LA FESTA DI TUTTI I SANTI E L'ANNUA COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI pag. 273 LA PARTENZA DEI NOSTRI MISSIONARI . . . . » 276 LA REDENZIONE DEGLI INDII DEL MATTO GROSSO (Brasile) 279 MISSIONI: - REPUBBLICA DI S. SALVADOR: L'Opera Salesiana nell'America Centrale - BOLIVIA: Attraverso il regno di Bolivar (seguito) » 281 UNA VISITA AI LEBBROSI DELLA NORVEGIA . . . . » 288
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SE per poco ci facciamo a considerare quanto si opera dalla Chiesa non solo nelle cose riguardanti la fede e la morale, ma ben anche i suoi riti e le sue feste, non possiamo non persuaderci tosto che essa è guidata da uno spirito soprannaturale, sapientissimo, da quello Spirito cioè che il suo divino Sposo promise di mandarle, dopo che Egli avrebbe fatto ritorno al Padre. Figlia dell'amore, perchè uscita alla vita là sul doloroso Calvario dal cuore amorosissimo del Redentore trapassato dalla dura lancia del Centurione, la Chiesa abbraccia nella sua celeste carità quanti, divenuti suoi figli per mezzo dell'acqua salutare del Santo Battesimo, possono ancora aspirare e sperare di giungere all' acquisto dell'immortale gloria del cielo. Quest'amorosa Madre si fa tutta a tutti, e si allieta con chi è lieto e piange con chi piange, secondo l'insegnamento dell'Apostolo delle genti.
Perciò, dopo essersi rallegrata con i suoi figli, che « ... perpetui fiori dell'eterna letizia ... » vivono gloriosi con Cristo, dopo di aver osannato ai loro trionfi ed invitato i figli tuttor pellegrini sulla terra a godere e congratularsi coi fratelli del cielo, ben tosto li invita a volgere lo sguardo pietoso laggiù
« Ove l'umano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno. »
Questo dogma grandioso e consolante della Comunione dei Santi, mentre ci rivela pienamente la bellezza della Chiesa e nella sua bellezza la divinità del suo Creatore, fa sentire in tutta la sua potenza quell'unione fraterna dei cristiani, contro cui nulla può la morte stessa. Figli della Chiesa militante, della Chiesa purgante e della Chiesa trionfante, in terra, in purgatorio, in cielo, noi non formiamo che una famiglia indivisibile sotto lo sguardo del Padre comune. Coloro che giunti sono al porto, stendono la mano a quelli che navigano tuttavia, come diceva al suo clero un santo Arcivescovo prima di morire: « Io ho trascorso un mare procelloso. Se posso, come spero, per la grazia del Signore e sotto gli auspici della Stella del mare, afferrare il porto, sarò sempre sulla spiaggia dell'eternità, ove tutti verrete ad approdare, per aspettarvi, per ricevervi, per darvi a tutti il bacio di pace fratellevole ed eterno. Là io sarò felice nel dire: Oh! quanto buona e dolce cosa ella è che i fratelli sieno insieme uniti ! »
Ecco dunque il quadro bello e consolante che annualmente la solennità di tutti i Santi e la commemorazione dei defunti richiamano alla nostra mente. Da una parte coloro, che ancor combattono nel mar tempestoso, possono essere utili con preghiere e con opere sante ai loro fratelli, che nelle fiamme del Purgatorio espiano le brutture delle colpe veniali e le reliquie delle mortali; e dall' altra quelle anime sofferenti, sicure, come sono, della propria eterna salute, saranno in cielo fervorose interceditrici a pro di chi ebbe memoria delle loro pene. Una vasta comunione di preghiere, di meriti e d'assistenza unisce tra loro il cielo, la terra e i luoghi oscuri, dove soffrono le anime dei trapassati. Dall'alto dei cieli i Santi, che invochiamo, ci sorrìdono, ci benedicono, ci proteggono. Dal fondo degli abissi i nostri parenti ed amici gridano verso di noi: Pietà, pietà ! voi che ci amate, perchè la mano del Signore si è aggravata sopra di noi... Quelli che amiamo sono immersi in un mare di dolori, perchè ben sappiamo come la più parte di essi, prima d'arrivare all'eterna beatitudine, debbano passare pel Purgatorio; ma noi possiamo pregare e soffrire per essi. Le loro anime, prigioniere della giustizia di Dio, sono incapaci di qualunque atto meritorio; ma noi possiamo dar loro i nostri... Ascoltiamo perciò l'invito che ci rivolge in questo mese la santa Madre Chiesa con le parole dell'Apostolo: Si conservi tra voi la fraterna carità... ricordatevi dei carcerati, come carcerati voi insieme... Mementote vinctorum tanquam simul vincti (Heb. XIII, 5.). Andiamo a trovarli in ispirito questi carcerati della divina giustizia e diciamo loro che siamo pronti a tutti gli atti di giustizia e di devozione. Forse essi soffrono per noi, e noi dobbiamo riparare a tutto ciò che in nostra vita potè loro esser funesto. Allorchè essi soffrivano vicino a noì, non potevamo non soffrire per essi; ma allora il nostro soffrire avrebbe aggravato i loro patimenti; mentre oggi tutti i mali., che soffriamo per amor loro, cadono come una pioggia benefica sul fuoco, che consuma gli avanzi dei loro peccati.
È per eccitare i nostri cuori alla compassione verso di quelle sventurate anime, per affrettarci a soccorrerle largamente, a lenire i loro tormenti e aprire ad esse le porte del cielo, che la Chiesa in modo solenne e patetico, quando l'anno volge al tramonto, richiama alla nostra mente le pene inenarrabili, da cui sono afflitte, e ci ricorda che a questo ci stringe e la giustizia e la fraterna carità e quell' innato senso di compassione tutto proprio del cuore dell'uomo.
Diffatti fra quei cari defunti, che la giustizia e la misericordia divina purifica, ve ne sono di quelli che per affetto furono la metà di noi stessi, a noi congiunti per parentela e per sangue ed ai quali forse andiamo debitori delle ricchezze e degli agi di che abbondiamo. Forse altri ve ne sono che ci ricolmarono di rari benefizi, che ci amarono non solamente col cuore, ma con amore generoso; forse alcuni colaggiù gemono per nostra colpa. Ebbene giustizia vuole che, per quanto sta in noi, facciamo tutto il possibile per efficacemente porgere loro soccorso. Se il figlio non soccorre il padre, il fratello la sorella, il beneficato il suo benefattore, chi vorremmo noi soccorrere ? La natura stessa a ciò ne stimola; e se nol facessimo, ci renderemmo indegni del nome di uomini
Inoltre un precetto divino ci comanda di amare il nostro prossimo come noi stessi; ed ecco la carità fraterna che ci obbliga a suffragare le anime dei nostri morti. Ora l' essenza dell' amore sta in questo che alla persona amata si desideri ogni bene e per quanto sta in noi glielo procuriamo. Ebbene v'ha egli bene maggiore del possedimento di Dio, cumulo d'infiniti beni e perfezioni ? No certamente, e perciò la carità fraterna vuole che noi aiutiamo i nostri fratelli penanti nel tenebroso carcere di purgazione a conseguire il più presto possibile la beatifica visione di Dio, loro bene supremo ed il solo a cui sospirano.
Il nostro cuore poi è sì fatto, che tutto sentesi commosso alla vista dei mali altrui, e naturalmente pure ci sentiamo spinti a consolare chi soffre. Ora questo senso sarà morto per le anime dei nostri defunti? Il nostro cuore potrà esser freddo, insensibile al miserando spettacolo che in questi giorni offre alla nostra considerazione la Chiesa di G. C. col condurci in ispirito sulle soglie del Purgatorio?
Sì, l' amore, la riconoscenza, la compassione, la religione, la giustizia hanno per noi una voce sola e con la Chiesa ci gridano in coro: ricordatevi dei prigionieri della giustizia divina: mementote vinctorum.
A questa voce le anime sante rispondono con meraviglioso eroismo. Le une, piene di zelo e di ardore per la gloria di Dio e pienamente sollecite di popolare il cielo d' eterni adoratori, moltiplicano le vigilie, i digiuni, le preghiere, le elemosine, le fiagellazioni sanguinose e tutti i supplizi della carne, per soddisfare a Dio il debito d'espiazione, che esige ad estinguere le fiamme vendicatrici della sua giustizia. Le altre, conoscendo tutte le dolcezze dell'unione divina e penetrate da ineffabile tenerezza e compassione per le povere anime tormentate dalla fame del sommo bene, domandano di provare nell'anima loro tutte le torture del Purgatorio e consentono agli abbandoni più spaventosi, per ottenere che Dio si dia a quelli che ardentemente bramano di vederlo e possederlo, con rinunziare pressochè tutti i loro meriti agli infelici debitori dell'altro mondo, creando così nella Chiesa una generosa emulazione pel voto eroico, che pone quotìdianamente nelle mani della divina misericordia un enorme capitale d'opere espiatorie, di cui Iddio si serve per soddisfare la sua giustizia.
Non tutti sono chiamati a compiere un sì grande atto di carità, qual è il voto eroico; ma nessuno è dispensato dal servirsi dei mezzi di suffragio che Dio e la Chiesa mettono a disposizione di tutti i cristiani, cioè le buone opere, la preghiera, le indulgenze, il Santo Sacrifizio della Messa. Questi mezzi sono tutti alla nostra portata : da tutte parti ci si presenta l'occasione di compiere delle buone opere, il merito delle quali possiamo applicare alle anime dei nostri defunti; sempre abbiamo con noi la grande risorsa della preghiera, che può ogni dì e ad ogni istante del dì andare a picchiare alle porte benefiche, da cui si diffondono le divine misericordie sui vivi e sui morti. Ben sappiamo chiedere a Dio che ci liberi dai mali di questa vita: ebbene qualche volta dimentichiamo noi stessi per i cari assenti, i quali non possono conseguire la liberazione dai mali dell'altra vita che per i nostri suffragi. E tutte queste opere buone e queste preghiere ravvaloriamole al grande tesoro delle Indulgenze, in cui la Chiesa mette a capitale con i meriti del Salvatore quelli eziandio di tutti i Santi. È questo il sacro denaro, che noi soli possiamo guadagnare e del quale possiamo spogliarci a favore delle care anime del Purgatorio, le quali non hanno altro potere di quello in fuori di patire. Cedendolo loro, noi le riscattiamo e le inviamo al cielo, dove sono aspettate. Esse salgono circondate da mille splendori, e, veggendole sì raggianti, gli eletti, secondo il Poeta, gridano:
« Ecco chi crescerà li nostri amori ! »
Ci rimane infine l'opera per eccellenza, l'indefettibile elemosina, la sovrana preghiera nell'augusto Sacrifizio, in cui il Figlio di Dio ci dà la sua vita e fa pregare il suo sangue. È per noi che ogni giorno s'immola sugli altari, e noi viventi abbiamo a nostra disposizione il sangue d'un Dio e possiamo farlo discendere al di là delle tombe, fino sulle spiaggie di quel mondo desolato, dove soffrono i nostri cari. Tutte le volte che facciamo ce lebrare od assistiamo ad una Santa Messa in suffragio dei defunti, noi diciamo, secondo la bella immagine di un eminente scrittore, a quelle sante anime: Venite, amici, venite, ecco il sangue della Croce e della Messa che noi vi inviano. Tuffatevi in questo fiume sacro, investitevi dei suoi meriti infiniti: tosto esso zampillerà fino al cielo e porterà seco nel seno di Dio le vostre anime purificate. Gioia suprema ! Dopo avervi salvati, noi potremo sperare che voi, colla vostra assistenza e protezione, ci ricambierete il grande benefizio della vostra liberazione.
È con tutti questi mezzi, o cari Cooperatori e Cooperatrici, che possiamo renderci Dio propizio ed obbligarlo a dar libero campo alla sua misericordia, mitigando i rigori per le anime che la sua giustizia purifica. E questi mezzi dobbiamo usarli in modo particolare quest'anno, in cui ricorre il IX Centenario dell'istituzione della solenne commemorazione di tutti i fedeli defunti. Quest'istituzione è necessaria esplicazione della verità del Purgatorio e della Comunione dei Santi e si deve a S. Odilone dell'Abbazia di Cluny (Francia), ma ciò non toglie che il culto alle anime dei defunti non sia antico quanto il Cristianesimo. La storia infatti ci ammaestra che già nei primi secoli della Chiesa in più Ordini religiosi si facevano pubbliche e commoventi pratiche di pietà per le anime purganti dei loro Ordini. S. OdiIone però 900 anni fa, inspirato da Dio, allargò il suo amore a tutti i fedeli, morti nel bacio del Signore, e pel primo volle che nella Chiesa se ne facesse solenne ricordo dopo la festa di tutti i Santi.
Quanto sapiente, quanto mirabile è adunque l'economia della Chiesa di G. C. tutta amore, tutta pietà, e senza misura compassionevole e tenerissima delle sventure dei suoi figli!
Oh Chiesa santa , madre dolcissima delle anime, sii le mille volte benedetta, esaltata, glorificata ; vivi e regna mai sempre gloriosa, e il tuo materno regno si dilati ovunque vi hanno anime redente dal preziosissimo sangue del tuo celeste Sposo, affinchè tutti possano esser partecipi della pienezza della tua pietà; vivi e regna gloriosa sino a quel dì fortunato, in cui il divino tuo Fondatore da questa valle di lagrime ti condurrà in mezzo al plauso dei tuoi figli regnanti in perpetuo nella celeste Sionne!
L'ANNO glorioso degli immortali festeggiamenti del Piemonte Cristiano volge al suo termine ed i Missionari di D. Bosco - venuti dall'America, dall'Asia e dall'Africa per recare il modesto loro contributo all'universale concerto di fede ed amore che l'Arte Sacra e le Missioni avevano decretato alla tenera Madre delle anime, la Chiesa Cattolica - fanno ritorno, moltiplicati di numero, e ritemprati di novelle forze, alle lontane terre destinate dalla mano della Divina Provvidenza al teatro delle Apostoliche loro fatiche.
I nuovi compagni che s'aggiungono ai veterani delle nostre Missioni, se eziandio stavolta sono numerosi, non bastano tuttavia all'uopo, perchè abbondante è la messe e popoli intieri e prelati ed insigni personaggi con incessanti suppliche domandano sempre nuovi operai della vigna del Signore. Eppure, in soli ventitrè anni, dacchè s' iniziarono le Missioni Salesiane, quanti valorosi Apostoli partirono già, benedetti da Maria SS. Ausiliatrice, dall'umile Valdocco ! Quante colossali spese non s' incontrarono per questo fine da D. Bosco di santa memoria e dai povero suo successore, fidati in Dio e nella cooperazione della cristiana carità ! Ora, col crescere del numero, aumentano pure gli imperiosi bisogni per i viaggi e le provvigioni occorrenti; e noi, anche a costo di sembrar indiscreti, di nuovo vi rivolgiamo, generosi Cooperatori e Cooperatrici, l'ardente supplica di venire ai nostri Missionari in aiuto con io vostre preghiere e con le vostre offerte di denaro e di oggetti in natura. All'appello per la diffusione del regno di Gesù Cristo sopra la terra dai cuori generosi e veramente cristiani giammai si risponde col silenzio, perchè la carità, al dir dell'Apostolo, non dice mai basta.
Questi i pensieri, con cui il R.mo nostro Superiore Don Rua invitava i Torinesi alla funzione della partenza dei nostri Missionari, che ebbe luogo in Maria Ausiliatrice il 24 ottobre, festa di S. Raffaele Arcangelo, e noi li premettiamo alla breve relazione di questa dolcissima solennità, che possiamo ormai dire annua.
Degno epilogo delle feste del Piemonte cristiano - che adunò quest'anno in Torino, insieme con popoli di diversa favella conquistati alla fede, anche i prodotti delle plaghe ignote d'America, ora acquistate alla civiltà ed alla Croce per l' opera del Missionario di D. Bosco - questa funzione è un ricambio morale: il cuore dell'apostolato ha vibrato qui in Torino, tra queste mura ha dispiegato i pacifici suoi trofei; e dal cuore, da Torino è venuta in ricambio una nuova espansione, e di qui partono nuovi Missionari, nuovi pionieri della civiltà. E Torino non poteva non intervenire a dare l'addio a questi generosi, e la Chiesa di Maria Ausiliatrice infatti alle ore 16 era già gremita di popolo devoto. Dopo il canto di un mottetto, Mons. Costamagna, Vescovo delle nostre Missioni, a nome dei nuovi Missionari, con grande affetto rivolse a tutti il saluto d'addio. Salutò i suoi compagni di Torino, i Superiori, i fratelli tutti, i Cooperatori e le Cooperatrici delle Opere Salesiane. Evocò la dolcissima memoria di quel grande, a cui due emisferi rendono omaggio. Trasse lieti auspici dalla solennità di S. Raffaele protettore di Tobia, di quel Tobia che commendava l'elemosina.
Disse che le Missioni vivono di elemosina. Tratteggiò a larghi tratti le sue Missioni, le sue fatiche, la necessità dell' apostolato per salvare tante anime giacenti nelle tenebre e nelle ombre di morte e tanti italiani colà emigrati, che vivono quasi Dio non vi fosse, e solo lo conoscono per bestemmiarlo. Raccomandò quindi caldamente la carità per le Missioni.
Consolò i parenti che piangono per la partenza dei loro figli, mostrando loro il bene che proviene dal loro sacrifizio, e raccomandossi alle preci di S. E. Rev. Mons. Arcivescovo, presente in presbiterio alla funzione, a quelle dei Superiori e di tutti.
Terminato il discorso, S. E. R.ma Monsignor Arcivescovo, indossati i paramenti, circondato da numeroso clero, previo il canto del Tantum Ergo, imparte solennemente la benedizione col SS. Sacramento, cui segue tosto il Benedictus cantato a voce di popolo.
Tutti si rizzano in piedi, il momento è solenne, tutti gli sguardi sono rivolti ai Missionari partenti schierati in presbiterio, e che raggiungono, tra Missionari e Suore, il numero di 120.
Mons. Arcivescovo recita le preci dei pellegrinanti, cui imparte la Pastorale Benedizione. Poi rivolge dall'altare una tenera al locuzione, che penetra fino alla divisione dell'anima. Ci dispiace di poterne dare solo un pallido sunto.
Dice che i Missionari partendo, portano con loro non tanto il ricordo di Torino come città bella e gentile, quanto di Torino culla della loro istituzione e città prediletta di Maria SS. e del SS. Sacramento.
Anzitutto Torino ricorda ai Missionari la Casa Madre della loro Congregazione, ricorda i cari Superiori che lasciano, ricorda Don Bosco. E questo pensiero richiama alla loro mente la povertà del loro Fondatore e gli umili principii della loro istituzione. Come nel secolo XIII Iddio suscitò il poverello d'Assisi a riformare le sfrenate licenze del suo tempo ; così ai giorni nostri suscitò un altro poverello, Don Giovanni Bosco, figlio di semplici campagnuoli, il quale colla povertà ha operato ed opera tuttora prodigiose riforme si può dire in tutto il mondo. Questo ricordo susciterà ognora nei cuori dei Missionari un forte distacco da tutte le cose terrene, distacco di cui già danno ora mirabile esempio nell'abbandonare la patria, i parentì, le comodità della vita civile per consacrarsii interamente alla salute delle anime. Finchè essi saranno amanti della povertà, da cui germogliò ed ha vita la loro Congregazione, saranno sicuri di operare miracoli, come li ha operati il padre loro, che, povero e staccato dai beni terreni, edificò questo magnifico santuario e cent'altre chiese ed istituti su tutta la faccia della terra.
Torino ricorda pure al cuore dei Missionari che questa è la città di Maria Ausiliatrice e della Consolata, i cui santuari per provvidenziale disposizione sorgono vicini. Maria SS. non altrimenti è Consolatrice degli Afflitti, se non perchè è Ausiliatrice del Popolo Cristiano. E questo ricordo sarà tanto più potente in loro, in quanto che ancor ci risuonano all'orecchio le melodie e gli inni ineffabili del Mariano Congresso compiutosi nello scorso settembre, in cui Torino addimostrò una volta più al mondo tutto d'essere veramente la città di Maria. A questa rimembranza la loro anima sussulterà di gioia soavissima in un aumento continuo di fiducia e di amore verso questa nostra Madre Santissima, e nei trepidi momentì dell' angoscia e de' pericoli una voce ripeterà loro il grido di S. Bernardo : Respice stellam, voca Mariam.
È impossibile infine ricordare Torino, senza che il pensiero dei Missionari rammenti ch'essa è eziandio la città del SS. Sacramento, e per l'altissimo privilegio, unico nel mondo, di possedere la vera effigie del Redentore nella Sindone - effigie che noi nello scorso maggio coi nostri proprii occhi contemplammo in tutta la sua venustà, ed adorammo con lo slancio della fede di tutto un popolo - e per il Miracolo che il Sacramentato Gesù volle operare fra queste auguste mura. E la città del SS. Sacramento dirà ai Missionari che il Padre loro fu pure il grande amante di Gesù in Sacramento, promovendo fra i suoi giovanetti le frequenti Comunioni e le visite quotidiane, e li ecciterà a praticare e propagare fino agli ultimi confini della terra queste pratiche santissime; giacchè essi sempre avran la fortuna dì possedere Gesù vicino, e sulle onde infide del mare, e in mezzo alle foreste e dovunque, per il S. Sacrifizio della Messa offerto in ogni luogo dai Ministri dell'Altissimo. Rammenterà ancora che questo mirabile Sacramento è il vincolo d'unione cogli assenti, i quali nelle Comunioni di Gesù saranno inspirati a cooperare coi Missionari alla conversione delle anime e colla preghiera e colla elemosina. Da Gesù apprenderanno ad essere generosi, mentre Gesù pregato dai Missionari sarà generoso in benedizioni verso dei loro benefattori.
Mons. Arcivescovo termina raccomandando a tutti l'amore a Gesù, ponendo in questo il distintivo particolare dei veri Torinesi, suoi concittadini e figliuoli di adozione, tra cui si dice lieto d'annoverare i Missionari partenti, alle fatiche dei quali augura larga messe, finchè sia loro dato, come dice la liturgia, di revertere ad propria, cioè al Paradiso.
La tenerissima allocuzione è finita. Avviene l'abbraccio e il bacio dei partenti con quelli che restano. Spettacolo sublime ! Si vede più d'un ciglio imperlarsi di lagrime e scorrere tacite. Oh beati i piedi di quelli che vanno ad evangelizzare la pace ! Dio vi accompagni, o Mons. Costamagna, o stuolo di operai della mistica vigna! Solo la Chiesa ha così profonde emozioni. Ah! quanto sono belle le tue tende,
O Madre de' Santi, immagine Della Città superna, Del Sangue incorruttibile Conservatrice eterna!
L'ORA della redenzione dalle ritorte della barbarie s'avvicina anche per gli infelicì abitatori delle immense e sconosciute foreste dello Stato di Matto Grosso nel Brasile! Quattro anni or sono nel 1894, un eroe, che poi fu martire, iniziava quest'opera colossale, esplorando buon tratto e descrivendo con penna d'oro nelle sue lettere - pubblicate sul Bollettino Salesiano - la necessità e le difficoltà di questa futura Missione. Ma, se stava scritto nei divini decreti che Mons. Lasagna non dovesse vederne quaggiù i primi fiori e frutti, non venne però meno l'opera sua; e quell'impulso potente, che sapeva imprimere a tutte le sue intraprese, vigoreggia tuttora nella grande foresta del Brasile, per opera dei suoi confratelli di apostolato. E la domenica, 16 ottobre, a Valdocco, nel santuario di Maria Ausiliatrice, nella pompa solenne del sacro rito, dinanzi a quell'altare - che è la dispensa delle grazie della Madonna di Don Bosco ed ai cui piedi furono sempre benedetti, fra la commozione di tutto il popolo, i generosi Apostoli del Dio vivente recantisi in mezzo alle tribù selvagge - scendevano le acque rigeneratrici del Battesimo sulla fronte dei primi tre Indii del Matto Grosso, dirozzati ed istruiti nelle principali verità della fede dallo zelo e dalla pazienza eroica del Missionario.
Il Matto Grosso, cioè grande foresta del Brasile, supera cinque volte circa in estensione tutta l'Italia nostra, e la maggior parte è occupata da tribù selvagge che lo scorrazzano in ogni direzione dal Nord al Sud e dall'Est all'Ovest. Diciotto sono le tribù e fra tutte contano ottanta mila individui circa che - creati ad immagine di Dio, aventi un'anima immortale come noi e destinati al par di noi pel Paradiso eterno - attendono da secoli l'ora della redenzione
E quest'ora solenne, sospirata dagli Angeli tutelari di quelle misere tribù, venne iniziata col Battesimo dei primi tre Coroados condotti a Torino, con stenti e spese non piccole, per rappresentare il vero tipo delle tribù ancor selvagge... Infatti tra tutti gli indigeni delle Missioni Cattoliche che convennero a Torino per l'Esposizione di quest'anno, essi soli erano nel loro stato primitivo, nomadi, non soggetti ad alcuna autorità, poveri, ignari. di ogni civiltà ed immersi nel più degradante abbrutimento. Incapaci di farsi comprendere a chicchessia, perchè il guarany parlato da loro non ha alcun cultore nelle colte nazioni, essi senza l'aiuto del Missionario - che con meravigliosa costanza seppe studiare o meglio intuire il loro linguaggio non avrebbero mai potuto pronunciare neppur una sillaba dell' italiana favella, nè dirozzarsi alquanto con la continuata convivenza fra popoli civili.
I Coroados costituiscono la tribù più feroce di tutto il Matto Grosso. Dalla statura alta, dal colore abbronzato, dalla capigliatura ispida e folta, dagli occhi neri tagliati a mandorlo, dai zigomi avanzati, dal naso rincagnato, dalla bocca soverchiamente grande, si conosce tosto che sono il vero tipo della razza Americana e lasciano facilmente scorgere la lor ferocia d'animo. Si possono però considerare come perpetuamente fanciulloni, perchè incostanti, imprevidenti in ogni lor cosa. Ma questo loro infelice carattere va subendo una fortunata riforma mercè l' educazione assidua del Missionario e più di tutto per virtù del Sacramento che toglie il chirografo dell' eterna nostra condanna.
Il Battesimo infatti dà la grazia, quest'onda discesa dalle rive dell'eternità, quest'emanazione della divina natura, che penetra e vivifica le nostre anime e crea in noi l'essere sovranaturale, base delle grandi virtù e principio delle nostre buone opere e dei nostri meriti. Esso distrugge tutti i peccati e tutte le pene dovute al peccato, moltiplica le grazie, costituisce la società cristiana, apre le porte del Cielo, dinanzi alle quali un tempo languivano le anime sante. Epperò il Battesimo è sorgente e principio d'ogni verace civiltà, illuminando le anime e rischiarando le menti nella luce d'ogni civile progresso. Fu ben detto : il Battesimo è una festa di luce. Ah se si potesse vedere l' anima che esso rinnovella, certamente si sarebbe rapiti di meraviglia, più di colui che dalla profonda oscurità passasse agli splendori del giorno. Oh! se si potessero vedere le anime dei tre Coroados, che pur conservando la natia lor fierezza, sono entrati a far parte dell'ovile di Gesù benedetto, quanto mirabile trasforma zione non vi osserveremmo! Vedremmo queste anime prima morte ed ora pel Battesimo vive, prima condannate ad un esilio eterno ed ora figlie del cielo, prima avvolte in fitte tenebre ed ora illuminate dalla lucerna della fede, prima ripiene di ogni sozzura ed ora mondate mercè una nuova e mirabile rigenerazione.
Ecco l'opera del Battesimo sull'anima dei tre fortunati Coroados... e la solenne funzione compiutasi il 16 ottobre in Maria Ausiliatrice, oltre all' intrinseco suo valore, segna sull'orizzonte del Matto Grosso una nuova aurora foriera di civiltà e di progresso per le selvagge tribù brasilene, eccitando più fortemente tutti gli animi nobili e di magnanimi sensi alla cooperazione viva, costante ed efficace per quest'opera di redenzione.
Quest'avvenimento importantissimo per le nostre Missioni del Brasile ha attirato nel santuario di Maria Ausiliatrice un mondo di gente. Alle ore 15,30, D. Michele Rua, assistito dal Rev.m° Can. Severino Papera e dal Teol. D. Giulio Barberis, procedeva alla solenne amministrazione del Sacramento, secondo prescrive il Rituale per gli adulti. Coi tre Indii Coroados eranvi pure un giovanotto ebreo ed un fanciullo protestante, che premise anzitutto la sua formale abiura. La funzione, lunga piuttosto, procedè con grande raccoglimento e profonda commozione. Sul volto di tutta quell'immensa moltitudine, che s'accalcava per ogni parte, rizzavasi sulle banche, s'aggrappava alle colonne, saliva fin sopra i confessionali, col desiderio vivissimo di vedere i fortunati neofiti, leggevasi pur scolpita una gioia ineffabile, quella gioia medesima che provar doveano in quell' istante di paradiso i novelli battezzandi. Lagrime di tenerezza scorrevano al giovane Missionario D. Giovanni Balzola, che vedeva così bene coronate le sue fatiche in quel medesimo santuario, donde cinque anni addietro aveva prese le mosse per gettarsi nel campo del più duro e difficile apostolato.
Fungevano da padrini e madrine gli Ill.mi Signori e Signore Barone D. Antonio Manno, Presidente dell' Esposizione d'Arte Sacra e Missioni, colla consorte Eleonora Cordero di Vonzo in Manno, Comm. Angelo Costamagna e consorte Eugenia Costamagna, Anselmo Poma e consorte Giuseppina Poma, Rodolfo Ing. Sella e consorte Ernestina Ambrosetti in Sella, Colonnello Emilio Darbesio e sorella Damigella Elisabetta Darbesio.
I nomi imposti ai novelli battezzati sono i seguenti
1° Indio Coroado - Ponce Antonio.
2° » » - Gonzaga Federico Angelo.
3° » » - Rinaldi Filippo Anselmo. Ebreo - Colombo Vittorio Rodolfo.
Protestante - Pons Paolo Emilio.
Il cognome dei tre Indii Coroados è di benefattori insigni della Missione del Matto Grosso, pei quali si pregherà in perpetuo e dai novelli cristiani e da' loro discendenti che continueranno a chiamarsi con quel cognome A tutti furono imposti pure, oltre al nome del padrino, quello della madrina, il nome di Maria, in ossequio alla proposta fattasi nel 3° Congresso Mariano e quelli di Giovanni e di Michele in memoria del nostro venerato Fondatore e del suo Successore, che aveva la fortuna di amministrar loro questo primo Sacramento.
All'amministrazione del S. Battesimo seguì un breve discorso. L'oratore, con accento commosso, per oltre mezz' ora intrattenne l'affollata udienza sul rito compiutosi, eccitando tuttì a ringraziare il Signore del sommo beneficio fattoci col S. Battesimo ed esortando infine a dimostrarci praticamente veri cristiani, figli di Dio, segnaci di Gesù Cristo, col quale siamo chiamati a vivere ed a regnare per tutta l'eternità in Paradiso.
La benedizione del SS. Sacramento pose fine alla imponente funzione, che lascia un ricordo incancellabile nel cuore nostro e di quanti vi poterono assistere.
I tre fortunati Coroados , il giorno 24 ottobre, lasciarono Torino per far ritorno al Matto Grosso. Quando giungeranno alle loro selve, quando incontreranno gli infelici loro fratelli, oh! certo essi loro racconteranno le mille belle cose vedute in Europa, in Italia, a Torino ; ma sulle loro labbra verranno anzitutto queste frasi: - Noi siam figli di Dio, siam cristiani, siamo eredi del Paradiso ! - Nella loro mente rimarrà indelebilmente scolpito il santuario di Maria Ausiliatrice la moltitudine immensa che la gremiva... i soavissimi cantici... le mistiche cerimonie... e la sera del 16 ottobre 1898 loro apparirà sempre come una visione di cielo, rinnovando al loro cuore le ineffabili dolcezze provate; ed a queste rimembranze vieppiù s'accenderanno di amore pel Missionario e dal più profondo dell'animo a lui benediranno ed a quanti con lui hanno concorso a procurar loro un tanto beneficio.
REPUBBLICA DI SAN SALVADOR L'Opera Salesiana nell'America Centrale.
(Lettera di D. Luigi Calcagno).
Rev.m° Sig. DON RUA,
San Salvador, 7 Giugno 1898.
Eccoci in San Salvador, in CentroAmerica, l'unica delle tre parti del Nuovo Continente che non era ancora stata occupata dai figli di Don Bosco.
Il 2 dicembre del 1897 sbarcammo nel porto La Libertad. Vennero a riceverci a bordo il Rev. Sig. Parroco del paese ed il Rev. Sig. Giovanni Antonio Dueñas : quest'ultimo, Sacerdote esimio ed entusiasta amico nostro, era incaricato da Mons. Vescovo e dal Governo di condurci alla Capitale. Entrammo in chiesa e si cantò un solenne Te Deum accompagnato da una formidabile orchestra. Quindi pranzo, e poi verso le 4 1/2 pom. montammo in due diligenze venute a bell'a posta per noi e c'incamminammo verso Santa Tecla. Per guadagnar tempo e per evitare i cocenti raggi del sole, si viaggiò anche di notte, al chiaror della luna, per una strada non guari carrozzabile. Oh ! che salti e che riverenze ! Finalmente, verso l'una del mattino del 3 potemmo riposare le sconquassate membra in una casa-hotel. Dopo aver celebrata la Santa Messa, prendemmo la ferrovia e giungemmo alla Capitale verso le 11. Alla stazione ci aspettavano il Vicario generale, alcuni Canonici e Sacerdoti e vari Rappresentanti del Governo. Montammo nelle carrozze presidenziali, e, discesi al Palazzo Vescovile, fummo ricevuti con paterna bontà da S. E. Mons. Antonio Adolfo Perez Aguilar, Vescovo di San Salvador, il quale volle gentilmente tenerci. alloggiati nel suo palazzo ed a mensa con lui per vari giorni.
Ma noi eravamo impazienti di metterci al lavoro. Pertanto la vigilia dell'Immacolata fummo condotti al Collegio, che doveva essere ed è il nostro campo di lavoro.
Più d'un centinaio di giovanetti vestiti in uniforme, in bell'ordine e marcando il passo come tanti soldatini, ci ricevettero alla porta della Finca Modelo, dandoci il ben arrivati. Il dì seguente incominciarono gli esami finali, poi le vacanze, e noi restammo con una quindicina tra i più poveri di quei cari figliuoli. Conveniva incominciare con pochi, tanto per organizzare i locali, come per dar tempo ai nostri chierici novelli d'esercitarsi un po' nella lingua spagnuola.
Questa Finca Modelo o Escuela de Artes, Oficios y Agricultura, è situata un po' fuori di città, sulla via carrozzabile, alle sponde d'un fiumicello. Il caseggiato, quasi tutto di legno, formato da vari bracci separati, non è guari adatto per Collegio, ma si spera che, passata l'attuale crisi economica, il Governo darà principio a nuove costruzioni.
Lo Stato del Salvador è il più piccolo in territorio dei cinque che formano l'America Centrale (18,720 chilometri quadrati), ma è il secondo in popolazione (circa 700,000 abitanti), giacchè solamente Guatemala lo supera in numero d'abitanti.
Lo Stato del Salvador forma parte della Republica Mayor de Centro América, sorta dall'unione con le Repubbliche di Honduras e Nicaragua, mediante il Patto di Amapala. Questo patto consiste in una convenzione che i Presidenti delle tre menzionate Repubbliche hanno stipulato per formare dei tre Stati una sola entità politica sotto il nome appunto di Republica Mayor de Centro América. Tale denominazione sussisterà fino a tanto che le Repubbliche di Guatemala e di Costa Rica accettino volontariamente detta convenzione, ed allora prenderà il nome di Republica de Centro-América. Ma con ciò i Governi segnatari non intendono di rinunziare alla loro autonomia ed indipendenza : vogliono solamente fare come una federazione in modo però, che le costituzioni e le leggi secondarie di ciascun Stato continuino in vigore in tutto quello che non si opponga alle stipulazioni del Patto.
Questo trattato di unione fra le tre Repubbliche, firmato in Amapala (porto sul Pacifico) il giorno 20 giugno del 1895, deve sussistere ad experimentum tutt'al più per tre anni, passati i quali, si presenterà un progetto di unione definitiva ad una Assemblea Generale composta di venti membri eletti dal Corpo Legislativo di ciascuna Repubblica. Speriamo di conoscere presto il risultato delle discussioni dell'Assemblea, poichè quest'anno e precisamente in questo mese di giugno spira il tempo prefisso dal Patto di Amapala.
Il clima della città di San Salvador, caldo di giorno, è rinfrescato di notte dalle brezze che scendono dalle montagne. Anche qui vi sono le due note stagioni dei paesi tropicali l'una secca, o estate, l'altra delle pioggia, chiamata inverno, ma calde ambedue.
Il paese è visitato da epidemie terribili, tra le quali si conta la febbre gialla, che attacca di preferenza gli stranieri recentemente arrivati o non ancora acclimatati. Quasi tutti noi, chi più chi meno, abbiamo sofferto l'influenza dannosa dell'aria corrotta, ma, la Dio mercè, nessuno ebbe a sentirne gravi conseguenze.
Il Salvador è rìcco in prodotti vegetali, tra cui primeggiano il caffè, l'indaco ed il balsamo. Quest'ultimo (chiamato impropriamente balsamo del Perù) abbonda nella costa omonima sul Pacifico e si estrae dall'albero mediante incisioni nella corteccia.. Gli incaricati di quest'operazione sono gli Indii di quelle regioni, i quali lo vanno poi a vendere sui mercati del paese. L'indaco del Salvador passa pel migliore del mondo. Il caffè è a buon prezzo ed ha un aroma veramente squisito.
Nel terreno appartenente a questa Scuola d'Agricoltura vi sono delle piante degne di menzione, tra le quali è notevole l'albero del pane del genere delle artocarpee, i cui frutti grossi, arrotondati e polposi pesano circa due chilogrammi ciascuno, ma la parte commestibile si trova solamente negli abbondanti noccioli ravvolti dalla polpa: sono quasi della grossezza d'una castagna ordinaria, della quale hanno pure un po' di forma e di sapore. Abbiamo anche in abbondanza il sugoso e profumato ananasso (ananassa sativa), numerosi banani (musa ensete), magnifici cocchi (cocos nucifera) e persino l'albero degli squisiti melloni, voglio dire la carica papaya, ai cui frutti attribuiscono proprietà antidispepsiche. Noi continueremo la coltivazione di sì preziose piante, ma le nostre speciali cure si rivolgeranno all'insegnamento teorico-pratico dei differenti rami dell' agricoltura, e principalmente alla coltivazione dei prodotti di prima necessìtà.
Gli agricoltori del paese si sono dedicati di preferenza al coltivo del caffè, perchè era per essi una vera finte di ricchezza. Ma attualmente il grano d'oro - come giustamente si chiama il caffè - ha sofferto una depressione notevole sui mercati europei a causa delle abbondanti piantagioni fatte nel Brasile ed altrove, sicchè devesi pensare seriamente a coltivare cereali ed altri frutti, che finora hanno importato ed importano ancora dalle vicine Repubbliche o da San Francisco di California.
Il Governo del Salvador spera molto dalla nostra Scuola d'Agricoltura e noi faremo del nostro meglio per non lasciar deluse le suo speranze.
Anche i nostri laboratori di falegnami, sarti e calzolai vanno dando i primi passi. Quando i nostri alunni artigiani abbiano acquistato la sufficiente destrezza nel maneggio dei ferri del loro mestiere e siano un po' più avanti nell'istruzione primaria, daremo principio all'insegnamento professionale secondo il nostro già conosciuto programma per le Scuole d'Arti e Mestieri.
L'Opera Salesiana nel Salvador è mirata con compiacenza da nazionali e stranieri. Il Presidente dello Stato, Generale Raffaele Gutierrez, viene a trovarci spesso e seco conduce quasi sempre qualche personaggio per mostrargli l'opera prediletta del suo cuore.
Un giorno (26 marzo di quest'anno) venne col Sig. Dott. Mairena, Agente Confidenziale del Governo di Nicaragua, e della visita fattaci così scrive un giornale locale: - « Sabato, nel dopo pranzo, il Sig. Presidente, Gutierrez invitò ìl Sig. Dottor Ramirez Mairena, Agente Confidenziale del General Zelaya, a percorrere in vettura la città ed a visitare alcuni stabilimenti pubblici. Tra altri luoghi visitarono la Scuola di Agricoltura ed il Dott. Mairena ci manifestò che gli fece gratissima impressione quell'Istituto, la cui organizzazione è in grado sommo perfetta, tanto che il Presidente Gutierrez può gloriarsi d'aver dotato il Salvador di un centro d'insegnamento agricolo superiore, quale non l'ha nessun altro paese centro-americano. »
Ma più di tutti ne restò entusiasmato il Signor P. Perez Zeledón, Agente Confidenziale del Governo di Costa Rica. Questo rispettabile signore venne anche accompagnato dal Presidente della Repubblica, ma poi volle ritornare alla Finca Modelo solo soletto, ed in questa occasione al manifestarmi l'ammirazione sua per l'Opera di Don Bosco, mi chiese il programma dello Stabilimento con l'intenzione di lavorare per chiamare nella sua patria i Salesiani. Al licenziarsi affettuosamente mi pose in mano un chèque di Banca del valore di 250 pesos, equivalente a più di 500 franchi in oro. Che Iddio ricompensi la generosa carità del Sig. Perez Zeledón, e faccia sì ch'egli possa presto vedere i Salesiani stabiliti anche nella sua cara Costa Rica !
Ma i buoni Salvadoresi non si lasciano vincere in entusiasmo e generosità: ci vogliono bene e ci aiutano.
Molti si ascrissero tra i Cooperatori Salesiani. In una riunione che tenni in preparazione alla festa di Maria SS. Ausiliatrice, s'è formato tosto un Comitato di Signore Cooperatrici, le quali s'incaricarono di celebrare la novena in una chiesa della città, sobbarcandosi a tutte le spese del culto. Il. giorno della festa, che a causa della pioggia dovette trasportarsi al 25, i nostri poveri alunni cantarono parte della Messa della Santa Infanzia e, sulla sera, fece il panegirico il nostro Don Misieri, Direttore della Casa, avendo predicato al mattino il grande amico dei Salesiani Rev. P. Dueñas.
La colletta che si fece in chiesa fruttò una bella somma destinata alla costruzione del tempio-monumento a Don Bosco, che deve erigersi in Valsalice.
Dovrei qui nominare alcune persone, che si distinguono tra le altre per gli aiuti che ci danno, ma non lo faccio per non ferire la loro modestia. Dobbiamo ottemperare ai loro desideri; ma sappiano che noi ricorderemo sempre con gratitudine i loro benefizi, specialmente nelle nostre preghiere.
L'Opera Salesiana è chiamata a fare un gran bene alla gioventù di queste terre centro-americane; ce ne danno prova i nostri settanta alunni interni di questo Collegio, i quali hanno una condotta veramente consolante. Pensiamo aprire presto un Oratorio Festivo nella Capitale e, se avremo personale sufficiente, ne inaugureremo un secondo nella vicina città di Santa Tecla. Quivi abbiamo già il Collegio bell'e preparato; fu fatto costrurre dall'egregio Sig. Dott. Gallardo, il quale vuol darlo ai Salesiani , affinchè v'educhino un dato numero di orfanelli, cui egli stesso pagherà la pensione. Dio voglia appagare gli ardenti voti del Dott. Gallardo e nostri, mandandoci dei buoni operai !
E termino. Benedica, Rev.mo Padre, tutti questi suoi figliuoli centro-americani e specialmente chi se le professa
Af m° ed Ubb.mo in G. e M. Sac. LUIGI CALCAGNO.
BOLIVIA
Attraverso il regno di Bolivar. (Impressioni di Mons. Giacomo Costamagna)
(Seguito - V. Bollettino di Agosto e Settembre scorso.)
Grandioso e poetico tempio - Le cresime aumentano - Concorycuychej - Attenzioni e deferenze dei Sign. Arce pel Vescovo - Magnifico ponte sospeso - Una barca originalissima.
Inoltratici in una gola di montagne ci siamo accorti che varii Indii ed altri campagnuoli ci seguitavano d'appresso. - Che volete amici? - Tataj ! confirmación huahua. - Non si può; il sacro crisma e gli arredi sacri vengono dietro col mulattiere. - Ma essi non volevano intenderla e ci correvano dietro ancora.
Il sole in quel giorno dardeggiava spietatamente. La sete ci divorava. Ond'è ch'io dissi a D. Gasparoli : - Non ne posso più dalla sete; qui c'è appunto un ruscello d' acqua fresca, dopo il quale dicono che non vedrem più acqua per forse tutto il giorno. Fermiamoci qui sotto questo salice. - Sostammo all' istante. Ed ecco che, mentre D. Gasparoli mi preparava una bibita rinfrescante, che, appena fatta, era da me tracannata d'un fiato, varii altri
Indii montagnesi ci scesero intorno colle loro huahua e tutti ad una presero a ripetermi - Tataj Obispo,; Confirmacion! - Dovetti accontentarli. Appena arrivato l'arriero s'improvvisò lì su due piedi un bel tempio... Ma che dico? Fu il Signore stesso che ci preparò una Chiesa di tanta grandezza e maestà, che San Pietro di Roma non può reggere per certo al paragone. Per pareti, due altissime montagne; per volta, l'azzurro immenso del cielo; per lampada, il sole ardentissimo in pien meriggio. Nè vi mancavano i fiori, chè ve n'era a dovizia. Nè dovevam andar in cerca di cantori e musicanti; là si udiva il canto di cento augelli e il gemito della colomba; e, perchè la somiglianza con certe chiese, che conosco io, fosse perfetta, non facevan difetto neanche certi pappagalli chiaccheroni che parevano esser venuti apposta per disturbar il sacro rito.
Data la Cresima, inforcammo i bucefali, ci coprimmo per bene la testa con dei bianchi fazzoletti e.... via alla volta di Aiquile, grosso paese, che dista appena cinquanta chilometri da Mizque. La popolazione di Aiquile, con alla testa il Vicario foraneo, il clero ed il quaresimalista, che era il P. Doberti Francescano italiano, ci accolse con indicibile gaudio. Ogni casa ostentava una bandiera fatta d'un sciallo di varii colorì. Da tutte parti piovevan fiori. Finito il ricevimento e recitato il mattutino del dì seguente, ecco che già mi chiaman per la Cresima. Durò questa fino a notte assai inoltrata. Si cresimarono più di duemila e si stancarono assai, tanto i cresimati, come il cresimante.
Al mattino del giorno seguente (28 marzo) dopo Messa benedissi il popolo, e, accompagnati dal buon Vicario e da varii popolani, partimmo. Molti giovanetti ci precedevano, correndo e gridando alla gente: - Concorycuychej - cioè: - inginocchiatevi, chè passa il Vescovo! - Uno di questi giovanetti mi corse dinanzi col cappello in mano per circa un'ora, ed a quanti pastorelli incontrava nei campi vicini gridava : - Concorycuy - Inginocchiati. - Ognuno l'obbediva, ed inginocchiato, col cappello in mano aspettava che passasse il Vescovo. - Adios, Dios te bendiga, io gli diceva. - E lui a me: - Dios te bendiga! - In nomine Patris et Filii etc. (e lo benediceva) - E lui mi rimandava colla mano la stessa benedizione, senza però dir le parole. Poveri pastorelli! che il buon Dio mandi presto anche per voi qualche suo Apostolo !
Intanto il sole si fa sempre più ardente; l'aria soffocante. La faccia par che bruci e la punta del naso minaccia sfasciarsi. Fortunatamente un messo a cavallo dell'amministratore del Novillero (casa di campo dell'ex-presidente Pacheco) m'invita a sviare dal cammino, per amministrare la Cresima a tanti fanciulli di quei coloni. Colà ci rinfrescammo alquanto. Data poscia la Cresima ai bimbi e una sgridatina alle madri che non vestono i loro figliuoli, ritornammo sul nostro cammino.
Ma ecco che arriva frettoloso un altro messo, e mi porge una lettera del Sig. Tardio, nella quale mi si notifica l'ordine che aveva dato il Sig. Arce, ex-Presidente della Repubblica, di trattar il Vescovo con tutte le finezze durante il suo tragitto per la valle di Zamora. Il Sig. Arce, bisogna dirlo, fu obbedito puntualmente.
Si diede dapprima la Cresima nella sua hacienda di Chinguri, poscia nella poverissima parrocchia di Quiroga, che è in tutti i sensi l'ultima della Diocesi di Cochabamba; quindi già di notte movemmo verso l'hacienda Constancia, in cui dovevasi pernottare. Il buon Parroco di Quiroga, il Sig. Tardio (nient'affatto tardivo) ed altri amici che ci accompagnarono in quelle ore notturne, ad ogni lume che vedevano, sulla falda del monte, si accostavano e gridavano a squarciagola: - Tatay, huahuasta apamuychey Obispo confirmananpac, - cioè: - Portate i bambini, perchè il Vescovo loro dia la Cresima. - Constanciaman cunitan. - Presto a Constancia. - Io pensavo che nissuno fosse per muoversi di casa a quell'ora sì tarda; ma, appena giunti noi a Constancia, arrivaron tanti cresimandi, che il povero D. Gasparoli dovette udir le confessioni durante una gran parte della notte.
Il giorno dopo (29) continuammo a percorrere la valle di Zamora, che si può chiamare la valle del Sig. Arce, Quanto è attivo ed intraprendente questo amico dei Salesiani! Dove egli mette la mano, tutto pare riprender nuova vita. Nelle sue haciendas si coltivano aranci, platani, chirimoyos (pere d'America), limoni, mandarini, caffé, canna di zucchero, pacay, cedri, olivi, fichi, yuca, gran turco, ecc. ecc.
Verso le 9 ant. passammo per l'incantevole hacienda, detta il Pabellón, invitando i fanciulli a scendere con noi lunghesso il Rio grande fino a Calaparì. Verso le 10 passavamo sopra il maestoso Ponte Arce, che fu costrutto sotto gli auspicii di questo Signore durante la sua Presidenza. È un ponte sospeso sul Rio grande e degno d'esser visitato. Segna i confini delle due diocesi, Sucre e Cochabamba. Prima che questo ponte fosse costrutto, i poveri viaggiatori dovevano abbandonarsi dentro un gran cuoio di bue messo in forma di conca, che chiamavano pelota. Un Indio nuotatore allacciandosi una fune a tracolla si gettava nell'acqua, nuotava e trascinava la pelota, mentre un altro veniva di dietro, nuotando e spingendola avanti. Ma quante disgrazie non accadevano mai allora in ogni anno ! Ora invece per quanto il Rio grande mugghii, strepiti e voglia farne delle sue, non v'è più pericolo alcuno.
Verso le 12 davamo la Cresima agli Indii di Calaparì (altra estancia del Sig. Arce). Qui fu che rimandai indietro a Suticollo il cavallo bianco, che generosamente m'aveva imprestato quel caro cieco, che è il Sig. Garron, e lo sostituii con un altro del Sig. Arce.
Da Calaparì a La Barca una cinquantina di braccianti del Sig. Arce ci sbarravan la via pericolosa assai sulla sinistra sponda del Rio grande; e verso le 4 di sera, data la Cresima nell'hacienda di La Barca e visitati i trapiches (specie di torchi a tre cilindri mossi da due mule, nei quali si pesta la canna e se ne ricava poi la così detta chancaca, specie di pane di zucchero) valicammo un monte altissimo, ed arrivati al fondo della valle opposta, mentre si cominciava il chapaleo del Rio Palca, giunse la notte.
Ancora nell'acqua - Felice incontro - La mula di Bodino - La comitiva ingrossa - Alla vista di Sucre - Magnifico panorama - Entusiastica accoglienza - Solenne Te Deum.
L'unico sentiero era l'alveo del fiume. Fortuna che un quarto di luna venne a rischiararci e confortarci alquanto. Ma le pietre eran troppe; l'acqua assai alta ; il chapaleo quindi penosissimo. Quand'ecco a poca distanza da noi, nell'alveo stesso, partir una voce che grida: - Quien va? (Chi è là). - Amigos - risponde D. Gasparoli. - Que amigos? - Monsenor el Obispo - E qui fu uno scoppio di oh ! e di evviva, un abbracciarsi, un interrogarsi ansiosamente, un tornare ad abbracciarsi, al punto che i muli ed i cavalli, stupefatti, drizzavan le orecchie, nè sapevan che dirsi di tanta novità. Era il bravo D. Arrien, Vice Rettore del Seminario di Sucre, con due chierici, che avevan fatto due giorni di viaggio a mula fra quei dirupi per esser i primi ad incontrarci.
All.'avvicinarsì a Palca sento voci in accento italiano che parmi conoscere. Sono i coadiutori salesiani Spadacini e Bodino, che domandano la benedizione al loro Vescovo, cui da due anni più non hanno veduto. Il mio cuore diede un trabalzo di giubilo ; tant'è : io sento d'esser Salesiano e figlio della cara Congregazione! Viva sempre Don Bosco!
Amministrammo la Cresima a quei di Palca; dormimmo tre orette, ed al secondo cantar del gallo già eravam tutti in piedi per dir Messa, prender un boccone e partire; tale era stato l'ordine mio per arrivar a Sucre in quello stesso giorno.
Ma e la mula di Bodino? Cerca, ricerca, non la si trova in nessun luogo. Dopo mezz'ora di cammino fatto prima dello spuntar del sole, ecco apparir fra i cespugli due grosse foglie, che parevan due orecchie. - È la mia mula, esclama tosto Bodino. - Era appunto dessa. Don Arrien allora forma tosto il laccio per acchiapparla, ma nell'atto di tirarlo, gli scivola il piede e stramazza a terra, mentre la mula, fattasi accorta, se la dà a gambe pel sentiero di Sucre. Gridiamo, corriamo, ma la mula divora la via e si burla di noi tutti. Fortuna volle che dopo un'oretta di corsa due Indii, che venivano in verso opposto a noi, potessero fermarla in una angostura o stretta gola fra due monti, e solo allora lo stanco Bodino potè inforcar di nuovo la prode sua cavalcatura.
Alle 10 antim. eravamo scesi a Cantomolino (molino di pietra) che è proprietà di un buon svizzero-italiano, che ci trattò per bene. Data la Cresima nella preziosa Cappella del molino, ripigliammo il trotto vorso Sucre. Ed ecco là in lontananza, nell'alveo del fiume, dei preti e secolari a cavallo gridar evviva, sventolar fazzoletti e bandiere, correndoci all'incontro. È il mio carissimo Padre Cordoba, Rettore del Seminario, con varii Seminaristi e molti giovanetti e coi Salesiani Meza e Perez, che guidano un drappello di alunni del Collegio Salesiano. Poverini ! Han passato una notte fuori di casa per l'impazienza di vederci. Arriviamo a Culco, dove si dà la Cresima e si riparte tosto. Le file ingrossano sempre più e la comitiva già sembra un battaglione di cavalleria leggiera.
Alle 2 pom. siamo alle porte del villaggio di Huata. Gli Indii ricevono il Vescovo sotto archi mobili di svariati fiori. Gli uomini alla destra e le donne alla sinistra mi accompagnano cantando in lingua quichua (1). Ma Parlai loro in Chiesa prima di conferir la Cresima, ed il buon Parroco loro ripetè in quichua parola per parola quanto io aveva detto.
Verso le 3 1/2 pom. intraprendiamo l'alta salita del monte Huata che ci separa da Sucre.
Il Ministro di Spagna vuol servirmi di scolta per un buon tratto di quell'ardua ascesa. Intanto dalla cima del monte scendono precipitevolmente molti dei nostri amati alunni, non badando a pericolo di sorta.
Giunti alla cima del monte è d'uopo far sosta e per la rarefazione dell'aria che ci fa mancar il fiato e per contemplare un bellissimo panorama, reso più incantevole dal sol ponente che sfolgora cogli ultimi suoi raggi. Là un po' abbasso in una valle aprica, o per dir meglio come in una gran conca, sta soavemente adagiata la Capitale della Bolivia, la bella Sucre, tutta pulita, e colle sue vie rette, coi tetti delle case filettati in bianco, e come ravvolta in una atmosfera di luce smagliantissima.
Il mio progetto era d'entrarvi di notte... chè, ben sapendo per esperienza quanta cortesia alberghi il cuore dei Sucrensi, non mi reggeva il cuore di scomodar tutta una città. Ma io avevo fatti i conti senza l'oste. I buoni Sucrensi incerti del giorno ed ora del nostro arrivo, per mancanza del telegrafo avevan collocato vedette ed inoltrati messi per diverse valli.. Già fin dal giorno innanzi moltissimi ci eran venuti inutilmente all' incontro fino al villaggio di Huata ed eran tornati a Sucre colle pive nel sacco. Ed ora ecco apparire nella sua carrozza il Sig. Lora, tutto amico dei Salesiani; ecco che in una seconda carrozza del Sig. Arce viene lo stesso Monsignor Taborga, Arcivescovo eletto, il quale mi dà la sorprendente notizia che già le Bolle sono partite da Roma e che io devo ad ogni costo fermarmi per consacrarlo; ecco che nella carrozza del Sig. Presidente della Repubblica viene la Guardia d'Onore ed il Vicario Castrense, il Can. Mostoso, in rappresentanza dello stesso Ecc.mo Sig. Presidente.
Distiamo ancora mezzo chilometro dalla città e già presentasi giubilante tutto il Seminario. già il Collegio Salesiano fa le sue ovazioni: già centinaia di ragazzi sucrensi scorrazzando per ogni lato c' incalzano gridando evviva! ed una ondata di popolo cozza colla vettura. È mestieri sostare e quindi muovere lentamente.
A cagione della notte che s'avanza, non si eseguisce il programma preventivo di entrar nella cattedrale pel solenne Tedeum, ma, visitato il palazzo arcivescovile, andiamo direttamente alla Chiesa Salesiana di S. Agostino, dove i nostri alunni eseguiscono un Tedeum con voci soavi e toccanti.
Visite - La Chiesa di S. Agostino - Sua storia - Stalla e teatro - La Sig.ra. Giovanna Emmanuelaq Nestares - Contro ogni speranza sperò - La costanza tutto ottieneS. Agostino non sarà teatro, ma tempio - Completa vittoria - Conclusione.
Non istarò a dire delle visite che ho ricevuto dall'Ecc.mo Presidente della Repubblica e dei singoli Ministri, dal Corpo dei Canonici, dal Seminario, dai Membri della Corte Suprema e Superiore, dal Sig. Arce, dal Sig. Argandoña, dal Ministro Argentino, dai miei cari Padri Filippini e da tantissimi altri che impossibile mi sarebbe numerare. Solo dirò che, entrando in Sucre, mi parve di entrar in casa mia, imperocchè i buoni Sucrensi mi considerano omai come di famiglia.
Ancor non ho potuto occuparmi del nostro Collegio; ma la Chiesa nostra l'ho già visitata. Com' è divota e maestosa ! E pensare che anni sono era stata ridotta a stalla coll'attiguo convento e quindi passata a servir di teatro ! Quanto avran dovuto patire gli antichi Agostiniani contemplando dall' altra vita un tale scempio !
Ma per fortuna Sucre è sempre la città amante della Religione. Senta il fatto seguente.
La generosa matrona di Sucre, ch' io ebbi il bene di conoscere, Donna Giovanna Emmanuela Nestares V. de Córdoba, madre del Rettor del Seminario di questa Archidiocesi, perfetto modello di tutte le virtù, animata da una fede ardente e da uno zelo eroico, nutriva nell'animo suo, fin dalla sua infanzia, una speranza certa di vedere ritornare al culto divino il tempio di S. Agostino. Ancor fanciulletta, quando frequentava la scuola, la sua costante preghiera era di chiedere questa grazia al Signore. Però, sempre umile e fervorosa, invitava pure le sue condiscepole ad aiutarla nell' implorare un tanto favore. Specialmente nella Messa, durante l'elevazione, chiedeva con maggior fervore questa grazia pei meriti del Sangue preziosissimo di N. S. G. C. Non abbandonò mai quest'idea.
Giovinetta cominciò a lavorare intorno ad un camice, che destinava per questa Chiesa; e trentaquattro anni dopo infatti detto camice la prima volta servì nella prima Messa che si celebrò nella Chiesa di S. Agostino. Sposatasi ad un eminente e virtuosissimo personaggio, non cessava dì supplicare Iddio per sì nobile fine, interponendo tutte le sue influenze, valendosi di tutte le risorse che erano in suo potere, e sollecitando, contro ogni rispetto umano, le firme di quanti poteva a piè delle petizioni che all'uopo sporgeva alla Municipalità ed ai Congressi del Governo. Tutti consideravano questa idea come un'illusione ed una vera follia. Vi fu perfino un Presidente del Municipio, che tacciò di pazzia la supplica ch'ella sporgeva per questo scopo.
L' ammirabile si è che questa benedetta donna era sola. Nè le persone più pie, nè le stesse Autorità ecclesiastiche credevan possibile la restaurazione del tempio di S. Agostino; essa sola la teneva come sicura ed infallibile. Da molti anni innanzi avea depositato nel monastero di S. Teresa i suoi ori ed argenti, destinandoli per l'altare del tempio delle sue aspirazioni. Nelle sue maggiori sventure e necessità giammai toccò questo sacro deposito, e solo allorchè fu necessario riscattar la casa di Dio, tolse quel danaro.
Arrivò l'anno 1894, quando si doveva dare a questo santo luogo la forma definitiva di teatro ; già ne erano stati tracciati i disegni, si erano dati gli ordini opportuni ed i lavori già procedevano con grande attività. I due figli Sacerdoti di questa virtuosa signora un giorno le portano questa triste notìzia, che importava tante speranze svanite, tanta fede frustrata e tante ansie crudelmente contrariate... Ma essa con fermezza e sicurtà risponde: - S. Agostino non sarà teatro, ma tempio. - Non c'è rimedio; tutto è stabilito, perchè sia definitivamente teatro, rispondono i figli. -Dio non lo permetterà -insiste la madre con maggior fermezza. -Già lo ha permesso - replicano quelli; ma la madre replica una e due volte con accento risoluto ed inspirato: - Tempio sarà e non teatro, tempio e non teatro. - A tanta costanza i due Sacerdoti si guardano l'un l' altro e solo rispondono con un sorriso d'incredulità e di compatimento per l'illusa madre.
Chi l'avrebbe creduto ? Pochi dì dopo, contro ogni speranza e previsione umana, le illusioni si convertono in realtà, le speranze hanno loro compimento, e il tempio, per tanti anni e così sacrilegamente profanato, in un solenne Comizio popolare, promosso dall'entusiasta Colonnello Sig. Melchiorre Chavarria e presieduto dal Sig. Arce, col suffragio di 26 voti, in mezzo dell' entusiasmo di tutto il popolo, che ad alta voce gridava: - tempio! tempio ! - è ritornato al suo unico Signore.
Secondo i voti dello stesso popolo, più tardi la Chiesa e lo stesso annesso convento in rovina furono consegnati ai figli di Don Bosco. Col concorso dei buoni cristiani e specialmente dell' illustrissimo Sig. Taborga e del Sig. Arce, la Chiesa, che prima era affatto smantellata e disadorna, va via abbellendosi ogni dì più e l'attivissimo Direttore Don Gasparoli avrà ben presto la sorte di poter presentar al popolo di Sucre un altare di marmo, fratello di quel della Guardia di Genova, ed un quadro di Maria Ausiliatrice, eseguito dall'abile pennello del nostro Rollini, colle stesse, stessissime dimensioni del quadro di Torino ideato dal nostro Padre D. Bosco.
Ma per ora basti. L'ho annoiato fin troppo, Padre mio carissimo. Fra un mese, se Iddio mi lascia la vita, le darò contezza della consacrazione di Monsignor Arcivescovo e delle peripezie del restante mio viaggio; oppure, facendo l'obbedienza che mi mandò poc'anzi, verrò a contarglielo io stesso a Torino.
Si ricordi di pregar tanto per me. Già lo sa: Qui multum peregrinantur, raro sanctificantur; dunque
Mi benedica, mentre con tutto l' affetto più rispettoso resto
Di V. P. R.ma
Aff.mo Figlio in G. e M. + Giacomo
Vescovo titolare di Colonia.
(1) I buoni Indii di Huata cantavano una lode alla Vergine, che noi siamo contenti di poter dare in lingua piuttosto che un canto quella era una cantilena o per meglio dire una mezza frase in re minore, in cui si ripeteva sempre la, sol, sol, fa, re; la, sol, sol, fa, re, ecc., ecc. Eppure quelle voci mi commossero fino alle lagrime. Benedetti Indii ! Come sono invidiabili per la loro semplicità! quichua colla relativa traduzione letterale in nostro linguaggio. Eccola:
Sapai Ccolla, Muchhaicuyqui Uaccha cjuyac, Llunppac Mama; Chaquiyquiman Chinpac cama Allinyachun Mañacuyqui.
Jesuspa Maman Cachcaspa Ccan yachanqui Uaccha caita Marra pita Juchachaspa Janchanqui llaquic Uaccaita.
Rifugio e Madre Dei peccatori, Io vi saluto, O gran Regina, Umile imploro Si faccia santo Al vostro manto Chi s'avvicina.
Voi siete Madre Di Gesù Santo, Eppur viveste In povertade; Dei peccatori Voi conoscete Il triste pianto, E lo tergete.
(Relazione di D. Evasio Rabagliati Apostolo dei lebbrosi della Colombia)
CARISSIMO SIG. DIRETTORE,
Bergen (Norvegia), 22 Agosto 1898.
EccoMi a compiere la promessa a lei fatta prima d'intraprendere questo viaggio a Norvegia.
Anzitutto debbo confessare qui pubblicamente che mi fu di grandissimo vantaggio la benedizione datami dal Sig. D. Rua, pochi minuti prima della partenza. I primi effetti li sperimentai proprio nella stazione di Porta Nuova al momento di prendere i biglietti. Per cagione della calca che faceva ressa nei dintorni del sito della distribuzione dei biglietti, io temeva qualche giuoco di bussolotti da parte di qualcuno de' tanti sconosciuti, e previdente teneva una mano nella saccoccia dove aveva il denaro in oro per sì lungo viaggio per me e per il compagno ed amico Dottor Fornara. Fu solamente al momento di dover pagare i biglietti che la tolsi, per fare il pagamento in moneta italiana fino a Modane. Mentre si faceva quell' operazione, che per altro era cortissima e di pochi secondi, noto d'improvviso che la saccoccia era di molto alleggerita; palpo con una delle mani, più nulla; il portamonete, con L. 1.100 in oro, sebbene senz'ali, aveva preso il volo: per qual regione? Do uno sguardo all'intorno, ed osservo che un uomo a passi accelerati stava per entrare in un corridoio all' estremità della stazione dove era notte fitta. Erano allora le 11 e 15 minuti di notte. Lascio e biglietti e portafoglio sul piccolo davanzale del finestrino e gli corro addietro; lo prendo per il collo gridando: « Miserabile, restituiscimi il mio denaro. » Il creduto ladro, sbalordito forse a quell' attacco improvviso, tenta svincolarsi, dicendomi parole inintelligibili. Allora lo stringo con più forza, e quasi convinto d'aver colto nel segno, alzo la voce e ripeto le parole di prima. Allora mi guarda e mi dice a bassa voce: « Prenda, prenda, Reverendo; ma non gridi, e non dica nulla a nessuno. » E così dicendo mi consegna il portamonete , che trovai intatto. Al lasciarlo per andare a prendere i biglietti del treno e ritirare il portafoglio abbandonato là in mezzo a una vera moltitudine di uomini, che nulla capivano di quella mia sparizione improvvisa, vidi due uomini, forse poliziotti travestiti o forse anche manutengoli del ladro, che gli correvano dietro; il finale del fatto serio-comico non lo so; so solamente che quella mia scomparsa dal finestrino del bigliettario mi valse una buona ramanzina dallo stesso, nell'atto che mi consegnava i biglietti ed il portafoglio; naturalmente io lo lasciai dire, perchè il poverino non sapeva nulla di quello che mi era succeduto, e non era quello il tempo di dargli spiegazioni.
« Ecco qui il primo effetto della benedizione del mio Superiore, » dissi a me stesso e ripetei poi al compagno, nel trovarci nel vagone del treno;
« il lungo viaggio andrà bene » aggiunsi, e fui profeta.
Scopo di questo viaggio - Provvidenziale incoutro col Vicario Apostolico - Carità dei Norvegesi - Stato del Cattolicismo in quella regione - La festa dell'Assunta - Altre visite a Mons. Fallize.
Non istò a parlarle del rapido viaggio da Torino a Parigi; di quello assai più rapido da Parigi a Londra, e di quello veramente rapidissimo da Londra a New Castle all'estremità orientale di Inghilterra, nel quale si percorsero chilometri 700 in 6 ore circa, facendo così 116 chilometri all'ora. Nulla le dirò neppure delle veramente magnifiche campagne inglesi, così ben coltivate da parere un giardino; nè del viaggio di due giorni fatti nel Mare del Nord, con un tempo magnifico ed una calma perfettissima ; per lei, per me, per i lettori del Bollettino Salesiano, tali notizie nulla valgono o poco men che nulla. Passo quindi subito al punto essenziale. Scopo principalissimo, dirò meglio, scopo unico di questo mio viaggio, era vedere, osservare, interrogare, contare, se fosse stato possibile, questi poveri lebbrosi della Norvegia; conferire coi medici che ne hanno la cura; vedere su quali basi sono fondati i lazzaretti, con che rendite si sostengono, il vitto che si dà ai lebbrosi, sapere che regime interno ed esterno si osserva con loro, informarmi delle leggi governative : e così formarmi un'idea ben esatta sulla materia, ed introdurre più tardi i miglioramenti possibili nei lazzaretti presenti e futuri della Colombia. Non ebbe altro scopo questo lungo viaggio; meno poi il desiderio di viaggiare; che ho già girato troppo mondo, e troppe cose ho visto nei 23 anni dacchè vivo nelle Missioni di America.
La benedizione del carissimo e veneratissimo Padre D. Rua, ha valuto perchè ottenessi tutto quello che io desiderava e di più ancora. Un timore mi accompagnò in tutto il viaggio, ed era che non avrei trovato in Bergen un solo Cooperatore Salesiano che mi potesse servire di interprete e di guida, e che potesse raccomandarmi alle autorità e medici di qui; l'unico Cooperatore Salesiano esistente in tutta la Norvegia si è il Vicario Apostolico Mons. D. Giov. Batt. Fallize, che ha sua dimora fissa nella Capitale, Christiania. Meno male se avessi portato meco qualche raccomandazione del Governo Italiano o Colombiano; ma a questo non aveva neppure pensato. Neppure aveva potuto sapere con certezza se in questa città di Bergen io avrei potuto trovare una chiesa cattolica. I timori e le preoccupazioni aumentavano ancora dal non sapere io una sola parola di questa lingua Norvegese. Con un po' di francese ed altro po' d'inglese, all' arrivo del battello a Bergen, potei farmi condurre ad un albergo, dove trovai che il proprietario bestemmiava discretamente il francese. Fu questa la prima domanda che gli feci: « Si troverebbe per caso in questa città una chiesa cattolica? » « Signore, fu la risposta, non saprei dirglielo di certo; credo però che ve ne sia una, e mi darò premura per farla cercare e per farlo accompagnare, nel caso che si trovi. »
Pochi minuti appresso io suonava la campanella di una umile casetta attigua ad una chiesa, che dalle esteriorità si conosceva benissimo che doveva essere cattolica. Qualcuno viene ad aprirmi; e sa chi mi si presenta? Un signore alto, con barba bellissima, vestito in borghese, ma con una croce sul petto ed il collarino paonazzo, come usano i Vescovi cattolici. Confuso io; non sapeva che dire, nè in che lingua parlare. In norvegese mi chiese chi era e che desiderava; credo almeno che questo significassero le parole che mi diresse, senz'io capirne un'acca. Invece di rispondere a tono, il che mi era impossibile, a mia volta gli feci una domanda in italiano : « Sarebbe lei mai Monsignor Fallize, Vicario Apostolico della Norvegia? » « Precisamente, mi rispose ugualmente in italiano; sono proprio lui. » « Deo gratias, » risposi, mentre m' inginocchiava per baciargli l' anello. Stupito alquanto, mi fece entrare, e sempre in italiano correttissimo, mi chiese chi era, donde veniva, ed in che poteva servirmi. Quando gli dissi in breve chi era io ed il mio compagno, e lo scopo del nostro viaggio, ci fece mille feste, s' intrattenne con noi lungamente facendoci mille domande, e parlandoci del Santo Padre e di Roma, dove passò lunghi anni in sua gioventù per fare gli studi ecclesiastici. Aggiunse che era lettore assiduo del Bollettino Salesiano italiano, e che ammirava l'Opera veramente prodigiosa e provvidenziale di D. Bosco e delle sue Missioni in tutto il mondo. A un certo punto mi presi la libertà di dirgli : « Ma mi dica, Eccellenza, come mai è qui in Bergen, avendo sua residenza fissa in Christiania! » « Per una vera casualità, mi rispose; sono qui giunto da pochi giorni, per provvedere un ospedale per i nostri cattolici, affine di evitare lo sconcio di vederli trasportare fra i protestanti quando hanno la disgrazia di ammalarsi; e, grazie a Dio, le cose procedono molto bene. Si è comperato già il terreno in un punto molto apparente e si farà a giorni la scrittura pubblica. Ci costa la bagattella di mezzo milione di corone (la corona è moneta norvegese, che vale 1,40 in moneta nostra) altro mezzo milione e forse qualche cosa di più ci costerà l'edifizio, ma lo faremo, lo faremo, ne sono certo; trovo tanta carità fra questi cattolici e protestanti, che è una vera benedizione di Dio; è il decimo ospedale cattolico che si fa in Norvegia in pochi anni, e sono sicuro di riuscirvi colla protezione divina. » Sorpreso io per quello che aveva udito della carità dei protestanti in favore dei cattolici che vivono in queste terre, mi feci a interrogarlo se fosse veramente grande la generosità dei protestanti per le opere buone; e rispose : « È tanto grande e tanto generale, che io stesso ne sono ammirato; principalmente quando ricorro ad essi in benefizio degli ospedali, non dicono mai no, e sono tutti generosi, tanto i ricchi, come i poveri. » Seppi allora come in tutta la Norvegia, che ha circa 2 milioni di abitanti, vi sono 200 mila cattolici dipendenti da 11 Missioni sparse in tutto il regno, con 20 preti che le sostengono; che la libertà per i cattolici è assoluta, « assai più che in certi paesi cattolici che conosco io, » aggiunse Monsignore con qualche malizia; che la propensione dei protestanti a farsi cattolici è marcatissima in tutta la Norvegia, e che non aveva che a ringraziare il Signore ed il Santo Padre che gli avevano affidato questa così promettente Missione. « Bergen, seguitò a dire, è di tutte le Missioni la più meschina ancora, perche da pochissimo tempo fondata; su 70 mila abitanti che conta, i cattolici, quasi tutti convertiti, sono appena 250: ma spero che fra poco, per la pietà e lo zelo dei due Sacerdoti che vivono qui, saranno decuplicati; tanto più che i ministri protestanti e lo stesso Vescovo, che qui dimora, sono favorevolissimi alla nostra santa Religione, e non permettono mai nè che si scriva, nè che si parli male di essa. Conosco opere di teologia protestante scritte ultimamente, che possono benissimo entrare nelle nostre scuole cattoliche ; anzi vi sono ministri che non danno nulla alle stampe, trattandosi di materie religiose, senza che io prima le riveda e dia il mio assenso. Per me, finì con dire, sono convinto che moltissimi protestanti, come vivono qui, si salveranno, per la buona fede in che vivono. In quanto a certi errori o preoccupazioni riguardo al Purgatorio, la Madonna, i Santi, la Confessione, tutto va scomparendo; in generale ammettono tutto. La messe quindi è pronta, e non vi è altro a fare che pregare e far pregare perchè il Padrone di essa mandi molti e buoni operai per raccoglierla. Oh ! come quelle benedette Encicliche del S. Padre, chiamando i Protestanti all'Ovile di Pietro, fu lo Spirito Santo che le ha suggerite e dettate ! »
La visita si prolungava di troppo; ed io temendo forse abusare della sua bontà, presi commiato, promettendo visitarlo con frequenza nei giorni che avrei passato in Bergen. « Sicuro, mi disse con bontà ; venga quando vuole, che sarà un piacere per me e per il parroco, nella cui casa mi trovo, ricevere ed aiutare in tutto quello che ci sarà possibile, un figlio di D. Bosco. Anzi, aggiunse, domani vorremmo fare una bella festa alla Madonna Assunta al cielo, per ottenere una grazia che molto mi sta a cuore ; se volesse cantare Messa solenne alle 10, ci farebbe un vero piacere, ed io assisterei pontificalmente; dopo farebbe un po' di penitenza con noi, accettando di sedere alla nostra mensa. » Non potei rifiutarmi a così gentile invito; e l' indomani, Domenica, potei cantare la Messa solenne in quella bellissima chiesa parrocchiale, dedicata a S. Paolo Apostolo delle genti, godendo in pari tempo di una musica veramente bella e classica formata da tre cori di voci femminili, essendo una signora pure che sedeva all'organo, per mancanza di uomini capaci. Facendo io poi le maraviglie come siasi potuto, fra così pochi cattolici, formare un coro sì bello: « ah ! mi osservò, non erano mica tutte signore cattoliche quelle che cantavano oggi : in buona parte erano protestanti : in generale qui da noi tutti sono appassionatissimi per la musica, ed ancorchè protestanti, accettano volentieri di cantare nelle chiese cattoliche le lodi del Signore. Ricordo che or non è molto, nella Capitale Christiania, anche una signora ebrea prese parte ad una funzione cattolica in una delle nostre chiese; e quest'ossequio al buon Dio le fruttò la grazia della conversione; perchè dopo poco tempo era ed è tuttora cattolica ferventissima. »
Durante quella Messa solenne, la chiesa abbastanza vasta era quasi piena; ma non potevano riempirla i cattolici soli ; chè, come già dissi, sono solamente 250; tanto più che alcuni di essi avevano già compito il loro dovere di buoni cristiani, assistendo alle Messe lette, celebrate di buon mattino. L' enigma mi fu spiegato facilmente: molti degli assistenti, principalmente signore, erano protestanti che o per inclinazione o curiosità solamente concorrono frequentemente alle funzioni cattoliche, principalmente quando vi è l'attrattiva della buona musica.
Varie altre volte tornai col mio compagno Dottor Fornara a visitare Mons. Fallize, che c'incantava colla sua benevolenza e simpatica conversazione, e forse anche un po' per interesse, per fare cioè tesoro delle belle cose che ci raccontava di queste regioni ; del che , per parte mia, glie ne sono e glie ne sarò sempre gratissimo.
Il Dott. Hansen e la sua celebre scoperta. - I lebbrosi in Norvegiaa ed in Colombia - Savie leggi governative pei primi - Una passeggiata in montagna.
Ma lo scopo del mio viaggio era di occuparmi dei lazzaretti e dei lebbrosi; ed era vivissimo in me il desiderio di salutare e di riverire quanto prima il Dottor Hansen, oramai di fama mondiale, per aver avuto la fortuna di essere il primo a scoprire il bacillo della lebbra, e di averne incominciata la coltivazione, aprendo così un nuovo orizzonte agli studiosi delle scienze mediche, e riempiendo di care speranze migliaia e migliaia di infelici lebbrosi sparsi in tutto il mondo. Fino alla fortunata scoperta del Dott. Hansen, la lebbra era sempre stata creduta incurabile; adesso non più ; in generale i medici credono che questa malattia si può curare: e si capisce. Prima il nemico era sconosciuto, e non è possibile distruggere un nemico che non si conosce; ma adesso il nemico è scoperto; si sa dove e come vive, come principia i suoi attacchi, come si sviluppa e si moltiplica e come si comunica agli altri; di qui la speranza fondata di trovare finalmente i mezzi per distruggerlo affatto , o per indebolirlo almeno.
La scoperta di questo bacillo ha procurato al Dottor Hansen una fama generale fra gli scienziati dei nostri tempi. A questo concorsero certamente le sue opere tradotte in tutte le lingue del mondo ove regna ancora la lebbra. Nel Congresso di Berlino tenuto nell'ottobre dell'anno scorso, collo scopo unico di combattere questa malattia, fu fatto segno alle più vive simpatie per parte dei 120 colleghi colà radunati, e dello stesso Imperatore Guglielmo, che volle vederlo e congratularsi personalmente con lui per le sue scoperte; anzi se qualche frutto potè raccogliersi da quel Congresso, dove fraternizzarono i più insigni e dotti medici di tutto il mondo, e si parlarono tutte le lingue, al Dott. Hansen in ispecialissimo modo fu dovuto. Ed era con un uomo così alto nella scienza e nella fama che io doveva trattare; e francamente aveva i miei timori che, o per le sue occupazioni, e forse anche per le sue preoccupazioni, non volesse o non potesse ricevermi, o che tutto al più si limiterebbe a concedermi una visita da medico, come volgarmente si dice fra noi. Tutto questo non era altro che un giuoco della mia fantasia.
Appena messo il piede a terra in Bergen, dove ha sua dimora ordinaria il Dottor Hansen, dall'Hotel dove io mi trovava, gli feci sapere che un prete forestiero, giunto testè dalla Colombia, desiderava vederlo , e che mi fissasse un giorno ed un' ora per tenere una conferenza con lui: erano le 3 della sera. Ecco la risposta : « alle 5 in punto io mi troverò nell'Hotel dove lei abita, per mettermi a sua disposizione »; ed alle 5 precise mi si annunziava il Dottor Hansen. Fatti i convenevoli, senza perdere un minuto di tempo, espostigli i miei desiderii, si entrò nella questione, parlando in francese, che era l' unico modo per capirci. Me l'aveva figurato già piuttosto vecchio, certamente serio, preoccupato, come in generale lo son gli uomini dati alle investigazioni scientifiche, e più ancora gli uomini della razza medica; conobbi subito di essermi anche in questo ingannato. Non è giovane questo celebre medico, ma neppur vecchio ; ha i suoi 65 anni, ma li porta benissimo, e dimostrò in quella stessa sera. che non si preoccupa di loro. In quanto a serietà, a preoccupazione, nulla di nulla; è l'uomo più schietto, più affabile e più alla buona, che io abbia mai trovato. Basti il dire che la mezz'ora di conferenza, che io gli avevo chiesto come un gran favore, si prolungò fino a 5 ore consecutive, dalle 5 alle 10, rispondendo a tutti i miei quesiti, risolvendo tutte le mie difficoltà, e dandomi dati preziosi che io non sognava neppure di chiedergli.
Anzitutto gli parve una cifra favolosa quella dei lebbrosi in Colombia, e tale da non potersi ammettere; ed è veramente cosa che passa i limiti del credibile che una nazione, che non arriva a contare i 4 milioni di abitanti, abbia un numero così grande di tali ammalati. « La Norvegia, disse, ha la cattiva fama di essere la nazione di Europa più contaminata dalla lebbra, e lo è senza dubbio, al giorno d'oggi non ha che 600 lebbrosi. Mezzo secolo fa, ne aveva sì dai 4 ai 5 mila; ma adesso le cose sono assai cangiate in nostro favore. »
Allora mi fece cento domande per iscoprire le cause del male. Volle sapere principalmente che aveva fatto e che fa presentemente il Governo della Colombia per impedire che il male dilaghi e prenda quelle proporzioni che minaccia. Quello che più lo impensierì fu il sapere che in un secolo appena il male abbia potuto fare tanta strada e giungere da 100 lebbrosi, che erano alla fine del secolo trascorso, a 30 mila. « Ecco, seco andava dicendo, una prova di più della contagiosità della lebbra; si discute ancora oggi se sia ereditaria questa malattia, io non lo credo; ma è impossibile non ammettere che sia contagiosa; il fatto di Colombia, un numero così sterminato di ammalati, in una nazione tanto piccola, in un tempo così limitato, non si spiega se non col dire che la lebbra è veramente contagiosa. »
Poi prese a dire: « 35 anni fa, quando rivolsi i miei studi a queste malattie e mi consacrai interamente ad essi, non erano meno di 4 mila gli ammalati qui in Norvegia; adesso posso assicurare che non superano i 600, e spero che fra pochi anni questo numero sarà interamente ridotto a zero. Ma qui il nostro Governo si preoccupa e lavora e spende. Veda, mi diceva, in questi 35 anni gliene ho fatto spendere dei milioni al mio Governo; ma in cambio gliene ho fatto risparmiare di molti altri assai. Io non posso che dire bene di questo mio Governo, principalmente per aver adottato tutte quelle misure che i medici gli abbiamo sugggerite. Fino all'anno 1885 si andava piuttosto alla buona: vi erano poche leggi e troppo poco si osservavano. Ma in quell' anno io stesso mandai alle Camere della Nazione Norvegese una legge, che ebbi la fortuna di vedere approvata in tutte le singole parti. Sono pochi gli articoli, ma concludenti e decisivi; l'isolamento dei lebbrosi ne è la base.» Non avendo a mano in quel momento il testo della legge stampata e vigente, con grande bontà, prese una penna e mi scrisse di suo pugno gli articoli principali. Eccoli qui fedelmente compendiati
1.» Obbligazione per i medici di denunziare allo stesso Dott. Hansen ogni ammalato di lebbra che venisse a scoprire. Questi poi lo denunzia alle Autorità sanitarie della città o borgo dove si trova l'ammalato. L' autorità sanitaria deve procedere subito e procurarne l'isolamento. Questo poi è di due classi.
2.° Se l'ammalato preferisce starsene in casa ed ha mezzi per vivere comodamente, glielo si permette a queste condizioni : che prometta seriamente di non uscir di casa mai; che non dorma mai in letto con altri; che nessuno neppure della famiglia usi mai cosa alcuna che gli appartenga, tanto in materia di roba, biancheria , sedie, libri, utensili da tavola, ecc. ecc. Senza di questa condizione, fosse pure persona ricca il lebbroso, non gli si concede di starsene in casa.
3.° Se poi l'ammalato è povero, e non può procurarsi i mezzi per vivere nelle condizioni sovraccennate, allora deve essere condotto a un lazzaretto, voglia o non voglia.
4.° Nel caso che fosse persona maritata l'ammalato, è pure obbligato a lasciare la famiglia, purche il Prefetto della Provincia e l' Autorità ecclesiastica non decidano altrimenti.
5.° Le Autorità governative provvedono tutto il necessario ai lebbrosi chiusi nei lazzaretti.
Mi fece specie l'articolo che riguarda le persone maritate, e l'interruppi : « Mi dica, caro Dottore ; la legge non proibisce questi matrimonii misti, cioè di persone sane con ammalate? » « No; mi rispose: la legge non dice nulla a questo riguardo; non parla che dei maritati colti dal male dopo già fatto il matrimonio. Sarebbe questa una legge odiosa, perchè restringerebbe la libertà dei cittadini. Del resto, osservate le altre leggi, il matrimonio misto viene ad essere impossibile. Gli ammalati chiusi nelle lebbroserie hanno a pensare a ben altro che a maritarsi; il primo pensiero loro è prepararsi a morire. In quanto agli altri che restano in casa loro, obbligati come sono a vivere segregati da tutti , e quindi senza relazioni di sorta colle persone del mondo, il matrimonio viene ad essere pure impossibile ; anche lo volessero non troverebbero chi li voglia accompagnare all'altare. Per me, con tanti anni che ho, e con trattare così da vicino i lebbrosi del mio paese, non conosco un solo fatto di questa specie, che cioè una persona sana siasi maritata con una ammalata. »
A un dato punto mi dice : « Qui siamo troppo a disagio; negli alberghi generalmente non si respira aria troppo pura ; se non si sente troppo stracco del viaggio, l'inviterei col compagno suo a fare una bella passeggiata fin sopra la montagna che domina la città ; di lassù si vede uno dei più bei panorami che si possa immaginare; giunti sulla vetta, troveremo di che rifocillarci ; vi è là un albergo dove si serve proprio bene. » Era impossibile dire di no anche per cortesia, ma più per interesse mio ; così avrei avuto tempo e comodità per prolungare una conversazione cotanto istruttiva per me; accettai quindi con viva riconoscenza.
Nella salita, che fatta lentamente durò un'ora. e mezzo, si parlò di molte cose, ed io lo lasciava dire, anche per non annoiarlo di troppo colle mie domande sulla lebbra. Seppi così tante belle cose relative alla città di Bergen , che egli predilige sopra ogni altra, sia perchè in essa ebbe i natali, e sia anche perche fu nella stessa che fece, or non sono molti anni ancora, la sua grande scoperta del bacillo della lebbra. « Pare impossibile, dicevami fra le altre cose, che qui a questa latitudine, a 60 gradi e mezzo dove ci troviamo, si possa godere di una temperatura così deliziosa: eppure è così. Gli stranieri in generale credono che noi viviamo fra le nevi e fra i ghiacci perpetui, e vengono qui come se andassero al Polo Nord! Qui in Bergen quasi non nevica mai; i venti gelati del Polo non ci toccano, perchè trattenuti e deviati da queste montagne che circondano quasi totalmente la città; il suo porto è sicurissimo ; la vegetazione è quale si può avere nei climi temperati. Si è per questi ed altri vantaggi ancora che Bergen ha molte attrattive per i forestieri; e qui ne vengono molti durante l'estate da tutte le parti, fino dalla vostra Italia. Ma sono principalmente l'Inghilterra, la Germania, la Francia, la Danimarca, che ci mandano il maggior contingente di turisti. La città allora, sebbene già grande di per sè, contando i suoi 70 mila abitanti, pare convertita in una vera Capitale Europea. Lo stesso Imperatore di Germania non lascia mai passare un anno senza venirci a visitare e passare qualche settimana con noi ; segno certo che si ci trova bene; la notizia della morte di Bismark lo sorprese qui. »
Una domanda un po' a azzardata e maliziosa - il miglior rimedio della lebbra - Necessita, assoluta dell' isolamento - Visita ai lazzaretti - Il lavoro porta due beni ai lebbrosi.
Io lo lasciava dire; ma francamente avrei desiderato dare un altro giro alla conversazione, sebbene fosse amena. Approfittai perciò di una pausa che fece, e l'interrogaì: « Caro Professore, ne ha curato molti di lebbrosi lei in questi 35 anni dacchè ha consacrato loro la sua esistenza, i suoi studi e tutte le sue sollecitudini ? » La domanda era un po' azzardata ed anche un altro po' maliziosa; ma la prese in buona parte e rispose : « Di curazioni radicali, nessuna finora, e credo che non le farò mai nè io, nè altri. Anzi aggiungerò che in questo finora fui veramente scettico, non ho mai creduto nella curazione della lebbra. Malgrado la scoperta del bacillo, la malattia, secondo la mia opinione, è fra le incurabili; cesserà di esserlo solamente quando si arrivi a trovare un animale che non sia refrattario alla lebbra; finora però quest' animale non si è trovato ancora. Lo credettero così alcuni medici, fra i quali il Dott. Carrasquilla della Colombia, ma io non lo credei mai. Nei nostri lazzaretti della Norvegia si misero alla prova tutti i rimedi indicati dai medici o provati altrove, ma tutti fallirono ; qui in Bergen ho medici che lavorano con me e che non fanno altro che applicare i rimedi che mi giungono da tutto il mondo, ma senza risultato alcuno. Per ora, aggiunse, il miglior rimedio è l'igiene, molta igiene; per me posso assicurare che non diverrà mai lebbrosa quella persona, che sa mantenersi pulita e che conosce e pratica le regole generali dell'igiene. Negli stessi ammalati di lebbra, l'igiene è di gran profitto, poichè arriva ben anco a fermare il male, e li fa soffrire assai meno. È questo quello che più raccomando a tutti , principalmente ai miei ammalati dei lazzaretti; quindi bagni, molti bagni; costa così poco l'acqua! Passeggiate frequenti nei giardini che circondano i lazzaretti ; molta ventilazione in tutte le stanze, principalmente i dormitori; cibi sani e sostanziosi: niente di liquori. Vedrà, vedrà, seguitava a dire, quando venga a visitare i miei ospedali, allora potrà convincersi di quello che le dico. Del resto, è tanto poca la mia speranza di arrivare a una curazione completa, che le dirò schiettamente, io quasi non mi occupo di questo. La mia vita la passo tutta nel mio laboratorio chimico; prima era per scoprire il bacillo ; adesso che è trovato, per coltivarlo; e ne ho sempre molti in coltivazione; non faccio altro. Io non visito mai persone affette da altre malattie; non ho tempo e mi manca la pratica. Negli stessi lazzaretti io quasi non mi occupo degli ammalati ; per questo ho altri medici a mia disposizione; la mia missione, per simpatia propria, ed anche per indicazione del mio Governo, è lo studio del bacillo ; sono irreperibile, se non in mia casa e nel mio laboratorio chimico. Ecco tutta la mia vita di circa 40 anni di studi medici. »
L'interrogai poi se sarebbe meglio avere i lazzaretti nelle isole, oppure nelle vicinanze della città... « Per me è lo stesso, rispose ; vi è convenienza nel farli in un'isola, e vi è pure convenienza nel tenerli vicini alle città per meglio sorvegliarli ed assisterli. Tutti i nostri lazzaretti, i due che abbiamo in Bergen, quello di Molde, un altro più al Nord in Throdjenm, e gli altri ancora esistenti nella Norvegia, sono tutti nelle vicinanze delle città; tutto il punto della questione sta nell'isolamento vero ed assoluto; è questo il punto capitale; fatta questa supposizione, i lazzaretti stanno bene dovunque. »
Fra questi ragionamenti si era giunti alla cima del monte, alto 900 piedi, circa 300 metri, poi si era cenato e poi adagio adagio si era discesi fino nelle vicinanze della sua casa. Erano le 10 e minuti; e questo vuol dire che si era parlato durante la bagattella di 5 ore. Al prendere commiato da lui, mi disse: « Domani è Domenica, ed io da buon cristiano (è bene notare qui che il Dott. Hansen è protestante) in Domenica non faccio niente; si riposa e si fa qualche cosa più conveniente ; quindi arrivederci lunedì alle 11 precise nel lazzaretto tale, sito nella strada tale, dove mi troverà certamente. » In così dire, mi diede la direzione scritta, affinchè avessi a trovarlo più facilmente.
Alle 11 in punto del lunedì, col mio indivisibile compagno Dott. Fornara, che di tanto aiuto mi fu in questo viaggio, suonava io la campanella del lazzaretto. Mentre aspettava che qualcuno aprisse, leggeva quest' avviso scritto sulla porta in inglese a grandi caratteri. Nessuno può entrare in questo asilo, senza un permesso speciale delle autorità o dei medici addetti allo stabilimento. « Magnifico, ho detto fra me: se si facesse così in Colombia... » Introdotti, passammo direttamente dove si trovava il Dott. Hansen, nel suo laboratorio chimico. In questa seconda visita ci trattò ancor più alla buona e più famigliarmente che nella prima; parevamo vecchi conoscenti e buoni amici.
Senza perdere tempo, fatta una piccola rassegna a quel mondo di cose racchiuse in quel laboratorio, s'incominciò subito la visita dello stabilimento. È tutto in legno; suddiviso in varie braccia ; il corpo principale avrà una lunghezza di 70 metri per 7 o poco più di larghezza : gli altri corpi hanno la stessa larghezza, ma minor lunghezza; sono però tutti di due piani. A parte, ma chiusi nello stabilimento stesso, vi è la farmacia, la casa per i bagni freddi e caldi, altra casa per gli infermieri, le biblioteche, ecc. Tutto all'intorno un grande giardino, poi un parco con grandi alberi, dove gli ammalati hanno libertà di discendere, passeggiare ed intrattenersi fra loro, come più loro talenta; più in là ancora, sul limite del parco, una magnifica laguna, dove però non possono bagnarsi gli ammalati, avendo essi il bagno in casa. Le stanzette sono tutte eguali, pulitissime, ben ventilate; i letti sono veri letti; non come quelli che usano i poveri ammalati di Contratacion, i quali in gran parte non hanno altro letto che il suolo o un cuoio, sul quale malamente si adagiano. Nei quattro angoli della stanza sono i letti ; al fianco di ciascuno una sedia o un piccolo sofà; nel centro nulla, o una piccola tavola. Nei corridoi e nelle stanze medesime, di tratto in tratto, in tutte le parti, notai piccoli recipienti di stagno, pieni di cenere o di sabbia fina. Gli ammalati non possono sputare che là dentro. Quando aggravati non possono lasciare il letto, devono sputare in una pezzuola ad hoc; sul suolo mai; quei medici danno molta importanza a questa precauzione. Il refettorio è comune; solamente quando alcuno non può andarvi per la gravità del male, è servito in camera. Vi sono poi due saloni grandi, dove si lavora; in uno vidi varii uomini in perfetto silenzio, occupati nel tessere non so se maglie o reti, altri in altri lavori; nell'altro varie donne, scardando lana, occupate nei telai, cucendo, ecc., ecc. « Suppongo che non è obbligatorio il lavoro per questi meschini, » dissi io al professore. « No, rispose ; ma sono consigliati ed esortati a farlo sempre che il male loro lo permette. Così se ne ricavano due vantaggi: il primo che, essendo occupati, vivono un po' distratti e non pensano tanto alla loro disgrazia; è una gran cosa trovar il modo di sollevare il morale di questa povera gente; e col lavoro si ottiene in buona parte. Il secondo vantaggio che ricavano è che con questo loro lavoro guadagnano qualche cosa; e l' interesse è una valvola che fa muovere tanta gente. » « Di maniera che, osservai, il Governo od il Municipio compra e paga il lavoro di questa gente; e per farne che? » « Le cose che sono utili per lo stesso lazzaretto, restano qui : le altre si vendono al pubblico, » mi rispose. « Al pubblico? osservai subito. » « Sì, tornò a a dire: una volta ben disinfettati, non vi è pericolo di sorta. Del resto è tanto poca cosa quello che possono fare, che non sono molti gli articoli che vanno al pubblico. Così si ottiene che lavorino con piacere e con diligenza; il guadagno è tutto per loro, e possono con quello soddisfare ai loro minuti piaceri. Il lavoro poi, fa anche parte dell'igiene; » finì per dire.
Altre curiosità appagate - Le diaconesse Ricca Biblioteca frutto della gola - Delle parole sulle labbra d'un protestante - Profferta e ringraziamenti - Commiato - Doveri di riconoscenza - Fine dí questa relazione.
Io aveva una curiosità di sapere chi assisteva quei 120 lebbrosi là dentro racchiusi, e pregai il Professore a togliermela. - In quanto a questo, rispose, la cosa è semplice : gli ammalati non gravi, che possono prestare qualche servizio, sono i primi ad essere richiesti, e si pagano come se fossero persone sane; per tutto il resto si prendono persone estranee. » « E se ne trovano » ? « Quante se ne abbisognano, rispose; ben inteso che si pagano bene. » « Ma e non hanno paura del contagio? » osservai ancora. « Che io sappia nessuno ha paura; l'igiene che loro prescrivo, e che osservano scrupolosamente, li rende immuni ; e tutta la mia igiene è qui: acqua, molta acqua, molti bagni. Del resto in tanti anni che sono qui e che vedo tante persone di servizio in contatto continuo cogli ammalati , non si è ancora constatato un solo caso di contagio. Almeno una o due volte per settimana, sani ed ammalati debbono prendere un bagno generale, ma li consiglio a farlo più spesso, anche tutti i giorni. » Avviso a chi tocca; dissi tra me; ed è tanto semplice il preservativo.
Per fare una piccola digressione, dirò che anche in quel lazzaretti, come pure negli ospedali in generale, si trovano le monache protestanti col nome di diaconesse. Fanno anche certi voti, inclusive quello di castità, ma mai perpetua; preferiscono lasciarsi una porta aperta, quella che arriva fino all'altare, e non so ben fin dove, trattandosi di protestanti. Nel caso non improbabile, principalmente trattandosi di zitelle di buona età, di buona figura e di buona dote, che queste diaconesse sui generis trovino chi le cerca e chi loro conviene , allora lasciano facilmente l' ospedale, rinunziano al loro voto e ne fanno un altro ; promettendo ed anche giurando di guardare fino alla morte la castità coniugale.
Fatta questa piccola digressione, mi rimetto in carreggiata. Quella che più mi chiamò l'attenzione in quel lazzaretto, fu la biblioteca che ha migliaia e migliaia di volumi, tutti magnificamente legati. Notò il Professore la mia ammirazione e mi disse « Vuol sapere chi mi provvide tante e così belle opere? Non lo crederebbe, eppure è così; un vizio, quello della gola. La società, che ha il monopolio dell' acquavite, è obbligata per legge a dare al Governo un tanto per cento sulle entrate; e per un' altra legge questo capitale, che non è tanto piccolo, arrivando fino a cento mila khroners (corone) all' anno, si deve invertire unicamente nel formare, conservare ed aumentare le biblioteche degli ospedali, principalmente di quelli dei lebbrosi. L'esistenza e la floridezza di questa nostra biblioteca, che è veramente preziosa , a questo monopolio dell'acquavite sono dovute; per questo ho detto che fu il vizio della gola che me la provvide. »
« Ecco dove si trovano i capitali per le grandi opere di beneficenza, dissi una volta ancora a me stesso ; perchè non fanno così tutti i Governi, principalmente quelli che hanno penuria di denaro, e cose urgentissime da fare ? »
Dopo averlo visto tutto, il Dottor Hansen c'invitò a visitare l' altro lazzaretto, che dista non più di un quarto d'ora a piedi dal primo. Anche questo è tutto in legno, e parimenti a due piani. La forma però è alquanto modificata. Nel bel mezzo trovasi un salone spazioso, con sedili ai fianchi, e libero nel centro, perche vi possano passeggiare gli ammalati. Ai due lati poi sono le stanzette per dormitorio. Qui non vi è che un solo letto, con sedia ed un piccolo sofà, ed anche un armadietto per la roba. « Ecco, disse il Professore, un vero modello per un buon lazzaretto; così lo vorrei io, e così lo farei certamente, se si potesse ricominciare da capo. Un gran salone nel mezzo per passeggiare ed intrattenersi gli ammalati durante il giorno, e poter così ventilare bene i dormitorii; solamente che queste stanze pei leb brosi sono troppo piccole. Ci vogliono non meno di 30 metri cubi di aria per ogni lebbroso; così non potrà viziarsi troppo l' atmosfera, e gli ammalati se ne sentiranno bene. Questo secondo lazzaretto presto sarà soppresso : non ha che 60 lebbrosi adesso, e saranno trasportati al primo, dove vi è capacità per 280, e così dopo di essere disinfettato, sarà convertito in ospedale di tisici, che qui abbondano più assai che i lebbrosi. »
Vedendo quei due grandi edifizi totalmente in legno, ho supposto che trattandosi di ospedali per lebbrosi, od anche per altre malattie, fosse più igienica la costruzione in legno che fatta con materiali, e supplicai il Professore che mi manifestasse la sua opinione. « Su questo punto sono indifferente, rispose; i nostri lazzaretti sono fatti di legno, come lo sono tanti altri edifizi della città, per la semplice ragione che il legno qui fra noi abbonda, e queste costruzioni costano meno che se si facessero in pietra o mattoni. Vi è anche un'altra ragione, sebbene secondaria, ed è che i pavimenti in legno possono essere tenuti più puliti, che se fossero costrutti con altri materiali, a meno che si tratti del marmo, il che lo si trova assai difficile. »
A questo punto ogni mia curiosità pareva soddisfatta; ma prima di lasciare quel Dottore così benevolo, volli fargli ancora una domanda : « Suppongo, dissi, che gli altri lazzaretti di Norvegia siano a un di presso come questo che abbiamo veduto; credo quindi inutile prolungare il viaggio per andarli a visitare. »
« Ha ragione, rispose; il lazzaretto di Molde è già soppresso per mancanza di ammalati; i pochi che ancora vi erano furono portati altrove; l'unico importante è quello di Throdjenm, ma è molto al Nord ; e poi non vedrebbe nulla di nuovo, è fatto sulle stesse condizioni di questi di Bergen; gli altri poi sono insignificanti, e sarebbe tempo perso il volerli visitare. »
« Sta bene finii per dire; ma almeno non mi sarebbe di profitto una scappata fino alla Svezia, a Stokolma per esempio? Ho sentito a dire che anche nella Svezia abbondano i lebbrosi... »
« Lo credo un errore, rispose il Professore; nella Svezia non vi sono più che rarissimi casi di lebbra, e tutti molto al Nord; in Stokolma è totalmente scomparsa da molto tempo; se lei non ha altro interesse per visitare la Svezia, che questo, può benissimo rinunziarvi; perderebbe il suo tempo.»
Lo ringraziai di gran cuore anche in nome del mio compagno per tante gentilezze usate ; e gli promisi che gli avremmo conservato una eterna gratitudine Volle allora che io gli ripetessi il mio nome; e all'udire come io fossi sacerdote cattolico e religioso, disse con certa impressione : « Ho sempre ammirato cotesta vostra religione cattolica, coi suoi religiosi e le sue suore di carità. » Belle parole e sulle labbra di un uomo quale è il Dott. Hansen. Vuole sapere fino a che punto di cortesia arrivò questo uomo? « Se mai, disse, avessero bisogno di me in Colombia, andrei volentieri ; non metto che una sola condizione : che quel Governo chieda questo permesso non a me, ma al mio Governo di Norvegia : ottenuto che sia, non ho altre difficoltà, e vi andrò volentieri. » Lo ringraziai anche di questa sua condiscendenza; sebbene sia questa una ipotesi inutile; in Colombia è necessario un medico che distrugga i bacilli, non basta che li scopra e li coltivi; più che i microscopi, sono da usarsi i veleni.
Erano circa le due pom. quando, fatti i convenevoli, ci ritiravamo al nostro alloggio per incominciare a mettere in iscritto queste note cadute giù sulla carta currente calamo. Questa seconda conferenza aveva durato tre ore continue; non poteva io desiderare di più e di meglio ; la benedizione datami dal Sig. D. Rua in sul partire da Torino aveva ottenuto un risultato assai maggiore di quello che mi fosse lecito sperare ; lo scopo del mio viaggio a Norvegia era pienamente ottenuto. Deo gratias.
Ancora un frutto della benedizione del Signor D. Rua io l'ho trovato nel compagno che mi toccò in sorte; non lo poteva desiderare migliore ; il Dott. Fornara di Taggia, studiosissimo anch'egli di questa malattia della lebbra, mi ha prestato servigi incalcolabili in questo viaggio, e mi fece da vero amico e fedele interprete; senza di lui, o non avrei osato partire, o molto minori sarebbero stati i frutti raccolti. Mi sento in dovere di dargliene pubblicamente le più vive e sentite grazie per il sacrifzio fatto; che fu un vero sacrificio lasciare la famiglia, i suoi ammalati, la sua cara Taggia, per intraprendere un viaggio così lungo ed anche pericoloso. - Non sarà improbabile che chi ebbe la pazienza di leggere fino alla fino una descrizione così particolareggiata di questo viaggio a Norvegia, domandi: « A che viene questa pubblicazione nel Bollettino Salesiano italiano... Noi in Italia non l'abbiamo più la lebbra ; perchè dunque segnalare un nemico vinto e distrutto da secoli? » Era pure questa la mia opinione or non sono molti anni ; ma adesso ho dovuto ricredermi. La lebbra esiste anche in Italia. Siamo ben lontani dai tempi del Medio Evo, delle Crociate; non si contano a migliaia i lebbrosi nelle nostre Provincie ; molte sono immuni affatto ancora : ma il nemico è già tra noi. So che ve ne sono in tutte le isole grandi, nella Sicilia, nella Sardegna, ve ne sono nell' isola d'Elba, in Comacchio, nelle vicinanze di S. Remo, nel Nizzardo; sulle coste poi tanto del Mediterraneo come dell'Adriatico si succedono i casi, importati da lontane terre. Il male non è grave ancora, ma lo può divenire; adesso è facile distruggerlo, più tardi potrebbe aggravarsi , come lo hanno a lamentare adesso certe Repubbliche Sud-americane troppo negligenti per l' addietro. Quindi avviso a chi tocca ! E poi queste notizie tradotte in differenti lingue e pubblicate sui Bollettini Salesiani, traverseranno il mare, troveranno altri lettori; ed è principalmente per altri lettori che io conosco, che ho scritto la relazione di questo viaggio. Comunque sia, l'intenzione fu buona, il fine retto; l'esito è nelle mani di Dio. Che tutto sia ad majorem Dei gloriam. Mi creda
Devot.mo suo nel Signore D. EvASIO RABAGLIATI Salesiano.
UN SEGRETO PER PASSAR BENE L'ANNO.
Carissimi amici,
RINVIGORITI dalle ferie autunnali, voi siete ritornati alla scuola ed al collegio; ed io dopo un lungo silenzio ed un lunghissimo viaggio - di cui a Dio piacendo spero d'intrattenervi in altra mia - ritorno a farmi vivo con voi, miei sempre cari giovanetti. Ne siete contenti? mi fate ancora buon viso?
Ebbene, eccomi di nuovo a voi. Siamo al principio d'un novello anno scolastico, e tutti, son persuaso, desiderate passarlo bene, forse meglio de' precedenti, e riuscire alla fine colla palma della vittoria negli studii , nel lavoro, nella buona condotta, sì da render soddisfatti i solerti vostri educatori e consolare gli amati vostri genitori. Permettete adunque che questo vostro antico amico vi indichi un segreto, che vi faciliti il conseguimento di questo vostro scopo.
Vi dico ingenuamente che è una cosa semplicissima, a primo aspetto di poca importanza, che richiede solo un tantin di buona voglia; ma è salutare e veramente efficacissima. Credetelo a me, o giovanetti, che vi parlo per esperienza. Questi miei occhi furon testimoni di veri miracoli: han veduto de' figliuoli indolenti, ritrosi in fatto di obbedienza, dissipati anzi che no, riscuotersi, divenire serii, pronti all'obbedire, vogliosi dello studio, amanti del proprio dovere, e, con meraviglia di tutti, al fine dell'anno guadagnarsi pur il premio e la menzione d'onore tra i compagni: han veduto delle scuole e de' collegi interi cambiare d'un tratto aspetto e fiorire di ogni più bella virtù, dal momento che s'è introdotta e largamente diffusa fra gli allievi la pratica che sto per suggerirvi.
Oh! io vorrei aver voce tanto alta, da potermi far sentire da tutti i Direttori de' Collegi per dir loro:-Introducete fra i vostri collegiali la pia pratica dei nove primi venerdì del mese e voi vedrete veri prodigi operarsi intorno a voi. - Vorrei che mi sentissero tutti i giovanetti del mondo per ripetere loro : - Praticate questa cara divozione e voi a vostra grande consolazione esperimenterete ben presto in voi medesimi mirabili effetti.
Ma in che cosa consiste questa pia pratica? Come già vi dissi, è semplicissima. Essa consiste nel fare la S. Comunione al primo venerdì del mese e per nove mesi consecutivi, collo scopo di ricambiare, per quanto è possibile alla nostra miseria, la tenerezza che Gesù Cristo ci dimostra nell'augusto Sacramento dell'altare e riparare gli oltraggi e le indegnità a cui soggiacque per noi durante la sua mortale carriera e a cui va esposto tuttora in questo Mistero di amore (1). E questo uno dei modi suggeriti da Gesù medesimo alla B. Margherita Maria Alacoque, onde onorare il suo Cuore Sacratissimo, ed è quello cui Gesù annesse la più bella, la più grande promessa.
Voi tutti conoscete le consolanti promesse che il nostro Divin Redentore fece a quella santa Verginella in favore di coloro che onorano il suo Sacratissimo Cuore (2). Tra le altre Ei disse che concederà ai divoti del suo Cuore tutte le grazie necessarie al loro stato e che spanderà copiose benedizioni sulle loro intraprese. Eccovi assicurato il divino aiuto e le celesti benedizioni sui vostri studii, sulle vostre occupazioni, sulla importante impresa della vostra educazione. E notate, o miei cari, che Iddio non è come gli uomini che promettono molto ed attendono poco; Egli al contrario eseguisce fedelmente la sua parola, e va quasi sempre al di là delle sue promesse, adempiendole con misura sovrabbondante, perchè i tesori del suo amore sono inesauribili, a guisa dell' oceano che non si abbassa per quanta acqua noi vi attingiamo.
Ma v'ha di più, per coloro che praticano il pio esercizio ora proposto. Nell'eccesso della misericordia del suo amore onnipotente il Divin Salvatore promise ancora di accordare a tutti quelli, che si comunicano nel primo venerdì di ogni mese, per nove mesi consecutivi, la grazia della perseveranza finale: che non morranno nella sua disgrazia e che Egli si renderà loro asilo sicuro in quell'ultima ora.
Chi di voi non sente un tremito di spavento dinanzi al pensiero terribile della sorte eterna che gli toccherà? Anche i Santi più sublimi della Chiesa, quando erano già arrivati alle vette più alte della perfezione e pareva fossero già alle soglie del cielo, agghiacciavano di terrore pensando ai giudizi divini ed alla fragilità del cuore umano, che può in un istante pervertirsi e mancare alla grazia, a guisa di Giuda e d'altri infelici apostati. Ma, viva Iddio! che per il suo Divin Figliuolo ci ha dato un mezzo facilissimo per assicurarci la nostra eterna salvezza nell'esercizio dei nove primi venerdì del mese!
Chi non rimane colpito da così grandi e così confortanti cose? E chi non si sentirà spinto a praticare questo pio esercizio?
All'opera adunque, o miei buoni giovanetti. Da Novembre ad Agosto ci corrono appunto nove mesi precisi. Non lasciateli sfuggire; ma, sopraggiungendo il primo venerdì di ciascuno, purificate le vostre animuccie nel Sacramento di Penitenza, poi accostatevi a ricevere il nostro caro Gesù, e, quando questo Re della gloria sarà assiso nei vostri cuori come in suo trono prediletto, oh! ditegli che voi gli volete bene, perchè è tanto buono, che lo amate con tutte le vostre forze, che intendete risarcirlo, per quanto è in voi, degli oltraggi, degli insulti che riceve dai cattivi; ditegli che non permetta mai che voi vi abbiate ad allontanare da lui colla colpa, ma che Egli si rimanga sempre con voi. Allora sensibile sarà in voi l'aiuto di Dio: da Gesù benedetti, voi proverete pace, consolazione nel disimpegno dei vostri doveri: lieti voleranno i vostri giorni, e quasi senz'avvedervene vi troverete al termine delle scuole, quando voi stessi potrete dirmi se non ho ragione d'asserire che la pia pratica dei nove primi venerdì del mese è un eccellente mezzo per passar bene l'anno.
Vostro Aff.mo amico
DON GIULIVO.
(1) In caso d'impedimento nel primo venerdì, questa Comunione, alla quale è annessa l'Indulgenza plenaria, può farsi anche la prima domenica del mese.
In quelle chiese od oratorii, dove nel primo venerdì di ciascun mese si celebra al mattino, coll'approvazione dell' Ordinario, speciale esercizio di pietà in onore del Divin Cuore, il S. Padre concesse che ai detti esercizi si possa aggiungere la celebrazione della Messa votiva del S. Cuore di Gesù, purchè in quel giorno non cada qualche festa del Signore, o un doppio di prima classe, o una Feria, Vigilia, Ottava privilegiata (Decreto Urbis et Orbis del 28 giugno 1889). In seguito la S. C. de' Riti con Rescritto del 20 maggio 1890, dichiarò che questa Messa votiva si deve celebrare col rito delle Messe votive solenni, vale a dire col Gloria e col Credo e con un'unica Orazione.
(2) Apparendo Gesù dal S. Tabernacolo, tutto sfolgorante di gloria, diceva alla B. Margherita Maria Alacoque: Ai divoti del mio Cuore:
1.° Concederò tutte le grazie necessarie allo stato in cui sono; 2° Metterò la pace nelle loro famiglie; 3.° Li consolerò nelle loro afflizioni; 4.° Sarò il loro rifugio in vita e specialmente in punto di morte; 5.° Spargerò copiose benedizioni sopra le loro intraprese; 6.° I peccatori troveranno nel mio Cuore la, sorgente e l'oceano infinito della misericordia; 7.° I tiepidi diventeranno fervorosi; 8.° I ferventi saliranno tosto a grande perfezione; 9° Benedirò quei luoghi, ove sarà esposta ed onorata l'immagine del mio Cuore; 10° Darò ai Sacerdoti la forza di muovere i cuori più induriti; 11.° Le persone che propagheranno questa divozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore e non ne sarà giammai cancellato.
NELLA PATRIA DI UN NOSTRO MISSIONARIO.
Il nostro Missionario D. Cesare Lardi, venuto in Europa per l'Esposizione delle Missioni Cattoliche, recatosi lo scorso agosto per alcuni giorni a Poschiavo nel Canton Grigioni (Svizzera) suo paese natio, seppe suscitare nel cuore dei suoi concittadini amore e simpatia grande per le Opere del Padre nostro D. Bosco. Infatti apprendiamo dal « Grigione Italiano » che i poschiavini andarono a gara per onorarlo e regalarlo di denaro e di cose necessarie alle Missioni.
Le offerte furono superiori d'assai all'estensione del paese, cioè oltre 700 fr., un altare portatile con tutto l'occorrente, un concerto di nuove campane, di cui la minore non peserà meno di quattro quintali. Tanta generosità e slancio è degna del più alto encomio, e noi porgiamo a tutti gli oblatori le più sentite grazie e la loro memoria vivrà eterna presso tutti i confratelli dello zelante loro concittadino.
I GIOVANETTI DE' SALESIANI all'imponente gara catechistica romana.
Con piacere il nostro Superiore apprese lo splendido esito riportato dai giovanetti dell'Oratorio festivo e dell'Ospizio del Sacro Cuore di Roma nella solenne tradizionale gara catechistica della città eterna. Mentre a loro incoraggiamento ed a pubblica edificazione pubblichiamo la bella letterina, con cui essi ne davano il consolante annunzio, colle congratulazioni del Sig. D. Rua porgiamo pure loro l'espressione della nostra sincera ammirazione.
REv.mo SiG. D. RUA,
Roma, 4 Ottobre 1808.
Consci della sua benevolenza verso di noi, ci facciamo dovere di comunicarle una notizia, che speriamo le riuscirà assai gradita.
Ella sa come si usi qui in Roma tenere ogni anno una solenne gara catechistica fra i giovani delle varie parrocchie e scuole cattoliche della città. Ora noi dell'Oratorio festivo del S. Cuore non volemmo starcene addietro, ed in numero di diciannove (dei quali 4 appartenenti all' Ospizio abbiamo preso parte alla disputa. Cinque soli dei nostri caddero all'esperimento di memoria; ma non per questo potevamo molto rallegrarci, perchè ci restava a superare la prova scritta sulla spiegazione della dottrina, che suol essere assai difficile. Pure il S. Cuore ci ha benedetti, ed il risultato è stato veramente consolante; poichè due si ebbero premio di III° grado, 3 ottennero la medaglia di II° grado e 6 la prima medaglia: esito tanto più consolante, in quanto che pochi furono i premiati, specie della prima e seconda classe. Anzi il primo fra tutti i concorrenti, il così detto Imperatore della Gara Catechistica fu un giovane del nostro Oratorio, certo Martini Martino, ed il secondo dei Principi della sua Corte un tal Corradini Antonio, alunno dell'Ospizio.
L'Imperatore venne presentato dal nostro Sig. Parroco all'Eminentissimo Card. Vicario, che, baciatolo affettuosamente, l'incoronò d'alloro, lo regalò di magnifici doni e lo fece assidere sopra un alto trono appositamente apparecchiato per assistere alla premiazione. Terminata la quale, fu trasportato in vettura alla Chiesa Parrocchiale del S. Cuore, ove doveva aver luogo la funzione di ringraziamento, com'è d'uso. Noi tutti l'attendevamo alla porta, e non le diciamo con quant'entusiasmo l'abbiamo accolto. Al suono maestose dell'organo l'Imperatore colla sua Corte entrava nella Chiesa parata a festa e splendidamente illuminata dai lampadari a luce elettrica. Si cantò un solenne Te Deum in musica e s'impartì la Benedizione col SS. Sacramento, mentre una moltitudine di persone ed un mondo di ragazzi s'affollavano all'altare per vedere questi giovani che s'erano segnalati tanto nello studio della dottrina ed avevano posto distinto in presbiterio.
Presentandosi il nostro Imperatore al S. Padre, non lascierà di chiedere una speciale benedizione per le Opere Salesiane e per Lei, Sig. D. Rua, che ne è a capo. Anch'Ella, amato Padre, ci benedica e ci ottenga da Dio la grazia di studiare con sempre maggior ardore la dottrina cristiana e praticarne gl'insegnamenti, affine di renderci anche noi degni figli di D. Bosco.
I GIOVANI dell'Oratorio festivo del S. Cuore.
Letture Poetiche- ad uso delle Scuole Ginnasiali, Normali, Tecniche e Complementari - Prof. ADOLFO EQUINI - Libreria Salesiana editrice, Torino. L. 1,50.
Il compilatore di queste nuove letture poetiche pare abbia raggiunto pienamente il nobile suo proposito, di dare cioè un'abbondante e ben ordinata raccolta di poesie italiane ad uso delle scuole. Fra le tante crestomazie moderne questa del Prof. Equini è destinata a tenere uno dei primi posti sì per la distribuzione del materiale, che corrisponde ai bisogni delle nostre scuole, come per la scelta dei brani, fatta con sano criterio in tutti i secoli dell'italiana letteratura. E questo appare chiaro anche se si considerano le proporzioni delle parti in cui è diviso il prezioso volume.
Delle circa 400 pagine, nelle quali è distribuita la materia, duecento abbracciano i primi secoli della nostra letteratura; il resto del volume riguarda i poeti di questo secolo, da Vincenzo Monti fino ai principali fra i viventi. Nè ciò fu fatto a caso, ma con finezza d'arte: perchè i giovani, se debbono eziandio imparare a conoscere gli atteggiamenti della letteratura dei primi poeti, debbono però specialmente conoscere come si dove scrivere nel... tempo che si vive. Il compilatore ha arricchito la sua raccolta di brevi, ma compite e chiare introduzioni critico-storiche, premesse a ciascun secolo, di maniera che lo studioso può avere un succoso riassunto della storia poetica fino agli ultimi giorni. Inoltre vi trovo illustrata, con sagge proporzioni, la vita di oltre a 80 poeti, da cui ha desunto i brani, tutti corredati da parche, ma ben appropriate note che ne rendono facile l'interpretazione. Il che mi mette in grado di poter asserire senza esitare che questa crestomazia poetica, nel suo genere, è la più compita di quante conosco. Il volume è edito su carta crème appositamente preparata.
La Tipografia Salesiana con la nitidezza e varietà di caratteri e tipi di questo volume aggiunge nuovi numeri alla già ben meritata sua rinomanza e mi auguro di potere più spesso vedere simili edizioni conformi alle esigenze delle ultime invenzioni e novità dell'arte tipografica. A tanti pregi intimi e tipografici ne va aggiunto un altro molto pratico pei tempi nostri, la modicità del prezzo.
NUNZIO JANNI.
Praelectiones Cosmologiae, Pneumatologiae et Theologiae naturalis auctore FRANCISCO VARvELLO phil. prof. in Seminario Salesiano apud Taurinenses; Augustae Taurinorum, ex Officina Salesiana.
« Dottrina solida; tesi scelte con criterio, concepite con precisione, dimostrate con brevità; opportuna citazione dei buoni filosofi moderni e confutazione dei moderni errori : v'è in questo Corso quanto può richiedersi per formare un testo di scuola ».
(Civiltà Catt., fasc. del 15 ott. 1897).
Del medesimo autore saranno presto pubblicate le Praelectiones Ethicae et Juris naturae.
Il Bollettino dei Parroci che si pubblica a Milano due volte il mese in fascicolo di oltre 50 pagine, edizione lusso, è entrato nel suo terzo anno di vita. Tratta di tutte le materie civili ecclesiastiche applicate ai nostri tempi ed è per gli Ecclesiastici un indispensabile vade-mecum. L'abbonamento è di L. 10 all'anno.
Noi lo raccomandiamo caldamente ai nostri Cooperatori; anzi speriamo di poter ottener loro anche delle facilitazioni sul prezzo d'abbonamento. Ne riparleremo nel prossimo numero.
La Patagonia - Lingua, industria, costumi e Religione dei Patagoni, per il Sac. DOMENico MILANESIO Missionario Salesiano - Buenos Ai res, Scuola Tipografica Salesiana, 1898.
Nel N. 279 dell'Italia Reale-Corriere Nazionale di Torino leggiamo quanto segue:
I Missionari di D. Bosco si rendono ogni dì più benemeriti della scienza e della civiltà. Laggiù all'Arte Sacra nell'imponente recinto per le Missioni d'America chiunque per poco osservi le grandiose carte geografiche della terra scoperta dal grande Genovese - qual vasta fascia cingenti tutte le pareti interne dell'edifizio - è costretto tosto a confessare che i figli di D. Bosco sono proprio pionieri invadenti tutto il nuovo mondo, avendo essi aperto collegi, case, chiese, residenze di Missione dovunque la civiltà, la religione e la scienza era bandita dall'umano consorzio.
E se poi si passa ad osservare la moltiplicità dei tipi Indii, a cui essi poterono portare i benefici influssi della religione civilizzatrice, tipi bellamente rappresentati in vani ruppi di statue a grandezza naturale, e la ricchezza degli oggetti che le Missioni Salesiane hanno raccolto per far conoscere alla civile Europa l'industria ed i costumi di quelle tribù selvagge, cresce a mille doppi l'ammirazione verso questi audaci Missionari dell'ultimo quarto del morente secolo.
Più volte io mi recai al recinto delle Missioni di America e sempre più ingigantiva dentro di me la figura del Missionario Salesiano e l'opera sua. La ultima volta che vi fui, ora sono cinque dì, ricevetti dal Missionario che mi faceva da Cicerone, un prezioso ricordo che valse a confermarmi, accrescendolo, nel mio entusiasmo per questi pionieri della vera civiltà.
Questo ricordo è un libro, non voluminoso, ma importante, originale e di gran merito a parer mio. È intitolato: La Patagonia, e ne è autore il Sac. Domenico Milanesio missionario salesiano. Tratta con chiarezza e precisione dell'industria, religione e costumi dei Patagoni, ma specialmente della lingua Araucana parlata nella Patagonia Argentina, sopratutto nel territorio del Neuquen.
Questo studio sull'idioma araucano, conosciuto scientificamente già dai Padri Gesuiti del secolo scorso e pressochè dimenticato nel nostro, rende il libro pieno di attualità ed importanza somma. Imperocchè sopra la lingua degli Indii del Neuquen non era ancor stato scritto nulla che ci rivelasse le sue forme letterarie, la sua intima struttura e nesso con le lingue Pampeane, Fueghine e col vero Araucano dell'occidente della Cordigliera Andina. L'autore non entra in queste ultime questioni, però i filologi possono trovare nel suo libro sufficienti materiali per uno studio comparativo.
Il R.mo D. Milanesio, che già da oltre 15 anni va evangelizzando le diverse tribù di quelle remote contrade, espone al principio del suo libro, con istile chiaro e conciso, le regole prosodiache dell'idioma Araucano ; le regole della declinazione dei nomi, aggettivi, pronomi; le desinenze e coniugazioni dei verbi ecc. In vari capitoli spiega le transizioni e costruzione delle frasi, dando le principali regole di sintassi bastanti a far conoscere le proprietà della lingua. Nel Capitolo 10° presenta un piccolo dizionario comparativo di parole italiane, araucane, pampeane e tehuelche, nonche la numerazione negli stessi idiomi fino a 100,000. Nel capitolo 11- traduce dall'italiano in Araucano le 150 proposizioni proposte ai Missionari Salesiani della Patagonia dall'illustre Comitato Cattolico e scientifico dell'Esposizione di Torino del 1898 e termina con una serie di verbi infinitivi italiani ed araucani.
Nella seconda parte ci dà le nozioni geografiche della Patagonia, delle stirpi che la popolano fino alla Terra del Fuoco, descrivendo la loro indole, statura e colore; l'industria, la moralità, religione e feste principali, come il Camarujo ed il Machitun. La terza parte contiene alcuni cenni sopra le Missioni Salesiane della Patagonia e Terra del Fuoco, e come appendice un elenco dei nomi scientifici dei principali animali della fauna patagonica. Il libro termina con un piccolo catechismo in italiano ed araucano e le orazioni del Pater noster ed Ave Maria nell'idioma patagone.
Ho creduto ben fatto dare questo indice dell'importante libro, perchè in esso io trovo un'altra potente prova del contributo grande che i Missionari di D. Bosco danno alle scienze. Questo libro, oltre al far imparare con facilità ed in poco tempo l'idioma araucano, nella sua parte comparativa con l'idioma dei Pampas e Tehuelches, porge ai filologi elementi preziosi per uno studio serio sopra lingue pressoché sconosciute. Il lavoro del Milanesio, come dice egli stesso, non è un vero studio grammaticale, ma una semplice introduzione ad una grammatica che lo stesso autore sta preparando. Io mi auguro che presto possa veder la luce questo nuovo lavoro, affinchè in questi tempi, in cui gli studi linguistici sono al loro apogeo, si possano anche mettere all'onor del mondo gli sconosciuti idiomi delle tribù Americane per il maggior incremento della scienza e del progresso presso tutte le. nazioni. Il Missionario Salesiano con simili studii si acquista una nuova aureola di grandezza presso le nazioni colte, ed io mi auguro che un giorno l'idioma Araucano abbia anche in Europa solerti cultori per facilitare la civilizzazione di quegli infelici Indii.
7 ottobre 1898
NUNZIO JANNI.
I Santuari di Maria - Omelie e panegirici del Cardinale GAETANO ALIMONDA - Genova, Tip. della Gioventù, 1898.
Ben indovinato e degno dell'affetto grande che il R.mo Can. Mons. R. Forcheri ebbe mai sempre per il compianto Card. Alimonda è stato il pensiero di raccogliere in volume tutti i panegirici e le omelie composti ad onor di Maria da quest'illustre Prelato, vanto e decoro dell'Italia nostra. Contributo più bello ed utile al Mariano Congresso di Torino non si poteva ceto portare: bello, perche questi panegirici la più parte inediti dell'Alimonda, sono un grandioso ed immortale inno a Maria SS. ed a' suoi Santuarii; utile, perche arreca vantaggio non piccolo specie ai sacri oratori, pei quali questo volume costituisce un ricco repertorio di splendidi discorsi sui titoli e sulle glorie principali della nostra amorosissima Madre Maria SS. Il volume è di oltre 600 pagine, i caratteri sono nitidissimi e si vende a benefizio della Chiesa di S. Gaetano in Torino, monumento della pietà figliale al grande Autore.
Il Peccato Veniale - Sua malizia, suoi effetti e suoi castighi - Considerazioni ed esempi.
Con questo titolo la benemerita Tipografia Salesiana di S. Benigno Canavese ha pubblicato un aureo libro del Salesiano D. Andrea Beltrami, destinato a fare immenso bene alle anime. È breve (pag. 112), dettato con mirabile semplicità, attraente tanto, che si fa leggere con vera avidità. La dottrina cattolica sul peccato veniale vi è spiegata da maestro con svariate sentenze ed innumerevoli esempi. È un capo lavoro del genere. La prima edizione di ben quindici mila copie fu esaurita in due mesi appena, e la seconda è ormai anch'essa presso ad esaurirsi.
Vendibile presso tutte le Librerie Salesiane al prezzo di Cent. 20 la copia.
Mottetto Salesiano concertato per tenore e basso e coro di soprani e contralti, da eseguirsi in occasione di funzioni, conferenze, accademie salesiane e commemorazioni di Don Bosco, pel Sac. ATTILIO GARLASCHI. - Libreria Salesiana, Torino.
Autore di altri pregevoli lavori musicali, il Garlaschi per questo scelse le parole che S. S. Papa Leone XIII apponeva al Diploma dei Cooperatori Salesiani : «Beatus qui intelligit super egenum et pauperem, in die mala liberabit eum Dominus.» Non potrebbe quindi trovarsi mottetto più opportuno per le conferenze e feste salesiane.
Lo si raccomanda in modo particolare ai Direttori e Decurioni dei nostri Cooperatori ed a quanti s'interessano dell'azione salesiana.
Prezzo netto L. 1,25 - Partine del canto C. 15.
1 Baroggi Maria - Luino (Como).
2 Battolla Carolina - Sarzana (Genova).
3 Bendotti Virginia - Collere (Bergamo).
4 Bert Modesto -Villar Dora (Torino). 5 Bianchi Mazzucchi Francesca - Como.
6 Bollino Orsola - Saluzzo (Cuneo).
7 Bonino Virginia - Chivasso (Torino). 8 Bonoldi Rosa - Pavia. 9 Braganza Donna Maria Assunta - Roma.
10 Campora Rosa - Campomorone (Genova).
11 Carlevaris Assunta - Fragarolo (Alessandria).
12 Carrera Ermenegilda - Ghedi (Brescia)
13 Cesa Don Giovanni - Mortigliengo Novara).
14 Coleoni Biagio - Chignolo d'Isola (Bergamo).
15 Craveri D. Felice - Saluzzo (Cuneo). 16 Cravosio Anfossi Cont.a Onorina - Torino.
17 Del Caro Maria - Porcari (Lucca). 18 Denina Bartolomeo - Dronero (Cuneo)
19 Depetris Margherita - Torino.
20 Faré Don Fortunato - Gerenzano (Milano)
21 Fossati Dott. Don Antonio Maria - Piacenza
22 Garbarino Rosa - Parma.
23 Gardoncini Battista - Ober-Ferlach (Austria)
24 Ghiani Raimondo - Buggeru (Cagliari).
25 Graziosi D. Giacomo - Vallepietra (Roma)
26 Grossetti Canonico - Lu Monferrato (Alessa
27 Imperatori Mons. Giovanni - Novara
28 Mascone Cav. Domenico - Torino. 29 Malfatto Maria- Sassello (Genova). 30 Mari Adele Ved. Malatesta - Settignano (Firenze).
31 Mensi Avv. Carlo - Verolanuova (Brescia).
32 Mercandino Orsola - Pralongo (Novara).
33 Merlo Carolina - Vanzaghello (Milano).
34 Negri Matilde - Salina (Mantova). 35 Orlandi D. Enrico - Modena..
36 Ossola Ida in Colombo - Tradate (Como)
37 Panero Onorina - Dogliani (Cuneo).
38 Patrito Rosa n. Candellero-Chieri (Torino)
39 Pazzini Dott. Antonio - Torino. 40 Perotti Teresa - Roma. 41 Pizzetti Ved_ Corradi - Parma.
42 Rampoldi D. Carlo - Saronno (Milano).
43 Ranza D. Giacomo - Oleggio (Novara).
44 Rebuzzini D Francesco-Sotto Monte (Bergamo).
45 Riccardi Maddalena Ved. Battaglini - Vezza d'Alba (Cuneo).
46 Scamussi Valerio fu Giuseppe - Lu Monferrato (Alessandria).
47 Scarsietti Rosa - Sarnano (Macerata).
48 Scipione Rosa - Spezia (Genova). 49 Somini Natale - Mendrisio (Svizz.-Tic.)
50 Sesia Veronica Ved. Boniscontro - Torino.
51 Stura Lucia - Chivasso (Torino). 52 Terramasco Giovanna - Sassello (Genova).
53 Tornielli Mons. Andrea - Montevideo (America Sud).
54 Traversa D. Giulio - Torino.
55 Zerolli Marietta di Giosuè - Sacconago (Milano).