ANNO VI. N. 7. Esce una volta al mese LUGLIO 1882.
Direzione nell'Oratorio Salesiano. - Via Cottolengo. N. 32, TORINO
SOMMARIO - Risposta ad una cortese osservazione sull'obbligo e misura della limosina - Grazie di Maria Ausiliatrice nel mese di giugno -- Esercizi Spirituali per le Signore in Nizza Monferrato - Domande per nuove Missioni nella terra Argentina - Notizie della Patagonia - Annunzio di un viaggio al Brasile - Notizie sull'Oratorio di Maria Immacolata e Conferenza dei Cooperatori in Firenze - La Festa di S. Luigi ed un Giubileo episcopale - La Festa onomastica di D. Bosco - Una grave perdita ossia la morte di Vincenzo Provera - D. Gaudenzio - Una grazia del Sacro Cuore di Gesù - indulgenze speciali pei Cooperatori Salesiani.
Un rispettabile nostro Cooperatore, settimane or sono, ci fece una cortese osservazione sopra alcune espressioni , pubblicate nel Bollettino a proposito dell'obbligo di dare in limosina il superfluo. Mentre lo ringraziamo dall' imo del cuore, crediamo pregio dell' opera cogliere questa propizia occasione per dare qui una risposta , che serva per le cose già esposte in passato, e per quelle, che forse ci avverrà di pubblicare in avvenire sullo stesso argomento.
Anzitutto è fuori di ogni dubbio che colui, il quale possiede beni di fortuna ed è padrone di disporne, è obbligato, sotto pena di colpa grave, a fare limosina a chi ne abbisogna; vi è obbligato per legge naturale e per legge positiva divina. La legge naturale obbliga ognuno di fare al suo simile quello, che vorrebbe fatto a sé stesso, e per conseguenza a soccorrerlo nelle sue necessità. Quindi a fare limosina sono tenuti gli stessi pagani. Chiaramente poi ci parla il divin Legislatore « Non defraudare la limosina al povero, » Egli dice per bocca dell'Ecclesiastico : Eleemosynam pauperi ne defraudes (Eccli. iv). E nostro Signor Gesù Cristo dichiara nel Vangelo che i reprobi saranno condannati al fuoco eterno per non aver fatta limosina a chi ne aveva bisogno: « Andate, o maledetti, nel fuoco eterno , dirà il divin Giudice ; imperocchè io ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, era pellegrino e non mi albergaste, ignudo e non mi rivestiste , ammalato e carcerato e non mi visitaste (Matt. xxv). »
Riguardo alla misura, onde va fatta la limosina, lo stesso divin Maestro disse : « Quello che vi sopravanza date in limosina : Quod superest date eleemosynam » (Luc. xi). Affinchè poi si conoscesse che questo non era semplice consiglio, ma rigoroso precetto, Egli diceva alle turbe per bocca del suo Precursore : « Ogni albero, che non porta frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco. E le turbe lo interrogavano dicendo: Che abbiamo noi dunque a fare? Ed ei rispondeva loro : Chi ha due vesti, ne dia a chi non ne ha; e il simile faccia chi ha dei commestibili: Qui habet duas tunicas, det non habenti, et qui habet escas similiter » (Luc. iii). Una delle due tuniche è di sopravanzo , e secondo le prime. parole di questa testimonianza si deve dare in limosina, a fine di evitare di esser gettato nel fuoco siccome albero infruttifero.
Appoggiati a tali ragioni e a tali divine sen tenze tutti i Dottori della Chiesa, i teologi e i l moralisti insegnano che la limosina è un dovere indispensabile ; insegnano che pei ricchi e per chi vive comodamente vi è obbligo grave di soccorrere ai bisognosi a seconda dei proprii mezzi, e che quanto è più grande la necessità dei prossimi, altrettanto si deve allargare verso di loro la mano.
Ciò posto, si ha da sapere quando il precetto della limosina stringa sotto pena di colpa mortale, e in quale misura la si debba fare.
Prima di rispondere a questi quesiti sono da premettersi alcune nozioni.
In primo luogo, la necessità in cui può trovarsi il prossimo può essere spirituale o temporale ; ed ancora sì l'una sì l'altra può essere o estrema, o grave, o comune.
La necessità spirituale estrema è quando il prossimo è in imminente o in grave pericolo di dannarsi; la grave è quando per circostanze di persone, di tempo e di luogo la eterna salute del prossimo si rende molto difficile; la comune è quella, in cui il prossimo può provvedere all'anima sua senza grave difficoltà. - In quanto al corpo la necessità sarebbe estrema quando il prossimo è in pericolo della vita ; la grave o stringente è quando il pericolo di vita non è imminente, ma vi sono buone ragioni da temerlo, oppure sono in procinto di cadere o già cadute forti disgrazie, che rendono la vita molto miserabile. La necessità comune è quella di coloro, che, non potendo procacciarsi nè col lavoro nè con altri mezzi il necessario alla vita, campano mendicando di porta in porta, o sono provveduti dalla carità pubblica.
Finalmente, in riguardo a chi fa limosina, i beni che ei possiede possono essergli o necessarii o superflui in quanto alla vita e in quanto allo stato. Il necessario alla vita comprende il vitto, il vestito e l'abitazione per sè e per quelli, dei quali gli incombe la cura. Il necessario allo stato o condizione abbraccia ciò, che occorre per sostenere convenevolmente sè ed i suoi, secondo il grado, il posto, l'ufficio e simili, senza fasto per altro e senza lusso. Di qui nasce il superfluo alla vita e il superfluo allo stato ; il superfluo alla vita è quello, senza del quale si può vivere, quantunque non convenevolmente al proprio grado; il superfluo allo stato è quello, senza di cui non solo si può vivere, ma si può vivere ancora secondo la propria posizione sociale. Per la qual cosa ciò che è superfluo alla vita può tuttavia essere necessario allo stato ; ma ciò, che è anche superfluo a questo, è superfluo assolutamente.
Affinché poi, sotto il pretesto del necessario allo stato, niuno si credesse di non mai avere del superfluo da fare limosina, il Papa Innocenzo XI , l'anno 1679, condannò la seguente proposizione: « Nei secolari, anche nei re, troverai appena del superfluo allo stato; e così, appena qualcuno è tenuto a fare limosina, quando è tenuto a farla soltanto del superfluo allo stato (1). » Dalla condanna di questa proposizione ne segue che del superfluo non solo alla vita ma anche allo stato se ne trova facilmente, e che perciò molti sono tenuti a fare limosina.
(1) Vix in saecularibus invenies, etiam in regibus , superfluum statui; et ita vix aliquis tenetur ad eleemosynam, quando tenetur tantum ex superfluo statui.
Posti questi preliminari, veniamo alla sostanza della questione.
I Dottori; i teologi e moralisti di tutti i tempi e di tutti i luoghi insegnano con voce unanime che nella necessità estrema o molto grave spirituale noi, potendo, siamo tenuti, sotto pena di colpa mortale, a soccorrere il nostro prossimo non solo coi beni superflui alla vita e allo stato, ma coi beni stessi necessarii ad entrambi ; anzi in tali casi urgenti, se vi è morale certezza di buona riuscita, siamo tenuti a prestargli soccorso eziandio con pericolo e con danno della propria vita temporale. Proveremo questa e le altre proposizioni con alcuni autori antichi e moderni, che abbiamo tra mano, i quali corrono tra i migliori, ed hanno una irrefragabile autorità in tutte le scuole.
L'angelico dottore S. Tommaso insegna : « In quanto alla salute dell'anima noi dobbiamo amare il prossimo più che il proprio corpo (1). »
Il dottissimo teologo Layman scrive : « Al prossimo che si trova in estrema e moralmente insuperabile necessità spirituale si deve porgere soccorso anche con certo pericolo della propria vita; purchè risplenda pure certa speranza di giovargli. » E porta tra gli altri questo esempio: « Se un ministro di eretica pravità diffonda in qualche luogo l'eresia, io dovrò con pericolo della propria vita portarvi rimedio, se posso (2). »
Il Viva, chiamato da Benedetto XIV uomo di esimia sapienza, ci ammaestra: « Se il prossimo è in estrema necessità spirituale, la carità obbliga a soccorrerlo eziandio con pericolo della vita ; purchè vi abbia speranza che l'aiuto sia per giovargli, e non si corra pericolo per l' anima propria.... Ad una comunità si deve portare soccorso con pericolo della vita, ancorchè la necessità spirituale sia solamente grave; perché il bene spirituale di una comunità prevale al bene privato (3). »
Lo Sporer, chiaro per sana dottrina e pratica, dice: « Ogni uomo per diritto naturale e divino positivo, sotto pena di peccato mortale, è obbligato dalla carità e dalla misericordia a fare del bene corporalmente e spiritualmente al prossimo, quando lo esige una vera necessità e vi è morale possibilità di farlo (1). »
Il preclarissimo Billuart così si esprime : «Nella estrema necessità chiunque è tenuto di esporre la propria vita per la eterna salute del prossimo, se siavi speranza che gli possa giovare.... Nella necessità grave chiunque è pur tenuto a soccorrerlo con qualche danno nei beni di fortuna, imperciocchè un danno siffatto il privato deve soffrirla per la salute del prossimo. Similmente se pericolasse la salute di un popolo , come se un eretico lo pervertisse con falsa dottrina, il privato potendo sarebbe obbligato ad impedirlo con pericolo della vita; imperocchè, se qualunque privato è tenuto con pericolo della vita a soccorrere al bene comune temporale, per più forte ragione deve soccorrere al bene spirituale. Arrogi che in tal caso molti particolari si trovano in necessità estrema » (2).
A questi teologi più antichi ne aggiungeremo alcuni dei più moderni e più accreditati. Fra questi annoveriamo sant' Alfonso; quel sant'Alfonso, di cui nella Bolla di Canonizzazione il Papa Gregorio XVI disse : « Quantunque abbia scritto copiosissimamente, tuttavia dopo un accurato esame riuscì evidente che tutte le opere sue si possono leggere dai fedeli senza il menomo pericolo (3); » quel sant'Alfonso, della cui Teologia Morale la Sacra Congregazione dei Riti con decreto confermato da Pio VII proclamò che « le opinioni, le quali il beato Alfonso professa nella sua Teologia Morale, si possono professare con sicurezza » (4); quel sant'Alfonso infine che fu dichiarato Dottore della Chiesa dall'immortale Pontefice Pio IX di sempre veneranda memoria. Ecco adunque che cosa ne dice in proposito questo sicuro e sommo maestro delle anime: « Ciascuno, anche con pericolo della vita, è obbligato a soccorrere il prossimo costituito in estrema necessità spirituale (5).
Il celebre Cardinale Gousset , Arcivescovo di Reims, d'ingegno massimo, di dottrina purissimo, di opere pieno, uno insomma dei più rinomati moralisti moderni, scrive così : « Dobbiamo preferire la salute spirituale del prossimo alla nostra propria vita corporale... Pel caso di una necessità estrema siamo obbligati di far getto dei beni di un ordine inferiore , per adempiere il dovere della carità riguardo ai nostri fratelli (1). » E bastino questi per amor di brevità.
Ora dalle suesposte sentenze possiamo meritamente concludere : Se, giusta i principii della più sana dottrina morale, nelle urgenti necessità del prossimo, vi è obbligo grave di fare limosina persino della propria vita, chi potrà negare il grave obbligo di farla, in simili casi, almeno coi proprii beni materiali, specialmente coi superflui allo stato ?
(1) Proximum quantum ad salutem animae magis debemus diligere quam proprium corpus. - 2a 21 , Quaest. XXV, art. V.
(2) Proximo versanti in extrema et moraliter insuperabili necessitate spirituali succurrendum est cum certo pericolo propriae vitae ; dummodo spes acque certa _ proxi num iuvandi fulgeat Si haereticae pracitatis minister haeresim alicubi diffundat, debebo cuinpropriae vitae periculo remedium adhibere , si possu n. Lib. Il. tract. 3, cap. 3, n. 3.
(3) Si proximus sit in extrema necessitate spirituali, charitas obligat ad succurrendum illi, etiam Cum periculo vitae ; si tamen sit spes, quod auxilium sit profuturum, »ec detur periculum animae propriae Comntiunitati etiam in gravi necessitate laboranti succurrendum est cum periculo vitae ; quia bonum spirituale communitatis praevalet bono privato. Tract. de praeceptis Decalogi, quaest. XI, art. VI.
(1) Omnis homo iure naturali et divino positivo sub mortali obliqatur ex charitate et misericordia proximo benefacere corporaliter et spiritualiter quando vera necessitar proximiita exigit, et moralis possibilitas adest. Tract. III, cap. VI, Sect. 1, n. 22.
(2) In extrema necessitate quilibet tenetur exponere propriam vitam pro salute aeterna proximi, si sit spes quod iuvari possit... In gravi necessitate... si periclitaretur salus totius populi, ut si haereticus falsa dottrina perverteret toto n communitatem, teneretur i privatus cum periculo vitae impedire, si posset; si enim quilibet tenetur cum periculo vitae suecurrere bono communi temporali, a fortiori b )no spirituali. Adde quod in tali casu pluresparticslares sint in extrema necessitate. Tract. de charitate, dissert. IV, art. III.
(3) Illud in primis notato dignum est, quod licet copiosissime scripserit eiusdem tamen Opera inoffenso prorsus pede percurri a fidelibus posse, post diligens institutum examen, perspeetum est.
(4) Opiniones, quas, in sua Theologia Morali, profitetur 13. Alphonsus, segui tuto possìmcs ac profiteri.
(5) Tenetur quisque proximo in extrema necessitate spirituali constituto succurrere etiam cum certo vitae suae periculo, dummodo sii aeque certa spes illuin iuvandi, nequegravius indem,alunt im.mineat.Lib. II.n. 27.
(1) Tratt. del Decalogo, par. I, cap. 3, art. 2, n. 359.
Scendendo alle necessità temporali asseriamo parimenti: Per unanime consenso dei più insigni maestri, vi è pure obbligo grave di soccorrere, .coi beni superflui alla vita e allo stato, il prossimo che si trova in estrema ed anche solamente stringente necessità corporale; anzi vi è obbligo grave di sovvenirlo coi beni stessi in qualche modo necessarii allo stato. Ed ecco la testimonianza dei già citati autori, che in questa materia riassumono il sugo di tutti i migliori moralisti.
San Tommaso scrive: « Il fare limosina del superfluo cade sotto precetto (2). »
Il Viva : « Il ricco è obbligato, sotto pena di peccato mortale, di soccorrere alla grave necessità del prossimo coi beni superflui allo stato (3). »
« Delle cose superflue alla vita e allo stato, così il Layman , è da farsi limosina non solamente a quelli, che soffrono necessità estrema , ma anche grave (4). »
Il Billuart: « Nella grave necessità del prossimo siamo tenuti, sotto pena di colpa mortale , a sovvenirlo delle cose in qualche modo necessarie allo stato (5). »
Lo Sporer: « Al prossimo travagliato da estrema necessità sei tenuto sotto pena di peccato mortale a portare soccorso non solo coi beni superflui allo stato, ma eziandio con alcuni dei necessarii.... Chi ha dei beni superflui alla vita e allo stato è tenuto, sotto grave colpa, a fare limosina al prossimo, che soffre una necessità grave (6). »
Lo stesso insegna il dottore sant'Alfonso. Quanto alla necessità estrema professa : « Al prossimo nella estrema necessità sei tenuto per regola ordinaria a soccorrere coi beni eziandio in qualche modo necessaria allo stato. » Per la necessità grave dice : « E probabile che al prossimo costituito in grave necessità ciascuno sia obbligato a sovvenire con modico detrimento del proprio stato. » Tanto più : « E probabile che sia tenuto a soccorrerlo, sotto colpa mortale, coi beni assolutamente superflui , cioè superflui alla vita e allo stato (1). »
Finalmente il Gousset: « Quando taluno si trova in una necessità estrema , siamo obbligati sotto pena di colpa mortale, in mancanza d'altri , di aiutarlo non solo coi beni superflui al nostro grado, ma anche coi beni superflui alla vita. » Altrove aggiunge: « Coloro, che hanno beni superflui al loro stato, sono tenuti, pel precetto della carità , di soccorrere gli indigenti, che sono in una necessità grave, e per poterlo fare debbono astenersi da ogni spesa vana e frivola, o che non fosse comandata dalle convenienze di loro condizione... Il precetto della limosina obbliga principalmente nelle calamità pubbliche... Può accadere che allora siasi obbligato d'impiegare a sollievo dei tapini , non solo i beni superflui al proprio stato, ma anche una parte dei beni necessarii per conservarlo in tutto (2). »
Questo è l'insegnamento dei sommi teologi in. quanto alla necessità estrema e grave corporale del prossimo.
(2) Dare eleemosynam de superfluo cadit in praecepto, et sic dare eleemosynam ci qui est in extrema necessitate. In 4, ci. 15, q. 2, a. 1.
(3) In extrema vel quasi extrema proximi necessitate obligamur ad eleemosynam, etiam ex superfluis ad naturae conservationem, et necessariis statui .... Tenetur dices sub mortali de super/luis statui succurrere gravi necessitati proximi. Loc. cit. n. VIII.
(4) Ex superfluis naturae ae personae dai da est eleemosyna non tantum extrema n, sed etiain gravem necessitatem patientibus. Loc. cit. n. 5.
(5) I s gravi necessitate proximi teneinur sub mortali illi subvenire de aliquo modo necessariis statuì Quilibet tenetur a fortiori sub peccato mortali in gravi necessitate proximi, illi faeere eleemosynam ex superfluo status, quod non puto a quoquam posse negari. Loc. cit. Diss. V, art. Il.
(6) Proximo extrema necessitate laboranti sub mortali tereris suecurrere, noi tantum de superfluis, sed etiam de aliquibus necessariis statui... Habens superflua naturae et status tenetur sub mortali facere eleemosynam, proximo gravem necessitatene patienti. Loc. cita t. Sect. II, n. 50, 55.
(1) Proximo in extrema necessitate teneris succurrere ordinarie ex bonis etiam aliquo bono ad status, necessariis - Probabile est quod proximno in gravi necessitate constituto quisque teneatur sobvenire cum modico detrimento proprii status ; quia pareo suo incommodo tenetur magnum incomunodum proximi impedire - Probabile est ex superfluis naturae et status teneri aliquem, etiave in gravi necessitate succurrere proximo, si probabiliter patet alivm nona subventurumn ; idque, ut Azorius, Silvius et Fumus volant , sub sportali. Loc. cit. 7. 31.
(2) Luog. cit. art. IV, n. 370, e 37IL
Per loro sentenza si è pure tenuti, sotto grave colpa , elargire almeno una parte dei beni superflui alla vita e allo stato a quelli, i quali si trovano anche solo in una necessità comune ed ordinaria; anzi sono reputati in cattivo stato di coscienza e indegni pur anche di assoluzione non solo quei crìstiani, i quali negano il superfluo ai bisognosi posti in estrema e grave necessità, ma quelli ancora , che non elargiscono mai o quasi mai nulla del sopravanzo ai poveri, ancorché ordinarii, eccetto che intendano sul serio di disporne a tempo più opportuno, o lo impieghino in altri usi pii.
Ascoltiamo in proposito San Tommaso : « Le cose, che si hanno in soprabbondanza, per diritto naturale si devono al sostentamento dei poveri. » Altrove il medesimo dice: « Ciò, che si reputa necessario a quanto è oltre alla convenienza dello stato, si deve dispensare in limosina , e questo cade sotto precetto. » Ed ancora: « Taluno è obbligato per debito legale a distribuire le cose sue ai poveri o per pericolo della necessità o per la superfluità dei beni avuti (1). »
Sporer insegna: « E probabilissimo, che coloro, i quali hanno beni superflui alla vita e allo stato, siano obbligati, anche sotto pena di peccato mortale, a fare qualche volta la limosina ai poveri, quantunque si trovino nella sola necessità comune (2). »
Per non andare troppo per le lunghe ci dispensiamo dall'addurre in mezzo le testimonianze di altri teologi più antichi , paghi dell' autorità dei due, che oggidì possono bastare per tutti. Sant' Alfonso scrive: « Nelle comuni necessità dei poveri vi è obbligo grave di fare limosina almeno qualche volta col superfluo allo stato. » La ragione si è che nel Vangelo di s. Luca si dice : Quod superest date eleemosynam: e poi perchè , se i ricchi non avessero un' assoluta obbligazione di sovvenire ai poveri ordinarii, questi potrebbero essere da tutti abbandonati nello proprie necessità, e dovrebbero cadere nelle necessità gravi ed anche perire (3). »
Finalmente l'Eminentissimo Gousset così si esprime al caso nostro: « Il ricco deve prendere sopra i beni superflui al proprio grado per fare limosina ai poveri, che non hanno di che vivere, e che non possono procacciarsi il necessario col lavoro. Quest'obbligo è grave : non si può mancarvi senza rendersi reo di peccato mortale Quantunque generalmente non si possa con precisione determinare tutta l' estensione degli obblighi dei ricchi riguardo ai poveri, riteniamo come indegni dell'assoluzione coloro, che, avendo più del bisogno per conservare il loro grado, non danno niente ai poveri, respingono inumanamente tutti i mendici, e non fanno limosina a quelli , che non possono vivere che col concorso della carità (4). »
(1) Res quas aliqui superabundanter habent ex naturali iure debentur pauperum sustentationi. Quodlib. q. 66, a. 7. - Illud quod necessarium reputatur ad ali quid, quod est ultra decentiam status, debet in eleemosynam dispensari, et hoc cadit sub praecepto. In 4, d. 15, q. 2, a. 4, quaestiunc. 1. -Aliquis tenetur ex debito legali sua pauperibue erogare, vel propter periculum necessitatis, vel ropter superfluitatem habitorum. In 2a 21e q. 118, a. 4.
(2) Probabilissum est, habertes bona simpliciter superflua naturae et statui, etiam sub mortali teneri quandoque facere eleemosynam pauperibus, communem, tantum necessitatene patientibus. Loc. cit. n. 60.
(3) In eommunibus pauperum necessitatibus est obligatio gravis dandi eleemosynam ex superfluis statisi... Prob. 1° ex Luc: Quod superest date eleemosynam. Prob. 2° ex catione, turo quia divisio rerum communi gentium consessu fatta nequit esse in praeiudicium pauperum; tum quia si divites absolutam. non haberent obligationem subveniendi consmuniter mendicis, possent isti ab omnibus in sua necessitate derelinqui. Loc. cit. n. 32.
(4) Luog. cit. n. 372 e 373.
Taluno potrebbe fare un'interrogazione dicendo: E non si può dunque conservare il superfluo in vista delle future eventualità? Il principe dei teologi, S. Tommaso, risponde che non si devono avere in mira tutti i casi, che potrebbero accadere in avvenire, ma quelli soltanto, che sono probabili ed occorrono generalmente. Il fare altrimenti sarebbe andar contro alla proibizione di Gesù Cristo che disse : Non vogliate mettervi in pena pel di di domani; sarebbe un mettersi a bello studio nella impossibilità di non mai fare limosina contrariamente al divino precetto (1).
Neppure vale il dire che nella propria parrocchia, nel paese, nella città non vi sono bisognosi, e che quindi non occorre privarsi del superfluo non sapendo a chi darlo; imperocchè si risponde che se non vi sono bisogni presso di noi, nessuno può oggimai ignorare quanti ed anche quanto gravi e spirituali e temporali ve ne siano in altre parti del mondo. Or non sono nostri fratelli in Gesù Cristo tanti poveri Cattolici di altri luoghi ed inciviliti e barbari? Anzi non sono nostro prossimo gli uomini di tutta la terra? Quindi dato pure che accanto a noi non sianvi miserie nè spirituali né temporali, a cui sovvenire, di queste ve ne sono e comuni e gravi ed estreme in altri siti, alle quali e come uomini e come cristiani dobbiamo pure estendere i nostri pensieri, le nostre sollecitudini.
Ma non siamo tenuti, osservano alcuni, a sovvenire a tutte le miserie del mondo. - E vero, si risponde, e se volessimo ben farlo e fossimo ben anco milionarii , il sovvenire a tutti ci sarebbe impossibile; ma ciò nonostante ciascuno è obbligato a concorrere in sollievo dei miserabili a norma delle sue forze , di guisa che, se tutti facessero egualmente che lui, si venisse a provvedere a sufficienza a tutte le necessità, secondo l'ordine stabilito dalla divina Provvidenza. Perciò posto anche il caso quasi impossibile e come ipotetico che non vi fossero bisogni nè spirituali né corporali, nè estremi nè gravi a cui sovvenire, tuttavia esisterebbe l' obbligo della limosina nelle necessità comuni, o vicine o lontane. Tale è la dottrina dei grandi maestri.
Neppure si dica come taluno : Io non fo limosina , perchè il confessore non mi obbliga. Rispondiamo che il confessore talora non obbliga, perchè il penitente o la penitente gli fa passare a rassegna cento bisogni più o meno immaginarii, ed egli avrebbe molto a temere di non essere ascoltato; ma se non obbliga il confessore, perché non può farsi una giusta idea dello stato di nostra famiglia , ben ci obbliga Iddio , al quale non si possono tessere inganni, nè addurre pretesti.
(1) Non oportet quod consideret omnes casus qui possunt conting re in futurum ; hoc enim esset de crastino cogitare, quod Dominus prohibet. Matt. 6 ; sed debet diudicari superfluum et necessarium secundum ea quae probabiliter et ut in pluribus occurrunt. Loc. cit. art. 5.
Vi è ancora a conoscere in quale misura siasi tenuto di dare in limosina quello, che è assolutamente superfluo. Sotto la scorta dei più accreditati rispondiamo che non vi è obbligo grave di darlo tutto in limosina, quando le necessità del prossimo sono soltanto comuni, cioè nè gravi nè estreme. Nel caso che la necessità corporale sia soltanto ordinaria si ritiene essere permesso il distribuirne una parte soltanto, purchè questa, avuto riguardo alle proprie sostanze superflue, non sia così da poco, che, se gli altri di pari condizione ne dessero soltanto in egual misura , ne venisse tuttavia a mancare ai poveri il necessario sussidio. Basti per tutti il dottissimo Silvio, il quale dice: « Non è tenuto il ricco di soccorrere tutti i poveri, che gli si offrono , né di dar loro tutto il superfluo , ma è pur tenuto a non darne sì poco secondo la quantità di sua sostanza, che, se gli altri ricchi facessero egualmente, ai poveri ne venisse a mancare aiuto (1). » .
Del resto, escluse le necessità dell'anima e del corpo estreme e gravi, nelle quali, come abbiamo di sopra dimostrato, si è in obbligo di dare non solo tutto il superfluo, ma ancora ciò che è necessario, nelle prime, alla vita, e nelle seconde, allo stato; esclusi questi casi, che oggidì sono per altro frequentissimi, il dottore sant'Alfonso professa che, nelle necessità comuni corporali, dai laici si adempia a sufficienza il precetto della limosina , quando si distribuisca la cinquantesima parte di ciò, che è assolutamente superfluo (2). Ma dico nelle necessità comuni corporali ; imperocchè non bisogna mai dimenticare che oltre queste vi sono sempre qua e colà le necessità gravi ed estreme ; vi sono soprattutto migliaia di anime in pericolo di perdersi.
E questo basti per la dottrina; veniamo ora alla sua pratica applicazione.
(1) Tenetur dives dare nec omnibus pauperibus occu7rentibus nec totem superfluum, sed non ita modieum pro quantitate suae substan tiae , ut si alii divites sic facerent, pauperibus deesset subsidium.
(2) Ceterum Viva, Tamburinus, Mazzotta, Roncaglia censent satisfacere probabiliter divites erogando in pauperes eomrnunes qui nquagesimam partem suorum reddituum, site duos aureos ex centum... Ecclesiastici vero tenentur erogare de redditibus beneficiorum quid quid superest eorum sustentationi. Loc. cit. n. 32.
Or lasciando pei momento in disparte i bisogni corporali del nostro prossimo, chi può ormai negare le necessità gravi ed anche estreme, in cui versano tante anime nei nefasti giorni, che corrono in questa misera Italia ? Chi non conosce come in causa delle vigenti leggi la tracotante eresia, e l' empietà più sfacciata , piantano per ogni dove cattedre di pestilenza a corrompere nella fede le nostre cattoliche popolazioni ? Chi non sa quanti giovanetti, perchè poveri ed abbandonati, vivono oggidì nella ignoranza delle cose più esenziali alla eterna salute, scorrazzano nei giorni festivi per le vie e per le piazze senza porre neppure il piede in Chiesa, e diventano facile preda ai lupi crudeli, che li straziano nel corpo e nell'anima? Per ragioni di prudenza non parliamo qui di certe scuole e di certi istituti, in cui o non si parla mai di Religione, o la si deride, o la si bestemmia, o vi si nega persino la esistenza di Dio e la immortalità dell'anima; e toccando delle sole officine, ohimè ! quanti poveri giovanetti non si trovano mai in certe fabbriche , in certi laboratorii, in certe botteghe, dove altro non odono che orribili bestemmie ed infami discorsi, dove da mane a sera ad altro non assistono che a buffonate, a motteggi , a derisioni contro la cattolica Religione , le sue pratiche, i suoi ministri ! Ivi i miseri fanciulli quasi insensibilmente crescono nemici di Dio e della Chiesa, crescono nelle immoralità, crescono non già per la famiglia ma per la prigione, crescono non per la civile società ma per le sètte sovvertitrici della medesima, crescono non pel Cielo ma per l'inferno. In molte città d'Italia ragazzi da 12 a 15 anni sono già ascritti a società massoniche col titolo di figli dell'avvenire, sono spesso raccolti a segrete riunioni, e istruiti al disordine e scatenati poscia nelle vie e nelle piazze a gridare morte a chi merita vita , e vita a chi merita morte. E tali giovani, bene spesso per colpa altrui, non sono essi in estrema o ben grave necessità spirituale ? Se fin dai teneri anni assorbono il veleno di principii empii e nefandi, se s'imbevono la mente ed il cuore di esiziali errori, e se s'inspirano al disprezzo e all'odio contro la Chiesa, il Papa, i Sacerdoti, i Sacramenti, sarà ancor egli moralmente possibile il chiamarli a retti consigli in età più-avanzata, e salvarli nel tempo e nella eternità? Imbecille chi s'illude, e intanto non si scuote alla vista di tanto pericolo dei suoi piccoli fratelli.
Or quali mezzi si richiedono per sovvenire a tali bisogni, ad allontanare o scemare almeno cotali disastri? Fra gli altri e siccome il più efficace si richiede il fondare Ospizi, dove i fanciulli, almeno i più abbandonati e pericolanti , possano trovare col ricovero il pane del corpo e quello dell'anima; si richiede l'aprire e sostenere Case di beneficenza, laboratorii, colonie agricole, dove i giovani operai possano imparare un'arte od un mestiere senza porre a cimento la loro fede e i loro costumi, senza doversi sentire a rintronare le orecchie da empi ed immorali discorsi, senza essere costretti a lavorare di festa, senza dover insomma ricevere in sì tenera età dai padroni, dai capi, dai compagni lezioni scellerate di nefandi delitti; si richiede l'impiantare scuole Cattoliche, Collegi, Oratorii festivi , giardini di ricreazione e simili, dove la gioventù sia bellamente attirata, e insieme colla istruzione profana, richiesta dalla esigenza dei tempi, apprenda pure quella sapienza celeste, senza di cui non vi è salute. - Ma tali Opere non sono possibili senza il concorso della carità; quindi che ne segue ? Ne segue che quelli, i quali possedono beni di fortuna, sieno gravemente obbligati a consecrarne almeno una parte per promuovere, per sostenere, per ingrandire queste opere salutari, queste case di rifugio, che, come l'arca noetica, salvino tante anime incaute, minacciate da un orrendo diluvio di errori e di perverse massime, e ci conservino e formino uomini savi, i quali ci diano col tempo una nuova generazione e facciano rifiorire nelle famiglie e nella civile società quelle virtù, senza delle quali il mondo ritornerà quale selva di bestie frementi, che si mordono a vicenda e si divorano , come già al tempo del paganesimo.
Adunque, se, giusta la sentenza dei più sapienti maestri di morale cattolica, nelle pressanti necessità spirituali del prossimo siamo, sotto pena di peccato mortale , obbligati per legge naturale e divina ad erogare per lo meno, non solo il superfluo ma ancora il necessario allo stato; se oggidì per causa della sfrenata licenza, per la baldanza dei malvagi, per gli sforzi degli eretici, per la colpevole trascuratezza dei genitori , per la oscena ed empia colluvie di libri, di giornali, e di pubblicazioni di ogni fatta , tantissima incauta gioventù trovasi esposta ad evidente pericolo di dannazione , qualora la carità dei fedeli non ve la strappi per tempo e la metta al sicuro, noi parlando o scrivendo della limosina non crediamo punto di aver spinto le cose oltre al dovere. Infatti non abbiamo neppure detto di elargire il necessario al proprio grado , ma solamente insistito nel dare il superfluo.
Testimoni; oculari della perdita irreparabile di tanta povera gioventù, sventurata di vivere in così iniqui tempi; convinti che per migliaia e migliaia di giovanetti non vi è quasi più altro scampo di salute, fuorchè l'essere raccolti sotto le ali della Religione, ed istruiti, educati, addestrati abilmente alle lotte della vita, alle battaglie della fede; persuasi che ciò non si può fare senza la beneficenza dei possidenti; consapevoli che la maggior parte di questi, sebbene Cattolici, non sono punto istruiti sul dovere di fare limosina, e che quindi o non la fanno punto, o non la fanno nella dovuta misura; ammaestrati dalla dolorosa esperienza che per mancanza della loro carità non solo bisogna rinunziare al pensiero di fondare Case , Ospizi, scuole e laboratorii, e via dicendo, ma è d' uopo restringere , e chiudere i già fondati , e lasciare od anche ricacciare nelle ingorde fauci dei lupi rapaci tanti amabili agnelli di Gesù Cristo, tanti fanciulli di bellissime speranze (1), oh no, noi non cesseremo mai dal gridare a tutti e dappertutto: Quod superest, date eleemosynam ; se no, Iddio vi domanderà conto di tante anime, che si saranno perdute per la vostra tenacità sconsigliata. Al vedere i tanti malanni morali , che oggidì affliggono il mondo ; al vedere ogni anno diradarsi le file dei Sacerdoti di Dio, sia perchè i giovanetti di signorile o civil condizione , per le massime pestitenziali che imparano in certe scuole e talora in seno alla stessa famiglia, non aspirano più alla ecclesiastica milizia, sia perché i fanciulli poveri più morigerati e pii, che vi sarebbero chiamati, non hanno i mezzi di percorrere gli studi necessarii al nobile intento; al vedere come per la deficienza di sacri ministri in molte parti della stessa Italia, centro del Cattolicismo, migliaia di fedeli rimangono senza i conforti della Religione, cadono nella indifferenza e spesso nelle insidie ereticali ; al vedere come molte estere Missioni tra le barbare genti vanno deperendo, perché mancano gli operai evangelici, e intanto milioni di anime redente dal Sangue di Gesù Cristo continuano a barcollare nelle tenebre dell'errore, a perdersi, a dannarsi; al vedere i bisogni in cui versa lo stesso Santo Padre, che per mancanza di mezzi materiali si trova impotente a porgere la mano pietosa a tanti suoi figli, che da tutte le parti del mondo fanno a Lui ricorso; oh ! no, in vista di tutte queste ed altre innumerevoli necessità spirituali e temporali , noi , finché avremo fiato in petto , fino a che ci stia in mano la penna, non cesseremo dal perorare la causa delle anime , dei poveri, della Religione, della Chiesa, della società. Non cesseremo dal predicare e scrivere con sant'Ambrogio: «Gran peccato, se di tua saputa manca del necessario il fedele, se sai che non ha da fare la spesa quotidiana, che patisce la fame, che si trova in miseria » (1); non cesseremo dal predicare e scrivere con sant' Agostino: «Tutto ciò, che Iddio ci ha dato oltre al bisogno, non a noi in ispecial modo lo diede, ma lo trasmise da distribuirsi agli altri per mezzo nostro » (2) ; non cesseremo dal predicare e dallo scrivere con S. Basilio Magno: « Perché tu abbondi , e quegli va mendicando , se non perché tu ti acquisti meriti colla saggia distribuzione dei tuoi beni, ed egli si adorni delle palme della pazienza ? Del famelico è quel pane, che tu conservi; dell'ignudo è quell'abito, che tu ritieni nel tuo gabinetto; dello scalzo son quelle scarpe, che presso di te marciscono ; dell'indigente insomma è quel danaro, che tu possiedi nascosto » (3); non cesseremo in una parola dal predicare e dallo scrivere coll'Angelo delle scuole, col dottore S. Tommaso : « I beni temporali, che si concedono da Dio , sono bensì di chi li possiede in quanto alla proprietà , ma in quanto all' uso non soltanto di lui, ma sono ancora di coloro, che ne abbisognano. » Se così non predicassimo e non iscrivessimo , noi avremmo timore di essere da Dio rimproverati e pur condannati per aver tradito il nostro dovere ; imperciocchè ci avverte S. Gregorio il Grande:.« Chi ha occasione di parlare al ricco , tema la condanna pel nascosto talento , se potendo non intercede presso di lui a favore del povero. (1) »
(1) Sappiamo che un Superiore di Case di beneficenza lo scorso inverno dovette girare mezza Italia e parte della Francia, in cerca di limosine per non dover chiudere alcuni suoi Istituti e non mettere sulla via i giovanetti ricoverati.
(1) Grandis culpa est, si, sciente te, fadelis egeat; si scias eum fame laborare, aerumnam patì, praesertim si mendicare erubescat. De officiis. Lib. I. cap. 13.
(2) Quid quid Deus plusquam opus est dederit, non nobis specialiter dedit, sed per s os aliis erogandum transmisit. Serm. 219 de Temp. - Superflua divitum necessaria sunt pauperum : res alienae possidentur, cum superflua possidentur. In psal. 147.
(3) Cur tu abundas, ille vero rnendicat, nisi ut tu bonae dispensationis merita consequaris, ille vero patientiae b aviis decoretur? Est panis famelici, quero tu tenes ; nudi tunica, quasi in conclavi eonservas ; disealceati calceus, qui penes te marcescit ; índigentis arge ìtum, quod possides inuinatura. Hom. super illud Luc. 12 n Destruam horrea mea »
(1) Habens loquendi locum apud divitem, damnationem pro retento talento timeat, si, cum valeat , non apud euins, pro pauperibus intercedat. Hom. 9 in Evang. sub fin.
Nel porre fine a questo articolo facciamo un'umile preghiera ai nostri confratelli nel sacro ministero. Anzitutto li preghiamo che vogliano ricordare e riflettere sopra una proposizione, uscita già dalla bocca del divin Maestro in riguardo agli ultimi tempi: « Et quoniam abundabit iniquitas, refrigescet charitas multorum: E per aver sopprabbondato l'iniquità, raffrederassi la carità di molti. » Chi ha un po' di pratica delle cose del mondo, vede pur troppo avverarsi ai giorni nostri questo detto del divin Salvatore. L'iniquità diluvia, dilaga, sommerge; e quindi la carità, la compassione , la beneficenza in molti cristiani si raffredda e si estingue pur anche. Un freddo egoismo regna da un capo all'altro del mondo: tutti cercano quae sua sunt, non quae Jesu Christi. Or bene, tocca a noi specialmente, o confratelli amatissimi , dai sacri pergami, dai tribunali di penitenza , nelle private conversazioni, il tenere accesa, ravvivare, impedire che si raffreddi, che si smorzi nei fedeli la sacra fiamma della carità verso il prossimo , e nelle necessità corporali e soprattutto nelle spirituali.
Pertanto facciamo tesoro nel proprio cuore e a tempo e luogo siano tema dei nostri discorsi quelle sentenze dei Libri Santi: « Et nos debemus pro fratribus animas ponere: E noi pure dobbiamo porre la vita pei fratelli. » - Chi avrà dei beni di questo mondo, e vedrà il suo fratello in necessità, e chiuderà le sue viscere alla compassione di lui , come mai è in costui la carità di Dio? (1 Ioan. III). » - Divitibus hujus saeculi praecipe facile tribuere : I ricchi di questo mondo ammoniscili che... siano corrivi nel dare : » - Nam qui volunt divites fieri, incidunt in tentationem et in laqueum riaboli: Imperciocchè quelli, che vogliono arricchire, incappano nella tentazione e nel laccio del demonio. (1 Tim. VI) » Soprattutto rammentiamo le molte e replicate ingiunzioni e le parabole fatte in proposito da Gesù Cristo, le quali non lasciano alcun dubbio che Egli vuole la limosina da chi può farla, e la vuole sotto pena di eterna condanna. Né al suo tribunale il divin Giudice terrà conto di certe private interpretazioni date alle sue parole , né di certe lasse opinioni, che mentre restringono la mano dei ricchi, allargano alle anime le porte dell'inferno.
Per la qual cosa ciascuno di noi faccia sue le raccomandazioni del buon vecchio Tobia al proprio figlio, e le ripeta opportune et importune a chi deve : « Usa misericordia secondo la tua possibilità. Se avrai molto, dà abbondantemente; se avrai poco procura di dare volentieri anche quel poco. »
Insegniamo premurosamente non solo il dovere della limosina, ma ancora mettiamo sott'occhio i premii della limosina, le gioie della limosina, il modo pur anche di mettersi in grado di fare la limosina. Quale mezzo poi di valido eccitamento per le anime di fede e di cuore schieriamo loro dinanzi i bisogni immensi di questi tristissimi tempi. In una parola facciamo in modo che quanto abbonda ai giorni nostri la iniquità dei malvagi, di altrettanto si accresca la carità dei buoni, onde ad onor di Gesù Cristo, a conforto della Chiesa, a salute delle anime, a sollievo dei miserabili si possa dire: Et quoniam abundat iniquitas, inardescit charitas multorum.
La Santissima Vergine Ausiliatrice da qualche tempo in qua comparte grazie e favori in sì gran copia ai suoi divoti, che è impossibile non sentirsi crescere in cuore fiducia ed amore verso di una così insigne Benefattrice , verso una Madre così potente e pia. A gloria di Dio, ad onore di Lei a conforto dei tribolati segnaliamo qui taluna delle guarigioni, riferiteci per iscritto nel mese di giugno.
I.
La nobile damigella, Maria Barlocci, era malata gravemente per febbri tifoidee. I parenti suoi, temendo con ragione di perderla, dimandarono per la malata la medaglia e la benedizione di Maria Ausiliatrice, che fu tosto impartita. Posta la medaglia al collo dell' inferma , la gagliarda febbre le cessò all'istante, ed ogni pericolo disparve. Oggi 7 giugno, la pia damigella perfettamente guarita si portò al Santuario a ringraziare la SS. Vergine per la grazia ricevuta. In riconoscenza di un tanto favore, ed affinché la pietà della celeste Ausiliatrice sia sempre meglio conosciuta ed invocata, tutta la famiglia desidera che al fatto si dia la maggior pubblicità che sia possibile.
II.
Tempo fa da Minusio nel Canton Ticino si scriveva al Santuario di Maria Ausiliatrice, raccomandando una persona gravemente malata. Or ecco quello che ci riferisce la seguente lettera in data dell'11 giugno
La madre mia gravemente malata , di cui le scriveva, è fuori d'ogni pericolo. La sua guarigione può dirsi un vero miracolo ; e al miracolo ha pur gridato lo stesso medico curante. Il parroco poi, i sacerdoti che ebbero la bontà di visitarla inferma, al vederla ora così ristabilita , ne restano attoniti, perché umanamente parlando non eravi più alcun rimedio per lei. Si abbia dunque Maria SS. tutto il mio affetto, e l'eterna mia riconoscenza.
GIULIA CAVALLI.
III
MOLTO REV. SIGNORE,
Ho il piacere di poter annunziare a V. S. che grazie alla protezione di Maria Ausiliatrice, mia sorella non solo va migliorando, ma da due o tre giorni si alza da letto. Sia pertanto gloria a Dio, lode a Maria SS. Ausiliatrice, e grazie molte alle preghiere dei pii giovanetti, raccolti sotto il suo manto.
Torino, 14 giugno.
D. PIETRO VALIMBERTI.
Per secondare il desiderio di molte zitelle e Maestre di scuola, nonché di pie Signore, le quali amerebbero passare alcuni giorni di sacro ritiro per attendere al bene dell' anima loro , saranno dati gli Esercizi spirituali nel Conservatorio della Madonna delle Grazie, diretto dalle Figlie di Maria SS. Ausiliatrice, in Nizza Monferrato.
Incominciano la sera del 1 di agosto e terminano la mattina del 10.
La pensione è fissata in L. 20. Si fa una eccezione per le Maestre, la cui quota sarà di L. 15.
L'aria salubre e la campagna, il sito amenissimo e solitario, sono allo stesso tempo un sollievo per lo spirito affaticato e bisognevole di riposo.
Pertanto chi volesse prendervi parte, è pregata a farne pervenire la domanda non più tardi del 30 Luglio alla Superiora dell'Istituto delle Figlie di M. A. in Nizza Monferrato.
Sac. Gio. Bosco.
NB. Nizza Monferrato è stazione della Ferrovia Alessandria-Cavallermaggiore.
Dall' amato nostro confratello D. Giacomo Costamagna, Capo delle Case Salesiane della Repubblica Argentina , riceviamo consolanti notizie. Il campo evangelico, che il Signore diede a dissodare e coltivare ai nostri confratelli in quelle lontane regioni, va estendendosi maravigliosamente, e producendo copiosi frutti di vita eterna per centinaia e migliaia di anime. Ecco quanto egli scrive a D. Bosco
Buenos Aires, 1° maggio 1882
MIO CARmo E REVmo SIG. D. BOSCO,
Da qualche tempo mi piovono da tutte parti domande, preghiere, suppliche per l'impianto di nuove Missioni per adulti, di Ospizi e scuole per fanciulli pericolanti. Dolores , Las Flores, Salta Chivilcoy, Tucuman e via via mi stanno ai fianchi, insistono, gridano e, direi, piangono, perchè mandi tra loro alcuni Salesiani a prendersi cura delle loro anime. Se per una parte queste domande ci devono rallegrare, per altra parte ci addolorano, perchè non ostante la nostra buona volontà ci riesce impossibile di soddisfare a tanti bisogni. Non potendo per ora dare dei fatti, comincio a dare delle speranze, aspettando i rinforzi donde mi possono venire.
Alcuni dei luoghi che ci chiamano sono lontani e disastrosi. Salta, per es., non ha comunicazione con Buenos Aires, se non per mezzo di vie difficilissime e di carri tirati da mule. Oltre a ciò, per cagione della mal aria, la febbre vi piantò il suo domicilio e vi regna tirannicamente. Eppure quelle anime sono preziose quanto quelle che vivono in sanissimo clima ; e dovranno le febbri essere la causa del loro abbandono? A me sembra che gli Apostoli non badassero alle febbri.
Donde insistono con maggiore efficacia si è da Chivilcoy , una delle città più importanti della provincia di Buenos-Aires. Una petizione firmata da più di 100 persone delle più ragguardevoli di colà è stata presentata al Revmo Mons. Arcivescovo, il quale mi lascia appunto di pregare il suo D. Bosco che voglia mandarvi i suoi figli ad aprirvi un Collegio, affinchè colla istruzione ed educazione della gioventù si possano guadagnare a Dio anche gli adulti , formare una cristiana generazione, ed avere eziandio degli aiuti di sacerdoti , missionarii ed operai nella coltura della vigna del Signore. Non contenti della domanda per iscritto , ieri mi mandarono appositamente una Commissione, scongiurandomi che io spedisca loro alcuni Salesiani a prendersi cura delle loro anime. La Commissione si presentò in pari tempo a Mons. Arcivescovo, pregandolo ad usare i suoi buoni uffizi pel desiderato intento. Come debbo fare ? - Per sua norma le dico che Chivilcoy è città importantissima tanto pel numero degli abitanti, quanto pel bisogno spirituale di quella povera gente, che si trova da più anni come abbandonata. Oltre a questo, la colonia italiana è numerosissima, e tale circostanza aggiunge nuovo e più forte stimolo al nostro cuore di sacerdoti italiani. La città si trova solamente a 6 ore di strada ferrata da Buenos Ayres, e il clima è molto buono.
Da Tucuman è già la terza volta che ricevo lettere le più incalzanti. Chi scrive è lo stesso Governatore. Egli vuole ad ogni costo che io vada a vedere ; mi paga il viaggio , e si dispone a darci in proprietà terreno e case. Per farmi coraggio mi dice che il paese è ancor semibarbaro, e che perciò i Salesiani avranno un vasto campo, in cui esercitare il loro zelo alla gloria di Dio e alla salute di tante anime, che ancor non lo conoscono. Ne ho parlato eziandio col caro D. Lasagna, che fu qui a recarci personalmente le più gradite notizie di Lei e dei fratelli, ed ancor egli è di avviso che non potendo per ora soddisfare a tutte le domande, si preferisca quella di Tucuman. Perciò domani mi metterò in viaggio, che sarà di 8 giorni ; 4 in andare e 4 in ritornare. Siamo nel bel mese di maggio, nel quale specialmente nel Santuario di Maria Ausiliatrice in Torino cotanto si prega : ho quindi grande fiducia che il mio viaggio sarà felice sotto il manto di Madre sì dolce e potente. Andrò dunque , vedrò, parlerò, combinerò quello che mi sembrerà della maggior gloria di Dio. Dopo la mia esplorazione, se il Governatore mi paga i passaggi, io, appoggiato all'invito già fattomi negli anni scorsi dalla S. V., farei conto di recarmi in persona a' suoi piedi, per implorare qualche soccorso di braccia a dissodare e far fiorire una vigna novella, la quale promette una vendemmia abbondantissima. La Religione di Gesù Cristo va scemando ;nella vecchia Europa ? Ebbene abbia i suoi compensi nella giovane America.
Oggi abbiamo collocata la prima pietra di una nuova Casa : la Casa di Maria Ausiliatrice in Almagro.
La sanità tanto dei Salesiani quanto' delle Figlie di Maria Ausiliatrice è soddisfacente. Il buon Dio, che sa quanto lavoro abbiamo tra mano, voglia favorirci nella salute, affinché, i pochi possano supplire ai molti.
Nella speranza di scriverle nuovamente tra poco chiudo questo foglio, raccomandandomi alle fervide sue preghiere, e protestandomi con inalterabile stima ed invincibile amore
Della S. V. Revma
A ffez.mo figlio in G. C. Sac. GIACOMO COSTAMAGNA.
Patagones, 11 aprile 1882. MIO CARISSmo E REv. D. CAGLIERO,
La lettera sua in data del 10 di febbraio mi giunse ieri colla posta di Buenos Aires.
Al sig. D. Costamagna ho spediti tre elenchi. Uno, che conteneva il nome, cognome ed età di 154 indii , battezzati l' anno scorso sulle sponde del Rio Negro ; il secondo, col nome, cognome ed età delle alunne del Collegio delle Suore di M. A., in numero di 89 ; il terzo, col nome, cognome ed età dei giovani del nostro Collegio, in numero di 89 ; con una relazione dei nostri affari e delle nostre necessità. Di tutto questo mando pure copia a V. S., pel timore che quelli di D. Costamagna sieno andati smarriti.
Abbiamo celebrato le funzioni della Settimana Santa colla maggiore solennità possibile e con qualche buon risultato. Ora stiamo iniziando la scuola di arti e mestieri. Don Costamagna mi mandò Giuseppe Audisio , calzolaio che già ha montato il suo deschetto con tre piccoli orfani, che imparano il mestiere sotto la sua direzione. Benedica Iddio questo granello di semenza, affinchè cresca e prosperi a bene dei poveri fanciulli disoccupati ed abbandonati.
In questa settimana D. Beauvoir andrà a Guardia Pringles, situata sopra la sponda sinistra del Rio Negro, a 90 chilometri da Patagones, affinchè quella nascente popolazione possa compire il precetto pasquale. E una popolazione riunita di 300 anime circa. Si diè principio ad una Cappella di 8 metri per 20, con povere e fredde pareti di fango e tetto di ferro galvanizzato; purchè s' inauguri presto ! Oh ! se potessimo fermarci colà ! Quanto bene si farebbe ! Sonovi circa 20 famiglie indie ed una quarantina tra bambini e fanciulle, che frequentano il Collegio.
Al sud, in Viedma, Don Milanesio lavora alla conversione degli Indii sparsi fino a 200 chilometri sulla sponda del Rio Negro, e specialmente intorno ad un nucleo di Italiani , che vivono in un luogo detto Cubanea.
Un vicino, il quale spontaneamente impresta l'occorrente, fa un gran bene a quei popolani, poichè presso di lui si radunano due o tre giorni per udire la s. Messa , confessarsi , comunicarsi, imparare il Catechismo e via dicendo. Questa colonia è situata alla destra del Rio Negro, a 55 chilom. da Patagones. Non ho per ora altra novità : fra poco le comunicherò i risultati della missione di D. Beàuvoir.
Scrissi al sig. Don Bosco mostrando la necessità di innalzare un piccolo fabbricato per Collegio, giacchè le casipole che attualmente occupiamo non servono al bisogno. D. Costamagna mi aveva autorizzato a spendere 2400 franchi per la compra del terreno, ciò che tuttavia non ho ancor fatto. Spero che il Governo ci continuerà il sussidio mensuale, che potremmo impiegare nell' edifizío. Finora non ricevetti risposta da D. Bosco a questo proposito ; così che presentemente rimedieremo alla meglio : i Salesiani nella casa ad uso Collegio, e le Suore in casa particolare.
Riverisca il carissimo padre D. Bosco, tutti i Superiori ed alunni di cotesto Oratorio, e mi raccomandi alle loro preghiere.
Sono suo Affezmo SaC. GIUSEPPE FAGNANO.
Per incarico di D. Bosco, e per le calde preghiere di Mons. Pietro Lacerda, zelante Vescovo di Rio Janeiro, il nostro D. Luigi Lasagna il 9 del mese di maggio da Montevideo si diresse alla volta della Capitale del Brasile, per concertare l'impianto della prima Casa Salesiana in quell'estesissimo impero. Prima d' intraprendere il viaggio, egli ce ne dava l'annunzio colla lettera seguente:
AMATISSIMO PaDRE IN G. C.
Le scrivo sotto una profonda impressione. Fra quattro giorni accompagnato dal buon Teodoro m'imbarcherò alla volta di Rio Janeiro !
Come adunque può congetturare, la mia mente, il mio spirito è assorto nella grandezza dell'impresa a cui stiamo per metter mano, e nell'avvenire che in quel vastissimo Impero aspetta i giovani Missionari di D. Bosco. Il mio cuore è adunque in preda alla trepidazione e a grandi timori, ma nel tempo stesso è animato da speranze ancor più grandi.
Qui nelle Repubbliche del Plata abbiamo dovuto lottare aspramente colla malignità delle sétte. Orbene le difficoltà stesse forse aumenteranno di proporzioni, e vi si aggiungeranno quelle di un clima malsano, di febbri e di malattie spesse volte micidiali. Eppure, si dovranno abbandonare alla rovina tante e tante anime? Se l'avidità di arricchire trae alle spiaggie Brasiliane tanti ingordi trafficanti Europei , che spesso cadono cadaveri sui mucchi d' oro raccolto , lo zelo delle anime non potrà condurvi i Missionari Salesiani , che hanno consecrato la loro vita per conquistare nuovi figli a Gesù Cristo ?
Ella gia conosce con che istanze commoventissime ci chieggono soccorso gli zelanti Vescovi del Brasile, i quali vedendosi pressochè soli in una sfera vasta e sterminata, scorati ed affranti implorano aiuto con voci che straziano l'animo. E dunque tempo di volare in loro soccorso, piantare' colà le nostre tende, ed inaffiare coi nostri sudori quelle vaste e derelitte regioni.
Prima però di avventurarvi un primo drappello di Salesiani , prudenza vuole che alcuno li preceda per esplorare il terreno , e per eleggere in quella immensa superficie qualche punto strategico e meno esposto al pericolo. - Confortato dalla sua benedizione, o amatissimo Padre, e studiandomi di seguire fedelmente le istruzioni che Ella mi diede, intraprenderò questo primo viaggio , che dovrà aprire alla nostra Congregazione le porte di un Impero, la cui estensione uguaglia i tre quarti dell' Europa !
Martedì adunque, 9 maggio, col nostro Teodoro, salperò dal porto di Montevideo diretto a Rio Janeiro. Ho scelto con preferenza questa circostanza , perchè mi si offre la bella occasione di accompagnare nel viaggio Monsignor Mario Mocenni, il quale arrivò or ora dal Chili, e andrà Internunzio della Santa Sede presso l'Impero del Brasile. Oltre a ciò trattandosi di un passo si difficile e di suprema importanza per noi, m'è parso più che mai conveniente farlo in un mese tutto consacrato ad onore della nostra buona madre Maria Ausiliatrice, in tempo in cui a Torino non solo ma in tutta Italia si fanno tante preghiere, e si prestano tanti onori a questa grande Benefattrice del popolo cristiano, ed insigne Patrona dei Salesiani.
Forse il mio viaggio di esplorazione piglierà grandi proporzioni, dovendo passare probabilmente dalle provincie di Rio Janeiro a quelle di Parà, vale a dire dal Sud all'estremo Nord del grande Impero, percorrendo tutta la sua costa occidentale bagnata dall'Oceano Atlantico, fino alla foce del più gran fiume del mondo, le Amazzoni. Mi propongo fin d'ora di tenerla ragguagliata di ogni cosa, e di inviarle notizie particolareggiate dei diversi punti che toccherò.
Da più giorni abbiamo burrasche furiosissime nel vicino Oceano, ed il vento Pampero infuria e rugge spaventosamente d'intorno a noi. Deh ! non voglia Iddio che abbiamo a subire sul piroscafo Equateur le agonie sofferte nel 1876 sull'Iberia! Ma non voglio evocare tristissime rimembranze. Confidiamo in Dio e nella protezione della Vergine, e intrepidi salperemo dal porto di Montevideo alla volta della Capitale del Brasile. - L'Arcangelo S. Raffaele ci salvi dalle procelle e dalla voracità dei pesci !
Ci benedica tutti, ottimo sig. D. Bosco, e mi creda nel Signore
Villa Colon, 6 Maggio 1882.
Suo affez.mo SAC. LUIGI LASAGNA.
M. R. SIG. DIRETTORE,
Oggi ricorre la festa dell'Invenzione di Santa Croce, e V. S. sa come questa Invenzione fu fatta a Gerusalemme quindici secoli or sono; ma noi senza andar tanto lungi di tempo e di luogo l'invenzione della Croce la facciamo anche oggidì e molto vicino a noi, anzi sulle nostre stesse spalle. E la croce Iddio ce l'ha data e grande e pesante, ma poiché è Dio che ce l'ha data, e che colla sua grazia ci aiuta ogni giorno a portarla, bisogna fa-ne festa, ed io oggi per meglio far la festa della S. Croce voglio trattenermi alquanto con la S. V. e parlarle non delle croci, che Iddio ci ha voluto regalare in questo primo anno di nostra stazione in Firenze, ma degli aiuti e delle consolazioni grandi e soavissime, con cui il Signore e la nostra buona Madre Maria SS. Immacolata ci fecèro già ben progredire, e ci aprono ora la via a progredire sempre più in avvenire nelle opere nostre, a vantaggio della povera gioventù. - L'opera a cui attendiamo è opera essenzialmente buona, santa, umanitaria, divina, e come scrisse l'Areopagita, delle cose divine la più divina, perchè diretta a portar rimedio alla povera umanità fatalmente ammalata, e salvarla , per quanto è possibile, dalla cancrena e dalla dissoluzione totale, salvando la povera gioventù, quella gioventù che informata ai santi principii della fede, illuminata dalla vera scienza , bene addestrata nella lotta della vita , fatta robusta dal lavoro e dalla virtù deve compensare la società di quella parte di se medesima, che cresciuta nell'ignoranza del vero e nella scienza del male, oziosa, effeminata, abbrutita dal vizio , ne attenta alla vita mentre ne forma la vergogna ed il disonore.
Perché io abbia motivo di invitare la S. V. e tutti i nostri amici a lodare e ringraziare il Signore e la Vergine SS. ed animarci insieme a portare con coraggio la nostra croce, io voglio accennarle di volo quello che in poco più di un anno abbiamo potuto fare in Firenze. Arrivati in questa gentilissima città ed ospitati in una piccola casetta in via Cimabue, non potendo far altro per l'angustia dei locali, si attivò l'Oratorio festivo, che fu benedetto da Dio, e fiorì, e per mezzo del quale si potè fare del bene a tanti poveri giovanetti, che vi intervennero sempre volentieri, frequentando con molta premura i SS. Sacramenti, santificando come conviensi i giorni festivi, assistendo alle sacre funzioni, istruendosi nel Catechismo, sollazzandosi onestamente, lontani dai pericoli. Solennizzavano con un trasporto immenso di santa allegrezza le principali feste dei nostri santi Protettori, la Vergine SS. Immacolata , S. Giuseppe, S. Francesco di Sales e S. Luigi, la cui festa, come la prima che si fece nell'Oratorio e come maggiormente attraente e dirò così simpatica pei giovanetti, lasciò nei loro cuori si cara e forte impressione,-che io credo non se ne dimenticheranno giammai. Mi par ancora di vederli e di udirli alcuni di questi vispi giovanetti , la sera della festa del caro Santo, prima di partirsi per far ritorno alle loro case, stringersi d'attorno al Direttore, assordandolo con queste e simili ingenue domande : « Quando ritornerà la festa di S. Luigi? Quando si farà ancora una festa così bella, quando, quando? »
Buoni ragazzi ! come bene si manifesta in essi l'anima naturalmente cristiana, l'anima che aspira alle pure gioie della fede, della pietà, della religione, e le gusta e ne resta soddisfatta! E perché non é dato abbracciarli tutti, portarli tutti all'altare di Gesù e di Maria , affezionarli tutti alle pratiche della religione, raccoglierli tutti all'ombra dell'Oratorio, dove ammaestrandosi nella verità e nella virtù, e gustando le vere gioie che solo la religione può dare, imparerebbero ad abbominare l'errore e dispettare le false gioie, che un mondo voluttuoso e corrotto suole promettere senza mai poter dare realmente.
Ma oltre l'Oratorio festivo in quella prima casa si fece altro. Dal giugno al settembre, tempo delle vacanze per le scuole di questa città , si attivarono le scuole autunnali , alle quali i giovanetti accorsero in tal numero da non saper più dove metterli, con tanta contentezza dei poveri genitori, che così trovavano modo di togliere i loro figliuoli dai pericoli delle strade, dall'ozio e dalla scioperaggine. D. Bosco poi, che nella sua visita fattaci nel maggio dello scorso anno, avea riscontrato la insufficienza del locale per poter continuare e progredire nell' opera caritatevole, tanto più che quel locale era stato preso semplicemente a pigione , prima di partire da Firenze m' avea incaricato di trovare terreno. « Ivi, ei disse, tireremo su quattro mura e faremo il nostro Ospizio, le nostre scuole, il nostro Oratorio. » E la parola di D. Bosco fu efficace. Senza un soldo, senza far tanti calcoli umani, s'incominciarono le trattative, e si acquistò un grande spazio di terreno, e per maggior provvidenza unite al terreno due villette, dove poter anche subito alloggiar noi, continuare il nostro Oratorio festivo , e dar anche principio al progettato Ospizio per la povera gioventù. Il giorno 4 di novembre dello scorso anno si prendeva possesso della nuova stazione , e D. Bosco, quando la sera del giorno 8 dell'ultimo aprile rivide Firenze, ed io lo condussi in questa nostra casa, trovò a terreno due stanze, ridotte una a sacrestia e l' altra a Cappella, con un' aggiunta in legno per raccogliervi i giovanetti esterni dell'Oratorio festivo ; attigue alla Cappella le officine di falegname e di fabbro-ferrai, e pure a pian terreno il parlatorio, due scuole e studio per gli interni, e nei piani superiori altre salette ed i dormitorii. Dall' una parte e dall'altra delle due villette, il luogo della ricreazione per gli interni e per gli esterni ed una grande tettoia, che congiungendo le due ville, mette, mediante opportuna separazione, al riparo i giovanetti medesimi interni ed esterni dall'inclemenza delle stagioni. Vide dietro la casa stendersi una grande area di terreno, sul quale si sono già concepiti molti progetti, e si aspetta che Iddio col tempo li faccia maturare. D. Bosco fu soddisfatto di tuttociò, ma ancor più quando a un tratto si vide circondato da una trentina di giovanetti convittori, tutti festanti, che non finivano di mirarlo, mentre il Direttore gli presentava in essi le primizie dell'Oratorio dell'Immacolata di Firenze.
Era il giorno solenne di Pasqua, e Don Bosco dopo gli interni rivide anche gli esterni, che intervengono all'Oratorio festivo, e quel giorno, dopo cantato il Vespro, egli l'intrattenne tutti piacevolmente dal pulpito con un discorso sul mistero del giorno, e poi impartì loro la Benedizione col SS. Sacramento.
La sera poi del 10 aprile fuvvi la Conferenza. Già i nostri Cooperatori e Cooperatrici erano stati avvisati con apposita lettera a stampa del seguente tenore
Benemeriti Cooperatori e Cooperatrici,
Nel maggio dello scorso anno ebbi l'onore di tenere in questa illustre città la prima Conferenza ai Cooperatori Salesiani , e quest' anno ho pure la grande consolazione di annunciare che altra Riunione dei medesimi avrà luogo nella chiesa di S. Firenze nel giorno di lunedì, 10 del corrente mese di aprile.
Il Sommo Pontefice manda una speciale benedizione e concede il segnalato favore dell' indulgenza plenaria a tutti coloro, che interverranno alla pia Riunione.
S. E. R.ma il benevolo e benemerito nostro Arcivescovo Monsignore Eugenio Cecconi si degna di approvare e presiedere la pia Adunanza.
Mi è cara questa occasione per ringraziarvi della Cooperazione, che finora mi avete prestato, e spero che la vostra carità non mi verrà meno in avvenire. I giovani beneficati si uniscono a me per ringraziarvi ed invocare le celesti benedizioni sopra di voi e sopra tutte le vostre famiglie, mentre con gratitudine ho l'alto onore di potermi professare in G. C.
Dev.mo servitore
Sac. GIOVANNI Bosco.
Il benemerito giornale cattolico di Firenze, Il Giorno, ne aveva pur dato annuncio ai proprii lettori; la bella e devota chiesa di S. Firenze, a titolo di fratellevole carità concessaci dai MM. RR. e tanto benemeriti Padri dell'Oratorio, era a disposizione della pia Radunanza. Verso le 5 pom. i Cooperatori e Benefattori nostri e gran numero di altri devoti assiepavano la cattedra di verità, e presiedeva S. E. Rma Mons. Arcivescovo, con buon corteo di Ill.mi e Rev.mi Canonici, Parroci, Sacerdoti e chierici del Seminario fiorentino.
Dopo la solita lettura di un capo della vita di S. Francesco di Sales, D. Bosco salì sul pulpito ed intrattenne i suoi ascoltanti per quasi un'ora. Io non istarò a ripetere alla lettera quell'importante discorso. Non furono cose peregrine quelle che disse, ma la esposizione nuda e cruda della più desolante realtà dei fatti, tanta povera gioventù, cioè, abbandonata a se stessa, iniziata nella via della depravazione, e che sta per addivenire presto il flagello della società per poi finire nell'eterna dannazione. Mostrò quindi lo scopo dell'Opera Salesiana, che cerca per quanto le è possibile di portare rimedio a questa gran piaga sociale cogli Oratorii festivi , colle Scuole , cogli Ospizii. In fine richiese di aiuti morali e materiali tutti coloro, che amano sinceramente la religione e la patria; aiuti materiali con offerte sia in danaro, sia in generi o biancheria od effetti mobiliari ; aiuti morali o col dar mano ai Salesiani nell'istruire la povera gioventù, o col procurar loro tra le persone di propria conoscenza dei nuovi Cooperatori e Benefattori. - « Noi abbiamo aperto, diceva D. Bosco, fuori Porta la Croce, in Via Masaccio, N° 8, l'Oratorio festivo, e poscia non senza gravi sacrificii, e per riattazioni delle case e per provvista di mobilia anche l'Ospizio pei poveri giovanetti, e parecchi già vi ricevono quanto occorre al corpo e all'anima. Numerose domande si sono già presentate per altri, che sarebbero in grande necessità di essere ricoverati, per strapparli all'evidente pericolo di loro perdizione. Ma ormai la casa è piena, non vi è più un posto, ed il Direttore è costretto di respingere con gran dolore del suo cuore le più pressanti istanze colla dura parola : Non c' é più luogo. Vi ha di più. Oltre l' Oratorio festivo e l' Ospizio si desidererebbero eziandio come necessarie in quell' estremo angolo della città , dove non ve ne sono altre se non quelle degli eretici, le scuole esterne ; ma anche per queste, come per l'Ospizio, ci vogliono fabbriche. Ma come fabbricare ed incontrare per tal modo nuove ed ingenti spese, mentre si ha ancora da pagare un debito di ventiquattro mila lire , incontrato per l' acquisto del terreno ? Io do ordine di fabbricare ; per il resto confido in Dio, nella B. V. Immacolata, che ha preso questa nostra Casa di Firenze sotto la particolare sua protezione , e nella carità vostra , o buoni Fiorentini. Dalla carità vostra appunto io aspetto i mezzi per pagare i debiti fatti, per fabbricare una nuova Cappella ed ingrandire l'abitazione attuale, per sostenere la spesa dell' Oratorio festivo e delle scuole esterne, poiché per allettare i giovanetti ad intervenirvi è pur necessario provvedere e mantener loro giuochi e divertimenti, somministrare loro libri, dar loro premi. Dalla carità vostra aspetto il pane ed il necessario alla vita ed alla buona istruzione ed educazione cristiana e civile ai giovanetti ricoverati, ed a quelli che si sperano di accettare in seguito, e che, poveri ed abbandonati, non hanno altro patrimonio che il vostro buon cuore. Perchè poi il vostro aiuto risponda al bisogno io vi invito e vi prego a voler tutti sottoscrivervi per offerte mensili, sieno pur anche di poche lire, o di una sola lira, o di mezza lira, o di pochi centesimi, tanto solo che nessuno ci nieghi o in poco o in molto il proprio concorso. Alcuni Decurioni eletti con apposito diploma riceveranno le vostre sottoscrizioni e le vostre offerte, per passarle poi alla fine di ogni mese nelle mani del Direttore dell'Oratorio Salesiano di questa città, e così speriamo che l'opera nostra aiutata dai vostri continui sussidi, sostenuta dalla vostra carità possa progredire e fare tutto quel bene che si desidera. »
D. Bosco terminò la sua Conferenza coll' insegnare a trovar nel superfluo dei proprii beni materiali , nel vero amor di Dio e dei prossimo , nella fede alle promesse divine, i motivi ed il modo di venirci in soccorso, e coll'implorare da ultimo sopra tutti i nostri Cooperatori e Benefattori le celeste ricompense.
E qui dovendo per brevità tacere di tante dimostrazioni di affetto ricevute da D. Bosco nella sua fermata in Firenze da ogni sorta di persone, non posso però non rilevare il nobile slancio di cristiana carità addimostrato dai bravi giovani del Circolo della Gioventù Cattolica, nel prestarsi spontaneamente a raccogliere la elemosina fatta a beneficio del nostro Istituto in occasione della Conferenza, e il contrassegno di verace stima e benevolenza porto dai medesimi a Don Bosco nel trovarsi in corpo alla stazione ferroviaria per dargli l'addio nella sua partenza per Roma. Iddio rimeriti largamente quella eletta schiera e la prepari con nuovo coraggio a nuovi sacrificii in aiuto delle opere buone, e di tutto che possa tornare di vantaggio e di decoro alla religione ed alla civile società.
D. Bosco è partito, ed io sono rimasto con una buona croce sulle spalle, e però sento grande bisogno che la S. V. preghi e faccia pregare per me, perché l'abbia a portare volentieri e con vantaggio dell'anima mia. Ma poi io desidererei un'altra cosa dalla S. V. Questi signori e signore di Firenze ormai possono conoscere bene l'opera nostra ed il bisogno che ha di essere beneficata, poiché ne parlarono loro nella chiesa di Badia di questa città con eloquentissime ed ardenti parole nel marzo dell'anno scorso l'Illmo e Revmo Canonico della Metropolitana fiorentina Aldo Luigi Brogialdi, il di cui discorso meritamente fu dato alle stampe, e nel marzo di quest'anno il Rev.mo Padre Bausa dell'Ordine dei Predicatori, oggidì elevato da S. S. il Papa Leone XIII alla dignità di Maestro del Sacro Palazzo, e ne parlò ancora esplicitamente D. Bosco nelle sue due Conferenze. Ma i signori e te signore, nonché gli stessi Cooperatori Salesiani delle 500 parrocchie di questa Diocesi e di tanti altri paesi e città, che potrebbero venir in soccorso a questa nostra Casa, forse non ne sanno nulla. E siccome spiritus ubi vult spirat, e talvolta avviene che anche nel più umile paesello si trovino anime piene di zelo e di santa carità, e che sanno fare i più ardui sacrifici perla gloria di Dio e il bene delle anime, ed i soccorsi alle opere buone vengono talora da dove e da chi meno si sarebbe pensato, così io pregherei la S. V. a voler nel Bollettino Salesiano dar un cenno dell' Opera nostra in Firenze , e delle strettezze in cui versa, e del bene grande che si potrebbe fare, se i mezzi materiali non ci venissero meno; la pregherei a fare un invito a tutti i buoni di qualunque paese essi sieno a venire in aiuto con offerte mensili, come D. Bosco trovò necessario stabilire, ed in particolare poi alle anime più ardenti di carità, perché vogliano assumersi l'incarico di Decurioni e Decurione , e farsi così Collettori e Collettrici di dette offerte mensili.
Frattanto mi è cara l'occasione per professarmi con tutta la stima
Firenze, Via Masaccio, n° 8, 3 maggio 1882.
Suo Aff.mo confratello
SaC. CONFORTOLA FAUSTINO.
Giorno lietissimo fu il 22 del p. p. Giugno pel nostro Collegio di Borgo S. Martino. Vi si celebrò la festa di S. Luigi Gonzaga patrono dei giovanetti, trasferita a quel dì, affinché fosse onorata dalla presenza di Sua Eccellenza Revma Mons. Pietro Maria Ferrè Vescovo di Casale, che ha la degnazione di riguardare quella Casa di oltre a 200 giovanetti quale una benedizione per la sua Diocesi. Egli giungeva in Collegio verso le ore 7 1/2 del mattino, vi celebrava la santa Messa, distribuiva la Comunione, amministrava la Cresima ; indi con calde parole infiammava di divozione e d'amore gli animi di tutti.
Non è nostro cómpito di qui riferire l'intiero andamento della festa, la quale riuscì splendidamente e per la musica, e per gli apparati, e per la illuminazione, e per lo sparo di mortaretti, e pel concorso di forestieri, la maggior parte parenti dei giovani allievi. Vogliamo in quella vece rilevare una specialissima circostanza , ed è che in quel giorno D. Bosco volle che dai giovanetti e loro maestri si desse un particolare attestato di venerazione e di ossequiosa riconoscenza all'Eccellentissimo Mons. Ferrè, mediante apposita accademia in ricordo del suo Giubileo episcopale, celebrato già in Casale nel mese di marzo. A quest'uopo si eresse un trono sotto i freschi viali del giardino, e, terminate le sacre funzioni della sera, Sua Eccellenza venne pregata a voler gradire gli omaggi dei maestri e loro discepoli. Facevano bella corona al Revm° Prelato molti Parrochi e Sacerdoti della Diocesi, tra cui Mons. Felice Bava prevosto di Casorso, poc'anzi annoverato tra i Camerieri segreti di Sua Santità Leone XIII. Ravvisavansi pure varii ragguardevoli signori dei paesi vicini ; tra gli altri notavasi l'illustre conte Cesare Balbo di Torino, venutovi appositamente da Nizza Monferrato a fare da padrino ai giovani cresimandi. Si diede principio col canto di un inno musicato per la singolare circostanza ; indi giovanetti di tutte le classi lessero graziosi componimenti in più lingue : in latino, italiano, francese e pure in greco. Per circa un'ora parve che la poesia e la prosa, la musica e la letteratura gareggiassero amorosamente a celebrare il fausto avvenimento, a ricordare l'amore, lo zelo, la bontà del dolce pastore, a promettergli docilità , sottomissione ed ubbidienza, ad implorare sopra di lui le grazie più belle. Monsignore fu visibilmente commosso ; onde in fine , presa la parola , tenne un mirabile discorsetto ai giovanetti , che come estatici pendevano dal suo labbro. Egli con quella lucidezza di mente, che gli è propria , con quell'ardenza di affetto , che gli avvampa il cuore , svolse da pari suo due nobili pensieri. La sostanza del suo discorso fu questa : - « Non a me come uomo, ma a me come Vescovo, come ad incaricato delle vostre anime, voi avete data questa cordiale ed ossequiosa dimostrazione ; e in questo senso io l'accetto e ve ne ringrazio. La venerazione verso i Sacri Ministri è quella che mantiene l'ordine nella Chiesa, è quella che forma di tutti i fedeli come una famiglia sola, è quella che rende il popolo cristiano quale un esercito agguerrito ed invincibile. Per questo motivo mi consolò l' averne avuta una non dubbia prova, quando mesi sono celebrai in Casale il Giubileo del mio Episcopato ; e mi consola il veder oggi rinnovata da voi quella solenne dimostrazione di fede. Per mezzo di questa concordia osservate che mirabile spettacolo : I Sacerdoti uniscono i semplici fedeli col Vescovo, il Vescovo unisce fedeli e Sacerdoti col Papa, il Papa congiunge fedeli, Sacerdoti e Vescovi con Gesù Cristo, e così di tanti si forma un popolo solo, che dà gloria a Dio in sulla terra per dargliela eternamente in Cielo - Voi in queste Case, continuò Monsignore, voi in questi Istituti, che dovrebbero moltiplicarsi a cento, a mille, insieme colla istruzione letteraria apprendete in pari tempo la dovuta sottomissione, la docilità agli insegnamenti dei Pastori della Chiesa ; ma, miei cari giovinetti, non basta' che siate docili e sottomessi in questo recinto : per la vostra eterna salvezza bisogna che vi manteniate saldi in questi sentimenti medesimi allora altresì, quando sarete in mezzo alle procelle della vita, tra i mali esempi, e tra gli scandali del mondo. »
In tale argomento l'egregio Pastore discorse per oltre ad un quarto d'ora, e le sue parole, che furono luce e fuoco, vennero ascoltate colla più alta attenzione. Mons. Ferrè ripartiva per Casale in sul far della notte tra gli evviva ed applausi, confessando che simili feste gli innondavano l'anima di gioia indicibile.
La sera del 23 e del 24 Giugno, festa di S. Giovanni Battista , i giovanetti dell' Oratorio di S. Francesco di Sales , con molti altri dei più antichi loro compagni celebrarono l' onomastico di D. Bosco loro superiore, benefattore e padre. Ad essi unironsi molte persone della città e un buon numero di Cooperatori e Cooperatrici forestieri. Nè solo la Casa di Torino , ma tutte le altre concorsero nella figliale dimostrazione ; poichè le più vicine mandarono loro rappresentanti, e le più lontane spedirono lettere , regali e componimenti. Alla nobile gara non mancarono le Case di Francia, Spagna, America, e neppure quelle della Patagonia.
Appiè del trono preparato pel re della festa stava un tavolo carico di doni, pervenuti da molte parti, non solo dai Salesiani, ma dai loro Cooperatori e da Cooperatrici d'Italia e di Francia.. Fra gli altri attiravano gli sguardi di tutti un paramentale in tela d'argento, offerto da una pia signora di Torino, e un ricco e magnifico tappeto, largo quanto il presbitero della Chìesa di Maria Ausiliatrice, adoperato, per la prima volta nella festa di S. Giovanni. E frutto di sudori e di risparmii degli antichi allievi dell' Oratorio, i quali nella stima , amore e riconoscenza a D. Bosco mostransi ognora figliuoli primogeniti, ed esempio a tutti gli altri.
In faccia al seggio, nella parte opposta, sorgeva un gran quadro, sopra cui comparivano i nomi della maggior parte degli Istituti di D. Bosco , e intorno intorno formate da lumi di vario colore leggevansi le parole del salmo : Filii tui sicut novellae olivarum : I figli tuoi come novelle piante di ulivi.
In ciascuna sera il trattenimento durò da due a tre ore. La musica vocale e la istrumentale , la prosa e la poesia, le lingue classiche e i dialetti, tutto fu messo in opera per esternare gli affetti dei figli verso l'amatissimo padre.
Al mattino della festa un attestato non meno cordiale venne dato da una schiera di 60 a 70 uomini fatti, rappresentanti centinaia e migliaia di altri già stati in passato allievi di D. Bosco, Sacerdoti e laici. Uno di loro lesse un discorso ricco di sublimi pensieri e di nobili affetti, che speriamo di offrire ai nostri lettori nel prossimo n. del Bollettino. Qui ci basti il dire che D. Bosco rivedendosi innanzi tanti suoi cari giovani , stati già l'oggetto delle sue amorevoli sollecitudini, udendoli a promettere che anche in mezzo al mondo, nei loro impieghi, in seno alle proprie famiglie sarebbero rimasti ognora fedeli agli insegnamenti religiosi e morali, che loro aveva impartiti nei verdi lor anni, ne provò ineffabile piacere, e si sentì cemmuovere sino alle lagrime. Egli li ringraziò pertanto delle cose lette , li ringraziò del magnifico tappeto, regalatogli per la Chiesa di Maria Ausiliatrice, li ringraziò soprattutto delle promesse fattegli di regolarsi sempre da buoni cristiani tra mezzo a tutte le vicende della vita , assicurandoli che Dio non li avrebbe abbandonati giammai. « Se D. Bosco ha qualche nome nel mondo , diss' egli , non lo deve già nè alle sue virtù nè ai suoi talenti, ma lo deve alla buona riuscita, alla buona condotta dei suoi figli. Si avverò per me quello che si legge nei libri Santi : Gloria patris filius sapiens. Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini, e così sarete ognora la mia consolazione, il mio gaudio, la mia corona. »
Anche l'Unità Cattolica e il Corriere di Torino parlarono di questa affettuosa dimostrazione, la prima nel suo n. 148 col titolo : Una festa di famiglia all'Oratorio Salesiano, e il secondo nel suo n. 149: Onori e regali a D. Bosco.
Il buon Dio ci conceda di poter celebrare questa dolcissima festa ancora per anni moltissimi.
Coll' anima immersa in profondo dolore dobbiamo registrare la morte di una persona, che ci fece un gran bene. Il 13 dello scorso giugno in Mirabello Monferrato, in età di solo 51 anno, moriva Vincenzo Provera, il quale per oltre a 4 lustri ci fu, più che amico, fratello affezionatissimo. Insieme coll'egregio suo padre Giovanni Battista, col degno suo fratello, il Sac. D. Francesco, già chiamati negli anni addietro agli eterni riposi, insieme con tutta la buona e cristiana sua famiglia, egli aveva cooperato efficacemente all' impianto del primo nostro Collegio nel suo paese ; e dal 1863, in cui quell' Istituto fu aperto sino al giorno in cui il male lo incolse, quel virtuosissimo uomo più non cessò di consacrare ad esso pensieri ed affetti. Nel 1870 il Collegio fu trasferito in Borgo S. Martino, a 3 miglia di distanza da Mirabello ; e da quel tempo in poi l'operosità del Provera non che scemare si era accresciuta. Era infatti cosa che riscuoteva l' ammirazione di tutti il vederlo, d'inverno per pioggia e neve, d'estate sotto le sferzate di un sol cocente, andare e venire tra Mirabello e il Collegio, ora per recar provviste, ora per domandare se si aveva bisogno di lui, ora chiamato e il più delle volte spontaneamente ; e tutto ciò egli faceva senza alcuna retribuzione, fuorchè il piacere di poterci aiutare e la speranza di aver parte ai premii da Dio promessi a chi coopera al bene della gioventù.
Quantunque la malattia della madre e la cagionevole salute della sorella l' obbligasse all' assistenza dell'una e dell'altra, tuttavia il suo amore - a D. Bosco era tale, che, per così dire, gli moltiplicava la persona. Per noi egli era a Casale,, era a Vercelli, era ad Alessandria. Laonde si può dire che il servizio che egli ci prestò fu di tal sorta, che forse passeranno molti anni prima che sorga un'altra persona, la quale ci ricompensi della perdita fatta.
Né la carità e lo zelo del sant' uomo si limitava a noi ; poichè nel suo paese egli era l'anima e il sostegno di tutte le opere buone. Tale era la sua abilità, tale l'impegno, tale la sua equità e disinteresse, che tutti facevano capo a lui. Il Parroco, il Municipio, la Fabbriceria, la Società degli Operai Cattolici, le Confraternite, la Compa-gnia dell'Addolorata e via dicendo lo richiedevano in loro aiuto. Desideroso di fare del bene a tutti e dappertutto egli non si rifiutava mai a nessuno ; onde non potendo disbrigare tanti affari di giorno, vi attendeva di notte, logorandosi in tal modo anche la vita.
La sua calma poi era ammirabile ; non fu visto mai ad impazientirsi per affari che avesse tra mano ; non fu udito mai a pronunziare una parola, che potesse come che sia offendere il prossimo. Era quindi da tutti stimato, da tutti ascoltato, da tutti amatissimo.
Che diremo poi della sua pietà ? Occorrerebbe un grosso volume per dirne anche solo a mezzo. Basti il notare che non ostante tante occupazioni egli trovava tempo e modo di ascoltare ogni giornola Messa, e rare erano le volte che non vi facesse anche la santa Comunione. Sotto le vesti da secolare egli nascondeva lo spirito di un perfetto religioso.
Sul principio di giugno, caduto malato di febbre tifoidea, egli domandò subitamente i santi Sacramenti , che ricevette col fervore di un santo. Poco prima di spirare intonò il Te Deum e il Salmo Laudate pueri Dominum. Alla sorella , che al vederlo sorridere gli domandò che cosa avesse, egli rispose : « Mia cara sorella , tu non puoi immaginarti la contentezza che io provo in questo istante : oh ! quanto deve essere dolce il Paradiso. » Sull'aurora del 13 giugno, Vincenzo Provera, senza dolore, col sorriso sul labbro, colle mani incrocicchiate al petto, spirava soavemente nel Signore. Morte più ambita non si potrebbe fare. Meritamente il Direttore del Collegio di Borgo S. Martino nel darci la triste novella di tanta perdita ci scriveva : Vincenzo Provera ha fatto una morte da santo; e fu quale la sua vita.
Caro Vincenzo, sappiamo che prima di morire ci hai mandati a salutare, e nella tua umiltà ci hai fatto domandar perdono, se mai tu ci avessi in qualche modo offesi. Ah! no, dolcissimo amico, tu non ci hai offesi giammai, ma sempre amati, beneficati, edificati. Deh! ora da quel luogo di pace, dove fondatamente ti speriamo arrivato, prosegui a volerci bene, ci proteggi , ci difendi, ci ottieni di riunirci presto a te a contemplare , a godere, a lodare eternamente Iddio.
CAPO VIII.
fatto sacerdote - Celebra la prima messa in patria - Un ospite inatteso - La verga di Mosè.
Pare anche a noi arrivato il tempo da consolare il cuore del nostro afflittissimo Matteo. Qualunque altro avrebbe forse levato grida di lamento, per le continue opposizioni, che sorgevano contro al compimento de' suoi voti ; ma non Matteo, da tanti segni e da tanti anni ammaestrato nella dolorosa via delle prove. Nei momenti in cui più grave sentiva la perdita fatta sia del padre, sia della prima messa differita, non sapeva nè poteva far altro, che, alzando gli occhi al cielo, ripetere col profeta Giobbe: Dio ce lo ha dato, Dio ce lo ha tolto, sia benedetto per sempre il suo santo nome.
Trascorsi però alcuni giorni di lutto, e con il cuore omai quieto della sofferta burrasca, egli pensava che almeno al S. Natale avrebbe potuto dirsi finalmente sacerdote di Dio. Anche la buona vedova sua madre riposava il pensiero su quel giorno, e gioiva nella speranza, che finalmente anche per lei, in quelle feste, gli angioli del cielo avrebbero ripetuto in coro, che ritornerebbe in terra la da tanti anni sospirata pace. Ah sì ! esclamava nella amarezza dell'animo, datemi, o Signore, un poco di tranquillità, e contentate i desiderii di questo carissimo figlio !
La preghiera quando parte da un cuore addolorato ottiene quanto si desidera dal Signore. Ed ecco due settimane dopo la morte del padre di Matteo, venne a far visita alla vedova ed al figlio, colui che soleva in tutte le loro vicende essere l' angelo delle consolazioni, cioè il Paroco. Chi l'avesse veduto entrare in quella casa della pietà e del dolore, con quel suo fare consueto, grave e sereno, avrebbe dovuto dire che veniva ad annunziare delle novità. - Cominciò adunque a parlare di varie cose ; della salute che vedeva essere abbastanza buona per i suoi cari naufraghi, come in quei giorni soleva chiamare la vedova ed il figlio ; poi come Dio benediceva il suo popolo per l' abbondanza, che si sperava specialmente nei vigneti, e poi che anche quando par che castighi, si risolve sempre in segni di bontà e di misericordia. I suoi uditori non sapevano che dirsi di quel linguaggio misterioso e coperto, anzi cominciavano a temere qualche altra cosa di grave. Cessando finalmente quel fare di contegno, cercò in tasca un plicco di carte, che avevano tanto di bolli, e poi tra l'ilare e serio, disse, rivolto al buon Matteo
- Non sapeva, che tu avessi tante relazioni con quelle persone, che sogliono fare il temporale ed il bel tempo. Se tanto fai ora che sei semplice chierico, che cosa dovremo aspettarci quando sarai avanti negli anni e nelle dignità
- Caro signor Prevosto, disse Matteo, dopo aver data un'occhiata all'indirizzo, scusi, questo viene a Lei: e se v'è qualcuno che abbia con esso fatto il sereno e il cattivo tempo, dev'essere lei stessa.
- Leggi, leggi, disse sorridendo il Prevosto, io non fui che il segretario : ben altri ne fu l'autore.
Ubbidiente allora Matteo cavò di dentro all'involto una grossa lettera, che portava a caratteri ben distinti la intestazione della Curia Arcivescovile di Torino.
Invitato a leggere forte il contenuto, egli senza alcuna difficoltà leggeva quanto segue
« CARISSIMO SIG. PREVOSTO,
Sua Eccellenza Mons. Arcivescovo aderisce ben volentieri al desiderio manifestatole dalla S. V. Molto R. di domandare le Ordinazioni in tempo straordinario pel chierico Matteo... L' Ecc. Sua sentì nel profondo del cuore che quel bravissimo suo figliuolo sia stato visitato da Dio in un modo tanto doloroso, ed é ben lieta di poter in questa occasione fare come il buon samaritano , versare un po' di balsamo nella ferita. Dal Nunzio, residente qui a Torino , ha potuto far la pratica rapidamente anzi che no, ed oggi stesso ho la consolazione di comunicarle la risposta favorevole venuta da Roma.
Desidererei poi che Ella avvisasse cotesto suo amato figliuolo per la festa del S. Rosario.
Il buon Signore La benedica e La conservi per lungo tempo « a benefizio di cotesta sua vigna, » dove io so che Ella compie così bene gli uffizii » del buon Pastore. »
Non saprei dirvi come restasse l'animo del caro Matteo appena si accorse di ciò che si trattava. Dapprincipio la sua voce era intiera, e poi a poco a poco si indebolì tanto, che terminò in un dirottissimo pianto. I suoi occhi erano grossi di lacrime e non potevano più vedere le lettere, lasciò cadere di mano lo scritto, e se ne rimase muto senza poter articolare parola. La buona vedova sospirando si asciugava anch'essa le lacrime che in copia le scendevano tacitamente dagli occhi. Era però tanto solita alle pene ed alle spine, che non poteva credere vero quello che aveva sentito a leggere, e continuava a temere, che questa fosse una pia invenzione del Paroco, per sollevarla dal profondo dolore in cui la vedeva piombata.
Alla fine, come destandosi dal sonno, rivolta al figlio, che non sapeva ancor credere a se stesso:
- Dunque il buon Gesù ha udito le nostre preghiere? Potrò finalmente vederti all' altare celebrare i divini sacrifizi ? Chi può misurare e comprendere la gioia del mio cuore ? Mio figlio, vieni e andiamo a ringraziare il buon Dio del benefizio che ci ha concesso.
Si alzarono insieme, ed in fretta si portarono alla chiesa, dove da tanto tempo erano soliti quei cuori a venire a pregare per trovare consolazioni. In breve la buona notizia si sparse pel paesello, e tutti ne ringraziavano il Signore, come di consolazione propria e meritata, ed opportuna per i loro benefattori.
Quei pochi giorni, due settimane circa , che lo separavano dalle Ordinazioni , volle andarli a passare, col consenso del superiore, nel caro santuario della Madonna dei fiori, dove nel massimo dolore aveva di corto trovato pace e rassegnazione. Sotto la scorta di abile religioso egli colà si preparava alle ordinazioni. Una gran parte degli esercizii già fatti prima gli doveva servire come di norma. Di fatto egli portando seco gli accenni che aveva presi allora, e rileggendoli sentiva le medesime impressioni dalla grazia a scendere nel suo cuore. Una cosa gli piacque assai quando la. rilesse, e che quasi aveva dimenticata per le dolorose vicende degli ultimi giorni di esercizii, ed era questa che noi ci faremmo scrupolo se non la mettessimo qui per disteso. Essa ci insegnerà, con quali disposizioni egli si accostava al sacerdozio, e di qual tempra ministro di Dio egli era per essere. Copiamo senz'altro dalle sue memorie
« Sono passati alcuni giorni di questo sacro ritiro, che ci prepara alla gran dignità di ministri di Dio. La pace e la carità legano i cuori di tutti coloro che sono qui radunati ; ed alcune volte vi si sente aleggiare lo spirito del Signore.
» Come sono belli, o mio Dio, i tuoi tabernacoli ! L' anima mia si compiace. nel riposarsi vicino a loro, come la colomba nel proprio nido.
Qui si sente Dio, qui lo si vede, qui lo si gusta, e l'anima entusiasmata dalla sua presenza e dalla sua dolcezza è obbligata ad esclamare , o genti, o genti : gustate et videte quoniam suavis est Dominus.
» Ieri dopo una magnifica predica, fatta sulla condizione e sulla santità del sacerdote, ci siamo tutti compresi di soave paura, e ritornarono anche in me i timori non ancora del tutto assopiti. Andammo a far visita al predicatore, e lo trovammo in camera, mentre tutto sudato ancora stava piangendo ai piedi del crocifisso. Volevamo da lui parole di conforto, di aiuto che valessero a ritornar la calma all'abbattuto nostro spirito. Ed egli ce là diede queste parole, e furono tali che non le dimenticheremo mai più. Fra le altre cose ci disse
» Essi fra pochi giorni saranno unti sacerdoti ! O giorno, o momento, che stamperà nel loro cuore il carattere di ministri di Dio, e saranno banditori in mezzo al popolo cristiano della lieta novella della salute eterna. In quel giorno suole Gesù esser largo di favori celesti verso chi glieli domanda, e vogliano loro pregarlo di concedere che mai parola sia da loro detta invano o dal pulpito, o dal tribunale di penitenza, od anche in altro modo debbano parlare al pubblico; dimandino di custodire nel loro cuore e comunicare agli altri la vera sapienza, di cui il buon Dio è la sorgente e l'autore.
» Mio Dio, come queste parole, pronunziate con accento vigoroso ed infuocato, riaccendevano i nostri cuori di particolare affetto ! Dividendoci per tornare nelle nostre celle, abbiam presa la risoluzione di domandare nel giorno delle sacre ordinazioni il bel dono della parola; ma non di quella parola, che riempie solo di fumo chi la proferisce e lascia vuoto il cuore di chi la sente, ma bensì di quella, che ci rapisce dai bassi affetti terreni alle sante voglie del cielo.
» Fate, o buon Dio, che il vostro servo sia lume ai popoli, per guidarli in mezzo alle tene» bre di questo secolo, e condurli a Voi, che siete la luce della verità e della vita. E ne sarò degno? Mandate il vostro Angelo, come al profeta Isaia, coi carboni accesi a purificare col fuoco del paradiso il mio labbro, affinché io sia capace di annunziare con fedeltà e vantaggio il vostro santo Vangelo. »
Questi ed altri tali erano i pensieri, che animavano in quei giorni Matteo ed i suoi compagni ; e tali pure adesso si rinnovavano. Colà ai piedi di Maria SS., raccolto in soavissima quiete, i giorni volavano per il buon Matteo, ed aspettava con ansietà e gioia il mattino delle sante Ordinazioni.
Era Arcivescovo di Torino Mons. Fransoni, che fu chiamato l'Atanasio del suo tempo, per la fedeincrollabile, che mantenne ai sacri diritti della Chiesa, e per le molte persecuzioni a cui fu sottoposto. Allora però le cose correvano in apparenza assai bene tra la Chiesa e lo Stato, nè ancora si presentivano i giorni formidabili della battaglia. Ma come Egli fu sereno e grande nella lotta, era in quei giorni di calma con anima maestosa e vigilante al bene della vasta Diocesi, che Dio gli aveva dato a reggere. Esperto conoscitore dei tempi e degli uomini, non fu sorpreso dalle novità, ma vi era preparato da lungo tempo. Pareva altero, e non era che sentimento della propria autorità, che sapeva a tempo quasi dimenticare per guadagnarsi i cuori de' suoi dipendenti. Egli morto esule da venti anni a Lione, donde continuò ad essere per 12 anni vigilante Pastore, aspetta tuttavia il suo biografo, che colle virtù del suo coraggio apostolico metta in bella vista le esimie doti della sua mente e del suo cuore.
Esso medesimo accolse con lieto animo la proposta di accelerare le sacre ordinazioni, esso raccomandò con viva istanza la domanda, ed esso medesimo ottenne così rapidamente ogni dispensa. Verso la fine di settembre, anzi all'ultimo giorno, terminati gli esercizi, il pio Matteo, lasciato il divoto santuario di Maria SS. dei fiori, si avviava per alla volta di Torino in compagnia del suo Prevosto, che dati gli ordini opportuni in parochia per la festa della prima Messa, volle presentare il pio Samuele, come lo chiamava per vezzo, al tempio, ed assisterlo alla sua consecrazione. Qui seppe, che l'Arcivescovo aspettava lui ed il giovine levita nella sua villeggiatura di Pianezza, posta a poche miglia dalla città, e sulle, amene sponde della Dora. Egli accolse con amorevole bontà i due ospiti e li volle alla sua tavola. Nel discorrere così alla famigliare con il suo, Arcivescovo, Matteo, timido dapprima e poi rinfran cato, rispondeva con sì bel modo, che S. Ecc. ne tolse il piè lieto augurio. E rivolto al degno Prevosto andava ripetendo. « Che perla di giovane mi avete proposto in questo chierico, e che bravo coadiutore preparate a voi stesso. Mi pare che ci sia stoffa da fare un santo ministro degli altari. » Il buon Prevosto non faceva che confermare il suo giudizio, ricordando questa o quella ventura che resero così memorabile la vocazione del pio Matteo. Questo intanto si vedeva daddovero vicino agli Ordini santi, e sentiva con la gioia anche la trepidazione che suol essere compagna dell'anime del Signore.
Quel giorno lo passò quasi tutto in chiesa ai piedi del santo Tabernacolo. Quante volte egli diceva al Signore che lo ascoltava: - Se voi conosceste che io non fossi di salute a me ed agli altri, Signore, prendetemi ora alla vigilia, o domani appena unto sacerdote. - Stava talora curvo davanti al Signore, quasi colla fronte sopra il pavimento, e ripeteva le parole del profeta Davide:
« Come sono soavi, o Signore, le vostre tende l'anima mia va in estasi d'amore nel dimorarvi dappresso. »
Alla sera della vigilia delle ordinazioni fino ad ora tarda se ne stette in chiesa, donde a sforzo se ne allontanò per ritirarsi in camera. Quale però non fu la meraviglia dei domestici al mattino, che andati per assestare il letto, e ripulire i mobili, trovarono tutto al suo posto, ed il letto fatto e sprimacciato come l'avevano lasciato alla sera. Rimaneva ancora la piccola rimboccatura delle coltri; ma poi nessun segno che qualcuno si fosse coricato. Cominciarono a discorrerne tra sè come di una cosa la più strana del mondo, e poi la portarono alle orecchie dell'Arcivescovo, il quale notando ogni particolarità, che gli veniva esposta, sempre più si confermava delle rare virtù di quel santo giovane che Egli benediceva e consecrava ministro dell'Altissimo.
Il buon Matteo aveva veramente passata la notte quasi tutta in santi affetti col suo Dio; e solo posò un istante la persona sopra una sedia, quando fu estremamente stanco.
Io che scrivo mi ricordo d'avere sentito più volte a riferire questo medesimo fatto e ripetere più altre particolarità, che ora qui avrebbero dell'esagerato.
Più ore prima che Monsignore discendesse in cappella, egli già si trovava per preparare un meno indegno luogo al suo Signore. Non eran presenti all'atto augusto della consecrazione, che quelli che formavano la famiglia dell'Arcivescovo, e poi il prevosto di Don Matteo. Nessuno si saziava di vederlo vestirsi dei sacri abiti, camminare all'altare, e starvi inginocchiato davanti, come forse stanno gli angioli in paradiso. Accompagnava le parole dell'Arcivescovo consecrante con tale divozione, con tale affetto, con tale sentimento, che più volte si videro inteneriti gli astanti. Chi lo potè avvicinare in quell' occasione diceva essere parso a lui, come Mosè sulla montagna di Oreb, quando sentiva da Dio la missione di andare in Egitto a liberare il suo popolo.
Era ed è giorno solenne per Torino il primo di ottobre, consecrato a san Remigio vescovo di Reims in Francia, per la particolare unione che un tempo stringeva la metropolitana di Torino con quella francese. Anche questa circostanza fu argomento di maggior pietà per Matteo, il quale non finiva di raccomandarsi a questo Santo, per ricevere nelle sacre ordinazioni tutte quelle grazie di cui sentiva gran bisogno. Vicino alle unzioni solenni egli rinnovò i suoi voti, le sue promesse, e poi come vittima di carità, come Gesù, suo divin modello e gran Sacerdote immortale e santissimo, pronunziò le solenni parole della sua totale consecrazione al Signore. Chi l'avesse veduto in quell' occasione vestito de' sacri abiti, col calice alla mano, inginocchiato sul pavimento accompagnare con pietà vivissima e profonda il Vescovo celebrante e consecrante l'Ostia divina, avrebbe applicato a lui il celebre pensiero del poeta, che disse di un'anima immolata a Dio
Egli è cosa di Dio, nessun lo tocchi ! né avrebbe creduto di proferire un giudizio esagerato.
Verso le dieci egli era proprio sacerdote ! Dopo la consecrazione si fermò assai tempo davanti al Signore, a ringraziarlo di quel massimo benefizio ricevuto, né sapeva allontanarsene. Gli fu giuocoforza, perché Monsignore lo voleva con sè a prendere almeno un poco di cioccolata, prima di ritornare al paesello. - Il medesimo D. Matteo, quando mi ripeteva le amorevoli accoglienze ricevute non sapeva attribuirle ad altro che all'immensa carità dell' esimio Pastore, che si faceva a sembianza del Modello divino tutto a tutti, e che si dilettava della famigliarità coi pargoli.
Se mai qualche sacerdote mettesse l' occhio su queste povere pagine, egli non penerebbe a credere quali impressioni ricevette il buon Matteo, dall'idea di essere ministro di Dio e di dover alla dimane celebrare la s. Messa! Mi ricordo d'averlo veduto io nel ritorno da Pianezza e d'aver ricevuto da lui la lieta novella della sua prima Messa ! I suoi occhi erano scintillanti di una purissima gioia, ed il suo cuore si sentiva ardente di grande affetto.
- Son prete! mi disse con gioia, e domani celebrerò in paese!
- Ti ricorderai di me? Sai che anch'io corro per la medesima meta. Fa che Dio mi aiuti a raggiungerla.
- Non mancherò di farlo. La consolazione, di cui Dio per sua bontà mi ha concessa, desidero che si comunichi a tutti i miei fratelli di Seminario.
- Addio, amico prediletto ed invidiabile !
Gli presi la mano per baciargliela e dargli questo primo atto di ossequio non più solo come a compagno, ma come a ministro del Signore. Cercò umilmente di schermirsene, ma dovette alfin cedere al mio desiderio. L' imagine di quel primo incontro mi rimase impressa, ed anche oggi non mela posso dimenticare, tanto più che vedo come Dio benedisse largamente la missione di quel santo sacerdote.
Verso sera giungeva al paesello, dove era accolto con bellissimi atti di gioia e di tripudio. La festa del S. Rosario, che capitava appunto alla' dimane, era solenne per quella terra, e s' aggiungeva a renderla più balla e veramente grande la celebrazione della prima Messa del nostro Don Matteo. Si vedevano archi di trionfo alla porta del paese , con iscrizioni che aveva preparata il paroco prima di partire, ed il suono delle campane annunziava il fausto avvenimento. Tra la molta gente che venne loro all' incontro si vide pure una donna avvolta in nerissimi veli, e che nascondeva la faccia con una candida pezzuola. Non vi sarà difficile riconoscere in lei la buona vedova, che non potendo più resistere ad aspettare in casa il fortunato suo figliuolo, si era confusa tra i molti che erano accorsi per accoglierlo al rintorno fra loro. Entrati quasi subito in chiesa per la benedizione si videro per la prima volta dal loro benefattore D. Matteo benedire col Santissimo Sacramento. Il prevosto, prima di licenziare quella buona gente per le loro case, si credette in dovere di ringraziarla, per le religiose feste che fecero al nuovo sacerdote, dicendo in bel modo, che gli era parso di vedere il popolo di Gerusalemme correre all' incontro di Gesù. Soggiungeva poi, che la elezione di un sacerdote è una vera benedizione per il popolo cristiano, e che essi a preferenza di altri dovevano in quella sera cantare Benedictus qui venit in nomine Domini Con queste care parole li invitava alla festa del domani a venire, annunziando che la Messa nuova si sarebbe detta verso le dieci. Succedette intanto una gara religiosa fra gli uomini per baciare la mano al nuovo unto di Dio, quando egli arrivò in sacristia, e poi quando egli ritornava a casa, accompagnato dal prevosto e da un altro buon sacerdote, che soleva nelle principali solennità venire in paese a prestar una mano per le confessioni dei fedeli. Perché in quella fortunata parochia non si poteva dire che ci fosse solennità, se la più gran parte degli adulti non facesse la santa Comunione. Ed in quella occasione fu proprio generale.
Che dirò ora del modo con cui D. Matteo celebrò la prima volta la s. Messa? Se dal saggio si può argomentare della bontà della merce ; che dovremo noi dire dei sentimenti coi quali egli si accostò all'altare ? Prima dell'ora fissa il paese era tutto raccolto nella umile parochia : molti forestieri erano pur convenuti, e tutti aspettavano con religioso raccoglimento la sacra funzione. La Messa fu cantata secondo il rito gregoriano, ed accompagnata dalle dolci melodie dell' organo. All'elevazione lo sparo dei mortaretti annunziava alle vicine terre, che Gesù crasi degnato di discendere sull'umile altare tra le mani del suo servo fedele. - Ogni nostro dire sarebbe poco per esprimere la pietà, la riconoscenza, la gioia del buon sacerdote, e che palesemente si manifestavano a vicenda dagli occhi e dal volto e dal movimento di tutta la persona.
Gli occhi di tutta quella numerosa gente erano sopra il giovane celebrante, che con le lagrime agli occhi pareva non si saziasse di contemplare il suo Signore. Dopo la Messa ed il ringraziamento, accompagnato dal prevosto e da varii altri degni ecclesiastici, da quel zio che era pure suo padrino, egli si ritirò in casa a pranzo frugale e adattato alla qualità della festa. Certamente che questa sarebbe stata più compita se si fosse trovato ancor vivo il padre, ma fu bastevolmente sostituito. Sei poveri del paese furono invitati a tener il posto del defunto, e si ebbero dal nuovo sacerdote e dalla vedova le più liete e cordiali accoglienze. Non é bisogno di dirlo che la signora Nannina in quel dì la faceva da Marta e da Maria, e che tranne nel tempo della s. Messa, non ebbe più tempo come a pensare alle sue pene passate, così alla gioia presente.
Ogni mensa ebbe i suoi doni in quel giorno nel paesello di D. Matteo, e ciò per opera sua e col consiglio del prevosto, fedele interprete del desiderio di questo suo divoto figliuolo. Intanto che lieto discorrere, che ameno raccontar episodii, che rumore quasi si levava d'attorno a quella tavola ! Chi lodava la musica, chi il canto, chi le voci, chi la chiesa parata a festa, chi anche, e questo già era di necessità, la voce del celebrante. Ma il commensale che più di tutti fece parlare di sè e che onorò la divota funzione, era il magnifco sole, che, dopo due settimane di quasi continua pioggia, finalmente era comparso sull'orizzonte e vi produceva i suoi benefici effetti sulle campagne, per le quali cominciavano a temere i poveri contadini. Perciò al comparir del sole fin dalla vigilia, e al suo ritorno splendido e senza nuvole nel dì della festa, tutti quei buoni villici attribuivano quel favore alle preghiere del nuovo sacerdote o si auguravano assai di più nei giorni a venire. Tanta speranza mette in ogni cuore la presenza di un'anima veramente di Dio. Al levare della mensa non mancarono le poesie e specialmente l'indispensabile sonetto; ma noi crediamo di potercene dispensare, se non fosse fin troppo il riferire una sola strofa di una stupenda saffica letta dal prevosto a noma della sua popolazione.
Salve, o Levita! dell'amor la cara
Letizia apprendi, che ci brilla in viso ;
Salve, o Levita! nel comun sorriso
I nostri voti impara!
Ognuno alla sera si aspettava la predica, o fatta sul nuovo sacerdote, o da lui medesimo sulla solennità del giorno. Il buon prevosto invece di altri predicatori invitò il medesimo D. Matteo, che volesse così appagare il desiderio universale, col fare il panegirico sulle glorie di Maria SS. del Rosario. Non poteva tal parola cadere in terreno meglio preparato. Il suo cuore aveva bisogno di uno sfogo e presso Dio e presso gli uomini, e fu ben contento di questa occasione per soddisfare all'uno ed all'altro desiderio. Con quanto giubilo egli ascese quel pulpito ; e con quanto piacere lo rivide colla stola al collo il suo popolo !
Cominciò dal ringraziare Iddio per il segnalato benefizio d'averlo voluto elevare alla dignità di suo ministro, malgrado ogni suo demerito, e poi rivolto al popolo, che già lo accompagnava con attenzione nel suo discorso, uscì in queste accalorate parole:
« E voi, miei cari amici, come mi avete sorpreso con le vostre acclamazioni e con la vostra gioia! Come potrò sdebitarmi della riconoscenza che vi debbo? Caro Gesù, ricompensateli voi con la vostra benedizione, della riverenza manifestata verso il vostro ministro ! Io poi vi assicuro che non potendo mai più dimenticare questo giorno, che dev' essere il più bello ed il più importante di tutta la mia vita, così non dimentichero quanto voi avete fatto per rendermelo più caro. Pregherò per voi, per le vostre famiglie, per le vostre campagne, per gli altri vostri interessi e specialmente perché regni fra di noi il santo timore di Dio ; e mi stimerò felice se potrò lavorare qualche poco alla vostra santificazione. »
Venendo poi a dire della grande solennità del giorno, egli con semplicità e divozione paragonò il S. Rosario nelle mani del buon cristiano alla verga miracolosa di Mosè. Descrisse come ai tempi di s. Domenico, per opera degli eretici, fosse afflitta e piagata la religione. Notate le principali eresie, che, a guisa dei mali, che molestarono l'Egitto, correvano a danno delle anime in quasi tutto il mondo cristiano, e quali mezzi adoperati fino allora senza alcun giovamento, parlò, come Dio suscitò s. Domenico ed i suoi figli, a purificare la sua mistica vigna, a castigo degli empi ed a speranza de' buoni. La Vergine stessa aver insegnata la preghiera, che poteva rendere più efficace la loro missione e più duraturi i frutti. Il Rosario dalle mani di Maria esser passato in quelle di s. Domenico, e dalle sue in quelle di tutti i cristiani. Con esso chiamar le grazie da Dìo, con esso vincere le tentazioni, con esso confondere il demonio, con esso ravvivare la fede, con esso, in una parola, far uscire anche dalle rupi sorgenti di acqua viva e ristorante, cioè operar meravigliose conversioni... Non possiamo seguirlo in tutto il suo discorso, perchè non ce lo consente il tempo ma sappiamo che piacque infinitamente, e che con le altre memorie di quel giorno rimase famosa la verga di Mosé. Anche adesso D. Gaudenzio adopera un uso frequente del s. Rosario, nel quale ha speciale confidenza ; e chi lo conosce suol dirgli che egli è il novello Mosè, perchè lo trova sempre con in mano la prodigiosa corona, e che non si stupisce di quella sua particolare divozione, avendo in quel dì ricevute le sante ordinazioni.
REVmo SIGNORE,
Da qualche tempo era travagliato da forte mal di stomaco, che mi rendeva assai tristo di giorno ed irrequieto di notte. Mi sono per tempo rivolto ai rimedii dell'arte umana per vedere se in tutto o almeno in parte cessasse l'indisposizione ; ma non ne fu nulla. Che anzi la prima domenica di giugno (e sarà quello per me un giorno memorabile per tutta la vita) il male accrebbe a tal segno, che non potendo più reggermi in piedi fui forzato a coricarmi intorno le otto ant. Per tutto quasi quel giorno si succedettero in me il dolore e la noia ; mi pareva che in quello stato non avrei potuto resistere. Verso sera mi balenò alla mente una felice idea. Era quella di raccomandarmi caldissimamente al Sacratissimo Cuore di Gesù. Detto fatto ; gli innalzo tosto una calda preghiera, facendo voto nel tempo stesso, ove ottenessi là grazia di una guarigione , d' essere più divoto nella pietà e più assiduo e diligente nei doveri del mio stato. Ed oh ! bontà grande del Signore verso di me miserabile peccatore ! Quella preghiera saliva gradita al trono dell' Altissimo. In quel punto stesso cominciai a star bene, la notte ho potuto riposare, e la mattina seguente coi mio grande stupore e contento mi vidi in istato da poter riprendere le mie interrotte occupazioni.
Alzatomi, mio primo pensiero fu di ringraziare. cordialmente chi mi aveva concesso un tanto favore. Questo però non basta. Una grazia così portentosa ben si merita, a mio parere, d'essere registrata nel Bollettino Salesiano, perché sia nota ai fedeli a loro vantaggio spirituale e temporale. Perciò prego la S. V. che voglia pubblicarla, affinché sia vie meglio conosciuto , onorato ed invocato il dolcissimo Cuore di Gesù.
Torino, 15 giugno 1882.
EUDALIA GIOVANNI
Per concessione pontificia, in data del 9 di maggio 1876, ogni Cooperatore ed ogni Cooperatrice può guadagnare tutte le Indulgenze dei Terziarii di S. Francesco di Assisi, tanto plenarie, quanto parziali.
Fra le altre può acquistare Indulgenza plenaria una volta al giorno, da applicarsi alle anime del Purgatorio, recitando la terza parte del Rosario di Maria Vergine avanti al SS. Sacramento, e non potendo avanti al divin Sacramento, recitandola innanzi al Crocefisso.
Indulgenza plenaria ogni volta che si accosta alla santa Comunione.
Può altresì lucrare moltissime Indulgenze nel corso del giorno , mediante la recita di sei Pater, Ave e Gloria, secondo la mente del Sommo Pontefice. E queste indulgenze , applicabili alle anime purganti , le può acquistare toties quoties, ossia tutte' le volte che recita i suddetti Pater, Ave e Gloria in qualunque luogo, senza bisogno di Confessione e Comunione, purchè sia in grazia di Dio.
Oltre a queste, un'altra Plenaria ne può guadagnare ogni Domenica, e nei giorni qui sotto notati, purchè confessato negli otto giorni, e comunicato visiti una qualche Chiesa o pubblico Oratorio, pregandovi secondo la mente del Sommo Pontefice.
1. S. Pietro in Vincoli.
2. Dedicazione di Nostra Signora degli Angeli - Indulgenza plenaria toties quoties nelle Chiese Salesiane pei Salesiani e loro Cooperatori e Cooperatrici.
4. S. Domenico.
5. Beata Vergine della Neve.
6. Trasfigurazione di Nostro Signor Gesù Cristo. 12. S. Chiara Vergine, fondatrice delle Clarisse. 15. Assunzione di Maria Vergine in Cielo. 16. S. Rocco.
24. S. Bartolomeo Apostolo. 25. S. Luigi Re di Francia.