PERIODICO MENSILE PER I COOPERATORI DELLE OPERE E MISSIONI DI DON BOSCO
ANNO XLIX. TORINO, SETTEMBRE 1925 NUMERO 9.
REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: VIA COTTOLENGO, 2 - TORINO (9)
SOMMARIO: « Allegria, studio e pietà » nel sistema educativo del Ven. Don Bosco. -- Il Ven. Don Bosco a Mondragone. - Il B. Giuseppe Cottolengo e il Veri. Don Bosco. - Le Missioni Salesiane: Maria Ausiliatrice a Shanghai. - Dalle residenze dei Kivari. - Dall'India: Mentre la Redenzione tarda! - Gioventù Missionaria. - Il contributo di un Missionario salesiano alle esplorazioni della Terra del Fuoco. - L'Orfanotrofio Salesiano di Ho-Si (Cina). - Meraviglie di Maria Ausiliatrice. - A gloria del Sacro Cuore! - Memoranda Udienza Pontificia. - Nuovo Vescovo Salesiano. - Nuovo Prefetto Apostolico. - Notizie varie. - Cooperatori e Salesiani defunti.
Una delle decorazioni del tempio, che sul finir di ottobre verrà inaugurato in Torino ad onore di Gesù Adolescente e della Sacra Famiglia, sarà la varia teoria di giovani dell'uno e dell'altro sesso, che sulle orme del Modello Divino s'inoltrarono per le vie della santità, ed ebbero già o si attende che abbiano dalla Chiesa l'onore degli altari, o vivranno per lo meno nella famiglia nostra con la fronte ricinta dell'aureola della più alta ammirazione. Le loro sembianze, campeggianti nelle diciotto finestre della nave centrale, saranno in special modo per le anime adolescenti altrettanti fari lucenti per la via del cielo, e ripeteranno a tutti con S. Ambrogio: Nulla Dei regno infirma aetas: anche i piccoli posson farsi santi, e grandi santi.
Tra cotesti adolescenti, per desiderio del sig. Don Rinaldi, a lato di Domenico Savio figurerà anche FRANCESCO BEsucco di Argentera (Cuneo), che edificò con lo splendore delle virtù prima di venire all'Oratorio, dove visse dai primi di agosto del 1863 all'11 gennaio del 1864, quando volò al cielo.
Di quell'anno medesimo il Ven. Don Bosco ne scrisse una cara biografia, additando nell'umile pastorello delle Alpi, ammiratore entusiasta di Domenico Savio e di Michele Magone, un esempio splendido del suo metodo educativo (1).
Noi ne offriamo alcune pagine ai nostri lettori; e poichè si tratta di una documentazione preziosa per quanti ammirano il metodo educativo di Don Bosco ed amano studiarlo nelle brevi pagine e negli altri pochi accenni originali usciti dalla penna del Venerabile, trascriveremo in corsivo quanto verremo spigolando ad litteram dall'edizione riveduta e corretta dal Venerabile, senza ulteriori citazioni.
(1) Cfr.: Il pastorello delle Alpi, ovvero Francesco Besucco di Argentera, pel Sac. GIOVANNI Bosco, Torino, Tipografia dell'Oratorio di San Francesco di Sales, 1864, 192 pagine (fascicoli di luglio e agosto delle Letture Cattoliche).
« Egli aveva già passato alcuni giorni nell'Oratorio, ed io non l'aveva ancor veduto, nè altro sapeva di lui, se non quel tanto che l'arciprete Pepino per lettera mi aveva comunicato. Un giorno io faceva ricreazione in mezzo ai giovani di questa casa, quando vidi uno vestito quasi a foggia di montanaro, di mediocre corporatura, di aspetto rozzo, col volto lenticchioso. Egli stava cogli occhi spalancati, rimirando i suoi compagni a trastullarsi. Come il suo sguardo s'incontrò col mio, fece un rispettoso sorriso portandosi, verso di me.
- Chi sei tu? gli dissi sorridendo.
- Io sono Besucco Francesco dell'Argentera. - Quanti hanni hai?
- Ho presto quattordici anni.
- Sei venuto tra noi per istudiare, o per imparare un mestiere?
- Io desidero tanto tanto di studiare. - Che scuola hai già fatto?
- Ho fatto le scuole elementari del mio paese. - Con quale intenzione tu vorresti continuare gli studi e non intraprendere un mestiere?
- Ah! il mio vivo, il mio gran desiderio si è poter abbracciare lo stato ecclesiastico.
- Chi ti ha mai dato questo consiglio?
- Ho sempre avuto questo nel cuore ed ho sempre pregato il Signore che mi aiutasse per appagare questa mia volontà.
- Hai già dimandato consiglio a qualcheduno?
- Sì, ne ho già parlato più volte con mio padrino; sì, con mio padrino... - Ciò detto apparve tanto commosso, che cominciavano a spuntargli sugli occhi le lagrime.
- Chi è tuo padrino?
- Mio padrino è il mio prevosto, l'arciprete dell'Argentera, che mi vuole tanto bene. Egli mi ha insegnato il catechismo, mi ha fatto scuola, mi ha vestito, mi ha mantenuto. Egli è tanto buono, mi ha fatto tanti benefizi, e dopo d'avermi fatto scuola due anni, mi ha raccomandato a lei affinchè mi ricevesse nell'Oratorio. Quanto mai è buono mio padrino! Quanto mai egli mi vuol bene!
Ciò dello si pose di nuovo a piangere. Questa sensibilità ai benefizi ricevuti, questo affetto al suo benefattore fecemi concepire una buona idea dell'indole e della bontà di cuore del giovinetto... È provato dall'esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire... ».
Era il 1863. Il Venerabile aveva deciso di erigere la Basilica di Maria Ausiliatrice e cominciava a divulgarne l'idea per suscitare dei cuori generosi che lo aiutassero, e continuava ad essere personalmente il direttore dell'Oratorio Tra studenti ed artigiani settecento erano gli alunni interni, e a tutti in particolare arrivava il santo influsso della sua carità. Francesco Besucco ebbe delineato in TRE PAROLE il programma di condotta.
Un programma in tre parole.
« Nella sua umiltà Francesco giudicava tutti i suoi compagni più virtuosi di lui, e gli sembrava di essere uno scapestrato in confronto della condotta degli altri. Laonde pochi giorni dopo me lo vidi nuovamente venire incontro con aspetto alquanto turbato.
- Che hai, gli dissi, mio caro Besucco?
- Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni; io vorrei farmi molto buono al par di loro, ma non so come fare, ed ho bisogno ch'Ella mi aiuti.
- Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili. Se vuoi farti buono, pratica TRE SOLE cosE e tutto andrà bene.
- Quali sono queste tre cose?
ECCole: ALLEGRIA, STUDIO, PIETÀ. È questo il grande programma, il quale praticando, tu potrai vivere felice, e far molto bene all'anima tua.
'' ALLEGRIA ".
« - Allegria... allegria... (osservò Besucco). Io sono fin troppo allegro. Se lo stare allegro basta per farmi buono, io andrò a trastullarmi da mattina a sera. Farò bene?
- Non da mattino a sera, ma solamente nelle ore in cui ti è permessa la ricreazione ».
Besucco, anima ardente e generosa, prese anche la spiegazione « in senso troppo letterale, e nella persuasione dì fare veramente cosa grata a Dio trastullandosi, mostravasi ognora impaziente del tempo libero per approfittarne ».
Don Bosco lo corresse e gli insegnò a fare una ricreazione sana e saggia, utile e santa.
« Un giorno mi si avvicinò tutto zoppicante ed impensierito:
- Che hai, Besucco, gli dissi?
- Ho la vita tutta pesta, mi rispose.
- Che ti è accaduto?
- Son poco pratico dei trastulli di questa casa, perciò cado ora urtando col capo, ora colle braccia, o colle gambe, ieri, correndo, ho battuto colla mia faccia in quella di un compagno, e ci siamo fatto insanguinare il naso ambidue.
- Poverino! ùsati qualche riguardo, e sii un po' più moderato.
- Ma Ella mi dice che questa ricreazione piace al Signore, ed io vorrei abituarmi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i miei compagni.
- Non intenderla così, mio caro; i giuochi ed i trastulli devono impararsi poco alla volta di mano in mano che ne sarai capace, sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione, ma non mai di oppressione al corpo.
Da queste parole egli comprese come la ricreazione debba essere moderata, e diretta a sollevare lo spirito, altrimenti sia di nocumento alla medesima sanità corporale. Quindi continuò, bensì, a prendere volentieri parte alla ricreazione, ma con grande riserbatezza; anzi quando il tempo libero era alquanto prolungato, soleva interromperla per trattenersi con qualche compagno più studioso, per informarsi delle regole e della disciplina della casa, farsi spiegare qualche difficoltà scolastica, ed anche per recarsi a compiere qualche esercizio di cristiana pietà.
Di più egli imparò un segreto per fare del bene a sè ed a' suoi compagni nelle stesse ricreazioni, e ciò col dare buoni consigli, o avvisando in modi cortesi coloro cui si fosse presentata occasione, siccome soleva già fare in sua patria, in una sfera tuttavia assai più ristretta. Il nostro Besucco tem perando così la sua ricreazione con detti morali o scientifici, divenne in breve un modello nello studio e nella pietà ».
" STUDIO".
« Un giorno il Besucco in mia camera lesse sopra un cartello queste parole: OGNI MOMENTO DI TEMPO È UN TESORO.
- Non capisco, mi chiese con ansietà, che cosa vogliano significare queste parole. Come noi possiamo in ogni momento di tempo guadagnare un tesoro?
- È proprio così. In ogni momento di tempo noi possiamo acquistarci qualche cognizione scientifica o religiosa, possiamo praticare qualche virtù, fare un atto di amor di Dio, le quali cose avanti al Signore sono altrettanti tesori che ci gioveranno pel tempo e per l'eternità.
Non proferì più alcuna parola, ma scrisse sopra un pezzetto di carta quel detto, di poi soggiunse: - Ho capito. - Comprese egli quanto fosse prezioso il tempo, e richiamando alla memoria quanto gli aveva raccomandato il suo Arciprete, disse: - Mio padrino me lo aveva già detto anch'egli che il tempo è molto prezioso, e che noi dobbiamo occuparlo bene cominciando dalla gioventù ».
Ed « io - dichiara Don Bosco - posso dire a gloria di Dio, che in tutto il tempo che passò in questa casa non si ebbe mai motivo di avvisarlo od incoraggiarlo all'adempimento dei suoi doveri. Vi è l'uso in questa casa che ogni sabato si dànno e poi si leggono i voti della condotta che ciascun giovine tenne nella settimana nello studio e nella scuola. I voti di Besucco furono sempre eguali, cioè OPTIME » - tutti DIECI assoluti.
Come vi sia riuscito, lo scriveva egli stesso ad un compagno:
« Tu mi hai chiesto come io abbia potuto sostenermi in seconda grammatica, mentre che il mio corso regolare dovrebbe essere appena la prima. Io ti rispondo schiettamente che questa è una special benedizione del Signore, che mi dà sanità e forza. Mi sono per altro servito di tre segreti che ho trovato e praticato con grande mio vantaggio e sono:
» I° Di non mai perdere briciolo di tempo in tutte le cose stabilite per la scuola o per lo studio.
» 2° Nei giorni di vacanza ed in altri, in cui siavi ricreazione prolungata, dopo mezz'ora vado a studiare, oppure mi metto a discorrere di cose di scuola con alcuni compagni più avanzati di me nello studio.
» 3° Ogni mattina prima d'uscir di chiesa dico un Pater ed un'Ave a S. Giuseppe. Questo fu per me il mezzo efficace che mi portò avanti nella scienza e da che ho cominciato a recitare questo Pater, ho sempre avuto maggior facilità sia per imparare le lezioni, sia per superare le difficoltà che spesso incontro nelle materie scolastiche ».
E terminava:
« Prova anche tu a fare altrettanto, e ne sarai certamente contento ».
" PIETÀ „.
Prosegue Don Bosco:
« Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della Confessione e Comunione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita ».
Parole che valgono molti volumi!
« La frequente Confessione, la frequente Comunione, la Messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuole tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai obbligare i giovinetti alla frequenza dei Santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarveli e porgere loro comodità di approfittarne ». Così spiega lo stesso Venerabile nelle auree pagine intorno il sistema preventivo nell'educazione dotta gioventù.
Nella biografia di Besucco, parlando della pietà del caro alunno, traccia anche i mezzi elle si devono usare per alimentarla.
Per la pratica della pietà:
1) Frequente Confessione.
Quale frequenza? In linea di massima « ogni otto giorni », non di più; ma possibilmente dallo stesso confessore. Besucco, « fatta la scelta del confessore, nol cangiò più per tutto il tempo che il Signore lo conservò tra noi. Egli aveva con esso piena confidenza, lo consultava anche fuori di confessione, pregava per lui, e godeva grandemente ogni volta poteva avere da lui qualche buon consiglio per sua regola di vita ».
« Mentre - insiste il Venerabile - lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando co' più vivi affetti del cuore a tutti, ma in ispecial modo alla gioventù, di voler fare per tempo la scelta d'un confessore stabile, nè mai cangiarlo, se non in caso di necessità. Si eviti il difetto di alcuni, che cangiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose di maggior rilievo vanno da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo. Facendo così costoro non fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che conosca a dovere lo stato di loro coscienza. Loro accadrebbe quello che ad un ammalato, che in ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male dell'ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi ».
E - giustamente - era tanta l'efficacia morale ed educativa che Don Bosco ammetteva a questo Sacramento, che non si trattenne dall'aggiungere tre raccomandazioni agli educatori della gioventù.
« Che se per avventura questo libretto fosse letto da chi è dalla Divina Provvidenza, destinato all'educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore.
Primieramente inculcare con zelo la frequente confessione, come sostegno della instabile giovanile età, procurando tutti i mezzi, che possano agevolare l'assiduità a questo Sacramento.
Insistano secondariamente sulla grande utilità della scelta d'un confessore stabile da non cangiarsi senza necessità, ma vi sia copia di confessori, affinchè ognuno passa scegliere colui, che sembri più adattato al bene dell'anima propria. Notino sempre, per altro, che chi cangia confessore non fa alcun male, e che è meglio cangiarlo mille volte, piuttosto che tacere alcun peccato in confessione.
Nè manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto della confessione. Dicano esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto naturale, ecclesiastico, divino e civile, per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male, fosse anche la morte, manifestare ad altri cose udite in confessione o servirsene per sè, che anzi non può nemmeno pensare alle cose udite in questo Sacramento; che il confessore non fa alcuna meraviglia, nè diminuisce l'affezione per cose comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al penitente. Siccome il medico quando scopre tutta la gravezza del male dell'ammalato gode in cuor suo perchè può applicarvi l'opportuno rimedio, così fa il confessore che è medico dell'anima nostra, e a nome di Dio coll'assoluzione guarisce tutte le piaghe dell'anima.
» Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e a dovere spiegate si otterranno grandi risultati morali fra i giovinetti e si conoscerà coi fatti qual maraviglioso elemento di moralità abbia la Cattolica Religione nel sacramento della penitenza ».
2) Frequente Comunione.
« Il secondo sostegno della gioventù - continua Don Bosco - è la S. Comunione. Fortunati quei giovinetti che cominciano per tempo ad accostarsi con frequenza e colle debite disposizioni a questo Sacramento ».
Ma attenti a non obbligarli alla frequenza dei Santi Sacramenti! Limitiamoci sempre ad incoraggiarveli e a porgere loro comodità di approfittarne. Spiega Don Bosco: «Nei casi di esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni, catechismi, si faccia rilevare la bellezza, la grandezza, la santità di quella Religione che propone dei mezzi cosi facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell'anima, come appunto sono i santi Sacramenti. In questa guisa i fanciulli restano spontaneamente invogliati a queste pratiche di pietà, vi si accosteranno con piacere e con frutto (1).
Besucco « mentre era ancora in patria, soleva già accostarvisi ogni settimana, di poi tutti i giorni festivi ed anche qualche volta lungo la settimana. Venuto all'Oratorio, continuò per qualche tempo a comunicarsi colla stessa frequenza, di poi eziandio più volte la settimana e in alcune novene anche tutti i giorni ».
Le idee del Venerabile Don Bosco sulla Comunione frequente.
Don Bosco dovette combattere certe apprensioni che provava il pio giovane nell'accostarsi alla Sacra Mensa con frequenza maggiore, le quali derivavano da una grande delicatezza di coscienza e dall'altissima venerazione che aveva per l'Augusto Sacramento. Coteste difficoltà crebbero un giorno in cui Besucco sentì dire da « una persona venuta in questa casa », probabilmente da qualche predicatore non salesiano, « che era meglio accostarsi (alla Santa Comunione) PIÙ DI RADO, per accostarvisi CON UNA LUNGA PREPARAZIONE e CON MAGGIOR FERvoRE »: e Don Bosco, con facili argomenti, le dissipò.
« Un giorno egli si presentò ad un suo superiore (Don Bosco stesso) e gli espose tutte le sue inquietudini. Questi studiò di appagarlo dicendo:
- Non dài tu con grande frequenza il pane materiale al corpo?
- Sì, certamente.
- Se tanto frequentemente diamo il pane materiale al corpo, che soltanto deve vivere qualche tempo in questo mondo, perchè non dovremo dare sovente, anche ogni giorno, il pane spirituale all'anima, che è la S. Comunione (2)?
- Ma mi sembra di non essere abbastanza buono per comunicarmi tanto sovente.
- Appunto per farti più buono è bene accostarti spesso alla S. Comunione. Gesù non invitò i santi a cibarsi del suo corpo, ma i deboli, gli stanchi, cioè quelli che abborriscono il peccato, ma per la loro fragilità sono in gran pericolo di ricadere: « Venite a me tutti, egli dice, voi che siete travagliati ed oppressi, ed io vi ristorerò ».
- Mi sembra che se si andasse più di rado si farebbe la Comunione con maggior divozione.
- Non saprei dirlo; quello che è certo, si è che l'uso insegna a far bene le cose, e chi fa sovente una cosa, impara il vero modo di farla: così colui che va con frequenza alla Comunione, impara il anodo di farla bene.
- Ma chi mangia più di rado, mangia con maggior appetito.
- Ma chi mangia più di rado e passa più giorni senza cibo, egli o cade per debolezza, o muore di fame; oppure il primo momento che mangia, corre pericolo di fare una rovinosa indigestione.
- Se è così, per l'avvenire procurerò di fare la S. Comunione con molta frequenza, perchè conosco veramente che è un mezzo potente per farmi buono.
- Va' colla frequenza che ti è prescritta dal tuo confessore.
- Egli MI DICE DI ANDARE TUTTE LE VOLTE CHE NIENTE M'INQUIETA LA COSCIENZA.
- Bene, segui pure questo consiglio. Intanto voglio farti osservare che nostro Signore Gesù Cristo c'invita a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue tutte le volte che ci troviamo in bisogno spirituale; e noi viviamo in continuo bisogno in questo mondo. Egli giunse fino a dire: « Se non mangerete il mio Corpo e non beverete il mio Sangue, non avrete con voi la vita ». Per questo motivo al tempo degli Apostoli i cristiani erano perseveranti nella preghiera e nel cibarsi del Pane Eucaristico. Nei primi secoli tutti quelli che andavano ad ascoltare la S. Messa facevano la S. Comunione. E chi ascoltava la Messa ogni giorno, eziandio ogni giorno si comunicava. Finalmente la Chiesa Cattolica rappresentata nel Concilio Tridentino raccomanda ai Cristiani di assistere quanto loro è possibile al SS. Sacrificio della Messa, e fra le altre ha queste belle espressioni: « Il Sacrosanto Concilio desidera sommamente che in tutte le Messe i fedeli che le ascoltano, facciano la Comunione non solo spiritualmente, ma eziandio sacramentalmente, affinchè in loro sia più copioso il frutto che proviene da questo Augustissimo Sacrificio (Sess. 22 C. 6). »
3) Venerazione al Santissimo Sacramento.
Il Venerabile per illustrare lo spirito di pietà nel quale fu educato Besucco consacra un capo circa la venerazione al SS. Sacramento, che il pio giovinetto manifestava « non solo con la fre quente Comunione, ma in tutte le occasioni che gli si presentavano ».
In patria, gustava una gioia di paradiso nell'accompagnare il SS. Viatico e nell'aiutare « i compagni più giovani di lui o meno istruiti a prepararsi per comunicarsi degnamente, e a fare dopo il dovuto ringraziamento ». Dei mesi che visse nell'Oratorio don Bosco ricorda le visite quotidiane al SS. Sacramento; le insistenze che faceva presso quel prete o quel chierico, « affinchè radunati alcuni giovani li accompagnasse in chiesa » allo stesso scopo; le industrie con cui cercava egli stesso di condurvi qualche compagno, e le sue visite anche nelle ore in cui non vi si recavano altri. E narra come più d'una volta, recandosi egli, il Venerabile, in chiesa dopo cena, « mentre appunto i giovinetti della casa facevano la più allegra ed animata ricreazione nel cortile », non avendo tra mano il lume, inceppò in cosa che sembravagli sacco di frumento, con rischio prossimo di cadere stramazzone: « ma quale - egli dice - non fu la mia sorpresa, quando mi accorsi di aver urtato nel divoto Besucco, che in un nascondiglio, dietro ma vicino all'altare, in mezzo alle tenebre della notte pregava l'amato Gesù a favorirlo dei celesti lumi per conoscere le verità, farsi ognora più buono, farsi santo? »
Il culto del S. Tabernacolo per Don Bosco e i suoi alunni era un'alta sorgente di fervore.
4) Amore alla preghiera.
Ma perchè le tenere anime riescano a trarre dalla frequenza dei Santi Sacramenti e dalle visite a Gesù Sacramentato frutti preziosi e duraturi, è necessario educarle allo spirito di preghiera. « È cosa assai difficile - dice chiaramente Don Bosco - il far prender gusto alla preghiera ai giovinetti. La volubile età loro fa sembrare nauseante ed anche enorme peso qualunque cosa richieda seria attenzione di mente. Ed è una grande ventura per chi da giovinetto è ammaestrato nella preghiera, e ci prende gusto ». Bisogna educarveli per tempo e progressivaniente, e con mezzi efficaci: ad es. con la recita devota delle preghiere del mattino e della sera, con l'assistenza quotidiana alla Santa Messa, con una speciale devozione a Maria Santissima, con lo splendore delle sacre funzioni nei giorni solenni, con le istruzioni catechistiche adatte alla loro intelligenza, specie con l'esposizione ben fatta del Vangelo e della Storia Sacra, ecc. ecc.
Besucco, educato così a tempo, l'aveva tanto profondo questo spirito di preghiera, che bisognava moderarlo. Al mattino era quasi sempre l'ultimo ad uscir di chiesa, anche a costo di perder la colazione, per poter pregare ancora innanzi all'altare della Madonna, prostrato nel luogo stesso dove soleva prostrarsi Domenico Savio. La sera, giunto in dormitorio, si metteva ginocchioni sopra il baule e indugiava in preghiera un quarto d'ora ed anche una mezz'ora; finchè, invitato a desistere, obbediente prese ad andare a letto con i compagni, ma appena coricato giungeva le mani dinanzi al petto e continuava a pregare finchè non dormiva.
Non era una vita angelica? Sì, e a tutelarla Don Bosco insegna ai giovani anche la pratica della temperanza e mortificazione cristiana.
5) Spirito di temperanza.
« Parlare di penitenza ai giovinetti generalmente è recar loro spavento. Ma quando l'amor di Dio prende Possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nessun patimento lo affligge, anzi ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosa ricompensa nella beata eternità ».
Il Venerabile non permetteva ai suoi che facessero aspre penitenze, ma li educava a considerar come tali « la diligenza nello studio, l'attenzione nella scuola, l'ubbidire ai superiori, il sopportare gli incommodi della vita quali sono caldo, freddo, vento, fame, sete », ed anche « esercitare i lavori più umili nella casa », ecc., ecc.
Tuttavia, in molte anime angeliche, come in quella di Besucco, avvampò anche l'amore alla penitenza, perchè è dolce a un'anima, quando arde di fervori eucaristici, il soffrire e l'imporsi qualche mortificazione per il Signore.
Un'anima pura e immacolata, che ha preso l'abitudine di combattere con prontezza ogni anche minima tentazione dei sensi, dalla generosità e facilità progressiva con cui respinge la lotta e dalla gioia sempre più grande che l'innonda dopo ogni vittoria, attinge a poco a poco, quasi . insensibilmente, quella severità sovrana sopra se stessa, che la rende anche in giovanissima età capace di mortificazioni che il mondo non sa comprendere.
In grado eroico cotesto è privilegio di pochi, ma come mezzo per progredire nel bene è dovere di tutti: Si poenitentiam non egeritis, omnes similiter peribitis.
Don Bosco, adunque, all'ALLEGRIA ed allo STUDIO voleva congiunta la vera PIETÀ, basata sulla frequenza dei Sacramenti, nutrita di fervori eucaristici, alimentata dallo spirito di preghiera e dalla pratica della temperanza cristiana. Tale la vita che vissero Michele Rua, Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco, e molti altri alunni dell'Oratorio.
(1) Cfr. Il sistema educativo preventivo nell'educazione della gioventù, cap. 30, § 4°.(2) Sant'Agostino.
Tra gli illustri personaggi che in questo sessantennio di vita del nostro Collegio si degnarono venire quassù, non già ad ammirare curiosamente i rimasugli logori di una grandezza passata, scheletrita nelle ruvide ed austere linee architettoniche di questo palazzo, ma ad attestarci la loro simpatia, a dimostrarci la loro fiducia, va ricordato con vero sentimento di compiacenza e di gratitudine il Ven. D. Giovanni Bosco, fondatore della tanto benemerita Società Salesiana per l'educazione della gioventù.
I Padri e i convittori di quel tempo dovettero stimarsi ben fortunati ed orgogliosi di accogliere questo santo sacerdote, riceverne la benedizione e ascoltarne le dolci parole di sublime esortazione. E fu disposizione adorabile della Divina Provvidenza che due anni appena dalla fondazione questo collegio fosse benedetto da Don Bosco, cuore d'apostolo ed organizzatore mirabile alla conquista dei giovani. Era un attestato della celeste benevolenza su le allora presenti e su le future generazioni destinate ad apprendere quassù l'insieme dei principi scaturiti tutti dalle pagine del Vangelo, destinati a produrre più tardi quella falange di uomini che ci fecero e ci fanno onore.
Don Bosco dunque venne a Mondragone il 18 gennaio 1867. Alcuni dei nostri bravi « Ex-allievi » ricordano la memoranda visita e come il P. Ponza di S. Martino, allora rettore, radunasse i convittori per presentarli a Don Bosco, dicendo loro: - Vi ho portato un Sacerdote santo perchè - vi benedica.
Dal diario del p. Ministro abbiamo dettagliata notizia di questo avvenimento « 1867 - 18 gennaio - Festa della Cattedra di S. Pietro - Viene Don Bosco con un altro sacerdote piemontese, il p. De Lorenzi ed il Baron Cappelletti. Pranzano nel refettorio dei convittori, alla 2a tavola. Don Bosco benedice tutte le camerate dei convittori e fa loro una piccola esortazione. Benedice e parla anche ad alcuni Padri in particolare. Partono coll'ultimo treno dopo averci consolato assai colla visita ».
L'altro sacerdote piemontese, di cui non si fa il nome, dovette probabilmente essere D. G. B. Francesia, tutt'ora vivente, il quale accompagnava Don Bosco in occasione di questa sua seconda venuta a Roma, che per la fama delle virtù e delle opere sue gli procurò un'accoglienza così splendida che fu chiamata un trionfo, sino a dirsi da molti periodici che tutta Roma paresse trovarsi in San Pietro in Vincoli dove Don Bosco abitava (1).
Don Bosco rivedeva Mondragone venti giorni dopo, passando per andare a Camaldoli. Ne abbiamo notizia dallo stesso diario: « 1867 - 8 Febbraio. - Il p. Rettore va fino alla stazione per andare a Roma, ma saputo che veniva Don Bosco a Camaldoli, ritorna a Mondragone. Il dopo pranzo il p. Rettore concede vacanza, e quasi tutti i Padri vanno a Camaldoli a visitare Don Bosco ».
Sia lode al Signore che si è degnato d'inviarci il suo buon Servo ad incoraggiare l'opera nostra e a benedirne il fulgido inizio.
(Dal periodico « IL MONDRAGONE » di giugnoluglio 1925, pag. 7-8).
(1) Era proprio Don Francesia, il quale ricorda di aver accompagnato due volte il Venerabile a Mondragone, e scrisse allora, con soave calore, molte lettere del secondo viaggio di Don Bosco all'eterna città, e in seguito ne stese un' ampia narrazione, pubblicata nelle Letture amene ed educative, col titolo: "Due mesi con Don Bosco a Roma ".
Ecco un episodio, narrato dall'autore della vita del Cottolengo, che merita di essere conosciuto:
... Ed ora (così il P. Pietro Paolo Gastaldi) ponga fine a questo capitolo - il III del libro libro VI della vita del Beato (2) - un fatto che non trovasi ne' processi, nè dell'Ordinario, nè Apostolico, ma che tuttavia ricordo, appoggiato all'autorità e santa vita di chi mel raccontò. E questi il venerando fondatore dell'Oratorio di San Francesco di Sales, il sacerdote Don Giovanni Bosco, il quale venendo di tempo in tempo al castello della Duchessa di Laval Montmorency ove io stava scrivendo la vita del Servo di Dio, non era mai che non mi interrogasse circa l'opera mia, qual modo avessi adottato nello svolgerla, a qual punto mi fossi, se quei diciotto volumi del Processo dell'Ordinario non mi spaventassero ed altre cose consimili.
Passeggiando una volta da solo a solo con lui nel gran parco, e ritornando egli a parlare de' miei lavori mi disse: - Ella certamente non
ha conosciuto il Cottolengo; ma io che assai più di Lei sono avanti negli anni, lo conobbi, gli parlai, e ricordo benissimo la sua fisonomia; anzi le racconterò adesso una cosa che panni degna di essere ricordata.
Raddoppiai allora di attenzione, e colla lentezza e semplicità che egli adoperava nel parlare, soggiunse: - Essendo io chierico studente tuttavia, andai una volta alla Piccola Casa, accompagnando un sacerdote, il quale doveva discorrere di alcuna cosa con quel sant'uomo. Quand'ebbe finito di sentire e rispondere al suo interlocutore, il Venerabile si rivolse a me, e sorridendo mi disse: « Oh che tu sei giovane! ma io son vecchio »; e fissandomi gli occhi in volto mi si fece vicino. Preso allora colla mano un po' della falda della mia talare, e stropicciandola alquanto, continuò a parlarmi dicendo: « Vedi, figlio mio, questo panno è troppo fine, ciò nondimeno per adesso può servire; ma quando sarai sacerdote, ricòrdati che dovrai cangiarlo in un altro di maggior forza e durata: perchè in quel tempo avrai poi tanti e tanti attorno di te, e chi tirerà da una parte, e chi ti vorrà dall'altra, sicchè, se la tua sottana non sarà forte a tutta prova, sarai obbligato a portarla stracciata ».
Dissemi ancora Don Bosco: - In quel momento e per alcuni anni da poi non compresi ciò che con tali parole volesse significare quella sant'anima. Quando però Iddio misemi in cuore, e mi aiutò a raccogliere birichini, e vidi che l'Oratorio cresceva, cresceva; che di continuo essendo tra quei giovinetti, uno mi tirava di qua, e l'altro mi strappava di là, dissi tra me: « Ecco avverata la predizione del Padre Cottolengo, ecco la talare di panno fine cangiata in altra di maggior sostanza! »
Così egli; e ben si può credere, che perfettamente si apponesse al vero.
Chi conobbe personalmente il venerabile Don Bosco e ne serba vivo il ricordo, farà cosa carissima a tutti i Salesiani, se vorrà darcene qualche notizia.
(2) Cfr. PIETRO PAOLO GASTALDI, Sacerdote Oblato di Maria Vergine: I prodigi della Carità Cristiana descritti nella vita del Ven. Servo di Dio Giuseppe Benedetto Cottolengo, Fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, sotto gli auspici di San Vincenzo de' Paoli. Edizione quarta, Vol. II, Torino, Tip. Salesiana, 1892: Libro VI, Capo III: Come furono avverate molle cose predelle dal Servo di Dio; pag. 644-645.
Dall'Oriente e dall'Occidente...
Ad iniziativa dei PP. Gesuiti - scrive Don Garelli al nostro Rettor Maggiore sig. Don Rinaldi - fu eretto sulla collina di Tzo-Se, poco lungi da Shanghai, un santuario a Maria Ausiliatrice. La statua che troneggia al di sopra dell'altar maggiore non è proprio identica alla nostra immagine di Maria Ausiliatrice, ma ritrae l'idea generale della nostra Madonna. Col pellegrinaggio a questo Santuario fu iniziata l'opera dell'Associazione di Azione Cattolica, di cui il nostro benefattore sig. Lo Pa Hong è presidente, e tutti gli anni sotto la sua direzione si ripete il pellegrinaggio. Quest'anno non potevano mancare i Salesiani, i figli di Maria Ausiliatrice, di andare a far visita alla loro Mamma che li aveva preceduti. Ci recanno dunque noi pure, coi nostri orfanelli cristiani, una cinquantina. I fanciulli non ancor battezzati, una sessantina, si dovettero lasciare a casa, non Le dico con quanto loro rammarico. Il piccolo viaggio, cominciato alle tre di notte, fu compiuto parte in treno, e parte sul fiume, entro grossi barconi, legati un dopo l'altro in due lunghe file, e tirati da due vaporetti. Lungo la via si pregò e si cantò; giunti alla collina della Madonna, si fece da tutti la Via Crucis passando dall'una all'altra delle cappellette costruite lungo la via che sale al Santuario. Più tardi, verso le undici, vi fu la Messa cantata. I nostri orfanelli erano rimasti ancora digiuni per potersi comunicare all'altare di Maria Ausiliatrice, insieme con una numerosa turba di pellegrini. I nostri confratelli ed aspiranti cantarono la messa, celebrata dal sottoscritto, e servita dal Comm. Lo PaHong. Al pomeriggio, dopo la Benedizione solenne, si fece ritorno. Giungemmo a casa alle nove della sera, ma tutti eravamo col cuore pieno di gioia per aver visto la fede e la pietà di questo popolo cinese cristianizzato. Quando Maria Ausiliatrice avrà il suo tempio anche entro la città di Shanghai, anzi in tutti gli angoli della Cina, per chiamare tutti alla vera Fede?
Anche noi abbiamo celebrato la solennità della nostra Madre e Patrona nel piccolo alloggio provvisorio. La bella statua, lavorata all'Oratorio, ammirata da tutti i Cinesi che volevano fosse cinese, tanto loro piaceva, comparve la prima volta intronizzata in una bella nicchia nel cortile. Alla notte fu illuminata, e vi si fece attorno un po' di festa con musica, ginnastica, sparo di mortaretti, e preghiere. Volemmo almeno sulla carta fotografica rimaner tutti riuniti attorno a Maria Ausiliatrice, nella ferma fede che la buona Mamma Celeste ci tenga davvero tutti e sempre uniti attorno a sè...
Il Vicario Apostolico Mons. Comin scrive al sig. Don Rinaldi:
... Eccole, amato Padre, alcune notizie che ricevo dai nostri missionari.
Don Corbellini è contento dell'affluenza dei Kivari alle domeniche, il che si deve - in gran parte - al ponte che Don Del Curto gettò sul fiume Paute poco tempo fa. Il ponte fu fatto con cavi d'acciaio, e presto si migliorerà col danaro e col materiale che Don Crespi raccolse a Guaraquila.
« Pare, dice Don Corbellini, che il Signore benedica il nostro lavoro. Tutte le domeniche i Kivari affluiscono numerosi, e, ciò che sorprende, non esigono regali. Essi stessi durante la settimana si preoccupano di chiedermi dopo quanti giorni sarà la domenica (bisogna vederli come contano sulle dita) e son puntuali a venire; anzi i più lontani vengono di solito il giorno innanzi, e assistono devotamente alla Santa Messa, dopo la quale faccio loro un po' di catechismo con esortazioni pratiche sulla condotta che devono tenere, inculcando amore al sapere e al lavoro, e istruendoli nel santo timor di Dio, facendo comprendere la bruttezza della loro vita oziosa. Dopo ciò attendo un poco ai coloni cristiani, e quindi torno coi Kivari per un po' di scuola, alla quale assistono con interesse. Cominciano, ripeto, ad amare il lavoro, e i bambini mi fan concepire buone speranze... »
Ma... qui viene il lamento per esser egli solo sacerdote e non poter fare tutto quello che il suo buon cuore vorrebbe per i poveri selvaggi!
Anche il confratello Zanfrini dà buone notizie « Non solo nei giorni di festa, ma anche nei giorni di lavoro vengono a trovarci i nostri cari Kivari. Ne abbiamo sempre qualcheduno alla S. Messa e alle orazioni della sera. Alla domenica poi ne abbiamo una trentina, che prendono parte al catechismo, oltre le donne ed i fanciulli. Lo schioppo che V. E. ci ha mandato e che doveva servire per comperare della carne, servì per riscattare un kivaretto. Dei kivaretti che vengono alla Missione alcuni conoscono già l'alfabeto e sanno contare fino a dieci ».
Non può immaginare, amato Padre, quali e quante fatiche costa il mettere qualche cosa in queste testoline. E colla pazienza di Giobbe Don Corbellini ha ottenuto che alcuni sappiano leggicchiare. Uno è giunto ad imparare anche le parole della Messa, che servì a me stesso assai bene.
« Abbiamo in casa quattro Kivaretti, - mi scrive Don Bohne da Gualaquiza - e desidererei avere oggetti di quelli che V. E. sa che piacciono loro (specchi, fazzoletti, ami per la pesca, vestiti, sia pure usati, ecc. ecc.); e sopratutto la pregherei di mandarmi, se le è possibile, un paio di piccoli schioppi per dar modo ai selvaggetti di divertirsi tirando al bersaglio. Solo rendendo loro piacevole la Casa Missione, s'ottiene che vi stieno, e noi possiamo attendere alla loro civilizzazione. Cominciano a prender parte volentieri al catechismo che si fa dopo la Messa. A chi lo frequenta soglio dare certi biglietti d'assistenza, ed altri ne do a chi si distingue nel rispondere alle domande. Si vedrà il frutto Questi biglietti daran diritto a guadagnare gli oggetti d'una piccola lotteria ».
Ma non creda che tutti i Kivari sieno cambiati. « Nonostante gli ammonimenti e i consigli dei Missionari - scrive Don Castagnoli - questi disgraziati continuano ad uccidersi come se nulla fosse... Eppure è necessaria tra loro la presenza del Missionario, poiché oltre quel po' di bene che fa agli adulti, può mandare qualche animuccia in paradiso. Un giorno venne da me una Kivara portando una figliuola di otto mesi e mi pregò di battezzarla, perchè - diceva - muore! » La bimba era livida e respirava appena; la battezzai. Dopo una settimana rividi la kivara, e le domandai come stesse la bambina: mi rispose che pareva guarita. Ne ringraziai il Signore, e nello stesso tempo mi passò per la mente il pensiero se non era meglio che se ne andasse in Paradiso, e dissi al Signore: « Se dovesse divenir cattiva, non potreste prendervela ora? Signore, fate voi ciò che è bene per quell'anima! » E alcune settimane dopo, vennero ad avvisarmi che la kivaretta era morta. « Sia fatta la volontà di Dio! - esclamai, - la Madonna se l'è presa con sè ancor innocente; un angioletto di più in paradiso!... »
(Relazione del Missionario' Salesiano Don Paolo Bonardi).
Il reame di Khyrim o Nongkrem è l'unico, nelle Kassì Hills di Assam, che con rito proprio, ufficiale e solenne, compia annuali sacrifici in onore di divinità; e per tale circostanza è un grande affluire di gente da parti anche lontanissime al minuscolo villaggio di Smit, capitale scelta fin da quando, circa vent'anni fa, l'antecessore dell'attuale S'iem (re) abbandonò definitivamente l'antica residenza di Nongkrem, meno graziosa e poco sicura a causa delle numerose caverne, rifugio di belve e già ospizio di numerosi elefanti.
Per stabilir la data delle solennità, che devono aver luogo impreteribilmente nel mese Jymnang (maggio), il S'iem (re) indice in giorno di mercato il gran Dorbar (Consiglio) a cui intervengono i suoi trenta Myntri, o ministri; e la comunicazione ufficiale viene partecipata alle sei raj, o suddivisioni del regno, in un modo tutt'affatto speciale. Tolta da una canna di bambù una striscia fibrosa, la si avvolge a guisa di anello e in modo tale che solo i non profani leggeranno dall'intreccio la data della settimana sacra e sapranno quindi regolarsi per gli opportuni preparativi. Per ogni raj v'è un anello proprio (Kyrwoh) che sarà riprodotto in tanti esemplari quanti sono sufficienti per far pervenire la notizia alle singole famiglie e individui.
La località del rito.
Sul limitare di un piccolo altipiano verde tra le fantastiche collinette di Smit e accanto alla strada, è un recinto di pali anneriti, disposti a cerchio, che, mentre formano un cortile ben livellato e lindo, racchiudono inoltre la « Iing Sad », o capannone divino, e la « Iing Bishar », o casa di giudizio e reggia. L'area del recinto che apre un solo adito prospiciente la Iing-sad, viene chiamata « Duwin » (altare), ed è il luogo dove si svolge la danza religiosa e il Jingknia (immolazione con divinazione) una sola volta all'anno; mentre dentro il capannone s'immolano i sacrifici ordinari ogni qual volta pubbliche calamità minacciano il benessere del regno, e quando la reale famiglia abbia interesse di propiziarsi il favore della divinità. È desso infatti considerato l'unico tempio nazionale, e l'unica dimora della divinità protettrice del re, legittimamente rappresentata in terra dalla sacerdotessa suprema - la « S'iem Sad » (s'iem=regina; sad=divinità) - che vigila sulla maestà del monarca.
La costruzione dell'Iing-Sad è tutta di legno, paglia e bambù; il piantarvi anche un sol chiodo sarebbe ritenuto un sacrilegio; e nel mezzo si vede un grosso palo chiamato « Dieng Rishot, o Rishot Blei », a cui tutti devono inchinarsi riverenti, tagliato tra le più belle quercie Khassì da chi ne ebbe legittimo diritto ereditario, e introdottovi poscia tra veli, musiche e danze su portantina trionfale. Il toccare il sacro trave, per qualsiasi motivo, è sempre sacrilegio; e bisogna ripararlo col curvarsi e domandargli « Khublei » (scusa).
Circa ottocento metri al sud, su di uno sperone di collina, è un altro spiazzo ove re, nongknia (i sacrificatori indovini) e popolo si recano processionalmente dalla Iing-Sad, a compiere il primo rito propiziatorio al dio Shillong, la maggiore delle divinità, con lo sbudellargli un gallo e un capro.
La settimana solenne.
Esclusi il giorno di preparazione e quello finale dei riposo, cinque sono i veri giorni della solennità, ognuno dei quali ha il suo nome e le sue particolarità, mentre il complesso di essi chiamasi: « Pom blanc u s'iem » (decapitazione del capro nel siemato).
Al primo giorno chiamato « Iew-pom-tiah » ha luogo la cerimonia del « Jingknia suit dohkha (divinazione del versamento del pesce), a cui annettesi significato e valore religioso (diabolico).
Dinanzi alla moltitudine accorsa, si recano grandi fasci dì pesce seccato al sole. Il divinatore prende una zucchetta ripiena d'acqua di riso fermentato e versa parecchie volte il liquido, scrutando il modo con cui cade. Se avviene che neppur una goccia rimane aderente all'orlo del recipiente, è segno di offerta non accetta; al contrario invece, la divinità avrebbe gradito (U blei u iamynjur), se l'orificio del recipiente inclinato resta imperlato di qualche goccia ancora.
Ciò fatto il pesce viene distribuito, cotto e mangiato, e si dà principio, nella Iing-sad, ad una danza religiosa detta Shad tyngkoh, o saltellante, regolata da un ritmo speciale di tamburi, cimbali e flauti, aperta dal re e proseguita dai suoi ministri fino a notte.
Al pomeriggio del secondo giorno « Ka soi lynti o iew um ni » è riservata e solo allora lecita la preparazione della strada che dalla Iing-Sad conduce allo spiazzo del sacrificio. L'apprestamento di essa e la pulizia è fatta dal popolino minuto, senza intervento dì maggiorenti, tra danze e frequente tracannare di Kiad (alcool ottenuto dalla fermentazione del riso)...
Il giorno terzo.
Uno stridulo guaire di pifferi (tangmuri), monotono e implacabile laceratore di timpani, disposato a un accompagnamento di cembali e tamburi (ksing, bom) riempie l'aria, chiamando da lungi a raccolta; è il corpo musicale liturgico moderatore dei riti e delle danze sacre, stanziante dentro la veranda della Iing-Sad, che annunzia l'inizio.
Se, neppure in tali circostanze, i più terribili provocatori di nervi - i pifferi - sono da tutti stimati strumenti sacri, i tamburi però cantano sempre e dovunque il carme divino (ka ksing blei); e ve n'ha di due specie ben distinte: l'una simile a botte, più grande e che si appoggia al suolo avente un sol piano vibrante, cui si percuote con due aste di legno (ka bom): l'altra formata di piccoli barili, sonori ad ambo le estremità, che si portano appesi sul petto e vengono percossi dalla destra con una verga di legno e dalla sinistra con la falange delle dita (Ka ksing).
Dentro il recinto intanto, una squadra di Khassi con vecchi schioppi ad avancarica sta in attesa di prestar servizio; nè perde tempo, ma con abbondanti libazioni dà a divedere di far onore alla munificenza del re che in larghi recipienti loro fa somministrare della migliore qualità di Kiad; mentre la gente si accalca dentro e fuori, tenuta a freno da speciali incaricati che impediscono l'invasione dell'area riservata.
Alle tre del pomeriggio, preceduto da un portatore di spada, il giovane re esce dalla Iingbishar e prende posto sotto un baldaccino, nella veranda della Iing-Sad, ove riceve l'omaggio dei Myntri (ministri); e si appresta a inaugurare la cerimonia nel suo bellissimo abbigliamento, all'ondeggiare del pennacchio superbo, e al tinnire degli ori, onde tutto va adorno.
Ed ecco i due Myntri più anziani del regno si curvano a deporre ai piedi del re, S'iem, spada e symphiàh (folto pennacchio di lana bianca di capro), e, quasi a iniziare il giovinetto monarca al cerimoniale, dànno esempio del come deve essere eseguita la danza; poscia si ritirano, e tra l'hurrà dei presenti è il S'iem stesso che scende sul Duwan col suo primo ministro.
Il ballo del S'iem.
La danza maschile - la sola permessa in questo giorno - è una simulazione di duello. Re e ministro, brandendo con la destra la spada e sventolando con la sinistra il symphiàh quasi ventaglio, s'inseguono, sempre danzando, tutt'attorno al duwan; a volte invertono la linea di danza per avvicinarsi e fingere l'aggressione; poi si scostano, si rinseguono, e di nuovo vengono a tenzone, finchè, naturalmente, la vittoria è del re; l'avversario s'inginocchia a chiedere venia, gli schioppi sparano e la gente con grida plaude al trionfatore, soffocando un iistante la spietata sinfonia pifferale. Dopo il sovrano è la volta dei Myntri, che a due a due scendono danzando al conflitto, sino a che l'avvicinarsi del tramonto non indichi l'ora del sacrificio.
Il costume dei danzatori è caratteristico! Capo avvolto da un turbante di seta crema damascata, sormontato da altissimo pennacchio a ciuffetti penduli neri e bianchi; grandi pendenti d'oro alle orecchie; una larga lamina d'oro attorno al collo; mentre collane di corallo e oro a giri multipli adornano il petto in tutta la sua ampiezza. Due fasci di catenelle d'argento lavorato, scendenti dalle spalle, attraversano a croce tutto il corpo per agganciarsi sullo sterno e a tergo in ricche piastre. Una magnifica faretra cesellata, con tre freccie, tutto argento di egregia fattura, e due pennacchi uno retto, capovolto l'altro, pendono dal dorso sulla tunica di panno nero, ricamata, senza maniche, spiovente in frangie sul jain-boh, il grande velo che avvolge ampiamente le gambe.
Durante la danza re e ministri masticano il Kwai, la noce di betel unita a calce e foglia di tympew, che incarmina la bocca in modo abbastanza ributtante.
Coreografia sacra.
Dato il cenno si organizza il corteo pel luogo del Jingknia. E in testa una folta massa di popolino, cui fanno seguito cinquanta fucilieri con lo schioppo alzato; poi, dietro uno spazio di separazione, i musicisti di pifferi, tamburi e cembali, camminano a ritroso per uniformare meglio il passo al re, ai ministri e ai maggiorenti che formano il gruppo sacro danzante, sotto l'ondeggiare della selva di pennacchi, nello sfolgorare e tinnire degli ori. Dietro ad essi, con gravità tale che l'addimostrano compenetrata dell'ufficio che compie, incede la portatrice del fabbisogno pel sacrificio, racchiuso in un gran cesto conico (ka khoh) che le pende dalla testa sul dorso a mezzo di una fascia intessuta di bambù, dietro è trascinato il riluttante capro da immolarsi, ed ultimi i membri della famiglia reale fanno corona alla S'iem-Sad - la regina divina che procede sotto un parasole di seta verde e d'argento.
Quando tutto è pronto, i tamburi sacri iniziano la nenia di rito - Ksing blei - (carme divino), lentissima e melanconica tanto nella pretesa sua solennità da non differenziarsi da una marcia funebre in grande stile, alla quale si conforma il passo dei danzatori, e che dura fino a che, oltrepassata appena la soglia del recinto, cessa bruscamente per dar luogo a un ballabile movimentatissimo, Ka shad wait (o danza della spada), a una ridda pazza, la quale poi continua tra lo sparo dei fucili e lo scoppiare delle bombe e le grida gioiose per tutto il tragitto che distanzia lo spiazzo del sacrificio. E, sotto l'onda musicale, re e ministri dànzano con spada e symphiah, masticando accanitamente kvai, sostando a volte per dividersi in due opposti gruppi simulanti battaglia, finchè, dieci passi prima dello spiazzo di mèta, ricomincia la nenia funerale di prima, che introduce il corteo al cospetto del Dio Shillong.
L'immolazione al dio Shillong.
Dentro all'enorme cornice ondeggiante formata dagli spettatori sulla cresta della collinetta, tutto va disponendosi secondo l'ordine tradizionale. Due elevazioni rettangolari del terreno, coperto da stuoie, sono occupate l'una dalla famiglia reale, l'altra dal sacrificatore; i ministri fanno ala dietro ad essi.
Mentre la musica tace un istante, il sacrificatore aulico - soh blei - (frutto di Dio) - prende in mano un blocco di terra rossastra e la pone al suolo, modellandola a guisa di monticello, tra la sua piattaforma e il popolo; quindi estrae dal « khoh » (cesto), il fabbisogno che dispone al proprio posto: due recipienti, uno d'argento a forma di anfora e contenente acqua, l'altro una zucchetta (u skaw) con acqua di riso fermentato, che pone sul monticello; la parte superiore di una grande foglia di banano; la « ka pdung », una specie di gran piatto circolare intessuto di fibre di bambù: il « purew » o polvere di riso; i « ki la sier », sorta di foglie oblunghe, colte nel folto della jungla, alle quali si attribuiscono virtù sorprendenti e che serviranno per aspergere la vittima; e noci di kwai che, tosto estratte, si infarinano.
Ed ecco che il Jingknia ha principio.
Dapprima è la volta del gallo: - il Nongknia a sacrificatore indovino, prende la bestiola, e tenendola con la destra distesa per le zampe, ne allunga con la sinistra il collo, sì che la testa sia tesa verso il monticello, pronunciando formule e scongiuri che gli vengono dettati, sillaba per sillaba, da altro nongknia anziano, che gli sta dappresso in abiti non ufficiali. Ciò fatto versa sul gallo dell'acqua dall'anfora argentea, ne volge a rovescio la testa che cela sotto le ali, sì che il collo, ben curvo e teso, si presti al taglio; e allora vibra il colpo mortale e fa colare il sangue tutt'in giro al monticello di terra; poi versa ancor acqua purificante sulla ferita, e fino a tanto che nella misera vittima si manifestano sintomi di vitalità non la lascia, ma ne esamina le contrazioni e lo sgorgare del sangue;... mentre la marcia religiosa continua.
Dalle parti inferiori, aperte e purificate, il nongknia estrae gli intestini della vittima, e, ben lavati, li scruta attentamente e li passa in esame a quattro assistenti; quindi, trattine non so quali auspici, li distende sopra la grande foglia di banano, mentre le grandi penne delle ali vengono disposte attorno al monticello.
La scrutazione degli intestini forma la parte più interessante, più difficile, e che si presta alla maggiore varietà di interpretazione tra gli stessi nongknia più autorevoli; ed è basata su questo principio. Nelle circonvoluzioni dell'intestino si trovano due parti, l'una detta « U blei » (dio), l'altra « U briew » (uomo). Se la parte « dio » è ritrovata più bassa, è segno che la divinità si abbassa ai desideri dell'uomo... « ieng rangbah u briew, dem u blei » ; cioè « s'alza adulto l'uomo, si curva il dio »; se nell'esame si riscontra il contrario, cioè è dio che si eleva sull'uomo, è segno che la vittima non è accetta e bisogna sacrificarne un'altra per ottenere la divina condiscendenza. Nessuna formula di preghiere o scongiuri è fissata per la cerimonia; ma dipendono dall'estro individuale e momentaneo del nongknia.
L'altra vittima, con cui s'ha da propiziare il nume e dalla quale propriamente prende nome il ciclo dei giorni sacri, è un capro lanoso, che, trascinato davanti al sacrificatore viene forzato a cibarsi di un po' d'erba e di polvere di riso, mentre è asperso con « la sier » in segno di consacrazione e di imprecazione sacra (u tim knia). Imbiancato il monticello e il collo del capro con farina di riso, il nongknia impugna la daga, e con essa si curva profondamente all'altare, prima di portarla al re, cui veramente competerebbe il ministero di quell'ora; ed anche il sovrano si piega profondamente al monticello con la lama che tosto rimette al nongknia. E il colpo cala fulmineo, fra una scarica di fucileria, e la vittima cade decapitata.
Mentre il corpo vien trascinato lontano per l'estrazione dei visceri, la testa è collocata sulla grande foglia, rivolta verso il monticello. I polmoni del capro, gonfiati in presenza del nongknia, sono scrutati e riposti; mentre gli altri, previo esame, sono inspiedati per venire tagliuzzati e disposti a mucchietti sulla foglia, accanto agli intestini del gallo.
Cinque volte il sacrificatore prende nel concavo della palma destra uno di quei sanguinolenti piccoli ammassi di carne, e mentre si attarda in formule e divinazioni, li va riducendo in poltiglia col pollice e li ripone; cinque volte versa pregando l'acqua fermentata dalla zucchetta; e con un'abluzione finale delle mani e del coltello, con un finale inchino di ossequio alla maestà del re, quasi atto di congedo ha termine il Jingknia di quel giorno, rivolto ad onore del principale dio Khassì, l'« U blei Shillong » (1).
(Continua)
(Dall'India, luglio 1925).
Sec. PAOLO BONARDI Missionario salesiano.
(1) Vorrebbero alcuni che il dio Shillong, comparso ad un uomo sul picco più alto delle colline Khassì, che chiamasi tuttora Picco Shillong, avesse qualificato se stesso con queste parole: Nga shu long; ossia: « Io esisto per essenza », parole che equivalgono esattamente a quelle altre tanto note: Ego sum qui sum della Bibbia La corruzione di Shu long avrebbe dato l'attuale Shillong.
Un alunno dell'e Istituto Card. Cagliero per aspiranti alle Missioni Estere Salesiane », avendo comunicato al Comitato Missionario del Consiglio Superiore della Gioventù Cattolica Italiana la presenza nell'Istituto di molti giovani usciti dai circoli giovanili federati, in data 16 luglio u. s. riceveva dal comm. Pericoli questa risposta:
« Può bene immaginare con quanto piacere e quanta viva fraternità spirituale il nostro Comitato abbia gradito la veramente consolante notizia ch'ella ha avuto il gentile pensiero di darci sulla presenza in cotesto Istituto, che s'intitola all'Apostolo della Patagonia, gloria della Porpora romana e della benemerita Congregazione Salesiana, di 72 giovani che provengono dalle file della G. C. I.
» Ella, con cuore giustamente vibrante di amore per l'ideale missionario, desidererebbe moltiplicato quel numero, e noi lo desideriamo con Lei. Ma non possiamo non rilevare, ed anch'ella vorrà ammetterlo, che la primizia è promettente e il nostro cuore vuole aprirsi alle migliori speranze, considerando anche che il numero di questi giovani nostri, aspiranti missionari, ricorda per una felice coincidenza quello dei discepoli del Signore, ed Ella sa che l'esiguità della schiera non influì sull'ardore dei componenti e sui frutti del loro apostolato.
» Solo che è necessario perseverare e noi daremo la lieta novella in "Gioventù Italica", formandone argomenti di emulazione e di edificazione, invitando, ardentemente a ricoprire i posti che lasceranno i partenti per le Missioni. Intanto nell'inviare la nostra adesione al 1° Congresso Giovanile Missionario di Piacenza, tenutosi domenica scorsa, abbiamo inviato a quel Delegato Missionario Federale copia della sua lettera, che è stata letta in assemblea ed accolta da commossi applausi.
» A giusto compiacimento per lei e per i suoi compagni della G. C. I. le diamo anche in compenso una bella notizia. Abbiamo fatto pervenire nelle mani del S. Padre copia della sua lettera e il S. Padre ha avuta la bontà di compiacersi vivamente della comunicazione e di benedire i giovani Aspiranti Missionari.
» La benedizione del Vicario di Cristo sia a loro tutti di conforto e di sprone...»
Il « BOLLETTINO DELLA REALE SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA » nel fascicolo XI-XII dell'anno 1924, uscito recentemente, reca un'interessantissima bibliografia de « I miei viaggi nella Terra del Fuoco » del nostro don Alberto De Agostini (1).
L'articolo, di Pietro Landini, si sofferma particolarmente sulla rassegna cronologica delle più importanti esplorazioni di quel lembo di America, partendo dalla scoperta di Magellano, arrivando all'esplorazione del Nordenskjòld, che fu l'ultima spedizione in grande stile prima della guerra mondiale.
Le spedizioni - scrive il Landini - vanno considerate distinte in due grandi gruppi a seconda degli scopi che esse si prefiggevano: durante i secoli XVI-XVII e in parte nel secolo XVIII, le esplorazioni sono fatte per scopo di conquista, specialmente dagli Inglesi e dagli Spagnuoli, che si contendevano il primato di quelle regioni: sono quindi in genere scoperte progressive di regioni sconosciute, il cui aspetto scientifico poco o nulla viene studiato, quando si eccettuino le famose spedizioni di Giacomo Le Maire e Guglielmo Schutten, gli scopritori del Capo Horn, e quella dell'inglese Narborough, che intorno al 1670 ci dà la rappresentazione cartografica più esatta per quei tempi dello Stretto di Magellano.
Verso la fine del secolo XVIII le spedizioni divengono più strettamente scientifiche: si rivedono le regioni già scoperte, se ne studia l'aspetto fisico (contorni delle coste, clima, flora, fauna, le condizioni antropiche), se ne fanno relazioni accurate, fra le quali è celebre quella del Darwin (2), membro della spedizione del capitano Parker King e di Fitz Roy, che durò 10 anni (1826-1836) e che rimarrà memorabile negli annali delle spedizioni scientifiche.
In questa nobilissima gara non vengono ultimi gli Italiani: la prima spedizione fu fatta dalla Regia Pirocorvetta « Magenta » nel 1866; segue quella di Giuseppe Palumbo (1882); famosa quella indetta dal Governo Argentino, sotto il comando dell'italiano Giacomo Bove (1881), che esplorava l'Isola degli Stati e le regioni adiacenti, i canali Maddalena e Beagle, raccogliendo preziose notizie intorno alla fauna e alla flora delle regioni visitate.
Chiude la serie prebellica degli ardimentosi pionieri, il Nordenskjòld, che intorno al 1895 studiò accuratamente parte della Patagonia australe e parte della Terra del Fuoco.
Toccava ad un italiano di continuare in degno modo una serie così gloriosa di spedizioni, a un Missionario Salesiano, che alla scuola di Dio e delle Alpi aveva temprato il cuore e le membra per le grandi e perigliose imprese.
La sua ardente curiosità di scienziato e di artista fu attratta dal complesso viluppo di arcipelaghi, stendentisi a sud dei grandi canali della Maddalena e dell'Ammiragliato, zona poco o male conosciuta e che pur tuttavia doveva essere affascinante, colle sue guglie immacolate, colle sue valli, aspre, profonde, con i suoi ghiacciai ruinanti dalle aspre cordigliere al mare.
Un gruppo montuoso, affacciantesi alle acque dei canali della Maddalena e di Keats, enorme sperone, aspro e tormentato, luccicante di nevi nei riflessi del cielo, raramente sereno, attrasse la curiosità del valoroso Missionario. Era il Sarmiento, una delle vette più alte dell'intero sistema fueghino, piramide gigantesca, il Cervino di quelle lontane regioni, che invano audacissimi alpinisti avevano tentato di scalare. già nelle precedenti spedizioni. La difficoltà dell'impresa acutizzò il desiderio della vittoria: due spedizioni furono fatte: una nel 1913, l'altra nel 1913-1914. Faceva parte della minuscola comitiva del 1° viaggio il De Gasperí, sicura speranza della scienza geografica, purtroppo troncata sul fiorire dal piombo nemico durante la guerra, e che accompagnò don De Agostini sino ad Ushuaia. Le difficoltà enormi incontrate, il maltempo, che infuriò quasi ininterrottamente durante tutta la durata della prima spedizione al Sarmiento (gennaio, primi di febbraio 1913), impedirono la scalata del colosso: ciononostante la spedizione non fu infruttuosa, perchè si potè esplorare minutamente il fiordo Negri, una delle appendici meridionali del canale della Maddalena, col suo grande ghiacciaio, il ghiacciaio Negri, scendente dalle montagne, che servono di anello di congiunzione tra la catena Darwin e la penisola Brecknock.
Ugual esito sortiva la seconda spedizione del dicembre 1913-gennaio 1914, fatta dal solo Missionario, insieme con due guide italiane, Guglielminetti Guglielmo e Piana Eugenio, nomi cari, della Valsesia amatissima. Si poterono tuttavia compiere magnifiche escursioni sui monti, che circondano il colosso inaccessibile, e fare osservazioni meteorologiche, floristiche e faunistiche del più alto interesse, come pure vennero visitati i due principali ghiacciai del versante occidentale del massiccio: il ghiacciaio Schiaparelli, così chiamato in memoria del grande astronomo biellese, diviso nella sua parte inferiore in due enormi tentacoli, uno scendente ad ovest al lago Azzurro, l'altro verso nord-ovest nella valle delle Dune e il ghiacciaio Lovisato, tra il monte Conway e il Sarmiento, grande fiume di ghiaccio scendente in una delle valli laterali del bacino idrografico, che porta lo stesso nome.
Fu per svelare i misteri di un'altra serie di montagne, che si annunciavano nella lontananza ad est del monte Sarmiento, che si venne alla felice scoperta di due nuovi fiordi, non segnati sulle carte precedenti. Partiti dalle Isole Labirinto, navigato il Canale Keasts, gli esploratori, mentre credevano di dover sbarcare su di una costa vagamente disegnata sulla carta della marina inglese, si trovarono di fronte ad un immenso fiordo, digitato, prolungantesi verso sud. Un ramo di direzione nord-sud, limitante ad ovest il massiccio del Sarmiento fu chiamato fiordo Ammiraglio Martinez, ricco di insenature e di numerosi ghiacciai, l'altro di direzione nord-ovest-sud-est, biforcato, all'estremità fu chiamato fiordo De Agostini. L'importanza della scoperta è grandissima, perchè getta una viva luce su l'intricato insieme di coste, di golfi e di penisole di tutta la zona immediatamente a sud del Canale Keats, e perchè in tal maniera si veniva a dimostrare l'isolamento di tutto il sistema montuoso del Sarmiento dalla Cordigliera. Scesi sulla costa del Porto Incanto, gli esploratori compivano audaci ascensioni sul sistema montano dei monti Buckland e Sella (1), ricavandone preziose osservazioni (febbraio 1913).
Ritornati sulla propria scia, ripercorso il canale Keats, doppiato il capo Anxious, la spedizione entrava nel Canale Gabriele, fossa di sprofondamento di incomparabile bellezza selvaggia, indi, piegando verso nord-est, entrava nel seno dell'Ammiragliato che « situato all'estremità sud del Canale Whiteside, si interna nella Terra del Fuoco, in direzione del sud-est per ben 83 Km., in forma di immenso imbuto ». Anche in questo lembo le osservazioni portarono frutti eccellenti, colla miglior determinazione delle coste, collo studio dei ghiacciai, scendenti, immensi fiumi gelati, giù per le ampie gole, fra i quali ricordiamo il ghiacciaio Marinelli e il ghiacciaio Luigi di Savoia, manto candidissimo, che sale dal golfo Parry sino alla svelta cuspide del monte, che porta lo stesso norme, numi cari al nostro cuore di italiani, con i quali la spedizione volle offrire omaggio di affetto e di devozione alla Patria lontana.
Scesi a terra, gli esploratori iniziarono la traversata del colle, che unisce la penisola della Cordigliera Darwin all'Isola Grande, dal rìo Azopardo, emissario del lago Fagnano, al nord, sino al Canale Beagle a sud (19-25 febbraio 1913), zona poco conosciuta, ricca d'acque e di montagne.
Costeggiato il rio Azopardo, che scorre in gole profonde, la spedizione raggiungeva il lago Fagnano, piegava verso sud, entrando nel bacino del rio Betbeder, immissario del predetto lago. Superata la catena del monte Svea (m. 16oo), entrò nel bacino d'impluvio del rio Roca (valle Lapataia), che sfocia nel Canale Beagle, finchè il 25 febbraio giunse ad Ushuaia, la capitale della Terra del Fuoco Argentina, circondata a mo' di anfiteatro dai monti Martial, che furono minutamente visitati in una serie di escursioni.
Durante la permanenza nella piccola cittadina, il centro abitato più meridionale del mondo intero, furono effettuate escursioni nel bacino del rio Olivia, e fu scalata dopo inaudite fatiche la cima del monte che reca lo stesso nome (28-29 febbraio). In tal modo si potè avere una visione chiara del territorio fra il lago Fagnano e il Canale Beagle, vale a dire della zona di trapasso, dalla regione Pampeana alla regione della Cordigliera.
Il Landini rileva, quindi, il capitolo interessantissimo sul canale Beagle, lungo ben 370 Km. « fra dirupate montagne della Terra del Fuoco a nord e l'ammasso incomposto di isole che in lunga catena lo proteggono a sud dalle onde turbolenti del Pacifico », e che fu visitato nel dicembre del 1914, partendo da Punta Arenas su di un piroscafo, che faceva servizio tra questo centro ed Ushuaia.
La descrizione - egli dice - ha squarci di un lirismo magnifico, come quando, ad esempio, si parla del passo Breknock, pericolosissimo, battuto dalle onde che vengono dal Pacifico, dalle coste brulle e desolate, incontrastato regno della bufera e di forze titaniche in lotta.
Il tratto più orrido del canale è tra la Cordigliera Darwin e l'isola Gordon, lungo circa 5o Km., stretto, chiuso da ambo i lati da monti che strapiombano arditissimi: ogni tanto qualche gola si apre nella gigantesca muraglia, e ne rigurgita uno sconvolto mare gelato: anche qui ricorrono nomi cari agli Italiani: il ghiacciaio Roncagli, che reca il nome del Segretario Generale della Società Geografica Italiana, che fece parte della spedizione Bove, e il ghiacciaio Italia, che scende dall'ardito monte, che reca il none della Patria. Sul predetto gruppo montuoso furono fatte per circa 3 settimane importanti ascensioni, che permisero una più sicura conoscenza della zona, e una determinazione topografica più esatta.
Tutto l'incomposto ammasso di isole e di isolotti che si protendono verso sud sino al Capo Horn (estrema punta meridionale dell'Isola de Hornos), intersecato da innumerevoli canali, ove quasi perpetua rugge la bufera, e le onde colossali si infrangono irte di spuma sui tormentosi scogli, fu visitato in due viaggi (uno del 1912, l'altro del 1915). Durante il secondo, che permise al De Agostini di giungere sino al vero Capo Horn, dovette subire violentissime tempeste, di cui la penna dell'esploratore ha saputo fissare tutta la tragica potenza fascinatrice.
Fin qui il « Bollettino della Reale Società Geografica Italiana », il quale fa pure menzione speciale della trattazione della vita e degli usi e costumi dei Fueghini (Ona, Jagani e Alacaluffi) in via di estinzione, « cacciati dai bianchi come belve, ai quali i Missionari Salesiani cercano ora di dare la luce della fede e la sanità ai corpi rinati dalle malattie »; e dice il lavoro del salesiano don De Agostini « di un valore grandissimo, perchè tratta di una regione di assai difficile transito, in cui le esplorazioni richiedono eccezionali doti di mente e di corpo », e che le esplorazioni compiute del nostro missionario nelle parti più ingrate della zona Cordigliera « hanno portato un validissimo contributo alla conoscenza di quella regione, sia nel campo topografico, sia in quello morfologico, climatico, toponomastico, della fauna, della flora e dell'uomo ».
(1) ALBERTO M. DE AGOSTINI. I miei viaggi nella Terra del Fuoco. Con 407 vedute e panorami da fotografie originali dell'Autore e tre carte geografiche etc. Cartografia Fr.lli De Agostini, Torino. In-4° pag. 296, rilegato: L. 120.
(2) « Viaggio di un naturalista intorno al globo ».
(1) Cosi chiamato in memoria di Quintino Sella.
(Relazione del Missionario Don Carlo Braga al Sig. Don Rinaldi). VI (Ved. Boll. di luglio u. s ).
Mietitori improvvisati.
I contadini, vedendomi uscire tutte le sere in squadra compatta, nonostante lo strepitare delle artiglierie e delle fucilerie, per recarci al campo del giuoco, incominciarono a farsi coraggio ad unirsi a noi nel breve tragitto che dovevamo percorrere.
Mi piangeva il cuore al vedere le fertili risaie, col riso giallo, più che maturo, senza un mietitore. Nessuno osava uscire di casa per timore dei soldati, che prendevano indifferentemente operai e maestri, giovani e vecchi, donne e uomini a portare munizioni e viveri sino alla linea del fuoco, alle trincee, ai reticolati. Tutti lamentavano la tragica situazione; tutti erano invasi da profondo scoramento, ma nessuno sapeva decidersi a trovare un ripiego.
Una sera, incontrati sull'uscio del cascinale alcuni cristiani, sentite le loro lamentele, faccio loro una proposta:
- I mietitori ve li trovo io, ma ad un patto: niente parolaccie, niente vino, niente tabacco: nessuna volgarità. Domani venite all'Orfanotrofio e troverete operai pronti al lavoro.
Avevo tra i giovani più di un contadinello abituato alle dure fatiche delle risaie e dei campi ed ero felice che mi si presentasse l'occasione di rimetterli con le spalle al sole, perchè sapessero meglio apprezzare i benefici dello studio, e di dar loro modo e maniera propizia di esercitarsi nella carità. Alla buona notte della sera feci la proposta di passare dal pennello alla falce; ed al mattino seguente, dopo la Santa Messa, una ventina si presentarono in pieno assetto di mietitori, contenti di essere fatti degni di sollevare le altrui miserie.
Diversi catecumeni erano ad attendermi; si disputavano i giovani più robusti ed aitanti, i più animosi. Li divisi in gruppi di eguali forze ed abilità, e misi ad ognuno un capo responsabile. Dopo aver invocata la benedizione di Dio, l'assistenza di Maria Ausiliatrice, li congedai.
Appena si furono partiti feci subito visita al colonnello comandante il settore di Ho-Si. Lo lodai per la sua non comune abilità strategica, per una vittoria importantissima riportata il giorno innanzi e che fu la nostra salvezza. Gli presentai gli omaggi di tutti i cristiani e catecumeni, e gli raccomandai di prendere a cuore la loro causa. Lo informai pure che avevo mandato i miei giovinotti a mietere il riso e lo pregai che desse ordine ai suoi dipendenti, che non li requisissero come portatori. E non fu una raccomandazione nè superflua, nè inutile.
Difatti verso le tre pomeridiane, mentre i piccolini rimasti in casa battevano il riso, viene un cristiano a chiamarmi:
- Padre, i soldati hanno preso un tuo giovane; l'hanno legato e portato sulle barche; e temo sia già partito.
Giunto al fiume, dò una rapida occhiata allo sciame delle sconnesse e diversissime imbarcazioni e non lo trovo. Ad un tratto mi sento chiamare: Sin Fu! Era proprio lui: Yung Sin legato per le mani e attraverso la vita ad un'impalcatura di un grosso barcone, come un volgare malfattore.
Il sangue mi bolliva nelle vene, ma seppi contenermi e chiesi il comandante dell'imbarcazione. Mi si presenta uno scamiciato di un caporale, un pirata arrogante, sprezzante; e mi getta in viso, bruscamente, senza i complimenti d'uso, che ogni cinese presenta, più che per cordialità, per inveterata abitudine:
- Che vuoi? che c'entri tu con me? che sei venuto a fare tu in Cina?
- Voglio nulla del tuo, voglio solo che si metta in libertà questo mio scolaro. Se poi desideri sapere che cosa faccio in Cina vieni a bere una tazza di thè a pochi passi di qui e non avrai necessità di molte spiegazioni.
- Dici che il ragazzo è tuo e non ha nessun distintivo, nessun documento che lo dichiari tuo scolaro.
- Guàrdalo negli occhi e nel viso, e dimmi se non si distingue fra cento giovani sciupati come voi. La mia parola, che non sa mentire, dovrebbe esimerci dal presentare alcun documento.
- Non te lo rilascio. Anche se avessi una casa di ferro dove custodirlo, te lo verrei a rapire. Ora che è mio, che è qui, non te lo rilascio, e non mi curo di te.
E mi volta la schiena e se ne va.
Io mi accingo a slegare il ragazzo, ma l'altro, avvisato dai suoi sbirri, si oppone con tutte le forze. Sul fiume gorgogliante in piena non c'era da giuocare di agilità od abilità: una mossa falsa, e l'uno e l'altro piombava nei flutti minacciosi.
Passa, provvidenzialmente, in quel momento criticissimo il colonnello, che avevo ossequiato la mattina, e vedendo la violenza brutale del suo dipendente, gli urla un comando che lo inchioda sull'attenti. Io slego senz'altra resistenza il mio giovinotto proprio sotto il naso e gli occhi spiritati del poco degno caporale e lo conduco con me. Il colonnello, appena mi fu di fronte, si sprofonda in inchini, in iscuse, in proteste, in omaggi, poi ordina al caporale di avvicinarsi. Appena fu a tiro, cominciò ad appioppargli sul groppone una sequela scalmanata di poderose nerbate, tanto che mi sentii in dovere di intercedere perchè lo risparmiasse. Il poveretto ritornò sulla sua barcaccia a digerire quel po' di roba, ed io all'Orfanotrofio, seguito dai commenti e dagli sguardi meravigliati di moltissimi, che avevano assistito alla scena dalle barche, dalle soglie delle case e dalle rive del fiume.
Era già notte. I piccoli rimasti in collegio erano già bell'e addormentati, ed io dal terrazzo di casa scrutavo le dense tenebre per vedere se potevo scorgere movimento di persone e tendevo l'orecchio per udire voci e richiami. Nulla. I miei piccoli mietitori non erano ancora di ritorno, non si erano ancora fatti vivi. Ad un tratto vedo luccicare nell'immensa distesa di orti tre torce a vento, che movendo da tre diversi punti, convergevano verso di noi. E mi si ripercuotevano alle orecchie ondate di voci cadenzate e declamanti. Sono loro. Di fatti erano i nostri giovani operai, che rientravano al focolare cantando lodi e recitando le orazioni della sera. Nel profondo silenzio di quella notte nera quelle preghiere e quelle luci avevano una suggestività inesprimibile ed assurgevano ad un grande significato: luce di buon esempio, ardore di carità, richiamo a Dio.
Giunti in collegio le tre squadre si riunirono in una e, finite le preghiere, ascoltarono due parole di vita e di salute. Le diverse loro imprese me le narrarono al mattino seguente tra la più viva allegria e la gioia più schietta. Si comunicarono a vicenda le impressioni e le avventure di quella prima giornata di aspro lavoro: ed avevano ancor vivi nella persona i segni ed i ricordi di quell'insolita fatica: chi si trascinava sulle gambo deloranti, chi aveva le mani piene di vesciche, ad altri il sole ardente aveva arse e bruciate le spalle ed il dorso. Dopo un giorno di meritato riposo, ripigliarono i lavori, che continuarono con costanza e sacrificio sino al cinque di agosto, quando d'improvviso vennero aperte le vie di terra e di acqua.
I cristiani ed i catecumeni che avevano ricevuto il preziosissimo aiuto, furono solerti e generosi coi piccoli mietitori e diedero a ciascuno una mercede proporzionata alle loro fatiche.
Ricordo la fierezza e la gioia dei cari giovani quando vennero a mettermi in mano il gruzzolo guadagnato con tanto sacrificio. Dopo un anno provavano la gioia del dare, assai più ricca che non quella del riceverei
(Continua)
Sac. CARLO BRAGA
Missionario Salesiano.
"GIOVENTÙ MISSIONARIA „ è il caro periodico mensile, che zela praticamente tra la gioventù il migliore interessamento per le Missioni Cattoliche, in particolar modo per le Missioni Salesiane.
Diffonderlo è un'opera buona.
Abbonamento annuo L. 5, presso la Libreria della S. E. I. Corso Regina Margherita, 174 - TORINO (9).
Volete grazie da Maria SS. Ausiliatrice?
Fate la novena consigliata dal Ven. Don Bosco: In primo luogo abbiate fede, PREGATE! Pregate Gesù in Sacramento, che è il centro di tutte le grazie, e Maria SS., che ne è la dispensatrice.
Recitate PER NOVE GIORNI 3 PATER, AVE e GLORIA a Gesù Sacramentato, con la giaculatoria: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento, e 3 SALVE, REGINA alla Madonna con la giaculatoria: Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
In secondo luogo promettete di viver sempre in grazia di Dio, e nei giorni in cui fate le accennate preghiere accostatevi - una volta almeno - AI Ss. SACRAMENTI DELLA CONFESSIONE e COMUNIONE.
In terzo luogo ricordate la parola del Divin Salvatore: - Date e vi sarà dato. - Voi volete una grazia? Fate anche voi Un'elemosina a vantaggio delle opere suscitate da Maria Ausiliatrice per l'educazione cristiana della gioventù e per la conversione di tanti popoli idolatri, socCORRETE LE OPERE E LE MISSIONI SALESIANE.
GRAZIE E FAVORI (*)
Guarito da alveolite.
Il 28 maggio 1923 caddi gravemente ammalata con bronchite e pleurite. Passai quattro mesi di febbre e sofferenze inaudite, che mi condussero agli estremi senza speranza di guarigione. I migliori specialisti della città dichiararono non solo grave il caso, ma imminente la catastrofe.
I miei cari, mantenendo sempre viva la speranza, vollero un consulto dal quale s'ebbe per risultato che il mio male era bronco-alveolite. Angosciati, perdettero ogni speranza, ed il loro dolore aumentava, aumentando le mie sofferenze. Vedendo inutile ogni cura più affettuosa ed ogni rimedio, nel timore che il mio contatto fosse micidiale alle sorelle ed ai giovani fratelli, chiesi di essere portata all'ospedale, e, non essendomi concesso, con infantile fiducia mi abbandonai alla bontà di Maria Ausiliatrice. Chiedeva la grazia non per me, ch'ero dispostissima a lasciare questa terra, ma per i miei cari costernati, e per loro intensificai la mia fiducia, sicura che la Vergine Santissima avrebbe esaudito le mie preghiere.
E il 5 ottobre i medici curanti dopo tante e tante visite sfavorevoli dovettero dichiarare che la malattia non solo andava scomparendo, ma che non v'era più neppure il segno di malattia. La Vergine Ausiliatrice volle compiere la grazia al completo: fin dal 2 maggio dell'anno scorso i medici dichiaravano formalmente che non vi era più in me traccia d'alveolite.
Adempio, quindi, il mio voto di renderne pubblica testimonianza, invitando tutti a ringraziare con me la Vergine Santissima.
Palermo, 20 Luglio 1925.
COSIMINA TERMINI.
« MAGNIFICAT ANIMA MEA DoMINuM!... » - Ai piedi della grande Ausiliatrice depongo i miei sentimenti perchè li benedica, li perfezioni e li presenti di sua u ano al Cuore di Dio!
Vorrei che dalle auree pagine di questo Bollettino le mie parole penetrassero nel cuore dei devoti per accrescerne il fervore, nel cuore degli indifferenti per accendervi almeno una scintilla d'amore e di fiducia nella Madonna, ma, più che tutto, nel cuore dei sofferenti per animarli a sperare anche quando le tenebre offuscano, la scienza ha esaurito ogni risorsa, l'aiuto umano vien meno... e la fede è messa alla prova. Vorrei riscuotere da ogni cuore anche solo un sentimento da unire ad avvalorare i miei, per rendere alla gran Vergine un tributo meno indegno di Lei e meglio proporzionato alla grazia grande che m'ha concesso!
Nell'ottobre del 1914 lasciavo la scuola dopo otto anni d'insegnamento per tentare tutte le cure imposte dalle tristi mie condizioni di salute. Ebbi alternative di miglioramento, seguite da crisi che aggravarono e complicarono i miei mali da far esaurire ogni speranza da parte mia, della mia famiglia e dei medici stessi. Chi ha pazienza mi segua pure nell'enumerazione di un museo di mali: enterocolite, pleurite, dispepsie, ptosi viscerale, principio di pericardite, appendicite cronica, ulcere gastrica, nevralgia del trigemino, anormale funzionalità renale, fenomeni di parestesie, diagnosi di aderenze intestinali e al fegato: quindi incapacità assoluta di muovermi, di nutrirmi talvolta, e, spesso, perfin di parlare. Rimaneva a mio conforto un immeritato aiuto divino e la carità, meglio, l'eroismo della mia famiglia.
Soltanto nell'atto chirurgico si poteva vedere una soluzione, ma fu sconsigliato da tutti, anche da celebrità mediche, sia per le difficoltà che presentava in sè, quanto per le impressionanti condizioni generali.
Per guarirmi ci voleva la fusione della scienza con la fede! La Madonna teneva celato questo segreto forse per premiare la carità altrui, forse per purificarmi con nuovi sacrifici. Il 7 febbraio, sostenuta dalla fiducia nell'Ausiliatrice, dopo preghiere e voti, venivo trasportata con autolettiga, accompagnata dal medico stesso e infermiera, in una Clinica di Bergamo per un preciso studio de' miei mali e tentare le ultime prove. Qui trovavo un'assistenza illuminata, paziente, appoggiata a una fede profonda. Gradatamente conseguiva un notevole miglioramento che fece rinascere nuove speranze e rese possibile il tentativo chirurgico. Il 5 maggio, con una serenità che non poteva essere che mi dono del Cielo, mi sottoponevo anche a quello, che si svolse e compì senza il minimo inconveniente. Le diagnosticate aderenze non c'erano: il fegato presentava nessuna anormalità: l'intestino richiese perizia, pazienza e tempo, ma l'esito dell'operazione fu felice. L'intervento divino aveva preparato il terreno, guidato e benedetto l'intervento umano!
Il 7 giugno tornavo a casa, accolta da una pubblica manifestazione di fede e di riconoscenza al Signore, in mezzo alla commozione di migliaia di persone, sulle cui labbra correva spontanea e ripetuta la parola: miracolo, miracolo!
Il miracolo è confermato da chiunque mi vede e ripensa a' miei anni di letto e di sofferenze: ed io vorrei che fosse palese a tutto il mondo, perchè da tutti si glorifichi il Signore riconoscendo la Sua infinita bontà e la potenza dell'intercessione della Madonna e dei Santi! In fede
Cassano d'Adda, Frazione S. Pietro (Milano).
5 luglio 1925.
CLOTILDE DE-PONTI.
LA MIA RICONOSCENZA A TE, MARIA AUSILIATRICE! Non ricorre invano chi ricorre all'aiuto di Maria Ausiliatrice. Da qualche tempo mio marito era disoccupato, e nulla valsero i mezzi terreni per trovargli un impiego. Molte pie persone si univano a noi per trovargli lavoro... e nulla!... Piena di fiducia mi rivolsi a Maria SS. Ausiliatrice ripetendo la novena consigliata dal Venerabile Don Bosco e promettendo di pubblicare la grazia e di fare un'offerta per le Opere Salesiane, e finalmente la cara Madre esaudì la nostre preghiere. È già più di un anno che mio marito lavora, ed io adempio la promessa, inviando una piccola offerta ed invocando continuamente l'aiuto e la protezione di Maria SS. Ausiliatrice su tutta la uria famiglia.
Casale, 27 luglio 1925
MARIA VARALDA OLEARO.
PROMISI DI PUBBLICARE LA GRAZIA e d'inviare un'offerta per le Missioni Salesiane, e fui esaudita! Il mio bimbo di cinque anni, convalescente appena di morbillo, cadde gravemente inalato di broncopolmonite. Ricorsi fidente a Maria SS. Ausiliatrice con le promesse accennate, ed oggi le compio con immensa riconoscenza, invitando tutti a unirsi con me nel ringraziare la benedetta Madre di Dio.
Lu Monferrato, 9-VIII-1925.
EMMA MEDA.
Ottennero pure grazie da Maria SS. Ausiliatrice e alcuni, pieni di riconoscenza, inviarono offerte per la celebrazione di Sante Messe di ringraziamento, per il Tempio erigendo a Gesù Adolescente e alla Sacra Famiglia, per le Missioni Salesiane, o per altre opere di Don Bosco, i seguenti:
A) - A. C., A. E., A. S., Abbate G., Acquarone A., Agosti M., Agostinelli R., Aimone M., Alcorano A., Alessandri G., Allais G., Alloni C., Altina M., Alzeni R. in Casu, Anesi E., Angeloni M., Ansaldi d. E., Ansehni L., Antoniolo D., Anzalone A. ma., Arena M. in Marzullo, Armando G., Armigliato A., Arnerio C., Arnoldi C., Arrighetti I., Artisi G., Asteggiano T., Atzeni M., Audisio M., Augello A., Avogaro A.
E) - Babina A., Bacci V., Baggiani P., Baglioni C. in Ronierio, Bagnasco G., Balbi M., Bana G. in Panseri, Bani L., Barazzeni A., Barbero A., Barbero G., Barcellini I., Baroffio C.: Baroli G., Battistella N., Baudin A., Becchio M., Bellagamba G., Bellazzi C.. Belli A., nellintani I., Belloi G., Belotti D., Belpietro C., Beltrame I., Beneduci A., Bentivegna d. G., Beretta M., Bernardi L., Bernasconi G., Bernich., Bertamini C., Bertola G., Bertone A., Bertone G., Besozzi R., Bezza G., Biancherieri D., Bianco I., Bianconi I., Biasoni C. in Antonini, Bisio O., Bocca I., Boccardelli O., Bolis B., Bollo M. in Braccio, Bolzani M., Bolzon T., Bonardi A., Bongiovanni Can. Pen. C., Bonsi D, Borattini A , Bordet C. Borsa E., Bosio G., Botto C. ed E., Botto G., Bozzi G., Brambilla I., Brignone G. B.. Brollo G., Brugnoli A., Bucci G, Buffolo A., Burzetto I., Buzzato-Pegoraro.
C) - Caimi A., Calarroni P., Calvi P. in Testone, Calzimari d. F., Cametti T., Campanili S., Canavese T., Cani C., Canini E., Canova M., Capitolo L., Capra A., Capra M., Caprasecca N., Caprioglio A., Caputo G. in Nicolosi, Carderi C., Cardinale M., M,, Cardini I., Carignano M., Carissoni R., Carpene A., in Costanzi, Carrera L., Casagìi M., Casanova A., Casolo C., Cassello A., Castagno C., Castelli C. in Sormani, Cavanna E., Celada C., Celada M., Cereto L. in Rossini, Cherchi A. R., Cinquemani S., Civalero G., Colombo B., Colombio D., Colombo B. ved. Torricelli, Colucci L., Coni N., Conti M., in Noero, Cooperatrice di Cardé, Cora C,, Coriasso AI. M., Cornacchia A., Corradini A., Cremonini A., Cristaldi G., Cristiani L. in Racca, Croci P., Crozza O., Culacciati M.
D) - Da Dalto G., Dagna R. in Rizzo, Dal Bon A., Dalla Pozza M., Davia C.. Decillandi P., Degli Esposti C., Del Pio V., Delzutti T., Denaro I., De Ponti C., De Ce Rosas A., De Sanctis L., Desideri B., Desirello I. in Simonotti, DrOrazio P., Dialley P., Dieghi A., Di Gaetano M., Diotallevi-Zeduri, Di Piero V., Di Stefano d. A., Doria M.
E) - Suor E. B., Direttrice dell'Istitututo di S. M. degli Angeli di Castelgrande, Erba A.
P) - F. M., F. V., Fabbri N., Faillacci G., Famiglie Campogrande, Papa, T., Fasce R., Fenini P., Ferla M., Ferraro F., Ferrero C., Ferrero N., Ferria S., Ferrini A. in Vanetti, Figlie di Maria Ausiliatrice di Campione sul Garda, Finazer G. ved. Pilati, Fiorentini M., Fiorito A., Glorit L. in Saravito, Foridia G., Fornara C. in lacuni, Fossi T., Fossati C., Fracchia A., Fracchia-Franchinì, Franceschetti M., Franchini M., Franchino G., Frigeri G., Fugazza G. e G., Fusina E. in Ferrero, Fustinoni G.
O) - G. A., G. B. R., G. L., G. S., Gagliano A., Gaino G., Galletti Z. in Pellanda, Galli M., Gallizia A., Gallizio d. D., Gallizioli d. F., Gallo A., Gandelli G., Gandolfo G., Garattini-Fattinizza, Garau N., Garelli L., Gardini R. in Cortuso, Garbarino S., Garbarino T., Gatti G., Gavotti T., Gazoppi E., Gazzetti M. in Casolari, Genestroni C., Ghiardelli M., in Bontempi, Gianforchetti A., Giani C., Giannoni C., in Gilberto, Giannuzzi G., Gilardino C., Gioannini F., Giobbe T., Giongardi. S., Giorda D., Giorgi A., Giraudi T., Goglio G., Gissara M., Giudice M. in Zampatti, Giussani M., Gramaglia S., Gramegna A., Grandi G., Grande A., Grassi L., Graziani C., Graglia M. M., Graziani M., Grenzi L., Grillo R., Griseri M., Grosso F., Gruppo G., Guadagno A., Gualco d. G., Guazzo C. in Vergano, Guelfi G., Gusmani R. ved. Invernizzi.
I) - Iaggi A., Ingrassotta C., Invernizzi M., Iob G. B., Ivaldi A. in Viazzi.
L) - Lagostena P., Lanciarini I., Lanfranchi E., Lanfranchi G., Lanzarotta B., Lemenaire B., Leopardi A., Liotta C. in Satullo, Lionello F., Lisa suor M., Livi E., Lombardi A., Lombardi D., Loreti P.
M) - M. M., M. C., Maccagno M. in Rolla, Macchi M., (una) Maestra elementare di Cappella del Bosco (Cavour) per la sua scolaresca, Maffei G. B , Maiolatesi A., Maiso C., Malgaroli T., Malgrate A., Malugani M., Mambrini 1.. Mangelli G., Marchisio M., Marelli G., Marenco R., Marino F., Martin L., Martina A., Marzano T., Masini C., Maspero G., Masprone R., Matteini I., Matteini M., Matteotti E., Mazzoli E., Mazzucchi I., Meneghello B., Merlo G. in Peila, Merlo P., Mezzacapo C. in Pellegrini, Mignacco F., Moccagatta L., Molfettani-Rapetti v. T., Montanaro A., Monti M., Musso G.
N) - N. B., N. N. di Barletta, Caltanisetta, Caprino Veronese, Cavaglià, Faenza, Manerbio, Montemagno, Torino, Noaro I.
O) - Oberivassloetiner A., Ogino P., Oldano M. in Castino, Oliveri Z., in Briata, Olivero M., Olmo G., Omodei-Salè a., Orlandi B., Ossola F.
P) - P. A., P. S. Pacca prof. M., Pacello A., Pagliaroli A., Palli M. in Duilia, Papa A. e C., Pappalardo G., Parisi C., Pasini A., Pasini M., Passera E., Pasteris C., Pastore L., Pavone M. in Gulli, Pedrini G. in Solari, Pellanda A., Pellas E. in Prato, Pellizzer A., Pellizzoni G., Peluffo M., Pena M., Pentenero F., Pentenero M., Penzo M., Perazzo V., Perez G., Perotti I., Perria-Pessina, Petrini T., Piccinin R., Piccioni C., Pigazzi M., Pilo G., Pinton T., Piras C., Piras T. e T., Piroddi F., Pittavino R., Podestà M., Porta L., Porzio d.r E., Pozza B., Pradetto B., Prati P., Prato E., Predelli G., Puiatti A., Pumati A.,
Q) - Quarta M.
R) - R. R., R. G., Rabino M., Rabelli V., Razzoli D., Regimenti C., Regimenti E., Renzanigo N., Repetto C., Renzi A. in Lanci, Revelli F., Rito E., Ricca M., Rigatti G. M., Risso G. B., Rivetti M.. Rizzo G., Rizzoli T. in Cisella, Rolandi F., Rolla A., Roner M., Rosa L.. Rossatto M., Rossi E., Rossi L., Rossi R., Rossi T., Rosso G., Roveri R., Rumbolo G.
S) - S. I., S. E., Saettone F., Salini P., Salvo V. in Lo Presti, Sandrone A., Santa M. in Bonaria, Santa G., Santangelo O., Santina G., Santini d. Q., Sartori M., Raudatto E., Scanarini R., Scappini M. in Bellucci. Scaramuzza L. in Lanfredi, Scarrone A. in Ferraris, Sergi C., Serra I., Settimi E., Sgarbossa A., Siccardi D., Signori M., Silvetti I., Simeoni C., Smagra A., Sinetti M., Siri A., Sirna E., Sorelle Bagatta, Fraga, Clerici, Dotta, Filotti, Fabbiano, Marenco, Solari P., Solieri C., Sometti A., in Porinelli, Souza A., Spanò C.co d. F., Spanò d.r F., Spellanzon L., in Palù, Stradella M., Strina V., Sussi M.
T) - Tedeschi V., Teodoldi M., Teso G., Testore L. in Novo, Testuzza I., Tomè M., Torregrossa S., Tortarolo M., Tortorella A., Tucci M., Turla G.,
W) - Weis I.
V) - V. G., Vai, E., Valsecchi C., Varalda M. in Olearo, Verna I., Veronesi M., Vigitello M., Villani d. E., Visentin E., Volcan G.,
Z) - Zanetta T., Zaniui L., Zanocchi G., Zonolli M., Zatta P., Zearo G., Zhel A., Zerbini G., Zerboni G., Zilli M., Zola G., Zucca T.
Ogni . giorno fate vostra l'intenzione assegnata. agli ascritti all'Apostolato della Preghiera e il 1° venerdì del mese, sacro al Cuore di Gesù, e il 24 sacro a Maria SS. Ausiliatrice, raccomandate anche l'intenzione speciale da noi proposta.
INTENZIONI PER IL MESE DI SETTEMBRE.
Intenzione quotidiana.
« IL RITORNO DELLE CHIESE SEPARATE ALL'UNITÀ ».
La Chiesa è cattolica, cioè universale, perchè si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi della terra ed è unica o una, perchè non divisibile nè moltiplicabile, perchè vi si professa da tutti una stessa, dottrina, si pratica la stesso culto, si riconosce un solo ed unico capo. È quindi chiaro r errore in cui giacciono tante anime, particolarmente nell'Oriente, le quali credono in Gesù Cristo, e non credono al Papa.
Per il 1° venerdì e il 24 del mese.
LA PREFETTURA APOSTOLICA DELL'ASSAM ».
Conta sette milioni di abitanti che parlano più di centosessanta lingue diverse. È un campo vastissimo, dove i Salesiani entrarono nel 1921 e dove occorrono altri rinforzi di missionari e di Figlie di Maria Ausiliatrice, perchè è troppo piccolo, immensamente piccolo, il numero degli inviati dal Signore di fronte al numero delle anime ad essi affidate e al loro felice movimento verso il cattolicismo.
INTENZIONI PER IL MESE DI OTTOBRE.
Intenzione quotidiana:
« LA RELIGIONE NELLE SCUOLE ».
« Il ripristinamento dell'insegnamento religioso, nelle scuole primarie - diceva in una lettera all'Episcopato Italiano l'E.mo Card. Sbarretti - ha. riempito di liete speranze ognuno cui stia a cuore il bene degli individui, della famiglia e della società; giacchè il catechismo, benchè piccolo di mole ed umile in apparenza, è in realtà divinamente grande e sublime... contiene gli elementi destinati a nutrire ed irrobustire la vita dello spirito... insegna all'uomo l'esistenza di Dio... gli fa conoscere donde viene, dove va, qual via deve tenere per giungere al suo fine... gli fa comprendere l'eccellenza dell'anima sua, riscattata al prezzo di un valore infinito, il Sangue di G. Cristo, e in conseguenza la nefandezza del peccato... gl'inculca la necessità di amare il prossimo come se stesso, di posporre l'interesse privato a quello pubblico, ed il dovere di dare anche la sua vita per il bene superiore della Religione e della Patria! »
Per il 1° venerdì e il 24 del mese.
« LA PREFETTURA APOSTOLICA DEL LUAPULA SUPERIORE NEL CONGO BELGA ».
La Missione, detta fino a ieri del Katanga e recentemente elevata a Prefettura Apostolica ed affidata ai Salesiani, dà le più liete speranze. La grazia di Dio, implorata dalle nostre preghiere, la converta., presto in un vago giardino della Chiesa!
Memoranda udienza pontificia.
Nel mese di luglio il rev.mo sig. Don Rinaldi concedeva agli alunni dell'Istituto Teologico Internazionale Salesiano di Torino la dolce consolazione di pellegrinare a Roma per l'acquisto dell'Indulgenza Giubilare.
I centocinquanta pellegrini, nell'andata, fecero una breve tappa alla Spezia, dove visitarono il Regio Arsenale: e nel ritorno sostavano ad Assisi per visitare i santuari francescani e a Firenze dov'ebbero un ricevimento a Palazzo Vecchio.
A Roma, rimasero otto giorni. Compirono in forma solenne le visite prescritte alle Basiliche, fecero la Via Crucis al Colosseo, e visitarono l'Esposizione Missionaria Vaticana e le principali chiese e monumenti Si recarono anche alla Colonia Agricola degli Orfani di Guerra al Mandrione e l'ultimo giorno si spinsero sino a Frascati, invitati ed accolti dall'Eminentissimo Cardinal Cagliero.
Ma le ore più belle, che lasciarono nell'animo loro un'impressione incancellabile, furon quelle trascorse in Vaticano il giorno 27, quando furono ricevuti in udienza dal Santo Padre, e la mattina del 28 quando ebbero la consolazione di assistere alla sua Messa.
Ecco in quali termini l'Osservatore Romano del 28 luglio dava ragguaglio della memoranda Udienza Pontificia.
Ieri il Santo Padre ricevette nella Sala Ducale i sacerdoti e chierici alunni dell'Istituto Internazionale dei RR. Salesiani di Torino, con il direttore don Felice Mussa, presentati dal R.mo don Francesco Tomasetti, Procuratore generale della Pia Società Salesiana, a nome del Rettor Maggiore don Filippo Rinaldi.
Sua Santità fece il giro della sala rivolgendo con paterna affabilità la parola a quasi tutti i presenti, mentre il coro dei Chierici cantava alla perfezione l'Oremus Pro Pontefice e il Tu es Petrus.
Il Santo Padre, terminato il giro, è salito in trono ed ha cominciato col ringraziare i presenti delle preghiere che avevano fatto per Lui, e delle quali aveva ascoltato l'eco negli stessi canti con i quali essi pur allora Lo avevano salutato. Sua Santità assicurava che tali preghiere aveva ricambiato e seguiterebbe a ricambiare con le sue.
Il Santo Padre poi ringraziava i presenti del bello spettacolo che Gli offrivano rappresensentando tante diverse nazionalità ed in un certo modo tutta la grande famiglia cristiana sparsa per tante terre e sotto tanti cieli. Appartenendo essi alla famiglia del Servo di Dio Venerabile Don Bosco, antesignano loro e tipo della loro vocazione, grande operaio della Chiesa, il Santo Padre li aveva dilettissimi tra i più diletti figli, perchè Egli stesso aveva avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e reputava quélla una delle più singolari grazie delle quali la Provvidenza Divina aveva voluto ricolmare la Sua vita. Sua Santità credeva di aver compreso il pensiero e lo spirito del grande Fondatore, aveva seguito l'opera Sua man mano che andava svolgendosi su tutta la terra, e perciò non poteva non riguardare con particolare affetto coloro che si erano avviati per il solco aperto da Don Bosco, e che si addestravano a cercare il lume e la grazia necessaria per poter essere i degni operai della Sua grande impresa.
Il Santo Padre augurava perciò che tale preparazione fosse intensa, profonda, ricca di tutti i più preziosi tesori spirituali, così che tutti, mediante lo zelo dei superiori e la generosa corrispondenza degli alunni, possano divenire fari di luce, apostoli di fede, di verità e di carità.
Ma la compiacenza del Santo Padre si accresceva per il pio pensiero che gli alunni dell'Istituto Internazionale Salesiano avevano avuto di venire a Roma per lucrare il Santo Giubileo e visitare il Padre comune, « videre Petrum » come San Paolo che, prima di muovere all'apostolato delle genti, volle andare a Gerusalemme a vedere il Principe degli Apostoli. Sua Santità pregava ai figli Suoi tutte le grazie per le quali le fatiche, alle quali essi si preparavano, potessero riuscire largamente feconde, e con tutta l'effusione dell'animo dava a loro la Benedizione Apostolica, arra delle gioie spirituali del Santo Giubileo che essi erano venuti ad acquistare e che si sarebbero realizzate nella intima santificazione di ciascuno. Ed in quella Benedizione il Santo Padre voleva abbracciare tutti e ciascuno dei presenti, la loro attuale preparazione e il loro apostolato futuro, i sacerdoti e coloro che il sacerdozio ancora non avessero raggiunto, tutte e singole le famiglie che essi abbandonarono per entrare nella più grande famiglia di Don Bosco, su tutta la Famiglia Salesiana che
Sua Santità amava figurarsi spiegata dietro i presenti in tutta l'efficienza della missione che essa sotto ogni cielo e su tutte le parti della terra va esplicando con tanta fecondità sempre più intensa e benefica.
Il Santo Paere, terminato il discorso, impartì la Benedizione Apostolica e lasciò la Sala, mentre il coro Lo salutava col canto del Christus vincit.
Altra udienza pontificia.
Il 30 luglio u. s. il S. Padre aveva la bontà di ricevere nella sala dei paramenti anche un gruppo di 8o sacerdoti salesiani dell'Ispettoria romana, convenuti a Roma in occasione dell'annuo ritiro spirituale, e dopo aver compiuto le visite prescritte per l'Anno Santo.
Sua Santità salutò con paterno adetto quegli avventurati figli di Don Bosco, li ammise uno per uno al bacio della sua mano, e prima d'impartire ad essi l'Apostolica Benedizione, si compiacque di rivolgere loro la sua Augusta parola.
« Nel trovarci dinanzi a tanti Sacerdoti dell'Ispettorato Romano - disse il Santo Padre - Noi pensiamo di non poter passar oltre senza fermarci a dirvi la Nostra parola di compiacenza, d'incoraggiamento, e, anche, vorremmo dire, di paterna riconoscenza per il gran bene che voi e i vostri confratelli dell'Ispettorato, nel nome caro e sacro di Don Bosco, venite compiendo in terre cosi vicine a Noi e perciò a Noi particolarmente care. Lavorando voi per il bene dei figli, meritate giustamente la lode e la riconoscenza del Padre: e nella visione di tanto bene, che si compie proprio presso la casa paterna, la casa cioè del comun Padre dei Fedeli, in questa visione dolce e consolante vi impartiamo l'Apostolica Benedizione... ».
Nuovo Vescovo Salesiano.
Il Santo Padre Pio XI con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale in data 1° maggio 1925 ha preposto alla Chiesa Cattedrale di Campos nel Brasile il Rev.mo Don ENRICO MOURAO, della Società Salesiana, già Amministratore Apostolico della stessa Diocesi.
Al nuovo Vescovo Salesiano l'augurio santo del più fruttuoso apostolato.
Nuovo Prefetto Apostolico.
Abbiamo già annunziato come il Santo Padre Pio XI abbia eretto in Prefettura Apostolica la nostra Missione del Katanga Superiore (Congo Belga), col nome di Prefettura Apostolica del Luapula Superiore. Ora siam lieti di aggiungere che n'è stato nominato titolare il rev.mo Don Giuseppe Sak, che fin dall'anno 1911 lavora con apostolico zelo in quel campo così promettente.
Al nuovo Prefetto Apostolico la promessa di speciali preghiere perchè Dio benedica le fatiche sue e quelle dei suoi missionari.
ITALIA.
TORINO. - TRA LE vISITE ILLUSTRI che quest'anno riceve più frequentemente l'Oratorio Salesiano di Torino, non possiamo dimenticare quelle dell'Eminentissimo Cardinal Giovanni Tacci e del Commendator Lo Pa Hong.
L'E.mo Tacci, Segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, venne tra noi la domenica 26 luglio, quando fu di passaggio a Torino per recarsi a Courtances come Legato Pontificio alle feste per la Canonizzazione di Santa Maria Maddalena Postel. Ascoltò il saluto riverente di un alunno, e rivolse ai salesiani e a tutti gli alunni presenti una tenera e commovente allocuzione.
Il Commendator Giuseppe Lo Pa Hong, insigne cooperatore e benefattore nostro di Shanghai, fu tra noi il i e il 2 agosto. Visitò minutamente l'Oratorio, volle servir messa all'altare di Maria SS. Ausiliatrice e si recò a Valsalice, dove pregò a lungo sulla tomba del Venerabile.
* ROMA. - COMMEMORAZIONE DEL CINQUANTENARIO MISSIONI SALESIANE. - Abbiamo già accennato alla commemorazione del Cinquantenario delle Missioni Salesiane, svoltasi nell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma l'11 luglio u. s., alla presenza di sei Eminentissimi Principi di S. Chiesa. In questo numero, a ricordo, riproduciamo riunite due fotografie, prese durante l'adunata solenne.
* CUORGNÈ. - SCUOLA SERALE PROFESSIONALE. - Anche quest'anno la Scuola Serale Tecnico-Professionale Salesiana del Collegio Giusto Morgando in Cuorgnè (Torino), a vantaggio della gioventù specialmente operaia e agricola del paese e dintorni, ebbe esito splendido. Alla premiazione finale ben 98 allievi furono premiati con libretti della Cassa di Risparmio e Menzioni Onorevoli.
La Scuola conta tre Corsi, oltre una speciale Sezione d'Agraria, ed è retta da alcuni insegnanti interni del collegio e vari volenterosi insegnanti esterni. Le materie d'insegnamento sono: Religione, Disegno, Cultura generale, Commercio, Nozioni varie, Diritti e Doveri, Dattilografia, Teatro e Ginnastica, ed alle lezioni ordinarie si aggiungono conferenze di varia cultura con proiezioni luminose a tutti i corsi insieme riuniti.
PALESTINA.
* BETLEMME. - LA FESTA DEL S. CUORE DI GESÙ. - Togliamo dall'Osservatore Romano del 3 luglio u. s. queste note interessanti di Fidelis: « Mentre Giaffa celebrava con tanta distinzione (con la presenza di Mons. Patriarca di Gerusalemme) la gioconda festa liturgica, la cittadina del Natale del Signore ne emulava il pio fervore aggiungendo alla solennità esterna un numero di programma che le assicurava un primato incontrastabile di santa audacia. Le funzioni si sono svolte nella chiesa dei Salesiani, che da anni si rivendicano la privativa dell'organizzazione di questa solennità.
Al mattino vi cantava Messa solenne il R.mo P. Aurelio Marotta, Custode di Terra Santa. Nel pomeriggio i riti religiosi erano presieduti da Monsignor Kean, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale della Diocesi.
» Terminata un'ora di adorazione pubblica, usciva dalla chiesa, per attraversare le vie principali del paese, una processione imponente che recava in trionfo il SS. Sacramento.
» Ne conservo ancora negli occhi e nel cuore la soave visione di paradiso, tanto eccezionale in Terra Santa.
» Era il tramonto. La prima brezza della sera tormentava senza tregua le bandiere che dalle finestre e dai balconi delle case garrivano sommessamente, come se cantassero a mezza voce una canzone d'amore. Dai campanili della città si rincorrevano squilli a distesa; strofe argentine che trillavano come cori d'uccelli e poi vanivano, lontano, verso il cielo...
» La processione, che, dall'anno scorso, ha ripreso la sua devota tradizione della sfilata all'aperto, rientrò dopo quasi due ore nella chiesa dei Salesiani e suggellò con una ultima Benedizione la grandiosa giornata, densa di commozione...
» Il campanile e l'Orfanotrofio salesiano, inghirlandati di luce, continuarono nella notte, fino a tarda ora, il carme trionfale rinnovato nel pomeriggio dalla Città Natale al Cuore di Gesù Cristo, Re immortale dei secoli: Regi saeculorum immortali et invisibili, soli Deo, honor et gloria in saecula saeculorum. Amen ».
ARGENTINA.
* TUCUMÀN (Rep. Argentina). - LA DOMENICA 5 LuGLio, con solennissima cerimonia, venne inaugurato il nuovo istituto salesiano « Tullio Garcia Fernàndez ».
Quattro anni or sono, il sig. Emanuele Garcia Fernàndez, di f. m., donava la somma necessaria per la costruzione dell'istituto in memoria del figlio Tullio, morto nella Spagna; e l'edifizio sorse, splendidissimo, su disegno del compianto comm. don Ernesto Vespignani. Alla festa inaugurale, insieme con la famiglia Fernàndez, erano presenti il Governatore della Provincia Dott. Campero, il Ministro dott. Bascary, il Presidente della Suprema Corte di Giustizia dott Paez de la Torre, il Presidente del Senato dotti. Cossio, il Presidente della Camera dei Deputati dott. Carranza, il
Presidente del Consiglio di educazione, il Sindaco con tutte le autorità civili e militari della città.
La benedizione rituale venne impartita dal Vescovo S. I . Mons. Piedrabuena.
Nella stessa giornata venne inaugurato un monumento ad Emanuele Garcia Fernàndez e scoperta una targa a ricordo dell'architetto don Vespignani.
L'ispettore don Bonetti, nel pomeriggio, chiuse un'adunata di 3000 persone, rievocando le parole del caritatevole fondatore: « Sarà sempre per me un dolce conforto il pensare che nel Collegio, che perpetuerà la memoria del mio figlio Tullio, si formeranno generazioni cristiane!...
Card. LUDOVICO NAZARIO BÉGIN. - Arcivescovo di Québec nel Canadà, si spense il 19 luglio u, s. Pegno della sua operosità pastorale sono le numerose associazioni cattoliche organizzate, le casse popolari istituite, la fondazione di un giornale cattolico, la splendida riuscita del Congresso Eucaristico Internazionale, e cinquanta nuove Parrocchie. Nei suoi viaggi a Roma passò più volte per Torino, e, visitò la casa madre delle Opere di D. Bosco, di cui era fervente cooperatore.
P. ALBERTO LEPIDI, O. P. - Spegnevasi improvvisamente la sera del 31 luglio nella grave età di 87 anni. Professore di Filosofia a Lovanio ed illustre cultore di scienze filosofiche, fu chiamato da Leone XIII a Roma come Reggente del Collegio Pontificio di S. Tommaso e fu in seguito Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, nel quale ufficio visse i suoi ultimi 28 anni. Il Signore gli doni il premio di tante opere buone.
Cav. Avv. GIUSEPPE BONTEMPI. - Educato ai più schietti sensi cristiani, fu insigne modello delle più belle virtù. Laureatosi in giurisprudenza, esercitò per molti anni la professione forense con universale fiducia. Consigliere comunale e sindaco di Darfo, e consigliere provinciale stimatissimo, fu un campione dell'apostolato cristiano, massime a pro' dei circoli giovanili e operai. Terziario francescano e cooperatore salesiano entusiasta, volò al premio eterno il 15 luglio 1925 in Corna di Darfo (Brescia).
Prof. GIUSEPPE RoSSELLi. - Dei primi allievi dell'Istituto Salesiano di Firenze, conobbe Don Bosco e l'avrò, e si studiò di ricopiarne lo slancio per il bene, assecondando e appoggiando costantemente ogni opera buona. Per questo la sua morte ha destato il più vivo rimpianto. Anima dell'azione cattolica in Firenze e Provincia, era anche presidente dell'Unione locale degli ex-allievi e n'andava santamente orgoglioso. Cooperatore attivo e zelante, nelle pubbliche adunanze, nelle stesse con versazioni, con parola calda di convinzione attraeva continue simpatie all'Opera Salesiana.
ELISEO BATTAGLIA, il gentile scrittore che contava lettori ed ammiratori in ogni parte d'Italia, è morto il 13 luglio ad Albizzate (Milano), nell'Ospizio di don Guanella. Chi non ricorda Angioli e bambini nella notte di Natale, Aurora divina, Amor che spira, I Quadri della Passione, Nella gloria della Risurrezione e Piccoli Santi?... In morte del 1° Successore di don Bosco il Battaglia pubblicò anche Un Sovrano della bontà (don Michele Rua), che volle dedicato « agli eroi della carità in tutti i secoli », « si chiamino essi... Benedetto da Norcia, Francesco d'Assisi, Vincenzo de' Paoli, Francesco di Sales, e giù giù fino ai tempi nostri, il Cottolengo, Fra Lodovico di Catania, don Bosco... ultimo di tutti don Michele Rua ». Noi pensiamo che il bene compiuto con gli scritti e i dolori sofferti negli ultimi anni abbian già elevato lo spirito di Eliseo Battaglia al premio eterno; tuttavia, chiediamo per lui ferventi preghiere.
GIUSEPPE ROBERTO LUCHELLI. - Ricco d'ingegno e di cuore, consacrò tutti gli affetti a Dio, alla famiglia, al lavoro. Cristiano convinto, cristianamente educati volle i suoi figliuoli. Entusiasta del bene ed ammiratore di ogni opera buona, nutrì una profonda ammirazione per Don Bosco e per l'Opera Salesiana. Lavoratore indefesso, si procacciò la stima di ogni ceto di persone. Splendido esempio di ciò che possa, anche in una vita breve, una forte volontà sorretta dalla fede. Morì a Torino il 12 agosto u. s. a 46 anni.
GIACINTA VIETTI Ved. MUSSA. - Donna di gran fede, visse unicamente per la pietà e per le opere di bene, educando cristianamente la numerosa famiglia, lieta di dare due figli alla Società Salesiana. Si spense serenamente a 7o anni in Druent (Torino) il 7 agosto 1925.
Nel presentare l'elenco dei compagni passati all'eternità in questi ultimi mesi, invochiamo devoti suffragi per le loro anime, nella certezza che dal cielo ci otterranno altri cuori generosi, i quali, pieni di ammirazione per l'Opera di don Bosco, verranno a colmare i vuoti fatti nelle nostre file e ci metteranno in grado di ampliare il campo del nostro apostolato.
AIGNER Giovanni, nato a Eupendorf (Austria), † a S. Gabriel (Brasile), il 3o-XII-1924, a 25 anni.
Aspirava al sacerdozio, ma non potè dedicarsi agli studi per cagionevole salute, e si rese coadiutore salesiano. Sentendosi vivamente attratto alla vita missionaria, ottenne di partire per la Missione del Rio Negro, e il Signore si accontentò del suo sacrifizio, perchè, dopo pochi giorni che era giunto a S. Gabriel, prese a declinare, e, nonostante ogni cura, non escluso il cambiamento di clima, passò all'altra vita.
BINI ch. Vittorio, nato ad Alessandria, † ad Arequipa (Perù), l'11 luglio u. s., a 19 anni.
« Anime e anime! » fu il motto e il desiderio della sua giovane vita. A dieci anni insegnava il catechismo ai suoi compagni più piccoli, e a quindici entrava nelle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli. Rèsosi salesiano, entusiasta dell'apostolato missionario, partiva sul finir del 1924, per il Perù, e con eroico sacrificio di là volava al cielo.
BENOVE ANGELO Gaudenzio, nato a Fossano (Cuneo), † a Quillota (Cile), il 2-v-1925, a 6o anni.
Destinato alle Missioni della Terra del Fuoco, legò il suo nome al Museo Regionale Salesiano di Puntarenas, pel quale incontrò molte fatiche. Amò tanto anche l'Opera degli Oratori festivi, nei quali si prodigò con ardore.
BRANDA Michele, nato a Nizza Monferrato (Alessandria), † a Torino il 14-11-1925, a 79 anni.
Attivo e zelante coadiutore, lavorò in varie case ed oratorii festivi d'Italia, Spagna e Svizzera, amato dai giovani che spronava e moveva. esemplarmente alla frequenza dei SS. Sacra rasenti. Ed egli stesso, quando, colpito da paralisi, fu costretto all'inazione, non lasciò mai di prender parte a tutte le pratiche di pietà.
BRIZIO Gio. Battista, nato a Bra (Cuneo), † a Spezia, il 28-12-1924, a 74 anni.
Lavorò fino all'ultimo, sebbene in malferma salute, trovando sollievo e conforto nelle pratiche di pietà e nell'esercizio quotidiano della. Via Crucis.
CAGLIERO Sac. Alessandro, nato a Castelnuovo d'Asti (Alessandria), † a Torino il 28-1v-1925, a 39 anni.
Pronipote dell'E.mo Card. Cagliero, insegnante e prefetto nel collegio Giusto Morgando di Cuorgnè, appassionato cultore del canto sacro e volenteroso educatore di vocazioni ecclesiastiche e religiose, malato da nove mesi per un tumore al fegato, morì serenamente nella certezza di volare al cielo.
CAVINATO Cherubino, nato a Montebello Vicentino (Vicenza), † a Torino il 19-xII-1924, a 6o anni.
Orfano di padre e di madre, ancor giovane si recò nel paese di Gesù per aiutare il Can. Belloni, e fattosi con lui salesiano, per quarant'anni lavorò tra la gioventù, a Betlemme, Cremisan Beitgemal, ed Alessandria d'Egitto. Chiamato da poco tempo a Torino, fu lieto di chiudere la vita all'ombra del Santuario di Maria SS. Ausiliatrice.
CIRIGNOLA Donato, nato a Fasano (Bari), † a San Pier d'Arena il 17-vII-1925, a 71 anno.
Entrò tra i Salesiani in età di 29 anni, e disimpegnò costantemente i delicati uffici di provveditore, refettoriere e cantiniere con fedeltà e sacrifizio, sempre pronto ad altri lavori faticosi, non domandando nè cercando mai un'ora di riposo, memore del detto del Ven. Don Bosco:
« Ci riposeremo in Paradiso! »
COGNO Giacomo, nato a Novello (Cuneo), + a San Gabriel (Brasile) il 3-1-1925, a 43 anni.
A quattro giorni dalla morte di Giovanni Aigner, la Missione di S. Gabriel nel Rio Negro perdeva quest'altro zelante salesiano, vittima del beriberi. Appena il male l'obbligò a sospendere le sue occupazioni, prese a moltiplicare le visite in chiesa e le continuò fino alla vigilia della morte, edificando tutti col serafico contegno innanzi al SS.mo Tabernacolo! Il Signore ci doni molte vocazioni missionarie.
COLOMBo Angelo, nato a Meda (Milano), † a Caño de Loro (Colombia) il 10-1-1925, a 69 anni.
Conobbe l'Opera Salesiana alla morte di Don Bosco e fin dal 1889 partì per la Colombia, dove per sette lustri fu maestro falegname, associando all' insegnamento professionale un'educazione profondamente cristiana con la parola e con l'esempio.
DABROWSKI Pietro, nato a Ossòw (Varsavia), † a Cracovia il 4-vI-1925, a 59 anni.
Per vari anni fu nelle case salesiane di Macerata e di Roma e, in fine in quella di Cracovia, dove, eserciaando l'ufficio di sacrestano, mostrò una predilezione speciale per i poveri e gli ammalati, ai quali con gioia portava l'obolo caritatevole delle società di beneficenza della parrocchia e il frutto stesso delle sue frequenti mortificazioni. Piissimo, morì improvvisamente ma ben preparato. Il giorno prima aveva anticipato l'esercizio della Buona Morte.
ECHALECU Sac. Eusebio, nato a Pamplona (Spagna), † a Valenza (Spagna) il 16-1-1925, a 63 anni.
Entrò in Società a 32 anni e, sentendosi chiamato al sacerdozio, cominciò a studiare il latino e compiuti gli studi filosofici e teologici fu ordinato sacerdote nel 1901. Fondatore del periodichetto settimanale « El Oratorio Festivo », fu direttore della Casa di Barcellona e in seguito lavorò in altre case con frutti consolantissimi, avendo sempre la gloria di Dio e il bene delle anime a programma della vita.
FERRONATO Celestino, nato a San Giorgio in Brenta (Padova), + a Nictheroy (Brasile) il 12-10-1924, a 62 anni.
Entrato in Società a 37 anni, esercitò l'ufficio di infermiere nel Collegio di Nictheroy, sempre pieno di carità e di entusiasmo per la vita abbracciata.
FIORENZO Evaristo, nato a Gavi (Alessandria), † a Lanzo (Torino) il 15-IV-1925, a 79 anni.
Per più di 5o anni esercitò l'ufficio di ortolano a Lanzo, a S. Pier d'Arena, e nuovamente a Lanzo, di cui ricordava i primi tempi e i nomi, cari ad ogni salesiano, di D. Lemoyne, Mons. Fagnano, Mons. Lasagna, Mons. Costamagna, che vissero gli anni fiorenti della loro vita nel collegio di Lanzo, frequentemente visitato dal Ven. Fondatore. Sempre presente alla 1a Messa, e primo alla visita del SS. Sacramento nel pomeriggio, tenerissimo nella divozione a Maria SS., il buon Fiorenzo fu una delle più care figure dei coadiutori salesiani cresciuti alla scuola di Don Bosco.
GHIONE Sac. Anacleto, nato a Nizza Monf., † a Bari il 28 luglio u. s. a 69 anni.
Lavoratore volenteroso e indefesso, fu carissimo al Ven. Don Bosco di cui ci lasciava alcune memorie, e a Don Rua che gli affidò delicate mansioni in Italia e all'Estero. Guidato da un alto senso di carità, scrisse alcune operette popolari d'igiene e per soccorsi d'urgenza, assai apprezzate, felice di poter fare del bene.
GIOVANNINI Sac. Giuseppe, nato a Casabianca Verolengo (Torino), † a Spezia il 24-7-1924 a 47 anni.
Sacerdote zelante, si dedicò con preziosi frutti di bene al popolo, alla gioventù, ed anche ai soldati per molti anni nell'Ospedale militare della Spezia, circondato da tutti con affettuosa ammirazione. La sua morte inaspettata destò il più profondo rimpianto, lenito dalla certezza di rivederlo in cielo.
MARCHESI Angelo, nato a Giovenzano (Pavia), † a Modena il 27-11-1924, a 74 anni.
Guardarobiere, provveditore, cantiniere e cuoco in varie case, lasciò dappertutto grato ricordo per l'operosità instancabile e per il carattere faceto e gioviale. Era entrato in Società nel 1878.
MARIANI sac. Carlo, nato a Vaprio d'Adda (Milano), † a Milano il 29-11-1924, a 48 anni.
Visse la vita nell'insegnamento, nel quale si era acquistata una larga cultura, che unita alla praticità ed alla giovialità dello spirito, lo rendeva caro agli allievi, i quali lo riavvicinavano con riconoscenza per conforto e consiglio anche raggiunta la mèta desiderata.
PASERI Sac. Giovanni, nato a Sampeyre (Cuneo), † a Varazze (Genova) il I-IV-1925, a 76 anni.
Morì in concetto di santo a Varazze, dove per oltre 5o anni insegnò ai bambini della prima elementare, cattivandosene, col fare mite e bonario, la confidenza e l'affetto per tutta la vita. Zelantissimo della salvezza delle anime, per molti anni fu anche assiduo confessore nella chiesa parrocchiale, sempre pronto ad accorrere di giorno o di notte presso gli ammalati, ottenendo vere conversioni. Non v'era più una casa in Varazze, ove don Paseri non fosse entrato ad esercitare, benedetto, il sacro ministero.
I funerali furono un trionfo. Sospesi i lavori negli stabilimenti, chiusi i negozi, fermi i cantieri, arrestato ogni traffico, tutta la città si riversò attorno alla spoglia del maestro e del sacerdote esemplare e laborioso, al quale accorrevano molti anche di lontano per avere consiglio e conforto ed esser benedetti nel nome di Maria Ausiliatrice. E tutti cercavano qualche suo ricordo, ed una era la voce: « È morto un santo! »
Ci auguriamo di veder presto pubblicata una bella biografia del caro don Paseri.
PAVONI Teodorico, nato a Jesi (Marche), † a Torino il 12 agosto 1925, a 78 anni.
Egregio insegnante elementare in vari collegi, da un ventennio era segretario dell'ufficio del Bollettino nell'Oratorio di Valdocco, dedicando i brevi intervalli elle gli restavan liberi nelle diuturne giornate alla lettura di opere ascetiche e catechistiche, nella quale trovava il più caro sollievo. La notizia della sua morte sarà accolta con dolore da molti cooperatori, specie di Torino, che ne apprezzavano la grazia dignitosa e la rara sollecitudine nel disbrigo di ogni incarico.
REIS Ch. Oscar, nato a Rio de Janeiro (Brasile), † a Lorena l'8-IX-1924, a 26 anni.
Era studente della Scuola Politecnica di Rio, quando, docile alla voce del Signore che lo chiamava in altro campo, entrò tra i figli di don Bosco tra cui visse appena quattro anni, ma volò al cielo ricco di meriti. Desiderosissimo di salire al sacerdozio, ne fece sacrifizio al Signore per ottenere alla pia Società molte vocazioni e la perseveranza dei confratelli, e ciò con la fede e lo slancio di un religioso veterano.
ROMAGNA Luigi, nato a Imer di Primiero (Trento), † a Verona il 12-II-1925, a 56 anni.
Ascrittosi alla Società Salesiana in età matura, passò il resto della vita a Schio e a Verona, in umili lavori e in oscuri sacrifizi, pieno di esempi e di meriti.
SAVARINO Giuseppe, nato ad Almese (Torino), † a Foglizzo il 9-II-1925, a 54 anni.
Meccanico elettricista e lattoniere, lavorò in varie case con l'ardore ispirato e sorretto dalla fede, che nobilita ogni opera rivolta a Dio.
SCOTTI ch. Giuseppe, nato a Podenzano (Piacenza), † il 9 agosto 1925, a 25 anni.
Alunno del Collegio pareggiato di S. Giovanni Evangelista, sul principio del 1923 si laureò in ingegneria meccanico-industriale al R. Politecnico di Torino, a pieni voti; e dopo essere stato un anno al Tecnomasio di Milano, vestì l'abito chiericale a Foglizzo, guidato dalla fervente pietà che fin dal 1910 l'aveva condotto quotidianamente alla S. Comunione, e, in seguito, l'aveva reso uno dei soci più attivi delle conferenze di S. Vincenzo e dell'Adorazione notturna.
STELL Davide, nato a General Villegas (Buenos Aires), † a Santa Cruz (Argentina) il 6-1-1925, a 25 anni.
Catechista nelle Missioni della Patagonia, zelò la conoscenza delle verità della fede ai bimbi ed agli adulti, felice quando poteva presentare al missionario un'anima preparata al Battesimo o desiderosa di riconciliarsi con Dio.
TABORDA ch. Emmanuele, nato a Bagé (Brasile) † a Lavrinhas l'11-V-1925, a 18 anni.
Nutriva tant'ammirazione per la vita salesiana, che chiese ed ottenne, come la grazia più cara, di divenir figlio di Don Bosco e di morire anche subito, piuttosto che non corrispondere in modo pieno alla vocazione seguita!
TRINCHERO Ch. Virginio, nato a Valfenera d'Asti (Alessandria), † a Chieri il 29-XII-1924, a 17 anni.
Colpito da grave deperimento, spirò come un piccolo S. Luigi, senza un lamento, soffrendo assai e offrendo tutto al Signore.
TRuCHI Sac. Carlo, nato a Sospello (Nizza Marittima), † a Torino il 17-v-1925, a 65 anni.
Spese nell'insegnamento tutta intera la vita. Professore di lingua francese e autore di varie opere scolastiche insegnò in varie case di Francia e d'Italia, in ultimo nel ginnasio pareggiato di S. Giovanni in Torino.
TURCHET Luigi, nato ad Ariano (Udine), † a Livorno di Toscana il 23-vI-I925, a 66 anni.
Infermiere e provveditore, disimpegnò i suoi uffici in varie case con capacità non comune, congiunta a giovialità. di carattere e a spirito di fede; finchè, colpito da grave miocardite, non pensò che a ben morire.
VALDES Antonio, nato a Messico, † a Guadalajara il 17-III-1925, a 25 anni.
Allievo dell'Istituto salesiano di Messico, fu maestro sarto a Puebla, amato e stimato per le qualità didattiche e le virtù che lo adornavano.
VESPIGNANI Sac. Ernesto, nato a Lugo (Ravenna), † a Buenos Aires il 4-II-1925, a 63 anni.
Abbiam già detto della vita operosa di questo buon confratello che preparò i disegni di ben 79 chiese, cappelle, santuari ed istituti educativi in Italia e in America.
Dall'ambiente famigliare, dove fiorirono, con la sua, quattro vocazioni sacerdotali ed altre tre religiose, passato alla scuola di quel santo amico di don Bosco, che fu don Paolo Taroni, direttore spirituale del Seminario di Faenza, educò per tempo il cuore semplice e buono e la mente svegliata ed aperta al lavoro e al sacrifizio; e, nel lavoro costante e nel sacrifizio, mite ed esemplare visse intera la vita.
ZAGO Isidoro, nato a Vicenza, † a Mogliano Veneto il 24-II-1924, a 52 anni.
Lavoratore instancabile, prestò segnalati servizi come calzolaio, infermiere, cuoco e portinaio, che rese più preziosi con la vita esemplare ed il carattere sempre gioviale, dandone splendidi esempi anche nella malattia che lo trasse alla tomba.
ANTONIM D. Angelo, Arcipr., † Porto Legnano. ARMANI D. Giovanni, Parroco, † Lemignano. ARDISSONE Eugenia, † Mondovì (Cuneo). ATZEI Generosa, † Pau (Cagliari). APORTI Teresa Ved. TONINI, † Torino. BERTOLOTTI Candida n. NESPOLO, † Prata di Pord. BARBASIo G. B, † Torino. BATTAGLION Elisa, † Schio (Vicenza). BADA D. Pietro, † Malpaga (Brescia). BUFFA Giuseppe, † Cavour (Torino). BOBBA Cesare, † Torino. CATTANEO D. Carlo, † Miasino (Novara). CARUSO Cav. Giacomo, , Monreale (Palermo). DOGLIANI Cristina, † Cuneo. DONZELLI Maria Ved. TEMPINI, † Bienno (Brescia). FALASCA Can. D. Luigi, † Segni (Roma). FASCIE Bartolomeo, † Final Pia (Genova). MANZI Giacomo, † Caramagna (Novara). MAZZIA Allegra Margherita, † Campatogno (Novara). REPETTI Cav. Angelo, † Robbio (Pavia). RONDOLETTI Giuseppe, † Vinchio (Alessandria). TASSERA Marietta, † Miasino (Novara). TESSADRI Maria, † Carpenedolo (Brescia). TOMMASELLI Luigi, † Novara. ZAGO Maddalena, † Vicenza.