salutare e di campagna, il sito amenissimo e solitario , sono allo stesso tempo un sollievo per lo spirito affaticato e bisognevole di riposo. Anche l'ampliamento del fabbricato porge tutte quelle comodità, di che taluna potrebbe abbisognare.
Pertanto chi volesse prendervi parte, è pregata a farne pervenire la domanda non più tardi del 30 Luglio alla Superiora dell' Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Nizza Monferrato.
Torino, 1 luglio 1886.
Sac. GIOVANNI BOSCO.
NB. NIZZA MONFERRATO è Stazione della Ferrovia ALESSANDRIA- CAVALLERMAGGIORE.
Coll'avvicinarsi della fine dell'anno scolastico sono frequenti le domande, che ci arrivano da ogni parte per acquisto di libri ad uso di premio per le scuole, pei Convitti e per gli Educatorii. Son domande giuste ed altamente commendevoli. Ma se è un'eccellente consuetudine quella di assegnar libri in premio agli alunni più segnalati per buona condotta e studio, tutti sanno che occorre nella scelta la più attenta circospezione. Non son rari i casi, in cui, anche senza cattiva intenzione, si danno in mano a fanciulli e fanciulle libri, che poi riescono la prima causa della rovina loro morale e religiosa, e fonte di sciagure per le famiglie. Col desiderio di ovviare a questi gravi inconvenienti abbiamo compilato una raccolta dei migliori libri per bontà di materia e leggiadria di forma, li abbiam fatti legare con isquisita eleganza ed ora li presentiamo al pubblico, e soprattutto a' nostri Cooperatori e Cooperatrici, in un catalogo assortito appositamente stampato. Chi desiderasse provvedersi di libri in esso indicati, non ha che a rivolgersi a questa Libreria Salesiana, da cui riceverà tosto il detto catalogo.
In qualche paese della diocesi di Vercelli alcune donne vanno attorno spargendo foglietti e raccogliendo elemosine per le Opere Salesiane e in nome di Don Bosco. Dichiariamo che D. Bosco non ha autorizzato alcuno a fare simili questue.