BS 1930s|1934|Bollettino Salesiano Aprile 1934

APRILE-MAGGIO 1934 - (XII)

SOMMARIO Le fasi della Causa di Canonizzazione. - Don Bosco Santo!... - Un uomo mandato da Dio. - San Giovanni Bosco visto da Pio XI nel 1883. - Don Bosco e i giovani. - Opera magnifica di educazione cristiana. - Fondatore. - Don Bosco scrittore. - Don Bosco e la gioventù operaia. - L'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. - La spiritualità di Don Bosco. - L'associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice. - Don Bosco e le missioni. - Doni carismatici. - La Pia Unione dei Cooperatori Salesiani. - L'associazione ex-allievi di Don Bosco.

BOLLETTINO SALESIANO

PERIODICO MENSILE PER I COOPERATORI DELLE OPERE E MISSIONI DI DON BOSCO

Anno LVIII   Numero 4-5

Alleluja!

Gioia senza parole... Commozione intima, luminosa.

Il Cielo di Pasqua aperto sull'anima in tutto il suo fulgore trionfale.

Cristo è risorto, vincitore della morte, e trae seco, preda di conquista, la cattività degli uomini.

I ceppi della prigionia sono diventati ali di ascesa.

Per tutti i redenti. I Santi, i migliori di questi, sono i primi a seguire nel volo il Cristo vittorioso.

San Giovanni Bosco: è l'ora tua.

Scoccata sul quadrante della Provvidenza nell'alba primaverile dell'Alleluja...

O Padre nostro, sali...

Un giorno - ricordi? - le braccia dei tuoi giovani ti sollevarono in alto: e tu passasti sorridendo, umile e pacifico trionfatore di cuori.

Quei giovani son diventati numerosi come la rena che è sul lido del mare.

Una selva di braccia si protende, da tutti i continenti, a sollevarti su, su verso il cielo.

Cristo ti chiama: te lo dice autorevolmente il suo Vicario. Il cuore dei tuoi figli ti segue. La Cristianità ti acclama.

Le campane della Basilica Vaticana scandono il ritmo della tua ascesa...

Le campane di Maria Ausiliatrice, del tuo San Francesco, dei Becchi... di tutta la cattolicità...

Traducono, senza l' impaccio della parola, la gioia del nostro Alleluja...

INNO

Parole di

D. R. UGUCCIONI

Musica di D. P. MAGRI

È Cristo il Sol che illumina La gloria de' suoi Santi,

E di eternal meriggio

Li rende sfavillanti.

Sole che Oriente imporpora Nel rorido albeggiar, Ma de l'occiduo vespero Ignora il declinar.

Da la Romana Cattedra Ch'è faro al mondo intero, Pietro parlò: ineffabile

Squillò l'atteso vero. Santo! L'eccelso vertice Sali, Don Bosco, a voi! Raggia su Te l'aureola Di Cristo, eterno Sol!

Ti regge degli innumeri Tuoi figli il gaudio pio: Precede, alato arcangelo, Universal desio. De le campane librasi A l'aure la canzon:

L'eco si effonde, e argenteo Zampilla ovunque il suon.

O verdi solitudini

Del paesel natio!

Rompe la quiete estatica Il lieto tintinnio!

Sostan gli armenti attoniti Sui pascoli a mirar: Riedon sui prati floridi I sogni ad aleggiar.

Ecco appressarsi indomita Torma di belve urlanti:

Le forme immani oh! mutansi In agnellin belanti!

O pastorello, al supplice Grido del petto anel Scende, visione eterea, La Vergine dal Ciel!

S'apre nei bianchi petali

La prima dolce vita. Ahi! quanti asconde triboli La candida fiorita! O Pastorello, il gemito Volgi fidente al ciel!

Scende al tuo fianco,-oh! provi La Vergine fedel!   [vida! -

Ve' per la landa inospite Quale diffuso albore!

« Qui sorgerà - profetica

Ti disse - il mio splendore! ». E rise, ov'era squallida Vallea d'occisi, un fiori Sorse la tua Basilica Miracolo di amor!

Odo nel vento gelido

Un mesto pigolio:

Un augellino - ahi! misero! - Travolse il turbin rio! Vieni, augellin, t'affretta Al nido salvator! Dolce rifugio apprestati D'un Padre il grande cor!

Odi tu il fresco murmure De le crescenti schiere? Hanno nel petto il fremito Di mille primavere! Pure allo studio piegasi Quella si viva età E l'officina ha il sonito Di lieta alacrità.

O redolenti pampini

Di generosa vite!

Conversi un giorno in nettare, Pel mondo deh! fluite A ritemprar le esauste Sorgenti di bontà, Progenie di un Apostolo Sbocciato in Santità.

 D'un giovanile esercito Veggio sfilar le schiere, Il Nome Tuo fatidico Raggiar su le bandiere. Ed un gagliardo cantico Salire incontro al sol. Scande i siderei spazi Quell'inno in largo voi:

 E per remote piagge Scorre, fiammante strale: Nulla arrestarne ostacolo Può il volo trionfale. Su la foresta inospite Sosta, discende e sta:

Chè del tuo cor vi palpita o Santo, la bontà.

 O Padre, o Santo! unanimi Del mondo le favelle A lode tua si accendono Quai vivide fiammelle. In quel concento fulgido Sali, Don Bosco, a vol: Raggia su Te l'aureola Di Cristo, eterno Sol!

 La partitura della musica (a 4 e 2 voci) è in deposito presso la S. E. I.

A S. S. PIO XI

PAPA DELLA CANONIZZAZIONE I FIGLI E LE FIGLIE DI DON BOSCO UMILMENTE DEVOTI PERENNEMENTE GRATI

LE FASI DELLA CAUSA DI CANONIZZAZIONE

3 GIUGNO 1890 - 1° APRILE 1934

Quarantaquattro anni è durata. Sotto quattro Papi: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI. Cinque Arcivescovi di Torino hanno avuto l'onore di occuparsene: il card. Alimonda, mons. Riccardi, il card. Richelmy, il card. Gamba ed il card. Fossati. Sei Cardinali si succedettero a Roma nell'ufficio di relatori o Ponenti: gli Em.mi Parocchi, Tripepi, Vives y Tuto, Ferrata, Vico, Verde. E sei furono i Postulatori, salesiani, che curarono la causa: Don Bonetti e Don Belmonte presso il Tribunale diocesano di Torino; Don Cesare Cagliero, Don Marenco, Don Munerati, Don Tomasetti a Roma pel Processo Apostolico.

Consigliato da Leone XIII fin dal febbraio 1888, Don Rua, nell'estate dello stesso anno, presentava all'Em.mo Card. Alimonda, arcivescovo di Torino, la domanda d'introduzione della Causa, firmata da tutti i membri del V Capitolo Generale, raccolto in quei giorni a Valsalice.

Approvata all'unanimità da tutto l'Episcopato subalpino, 20 Vescovi, nel maggio del 189o, la domanda ebbe corso un mese dopo, il 3 giugno 189o, colla costituzione del Tribunale diocesano da parte del Card. Alimonda. Il Processo Informativo Diocesano sulle virtù e fama di santità del Servo di Dio durò 7 anni. Il Tribunale torinese chiuse i suoi lavori il 1° aprile del 1897, dopo 562 sedute. Altre diciotto sedute furono dedicate, la primavera dello stesso anno, all'esame degli scritti di Don Bosco. Rimessa a Roma ogni cosa, S. S. Leone XIII, il 16 settembre del 1897, autorizzava la S. Congregazione dei Riti ad aprire gli Atti del processo informativo torinese. La revisione terminava il 2 aprile 1904. Nel 19o5-19o6 la S. Congregazione discusse la validità della forma dei processo di Torino, ed il 24 luglio 1907, la s. m. di Pio X firmava il Decreto di Introduzione della Causa davanti alla Sacra Congregazione dei Riti. Con questo atto Don Bosco ebbe il titolo di venerabile.

Il 4 aprile 1908 la S. Congregazione dei Riti cominciò a Torino il Processo Apostolico sulla fama di santità, virtù e miracoli di Don Bosco e chiuse gli atti nel 1917, colla ricognizione della salma, il 13 ottobre dello stesso anno. Dal 6 dicembre 1918 al 1° luglio 1919 Roma ne fece la revisione. Discussa la validità del Processo Ap. torinese, Benedetto XV la ratificava il 9 giugno 1920.

Dal 192o al 1929 la S. Congregazione dei Riti, vagliate e sciolte le difficoltà che sollevavano i Processi Apostolici torinesi, prese ad esaminare minuziosamente le virtù ed i miracoli attribuiti al Servo di Dio. Il 30 giugno 1925 tenne la Congregazione Antipreparatoria sull'eroicità delle virtù e il 30 luglio 1926 la Preparatoria. L'8 febbraio 1927 S. S. Pio XI presiedette la Generale, e il 2o dello stesso mese autorizzava la lettura del relativo Decreto.

Riconosciuta poscia la validità del Processa Ap. torinese sui miracoli, Roma ne cominciò l'esame nel marzo 1927. Il 24 gennaio 1928 si tenne la Congregazione Antipreparatoria e l'11 dicembre la Preparatoria; il 5 marzo la Generale. Il S. P. Pio XI autorizzò la lettura del Decreto relativo il 19 marzo seguente, e quello del Tuto il 21 aprile. Il 17 maggio 1929 ebbe luogo a Torino la ricognizione della salma, alla presenza del Promotore della Fede, Mons. Salotti. Il 2 giugno, a Roma, la Beatificazione.

Ripresa la Causa il 18 giugno 1930, il 26 luglio 1932 si tenne la Congregazione Antipreparatoria sui miracoli proposti per la Canonizzazione; il 9 maggio 1933 una nuova Antipreparatoria per la sostituzione di un miracolo; il 23 luglio la Preparatoria e il 14 novembre la Generale. Il 19 novembre dello stesso anno S. S. Pio XI autorizzava la lettura del Decreto di approvazione dei miracoli, e il 3 dicembre quello del Tuto. Il 21 seguente S. S. teneva Concistoro segreto e Concistoro pubblico; il 15 gennaio 1934 quello semipubblico, in cui fissava la data della Canonizzazione al 1° aprile di quest'anno 1934, solennità di Pasqua e chiusura dell'Anno Santo XIX Centenario della nostra Redenzione.

Don Bosco Santo!...

Pasqua del 1934:

O dies felix memoranda fastis!

Giorno benedetto, di gloria suprema, di gioia ineffabile!

Don Bosco è Santo!

Dalla Cattedra infallibile di Pietro, il Santo Padre Pio XI l'ha proclamato. Tutta la Cristianità ha esultato in uno slancio di venerazione. Gli annali della Chiesa e gli annali della Società Salesiana hanno registrato la data gloriosa a caratteri d'oro.

Presagita e quasi pregustata dai contemporanei del Santo, la gioia di questo giorno ci verrà invidiata per sempre dai posteri

Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes sub honore Sancti Ioannis: rallegriamoci tutti nel Signore celebrando la Canonizzazione del nostro amato Padre Don Bosco.

Il nostro giubilo non potrebbe essere nè più ragionevole, nè più santo.

Ma, mentre il nostro cuore sussulta di gioia nel vedere solennemente riconosciuta dalla Chiesa la santità del Padre, ed i nostri occhi contemplano l'amabile figura del Santo, sorto davvero, tra gli altri santi uomini suscitati da Dio, come gigante a percorrere la sua via: « qui inter suscitatos sanctissimos viros vere surrexit sicut gigas ad currendam viam », il nostro spirito, scandendo le vie del firmamento, si trasporti nella celeste Gerusalemme dove, in un mare di luce, San Giovanni Bosco rifulge come un sole « sicut sol... in perpetuas aeternitates » per tutta l'eternità. Là infatti, dove ogni astro si distingue dagli altri astri « omnis stella... a stella differt in claritate » noi potremo cogliere la caratteristica della sua santità, apprezzarne i frutti ed ammirarne il premio peculiare che Iddio gli ha conferito.

E vero che l'essenza della santità altra non può essere se non quella stabilita dal Santo dei Santi, e cioè l'amore di Dio e l'amore del prossimo: due amori che si compenetrano in guisa da formarne uno solo. Su questi due basilari precetti poggia qualsiasi edificio di perfezione cristiana, dall'ordinaria all'eroica. Ogni Santo però attua il duplice comandamento della carità unica, secondo la individuale missione ricevuta da Dio. Per San Giovanni Bosco il diliges Dominum Deum tuum e il diliges proximum si tradussero nella formula: Lavorare per la gloria di Dio e per il bene delle anime; e lavorò per questa gloria e per questo bene con una vita intensa di fede e di zelo.

La fede, che di ogni santità è fondamento, fu, senza dubbio, lucerna a' suoi passi, secondo l'espressione del Salmista. Nella luce della fede la sua mente s'inebriava alla contemplazione delle verità rivelate e la sua volontà si moveva nelle direzioni che erano conformi al beneplacito divino. Quindi o parlasse o scrivesse o agisse, il suo spirito non oscillava mai fra Dio e il proprio io, fra il cielo e la terra, fra l'eterno e il temporaneo, fra il dovere e il piacere, ma si slanciava issofatto dalla parte di Dio, Padre e Signore assoluto, donde pigliava la norma sicura con cui regolarsi in tutto che avesse ragione di relativo e terreno. Intendo dire che in nulla egli cercò se stesso, il suo comodo, la sua soddisfazione, il suo tornaconto; ma spese tempo, energie e sforzi per servire nel miglior modo possibile il Signore, lavorando nel campo assegnatogli dalla Provvidenza.

E il suo campo specifico fu la salvezza della gioventù mediante l'efficacia della cristiana educazione. Prodigò bensì il suo ministero a vantaggio di quante anime o per sè o per mezzo de' suoi figli gli fu dato di avvicinare; ma le anime giovanili occuparono prevalentemente i suoi pensieri di apostolo. Dio solo sa quanti e quali sacrifici egli s'impose per andar in traccia dei giovani più bisognosi di cure sacerdotali, o per metterli al riparo da pericoli d'ogni genere che ne insidiavano la virtù, o per circondarsi di validi e numerosi ausiliari che gli prestassero mano in opera sì vasta e provvidenziale. Sonno, cibo, salute, tranquillità di vita, tutto egli sacrificò, nel sovrano intento di zelare per ogni verso il bene della gioventù.

Quelle che appaiono comunemente le caratteristiche della santità di Don. Bosco, cioè la sua abituale unione con Dio, la sua calma imperturbabile in qualsiasi evento, la sua paternità senza confini, la sua operosità che non diceva mai basta, di qui traevano origine, dalla sua carità ardente, che, animata da viva fede, gli faceva anteporre, a tutti e a tutto, Dio e gl'interessi di Dio.

Ora una santità così genuina e così eminente non poteva non produrre frutti adeguati, ed ecco una seconda osservazione sulla quale è bene soffermarci. Quando nel cristiano si uniscono buon volere e grazia divina, allora nascono le azioni veramente virtuose; ma se poi il cristiano è anche un Santo, un uomo cioè che spinge fino all'eroismo la corrispondenza sua agli ausili dell'alto, allora è come una gara fra il Creatore che dà e la creatura che fa, e sorgono le forme più grandiose di attività benefiche e perenni in seno alla Chiesa.

Un primo frutto della santità di Don Bosco è Don Bosco stesso, quella personificazione cioè di ogni più eletta virtù che i testimoni oculari riscontrarono in Lui e che i documenti storici attestano in larga misura. « Don Bosco sembra Nostro Signore », dissero, come mossi da soprannaturale intuito, giovanetti ingenui e confermarono, per naturale osservazione, uomini fatti. E, se l'affetto filiale non ci fa velo, saremmo portati a dire ch'egli, nelle sue varie età, abbia realmente raggiunto, per quanto vien dato alla umana fralezza, tutto il grado di perfezione che gli anni e gli Uffizi in lui comportavano.

L'altro frutto della santità di Don Bosco è poi questo prolungamento di se stesso che noi vediamo, la somma cioè delle opere che vivono tuttodì nel suo spirito. Partendo dalla terra, la santità di Don Bosco ha lasciato dietro di sè un complesso di creazioni, nelle quali ha trasfuso il suo alito vitale e che sono destinate, come ogni cosa viva, a crescere e a moltiplicarsi, adattandosi all'indole dei tempi, alla condizione dei luoghi, al carattere dei popoli. Chi per poco conosca le opere di S. Giovanni Bosco sa quanto sia ognora feconda la sua santità.

In terzo luogo, quali sono per Don Bosco i premi di tanta santità? Non ci limiteremo certamente a dire che la virtù è premio a se stessa e che quanto più essa è grande, tanto maggiore è il godimento che fruisce chi la pratica. Questo è vero e risaputo: lo proclamarono, sebbene in modo esclusivo, anche i seguaci di una scuola filosofica pagana. La testimonianza della buona coscienza è fonte di intima contentezza, che compensa a usura le pene cagionate dalla forza delle cose o dalla malizia degli uomini. Don Bosco godette questo premio della santità; egli pure sperimentò la felicità degli Apostoli, che ibant gaudentes allorchè digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati. La santità fa del patire una prova di amore, e per chi ama, soffrire è godere.

Gran premio questo della santità, e non solo per tal effetto immediato, ma perchè contribuisce immensamente ad aumentare il merito di un premio assai maggiore, il merito di quell'alto premio che Iddio tiene riserbato in Paradiso a' suoi eletti. E tutta la vita dei Santi converge qui, a tesoreggiare per il Cielo. Se non sarà senza premio nemmeno un bicchiere d'acqua fresca dato per amor di Dio a chi è arso dalla sete, chi può commisurare il guiderdone eterno di una vita come quella di Don Bosco consumata tutta nel più puro olocausto di sè tra le fiamme della carità? Certo non sorprese nessuno la notizia che, al momento della morte di Don Bosco, anime care a Dio e ignare del suo transito, vedessero, per divina concessione, l'ingresso di Lui nella gloria come un trionfo di solennità senza pari.

Ma Dio, giusto rimuneratore, va ancora più oltre nel ricompensare la santità. I Santi, che tanto fecero e patirono per la sua gloria accidentale, sono da Lui coronati di una particolare aureola, che richiama su di loro l'ammirazione, la venerazione, e l'imitazione dell'umanità. Il culto tributato ai Santi colloca questi eroi sul trono più splendido che vi sia, sul sacro altare nel tempio di Dio, e dinanzi a loro la pietà s'inchina, mentre l'eloquenza ne tesse le lodi, la storia ne tramanda le grandezze e l'arte ne abbellisce il ricordo. L'umile, il povero, il tribolato Don Bosco eccolo oggi, dalla divina munificenza, per mano della Chiesa, glorificato in faccia a tutto il mondo.

Ora io vorrei che riflettessimo bene a una cosa. Magnificare la santità di Don Bosco nelle sue caratteristiche, ne' suoi frutti, ne' suoi premi è un bisogno del nostro cuore prima ancora che un obbligo di gratitudine. Ma non fermiamoci qui; domandiamoci invece: dove stette il segreto di santità sì eccelsa? Io non esito ad affermare che dobbiamo cercare questo segreto nella sua costante corrispondenza alla Grazia. Fin da piccolo rivelò una sensibilità squisita agl'influssi soprannaturali che lo sospingevano alla preghiera e ai sacramenti, alla fuga del peccato, a soccorrere spiritualmente e corporalmente il prossimo; nel periodo degli studi ebbe il cuore staccato dalle cose della terra e rivolto tutto a secondare ispirazioni che non gli venivano certo dalla carne e dal sangue; nelle contingenze svariatissime del suo ministero sacerdotale e nelle molteplici imprese a servizio della Chiesa e delle anime guardò costantemente in alto al Padre dei lumi e al Datore d'ogni dono perfetto, null'altro premendogli che di obbedire ai superni impulsi. Era in Lui una cura assidua di non lasciar cadere invano la menoma grazia di Dio.

Ecco un punto che merita di richiamare tutta la nostra attenzione dinanzi alla santità di Don Bosco glorificata. Grazia grande è stata per noi la vocazione alla vita cristiana, grazia destinata a essere seguita da una catena d'infinite altre, ma subordinatamente alla fedeltà della nostra corrispondenza. Non lasciamo cadere invano la grazia di Dio: sarà questo il frutto più prezioso di tanta festa.

Sac. PIETRO RICALDONE

Rettor Maggiore della Società Salesiana.

Un uomo mandato da Dio.

" Il suo nome era Giovanni".

Ai Becchi di Castelnuovo il 16 agosto 1815 da Francesco Bosco e Margherita Occhiena nasce Giovanni Bosco.

Orfano di padre all'età di due anni, legato alle durezze di una vita povera, bersagliato dalle opposizioni del fratellastro Antonio che non lo vuole lasciar studiare: ecco le prime spine.

Il sorriso della Madonna che a nove anni gli appare in sogno, e gli mostra la futura missione a cui lo chiama, il conforto di una santa madre, l'appoggio provvidenziale di Don Calosso, suo primo maestro di latino: ecco le prime gioie. I giochi organizzati sul prato allo scopo di attirare i compagni, farli pregare e ripeter loro le prediche udite a Murialdo e a Buttigliera: ecco le prime prove dell'apostolato. A 16 anni inizia a Chieri gli studi di latino: per far fronte alle spese, esercita il mestiere di garzone di caffè, di sarto, di fabbro ferraio, di pasticcere, e intanto continua intensamente la sua opera di apostolato: converte un compagno ebreo, fonda la Società dell'Allegria, guadagna al sacerdozio un volonteroso sagrestano, affronta sfide, vince campionati, insegna il catechismo. Entra nel seminario di Chieri, dove, con Luigi Comollo, gareggia in sa-tità di vita. Eccolo sacerdote il 5 giugno 1841, offerto all'altare dalle mani di mamma Margherita che gli dice le memorande parole che saranno tutto un programma: Cerca anime, e non denari!

Conquistatore d'anime.

Sacerdote, Don Bosco, vede il campo della conquista che Dio gli ha assegnato: la gioventù povera e abbandonata. Al Convitto Ecclesiastico di Torino, sotto la guida di Don Cafasso, si perfeziona nello studio delle scienze sacre, e visita i carcerati prodigando loro le primizie del suo zelo sacerdotale.

L'8 dicembre 1841, nella chiesa di S. Francesco di Assisi, inizia con un povero ragazzo maltrattato dal sagrestano, quella che sarà l'opera degli Oratori festivi. Cerca ansioso un luogo dove raccogliere i giovani numerosi, dispersi come pecorelle senza pastore. Dall'ospedaletto di Santa Filomena, dove benedice l'8 dicembre 1844 la prima cappella dedicata a S. Francesco di Sales, emigra a San Pietro in Vincoli, ai Mulini o Molazzi, al prato Filippi, e di qui, respinto come dalle altre tappe, alla tettoia Pinardi, dove pone la prima cellula della sua grande opera, il 12 aprile 1846, inaugurandovi, il giorno di Pasqua, la prima Cappella stabile del suo Istituto: la cappella Pinardi. Il 3 novembre 1846, dopo una grave malattia felicemente superata, vi trasporta stabilmente la sua dimora, in mezzo all'entusiasmo dei giovani numerosi da lui conquistati. Diffidenze, lotte, opposizioni, calunnie, tutto sopporta con fiducia nella Provvidenza, tutto supera con l'aiuto di Dio e con le risorse del suo temperamento paziente, tenace, calmo e caritatevole.

La messe biondeggia nel campo.

Ed ecco l'instancabile lavoratore all'opera.

Scuole domenicali e serali, le prime del genere che si aprano in Italia, ospitalità aperta ai giovani abbandonati, Oratori festivi fondati a Porta Nuova, in Vanchiglia, principio di un mirabile sviluppo di questa prima opera di Don Bosco; istituzione di Convitti per studenti aspiranti al Sacerdozio (1850); vestizione chiericale dei primi suoi futuri collaboratori (1851). Erezione della Chiesa di S. Francesco di Sales (1852), istituzione delle Scuole Professionali (1853), inizio delle Letture Cattoliche (1853). Lavoro indefesso nel ministero della confessione e della predicazione; allena al sacrificio e all'eroismo i suoi primi figli nel colera del 1854: vede aprirsi i primi fiori di santità in Domenico Savio, Magone Michele, Besucco Francesco, Michele Rua, e vede nel giovinetto Giovanni Cagliero il futuro apostolo della Patagonia e il primo Vescovo salesiano. Legge, in quelli che egli chiama sogni, i segreti delle coscienze e le vie del futuro. Non gli mancano le lotte aperte e subdole dei nemici e degli incomprensori. La difesa della verità cattolica contro i Valdesi, procura attentati alla sua vita, prodigiosamente sventati da Dio, che si serve anche di un cane, il « Grigio », per difendere Don Bosco. Perquisizioni odiose, vessazioni settarie, dalle quali esce sereno e vittorioso guadagnandosi la stima di uomini insigni: Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Cavour, Rattazzi, Gioberti, Crispi, Silvio Pellico, Rosmini, Manzoni, ecc.

 « Duc in altum » .

18 dicembre 1859. Consigliato e sorretto da Pio IX e da... Urbano Rattazzi, fonda la Società Salesiana. Nel 1862 apre la prima tipografia dalla quale lancia egli stesso opuscoli, libri di scuola, letture religiose, amene e drammatiche integrando, con l'apostolato della stampa, quello della parola. Nel 1868 apre il santuario di Maria Ausiliatrice, il primo di cento e più basiliche che si apriranno per suo impulso su tutti i continenti. Nel 1869 ottiene l'erezione canonica dell'Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice. Nel 1872 a Mornese costituisce in Istituto religioso le Figlie di Maria Ausiliatrice. Nel 1876 fa approvare dal Sommo Pontefice la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani pei quali nel 1877 inizia la pubblicazione del Bollettino Salesiano. L'opera di Don Bosco intanto si espande nell'Italia e nel mondo. Lo zelo dell'apostolo varca i confini delle nazioni e penetra con l'ardimento dei primi suoi figli nelle Missioni. La Patagonia è evangelizzata e costituisce la prima delle apostoliche conquiste dei popoli infedeli. Ma Don Bosco conquista pure il cuore delle popolazioni civili. In Ispagna, in Francia, è accolto con onori trionfali. Pensatori, prìncipi, prelati, alte personalità ricercano una sua parola. Egli passa a tutti sorridendo, poveri e ricchi e a tutti elargendo grazie e miracoli in nome della sua Ausiliatrice. In Italia il Sommo Pontefice Pio IX e Leone XIII lo hanno in concetto di Santo. Gli offrono dignità che egli rifiuta, mansioni delicate che egli accetta e disimpegna abilmente col Governo italiano a gloria di Dio e a vantaggio delle anime. Così precorre e auspica la Conciliazione dell'Italia col Papa. Muore dopo aver molto lavorato e molto sofferto, il 31 genn. 1888. La famiglia che si stringe attorno alla sua bara in indicibile cordoglio, ammonta a 1000 Salesiani e 200.000 giovani. Quando la bara, per volere di Dio, si trasforma in altare, le cifre decupletate dei figli, delle opere, e degli ammiratori, attestano eloquentemente di lui l'opera voluta e sorretta da Dio: Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joannes!

R. UGuccioNI.

San Giovanni Bosco visto da Pio XI nel 1883

Nell'autunno del 1883, vi fu nell'Oratorio una visita che non fece rumore in casa, ma che doveva avere conseguenze di altissimo valore. Si presentò a D. Bosco un giovane sacerdote, slanciato della persona, dalla fronte ampia, dall'aria riflessiva, ponderato nel parlare e riverente nei modi. Dopo una conversazione che non andò solamente in convenevoli, il Servo di Dio disse al suo visitatore: - Ora lei, caro Don Achille, è padrone di casa. Mi rincresce di non poterla accompagnare io, perchè sono molto occupato; non so neppure chi darle per guida, essendo anche tutti gli altri occupati. Lei vada, venga, veda tutto quello che vuole. -

Don Achille Ratti, che faceva le prime prove alla Biblioteca Ambrosiana di Milano sotto la scorta del dottissimo Monsignor Ceriani, desiderava conoscere specialmente come fosse organizzata la scuola tipografica dell'Oratorio e in generale come funzionassero le scuole professionali. La tipografia con i suoi annessi e connessi, come la fonderia dei caratteri e la legatoria lo interessò moltissimo. Quando rivide Don Bosco nel refettorio del Capitolo Superiore, interrogato da lui che cosa avesse veduto di bello, rispose: Vidi mirabilia hodie.

Era il tempo, in cui i Direttori delle singole Case si recavano alla Casa Madre per conferire con Don Bosco, esporgli le loro condizioni e i loro desiderata e riceverne consigli e conforti. Il Santo li riceveva alla buona là nel refettorio, subito dopo il pranzo. Non appena l'ospite, che Don Bosco fermò a prendere il caffè, s'accorse che cominciavano tali udienze, mostrò premura di allontanarsi; ma Don Bosco: - No, no, gli disse, stia, stia pure. - Primo a entrare in colloquio fu un Direttore di Francia. Don Bosco stava in piedi, appoggiato alla tavola. Non erano tutte liete le cose che di piano in mano formavano l'argomento della conversazione; ma dall'aspetto di Don Bosco nessuno avrebbe potuto indovinare quand'egli udisse buone o cattive notizie, tanta calma e serenità gli si leggevano sempre sul volto. Succedette al primo un Direttore di Sicilia, certamente Don Guidazio, che da quattro anni dirigeva il collegio di Randazzo, l'unico esistente allora nell'isola. Bersagliato non poco dalle Autorità scolastiche per motivi settari, egli descriveva drammaticamente nel suo pittoresco linguaggio soprattutto le vessazioni di un Provveditore agli studi. Don Bosco, ascoltata ogni cosa, prese a dargli opportuni suggerimenti sulla condotta da tenere. - E se tutto questo non bastasse, conchiuse, digli pure che Don Bosco ha le mani lunghe e che può arrivare fino a lui. -Così Don Ratti, da buon osservatore, assisteva alla serie di quei rendiconti, fissando però la sua attenzione in special modo sul contegno di Don Bosco dinanzi a tanta varietà d'individui e di argomenti.

Nè siffatta confidenza accordata ad un ospite sconosciuto si limitò a quel caso; ma per tutti i due giorni che quegli rimase nell'Oratorio, Don Bosco lo ammise nell'intimità della famiglia, trattandolo come uno de' suoi e lasciandolo libero di girare per la casa a osservarne l'andamento e a prendere contezza di tutto quello che gli piacesse. Il che non mancò di produrre in lui un senso tal quale di stupore. Due cose intanto sono certe: che un sì breve spazio di tempo fu sufficiente al suo occhio sagace per misurare la personalità di Don Bosco e la portata della sua missione, e che le parole udite e le impressioni riportate non si cancellarono più dalla mente del futuro Pontefice, come ne fanno fede le sue reiterate testimonianze tanto in private che in pubbliche udienze.

Di parole udite non ne conosciamo molte, ma ne abbiamo a sufficienza per formare una bella collana. Don Ratti aveva un rammarico nel cuore: un giovane artigiano da lui raccomandato alcune settimane prima a Don Bosco, preso da nostalgia, se ne era fuggito dall'Oratorio. - Quanto mi rincresce, disse egli, che il mio raccomandato mi abbia fatta fare una così brutta figura! C'è però la scusa che è un ragazzo poco intelligente. -

Ma Don Bosco volle subito riabilitare il fuggitivo, e gli rispose tutto sorridente: - In quella circostanza diede la sua prima prova d'ingegno! Vedrà che nella vita saprà cavarsela e farsi strada! - La realtà confermò il pronostico; ma lì per lì Don Ratti non fece caso di quella ipotetica eventualità. Gli era piaciuto e l'aveva commosso la caritatevole prontezza delle sue prime parole e il gioviale commento con cui tanto serenamente egli aveva messo il suggello all'episodio, pigliando motivo dalla scappata stessa per non disperare di quel giovane (1).

Amante della cultura, Don Ratti si rallegrava con Don Bosco del sapiente e ardimentoso sviluppo dato da lui all'arte tipografica nel suo Oratorio « mediante tutti i ritrovati più completi e moderni della meccanica ». Il «caro » Santo «con quella sorridente bonomia e con quell'arguzia che tutti notavano sempre in lui » gli rispose: - In queste cose Don Bosco vuol essere sempre all'avanguardia del progresso. - E intendeva dire che nelle opere di propaganda tipografica e libraria non la voleva cedere a nessuno. « Queste invero, afferma oggi il Pontefice, furon proprio le opere della sua predilezione » e formarono «il suo nobile orgoglio » (2).

Confidò pure al suo gradito ospite, che in un primo tempo egli si era sentito sospingere verso il lavoro scientifico e letterario o, come il Papa si esprime, «nella direzione delle grandi comprensioni ideali ».

L'incontro con un uomo di libri e di biblioteca gli aveva fatto dire ancor più esplicitamente che egli da prima «aveva un vasto piano di studi, un vasto piano anche di storiografia ecclesiastica; - ma poi, soggiungeva, ho visto che il Signore mi chiamava per altra via: mi mancava forse l'attrezzamento di spirito, d'intelligenza, di memoria - ». Ma è opinione di Pio XI che egli fosse una di quelle anime che « per qualunque via si fosse messa, avrebbe certamente lasciato grande traccia di sè » (1).

Il Santo, che non si lasciava sfuggire occasione di parlare de' suoi Cooperatori, li chiamò in presenza di lui la sua longa manus, dicendo « con umile compiacenza », ma come fa chi « vuol dare importanza ad altri » anzichè a se stesso, che grazie appunto alla « mirabile legione » dei Cooperatori egli aveva « le mani abbastanza lunghe da poter arrivare a tutto » (2).

Dalle sue labbra il Papa attinse pure allora quanto stesse in cima ai suoi pensieri e agli affetti del suo cuore la composizione del deplorato dissidio che divideva in Italia lo Stato dalla Chiesa. La questione romana in quei mesi era tornata, come suol dirsi, di attualità. Pullulavano articoli e opuscoli con proposte più o meno strampalate sul modo di risolverla o pieni di astiose polemiche. Anche dagli Stati Uniti il New-York Herald aveva incaricato un suo corrispondente in Italia di visitare i più illustri personaggi delle due Rome, studiare la reciproca posizione del Quirinale e del Vaticano e riferire. Ne venne così una lunghissima corrispondenza riassunta subito su parecchi giornali italiani ed esteri. Al grosso dibattito aveva dato origine una lettera aperta di Emilio Rendu, già ispettore generale delle Università francesi, all'onorevole Ruggero Bonghi sopra lo scottante argomento (1).

Orbene Don Ratti vide in tale circostanza come Don Bosco vagheggiava «non una conciliazione come che fosse, così come molti erano andati per molto tempo almanaccando, arruffando e confondendo, ma in modo tale che innanzi tutto si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime » (1). Infatti lo udì deplorare certi avvenimenti, « deplorare tanta manomissione dei diritti della Chiesa e della Santa Sede, deplorare che quelli che allora reggevano le sorti del Paese non fossero rifuggiti da cammini che non si potevano percorrere se non calpestando i più sacri diritti »; onde implorava « da Dio e dagli uomini qualche possibile rimedio a tanti guai, una qualche possibile sistemazione di cose, sicchè tornasse a splendere col sole della giustizia la serenità della pace negli spiriti » (2). Perciò nell'Enciclica Quinquagesimo ante anno del 23 dicembre 1929, enumerando le consolazioni arrecategli dall'anno giubilare della sua sacerdotale consacrazione, scriveva: « Durante quella visita alla Basilica di S. Pietro [la visita del 2 giugno nella beatificazione di Don Bosco] ci veniva in mente come per una speciale provvidenza dell'Autore di tutti i beni fosse avvenuto che il primo a cui decretammo gli onori celesti dopo che avevamo concluso il patto della desideratissima pace con il Regno d'Italia, fosse Giovanni Bosco, il quale, deplorando fortemente i violati diritti della Sede Apostolica, più volte si era adoperato, perchè, reintegrati tali diritti, si componesse amichevolmente il dolorosissimo dissidio pel quale l'Italia era stata strappata al paterno amplesso ».

Passando ora alle impressioni ricevute dal giovane levita in quell'unico incontro col Servo di Dio, dobbiamo riconoscere che dovettero essere delle più profonde, se a tanta distanza di tempo gliene torna così vivo e tenero il ricordo. «Sono ormai quarantasei anni, diceva nel 1929 (1), e ci pare ieri, anzi oggi, di vederlo ancora così come allora lo abbiamo veduto e lo abbiamo ascoltato, sotto lo stesso tetto, alla stessa mensa, ed avendo più volte la gioia di poterci trattenere lungamente con lui, pur nella ressa indescrivibile delle occupazioni ». Più che passeggera conoscenza, egli chiama antica amicizia la sua relazione con Don Bosco, amicizia che glie « lo fa rivivere nel cuore con tutta la letizia, la giocondità, l'edificazione della sua memoria » (2). Si compiace pertanto il Santo Padre non solo di essere fra gli ammiratori di Don Bosco, ma di essere stato « tra i suoi conoscitori personali, tra quelli che ebbero da lui stesso vivi e paterni segni di benevolenza e di paterna amicizia, come poteva esservi tra un veterano glorioso del sacerdozio e dell'apostolato cattolico ed un giovane sacerdote » (3).

Non basta. Nel 1922, dopo rievocata la « fortuna » di aver non pure passato con Don Bosco poche ore, ma di essergli stato ospite per due giorni «partecipando alla sua mensa penitente più che povera e giovandosi soprattutto della sua ispirata parola », aveva detto che godeva di sentirsi per questo in certo modo parte della sua grande famiglia (4). E diciassette giorni dopo aveva ripetuto (5): «Noi siamo con profonda compiacenza tra i più antichi amici personali del Venerabile Don Bosco. Lo abbiamo visto questo vostro glorioso Padre e Benefattore, lo abbiamo visto con gli occhi nostri. Siamo stati a cuore a cuore vicino a lui. È stato tra noi non breve e non volgare scambio di idee, di pensieri, di considerazioni. Lo abbiamo visto questo grande propugnatore dell'educazione cristiana, lo abbiamo osservato in quel modesto posto che egli si dava tra i suoi e che era pure un così eminente posto di comando, vasto come il mondo, e quanto vasto altrettanto benefico. Siamo perciò ammiratori entusiasti dell'opera di Don Bosco e siamo felici di averlo conosciuto e di aver potuto aiutaré per divina grazia col modestissimo nostro concorso l'opera sua ». Onde non è da stupire che nel discorso dell'11 viaggio 1930 salutasse i due giorni trascorsi con Don Bosco come « giorni di gioia e di consolazione che solo può valutare chi ebbe quella divina ventura ».

Che se poi dall'impressione generale scendiamo a impressioni particolari, troviamo che all'accorto osservatore nessuna sfuggì delle qualità caratteristiche del nostro Santo. Sebbene infatti lo vedesse aggirarsi per casa « come l'ultimo venuto, come l'ultimo degli ospiti », tuttavia al primo approccio egli

aveva ravvisato in lui una «figura di gran lunga dominante e trascinante, una figura completa » (1). Ne notò « l'energia di lavoro, l'indomabile resistenza alla fatica, fatica quotidiana e di tutte le ore da mane a sera, da sera a mane, quando occorreva » (2); «una vita di lavoro colossale che dava l'impressione dell'oppressione anche solo a vedere » (3). Ne notò una delle più belle doti, vale a dire « l'essere presente a tutto » benchè « affaccendato in una ressa continua, assillante di affanni, tra una folla di richieste e consultazioni » e intanto avere « lo spirito sempre altrove, dove la calma era sempre dominatrice e sempre sovrana » (4); giacchè era una delle sue qualità più impressionanti « una calma somma, una padronanza del tempo da fargli ascoltare tutti quelli che a lui accorrevano, con tanta tranquillità come se non avesse null'altro da fare » (5). Nel che lo vide assistito da «una pazienza inalterabile, inesauribile » e da «vera e propria carità, sì da avere sempre egli un resto della propria persona, della mente, del cuore, per l'ultimo venuto e in qualunque ora fosse arrivato e dopo qualunque lavoro » (1). Ammirò poi in lui il «grande, fedele e veramente sensato servo della Chiesa Romana, della Santa Sede Romana » (2).

Sì, questa «fedeltà generosa e animosa a Gesù Cristo, alla sua santa Fede, alla santa Chiesa, alla Santa Sede fu il privilegio » esemplare che il Santo Padre potè «leggere e sentire nel suo cuore », constatando «come al di sopra di ogni gloria egli poneva quella. di essere fedele servitore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario » (3).

Altra « impressione ancor viva nell'anima » del Pontefice è ch'ei gli parve fin d'allora « un uomo invincibile, insuperabile, perchè fermamente, solidamente fondato in una fiducia piena, assoluta nella divina fedeltà » (4). Lo colpì inoltre l'avere scorto in Don Bosco un abito sacerdotale, che era frutto di una perfetta preparazione. Parlando agli alunni dei pontifici seminari romani maggiore e minore il 17 giugno 1932, dopo aver accennato alla duplice preparazione che essi dovevano premettere al sacerdozio, preparazione cioè morale ed intellettuale, arrecò l'esempio di Don Bosco dicendo: «Noi abbiamo potuto vedere molto da vicino il Beato, edificarci proprio in presenza dell'una e dell'altra preparazione e vedere tutto quello che non tutti ebbero il piacere di vedere anche tra i suoi figli. Giacchè la sua preparazione di santità, la preparazione di virtù, la preparazione di pietà, da tutti era vista, perchè era tutta la vita di Don Bosco: la sua vita di tutti i momenti era un'immolazione continua di carità, un continuo raccoglimento di preghiera: è questa l'impressione che si aveva più viva dalla sua conversazione: un uomo che era attento a tutto quello che accadeva dinanzi a lui. C'era gente che veniva da tutte le parti [... ] ed egli in piedi, su due piedi, come se fosse cosa di un momento, sentiva tutto, afferrava tutto, rispondeva a tutto e sempre in alto raccoglimento. Si sarebbe detto che non attendeva a niente di quello che si diceva intorno a lui: si sarebbe detto che il suo pensiero era altrove, ed era veramente così; era altrove: era con Dio in spirito di unione. Ma poi eccolo a rispondere a tutti, e aveva la parola esatta per tutti e per se stesso, così proprio da meravigliare: prima infatti sorprendeva e poi meravigliava. Questa la vita di santità e di raccoglimento, di assiduità alla preghiera che il Beato menava nelle ore notturne e fra tutte le occupazioni continue e implacabili delle ore diurne. Ma sfuggì a molti quella che fu la preparazione della sua intelligenza, la preparazione della scienza, la preparazione dello studio, e sono moltissimi quelli che non hanno l'idea di quello che Don Bosco diede e consacrò allo studio. Aveva studiato moltissimo, continuò per molto tempo a studiare vastissimamente ».

Finalmente, nel rievocare con tanta insistenza quella fortunata congiuntura, un'impressione dominante del Santo Padre è che fosse là un tratto della « divina Bontà » (1) e una « mirabile disposizione di Dio » (2), cosicchè fra « le grazie più grandi della sua vita sacerdotale » egli non esita ad annoverare il suo «incontro » con Don Bosco (3).

Nulla dunque vieta di ritenere che l'indimenticabile incontro non sia stato meramente fortuito o dovuto a circostanza puramente umana, ma predisposto ne' suoi arcani consigli dalla Provvidenza divina. Colui che aveva affidato all'umile sacerdote piemontese una missione di bene vasta quanto la Chiesa, guidò gli avvenimenti in modo che quello de' suoi Vicari, a cui sarebbe toccato il compito di apporre a detta missione il suggello del supremo riconoscimento, scoprisse per tempo e valutasse da vicino i tesori di grazia dallo Spirito Santo versatigli in seno.

E. CERIA.

(1) Il Santo Padre, quand'era Arcivescovo di Milano, narrò questo episodio all'Economo Generale dei Salesiani Don Fedele Giraudi.

(2) Discorso sull'eroicità delle virtù, 2o febbraio 1927; udienza dopo l'inaugurazione dell'Istituto Salesiano Pio XI a Roma, 11 maggio 1930; discorso agli alunni dei pontifici seminari romani, 17 giugno 1932.

(1) Disc. cit., 20 febbraio 1927.

(2) Disc. per il decreto sui miracoli della canonizzazione, 19 novembre 1933.

(1) La lettera era comparsa sulla Rassegna Nazionale di luglio e in due puntate sulla Nazione di Firenze (15 e 17 luglio).

(1) Disc. per il decreto sui miracoli della beatificazione, 19 marzo 1929.

(2) Disc. per il decreto del Tuto nella beatificazione, 21 aprile 1929.

(1) Disc. cit., 19 marzo 1929. (2) Disc. cit., 21 aprile 1929.

(3) Disc. nel cortile di S. Damaso, 3 giugno 1929. (4) Disc. al collegio salesiano di Frascati, 8 giugno 1922.

(5) Disc. all'Ospizio Sacro Cuore, 25 giugno 1922.

(1) Disc. Cit., 20 febbraio 1927

(2) Disc. Cit., 20 febbraio 1927

(3) Disc. per il decreto del Tuto nella canonizzazione, 3 dicembre 1933.

(4) Disc. Cit., 20 febbraio 1927. (5) Disc. cit., 19 marzo 1929.

(1) Disc. cit., 3 dicembre 1933. (2) Disc. cit., 19 marzo 1929. (3) Disc. Cit., 25 giugno 1922. (4) Disc. Cit., 21 aprile 1929.

(1) Disc. citt., 21 aprile 1929 e 11 maggio 1930. (2) Disc. cit., 19 marzo 1929.

(3) Disc. citt., 8 giugno 1922 e 3 giugno 1929; per l'eroicità delle' virtù di Domenico Savio, 9 luglio 1923.

L'ALTARE A SAN GIOVANNI BOSCO

Il Rettor Maggiore dei Salesiani ha lanciato al mondo un ardente appello perchè l'omaggio che si vuole tributare a Don Bosco Santo si traduca al più presto, per mano di artisti e per l'obolo generoso di tanti devoti, in un grandioso monumento di fede, di riconoscenza e di pietà.

Facendo eco al suo appello precisiamo quale sia l'omaggio da tributarsi a Don Bosco, pubblicando il prospetto del progettato altare a lui dedicato e la pianta dell'ingrandimento del Santuario dell'Ausiliatrice.

L'altare sarà un degno trono che dovrà tramandare alla posterità la grandezza e la tenerezza del nostro amore verso Don Bosco. Esso sorgerà nel braccio destro del Tempio; e non sarà addossato al muro di fondo, ma alquanto isolato, come monumento che racchiuderà nel centro, in forma visibilissima, in cospetto del celebrante e del popolo, l'urna colle gloriose spoglie mortali del Santo. In alto dominerà il quadro posto tra colonne sormontate da un ricco timpano coronato dallo stemma della Società Salesiana: Don Bosco vi apparirà in gloria, prostrato dinanzi alla Vergine Ausiliatrice. Nella parte posteriore dell'altare, nella raccolta intimità d'uno scurolo coperto da una cupoletta ovale, i suoi Figli potranno sostare in preghiera accanto all'urna del Padre, o sfilare colle migliaia di devoti che accorreranno a lui nelle maggiori solennità. Il carattere del nuovo altare è in perfetta armonia con lo stile della Chiesa, e nella magnificenza architettonica dell'opera troveranno posto marmi rari e metalli preziosi che la pietà dei fedeli vorrà tributare alla glorificazione del Santo.

Autore del progetto è l'arch. prof. Mario Ceradini, Direttore della R. Scuola Superiore di Architettura in Torino.

L'AMPLIAMENTO DEL SANTUARIO DELL'AUSILIATRICE

L'ampliamento del Santuario da molti anni rappresentava un'imperiosa necessità per l'assoluta insufficienza dello spazio disponibile, e un grave e delicato problema per realizzarlo; perchè tutti convenivano che bisognava rispettare e conservare all'amore e alla venerazione nostra ciò che rappresenta il sacro patrimonio lasciatoci da Don Bosco.

L'architetto salesiano G. Valotti ha risolto il problema dell'ampliamento seguendo appunto questi criteri:

1) conservare, nella misura possibile, la chiesa così come Don Bosco la fece costruire;

2) ottenere che l'ampliamento sia parte organica ed integrante del Santuario; 3) rispettare tutte le costruzioni adiacenti alla chiesa stessa;

4) mantenere l'ingresso attuale e l'asse della via carraia che attraversa in linea retta tutto il

vasto Istituto.

Le demolizioni si limiteranno dunque al coro e alle piccole sagrestie, permettendo la costruzione di due vaste cappelle intorno alle quali corre una galleria di disimpegno e di passaggio alla nuova ed ampia sagrestia. Nella parte superiore delle nuove cappelle due vaste tribune favoriranno il più possibile la presenza nel Santuario dei fedeli nelle maggiori solennità dell'anno.

L'accesso frontale al Santuario, come lo sfollamento dopo le funzioni, sarà facilitato da due nuove porte praticate ai lati della facciata. Nei prossimi numeri del Bollettino saranno illustrati tutti i particolari relativi ai due progetti.

In tutte le imprese alle quali poneva mano, Don Bosco esaminava se l'opera era di gloria a Dio e poi non s'arrestava di fronte a nessuna difficoltà, per quanto paresse umanamente insormontabile. Ci proponiamo di seguire il suo esempio in questa duplice impresa: di rendergli cioè omaggio innalzandogli un altare bello e grandioso, perchè sia veramente degno della bellezza e della grandezza dell'Opera sua, e di onorare la Vergine Ausiliatrice, ingrandendo ed abbellendo il suo Santuario.

L'ampliamento del Santuario e la costruzione del nuovo altare segneranno una nuova e più fulgida èra di grazie nella storia della cara Madonna di Don Bosco.

Sac. FEDELE GIRAUDI,

DON BOSCO E I GIOVANI

I due termini Don Bosco e i giovani sono così legati fra loro, che dire l'uno è un richiamare l'altro.

Don Bosco fu sempre giovane, anche quando i molti anni e le molte fatiche avrebbero dovuto fare di lui un vecchio. E fu sempre giovane. perchè ebbe il preciso comando di restar tale quando, nel misterioso sogno, l'autorevole voce del Redentore e della sua Santa Madre gli dissero di conservarsi umile, forte, robusto. E i giovani (i veri giovani) sono appunto umili, cioè semplici, sono forti nelle loro audaci idealità e sono robusti nel battersi contro gli avversari.

Don Bosco imparò dal Vangelo il grande precetto fatevi come fanciulli ed entrerete nel regno dei cieli.

E fu fanciullo completo e vivace egli stesso, prima di diventare il capo dei fanciulli e dei birichini. Leggete le sue «Memorie autobiografiche» e vi troverete la freschezza delle sorgenti alpine.

E notate che a due anni restò orfano. Glielo disse sua madre una triste sera:

- Eccoti senza padre!

Che cosa significarono per lui queste parole? Qualche cosa come: Tuo padre è andato lontano donde manderà a te e a me il sostentamento.

E il lontano era il Paradiso. Colui che doveva esser chiamato padre degli orfani, fu orfano presto e tuttavia fu giocondo fanciullo. Osservatelo quando lavora la terra con i contadini e con essi dice l'Angelus: sul suo viso splende un sole interiore. Osservatelo quando miete il frumento: elevandone in alto un mannello pare che dica al Signore: Per te!

Osservatelo, quando, nella grande caristia, vede arrivare alla sua casa i poveri:

- Sono il Signore - gli diceva la mamma Margherita. Egli allora cominciava a far la conoscenza personale con Dio, perchè lo vedeva sotto le vesti del dolore. Oh! su questo fanciullo le angustie della vita non deporranno le ragnatele del dubbio: c'era in lui troppa vitalità santa.

E andò a scuola di religione dalla mamma, prima ancora d'andare a imparare il leggere, lo scrivere e il far di conto.

- Dio è grande! Dio è nostro padre! Dio ti vede!

Queste e altre verità che gli venivano indicate nel catechismo, il bimbo, prima di saperle leggere con gli occhi, le palpava con le dita.

E sua madre lo mantenne fanciullo, perchè lo sgridava spesso con l'ansia che guida l'artista a martellare il blocco di marmo, affinchè diventi statua perfetta. Lo sgridava, quando lo vedeva gelosetto e il fanciullo s'umiliava. Lo sgridava anche, quando le ritornava stracciato e ammaccato dalla compagnia di altri fanciulli:

- Non andare più con loro.

Mamma, vi ubbidirò; ma vi dico che quando ci sono io, stanno più buoni...

- Allora, va' pure...

Sublime il fanciullo e sapiente la madre!

La via a lui decenne fu segnata dall'alto in sogno, perchè, quando chi sogna è un puro e un servitore costante del Signore, anche nel sogno entra e opera la volontà di Dio.

Eccolo a carpire i segreti dei saltimbanchi per le fiere, ed eccolo vestirsi egli pure da Toni, a imitazione della primavera, infanzia della terra, che è buffa nella scelta dei colori. Quando il giocoliere si ferma a mezza corda e invita la sua rurale assemblea a pregare, il cielo stesso si sarà fatto più vicino per udire. Quando fa i giuochi di prestigio, i bimbi ridono come fonte che scende e i vecchi con i lucciconi, mandano giù la saliva, come se fosse un boccone dolcissimo. E quando ripete la predica udita a Murialdo, le vecchie parole del vecchio Don Calosso si rivestono a nuovo e si stampano sui cuori in modo indelebile.

Altri Santi erano scesi nelle piazze a tuonar maledizioni contro i peccatori, ma nessuno era sceso con il naso infarinato. Giovannino che si equilibra sulla corda e fa croce con le braccia è simile a chi vuol dare un abbraccio o a chi getta il seme e muove le mani quasi già colga i manipoli che vede biondeggianti nella sua fede.

Dopo la prima Comunione che il Santo descrive coli parole di Paradiso, Dio gli allargò l'orizzonte come fa un servo che alza la tenda per mostrare uno spettacolo. E fu lo spettacolo di fatiche, di umiliazioni, di persecuzioni da parte del fratellastro Antonio, furono umiliazioni nel cercar lavoro nella cascina Moglia, nel mendicar il sapere servendo come sacrestano a Murialdo e poi nel camminare a piedi nudi a Castelnuovo e poi a Chieri, dove fece tutti i mestieri che fecero e che fanno e che faranno i veri giovani, quelli cioè che operano e si guadagnano la vita, assai differenti dai giovani sofisticati da una pretesa cultura.

E a Chieri fonda la Società dell'Allegria. Allegria, medicina sovrana per tener l'anima disinfettata dal male!

Allegria dei giuochi e dei salti, fatti su questo mondo che non per nulla Dio creò a forma di palla.

Allegria che allontana ridendo il diavolo, come si allontana un forestiero con dirgli: Forse lei ha sbagliato uscio...

Incontra uno di quei giovani chiusi e sornioni che davanti a un prete fanno i restii con un pizzico di villania.

- Sai leggere?

- No!

- Sai scrivere?

- No!

- Sai, ecc., ecc.?

- Gnanca! (piem. = Neppure). - Sai zufolare?

Puh!...

E la faccia s'illumina e l'anima s'apre. L'allegria era per Don Bosco l'apriti, fatto realtà di ogni ora.

E finalmente a Torino.

Osservatelo, quando si mette in ginocchio prima di fare il catechismo a Bartolomeo Garelli. Il suo volto chino su quel giovane non pare il volto d'un prete che si china sul pane per consacrarlo e cambiarlo in Cristo vivente?

E vengono le turbe dei ragazzi con i quali per un decennio va ramingando per Torino, cacciato come can tignoso, ma sempre lieto, perchè sa che arriverà. Dove? Non lo sa ancora; ma sa che arriverà. E arrivò nella Pasqua del 1846 in quella Valdocco, dove un tempo s'impiccavano i delinquenti e donde ora prendono il volo i mille e mille Salesiani che, con volto ridente salutano:

Vado in India!

- Vado in Cina!

Vado in Giappone!

Vado in America!

E lo dicono con l'indifferente letizia di chi dice: - Vado in capo all'orto, vado nei prati a giuocare.

E partono, sempre giovani, verso altri giovani, e per via fanno saltelli, come fece Giovannino, quando tornò ai Becchi, dopo le prime lezioni che dovevano finire con il sacerdozio più santo...

Essi partono con un viatico infallibile. Sanno cioè che i giovani, prima di dire di sì al Signore, vogliono e pretendono che altri dica di sì ai loro giuochi e ai loro schiamazzi.

Vanno col viatico del sistema preventivo che è un atto di scusa continuo alle leggerezze e debolezze dei giovani, secondo l'insegnamento di Gesù:

- Lasciate che i piccoli vengano a me e non mettete loro ostacolo.

Vanno con poche regole, perchè sanno che ogni giovane è un mondo nuovo e, specie nell'opera principe che è quella degli Oratori festivi, i regolamenti fanno la figura di una matassa buttata fra le zampe d'un gatto. Vanno sapendo che le anime bisogna conquistarle una per una, giorno per giorno, allo scopo di condurle al Redentore. Egli solo saprà disegnar in esse il suo volto divino.

Don COJAZZI.

OPERA MAGNIFICA DI EDUCAZIONE CRISTIANA

Così, nel Decreto del 19 novembre 1933 che approva i due miracoli operati da Dio per intercessione del B. D. Bosco, veniva definita l'opera sua di apostolato in mezzo all'umana società. E prendendo poi lo spunto dal Vangelo della domenica nella quale si leggeva la parabola del grano di senapa, il Decreto aggiungeva che quest'opera segnata nelle sue origini di quella nota di umiltà che segna quasi sempre le origini delle opere che vengono da Dio, in breve spazio di tempo si era vista prosperare diffusa per ogni parte del mondo, e il B. D. Bosco tra gli altri santi uomini essere sorto davvero come gigante a correre la sua via.

E veramente l'apostolato di D. Bosco sia che si studi nella vita di lui il modo come nacque, si svolse e prese la sua forma definitiva, sia che si guardi nella vita delle due Famiglie religiose. nelle quali si studiò di trasfondere e lasciare come viva eredità il suo spirito, sia che si consideri in se stesso, come si manifesta, nella sua realtà storica, appare opera magnifica di arte cristianamente educativa.

La sua vocazione all'apostolato dell'educazione cristiana fu assai precoce. All'età di circa nove anni, invitato e illuminato da un sogno che gli rimase per tutta la vita impresso nella mente, si mise subito all'opera operando come la natura col minimo mezzo, senza locali, senza libri, senza materiale scolastico, senza cultura, senza mezzi materiali, contrariato anche acerbamente dal fratellastro, e confortato solo dall'amor vigile della mamma, coll'energia della volontà, col vivo sentimento della sua vocazione così precocemente sentita e colla fede nella grazia divina che nutriva la sua speranza: Contra spem in spem credidit.

E chi osserva bene quelle sue prime prove vede da esse come il grano di senapa, seminato nelle zolle del prato vicino alla sua casa e primo campo delle sue fatiche, ha già messo radice e germoglia mostrando nell'esile stelo la promessa e la figura della pianta che si svilupperà in tutto il suo rigoglio ricca di fiori e frutti santi.

L'attitudine e la capacità di saper disciplinare, senza mezzi disciplinari, quella massa scomposta di ragazzi e di non ragazzi che lo attorniavano nel prato, quel saper stare alla testa senza mettersi al disopra per comprimere, il senso della misura nel non passare il segno della sopportazione in quegli esseri così insofferenti, le risorse che sapeva ricavare a tempo opportuno dalle sue belle doti di mente, di corpo, di voce delle quali era riccamente fornito; la sobrietà, la varietà, la novità degli espedienti che tenevano desta l'attenzione e avvincevano con sana ammirazione gli animi, dandogli quella superiorità morale colla quale sapeva al momento giusto imporsi senza violenza, son tutti aspetti che fanno pensare, più che la veduta superficiale non dica, che già allora nel sottosuolo vi fosse tanta ricchezza di sani umori fertilizzanti da dar vita ed incremento alla tenera pianticella.

Quante volte non abbiamo infatti sentito raccontare i curiosi aneddoti della sua vita di giocoliere e saltimbanco, e ci siamo con edificazione meravigliati delle sante industrie che sapeva escogitare con sacrifizio e mortificazione per attirare, richiamare, affezionare a se quei suoi amici! Ma forse non abbiam pensato mai che quei trovati ingegnosi non erano solo degli accessori, dei mezzi esterni, degli aiuti per chiamar gente; ma entravano già essi stessi come parte sostanziale del suo metodo educativo che della ricreazione ha saputo fare un mezzo così efficace e fattivo di formazione e di educazione sia nei giuochi liberi e senza costrizioni, perchè egli vuole che si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento, come nel teatro, nei trattenimenti, nella ginnastica, nella musica, nella. declamazione, nelle passeggiate, ecc. E poi ci si vorrebbe far credere che la scuola attiva sia una recente operazione di apporto novecentista nell'azienda pedagogica!

E quando dopo sedici anni di prove, di perseveranza nei sacrifizi e nelle disdette, quando dopo vari trapiantamenti la pianticella potè trovare la sua sede stabile, e D. Bosco, fatto adulto nella virtù, nella istituzione e arricchito dalla grazia dello stato sacerdotale, potè dedicarsi tutto allo sviluppo e alla coltura di essa, allora potè distendere e rinforzare i suoi rami in modo che vi potessero trovare dimora e ricovero gli uccelli dell'aria. E sorse nei prati di Valdocco, che ampliavano il disegno del prato adiacente alla casa dei Becchi, l'opera stabile dell'Oratorio colle sue camerate, colle scuole, coi laboratori, coi refettori, colle aule di scuola e di studio, coi portici, coll'ampio cortile e colla chiesa. Erano queste le ramificazioni di un tronco robusto e formato che nutriva le sue radici in un sottosuolo fecondato dal lavoro, dalla fede, dalla grazia di Dio: ragione e religione.

Il metodo educativo di D. Bosco non nacque dunque dopo il sorgere degli Oratori festivi, delle scuole, dei laboratori, delle scuole agricole, delle Missioni e delle altre attività della vita salesiana quasi frutto delle esperienze venute da esse; ma sono invece queste attività che nacquero dal metodo preesistente in lui e formato nel suo pieno organismo e vennero fuori come rami di quest'unica pianta che colla sua linfa le alimentava e continua ad alimentare rendendole belle e feconde.

Non vedrebbe giusto chi pensasse che l'opera educativa di D. Bosco cominciasse da quando egli potè aprire le prime Case quasi che con quelle intendesse tentar le prime prove; mentre Case e Istituti non erano il seme che si confida al terreno per vederlo poi nascere, ma erano i frutti che mostrava la pianta già adulta e atta a produrli, quando, cioè, il metodo era già formato e maturo attraverso a una lunga e laboriosa trafila di esperienze, di raccoglimento, di perseveranza forte e operosa, di fede umile e ardimentosa, di studio, di pietà e di una volontà pienamente conforme ai divini voleri. Per questo gli Istituti sorsero e si moltiplicarono in così breve volgere di tempo e si svilupparono in forma certa e sicura senza pentimenti o bisogno di riprese, imponendosi per la loro unità di disegno, per la loro fisionomia netta e decisa, per la loro attrattiva particolare, per la loro efficacia formativa all'attenzione pubblica che sentiva subito, senza saperlo ancor dire, di trovarsi davanti a « un'opera magnifica di educazione cristiana ».

E l'opera acquista maggior rilievo quando si pensa che D. Bosco non si arrestò a dar forma ad un metodo educativo che potesse poi essere oggetto di studio e di esame lasciandolo all'arbitrio dei commentatori; ma istituì insieme e diede forma a due Famiglie religiose, i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice che della sua opera educativa fossero gli interpreti autentici e genuini e i continuatori zelanti e fedeli.

La fecondità spirituale che la grazia di Dio infonde nei Santi (perchè qui si parla devotamente di un Santo) e la loro umile e generosa corrispondenza alle divine ispirazioni risplende di luce singolare in queste due istituzioni, nelle quali l'opera educativa appare non già come parola scritta coll'inchiostro sulla carta, ma come vita vissuta, anzi come persona vivente nei figli spirituali di D. Bosco, come dei cristiani di Corinto scriveva S. Paolo: Epistula nostra vos estis scripta in cordibus nostris... scripta non atramento sed spiritu Dei vivi; non in tabulis lapideis sed in tabulis cordis carnalibus (II Cor., III, 2, 3).

Con queste istituzioni l'opera educativa si compie e si perpetua arricchendosi dello strumento proprio e necessario alla sua vita e alla sua perennità, e mette in rilievo un nuovo aspetto della sua capacità produttiva perchè qui non si tratta più di educare gli alunni, ma di plasmare gli educatori in modo che siano davvero facti forma gregis ex animo (I Petr., V, 3), riproducendo e rinnovando in sè lo spirito di D. Bosco, in modo da mantenere sempre vivo e vitale in loro quello che l'Habrich con felice espressione proclamava mirabile esempio dell'amor educativo.

L'efficacia della parola che D. Bosco aveva domandato come grazia particolare nella sua prima Messa fu lo strumento del quale si valse per trasfondere il suo spirito in quello dei suoi figli e quella, ancora conservata come preziosa eredità, continua ad essere il lievito che dà vita e fermento alla massa donde escono formati gli operai di quest'opera magnifica di educazione cristiana.

Il Decreto fa poi rilevare come l'opera in breve spazio di tempo s'era vista prosperare diffusa per ogni parte del mondo. Questa diffusione è un dato di fatto che prova come essa abbia saputo superare le barriere dei confini di terre, di razze, di civiltà, e adattarsi e innestarsi in tante forme di vita senza snaturarsi e senza crear diffidenze, prevenzioni, sospetti, attirando a sè, senza risparmio di sacrifizi, le anime giovanili, interpretandone le tendenze e i gusti, riuscendo a farsi intendere e amare, e creando intorno a sè un alone di vita salesiana seguendo il programma dell'Apostolo: Omnibus omnia factus.

Il Decreto non si ferma a rilevare che l'opera si è diffusa, ma aggiunge che essa prospera, il che vuol dire che non si tratta di una pura diffusione intesa in senso materiale, ma di una estensione viva e vorremmo dire intensiva, perchè essa non si applica ad una sola e determinata forma di educazione; ma si volge a tutte le forme della vita educativa a cominciare dall'Oratorio festivo che in germe tutte le contiene, passando poi secondo i bisogni e le circostanze alle scuole propriamente dette, alle scuole professionali, alle scuole agricole, alle opere missionarie, a qualunque iniziativa insomma che la missione educativa possa suggerire. Ed è particolarità molto significativa questa: che lo stesso individuo può passare da un atteggiamento all'altro, da un'attività all'altra, senza bisogno di altra preparazione o differenziazione che dir si voglia; ma se è bene informato allo spirito del metodo può con disinvoltura passar da un campo all'altro senza sentirsi spaesato o trovarsi a disagio, perchè animato da questo spirito acquista quel senso di elasticità e di agile adattabilità che lo rende capace di esplicare la sua funzione formativa di educatore in tutte queste varie mansioni, mantenendo pur sempre la sua impronta personale.

Tutte queste non sono cose ordinarie e l'animo nostro non può far a meno di considerare quanta ricchezza di doti naturali, quanta illuminazione di grazie divine, quanta devota corrispondenza di volontà dovessero infiorare l'anima di quel Santo che con mano ardita e paziente si accingeva a dar forma e vita a tale opera. « Io sono stato mandato pei giovani » aveva detto D. Bosco, e questo pensiero informò sempre e in tutto la sua vita, che si svolge governata da esso in una meravigliosa unità di disegno, abbellito e arricchito da tale e tanta varietà di incidenti che le dànno tutte le attrattive delle più belle creazioni di arte. Tutti i suoi atti, le sue parole, i suoi atteggiamenti prendono di qui la loro luce e il loro significato, anche quelli che possono parere i più estranei.

I libri che egli scrisse di varia natura, di differente argomento, di maggiore o minor mole, di forme letterarie diverse sono anch'essi scritti tutti in funzione e a servizio del suo metodo educativo per illustrarlo, per farlo vedere in atto, per mostrarlo in esempi, per commentarne l'efficacia, per spiegarne la portata; e sotto questa luce e con questo criterio devono esser letti, quando si voglia approfondirne il senso, conoscerne il valore e rendersene conto adeguato.

I regolamenti delle Case che dalla portieria, allo studio, alla chiesa, alle camerate, al refettorio, al cortile, all'infermeria, al teatro, ecc., delineano con particolareggiata precisione l'andamento dell'ordinaria giornata educativa, sono come a dire la trama che informa e conserva l'unità dell'opera educativa, dentro alla quale potranno poi svolgersi tutte le varie attività, attitudini e iniziative dell'alunno e dell'educatore con tutto il cristiano rispetto alla loro dignità e libertà personale.

Per questo si poteva degnamente affermare nel Decreto che per la sua opera educativa D. Bosco tra gli altri santi uomini era sorto davvero come gigante a correre la sua via.

D. B. FASCIE

FONDATORE

La trireme.

Molti anni or sono, un sacerdote salesiano, discepolo della prima ora, biografo di D. Bosco e poeta - Don G. B. Lemoyne - in un alato inno raffigurava la Società Salesiana in una trireme dalla prora istoriata, leggera e veloce sulle onde, protesa in un avventuroso viaggio verso lidi sconosciuti. L'equipaggio esultante gremiva la bella nave, i cuori erano pieni di baldanzosa speranza, liete e pie canzoni scandevano la cadenza rapida del remeggio, mentre gli sguardi fissi al lontano orizzonte spiavano l'apparire della sponda bramata e del porto amico. Nella fantasia giovanile del canuto poeta, i Salesiani erano i nuovi Argonauti, Don Bosco l'audace pilota, la Vergine Ausiliatrice era la stella del prospero viaggio e del fausto ritorno, la mèta era un ideale di giustizia e di pace, il loro incontro e il mistico bacio nel regno di Dio. Anche lo stemma salesiano suggerisce il bellissimo simbolo: un'àncora campeggia nelle azzurrità dello sfondo luminoso, pegno di speranza e segno di audacia. Il simbolo era vicinissimo alla realtà. L'anima del poeta vibrava nell'entusiasmo delle cose vissute, e il suo canto era un grido di fede. I primi Salesiani furono una piccola e stretta falange, nobilmente foggiata nello spirito, eroica nel lavoro, sicura di un alto destino. Rivissero in lei gli ardori della prima età cristiana; e noi ripensando a quei fervidi inizi, ricordando i nomi di quei pochi operai dell'ora prima, pensiamo alla parabola evangelica del piccolo seme che germoglia e cresce, si fa albero gigante e ristora di provvide ombre la terra deserta.

Presagio e realtà.

La Congregazione Salesiana è il punto di arrivo di una serie di esperienze compiute da Don Bosco in alcuni decenni di apostolato tra i giovani. Quest'opera s'era presentata a lui fanciullo sotto le forme di un celeste ammonimento. Don Bosco visse con l'anima sempre illuminata da quel presagio, che man mano si concretava in una azione pratica complessa e assidua. Fin da quando la schiera dei suoi giovinetti amici aumentava a parecchie centinaia, vide la necessità di procurarsi un drappello di fidi collaboratori, per averne un valido aiuto. Poi questa ricerca di collaborazione fu ispirata da uno scopo più lungimirante: quello di perpetuare anche nell'avvenire un'opera iniziata con manifesti segni di celeste protezione. Don Bosco osservava tra i suoi giovani allievi quelli che dimostravano particolare disposizione per seguirlo e aiutarlo; cominciò ben presto a sceglierne alcuni e curarne la formazione intellettuale e morale. Deluso nei primi tentativi, non desisteva. Il mònito celeste era sempre a lui presente; dal 1850 in poi i suoi sforzi sono costantemente diretti a effettuare un disegno di associazione religiosa per la cura della gioventù. Già aveva trovato il santo patrono a cui affidare il nuovo sodalizio: S. Francesco di Sales; già aveva, nel 1851, conferito l'abito chiericale ai primi quattro prescelti, autorizzato a ciò dall'arcivescovo Fransoni. Questi primi suoi seguaci, tra cui erano Michele Rua e Giov. Cagliero, facevano promessa di restare con lui e dedicarsi alle sue opere, rinunziando a ogni altra più proficua carriera. Piccoli inizi, in mezzo a gravi difficoltà: prima fra tutte la diffidenza delle istituzioni civili verso ogni iniziativa congregazionista. Ma queste difficoltà non fecero altro se non dimostrare più evidente la volontà di Dio, di cui Don Bosco e i suoi primi collaboratori erano docile strumento. Il decennio 1850-186o fu il periodo di esperimento; le successive prove suggerirono l'opportunità di accogliere tra gli associati anche i laici accanto ai sacerdoti, di modo che il sodalizio fosse organicamente costituito dal duplice elemento e acquistasse così una fisionomia più conforme all'indole dei tempi. Più tardi, per circostanze provvidenziali, si formò accanto alla prima l'altra associazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che fondata da D. Bosco ebbe per prima superiora Suor Maria Mazzarello. Nel 1858 Don Bosco si recava a Roma la prima volta, per sottoporre le sue iniziative all'autorevole giudizio della Chiesa, e da Pio IX riceveva incoraggiamenti e consigli. Al ritorno, poneva mano alle prime fondazioni fuori di Torino. Frattanto il numero dei soci aumentava: circa sessanta nel 1864, ottanta nel 1867, cinquecento alla sua morte (1888). Nel 1874 le Costituzioni della Società venivano approvate da Roma.

Il lavoro.

Gli sviluppi dell'attività salesiana erano già fortemente delineati e avviati quando Don Bosco da questa vita passava all'eternità. La Società Salesiana ha una duplice attività: interiore ed esteriore. La prima tende alla santificazione individuale ed è scopo di tutta la vita cristiana. La seconda si manifesta in varie forme all'esterno, di cui le principali sono lo studio e il lavoro. Fin da principio i soci salesiani furono grandi lavoratori e delle classi lavoratrici assunsero una particolarissima cura. Operai d'ogni arte furono i primi giovani ricoverati da Don Bosco, coadiuvato allora unicamente da sua madre - mamma Margherita - per questi piccoli lavoratori sorse il primo internato; per loro si diede principio ai laboratori, dedicati alle arti dell'abito, del legno, del cuoio, del ferro e del libro. La prima forma dell'Opera di Don Bosco fu la doppia attività degli Oratori festivi e della Scuola professionale. Don Bosco visse nell'età in cui il lavoro mirava all'emancipazione, e le varie dottrine sociali e socialiste si atteggiavano a vindici dei diritti della classe operaia. Queste dottrine però erano dominate da un grossolano materialismo, che riduceva ogni finalità dell'esistenza al fatto economico. Bisognava contendere il terreno a quelle funeste tendenze, e l'impresa non era facile. Don Bosco mirò con ogni sforzo a creare la scuola cristiana del lavoro. Il correttivo alle materializzazioni socialiste fu da lui cercato e sperimentato sul terreno pratico. Era troppo convinto che nell'apostolato l'azione deve andare innanzi all'insegnamento e alle teorie. Ed egli che fin da fanciullo aveva santamente lavorato per vivere, chiamò a raccolta i figli degli operai; ad essi insegnò che il lavoro è una provvida legge della vita, non un peso o una degradazione; che lo scopo del lavoro è la redenzione spirituale dell'individuo e della società, non quello di agevolare la soddisfazione di bassi istinti; insegnò ancora che la dignità dell'operaio deve essere tutelata dalla retta coscienza e dalla elevazione spirituale, prima che dalla lotta di classe; e senza contrapporre dottrina a dottrina, egli dimostrava la fallacia dei vaticini socialisti, e lavorava energicamente alla formazione cristiana dell'operaio.

Agricoltura.

Il lavoro dell'arte e la sua organizzazione cristiana dovevano essere completati con le scuole agrarie. Questi sviluppi vennero dopo la morte del Fondatore, ma sono la effettuazione di direttive sue. Figlio dei campi, Don Bosco ha sempre amato la terra, e ben sapeva che il lavoro della terra è la fonte prima di ogni prosperità economica. I suoi successori, interpreti del suo pensiero, hanno dato sviluppo a questa parte dell'attività salesiana promovendo la fondazione di colonie agrarie e scuole d'agricoltura in Italia e fuori. Questi Istituti mirano a preparare cultori della terra forniti di cognizioni moderne e allenati alle nuove attrezzature meccaniche, sia per la produzione vegetale come per l'allevamento zootecnico. Tra le scuole agrarie salesiane, la più completa è ora in Italia quella di Cumiana, iniziata e condotta ormai a termine dall'opera sagace e costante del Rev. Don

Pietro Ricaldone, attuale Rettor Maggiore dei Salesiani e quarto successore di Don Bosco. Questo Istituto è fornito dei mezzi più perfezionati e abbraccia tutti i rami del lavoro agricolo, sia dal lato pratico come nella parte scientifica. Esso si raccomanda maggiormente all'attenzione dei competenti, in quanto rappresenta anche una provvida impresa di bonificazione d'un ampio tratto di terreno pochissimo dotato da natura, e che l'opera intelligente di tecnici e di allievi, tutti Salesiani, viene mirabilmente trasformando. I risultati già ottenuti additano le vie da seguire alle altre scuole e colonie agrarie salesiane, mentre stanno a documentare l'alta importanza che il lavoro agricolo assume nell'attività dei figli di Don Bosco.

Lo studio.

Le scuole salesiane ebbero la prima organizzazione da Don Bosco stesso, che ne scrisse i regolamenti e provvide, appena fu in grado, alla conveniente preparazione di insegnanti salesiani abilitati e laureati nelle Università di Stato. Nei vari paesi dove i Salesiani possono aprire scuole, si uniformano alle direttive locali nella compilazione e nello sviluppo dei programmi scolastici, ponendo come si conviene al posto d'onore l'istruzione religiosa. L'insegnamento salesiano abbraccia tutte le discipline dei moderni programmi e si estende a tutti i generi e gradi della scuola primaria e secondaria. Scopo della scuola salesiana è sopra tutto quello di rendere accessibile la cultura alla gioventù delle classi meno favorite di patrimonio e ai figli del popolo; inoltre essa mira attivamente a formare e coltivare le vocazioni ecclesiastiche, per provvedere sempre nuovi e ottimi operai alla mistica vigna di Cristo. Anche nella produzione scientifica e letteraria, i Salesiani hanno dato contributi vari, e più ne daranno in avvenire, perchè Don Bosco non ha posto limiti alla loro attività sia nel campo tecnico come in quello intellettuale.

La stampa.

Conforme ai bisogni dei tempi, la Società Salesiana ha dato fino dai suoi inizii un notevole incremento alla stampa cattolica. Molte sono oggi le scuole tipografiche salesiane che mettono in pubblico libri e periodici per la educazione cristiana del popolo. L'apostolato della penna fu una delle nobili e sante fatiche del Fondatore, che di giorno si prodigava tutto per l'Opera sua in pieno sviluppo, di notte, fino a tardissima ora, attendeva a scrivere in un'epoca in cui la stampa cattolica veramente popolare era ai suoi inizi. I Salesiani procedono animosamente sulle orme da lui tracciate, e dappertutto ov'essi piantano le loro tende, sorge una officina grafica, prima piccola, poi più grande, poi possibilmente perfetta: così che l'Istituto salesiano, sia in Europa sia in terreno di Missione, diventa in breve un attivissimo centro d'irradiazione, sia per la formazione cristiana delle popolazioni cittadine e rurali, come anche per vantaggio spirituale delle classi colte e del Clero.

Da mihi animas...

Ma l'intento supremo dell'attività salesiana è di condurre le anime a Dio, di continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo e diffondere sulla terra il regno spirituale della Chiesa Cattolica. Il motto della Congregazione Salesiana è: Lavoro e Preghiera. Secondo questo programma, ogni impresa dev'essere subordinata all'altissimo scopo della propria e altrui santificazione. La scuola e l'officina devono in prima linea educare lo spirito e dirigere la vita nella luce della fede. A ingrandire la conquista di anime che è loro scopo supremo, i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice vanno ogni giorno estendendo le Missioni Estere, iniziate da Don Bosco e vigorosamente proseguite dai suoi successori Don Rua, Don Albera, Don Rinaldi e Don Ricaldone, secondo le direttive della Santa Sede. Le Missioni Salesiane, già fecondate dal sangue dei Martiri, dànno per così dire il tono a tutta la vigoria spirituale della Congregazione, e costituiscono oggi la più nobile gemma nel serto di gloria celeste che cinge la fronte di Don Bosco Santo.

Sac. SISTO COLOMBO Salesiano.

Statistica delle Case di Don Bosco alla sua Canonizzazione (1934):

Tot. Gen.: Case Salesiane 718 + Case P. M. A. 712 (v. p. 140) = 1430.

EUROPA

1 Italia 174

2. Austria 10 3. Belgio 11

4. Cecoslovacchia 4 S. Francia 25 6. Germania 15 7. Inghilterra 12 8. Jugoslavia 9 9. Olanda 1 10. Polonia   31

11. Portogallo 5 12. Spagna 50 13. Svezia 1 14. Svizzera   4

I5. Turchia E.   1

16. Ungheria   9 Totale 362

AMERICA

17. Argentina 76 18. Bolivia 2 19. Brasile 53 20. Canadà 1 21. Cile 17 22. Colombia 14 23. Costa Rica 1 24. Cuba 4 25. EI Salvador 5 26. Equatore   16

27. Guatemala 1 28. Honduras 1 29. Messico 5 30. Nicaragua 2 31. Panamà 1 32. Paraguay 6 33. Perù 10 34. Stati Uniti 22 35. Uruguay 14 36. Venezuela   7

Totale 258

ASIA

37. Cina   15

38. Giappone   9

39. India   34

40. Palestina 6 41. Siam 8 42. Turchia A.   1

Totale 73

AFRICA

43. Algeria   4

44. Congo Belga`   8

45. Egitto   5

46. Marocco   1 47. Sud Africa 2

48. Tunisia   4

Totale 24

OCEANIA

49. Australia   1

DON BOSCO SCRITTORE

Il titolo può forse indurre il lettore ad una concezione inesatta.

Don Bosco ha scritto molto, con una frequenza e in una quantità addirittura inspiegabili in confronto con la colossale attività della implacabile folla di sue occupazioni: un centinaio e più di opere pubblicate e un numero notevole di cose inedite, di varia mole e del genere più svariato; ed ha anche scritto bene. Ma non osiamo dirlo uno scrittore nel senso troppo angustamente letterario, di colui che scrive per arte e per fini intellettuali, per quanto alti e legittimi.

Don Bosco non ha scritto per l'arte, ma per le anime, anche quando non ha trattato espressamente di religione o di cose spirituali. I Santi, anche se camminano in terra, han sempre la mira in alto. Ed Egli non ha scritto un libro nè una pagina senza un perchè, e cioè senza un proprio fine superiore ed estraneo alle mire letterarie.

In questo senso possiamo quasi lamentare che, discorrendo del Nostro, ci si lasci attrarre soltanto dal magnifico splendore delle sue virtù e del trionfo mondiale dell'opera visibile, e si confini quasi al secondo piano, con un anche, un inoltre, che aggiunge qualche cosa al fatto principale, quell'altro lineamento della gigantesca figura, a cui torna l'opera del suo ingegno e della sua letteratura.

Non è questo un aspetto accessorio e casuale, e perciò ristretto, su cui si richiama, per motivi di compiutezza biografica, l'attenzione; è senz'altro una delle sue vite, delle molte vite vissute da Lui, e non secondaria, ma parallela all'altra più appariscente e più conosciuta che si continua nelle sue istituzioni; una vita che nella consapevolezza dei suoi destini, diciamo meglio, nella coscienza della sua vocazione, gli apparve sempre come un compito espresso, una missione specifica assegnatagli da Dio. Questa non gli venne, no, raffigurata in alcuno de' suoi celebri sogni; ma Egli la sentì e vide chiaramente, e lo disse. Son parole sue (19 marzo 1885): « Fu questa una fra le principali imprese che mi affidò la Provvidenza, e io dovetti occuparmene con instancabile lena, nonostante le mille altre mie occupazioni ».

Don Bosco fu adunque scrittore e propagandista di stampa per quello stesso impulso e per quella ragione medesima onde si addisse agli altri doveri della sua speciale vocazione: per quel Da mihi animas, caetera tolle, ch'è il motto della sua impresa e del suo apostolato.

A collocarlo nella sua giusta luce è intervenuta da parecchi anni in qua la più autorevole delle Parole: quella di Papa Pio XI, il quale da «uomo di libri e di biblioteca », da «uomo di studio e di pensiero » ha compreso e fatto comprendere la potenza di « un grande ingegno, di una intelligenza luminosa, vivida, perspicace, vigorosa, che anche se si fosse limitata al cammino degli studi e della scienza, avrebbe lasciato qualche profonda traccia, come pure ha lasciato »: « di quell'ingegno vero, dell'uomo che sarebbe veramente potuto riuscire il dotto, il pensatore ». E su questo tema della capacità e operosità intellettuale del Santo si potrebbe discorrere a lungo quasi soltanto colle parole del Papa che lo ama e lo ha compreso.

Il quale ha dato pure la spiegazione del fatto che la letteratura di Don Bosco non sia quella che ci attenderemmo dall'attrezzatura della sua mente e della sua vasta cultura. Ed è nella confidente rivelazione di sè che il Santo gli fece nel 1883: quando, avendo parlato della sua inclinazione, del suo primo invito a cose maggiori, agli alti studi, concluse dicendo « Ho visto che il Signore mi chiamava per altra via ». Ed era cioè la vocazione al lavoro della carità e all'apostolato: una supervocazione, come fu detto altrove da chi scrive questa nota. Aveva rinunziato alla gloria dell'ingegno, ma non al bene che con esso poteva e sentiva di dover fare: e si diede alla sua propria e speciale letteratura: divulgativa, popolare, giovanile, fatta per tutti, affinchè potesse giungere allo scopo che la sua missione gli metteva dinanzi.

E in questo senso è veramente uno scrittore. Le qualità or ora nominate non debbono far credere nè ad una superficialità popolaresca e facilona, nè ad uno stile trascurato e volgare, nè poi alla poca sodezza degli scritti d'occasione.

Si vengono via via pubblicando con tutta la serietà del metodo critico i suoi scritti editi e inediti, e chi scrive queste righe, che n'ha il delicato incarico, può dire al pubblico che, studiandoli per darne la lezione genuina e per inquadrarli nella cornice dei tempi e delle circostanze e nella storia stessa dell'Uomo che li ha prodotti, s'è trovato e si vien trovando in presenza di due fatti ugualmente ignorati e insospettati. Che cioè Don Bosco ebbe la pazienza di far tutto da sè (e questo dato incredibile scaturisce dall'esame dei suoi manoscritti), e dettare è, rispetto a lui, parola rettorica; e che vi ha messo il frutto d'un'erudizione vastissima e una diligenza da studioso di professione. Non per nulla diceva il Papa che «se si mette a scrivere, sembra che non debba far altro ».

Per fare un esempio: la sola serie delle Vite dei Papi, uscita in fascicoletti delle Letture cattoliche, popolarissime in ogni senso, ha l'appoggio d'una bibliografia quale si ritrova nei lavori dei più eruditi del suo tempo; e in questa, ecco, ci stanno i quarantanove in-folio dei Bollandisti!

La Storia d'Italia, scritta « ad uso della gioventù », una cosa all'apparenza tutta linda, semplice, bonaria, è intessuta quasi a mosaico dei riporti di ottanta autori, Muratori compreso!

E quanto a stile, dico semplicemente: lo stile di Don Bosco non si tocca e non si imita. Amedeo Peyron fu pregato da Lui di ritoccarglielo, e dovette smettere: quei che han fatto la prova d'imitarlo, son riusciti sciatti e pedestri.

Gli è che Don Bosco si è condotto con la volontà del facile, per essere inteso da tutti e prossimo a tutti, ma ha sempre voluto dir qualche cosa, e non comune, nè volgare. Tutti sappiamo come sia difficile la facilità degli scrittori di genio, e quanto pochi siano stati nel secolo passato quei che han saputo, senza diminuirsi, farsi piccoli coi piccoli, e scrivere per la gioventù, come l'autore del Giannetto e come Don Bosco, ch'è rimasto insuperato.

Il Tommaseo, l'incontentabile, riconobbe in Lui l'ordine, la chiarezza, la serenità, insieme con la sodezza e la sapienza pedagogica; Francesco Pera lodava l'italianità dello stile, fatto per tutti gl'Italiani.

E i suoi libri si son diffusi a milioni e milioni di copie, ed hanno avuto centinaia di edizioni: il solo Giovane Provveduto ne ha quasi seicento dal 1847 ad oggi; la Storia d'Italia, un'edizione ogni due anni, ed è tradotta in molte lingue, anche in paesi acattolici, come l'Inghilterra, per uso delle scuole; la Storia Sacra ha quasi una ristampa all'anno; la Vita di Domenico Savio è tradotta perfino in giapponese.

Non è questo il luogo di dare un'elenco de' suoi lavori, e, purtroppo, sarebbe il luogo, ma difetta lo spazio, per dire di quel che contengono e del come lo trattano; dire del pensiero (giacchè pensiero vi è, e forte e originale, come nella Storia d'Italia) e degli atteggiamenti di esso. I suoi lavori appartengono ai più diversi generi di trattazioni: c'è un opuscolo di Enologia (1846) e un'Aritmetica (1846 e 49); c'è della Storia Sacra, Ecclesiastica, Civile; c'è della Catechetica (il Cattolico Istruito è del 1850), della Controversia, dell'Agiografia, della Biografia, della Letteratura amena, dei Libri di pietà, della Drammatica, della Geografia; c'è di tutto. E dappertutto è sempre l'ingegno chiaro, positivo, ben nutrito di scienza; dappertutto c'è l'Educatore e l'Uomo di Dio, che mira al bene temporale e spirituale del popolo e della gioventù, senza darsi la posa e senza far la predica.

È una letteratura singolare, che ha una fisionomia propria, la fisionomia dell'Uomo che fa senza parere, che prende le anime e i cuori col sorriso bonario che conquista, e col parlare semplice che persuade.

Principalmente vi è l'apostolo. Il Santo Padre ha ben messo in luce codesto merito, col rilevar l'opera personale dello scrittore e la vastissima impresa, alla quale si addisse, della Propaganda di stampa; e le sue Parole lo stampano per sempre nella storia delle benemerenze sociali della Chiesa. C'è una Lettera di Don Bosco, del 19 marzo 1885, sulla Diffusione dei buoni libri, nella quale

Egli, ormai vecchio, parla di sè scrittore, e cioè degl'intenti che si propone. «Colle Letture Cattoliche, Egli dice, mentre desiderava istruire tutto il popolo, aveva di mira di entrar nelle case, e far conoscere lo spirito dominante nei nostri collegi, e trarre alla virtù i giovanetti. Col Giovane Provveduto ebbi in mira di condurli in chiesa, loro instillare lo spirito di pietà, e innamorarli della frequenza dei Sacramenti. Colla Collezione dei classici Italiani e latini emendati, e colla Storia d'Italia e con altri scritti storici e letterari, volli assidermi al loro fianco nella scuola, e preservarli da tanti errori e da tante passioni che loro riuscirebbero fatali pel tempo e per l'eternità. Bramava, come una volta, esser loro compagno nelle ore di ricreazione, e ho meditato di ordinare una serie di libri ameni... ».

Ecco perchè e come scrive Don Bosco.

scrittore apostolo: esula dalla letteratura, perchè, come la sua supervocazione l'ha portato ad un livello più alto delle umane rivelazioni dell'ingegno, così il suo spirito di conquista gli ha dettato colla semplicità dei Libri Santi le parole ch'Egli scrisse.

E se il bello, il vero bello della letteratura è nella sua efficacia e nella continuità della sua vita, Don Bosco è da collocare tra quelli che hanno esercitato colla penna il più vasto potere sulle menti e sui cuori, e l'opera dei quali attraverso i tempi non muore mai, perchè vive dell'anima di chi la produsse.

ALBERTO CAVIGLIA.

D. ALBERTO CAVIGLIA

OPERE E SCRITTI EDITI E INEDITI DI S. GIOVANNI BOSCO nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni originali e i manoscritti superstiti.

Vol. I - Parte I. Storia Sacra. Pag. L-426, 64 ill. nel testo e 6 tavole fuori testo   . L. 35

Parte II. Storia ecclesiastica. Pag. XVI-600, una ill. nel testo e 6 favole fuori testo L. 40 Vol. II - Parte I. Le vite dei Papi. Serie I. Da S. Pietro a S. Zeffirino   L. 35

Parte II. Le vite dei Papi. Serie Il. Da S. Callisto alla pace della Chiesa   L. 40

attualità:

VIRTU E GLORIE DI S. GIOVANNI BOSCO

esaltate da S. S. Papa Pio XI, da Cardinali, Vescovi ed insigni Oratori. Un volume di discorsi raccolti ed ordinati dal sec. Guido Favini. salesiano. L. 10. - S. E. I. Corso Regina Margherita, 170 - Torino.

DON BOSCO E LA GIOVENTU OPERAIA

Le grandi scoperte dell'ultimo secolo nel campo della meccanica portarono da un lato il conseguente ingigantirsi della grande industria accentrata, e dall'altro il fatale languire dell'artigianato. Ciò succede naturalmente per la stessa legge che regola i piatti di una bilancia. Il trionfo della macchina accanto alla quale la vita dell'uomo diventa quasi parassitaria, portò il fenomeno dell'urbanesimo, che affollò le città e i grandi centri; ma siccome nella grande industria accentrata la divisione del lavoro esige l'operaio specializzato, così ne venne una necessaria selezione, che aperse le porte agli operai già pratici, e le chiuse invece agli apprendisti.-Il glorioso artigianato d'un tempo, che nelle sue officine vedeva crescere e fiorire falangi alacri di giovani allievi, i quali, in progresso di tempo diventavano a loro volta maestri ad altri in nuove officine, nel suo languire fatale portò seco il languire del tirocinio professionale. Giovani e giovani desiderosi di imparare un mestiere si videro sbarrata la via. Don Bosco - che veniva dal popolo e, avendo saggiato da bravo le più varie condizioni e difficoltà della vita, divenendo man mano sarto, falegname, fabbro, cuoco, pasticciere, musico, studioso dei classici, conosceva per esperienza quello che sia il guadagnarsi la vita a frusto a frusto - comprese il tormento di tante fresche energie popolane che cercavano uno sbocco, e aprì il suo cuore e le sue braccia in loro favore. E come, in tempi nei quali le Scuole Medie e superiori erano considerate un hortus conclusus, riservato all'aristocrazia del sangue e del censo, egli aveva impiantato coraggiosamente i suoi grandi collegi con Scuole classiche, tecniche e commerciali per il basso popolo e per il ceto medio, diffondendo così in profondità e in larghezza quella cultura che non deve essere privilegio di nessuna classe, ma è il più sacrosanto diritto dell'uomo; così provvide alla soluzione dei problemi dei giovani operai, con genialità e praticità senza pari: una soluzione veramente integrale.

In vari Stati infatti si erano istituite Scuole di Arti e Mestieri, da cui potevano uscire operai tecnicamente attrezzati, ma senza alcuna formazione morale e religiosa: soluzione deficiente, poichè risolveva il problema solamente a metà. D. Bosco - che aveva intuito per tempo l'ascensione dell'operaio nella scala sociale e l'importanza che avrebbe raggiunto, apertagli la via alle urne, un partito che portava con sè un elemento formidabile, il numero - non si contentò di far posto nell'opera sua al giovane operaio per la scala di servizio, ma, come il grande Papa Leone XIII apriva agli operai il portone di bronzo del Vaticano, così egli fondò addirittura Collegi-Convitti per le Scuole d'Arti e Mestieri con insegnamento regolare di coltura generale, contabilità, corrispondenza commerciale, tecnico-professionale, disegno, nozioni varie, sociologia; con musica, teatro, ginnastica; ma colla base solida dell'istruzione religiosa, che completa la formazione dell'uomo e del cittadino.

Fu questa una grande novità, un passo da gigante in questo campo. Perchè bisogna ricordare che non pochi Paesi che pure possiedono fiorenti Convitti nazionali per studenti, non hanno ancora aperto un Convitto nazionale per artigiani, con scuole e laboratori interni attrezzati materialmente e moralmente in modo da rispondere a tutte le esigenze che oggi richiede la formazione del cittadino artigiano. Noli mancano Istituti professionali completi e gloriosi: ma essi non hanno altra mira che di dare all'operaio l'abilità e la perfezione tecnica, senza preoccuparsi troppo dell'educazione morale e religiosa, come se questa fosse cosa superflua e trascurabile trattandosi di giovani operai.

Don Bosco ha fuso in un solo organismo, convitto, scuola, officina. E per ottenere dalla nuova istituzione il massimo rendimento nella formazione del giovane operaio, egli ha voluto che sotto lo stesso tetto, nello stesso Istituto vivessero accanto, in bella dimestichezza e allo stesso piano di dignità, i giovani studenti e i giovani artigiani; vale a dire, i rappresentanti delle due più grandi classi sociali che oggi si dividono il dominio del mondo.

Chi non conosce questi allegri cantieri dell'Opera di Don Bosco, dove le fresche intelligenze degli studenti e le mani docili dei giovani artigiani sono addestrate da provetti maestri in perfetta letizia? Perchè la gaiezza è la fisionomia inconfondibile di questi Istituti, gaiezza di puro stampo cattolico quale la vollero, la praticarono e ce la tramandarono due grandi santi, padri della educazione giovanile: Vittorino da Feltre che la vide nascere, e San Filippo Neri che la levò al fonte battesimale.

Ora questi tipici Istituti professionali sono stati impiantati in tutte le parti del mondo, e anche nelle Missioni. Foggiati sullo stampo di quello di Valdocco in Torino, che è come la metropoli di Don Bosco, essi svolgono un apostolato istruttivo ed educativo dì un valore incalcolabile, non solo in Italia che ha grandiose istituzioni del genere a Milano, Verona, Genova-Sampierdarena, Bologna, Roma, Catania, ma anche nelle maggiori città delle principali Nazioni d'Europa, in tutte le Repubbliche dell'America Latina, in alcune città di Oriente e dell'Estremo Oriente. Dovunque fiorenti di vita e di allievi.

L'insegnamento professionale vi è disciplinato da un così sapiente regolamento che più di un Governo lo volle seguire o lo ebbe sott'occhio per i proprii ordinamenti professionali. I vari corsi si svolgono seguendo il programma della Direzione Generale Salesiana, di Torino, con aggiunte d'indole locale. Si saggia il profitto degli allievi con regolari esami, coll'intervento di tecnici specializzati; ed alla fine d'ogni anno una Mostra Didattico-Professionale, che mette in bella gara i giovani artigiani, offre ai visitatori i documenti più eloquenti del successo dell'insegnamento.

Questo serio regime di vita è tutto permeato da sane correnti di giocondità, perchè ogni Istituto ha grandi cortili per le chiassose ricreazioni, palestre per la ginnastica, salone-teatro, musica vocale e strumentale e la chiesa pubblica per le grandi e sfarzose funzioni religiose. Così, a quando a quando, la tranquilla vita di lavoro è sollevata da una ventata di entusiasmo che fa vibrare le anime giovanili in gare ginnastiche, in rappresentazioni teatrali, in feste religiose e civili, in processioni e cortei, in grandiose esecuzioni di musica sacra e profana, e concerti bandistici, mettendo l'Istituto in contatto col pubblico e dissipando l'aria di caserma, inopportuna in queste vere città della giovinezza.

Don Bosco, a cui nulla è sfuggito di quanto possa contribuire alla educazione della gioventù, con mano sicura ha sfrondato dagli antichi sistemi tradizionali tutto quanto vi era di artificioso, di innaturale, di ingombrante e ridusse tutto a semplicità e naturalezza. Prevenendo quanto i tempi nuovi possono suggerire, comprese quale leva potente fosse pure la musica nel campo educativo. Egli soleva dire acutamente: « Gioventù senza musica è come corpo senz'anima ». Ecco perchè egli volle che nel suo sistema anche la musica figurasse in primo piano

L'Opera delle Scuole Professionali germogliata nella mente e nel cuore di Don Bosco in un momento storico, in cui urgenti erano le esigenze della classe operaia, fu sempre in cima ai pensieri di lui, che vi attese col più vivo interessamento per tutta la vita. L'eccellenza, la provvidenziale opportunità, la vastità di questa Opera, la quale abbraccia tanta parte della famiglia umana, ne favorirono lo sviluppo che fu grandioso in poche diecine d'anni.

L'inizio regolare dell'Opera data dal 1853. E quando nel 1883 Don Achille Ratti, oggi gloriosamente Pio XI, onorava della storica visita l'Ortaorio di Torino, si presentava già gigante in una meravigliosa attrezzatura. Don Bosco era all'avanguardia del progresso. Ed i suoi figli non seppero trovare omaggio più caro al cuore del Papa della Canonizzazione che quello di un Istituto Professionale modello: l'Istituto Pio XI che a Roma, sulla via Tusculana perpetua la memoria del grande Pontefice e del nuovo Santo.

Le Scuole Professionali hanno completato l'Opera di Don Bosco, il quale è veramente il Grande apostolo della Gioventù, di tutta la gioventù; di quella che studia e di quella che lavora; di quella che è ricca e di quella che è povera; di quella che vive nelle Nazioni civili, e di quella che vive tra i popoli infedeli o tra le tribù selvagge. Il cuore di Don Bosco si è messo al centro del cuore del mondo e ha fatto sentire dovunque il suo palpito, trasformando e beneficando.

Nell'ora della suprema glorificazione del Fondatore le Scuole Professionali si incastonano come fulgida gemma nella sua corona. Bastino pochi dati statistici:

Istituti Salesiani con Scuole Professionali per allievi artigiani.

Italia 19 Europa (Italia esclusa) 36 Asia e Africa 14 America 42

Totale   111

Numero degli allievi 13.500 distribuiti in circa 6oo Scuole professionali. Gli Istituti d'Italia si trovano a: Torino (due), San Benigno Canavese, Novara, Milano, Verona, Venezia, Ravenna, Genova-Sampierdarena, La Spezia, Firenze, Bologna, Roma, Napoli (per sordomuti), Bari, Palermo, Catania.

Le Scuole professionali esistenti sono comunemente le seguenti:

Pel ramo arti industriali: Falegnami e stipettai, fabbri e meccanici, elettricisti, scultori in legno.

Pel ramo arti grafiche: tipografi-compositori, impressori-tipografi, litografi-stampatori, legatori e doratori.

Pel ramo arti dell'abbigliamento: sarti di confezione e taglio, calzolai di confezione e taglio.

Ogni Istituto ha tutte, o alcune delle sezioni accennate.

Per ammissione allievi, indicazioni, esecuzione di lavori, ecc. dirigersi direttamente ad ogni singolo Istituto.

L'ISTITUTO DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

È la seconda Famiglia religiosa del Santo.

Già da diversi anni la Pia Società Salesiana si era andata sviluppando con l'apertura di parecchie nuove Case, quando nel 1872 S. Giovanni Bosco, vi fondava accanto un Istituto parallelo, che doveva completare la sua grande opera, estendendo anche alla gioventù femminile, le cure e le sollecitudini del suo apostolato.

Più volte, da varie parti, gli era venuto l'invito di fare per le fanciulle quanto aveva fatto per i suoi giovanetti, ma era rimasto sempre incerto, attendendo che più chiaramente gli si manifestasse il volere di Dio. Fu uno dei suoi mirabili « sogni » ad animarlo vieppiù alla nuova missione che il Signore gli affidava, mostrandogli, in mezzo ad una turba di fanciulle che lo supplicava di pensare anche a loro, la figura risplendente di Maria, che accennandogli quelle giovanette, gli diceva, con voce dolcissima: « Abbine cura; sono mie figlie... ».

La Provvidenza intanto gli andava preparando un piccolo seme...

Le origini.

Un pio e zelante sacerdote di Mornese, della diocesi di Acqui, Don Domenico Pestarino, che fin dal 1855 aveva fondato la Pia Unione delle Figlie dell'Immacolata, riunendo sotto uno speciale regolamento le migliori giovanette del paese, venuto a conoscere S. Giovanni Bosco nel 1862, si presentava a lui poco dopo in Torino, per farsi aggregare nella Pia Società Salesiana. Ma il Santo che conosceva il bene che il sacerdote andava facendo nel suo paese nativo, pur accettandolo tra i suoi figli, volle che rimanesse nel suo paese a continuare le varie opere promosse e sviluppate dal suo zelo. Così le Figlie dell'Immacolata di Mornese vennero a trovarsi nell'orbita dell'influenza del Santo, che in loro aveva visto un germe per l'opera futura, e gradatamente ve le andava disponendo con i suoi consigli e con le prime norme per una forma di vita, che più s'accostasse al suo pensiero. Provvidenziali circostanze, intanto, andavano pure preparando e maturando per la nuova missione, alcune tra quelle Figlie dell'Immacolata: e il Santo osservava e attendeva, vegliava e pregava...

Nel 1872, finalmente, gli parve giunto il momento di por mano all'impresa e, dopo molta preghiera, e dopo aver ricevuto l'approvazione, anzi l'incoraggiamento di S. S. Pio IX, eresse, con le prime pietre avute da Mornese, quello che egli stesso chiamò monumento vivente a Maria Ausiliatrice: l'Istituto delle Figlie di M. A. che doveva diffondere il nome e l'amore della Madonna in ogni parte del mondo.

Fra le prime Religiose, che alla sua presenza ebbero l'abito benedetto dal Vescovo di Acqui, Mons. Sciandra, il 5 agosto 1872, sacro alla Madonna della Neve, merita di essere particolarmente ricordata la Superiora, Madre Maria Mazzarello, perche scelta da Dio ad essere, nelle mani del Santo, lo strumento più efficace per la fondazione del nuovo Istituto, che illustrò con una vita di così singolare virtù da meritare, lo speriamo, di poter seguire il Fondatore anche nella gloria degli altari. Ebbe dalla culla, dall'educazione familiare, dall'atteggiamento dello spirito somiglianze spiccate con la figura del Santo: con mirabile intuizione ne comprese, fin dal suo primo incontro, la santità e pose ogni studio a seguirne docilmente le direttive e a imprimerne e a conservarne lo spirito nella Famiglia religiosa che s'iniziava con lei.

Non mancò al nascente Istituto il suggello divino delle contraddizioni, della povertà e della sofferenza, con cui Dio prova e distingue le opere che destina a grandi cose, ma in mezzo alle difficoltà e alle privazioni la virtù, veramente eroica, delle prime religiose si affermava e si irrobustiva, consolidando sempre più le basi della nuova istituzione. L'umiltà dei mezzi e delle persone, fece sembrare a taluno che il tentativo non sarebbe riuscito e vi fu chi, in quei primissimi tempi, non esitò di esporre al Santo Fondatore i propri dubbi su quelle poche e povere religiose di Mornese, strette da tanta asprezza di povertà; ma il Santo calmo e sereno, si era limitato a rispondere con la sicurezza di chi vede lontano: « Vedremo quello che ne farà la Madonna». E la Madonna fece sì che le sue figlie si moltiplicassero in breve tempo, tanto da iniziare subito l'apertura di altre nuove Case e da poter, dopo solo cinque anni di fondazione, varcare gli Oceani e coadiuvare i Salesiani nelle lontane Missioni d'America.

Espansione.

Tre tappe sulla via: Mornese, Nizza, Torino. Mornese la culla, il primo campo di apostolato, le prime gioie e le prime sofferenze degli inizi... La Casa Generalizia vi restò solo sei anni, sufficienti per temprare nella preghiera. nel lavoro e nel sacrificio il nascente Istituto.

Nizza Monferrato, voluta dal Fondatore come seconda sede della Casa Generalizia, fu per mezzo secolo il quartier generale dell'esercito di Maria Ausiliatrice, e vide, in quel periodo di tempo, moltiplicarsi ininterrottamente le sue file e le sue fondazioni.

Torino, infine, dal 1929, l'anno glorioso della beatificazione di D. Bosco, l'attuale centro dell'Istituto, fissato definitivamente a Valdocco, presso la salma benedetta del Fondatore.

L 'espansione rapida e progressiva s'iniziò fin dai primi anni sotto la prima Superiora Generale Madre Maria Mazzarello; crebbe e si dilatò in seguito con l'indimenticabile Madre Caterina Daghero, eletta a succederle nel governo dell'Istituto, e continua tuttora, senza mai arrestarsi, con l'attuale Madre Luisa Vaschetti, 3a Superiora Generale, da quasi un decennio.

Qualche breve nota di statistica può dire più eloquentemente il prodigioso ingrandirsi dell'Istituto, dove risplende la santità del Fondatore, che lo ha reso degno delle benedizioni del Signore.

Sul letto di morte, infatti, S. Giovanni Bosco nel 1888, dopo solo 16 anni dalla fondazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, benediceva 489 Suore, sparse in 5o Case in Europa e in America, con due Case-Missioni; oggi dalla gloria dell'altare Egli allarga la sua benedizione paterna su 7768 Suore, che lavorano in 712 Case, fra le quali 67 Missioni, disseminate nelle più lontane parti del mondo?

In Europa esse si trovano oltre che nell'Italia: nella Francia, nella Svizzera, nel Belgio, nell'Inghilterra, nell'Irlanda, nella Germania, nell'Austria, nell'Albania, nella Polonia,

In America: nell'Argentina, nel Cile, nel Paraguay, nell'Uruguay, nella Bolivia, nel Brasile, nel Perù, nell'Equatore, nella Colombia, nel Venezuela, nelle Repubbliche del Centro America, nel Messico e negli Stati Uniti del lord

In Africa: nell'Algeria, nella Tunisia, nell'Egitto, nel Marocco, nel Congo Belga.

In Asia: nella Palestina, nella Siria, nel Siam, nell'Assam, nell'India, nella Cina e nel Giappone.

Programma dell'Istituto.

Il programma che il Santo diede alle Figlie di Maria Ausiliatrice è lo stesso di quello che molti anni prima aveva dato ai suoi Figli, cioè la a perfezione dei singoli membri e la salvezza della gioventù per mezzo dell'educazione cristiana secondo il sistema preventivo, che si riassume nel motto Da mihi animas, caetera tolle. Un programma quindi di apostolato, che ne include uno non meno fervido di preghiera; intensa attività di opere non disgiunta da una profonda vita interiore, accentrata intorno a tre grandi amori: l'Eucaristia, la Madonna e il Papa. Eguale è pure lo spirito che vi impresse: di operosa carità, di santa allegria e di fraterna unione. Analoga a quella dei Salesiani è anche la struttura gerarchica dell'Istituto: un unico centro, formato dalla Superiora Generale e dal suo Consiglio, a cui fanno capo tutte le varie Ispettorie, che sotto la cura delle diverse Ispettrici, raggruppano le singole Case, rette dalla materna autorità della Direttrice.

L'Istituto con questo mirabile ordinamento, ha potuto così pur nella sua larga e rapida diffusione, mantenersi compatto, nella più perfetta unione e nella piena uniformità di spirito.

Campi d'apostolato.

Altra nota caratteristica dell'Istituto, datagli dal Santo Fondatore, è l'impronta di particolare adattabilità ai tempi, per cui lo ha reso idoneo ad abbracciare quasi ogni forma di apostolato richiesto dagli speciali bisogni della società moderna e dalle particolari esigenze dei diversi Paesi.

Le svariate opere, che fioriscono nelle sue Case, si possono distinguere in tre gruppi:

a) Opere di preservazione e di assistenza sociale. - b) Opere per l'educazione e l'istruzione della gioventù. --- e) Missioni.

Fra le opere di preservazione e di assistenza sociale, primi fra tutti, i numerosissimi Oratori festivi, sussidiati da quelle varie e molteplici iniziative che ne assicurano la fecondità e l'efficacia, come le Associazioni religiose, le Scuole di canto, le squadre ginnastiche, le biblioteche circolanti, i teatrini ricreativi, ecc. Ricordiamo pure gli Orfanotrofi, gli Asili per bimbi abbandonati, gli Ospedali, i Patronati della giovane, i Convitti operai, i Dopo-scuola, i Pensionati, l'Assistenza alle Colonie Alpine e Marine, ecc.

Tra le seconde ricordiamo le Scuole, dai numerosi asili d'Infanzia e Scuole Materne, a quelle elementari e medie, parrocchiali, professionali diurne e serali: gli Istituti e le Scuole Magistrali parificate, i Laboratori, i Collegi, Convitti, ecc.

Nell'apostolato missionario, dischiuso al loro zelo fin dagli inizi dal Santo Fondatore, le Figlie di Maria Ausiliatrice si sono pure felicemente affermate ed hanno potuto, di anno in anno, ripetere e moltiplicare le spedizioni, allargando, sempre più la loro opera evangelizzatrice tra gli infedeli e organizzando anche in Patria varie Case di formazione missionaria, per provvedere il personale adatto e convenientemente preparato.

Presentemente sono 523 le Figlie di Maria Ausiliatrice Missionarie che lavorano in 67 centri di vere Missioni.

Nell'America del Sud, in Argentina, esse sono a Rio Grande (Terra del Fuoco) a Porto Santa Cruz, S. Julian, Porto Gallegos, Porto Deseado (Terre Magellaniche e Patagonia meridionale). A Rawson, Trelew e Comodoro (Terra del Chubut), Conesa, Junin de los Andes ed altri sei centri nella Patagonia settentrionale. Nella Pampa Argentina a General Acha e a Santa Rosa de Toay.

Nel Cile si trovano a Magallanes, donde irradiano la loro attività in tutta la regione dello Stretto Magellanico (Puerto Natales, Porvenir, PuertoMontt); PuertoStanley nelle Isole Malvine è pure alle dipendenze del gruppo magellanico.

Nel Paraguay hanno la missione del Gran Cliaco, fra le tribù Lenguas (Puerto Napegue).

Nel Brasile lavorano nelle vaste missioni tra i Bororos del Matto Grosso, nelle foreste vergini delle Amazzoni, nella Prelatura Apostolica di Registro do Araguaya e di Porto Velho sul Rio Madeira, e in tre punti della Prelatura Apostolica del Rio Negro (Jauareté, Taracuà e San Gabriel).

Nel Perù catechizzano gl'Indiani del Cuzco e del Huancayo.

In Africa oltre le Case dell'Algeria, Tunisia, Marocco e Egitto hanno la missione del Congo Belga, nella Prefettura Apostolica dell'Alto Luapula, in mezzo ai negri Bantous (La Kafubu, Kipushya, Sakania).

In altre parti, qua e là, si consacrano anche all'assistenza dei poveri lebbrosi.

Nell'Equatore hanno le difficili Missioni fra i Kivari (Macas, Gualaquiza e Mendez nel Vicariato Apostolico di Mendez e Gualaquiza).

Nel vicino Oriente, le Figlie di Maria Ausiliatrice si trovano in Palestina (Betlemme, Beitgemal e Gerusalemme) e, nella Siria, a Damasco.

Nell'India contano parecchie Case: a Madras, a Polur, a Arni, a Vellore, a Pallikonda e nella Prefettura Apostolica dell'Assam a Jowai e a Gauhati. Oltre alle più svariate opere d'assistenza, ospedali, ambulatori, dispensari, visite ai villaggi, catecumenati, Santa Infanzia, ricoveri per i vecchi, ecc. hanno pure una Casa di formazione, ed un Noviziato canonicamente eretto, dove si preparano le prime Figlie di Maria Ausiliatrice indiane.

Analoghe opere hanno pure in Cina a ShiuChow e a Ho-Sai al Nord di Canton, nel Siam a Bang-Nok-Khuek e in Giappone a Mivazaki e a Beppu, dove pure hanno una Casa di formazione e un Noviziato che, attualmente, raccoglie le primizie giapponesi, chiamate sotto il vessillo dell'Ausiliatrice.

Nel 1876 il Santo Fondatore, dando relazione ad uno dei suoi Salesiani d'America, del nuovo Istituto da poco fondato, scriveva: « Le Figlie di Maria Ausiliatrice fanno assai bene dove vanno... ».

E parecchi anni dopo, ormai prossimo alla fine, lasciando Nizza Monferrato dopo la sua ultima visita, diceva, commosso fino alle lagrime, e con lo sguardo rapito in una visione celeste: «La Madonna è qui, e passeggia sulla vostra Casa... E molto contenta di voi! ».

Oggi che, nella gloria suprema dell'altare, la parola del Santo acquista un significato più profondo e più vasto, l'approvazione paterna è per le Figlie di Maria Ausiliatrice, conforto e monito ad esserne sempre più degne, mentre proseguono sicure sulla via tracciata, affidandosi a Maria Ausiliatrice, che l'occhio illuminato del Santo Fondatore ha additato vigile e materna sulle loro Case!

La spiritualità di Don Bosco

Autentica, completa, semplicissima: ecco in tre parole riassunta, o meglio caratterizzata la spiritualità di D. Bosco; quella che egli attuò in se stesso, e quella cui informò gli altri, lasciò in eredità ai suoi figli e tracciò al mondo intero.

Chi dice spiritualità, dice elevazione, virtù, perfezione, santità; ma indica pure una via, un metodo per giungervi, un tono, una forma che essa prende e in cui, per così dire, si incarna.

Autentica e completa nella sostanza, semplicissima nel metodo e nella forma fu ed è la spiritualità di D. Bosco.

Autentica diciamo; e vogliamo dire vera, genuina, secondo lo spirito del Vangelo, la tradizione cristiana, la dottrina e la pratica della Chiesa.

Un processo di 45 anni e che si è chiuso or ora con la più splendida apoteosi, per sentenza infallibile del Vicario di Cristo, Capo supremo della Chiesa, è la più bella dimosstrazione e il più fermo suggello di quell'autenticità.

Intorno ad essa potè solo errare o veder meno chiaro chi guardò D. Bosco solo di lontano e attraverso la diffusione e lo splendore esterno dell'opera sua. Chè D. Bosco fece parlare molto di sè, e sopra di sè attirò lo sguardo del mondo intero: non tanto però sulla sua persona, che cercava piuttosto di occultare, quanto sull'opera sua. E molti guardarono ad essa, ammirarono ciò che in essa vi era di bello, di grande, di singolare di nuovo, di conforme ai bisogni e allo spirito dei tempi nuovi; e fermarono qui il loro giudizio: alla superficie; non videro l'anima.

L'anima di D. Bosco era plasmata di pietà. Un solo era il sospiro del suo cuore: la gloria di Dio e il bene delle anime. Una fiamma gli ardeva in petto: quella della più accesa carità. Un principio alimentava la sua inesauribile attività e la prodigiosa sua opera esteriore: la più profonda vita interiore. Tutto quello che fuori emanava e fuori appariva, non era che il rigurgito di quanto dentro egli rinserrava. Senza tale alimento, l'attività esterna si sarebbe esaurita, l'opera si sarebbe arrestata. Essa per lo meno non sarebbe stata così feconda, nè su di essa sarebbe sceso tanto raggio divino.

Certo, l'opera di D. Bosco ha tali caratteri da far subito pensare ad un intervento soprannaturale di Dio, anche se di tale intervento non si avessero i documenti più palesi. Ma neppur questo sarebbe sufficiente a spiegare la santità di D. Bosco, come non sarebbe stato sufficiente per muovere Roma a pronunciarsi definitivamente su di essa.

Chi scrive queste righe, nell'aprile del 1929 aveva l'onore di intrattenersi con colui che allora era Abbate di S. Paolo ed ora è l'Eminentissimo Cardinale Arcivescovo di Milano. E sapendo come egli fosse stato Consultore nelle Congregazioni che esaminarono l'eroicità delle virtù di D. Bosco, si permise di domandare: ma i membri della Congregazione, non furono subito soggiogati e determinati a pronunciarsi favorevolmente dall'imponenza dell'opera di D. Bosco e dai caratteri soprannaturali che l'accompagnano? « No - rispondeva allora Mons. Schuster - anzi tutto ciò non fu nemmeno preso in esame, si scartò a Priori: perchè tutto ciò è esterno, ed anche se è soprannaturale, può essere un puro dono carismatico; non è virtù, non è santità, che è fatto tutto interiore ». E soggiungeva, manifestando tutta la sua ammirazione per la santità di D. Bosco: « Forse voi medesimi non conoscete appieno tutta la ricchezza di virtù e di vita interiore che animava D. Bosco ». Infatti più si studia Don Bosco e più questa ricchezza appare grande, profonda, inesauribile.

* * *

Ma, pur presentando sempre aspetti nuovi e più vasti e più alti e più profondi quanto più si considera, la figura del Santo appare sempre, in tutto, piena, perfetta, completa.

« Don Bosco - ha scritto Jöergensen - è uno degli uomini più completi ed assoluti che abbia conosciuto la terra. Nella maggior parte delle creature che la Chiesa coronò con l'aureola dei Santi, c'è sempre alcunchè di umano!... Nella vita di Don Bosco niente di tutto ciò. In lui tutto è luce, senz'ombre... bianco su bianco; luce su luce ». Onde Don Bosco non ebbe mai bisogno, come altri Santi, di una vera conversione. E dopo aver detto che D. Bosco è come un prodotto, un derivato dalla stirpe italiana, buona nel suo fondo naturale, ma perfezionata, educata, nobilitata da una fede ereditata da secoli, da una fede fermamente ancorata nella vita quotidiana e giammai messa in dubbio, l'illustre agiografo, termina la prefazione del suo Don Bosco dicendo: « Don Bosco nell'albero del cristianesimo latino splende come un frutto di piena e perfetta maturità ».

Il S. Pontefice Pio XI definì D. Bosco un colosso di santità. Santo egli è ed appare in tutti i momenti della sua vita, in tutti gli aspetti, in tutte le forme della sua attività e della sua opera.

Santo giovinetto, santo studente, santo chierico, santo sacerdote, santo confessore, santo predicatore, santo educatore, santo scrittore.

Santo sempre ed in tutto: nelle parole, negli atti, nel lavoro, nella conversazione; negli stessi giuochi, nelle stesse arguzie e lepidezze che infiorano il suo dire, e che diffondono intorno a lui una soave letizia e gli aprono l'adito a penetrare così profondamente nei cuori di tutti e particolarmente dei giovani. Mai in lui si scorge alcunchè di meno proprio, di meno opportuno, di meno ordinato, di meno perfetto.

Bella la testimonianza del Card. Cagliero. «Io e i miei compagni lo trovammo sempre a un modo: egli ci appariva perfetto e santo, pieno d'amor di Dio e delle anime. Era giunto ornai alla maturità nella sua santità, possedendo tutte le virtù, che diffondeva dovunque intorno a sè con la parola, con l'esempio e specialmente con atti continui di zelo e di carità verso i più bisognosi ».

Quante e quali erano e di che grado quelle virtù? Tutte, non esitiamo a rispondere, e tutte in grado eminente, armonizzate nel modo più perfetto: dall'umiltà alla magnanimità, dalla semplicità alla più avveduta prudenza, dal più puro candore e dal massimo riserbo alla più audace intraprendenza, dalla attività più vertiginosa alla pietà più profonda, dalla più tenera divozione verso la Madonna a quella più filiale verso il S. Pontefice, dalla fede più inconcussa alla speranza più viva, alla carità più ardente.

Egli stesso inconsciamente, come per divina ispirazione, tracciò il quadro più bello delle sue virtù e della sua spiritualità, nel celebre sogno del 1881. Un personaggio misterioso gli appare: un ricco manto lo ricopre, ornato d'oro e di gemme preziose. Egli rappresenta la Congregazione Salesiana: qualis esse debet. Sul petto sono tre diamanti: fede, speranza e carità. A tergo, un quadrato: povertà e premio, castità e digiuno, e, nel centro, obbedienza. Sulle spalle: lavoro e temperanza. E poi, tutto uno scintillio di gemme, fino alla fascia che cinge l'orlo estremo, ove sono segnate fino le più piccole virtù, fragmenta virtutum.

Era l'ideale che egli sognava, che egli voleva, che egli presentava ai suoi figli. Era l'ideale che egli attuava in sè e tutti vedevano rappresentato in lui. Era lui stesso.

Era tutto il quadro? Era come il compendio. Era il simbolo. Nella fede, nella speranza e nella carità era la perfezione della vita cristiana. Nella povertà, castità ed obbedienza era la perfezione della vita religiosa. Nel lavoro e nella temperanza erano le caratteristiche della vita salesiana. Lavoro e temperanza faranno fiorire la Congregazione, egli scrisse e ripetè più volte. E per lui temperanza era non solo moderazione od astinenza, ma sopratutto distacco dai comodi, dagli agi, dalle cose terrene per consecrarsi intieramente alle cose di Dio ed al bene delle anime: non quaerere quae sua sunt, sed quae Iesu Christi. Era questa tutta la sua vita. Era il suo grido: da mihi animas, coetera tolle!

Ma il quadro non è completo, se non si pone il sorriso di D. Bosco, la sua amabilità, la sua dolcezza: quel sorriso che esercitava tanto fascino, quell'amabilità e quella dolcezza che rapiva i cuori e dei cuori lo faceva il re. Ciò che nella Chiesa il Poverello d'Assisi è per la povertà, D. Bosco lo è per la dolcezza e l'amabilità: ideale perenne, inarrivabile.

Ora si imperni tutto ciò nella più intensa vita interiore; vi si aggiungano tutte le ricchezze dei doni soprannaturali, non esclusi quelli della più alta vita mistica, si da fare di lui la più vera, la più continua, la più intima unione con Dio, e si avrà un'idea della completa spiritualità di D. Bosco.

*

Ma in tanta ricchezza, in tanta altezza, in tanta complessità, la massima naturalezza e la massima semplicità.

Ho dinanzi tre ritratti di D. Bosco. Uno lo rappresenta in preghiera dinanzi alla Madonna, l'altro nell'atto di confessare, il terzo nella sua posizione abituale, con le mani raccolte dinanzi al petto. Nulla di più composto e di più santo; ma nulla di più calmo, di più tranquillo, di più semplice e di più naturale. Gli artisti per rappresentare un Santo hanno bisogno ordinariamente di spiritualizzarlo. Per Don Bosco nessun artista dovrebbe sentire un tal bisogno. Egli è già per se stesso la massima spiritualizzazione: in questa naturalezza, in questa semplicità, che è l'armonizzazione perfetta di tutte le forme di virtù e di santità: riflesso dell'armonia, della perfezione, della semplicità di Dio stesso.

E così era D. Bosco in tutta la sua vita: in mezzo ai suoi giovani e in mezzo al popolo, dinanzi agli umili e dinanzi ai grandi, in privato ed in pubblico, per le vie di Torino ove era circondato dai suoi birichini, e per quelle di Roma, di Parigi, di Barcellona ove era fatto segno alle più alte manifestazioni ed ai più imponenti trionfi.

Tutti notarono questo fatto e tutti lo ammirarono, come ammirarono la sua imperturbabile calma in mezzo alle occupazioni, la sua dolce serenità in mezzo alle lotte ed alle avversità, il suo inalterabile sorriso in mezzo a dolori ed a passioni inenarrabili.

Colpito di tanta semplicità, e profondamente colpito, fu in modo particolare il S. Pontefice Pio XI quando ebbe quella che Egli stesso reputa una delle più grandi venture, di passare alcuni giorni in compagnia di D. Bosco.

E la meraviglia cresce ancora, quando si pensi a tutti i doni soprannaturali di cui era arricchito e circondato D. Bosco, e di cui egli aveva piena coscienza. Nel 1876 in una conferenza ai Salesiani raccolti a Lanzo, egli non si peritò di dire che negli altri Istituti religiosi il soprannaturale era stato concesso di rado e come a spizzico, mentre a lui ed alla Congregazione sua era stato comunicato in modo continuo e senza misura. In tutta la storia della Chiesa non si trova una pagina simile. Mai un Santo osò parlare così. E diceva la verità. Si pensi infatti al sogno fatto a 9 anni, e poi a tutti gli altri sogni, a tutte le rivelazioni, alle profezie, ai miracoli compiuti, alla protezione continua e prodigiosa dell'Ausiliatrice; e si aggiunga tutta l'abbondanza dei doni interiori, frutto di quella gara di donazione reciproca, che, come disse Pio XI, si era stabilita fra Dio e D. Bosco. Anche il soprannaturale sembrava in lui naturale; lo straordinario, ordinario.

E tale naturalezza e semplicità si rifletteva poi in tutta la sua opera.

Dicendo semplicità, non si dice minimizzazione o riduzione al nulla, ma riduzione ai punti essenziali con sfrondamento di tutto l'accessorio; spontaneità senza complicazioni. Così fece D. Bosco, il quale, guidato anche dal suo senso eminentemente pratico, non si perdeva in teorie e in disquisizioni, ma mirava subito alla sostanza.

Con tre parole: pane, lavoro e paradiso tracciava regolarmente a quanti, adulti, venivano a lui il programma di vita, di azione e delle più sublimi aspirazioni.

Ai primi Missionari che partono per l'America dice due parole: Cercate anime e non danari. A chi lo interroga sul modo di comportarsi nelle confessioni in cui possono occorrere casi molto difficili, richiama semplicemente il testo: Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius, et haec omnia adiicientur vobis. A chi gli sottopone un intero regolamento di vita e una lunga serie di propositi, si limita semplicemente a dire: la nostra Regola; lì c'è tutto.

E la sua Regola è veramente la più semplice che si possa immaginare. Posti i punti fondamentali della vita religiosa, tutto si può dire ridotto ai semplici doveri del buon cristiano. Nessun'apparenza esteriore; nessuna pratica straordinaria; nessuna disciplina e nessuna mortificazione speciale, all'infuori del digiuno del venerdì in onore della passione di Gesù Cristo. Eppure vi è tutto, perchè vi è il suo spirito pieno di pietà e di carità: di quella carità che tutto avviva e può portare all'eroismo, e di quella pietà che tutto converte in preghiera, sicchè l'intera vita diviene una continua preghiera operosa o una laboriosità incessantemente orante.

Lavoro e preghiera era un suo motto preferito, e fu preso come bandiera dai suoi figli.

Ai quali però un altro motto significativo e meravigliosamente sintetico lasciò: lavoro e temperanza. I due motti si integrano, o meglio si traducono a vicenda, poichè, come già si osservò, per D. Bosco la temperanza non è solo astinenza o moderazione nel cibo e nella bevanda, ma rinuncia a tutto ciò che è comodo proprio e propria soddisfazione per dedicarsi unicamente e intieramente alle cose di Dio e al bene delle anime. E siamo ancor al motto che nella massima semplicità riassume tutta la sua vita e la sua opera: Da mihi animas, caetera tolle.

La stessa semplicità egli portò nel suo sistema educativo, che tutto poggia su tre princìpi: ragione, religione e carità. Princìpi che a loro volta importano: naturalezza, spontaneità e amabilità.

Ma il riflesso maggiore lo si ha forse nel campo della pietà propriamente detta. Nessuna pietà più viva e più intensa di quella che D. Bosco coltivava nei suoi figli e nei suoi giovani; eppure nessun organismo più semplice e più spontaneo. Il Giovane provveduto è il manuale di questa pietà; le vite dei giovinetti scritte da D. Bosco stesso; la vita dell'Oratorio ne sono la traduzione pratica. Gioconda letizia nel servizio di Dio: Servite Domino in laetitia; preghiere comuni del buon cristiano; frequenza alla Confessione e alla Comunione con l'esercizio mensile della buona morte; libertà piena in ciò, senza nessuna coazione e nessuna parata; ecco tutta la pietà di D. Bosco. No. Sopra a tutto ciò, o meglio, con tutto ciò e in tutto ciò la divozione a Gesù Sacramentato ed a Maria Ausiliatrice, di cui egli fu l'Apostolo infaticabile.

Così D. Bosco guidava le anime che a lui ricorrevano; così informava le masse dei fedeli ai quali parlava; così voleva i suoi figli, e così guidava i suoi giovani alla virtù, alla perfezione ed alle più alte vette della santità, come un Ven. Savio Domenico, un Magone Michele, un Besucco Francesco, per non dire di quelli che crebbero poi, ma sempre da lui formati o da lui ispirati, come D. Rua, D. Beltrami, D. Czartoriski, D. Mertens... la Serva di Dio Maria Mazzarello...

Questa la spiritualità di D. Bosco; questo l'esempio da lui dato al mondo; questa la via tracciata a tutti.

Questi, in particolare, i princìpi, le massime, i mezzi lasciati ai suoi figli, ai quali lasciò soprattutto in eredità il suo spirito.

D. E. M. VISMARA.

L'ASSOCIAZIONE DEI DIVOTI DI MARIA AUSILIATRICE

Fu istituita dal Santo per propagare sempre più la divozione a Maria sotto il glorioso titolo di Ausiliatrice e fu eretta canonicamente nel Santuario di Torino con Decreto del 18 aprile 1869. In seguito i Sommi Pontefici Pio IX, Leone XIII e Pio X la arricchirono d'innumerevoli favori e grazie spirituali, e la elevarono al grado di Arciconfraternita, con facoltà di aggregare alla medesima altre Associazioni dello stesso nome e scopo, comunicando a queste le grazie e i favori predetti.

Il suo scopo è di promuovere le glorie della

Divina Madre del Salvatore, per meritarsi la sua protezione in vita e specialmente in punto di morte. Mezzi speciali per ottenere tale scopo sono: dilatare La divozione a Maria e la venerazione a Gesù Sacramentato; e ciò principalmente col promuovere il decoro e la divozione nelle Novene, Feste, ecc.; col diffondere buoni libri, immagini, medaglie; colla frequenza alla Santa Messa e alla Comunione; col cercar d'impedire ogni bestemmia e cattivo discorso.

I soci recitano ogni giorno, dopo le orazioni del mattino e della sera, le due giaculatorie: Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento, e Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Essi non sono tenuti ad alcuna annualità pecuniaria.

Gli associati godono numerosi vantaggi spirituali, fra cui: Indulgenza plenaria nel giorno dell'ascrizione, nelle feste di Natale, Circoncisione, Epifania, Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini; Immacolata Concezione, Natività, Presentazione, Annunciazione, Visitazione, Purificazione, Assunzione della B. V., solennità di Maria SS. Ausiliatrice; il 24 d'ogni mese; in punto di morte; oltre numerose indulgenze parziali e stazionali, suffragi, ecc., elencati nell'apposito regolamento.

Per aggregazione, inscrizione, informazioni, rivolgersi al Rettor Maggiore dei Salesiani, Via Cottolengo, 32 - Torino (109) .

Per notizie più ampie, leggere i vari volumetti di D. Anzini editi dalla S.E.I.

Tutti vedono che l'intiera vita di Don Bosco è Missione nel primo e più completo senso della parola: Missus a Deo: l'Uomo provvidenziale del secolo scorso, che intuì i più vitali ed urgenti bisogni dell'epoca moderna, in riguardo alla gioventù e all'apostolato della Chiesa. Il suo cuore abbracciava tutte le forme di carità: dalla formazione di Sacerdoti e religiosi alla educazione dei giovani nelle scuole e nelle officine e negli Oratorii; dalla partecipazione dei laici all'apostolato nei suoi Cooperatori ed Ex-allievi, alla cura del popolo minuto con la stampa, la predicazione, la propaganda religiosa; dalla rapida diffusione delle sue imprese tra i popoli più civili d'Europa fino alla conquista integrale di popolazioni e terre selvagge alla luce del Vangelo.

Ma ora il senso proprio della parola Missione è l'apostolato tra gli eretici, gli infedeli e i selvaggi.

Don Bosco fu anche in questo campo un pioniere e la Storia ci dimostra come il Signore si degnò di illuminarne la mente con superne illustrazioni e di guidarne i passi in modo assolutamente provvidenziale.

E questa una pagina interessantissima della sua vita. Appena ottenuta da Roma l'approvazione della sua Pia Società, egli varca coi suoi figli l'Oceano e inizia un lavoro di evangelizzazione e di civilizazzione che quasi non ha

riscontro nella Storia. Avrebbe potuto sembrare che, stabilite le basi della sua Famiglia religiosa, a sessant'anni, Egli si potesse tranquillamente riposare per attendere alla formazione del suo personale e a consolidare le basi del lavoro compiuto: no! Maiora premunt!...

Il suo miglior sogno, il suo più antico desiderio è tuttora rimasto insoddisfatto: oltre i mari, in tutte le direzioni, assise all'ombra di morte, moltitudini di grandi fanciulli attendono tuttora la Fede che rischiari i loro passi. Ora gli pare giunto il momento segnato dalla Provvidenza per quest'opera gigantesca: la giovane pianta ha dei germogli rigogliosi; recisi e trasportati in altro terreno, daranno nuove piante giganti: è la storia sempre antica e sempre nuova del grano di senapa, che nel regno di Dio ogni giorno si ripete, al divino sole della Grazia.

L'idea missionaria in Don Bosco era nata col primo sogno dei nove anni.

Che era infatti quella «moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e parecchi altri animali », che in un batter d'occhio «invece di animali feroci divennero tanti agnellini »?

Evidentemente vi erano compresi tutti gli elementi del suo futuro apostolato e « gli orsi » e « gli animali feroci » preludevano alla conquista dei popoli più lontani dalla cognizione del vero Dio e dalla mansuetudine dell'Agnello immacolato.

Poi il suo divino istinto lo portò sempre a ricercare dappertutto le anime derelitte, i ragazzi abbandonati, ignoranti, bisognosi d'affetto: a Morialdo, a Castelnuovo, a Chieri durante il periodo degli studi, durante le vacanze, è tutta una serie di fatti che dimostra la passione in lui dominante: Euntes docete omnes gentes.

Giovane Sacerdote, durante i tre anni di Convitto Ecclesiastico, mentre stava studiando quale via veramente il Signore lo destinava a percorrere, il pensiero di essere missionario non lo abbandonava mai, dice Don Lemoyne. Anche là avrebbe incontrato migliaia e milioni di fanciulli. Don Cafasso, al quale non isfuggiva ogni suo menomo atto, gli lasciò studiare la lingua francese e gli elementi della spagnuola; e quando vide che cominciava a prendere la grammatica inglese, senz'altro gli disse: Voi non dovete andare nelle Missioni!

- Si può sapere il perchè? domandò Don Bosco.

- Andate, se potete; non vi sentite di fare un miglio, anzi di stare un minuto in vettura chiusa Senza gravi disturbi di stomaco, e vorreste passare il mare? Voi morireste per via! -

Così il progetto andò in fumo, non tanto per una difficoltà che non era insuperabile, quanto per l'obbedienza al consiglio del suo Superiore ». (Mem. Biogr., volume 2°, pag. 203).

Più tardi, nel 1848, gli « Annali della Propagazione della Fede » che un suo allievo esterno correva a leggergli alla sera appena gli arrivavano, rinfocolarono nel suo cuore il fervore missionario, ed esclamava: «Oh, se avessi un bel numero di Chierici e di Preti, li condurrei tosto con me ad evangelizzare la Patagonia e la Terra del Fuoco! ».

Nel 1855 ecco comparire nella sua cameretta un nuovo quadro, d'un ardente missionario martirizzato in Oriente l'11 settembre 1840, e di cui s'introduceva la causa di beatificazione: Giovanni Gabriele Perboyre, Sacerdote della Congregazione della Missione, elevato all'onore degli altari da S. S. Leone XIII nel 1890. E in quell'occasione l'entusiasmo di Don Bosco è per le Missioni d'Oriente. « Come vorrei che i miei figli, anch'essi, andassero là nell'Estremo Oriente! Se il Signore mi desse dodici Sacerdoti secondo il mio cuore, partiremmo insieme ».

Ma qual meraviglia che questo pensiero torni insistente e sempre più deciso nell'animo suo, se l'anno precedente, nel 1854, il Signore gli manifestava a chiare note che un giorno i suoi figli dovevano essere Missionari? Chi non ricorda la visione al letto del giovane Cagliero, colpito da una violenta febbre tifoidea, in seguito agli strapazzi della vita da infermiere ai colerosi di Valdocco?

- Vuoi vivere ancora o andare in Paradiso? chiese scherzando al suo figliuolo, spedito dai medici.

- In Paradiso! in Paradiso! rispose pronto Cagliero, come se intonasse la lode: « ... in te gioia, canto e riso - regna e sempre regnerà... ».

Ma Don Bosco vede invece ben altro e può con sicurezza dissuaderlo dall'idea di morire, additandogli viaggi lunghi e lontani, come colomba recante il ramoscello d'olivo a torme di selvaggi ancora ignoti, in paesi affatto inesplorati, e con la pienezza dei poteri sacerdotali.

Nella visione mirabile erano i selvaggi Pellirosse stessi che, fisso lo sguardo nel fanciullo, inginocchiati attorno al suo lettino, spiando nei suoi movimenti i barlumi di speranza che non doveva essere vana, parevano supplicarlo a voler vivere per essi.

E Don Bosco, con la pazienza dei Santi, non affrettò quel giorno, ma attese che scoccasse l'ora di Dio e che nuovi segni indicatori gli manifestassero se erano, quelle, pure fantasticherie o chiare previsioni della divina volontà.

Come già per la storia dell'Oratorio, così anche per la storia delle Missioni, il Beato Don Bosco ebbe di tempo in tempo illustrazioni profetiche sempre più dettagliate e sicure, per le quali poteva camminare come verso una meta sicura, benchè per una strada non sempre battuta e sgombra d'intoppi.

Ma dopo la visione al letto del Cagliero, non troviamo più notizie speciali della sua attività missionaria: leggeva volentieri cose missionarie e vi pensava con desiderio, talora anche ne parlava ai suoi figli; ma l'attività sua era tutta dedicata alla preparazione dell'ambiente e del personale per la futura Congregazione. Sarà soltanto alla vigilia dell'approvazione definitiva delle Regole, nel 1871, che un sogno famoso rimetterà sul tappeto il gravissimo novello compito a cui la Provvidenza chiamava Don Bosco e i suoi figli.

Il quadro è tragicamente verace, e in una sintesi paurosa presenta all'occhio del veggente le atrocità perpetrate dai figli delle tenebre a danno dei portatori di luce nel corso dei secoli, e addita il metodo nuovo che converrà adottare per placare finalmente la ferocia degli uomini e penetrare nelle loro regioni più desolate. (V. LEMoYNE, volume 2°, pag. 143).

Chi saranno quei popoli? quando avverrà che i suoi figli giungano a salvarli nel nome dell'Ausiliatrice?

L'attesa ormai sarà breve, ma febbrile in Don Bosco il desiderio di sapere dove lo chiama la voce dall'alto: l'Etiopia, la Cina, l'Australia, le Indie formarono di tempo in tempo l'oggetto dei suoi studi e ricerche in questo periodo.

Nel dicembre del 1874 il console dell'Argentina, comm. Gazzolo, a nome dell'Arcivescovo di Buenos Ayres, venne ad offrirgli l'evangelizzazione delle immense regioni deserte che a sud dell'Argentina scendono fino alla Terra del Fuoco... Don Bosco, per il solito lento e prudente nelle decisioni d'importanza, pare abbia sentito essere quello il campo dei suoi sogni, e già dall'Epifania del 1875 ai giovanetti del Collegio di Lanzo pare mandi il suo proclamo di guerra: « Io ascolto la voce che viene di lontano e grida: O figliuoli, o allievi di Lanzo, veniteci a salvare! Sono le voci di tante anime, che aspettano una plano benefica che vada a tòrli dall'orlo della perdizione e li metta per la via della salvezza ».

L'anno 1875 portò all'Oratorio di Valdocco un fermento che si può paragonare forse appena a quello che oggi ci pervade tutti nell'attesa del gran giorno della Canonizzazione. L' « eroe dei due mondi » era Don Giovanni Cagliero, l'ardente conterraneo di Don Bosco, anima di conquistatore, attrezzato per la vita più battagliera e avventurosa, legato a Don Bosco d'un affetto simile a quello di San Pietro per il Redentore: Tecum paratus et in carcerem, et in mortem ire.

Egli sarà l'alfiere fortunato del primo manipolo di prodi ormai tutti scomparsi, seguiti con un incalzare d'onda da incessanti e sempre più numerose spedizioni, che celebrano i nomi ormai famosi di Mons. Costamagna, di Mons. Fagnano, di Mons. Lasagna, di Don Pietro Rota, Don Evasio Rabagliati, Don Giuseppe Beauvoir, Mons. Lorenzo Giordano, Don Scavini Spirito, Don Balzola. Poi le destinazioni si moltiplicano; i campi di missione all'aprirsi del secolo XX sono già cinque: Patagonia, Equatore, Brasile (Registro de Araguaya), Brasile, Matto Grosso,. Pampa centrale.

Nel 1906 Don Méderlet apre la via verso l'India ove al presente è Arcivescovo di Madras; e Don Versiglia con Don Olive s'inoltrano in Cina; già nel 1911 l'Africa nera svela le sue prodigiose bellezze ai Confratelli del Belgio nell'Alto Luapula del Congo con Mons. Sak; nel 1914 l'infaticabile Don Balzola, già esperto nella conquista dei Bororos, affronta i misteri del Rio Negro nel Brasile; nel 1916 Monsignor Abramo Aguilera tocca l'estrema punta meridionale del mondo abitato, a Magellano e alle Isole Malvine; nel 1917, mentre imperversa furiosa la guerra europea, varca l'oceano insidiato dai sottomarini e bombe galleggianti la squadra guidata dall'eroico Mons. Versiglia, verso Shiu-Chow; nel 1922 è un'altra fertilissima regione dell'India che promette tesori di. anime al drappello guidato da Mons. Mathias, già folto ormai, in soli dodici anni, di oltre sessanta missionari provetti, altrettanti Chierici studenti e un bel gruppo di zelanti novizi, che di anno in anno va a rinforzarne le file; nel 1923 si apre la terza missione dell'immenso Brasile, a Porto Velho; nel 1925 è la volta del gran Ciaco Paraguayo, ora teatro di guerra sanguinosa; nel 1926 è il dott. Don Vincenzo Cimatti che s'accosta, sulle orme del Saverio, all'impenetrabile e formidabile Giappone, ove, seguendo le scie sanguinose dei Martiri della. Fede, tenta la battaglia del fanciulletto Davide, contro il gigante Golia; nel 1927 s'inizia l'opera missionaria nel Siam; nel 1928 Mons. Bars si stacca, esperto indianista, dalla sua Missione e inizia la conquista a Cristo del Krishnagar, fra stenti e pericoli senza numero...

Ma queste non sono che le stazioni principali e le date di partenza! Sono i titoli dei vari canti che compongono il poema missionario salesiano, la cui trama era tutta nella mente del Padre e i cui versi egli si compiaceva di declamare nell'estasi dei suoi sogni.

Non era chiusa infatti la serie gaudiosa delle visioni, che alla sua mente presentavano l'avvenire dell'opera sua nelle Missioni.

La notte del 3 agosto 1883 in un sogno faticosissimo egli percorse in tutti i sensi l'America, del Sud e vide dall'alto delle Cordigliere una moltitudine di razze e di popolazioni, di tribù indiane e di selvaggi. Era sua guida il giovanetto Luigi Colle, caro piccolo amico del Santo, defunto due anni innanzi, in onore di santità, a Tolone. « Ecco, Padre, egli diceva, ecco migliaia di infelici che attendono da secoli la Fede. Andate a loro. Essi formano la messe riservata ai Salesiani ».

Ma due anni innanzi alla sua morte, il 9 aprile 1886, a Barcellona è Maria SS. sotto la forma di una graziosa pastorella, che gli addita in un ultimo sogno le meraviglie, cui sono destinati a compiere i suoi figli.

È un gregge immenso di agnelli e di pecore. Vedi quanto ti sta innanzi? -gli domandò. Sì che lo vedo.

Ebbene, ti ricordi del sogno che facesti all'età di 9 anni?... Guarda ora da questa parte! Che vedi?

- Vedo montagne, poi mari, poi colline; quindi di nuovo montagne e mari. E i giovani leggono: Valparaiso, Santiago...

-- Volgiti ora da questa parte!

E Don Bosco vede di nuovo montagne, colline e mari. E i giovani leggono: Pechino.

- Ora tira una linea da Pechino a Santiago, fanne un centro nel mezzo dell'Africa, ed avrai un'idea di quanto debbono fare i Salesiani.

Ma come? come fare tutto questo?

- Non ti turbare: faranno questo i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, purchè coltivino costantemente la virtù di Maria.

La dolcissima Madre Ausiliatrice che ne aveva accompagnato i passi lungo tutta la vita, volle ancora coronare l'opera negli ultimi giorni, chiamando al suo letto di morte colui che con Don Rua era stato l'altro braccio del Padre e aveva realizzato il sogno suo missionario con prodigiosa rapidità.

Don Cagliero, già Vescovo, ha il presentimento irresistibile della fine di Don Bosco, e parte dal fondo della Patagonia, torna ad abbracciare il Padre e gli conduce, regalo vivente, una piccola Fueghina:

« Ecco, caro Don Bosco, le primizie che Le offrono i suoi figli ex ultimis finibus terrae ».

Il cuore di Don Bosco è gonfio d'emozione. Ma ad un tratto la fanciulla dal volto color cuoio, con un accento barbaro, inginocchiandosi ai suoi piedi e fissandolo in viso, accenna a parlare e le sue parole sono in italiano: « Padre, vi ringrazio d'aver mandato i vostri missionari per me e per i miei fratelli ».

Allora Don Bosco si sentì serrare la gola e lacrime copiose piovere dagli occhi, nè potè articolar parola.

Era la gioia del nunc dimittis.

Ma, dopo cinquant'anni di lavoro, nel giorno del trionfo del Padre, a noi è dato rimirare un istante la via percorsa dai figli sulle sue indicazioni profetiche, e benedire il Signore che tutto dispone con sapienza e bontà infinita, servendosi dei più umili operai per compiere sì onorevoli e sì vaste Missioni di bene nel mondo.

Sac. Dott. RENATO ZIGGIOTTI.

DONI CARISMATICI

Il secolo scorso sembra a molti un secolo caratterizzato dal più basso materialismo, e certo la caccia all'oro, al benessere materiale, al piacere han dominato la vita di quel piccolo o grande mondo borghese che, in un certo senso, è tramontato.

Però, chi guardi bene, troverà nei ricordi della sua infanzia, nei racconti dei suoi vecchi altre più consolanti note: il Rosario recitato nelle famiglie in comune, la frequenza alle istruzioni domenicali della Parrocchia, l'educazione cristiana dei fanciulli presso il padre e la madre, il mese di maggio consacrato con trasporto alla Madonna, le opere e le offerte in suffragio dei defunti... Quanto spirito cristiano in questo secolo XIX, secolo di Manzoni, di Pasteur, di Volta, di Cesare Cantù, di Pio IX e di Leone XIII!

E proprio in questo secolo grazie straordinarie, doni soprannaturali che Dio fece a tanti suoi servi, fra i quali primeggia il nostro Don Bosco.

* * *

« Tutti coloro che hanno letto qualcuna delle tante vite di Don Bosco, che finora furono pubblicate, ed in tante diverse lingue, quelli che le leggeranno in appresso, possono ben rendersi conto di quanto sia stato vero che nella vita sua il soprannaturale era quasi divenuto naturale, lo straordinario era divenuto l'ordinario. Gli è che questi doni soprannaturali erano come altrettante stelle scintillanti sopra un cielo tutto splendido e sereno, quasi a dare risalto sempre maggiore ad una vita che era, già per sè, tutto un miracolo. Nella Bolla di canonizzazione di San Tommaso d'Aquino è detto che, seppur nessun altro miracolo vi fosse stato, ogni articolo della sua Somma era un miracolo. Ed anche ora si può ben dire che ogni anno, ogni momento di questa vita furono un miracolo, una serie di miracoli ».

Questo, com'è noto, il pensiero del Santo Padre Pio XI quando, il 19 marzo 1929, proclamava il riconoscimento dei due miracoli richiesti per la beatificazione.

Don Bosco visse in un'atmosfera superiore, in una continua unione con Dio; si può dire senza esitazione che Don Bosco fu un grande mistico.

« Sappiamo bene, diremo col Ceria, che a non pochi sembrerà questa, per non dir di peggio, un'idea peregrina; ma la colpa non è della mistica certamente. Un autore che se ne intende (De Montmorand), tratteggia così la figura dei mistici: « I veri mistici sono le persone di pratica e di azione, non di ragionamento e di teoria. Hanno il senso dell'organizzazione, il dono del comando e si rivelano forniti di ottime doti per gli affari. Le opere da essi fondate sono vitali e durevoli; nel concepire e dirigere le loro imprese dànno prova di prudenza e di ardimento e di quella giusta idea delle possibilità che è il carattere del buon senso. E infatti sembra proprio che il buon senso sia la loro qualità predominante: un buon senso non turbato nè da esaltazioni morbose, nè da immaginazioni disordinate, e unito a una molto rara facoltà di discernimento ».

Proprio così Don Bosco. I suoi piedi erano a terra, nella prudenza e, direi quasi, nel calcolo oculato e diligente: ma l'occhio era a Dio, al Signore che s'era svelato nel primo sogno dei Becchi tracciando la strada, donando la guida, la Maestra, la Madonna; a Dio, che in centinaia di sogni, meglio detti mirabili visioni, svelava chiaramente i futuri, e dava luce di giorno sulle coscienze, e regalmente indicava i campi mondiali dell'apostolato missionario; era a Dio l'occhio, e spesso anche il corpo veniva come esaltato e trasumanato in mistiche esperienze, che si direbbero del Medio Evo e sono, si può dire, di oggi. Tre volte uno dei suoi figliuoli, Filippo Rinaldi, poi suo terzo successore nel governo dell'ormai adulta Società, lo vide trasformarsi ed irradiarsi di una luce forte e soave, pur nel pieno del giorno; e più che una volta così lo vide lo storico della sua vita, G. B. Lemoyne. Nel 1879 chi gli serviva la Messa, nella cappella privata, lo ammirò, e non una volta sola, alzarsi da terra e rimanere così sollevato in estasi, per circa dieci minuti.

Fioriva attorno a lui il miracolo: testimoni giurati attestarono moltiplicazioni di pane, di castagne, di nocciole, di ostie; guarigioni improvvise e inesplicabili; cognizioni supernamente infuse, e perfino il dono della bilocazione. Una notte del 1886 a Sarrià, presso Barcellona il Direttore dell'Istituto Salesiano viene improvvisamente svegliato da Don Bosco; egli è vicino a lui e lo chiama. Si alza e lo segue per corridoi, scale, camerate. Dove entra Don Bosco tutto si illumina, si fa luce, come fosse giorno. E l'intero andamento della Casa è reso nettamente palese agli occhi del Direttore: quattro soggetti debbono essere allontanati... Ma il povero sacerdote non sa decidersi ad eseguire l'ordine, le difficoltà sono molte. Tace con tutti e non fa nulla. Pochi giorni dopo una lettera da Torino ingiunge di eseguire ciò che Don Bosco sa di aver ordinato in mia visita notturna. Ma ancora il Direttore non si decide... Al mattino seguente, quando sale l'altare per celebrare, una voce squilla a tutte le potenze dell'anima sua; se non obbedisce, quella è l'ultima Messa che celebra... Chiama i quattro indiziati, li interroga; tutto vien trovato esattamente conforme a quanto Don Bosco aveva svelato, ed essi assumono il preciso atteggiamento in cui il Direttore li aveva visti durante la incancellabile visita notturna.

Sarebbe pur bello riferire qui i migliori brani dei Sogni di Don Bosco, ma lo spazio non lo permette. Ci limitiamo a riportare un brano di un sogno del 1884. E un elogio della innocenza detto da due angioli in un giardino paradisiaco:

«Chi può descrivere la bellezza di un innocente? Quest'anima è vestita splendidamente come uno di noi, ornata della bianca stola del santo Battesimo. Il suo collo, le sue braccia risplendono di gemme divine; ha in dito l'anello dell'alleanza con Dio. le si para innanzi una via tempestata di stelle... Tabernacolo vivente dello Spirito Santo, col sangue di Gesù che scorre nelle sue vene e imporpora le sue guance e le sue labbra; colla SS. Trinità nel cuore immacolato, manda intorno a sè torrenti di luce, che la vestono del fulgore del sole. Dall'alto piovono nembi di fiori celesti che riempiono l'aria. Tutto intorno si spandono le soavi armonie degli Angeli che fanno eco alle sue preghiere. Maria SS. gli sta a fianco pronta a difenderla. Il Cielo è aperto per lei: essa è fatta spettacolo delle immense legioni dei Santi e degli spiriti beati che la invitano agitando le loro palme. Iddio fra gli immensi fulgori della sua gloria colla destra le addita il trono che le è stato preparato, mentre colla sinistra tiene la splendida corona che dovrà incoronarla per sempre. L'innocente è il desiderio, il gaudio, il plauso del Paradiso e sul suo volto è scolpita una gioia ineffabile... È perciò che l'innocenza nei Santi dell'Antico Testamento, nei Santi nel Nuovo e specialmente nei Martiri si presenta così gloriosa. O innocenza, quanto sei bella! Tentata cresci in perfezione, umiliata ti levi più sublime, combattuta esci trionfante, uccisa voli alla corona... Tu libera nella schiavitù, tranquilla e sicura nei pericoli, lieta fra le catene. I potenti t'inchinano, i prìncipi ti accolgono, i grandi ti cercano, i buoni ti obbediscono, i malvagi t'invidiano, i rivali ti emulano, gli avversari soccombono... ».

P. SCOTTI.

LA PIA UNIONE DEI COOPERATORI SALESIANI

Le Memorie Biografiche di Don Bosco (vol. XIII, pag. 624 e seg.) ci hanno tramandato la prima conferenza tenuta dal Santo ai Cooperatori Salesiani di Torino il 16 maggio 1878 nella Cappella di San Francesco di Sales. Sono pagine interessantissime perché consacrate da Don Bosco alla storia della Pia Unione dei Cooperatori Salesiani. E, meglio di qualsiasi studio, varranno a dare un'idea esatta dell'origine di questa geniale istituzione del Santo, della quale offriamo qui rapidi cenni. Ecco i periodi che ci possono interessare:

Una bella pagina di storia...

« Trentacinque anni fa - sono parole del Santo - l'area che presentemente è occupata da questa chiesa serviva come di luogo di convegno a molti giovani discoli i quali venivano a fare battaglie, risse, ed a dire bestemmie. Qui accanto vi erano due case in cui si offendeva assai il Signore: una era una bettola in cui venivano gli ubbriaconi ed ogni genere di cattiva gente; l'altra, posta qui nel luogo dov'è il pulpito ed allungantesi alla mia sinistra, era una casa di scostumatezza e d'immoralità. Nel 1846 qui arrivava un prete (Don Bosco) povero affatto e prendeva a pigione a grandissimo prezzo due camere di questa seconda casa. Quel prete era accompagnato dalla sua madre. Lo scopo era di vedere modo di fare un po' di bene alla povera gente del vicinato. Tutto il loro patrimonio consisteva in un cestello che si portava al braccio, in cui vi erano vari oggetti. Ebbene, questo prete vide i giovani che si radunavano qui per malfare, potè avvicinarsi a loro, ed il Signore fece sì che la sua parola fosse ascoltata e compresa. Si era vista la necessità di una cappella da dedicarsi al divin culto. Partendo dalla parte dell'Epistola di questo altar maggiore e allontanandosi dalla destra di chi lo guarda, vi era una tettoia che serviva di rimessa. Si potè avere e si adattò a forma di chiesa, non trovandosi altro locale. Quei giovani discoli poco alla volta si lasciarono attirare e vennero in chiesa, ed in breve tempo il loro numero si accrebbe talmente, .che non solo era piena zeppa la chiesa, ma nel piazzaletto stesso, che occupava quello spazio nel quale ora voi mi ascoltate, si faceva il catechismo. Quel prete era solo. Aveva bensì talora in suo aiuto quel zelantissimo Teologo Borel, che fece tanto del bene a Torino; ma egli, occupato come era alle carceri nell'assistere i condannati a morte, nelle opere del Cottolengo, della marchesa Barolo ed altre, non poteva attendere che poco ai giovanetti, essendo tutta la sua vita altrove. Ma il Signore provvide quanto mancava. Un poco alla volta vari benemeriti ecclesiastici si unirono al povero prete e prestavano l'opera loro, chi a confessare, chi a predicare, chi a fare i catechismi... E l'Oratorio era da questi ecclesiastici sostenuto. Essi però non bastavano. Crescendo i bisogni anche per le scuole serali e domenicali, alcuni preti erano poca cosa. Ed ecco che vari signori portarono anch'essi l'opera loro. Era proprio la

Divina Provvidenza che li mandava e per loro mezzo il bene andò moltiplicandosi. Questi primi cooperatori salesiani, sia ecclesiastici che secolari, non guardavano a disagi ed a fatiche, ma vedendo. come proprio molti giovani discoli si riducessero sulla via della virtù, sacrificavano se stessi per la salvezza degli altri. Molti io ne vidi lasciar da banda ogni comodità di loro case e venire non solo tutte le domeniche, ma ben anco tutti i giorni della quaresima e ad un'ora che li disagiava moltissimo, ma che era la più comoda pei ragazzi, per fare i catechismi.

Intanto si faceva vieppiù sentire il bisogno di aiutare anche materialmente questi fanciulli. Ve ne erano di coloro i cui calzoni e la giubba erano in brandelli e ne pendevano i pezzi da ogni parte, anche a scapito della modestia. Ve ne erano di quelli che non potevano mai cambiarsi quello straccio di camicia che avevano indosso. Fu qui che incominciò a campeggiare la bontà e l'utilità che arrecavano le cooperatrici. Io vorrei ora a gloria delle signore torinesi raccontare ovunque come molte di esse, sebbene di famiglie cospicue e delicate, tuttavia non avessero a schifo di prendere quelle giubbe, quei calzoni, e colle loro mani aggiustarli; prendere quelle camicie già tutte lacere, e forse mai passate nell'acqua, prenderle esse stesse, dico, lavarle, rattopparle, e consegnarle poi nuovamente ai poveri ragazzi, i quali, attratti dal profumo della carità cristiana, perseverarono nell'Oratorio e nella pratica delle virtù. Varie di queste benemerite signore mandavano vesti, denari, commestibili e quant'altro potevano. Alcune sono presentemente qui ad ascoltarmi e molte altre furono già chiamate dal Signore a ricevere il premio delle loro fatiche ed opere di carità.

Ecco dunque come col concorso di molte persone, cooperatori e cooperatrici si poterono far cose, che da ciascuno separatamente giammai si sarebbero compiute... ».

E coi dati alla mano il Santo prese ad enumerare tutto il bene che si era fatto, prima nell'Oratorio, poi in Torino, poi nell'Italia ed all'Estero, fino all'America, colle Case aperte in Argentina.

In questi ultimi 5o anni il bene si è pressochè decuplicato ed il numero dei Cooperatori che, alla morte del Santo, era di circa 8o.ooo, ora tocca quasi il mezzo milione.

Organizzazione.

Quanto generosa la corrispondenza dei Cooperatori, altrettanto saggia fu l'organizzazione che il Santo diede alla Pia Unione.

Vissuto nel secolo delle associazioni, quando tanti uomini nefasti sfruttavano la tendenza generale a fini deplorevoli, quali la persecuzione della Chiesa e la campagna antireligiosa, Don Bosco comprese la necessità di unire ed organizzare le forze del bene per la salvezza delle anime e della stessa società. E, conciliando il senso di gratitudine che sentiva in cuore verso i suoi Cooperatori e le sue Cooperatrici, con le esigenze del tempo, pensò ad una grande associazione di buoni cristiani a servigio della Religione e della Chiesa. Prevenendo così anche l'organizzazione della Azione Cattolica, quale possiamo oggi felicemente salutare. Il primo tentativo di organizzazione risale al 185o. Ma la sistemazione definitiva è del 1876. Cinque buoni lustri di esperienza non parvero troppi al Santo per maturare il grandioso progetto che, cominciato col titolo di Unione provvisoria sotto la protezione di San Francesco di Sales, si assodò sotto quello di Unione cristiana nel 1874 e poi di Associazione di opere buone nel 1875, e, quasi subito, di Associazione salesiana; finchè il battesimo canonico con « Breve » di Pio IX, il 9 maggio 1876, gli fece la posizione ufficiale nella Chiesa conte Pia Unione dei Cooperatori Salesiani.

Il Direttore Generale dei Cooperatori è il Rettor Maggiore della Società Salesiana, che ne presiede e dirige l'azione:

a) per mezzo del Bollettino Salesiano, che è l'organo ufficiale della Pia Unione;

b) per mezzo dei Direttori diocesani nominati dai Vescovi, dei Decurioni, (che sono generalmente i Parroci), e delle Zelatrici;

c) per mezzo di un Ufficio Centrale costituito nella Casa Madre di Torino,

Dal Santo Padre Pio IX fino al glorioso Sommo Pontefice regnante Pio XI, tutti i Papi hanno dato i più autorevoli e paterni conforti di benedizioni e di spirituali favori alla Pia Unione.

Scopo della Pia Unione.

Lo scopo della Pia Unione, nella mente del Santo Fondatore, è coordinato a quello della Società Salesiana e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. E si può riassumere in poche righe:

1) Vivere, in famiglia e nella società, lo spirito della Società Salesiana, che è spirito di fede attiva: cioè di vita cristiana fervorosa e di apostolato.

2) Svolgere Azione Cattolica ed essere, come il Santo raccomandava, altrettante braccia nelle mani dei Vescovi e dei Parroci per il bene della Chiesa universale e particolarmente a pro della gioventù delle rispettive Diocesi e Parrocchie. 3) Aiutare materialmente o moralmente, colla preghiera, coll'appoggio morale o materiale, con offerte, le opere di San Giovanni Bosco.

Vantaggi spirituali.

Il Santo ha voluto che la Pia Unione fosse come a guisa di un Terz'Ordine rispetto alla Società Salesiana, perchè i Cooperatori partecipassero a tutto il bene che compie la Società Salesiana e l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e godessero preziosi benefici spirituali, quali le numerose Indulgenze ed Indulti che sono elencati nel « Regolamento ».

Condizioni per essere Cooperatori.

1. Età non minore di anni 16.

2. Godere buona riputazione religiosa e civile.

3. Essere in grado di promuovere, o per sè o per mezzo di altri, con preghiere, offerte, limosine o lavori, le Opere della Società Salesiana.

L'Unione non lega alcuno in coscienza, e perciò vi possono partecipare le famiglie secolari e religiose, e gli Istituti o Collegi, per mezzo dei rispettivi genitori o superiori.

Per l'acquisto delle Indulgenze speciali bisogna recitare ogni giorno un Pater, Ave, Gloria coll'invocazione Sancte Francisce Salesii ora pro nobis.

Chi desidera ascriversi tra i Cooperatori Salesiani - ricevere il Bollettino Salesiano avere schiarimenti circa le Opere di Don Bosco, inviare offerte ed elemosine in loro favore - si rivolga alla Direzione Generale delle Opere di Don Bosco - Via Cottolengo, 32 - Torino (109).

L'ASSOCIAZIONE EX ALLIEVI DI DON BOSCO

...trattasi di creazione spontanea, di un movimento di riconoscenza, di perenne ritorno al Maestro.

I Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori, costituiscono moto da Don Bosco verso le anime; gli ex allievi, moto di anime verso Don Bosco.

Questo fenomeno nuovo, originale nella storia della pedagogia, è la più luminosa prova della santa efficacia della educazione di Don Bosco: l'idea educatrice si è tramutata in palpito di amore non di uno, ma di una immensa collettività di allievi.

E questo pensiero educativo ha agito in estensione, (moltitudine di ex allievi) e in profondità, cosicchè anche quelli che non videro Don Bosco, lo amano come loro diretto maestro, sopprimendo quasi il legame del mediatore, del maestro, del sacerdote salesiano: ex allievi di Don Bosco quindi.

Programma.

Vivere la vita cristiana ed esserne apostoli; vivere l'idea salesiana ed esserne apostoli.

Più che un programma gli ex allievi hanno una fede e cioè la coscienza entusiasta che vivendo e diffondendo «Don Bosco » vivono e diffondono una forma di vita cristiana altissima, la più efficace, la più confortevole, la più adatta ai tempi, la più conveniente per ogni luogo.

Ogni programma d'azione presuppone la fede; è questa immensa divina forza che crea, precede i programmi da adeguarsi alle circostanze: se la fede mancasse, invano la si potrebbe sostituire con programmi grandiosi; invano con motivi decorativi si rafforza un edificio senza fondamenta.

Perciò varietà di iniziative, di realizzazioni tendenti e alla attuazione dell'idea salesiana e alla realizzazione della solidarietà fraterna nella carità di Don Bosco; molto operano o possono operare in quanto molto amano.

Ex allievi di Don Bosco non perchè abbiano seduto a mensa nei suoi Istituti, imparato l'algebra o la geografia, maneggiato il martello o la pialla; ma perchè da Lui, a mezzo dei suoi figli, hanno imparata la carità cristiana.

Organizzazione.

Il movimento delle anime si accompagna con l'organizzazione. Questa non nega ma presuppone un movimento spirituale di amore, di gratitudine confidente degli ex allievi, anzi di questo movimento di anime vuol essere la forza animatrice e coordinatrice. Il movimento degli ex allievi è la funzione, l'associazione ne è l'organo.

Non è l'organizzazione o la tessera che creino l'ex allievo: l'organizzazione cura che questo movimento di amore per Don Bosco si ingrandisca, si manifesti in segni visibili; si muove perchè la vita salesiana interiore si appalesi in attività salesiana esteriore, perchè l'affetto intimo del cuore si trasformi in apostolato verso gli altri, in partecipazione agli altri dello spirito salesiano.

Le unioni, le federazioni regionali, nazionali, non hanno il compito di creare ex allievi, ma di coordinare e trasformare in azione quel desiderio individuale di vita, di carità salesiana. che ogni ex allievo in sè nutre o dovrebbe nutrire.

Il non organizzato non cessa di essere ex allievo, ma il suo intimo pensiero salesiano tiene per sè, mentre l'organizzato lo divide con quelli che gli sono attorno; assume, o quanto meno dovrebbe assumere, la natura di ex allievo-apostolo.

L'ex allievo non organizzato è tale per merito esclusivo di chi ebbe la santa idea di indirizzarlo agli Istituti di Don Bosco senza che sia intervenuto alcun movimento della sua volontà; l'ex allievo che entra nell'organizzazione compie un atto di volontaria disposizione, cosicchè egli divien tale, non solo per l'azione o merito altrui, ma anche, e soprattutto, per azione propria: è un voglio, pieno di significati e di santi orgogli.

Tessera - Distintivo.

La tessera non forma l'ex allievo, ma costituisce affermazione aperta di apostolato fra gli ex allievi.

Il distintivo, non distingue gli ex allievì in buoni o meno buoni, ma vuole essere il segno visibile di un carattere, di una nota spirituale, che pubblicamente si vuol affermare nel mondo e non contenere segreta.

E nel distintivo non simbolismo, sigle più o meno chiare: l'effigie del Santo. Non geroglifici attorno all'immagine paterna, ma il motto: Praeit ac tuetur.

È il maestro che precede, è il padre che sorregge: verso le divine sognate mete, nel cammino verso Cristo, nell'esercizio della più dolce carità verso i fratelli: Don Bosco, come nell'Istituto così nella vita, continua a essere per gli ex allievi il saldo sicuro timoniere.

Convegno - Stampa.

Almeno una volta l'anno i fratelli si ritrovano nella casa del Padre. E il giorno delle dolci e sante memorie, dei propositi santi, della fraternità... All'Istituto si ritorna per ritrovare i compagni e soprattutto ritrovare Don Bosco.

E giorno di pacifica allegrezza, di rendiconto delle attività singole e collettive; si ritorna piccoli perchè Don Bosco, Egli stesso e per Lui i superiori, possa ripagare le confidenze con il consiglio, il conforto, l'incitamento.

E il giorno salesiano dell'ex allievo, e costituisce il più efficace mezzo per la continuità dei rapporti, per la realizzazione di quell'azione di consiglio, di cui parla Don Bosco nel capitolo primo, n. 4, dei suoi pensieri sul sistema preventivo. Ed ogni federazione nazionale si tiene legata con le unioni, con i singoli associati per mezzo della stampa: una bella fioritura di riviste, nella varietà delle lingue, nella molteplicità dei rendiconti e delle iniziative, formano i canti di un armonico poema di riconoscente affetto, che ha per ispirazione e per oggetto: Don Bosco e l'opera sua.

Storia.

Nel giugno 1849: Carlo Gastini e Felice Reviglio, dopo la buona notte, salgono alla stanzetta del Santo. E la vigilia di S. Giovanni.

Di sotto la giubba essi traggono il segno del loro amore, del loro augurio, della loro riconoscenza: un cuore d'argento.

Nel giugno 1870 è ancora Gastini che nei, pressi di Piazza Statuto di Torino lancia l'idea che gli antichi allievi l'indomani si radunino numerosi alla festa onomastica di Don Bosco.

Nel 189o la commissione annuale per la festa di Don Bosco, si trasforma in movimento, in associazione ideale degli ex allievi di tutto il mondo.

Nel luglio 1909 nasce la « Federazione internazionale fra le società, unioni e circoli degli ex allievi di Don Bosco ».

Nel maggio 1920, la federazione assume una struttura organica, diviene forza organizzata.

La situazione odierna? identica a quella di ieri: il numero si è ingigantito, le attività si sono moltiplicate, ma la fisionomia è rimasta. quella, sempre quella.

Ancor oggi gli ex allievi vanno (non ritornano, perchè mai vi fu distacco di cuori), vanno a Don Bosco per offrirgli il loro cuore non d'argento, ma di carne: affetti che hanno bisogno di essere purificati, pensieri che hanno, bisogno di essere illuminati, azioni che devono. essere santificate... Vanno, camminano avanti spinti da un'idea, idea che è anima. L'anima-idea del loro singolare movimento, della loro organizzazione, pur nella diversità delle concrete espressioni, è soltanto Don Bosco...

IERI ED OGGI

La borgata Becchi e la casa natia di S. Giovanni Bosco.