04-Aprile-2025

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
le case di don bosco
Cagliari
in prima linea
Haiti
la nostra famiglia
Nizza Monferrato
il poster:
I magnifici frutti
delle Missioni Salesiane
APRILE
2025

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il gioco dei MATTONI
N eanche don Bosco sapeva
quanti passi, quante scale,
quante suppliche aveva fatto
per poter costruire una chiesa più
grande della misera cappella Pinardi.
Ora la chiesa di San Francesco di
Sales era stata consacrata.
Pensate che don Bosco si sarebbe
preso un periodo di riposo? Dopo
due giorni, cominciò a dire: «Dopo
aver provvista una casa al Signore,
bisogna prepararne un’altra pe’ suoi
figli!».
La nuova costruzione doveva occu-
pare lo spazio dell’antica casa Pinar-
di, partir cioè dalla nuova chiesa e
protendersi fino alla casa Filippi, con
tre piani oltre al sotterraneo e con
doppia fila di camere. Un’ala parallela
ed uguale in lunghezza alla sporgenza
della chiesa di S. Francesco di Sales,
con tre stanze ad ogni piano, doveva
limitare il cortile a levante. La casa
Pinardi sarebbe rimasta in piedi fino
al termine della nuova costruzione.
I lavori stavano progredendo a vista
d’occhio, quando, il 20 novembre
1852, un tratto di muro dalla parte
di levante, per la rottura di un ponte,
rovinò. Grande fu la costernazione
e lo spavento di tutti. Don Bosco
ripeté le parole che gli erano abituali
nelle più dolorose circostanze: «Sia
fatta la volontà di Dio! Tutto come
Dio vuole!».
La costruzione riprese e stava per
essere terminata, ma una notte una
terribile bufera si abbatté su Valdoc-
co e il muro a mezzogiorno crollò.
Mamma Margherita, che stava
per andare a dormire, si precipitò
piangendo fuori dalla sua stanzetta;
temeva che il figlio fosse rimasto
sotto le rovine.
Anche i giovani, pieni di spavento,
erano balzati dal letto, e correvano
qua e là gridando.
Ecco che si udì il noto suono di
un campanello e di lì a non molto
apparve un lume in fondo al balcone.
Era don Bosco che usciva tranquillo
di camera, e scendeva a visitar le
rovine. Appena comparve, da ogni
parte i giovani presero a gridare:
«Don Bosco!... Oh don Bosco!...
Don Bosco è salvo!».
In quel momento crollò un altro pez-
zo di muro.
Don Bosco, con il solito sorriso
sulle labbra esclamò: «Il demonio
ha voluto darci un calcio; ma state
tranquilli, il Signore è più forte di
lui, ed egli non riuscirà a impedire
l’opera di Dio».
Alle 8 del mattino, della nuova casa
era rimasta in piedi soltanto una par-
te del muro prospettante il cortile, a
mezzogiorno, un ragazzo, vedendo
muoversi i pilastri, gridò: «Fuggite!»
Tutti fuggirono in mezzo al cortile, e
tosto il muro precipitò con un fragore
spaventoso, proiettando travi, pietre e
mattoni a vari metri di distanza.
Don Bosco, sempre calmo, disse sor-
ridendo: «Abbiamo giocato al gioco
dei mattoni!».
Nell’ottobre successivo la nuova casa
fu inaugurata.
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
le case di don bosco
Cagliari
in prima linea
Haiti
la nostra famiglia
Nizza Monferrato
il poster:
I magnifici frutti
delle Missioni Salesiane
APRILE
2025
APRILE 2025
ANNO CXLIX
NUMERO 4
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: La Prima Comunione è uno dei riti
di passaggio per molti bambini in questo mese
(Foto Irina Wilhauch /Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL VICARIO
6 IN PRIMA LINEA
Haiti
10 DON BOSCO NEL MONDO
Coltivare la speranza,
seminare il futuro
14 LA NOSTRA FAMIGLIA
Nizza Monferrato
18 LE NOSTRE MEMORIE
Le custodie del corpo
di don Bosco
21 150 ANNI DI MISSIONI NEL MONDO
24 I NOSTRI LIBRI
26 I NOSTRI EROI
Lo splendido sorriso di Gilda
30 LE CASE DI DON BOSCO
Cagliari
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Volevo essere un duro
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
6
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26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile: Bruno Ferrero
Condirettore: Andrei Munteanu
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Antonio Labanca, Carmen Laval,
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Pellegrino, Angelo Santorsola, Fabrizio
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Fondazione
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i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL VICARIO
Don Stefano Martoglio
Con don Bosco.
SEMPRE
Celebrando il Capitolo generale a Valdocco,
nella “culla del carisma”, abbiamo l’opportunità
di riscoprire la genesi della nostra storia e ritrovare
l’originalità che costituisce il cuore della nostra
identità di consacrati e apostoli dei giovani.
Nella cornice antica di Valdocco, in cui
tutto parla delle nostre origini, sono
quasi obbligato a fare memoria di quel
dicembre del 1859, in cui don Bosco
aveva preso una decisione incredibile, unica nella
storia: fondare una congregazione religiosa con dei
ragazzi.
Li aveva preparati, ma erano pur sempre giova-
nissimi. «Da molto tempo pensavo di fondare una
Congregazione. Ecco giunto il momento di venire al
concreto» spiegò con semplicità don Bosco. «Si trat-
ta ora di andare avanti, di costituire normalmente la
Congregazione e di accettarne le Regole. Sappiate
però che vi saranno iscritti soltanto coloro che, dopo
averci riflettuto seriamente, vorranno fare a suo tem-
po i voti di povertà, castità e obbedienza... Vi lascio
una settimana di tempo per pensarci sopra».
All’uscita dalla riunione ci fu un silenzio insolito.
Alcuni borbottavano tra i denti che don Bosco vo-
leva fare di loro dei frati. Cagliero misurava a grandi
passi il cortile in preda a sentimenti contraddittori.
Ma il desiderio di «rimanere con don Bosco» ebbe
il sopravvento nella maggioranza. Cagliero uscì nel-
la frase che sarebbe diventata storica: «Frate o non
frate, io rimango con don Bosco».
Alla «conferenza di adesione», che si tenne la sera
del 18 dicembre, erano in 17.
Don Bosco convocò il primo Capitolo Generale il
5 settembre 1877 a Lanzo Torinese. I partecipanti
erano 23 e il Capitolo durò tre giorni interi.
Oggi, per il Capitolo numero 29, i capitolari sono
227. Sono arrivati da tutte le parti del mondo, in
rappresentanza di tutti i salesiani.
All’apertura del primo Capitolo generale, don Bo-
sco disse ai nostri confratelli: «Il Divin Salvatore
dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre
congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso
in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in
queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la
salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue
di Gesù Cristo». Possiamo quindi essere certi che
il Signore sarà in mezzo a noi e che condurrà Egli
le cose in modo tale che tutti si sentano a proprio
agio.
Un cambiamento d’epoca
L’espressione evangelica: «Gesù chiamò quelli che
voleva con sé e li mandò a predicare» (Mc 3,14-15),
dice che Gesù sceglie e chiama quelli che vuole.
Tra questi ci siamo anche noi. Il Regno di Dio si
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rende presente e quei primi Dodici sono un esem-
pio e un modello per noi e per le nostre comunità.
I Dodici sono persone comuni, con pregi e difetti,
non formano una comunità di puri e neppure un
semplice gruppo di amici.
Sanno, come ha detto papa Francesco, che “Vi-
viamo un cambiamento d’epoca più che un’epoca
di cambiamenti”. A Valdocco, in questi giorni, si
respira un clima di grande consapevolezza. Tutti i
confratelli capitolari sentono che questo è un mo-
mento di grande responsabilità.
Nella vita della maggioranza dei confratelli, delle
ispettorie e della Congregazione ci sono molte cose
positive, ma questo non basta e non può servire da
“consolazione”, perché il grido del mondo, le grandi
e nuove povertà, la lotta quotidiana di tante perso-
ne – non soltanto povere ma anche semplici e labo-
riose – si alza forte come richiesta di aiuto. Sono
tutte domande che ci devono provocare e scuotere e
non lasciarci tranquilli.
Con l’aiuto delle ispettorie attraverso la consultazio-
ne, crediamo di aver individuato da un lato i princi-
pali motivi di preoccupazione e dall’altro i segni di
vitalità della nostra Congregazione, declinati sempre
con i tratti culturali specifici di ogni contesto.
Durante il Capitolo proponiamo di concentrarci
su che cosa significhi per noi essere veramente sa-
lesiani appassionati di Gesù Cristo, perché senza
questo offriremo buoni servizi, faremo del bene alle
persone, aiuteremo, ma non lasceremo una traccia
profonda.
La missione di Gesù continua e si rende visibi-
le oggi nel mondo anche attraverso noi, suoi in-
viati. Siamo consacrati per costruire ampi spazi
di luce per il mondo di oggi, per essere profeti.
Siamo stati consacrati da Dio e posti alla sequela
del suo amato Figlio Gesù, per vivere veramente
come conquistati da Dio. Perciò ancora una volta
l’essenziale si gioca tutto nella fedeltà della Con-
gregazione allo Spirito Santo, vivendo, con lo spi-
rito di don Bosco, una vita consacrata salesiana
incentrata in Gesù Cristo.
La vitalità apostolica, come vitalità spirituale, è im-
pegno a favore dei giovani, dei ragazzi, nelle più
svariate povertà, pertanto non ci si può fermare a
offrire solo servizi educativi. Il Signore ci chiama a
educare evangelizzando, portando la Sua presenza
ed accompagnando la vita con opportunità di futuro.
Siamo chiamati a cercare nuovi modelli di presen-
za, nuove espressioni del carisma salesiano in nome
di Dio. Questo sia fatto in comunione con i giova-
ni e con il mondo, tramite “un’ecologia integrale”,
nella formazione di una cultura digitale nei mondi
abitati dai giovani e dagli adulti.
E sono forti il desiderio e l’aspettativa che questo
sia un Capitolo generale coraggioso, in cui si dicano
le cose, senza perdersi in frasi corrette, ben confe-
zionate, ma che non toccano la vita.
In questa missione non siamo soli. Sappiamo e sen-
tiamo che la Vergine Maria è un modello di fedeltà.
È bello tornare con la mente e con il cuore al gior-
no della solennità dell’Immacolata Concezione del
1887 quando, due mesi prima della sua morte, don
Bosco disse ad alcuni salesiani che, commossi, lo
guardavano e ascoltavano: «Finora abbiamo cam-
minato sul certo. Non possiamo errare; è Maria che
ci guida».
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IN PRIMA LINEA
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
AD HAITI
Solo con
fede e
coraggio
Un momento difficile della storia
del Paese nello specchio della
vita di un grande salesiano:
don Attilio Stra.
Don Attilio
Stra. Haiti era
diventata la
sua seconda
patria.
“Ho incontrato un bravo sacerdote,
sloveno. Adesso è nella lista di
quelli che tra i salesiani faranno
beato e forse santo”. A ricordare
questo è don Attilio Stra; il confratello al quale si
riferisce è don Andrej Majcen (1904-1999): di que-
sti nel 2020 la Santa Sede ha dato il via libera alla
causa di beatificazione e di canonizzazione.
Questo ricordo è il tassello-chiave che ci mancava
per ricostruire le origini della vocazione missiona-
ria di don Stra, deceduto ad Haiti il 29 dicembre
dello scorso anno. Il settore francofono dell’isola
caraibica di Hispaniola era diventato la sua patria.
Qui concentrò l’impegno, in un Paese tanto affa-
scinante quanto sottoposto (fin dalla scoperta di
Colombo) ai soprusi e alla violenza. Questa espe-
rienza ha plasmato l’identità del sacerdote salesia-
no, al punto da nascondere nell’ombra le sue espe-
rienze precedenti.
Nato a Cherasco in Piemonte nel 1936, studiò a
Chieri e a Torino nel seminario diocesano. Pronun-
ciò la sua professione perpetua a 23 anni a Tram
Hanh, in Vietnam, poi venne ordinato sacerdote a
Torino nel 1963. Faceva parte delle generazioni di
seminaristi che nel Secondo dopoguerra fiorirono
in Italia per essere donate alle missioni. Già dal
1956 si trovava in Estremo Oriente, testimone di
un cristianesimo che si era tuttavia presentato con
il volto e con l’arroganza dei colonizzatori france-
si. Don Stra fu testimone dell’evoluzione tremenda
della guerra fra Nord e Sud del Vietnam, assisten-
do all’“apocalisse” che guidò esercito ed elicotte-
ri Usa a bombardare con armi chimiche i villaggi
per combattere contro l’esercito di Hanoi e i Viet
Cong, e che si ritorse contro gli Americani i quali,
lasciati i Sudvietnamiti a loro stessi, fuggirono da
Saigon nel 1975.
Con l’Occidente e i suoi simboli dovettero allon-
tanarsi anche coloro che i vincitori comunisti con-
sideravano alleati degli invasori. Con il cuore stra-
ziato, don Stra dovette salutare la gente che aveva
aiutato per vent’anni, e trasferirsi in una nuova
missione. Prima di rientrare in Italia, per un pe-
riodo stette prigioniero in Cambogia e dovette poi
transitare per la Russia. “Non voglio ricordare il
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Vietnam, voglio dimenticare il Vietnam” diceva ai
confratelli poiché la memoria di quell’esperienza lo
faceva soffrire anche a distanza di anni.
Era stato uno dei primi a porre in quel Paese le
basi delle opere salesiane; ebbe il grande merito di
costruire l’Istituto Don Rua, tuttora esistente, nella
città di Dalat. “Era come un buon padre, amato da
tutti” si è scritto della sua azione pastorale. La sua
conoscenza di don Majcen fu infatti come un tuffo
all’indietro nella storia per incontrare lo stesso don
Bosco: così veniva infatti descritto il salesiano nato
a Maribor, partito missionario per la Cina quando
seppe del martirio dei confratelli Luigi Versiglia,
vescovo, e Callisto Caravario, presbitero. Don Stra
attinse bontà e dinamismo da un cuore e da una
intelligenza che furono per il Vietnam davvero
fondativi. La crescita vocazionale che ancora oggi
segna la presenza salesiana in quel Paese è figlia di
quella piantagione feconda che don Majcen fece da
direttore del locale seminario. Dunque, il “tassel-
lo” della biografia di don Attilio Stra ci permette
di riconoscere le motivazioni della sua generosa e
indistruttibile fedeltà alla missione affidatagli per
i giovani di Haiti: “fino all’ultimo respiro”, come
hanno scritto i confratelli haitiani ai suoi funerali.
Agonia di una nazione
Lui era arrivato a Cap-Haïtien nel 1978, direttore
della Maison Populaire d’Education Salésienne, carico
di buona volontà. In tale sede nel tempo prenderan-
no corpo una scuola primaria e una professionale,
un centro agricolo; sull’altra sponda sono cresciuti
l’oratorio festivo e una grande aula per i ragazzi di
strada; si accompagnano la scuola di informatica e
il centro stampa, con percorsi di alfabetizzazione e
di lingue per adulti. Insomma, un piano di inter-
venti esemplare per la situazione di Haiti dove la
crescita demografica è incessante.
Erano quelli gli anni della dittatura della “dina-
stia” Duvalier: il medico François, eletto presidente
nel 1957, fu in qualche modo “ricondizionato” nella
permanenza per la cura della sua salute a Guanta-
namo. Tornò nelle vesti di grande sciamano violen-
to, utilizzando questa immagine per irretire le folle
e costringerle a temerlo. Miscelando riti vudù (la
sua figura si richiamava a Baron Samedì, divinità
traghettatrice verso la morte) e tradizione cristiana
perversa (si faceva chiamare Papa Doc), espelleva
vescovi e sacerdoti cattolici che contestavano il suo
dominio politico e culturale. Alla sua morte nel
1971, il potere fu trasmesso al figlio Jean-Claude
«Padre Attilio
ci ha commossi
per la sua
sincerità e
semplicità.
Egli parla di
realtà che
conosce molto
bene. Egli
persevera
giornalmente
nella miseria
più profonda,
e soprattutto
egli ha saputo
animare
una squadra
dinamica».
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IN PRIMA LINEA
Don Attilio
giovane in
Vietnam.
Questa
nazione
resterà
sempre nel
suo cuore.
Duvalier senza elezioni.
La decadenza del Paese
proseguì.
Quando nel 1983 Gio-
vanni Paolo II visitò l’i-
sola, anche don Stra re-
gistrò l’appello lanciato
dal Papa: “C’è bisogno
di cambiare le cose qui”.
Raccolse a modo suo questa dichiarazione un ex
confratello salesiano, Jean-Bertand Aristide, che –
dopo un periodo di vita fra Stati Uniti e Sudafrica –
nel 1985 si presentò al popolo haitiano come avver-
sario del Duvalier in carica e riuscì a farsi eleggere
presidente alla tornata del 1991. Dopo pochi mesi,
fu però destituito dai militari: pare incredibile che
nell’arco di pochi anni Haiti sia stata governata al-
ternativamente da tre presidenti ad interim con due
ritorni di Aristide, di breve durata, nel 1993 e nel
1994. Questo è sintomo ma anche causa della de-
stabilizzazione ormai conclamata del Paese.
I ragazzi di strada
Nonostante la concatenazione di situazioni sfavo-
revoli, con anticipo su quanto poi sarebbe maturato
anche in altre parti del mondo, i salesiani affronta-
vano con coraggio la condizione estrema dei ragaz-
zi di strada. Un documento che definisce il piano di
lavoro per l’anno 1988 del progetto “La kay nou” (la
nostra casa) descrive con precisione l’impegno che
si assumono nei loro confronti: “In questo dormito-
rio i ragazzi della strada potranno venire la sera per
lavarsi, mangiare un pasto caldo e dormire la notte.
Un’équipe li accoglierà e sarà presente fra di essi
per ascoltarli, amarli”. Questa la “fase zero”, alla
quale segue la previsione di don Stra che “i ragazzi
chiederanno un’educazione di base, una formazio-
ne, un contatto con una famiglia, con la società,
un’integrazione culturale, economica e sociale. Più
tardi bisognerà aiutarli per la loro casa, la loro fa-
miglia ed il loro Paese”. È un progetto educativo
che ha ben presente l’obiettivo finale di “rendere
autonomo un popolo”.
Oltre al consenso dei confratelli sacerdoti e coadiu-
tori, don Stra fa leva sul pieno sostegno morale della
famiglia.
I suoi viaggi erano occasione anche per incontrare
le associazioni e gli enti con i quali collaborava in
Italia, Germania, Belgio e Olanda. Relazionava i
benefattori sull’avanzamento dei progetti, cercava
di garantire continuità e sicurezza per il futuro dei
suoi ragazzi.
Tra uragani e terremoti
Era difficile operare per il bene in un contesto di
politica corrotta e violenta, in un Paese impoverito
dalla condizione di sudditanza degli abitanti agli
interessi di potenze straniere. A complicare la si-
tuazione, se ce ne fosse stato bisogno, accaddero
sull’isola eventi naturali devastanti: l’uragano Jean-
ne nel 2004, il terremoto del 2010, l’uragano Mat-
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tew nel 2016, un altro terremoto nel 2021. Quello
del 2010 era stato l’evento sismico più grave della
storia che conosciamo per numero di vittime, dopo
quello nella provincia di Shaanxi, in Cina, risalente
al 1500. Qui furono contati 830mila morti, nell’i-
sola caraibica cinque secoli dopo furono 220mila;
ma le vittime per ferite, per problemi sanitari, per
la perdita di un tetto, per la penuria di cibo supera-
rono il numero di 3 milioni.
Tra le vittime, gli allievi della scuola salesiana
Enam a Port au Prince, di cui in quegli anni era
direttore, crollata insieme alla residenza dei missio-
nari. Don Stra si trovava in quella casa e fu travolto
dal crollo della palazzina di due piani, rimanendo
sepolto fra le macerie ma protetto da una ringhie-
ra che aveva respinto il materiale precipitato. Con
la gamba bloccata dai calcinacci, poté approfittare
delle successive scosse sismiche per liberarsi e tro-
vare da sé il modo di uscire.
La ripresa dopo la catastrofe del terremoto non fu
accompagnata da ripensamenti nella gestione del
Paese da parte del mondo politico locale e interna-
zionale, anzi consentì l’instaurazione di un potere
in mano alle organizzazioni criminali. I segnali che
don Stra inviava anche a Missioni Don Bosco, in-
tervenuta assieme ad altre istituzioni salesiane per
la ricostruzione delle case crollate, diventarono
sempre più drammatici. Era una tristezza infinita,
vedere i suoi ragazzi uscire per strada e diventare
vittime di sparatorie fra le bande, constatare la dis-
soluzione dei legami nelle famiglie e l’aumento della
prostituzione minorile, soffrire per la mancanza di
beni alimentari per dare ai più piccoli ogni giorno
un pasto adeguato… E in più la minaccia verso la
stessa comunità salesiana, con i rapimenti lampo di
alcuni confratelli per chiedere il riscatto in denaro.
L’apocalisse lasciata in Vietnam si ripresentava, con
forme diverse, intorno alle opere che accoglievano
ragazzi sempre più spaventati e privi di appigli.
Don Stra aveva assunto il compito che gli consen-
tivano la sua età (aveva ormai superato gli 80 anni;
era rientrato per pochi mesi in Italia per curarsi
nell’infermeria di Valdocco) e la circostanza di es-
sere l’ultimo missionario Europeo rimasto ad Hai-
ti: quello di farsi “voce” degli ultimi, che i governi
e i media ormai ignoravano se non nei momenti
di emozione per le crisi umanitarie. Per questo le
interviste da lui date, le sue e-mail inviate fino a
metà di dicembre 2024 sono documenti di una tra-
gedia senza speranza: di Haiti ma anche dell’intero
consesso umano.
“Cerco di entrare ogni giorno un poco dentro la
Parola di Dio”: ora è Lui che potrà dargli ragio-
ne della sofferenza che i suoi occhi hanno visto
dall’Est all’Ovest del pianeta.
Missioni Don Bosco destinerà una parte del
5×1000 che sarà raccolto quest’anno al proget-
to per i bambini poveri di Haiti che si realizza
capillarmente in 8 comunità presenti nel Paese.
Se vuoi contribuire con il tuo 5×1000, firma per
assegnarlo al codice fiscale 97792970010.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marco Borraccino (Responsabile Comunicazione Fondazione DON BOSCO NEL MONDO)
Coltivare la SPERANZA
Seminare il FUTURO
La Fondazione DON BOSCO
NEL MONDO lancia la sua nuova
campagna per il 5×1000:
finanziare il Progetto “Plantando
Esperança”, che ha l’obiettivo
di educare all’Ecologia integrale
attraverso la realizzazione di orti
e frutteti presso le opere salesiane
del Minas Gerais, nel sud-est
del Brasile.
“Lavorare la terra è mol-
to bello, perché mi
ha insegnato che
tutto ha un equili-
brio”. Anne Gabriele ha solo dodici
anni ma nelle sue parole risuona una
saggezza di altri tempi. Vive nel sud-
est del Brasile, nella periferia di Pará de
Minas. Lì frequenta il Centro Giovanile
salesiano, grazie a una borsa di studio che copre
tutta la retta annuale.
Pará de Minas è una città relativamente piccola per
gli standard brasiliani: “appena” centomila abitanti.
Si trova nello Stato del Minas Gerais: un territo-
rio tradizionalmente agricolo, da cui proviene una
parte significativa della produzione alimentare na-
zionale. Il Minas Gerais è il secondo stato brasilia-
no con il maggior numero di agricoltori familiari;
tuttavia, coltivare in questo territorio non è affat-
to facile come sembra. Il clima di questa area del
Brasile, infatti, è tipicamente tropicale. Le estati
sono calde, umide e piovose. Gli inverni sono miti
e secchi. Esiste il rischio concreto di arrivare alla
primavera con un terreno troppo asciutto, inaridito
dal freddo.
In queste condizioni, curare un orto non è sempli-
ce nemmeno per un esperto, figuriamoci per chi
è alle prime armi. “Io ho imparato a piantare e a
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2.1 Page 11

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raccogliere al Centro Giovanile, grazie al proget-
to dell’orto” ci rivela Anne Gabriele. “Ed è molto
bello lavorare la terra”, prosegue emozionata. “Qui
ho imparato l’importanza dell’ambiente. Ho capito
che tutto funziona solo se è in armonia con il resto”.
Il suo volto, poi, si illumina quando pensa al suo
prossimo progetto, che potrebbe coinvolgere anche
la sua famiglia: “intendo realizzare un orto a casa
mia, perché amo molto le verdure a foglia”.
Le generazioni cambiano, la tecnologia muta le
epoche e le abitudini. Tuttavia è sempre straordina-
rio riscontrare il potenziale della cura delle piante
e dei frutti come fonte di crescita personale, per un
adulto come per un bambino. “Ricevo spesso gli or-
taggi prodotti dai bambini del Centro Giovanile”,
racconta Márcia Maria, nonna di Anne Gabriele.
“Mia nipote partecipa ai progetti dell’istituzione e
sta apprezzando molto il far parte di questo proget-
to dell’orto”.
Per i salesiani, realizzare orti e frutteti comunitari
nelle opere è un indirizzo educativo che risponde
alla chiamata dell’enciclica “Laudato Si’”, con cui
papa Francesco invita l’umanità a una profonda
conversione ecologica e sociale. La cura della Terra
e la giustizia per i più fragili possono fondersi per
creare un impegno comune per il bene di tutti. Una
vocazione che i figli di don Bosco stanno facendo
propria, riorganizzando le proprie opere all’insegna
della sostenibilità e dell’ecologia integrale.
Gli orti e i frutteti salesiani
In questo impegno collettivo per la cura della casa
comune, anche la Fondazione don bosco nel
mondo fa la sua parte. La nostra campagna di do-
nazioni del 5×1000 di quest’anno sarà infatti desti-
nata all’opera salesiana di Belo Horizonte e di Pará
de Minas.
Dal Brasile, i missionari ci raccontano ad esempio
che l’orto di cui parlano Anne Gabriele e sua nonna
Márcia Maria ha bisogno di essere rivitalizzato.
Ma oltre alla risistema-
zione e ripiantumazione
dell’orto di Pará de Mi-
nas, c’è molto, molto di
più che può essere realiz-
zato nel Minas Gerais.
Il Colégio Social Salesia-
no di Belo Horizonte di-
spone di ampi spazi libe-
ri, ideali per la creazione
di un frutteto e un orto,
che potrebbero servire gli
“Io ho
imparato a
piantare e a
raccogliere
al Centro
Giovanile,
grazie al
progetto
dell‘orto”
rivela Anne
Gabriele.
“Ed è molto
bello lavorare
la terra”,
prosegue
emozionata.
APRILE 2025
11

2.2 Page 12

▲torna in alto
DON BOSCO NEL MONDO
Per i salesiani,
realizzare
orti e frutteti
comunitari
nelle opere è
un indirizzo
educativo
che risponde
alla chiamata
dell’enciclica
“Laudato Si’”,
con cui papa
Francesco
invita
l’umanità a
una profonda
conversione
ecologica e
sociale.
studenti di tutte le opere salesiane della regione, così
come le loro famiglie.
Il Progetto “Plantando Esperança” che la Fonda-
zione ha scelto per la campagna 5×1000 del 2025,
ha quindi alte ambizioni:
servire due diverse opere salesiane nello Stato di
Minas Gerais;
prevedere la realizzazione di un frutteto e di un
orto nel Colégio Salesiano di Belo Horizonte, e
la rivitalizzazione di un orto nel Centro giovani-
le di Pará de Minas.
Tali spazi verranno utilizzati per:
coltivare frutta, verdura ed erbe aromatiche, pro-
muovendo coltivazioni sostenibili;
servire gli alunni delle scuole, gli studenti del
Colégio, del Centro Giovanile e dell’Oratorio
Festivo, così come le famiglie legate a questi spa-
zi e alla parrocchia salesiana di Belo Horizonte;
servire studenti e famiglie presso il Centro Gio-
vanile di Pará de Minas;
offrire attività didattiche e pratiche per educare al
rispetto dell’ambiente e alla sicurezza alimentare;
ultimo, ma non meno importante: consentire a
chi viene servito di avere un’alimentazione anco-
ra più varia e sana.
Esiste già un programma serrato: nei primi quattro
mesi di progetto, la squadra di lavoro pianificherà
l’uso degli spazi e stabilirà programmi per la semina,
la manutenzione, la raccolta e lo stoccaggio oltre alla
pianificazione pedagogica delle attività educative.
bambini e adolescenti dai 6 ai 24 anni all’anno. Se
includiamo anche le famiglie di provenienza, i de-
stinatari salgono a 4000 ogni due anni, per lo più
appartenenti alle fasce socio-economiche più fragi-
li della popolazione locale. Lo spazio ristrutturato
del Colégio Salesiano di Belo Horizonte creerà un
orto e un frutteto con una superficie coltivata di
circa 500 metri quadri. Il giardino da rivitalizzare a
Pará de Minas determinerà un’area coltivata anche
più ampia, di ben 2250 metri quadri.
Nei numeri, le ambizioni
del progetto
Il progetto punta, come detto, ad avere un impatto
significativo sia sugli studenti sia sulle loro fami-
glie. Solo il 60% del cibo raccolto resterà agli stu-
denti: il restante 40% verrà donato alle loro famiglie
di origine. Si punta a riempire ben 200 cesti di cibo
al mese, da distribuire nelle case degli studenti. Il
frutteto e l’orto saranno in grado di fornire kit ali-
mentari a 400 famiglie per anno. Il numero di par-
tecipanti coinvolti nelle attività sarà di circa 1000
Il tuo 5×1000: una pianta locale,
un seme globale
Donare il 5×1000 non costa nulla. Se lasci vuoto
il riquadro nella dichiarazione dei redditi, quelle
risorse restano allo Stato. Se devolvi il tuo 5×1000
alla Fondazione don bosco nel mondo, suppor-
ti alcuni progetti significativi per la Missione sale-
siana. In particolare, quest’anno sostieni le opere
salesiane del Minas Gerais, dando l’opportunità di
creare nei prossimi mesi due orti e un frutteto e
di promuovere un modello diverso di società, fon-
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APRILE 2025

2.3 Page 13

▲torna in alto
dato sull’inclusione sociale e sulla consapevolezza
ambientale. Un impatto che va ben oltre il Brasile:
quest’opera salesiana crea infatti un esempio di fi-
liera agricola sostenibile che i missionari potranno
proporre anche altrove.
Un nuovo protagonista
dell’economia solidale
del sud-est del Brasile
Si è pensato anche al futuro e alla sostenibilità
dell’attività nel lungo periodo. Dopo la realizza-
zione, il progetto sarà mantenuto attraverso parte-
nariati con aziende locali, donazioni da parte della
comunità e nuove cooperazioni con la comunità
salesiana, anche a livello internazionale. I costi di
manutenzione saranno diluiti attraverso l’impegno
della comunità locale ed è stato già previsto un si-
stema di monitoraggio che controlli la produttività
dello spazio e i risultati delle attività attraverso rap-
porti trimestrali.
Tra le prospettive di questa nuova opera agricola
c’è anche la commercializzazione locale dei prodot-
ti coltivati. Il finanziamento della Fondazione può
dunque aprire le porte anche a un’attività sociale e
sostenibile, in grado di generare un impatto positi-
vo sulla comunità e sull’ambiente e di proporre un
nuovo protagonista nell’economia solidale di questa
regione brasiliana.
l’empatia con la natura e la gratitudine per ciò che
è in grado di restituire. Un orto fa capire quanto è
importante mangiare sano e differenziare la pro-
pria alimentazione. Un orto è un laboratorio viven-
te: rafforza i legami tra le persone e offre un luogo
fisico in cui vivere la spiritualità ecologica, in linea
con la proposta della Pastorale Giovanile e con la
proposta della Don Bosco Green Alliance, il net-
work giovanile mondiale di ragazzi e ragazze che
chiedono di mettere al centro dell’opera salesiana il
valore della sostenibilità.
Nel progetto salesiano del Minas Gerais, orto e
frutteto diventano vere palestre di vita: qui bambi-
ni, giovani e adulti imparano a coltivare la terra, a
nutrirsi in modo sano e a collaborare con gli altri.
Un’esperienza che rafforza la solidarietà, il rispetto
per il Creato e l’impegno per il bene comune. Puoi
far parte anche tu di questa storia.
Un orto educa
chi lo cura
al rispetto
dell’ambiente.
Un orto insegna
l’autonomia e la
collaborazione,
l’empatia con
la natura e la
gratitudine
per ciò che è
in grado di
restituire.
Orti e frutteti, palestre di vita
I benefici della realizzazione di orti e frutteti vanno
però ben oltre la produzione alimentare. “Il Pro-
getto dell’Orto Sostenibile è una proposta ampia
e meravigliosa”, sostiene Ana Paula Auxiliadora
Carvalho dos Santos, responsabile socio-educativa
e pastorale del Centro Giovanile di Pará de Minas,
“perché oltre a contribuire alla sostenibilità econo-
mico-finanziaria dell’istituzione nel lungo periodo,
promuove da subito pratiche di alimentazione sana
e trasmette nozioni di sviluppo sostenibile”.
Un orto educa chi lo cura al rispetto dell’ambiente.
Un orto insegna l’autonomia e la collaborazione,
Se vuoi devolvere il tuo 5×1000 al Progetto “Plantando Esperança”, nel
riquadro della tua dichiarazione dei redditi riservato al “Sostegno degli
Enti del Terzo Settore iscritti nel Runts e delle Onlus iscritte all’Anagra-
fe” inserisci il codice fiscale della Fondazione DON BOSCO NEL MONDO:
97210180580. E firma!
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2.4 Page 14

▲torna in alto
LA NOSTRA FAMIGLIA
Paola Cuccioli
NIZZA MONFERRATO
Visita alla Casa-madre delle Figlie di Maria Ausiliatrice
“Siamo tanto
contente di
questo cam-
biamento da
Mornese a Nizza. Dun-
que, mie buone Sorelle,
quando desiderate di veni-
re a farmi una visita, non
andate più a Mornese, ma
qui a Nizza”, così scrive
nel 1879 Maria Domenica
Mazzarello, la cofonda-
trice con don Bosco
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, alle suore
missionarie, partite un paio d’anni prima per
la lontanissima America. Pochi mesi dopo,
nell’aprile del 1881, la Casa di Mornese sarà
definitivamente chiusa e venduta perché troppo
lontana dalla ferrovia e da centri idonei
allo sviluppo del collegio per le studen-
tesse e per le numerose vocazioni.
Quale tipo di casa si delinea a Nizza
Monferrato per il giovane Istituto?
Che cosa visitare oggi?
Nel 1877, in una delle sue visite a Nizza Mon-
ferrato, don Bosco viene sollecitato ad acquistare
l’ormai ex convento e chiesa appartenuta ai frati
francescani. Soppresse le congregazioni religiose
ritenute “inutili”, i loro beni sono incamerati dallo
Stato e rivenduti. Passano di mano in mano fino
ad una società enologica di Savigliano, che trasfor-
ma la chiesa in cantina. Inorridito per tale scem-
pio, don Bosco, al fallimento della ditta, decide di
riaprire al culto il luogo sacro e di trasferire le fma
nei vicini locali che farà ristrutturare.
All’arrivo delle prime suore a Nizza nel 1878 vi
sono solo 2 edifici: la chiesa, dedicata a Nostra
Signora delle Grazie, e l’ex convento, circon-
dati da terreni coltivabili e una collina con vi-
gna. Nel tempo, aumentando le ragazze che fre-
quentavano la scuola, l’oratorio e il laboratorio,
e crescendo le vocazioni la casa deve diventare
idonea e pronta ad aprire le porte alle continue
e nuove richieste educative.
1. Il cortile don Bosco
Il cortile, luogo educativo per eccel-
lenza, diventa vivace e chiassoso du-
rante i giochi e le ricreazioni, per farsi
quasi cattedrale, durante i momenti di
preghiera e le giornate di ritiro. Ad esso
si affacciano gli edifici più antichi della
casa, la scuola e i corsi professionali. Da
qui si scorge la finestrella di Madre Mazzarello,
dalla quale, affacciandosi, scorge le ragazze giocare
in cortile. La Madonna, posta in cima al campani-
le, ci porta alla memoria l’ultima visita di don Bo-
sco nel 1885, in cui incoraggia e sollecita le suore
ad avere confidenza in Maria, perché “la Madonna
è veramente qui, qui in mezzo di voi! La Madonna
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APRILE 2025

2.5 Page 15

▲torna in alto
passeggia in questa casa e la copre con il suo man-
to”. La presenza di Maria non è solo un ricordo del
passato, ma è un’esperienza viva e tangibile ancora
oggi. Molte persone qui si sentono circondate dal
suo abbraccio materno e dalla sua concreta prote-
zione.
2. Il santuario dei frati francescani
La Chiesa è la parte più antica della struttura. Un
sito mariano, precedente alla costruzione del san-
tuario, sembra risalire addirittura al 1200. L’amore
per Maria è talmente forte che ancora oggi i nicesi
chiamano questo luogo “la Madonna”. Si viene a
pregare, a studiare, a giocare, ad allenarsi, a suona-
re alla “Madonna”.
Numerosi sono gli avvenimenti della storia dell’isti-
tuto che si realizzano nel santuario: dalla rielezione
di Madre Mazzarello e della sua prima successora,
alla consegna delle Costituzioni a stampa da parte
di don Bosco, dal primo capitolo generale alla pro-
fessione di tantissime consorelle, tra cui suor Teresa
Valsè Pantellini, oggi venerabile e alla partenza di
tante missionarie…
Ma sono avvenuti anche miracoli e fenomeni mi-
stici che attestano la santità, non solo di don Bosco,
ma di tante “sante della porta accanto”. Qui don
Bosco, infatti, presta la sua voce a Natalino, un ra-
gazzo dell’Oratorio molto intonato, che a causa di
una raucedine, è impossibilitato di cantare… Fa-
moso è anche l’episodio di madre Clelia Genghi-
ni, segretaria generale e archivista dell’Istituto: un
pomeriggio si avvicina alla porta del Tabernacolo
e, dopo aver bussato per chiedere una “parola che
rassicuri il cuore”, si sente rispondere per due volte
da una voce chiara e limpida: “Vivi il momento pre-
sente e vivilo in amore!”.
tre le altre si devono accontentare del laboratorio.
La proposta viene accettata con entusiasmo. Unica
perplessità la raccolta dei soldi necessari. Madre
Elisa è molto inserita nel territorio nicese, non solo
nella scuola, nell’oratorio e tra le exallieve dell’isti-
tuto, ma collabora fattivamente anche con le isti-
tuzioni, in particolar modo con il sindaco, Filippo
Fabiani, per le persone che si trovano in ristrettezze
economiche, sociali e culturali. Nella chiesa c’è an-
che una cappella, dedicata a Nostra Signora delle
La Chiesa è
la parte più
antica della
struttura. Un
sito mariano,
precedente
alla
costruzione
del santuario,
sembra risalire
addirittura al
1200. L’amore
per Maria è
talmente forte
che ancora
oggi i nicesi
chiamano
questo luogo
“la Madonna”.
Si viene a
pregare, a
studiare, a
giocare, ad
allenarsi, a
suonare alla
“Madonna”.
3. Sacro Cuore
La chiesa è voluta da madre Elisa Roncallo, Con-
sigliera generale, agli inizi del ’900 per le ragazze
esterne (exallieve, oratoriane e studentesse). Le ra-
gazze interne, infatti, pregano nel santuario, men-
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2.6 Page 16

▲torna in alto
LA NOSTRA FAMIGLIA
La Madonna,
posta in cima
al campanile,
ci porta alla
memoria
l’ultima visita
di don Bosco
nel 1885, in
cui incoraggia
e sollecita le
suore ad avere
confidenza in
Maria, perché
“la Madonna
è veramente
qui, qui in
mezzo di voi!
La Madonna
passeggia in
questa casa e
la copre con il
suo manto”.
La presenza
di Maria non
è solo un
ricordo del
passato, ma è
un’esperienza
viva e
tangibile
ancora oggi.
Grazie, con un bellissimo e dolcissimo quadro che
ritrae la Madonna con il Bambino che dorme tra le
sue braccia, del pittore Enrico Reffo.
Oggi l’ambiente ha perso la sua caratteristica spe-
cifica di chiesa, ma si continua a pregare presso le
tombe di suor Teresa Valsè Pantellini e di madre
Elisa Roncallo, qui sepolte. È diventato anche luo-
go di memoria: in esso spesso si allestiscono mostre
sulla vita dell’Istituto o su singole fma.
4. Scuola e l’oratorio
Le prime opere delle fma al loro arrivo a Niz-
za sono l’Oratorio festivo e il Laboratorio, subito
frequentati da ragazze entusiaste, tra cui sorgono
vocazioni religiose. Si istituiscono numerosi corsi
di scuola, ma la “Madonna” è famosa per la for-
mazione di maestre dell’infanzia e della scuola ele-
mentare. Oltre alle materie di studio le alunne pos-
sono maturare le proprie predisposizioni artistiche:
musica, belle arti, filodrammatica... Non mancano
certo le animate ricreazioni in cui dare libero sfogo
alla rumorosa vivacità. Nel 1900 la scuola, grazie
al lavoro del salesiano don Francesco Cerruti e di
madre Emilia Mosca, ottiene il “pareggiamento”.
Bisogna allora preparare insegnati laureate. In un
tempo in cui la presenza delle donne alle Università
è rara, l’Istituto vi iscrive alcune suore. Qualcuna
tra esse ha l’onore di avere come insegnanti Luigi
Capuana e Luigi Pirandello.
5. Il piano delle Madri e
la Cameretta di Madre Mazzarello
Nell’ex convento dei frati francescani, al primo
piano, risiedono le Madri del Consiglio genera-
le delle fma. Ancora oggi sulle porte si leggono i
nomi delle superiore che qui hanno abitato fino al
1929. In fondo al corridoio c’è la reliquia, forse più
preziosa: la cameretta di Madre Mazzarello. Qui
ha risieduto dal suo arrivo a Nizza Monferrato, il
4 febbraio 1879, fino alla sua morte, il 14 maggio
1881. In questa cameretta, sullo scrittoio, ha scritto
la maggior parte delle sue lettere. Lei, semi anal-
fabeta, impara a scrivere da adulta anche per rag-
giungere le suore lontane, partite missionarie oltre
oceano. Qui si conserva anche una sua reliquia e il
quadro più antico che, a detta delle prime fma, è il
più somigliante alla santa.
Il piano è attualmente la sede dell’Archivio storico
delle fma del Piemonte, qui è raccolta la preziosis-
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2.7 Page 17

▲torna in alto
sima memoria storica: attraverso documenti, dia-
positive, dischi in vinile, filmine, bauli misterio-
si… si può scoprire come le fma si siano formate e
come abbiano educato giovani generazioni.
6. La vigna
Uscendo dal corridoio della Madri, ci si affaccia
sulla vigna, un tempo coltivata a buonissimo vino
moscato. Oggi si può ammirare la prima statua di
Maria Ausiliatrice donata da don Bosco alle fma
a Mornese, che dall’alto protegge la casa e la città
di Nizza Monferrato. Da qui infatti si può godere
un bellissimo spettacolo collinare. Si identificano
la torre civica della città e i campanili delle chiese.
Tra i suoi vialetti si può passeggiare e pregare, per
rinfrancare corpo e spirito.
7. L’osservatorio meteorologico
Con le suore a Nizza Monferrato arrivano anche i
salesiani, che oltre ad occuparsi dell’aspetto religio-
so, spesso insegnano, soprattutto materie scienti-
fiche. Don Clemente Bretto desidera far costruire
un osservatorio meteorologico nell’antico campanile
della chiesa quale utile complemento agli studi delle
ragazze. Iniziato nel 1891, nel giro di un anno non
solo è pienamente funzionante, ma è munito di stru-
menti all’avanguardia, tanto da ricevere pochi anni
dopo un “attestato di beneme-
renza” dalla Società meteorologi-
ca italiana. I dati raccolti vengo-
no spediti periodicamente, fino
agli anni ’70, al “Regio ufficio
centrale di Meteorologia e Geo-
fisica” di Roma e al “Regio Uffi-
cio Idrografico del Po” di Torino.
8. La sala
della memoria
Custode di oggetti e cimeli, la
sala della memoria racconta at-
traverso numerosi e preziosi og-
getti la vita quotidiana delle fma e delle ragazze:
dalla statua dell’Immacolata segno della gratitudi-
ne delle ragazze, che con piccole e grandi rinunce,
hanno fatto arrivare direttamente dalla Francia, an-
che con il generoso aiuto di don
Cagliero; al fucile da caccia del
cugino di Madre Mazzarello, ex
voto, per essere uscito incolume
da un brutto incidente di caccia;
alle marionette manovrate dalle
suore per allietare i pomeriggi
delle ragazze.
Casa-madre va visitata, scoperta
e ammirata come luogo di storia,
di preghiera, di memoria, d’i-
struzione e di divertimento, per
toccare con mano che ogni spi-
ritualità si intreccia con la storia
di un’epoca…
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2.8 Page 18

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LE NOSTRE MEMORIE
Natale Maffioli
Le CUSTODIE del
corpo di don Bosco
Tutti sanno che attualmente
le reliquie di don Bosco sono
conservate in un’urna nell’altare a
lui dedicato nella basilica torinese
di Maria Ausiliatrice, ma penso
che pochi sappiano, nel dettaglio,
la storia degli spostamenti del
suo corpo e le vicende della sua
iniziale sepoltura.
A lla morte del nostro Santo (31 gennaio
1888), don Michele Rua, suo primo
successore, brigò anche con il primo
ministro del regno, Francesco Crispi,
per poter seppellire don Bosco nel santuario di
Maria Ausiliatrice (non era ancora basilica); il Cri-
spi gli consigliò, per non contravvenire alle norme
della polizia cimiteriale cittadina, di tumularlo nel
collegio salesiano di Valsalice, situato in una zona
extraurbana.
Don Rua accettò di buon grado la soluzione sug-
gerita e fece approntare subito una custodia sul
pianerottolo della scala che scendeva dal giardino
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2.9 Page 19

▲torna in alto
superiore al porticato,
antistante il cortile infe-
riore, e fu lì che la salma
di don Bosco fu posta.
In breve tempo si costruì,
su disegni dell’architetto
Carlo Maurizio Vigna, una
edicola di stile neogotico divisa in
due ambienti: l’inferiore con la tomba
di don Bosco, il superiore, una edicola de- d i c a t a
alla Pietà, affrescata dal pittore Giuseppe Rollini.
La lastra di chiusura del loculo fu affidata allo scul-
tore Pietro Piai; ovviamente lo scultore si avvalse
delle fotografie eseguite all’indomani della morte
di don Bosco, quando il suo corpo, rivestito dei pa-
ramenti sacerdotali, come se si apprestasse a cele-
brare la Messa, fu esposto per i riti di suffragio. Nel
giro di pochi mesi si iniziò a decorare l’ambiente
con abbellimenti parietali fino al 1924, anno della
beatificazione di don Bosco. Tolta la salma e por-
tata trionfalmente nella basilica di Maria Ausilia-
trice, la tomba non fu abbandonata, ma negli anni
successivi si provvide a creare una sorta di cappella
della memoria della sepoltura. Il corpo non c’era più
ma i salesiani erano convinti che quel luogo doveva
essere ugualmente ricordato e venerato.
reggono il coperchio e
le loro braccia alzate
sostengono dei festoni
di frutti che, al centro,
fissano lo stemma di Pio
XI, il papa che ha beatificato e
canonizzato don Bosco; la base,
frutto di uno studio del Concas, fa ri-
ferimento a modelli rinascimentali. I cristalli
sono ampi e adeguati ad una visione totale del cor-
po del santo rivestito di paramenti sacerdotali. Il
salesiano coadiutore Mario Notario, originario del
paese di San Benigno, ebbe più volte a dirmi che
lui bambino aveva fatto da modello al Concas per
L’urna della
Beatificazione
custodita nel
Museo casa
don Bosco” di
Valdocco.
Sotto:
Ricomposizione
della salma
e trionfale
partenza da
Valsalice.
L’urna della beatificazione
Il 2 giugno 1929, papa Pio XI beatificava don Bo-
sco. In vista della traslazione del corpo da Valsalice
a Valdocco si approntò una teca che servisse per
il trasporto e per una collocazione decorosa delle
reliquie in attesa della costruzione dell’altare a lui
dedicato nella Basilica di Maria Ausiliatrice. All’e-
poca il transetto destro (guardando l’altare mag-
giore) era ancora occupato dall’altare intitolato a
san Pietro.
Lo scultore salesiano Sebastiano Concas (1890-
1963), su disegno dell’architetto salesiano Giulio
Valotti (1881-1953), realizzò l’urna in legno dora-
to. La sua struttura è elegante e allo stesso tempo
fastosa ma senza essere ridondante. Quattro putti
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2.10 Page 20

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LE NOSTRE MEMORIE
la realizzazione dei piccoli putti angolari dell’urna.
Questa teca fu utilizzata per esporre, in occasio-
ne della beatificazione, le reliquie di san Giuseppe
Cafasso e quelle di santa Maria Domenica Maz-
zarello; ora l’urna è custodita nel “Museo casa don
Bosco” di Valdocco.
La pianeta
che riveste
il corpo di
don Bosco
è un’opera
magistrale
di ricamo.
Lo stemma
sullo stolone
posteriore
è quello di
Benedetto
XV, a cui la
pianeta era
stata donata.
L’urna attuale
Le reliquie di don Bosco meritano un’attenzione
speciale. Il corpo mortale del nostro è racchiuso in
una cassa non progettata dal Ceradini, ma l’impresa
della sua realizzazione fu affidata all’architetto Giu-
lio Casanova (1875-1961) che approntò un disegno
geniale: il corpo del Santo doveva essere visibile
fronte-retro, dalla chiesa e dal ricettacolo posterio-
re e qui il corpo del santo doveva giacere all’altez-
za dello sguardo dei devoti. La cassa realizzata su
disegno del Casanova è sobria, priva di ridondanze
nonostante il suo riferimento stilistico sia barocco;
coppie di teste alate di cherubini sono poste agli an-
goli e sovrastano scudi con il motto caro al nostro
Santo: “Da Mihi Animas Coetera Tolle”, non hanno
funzioni di sostegno in modo da non
impedire la visione per intero del
corpo di don Bosco.
La pianeta
Il paramento liturgico che rive-
ste le reliquie del nostro Santo
è un’opera magistrale di
ricamo. Innanzitutto
la storia: è stato realiz-
zato in un imprecisato
monastero e destinato
a papa Benedetto XV,
il grande pontefice dei
tempi difficili della
prima guerra mondia-
le. Probabilmente era
un dono in occasione
del quarantesimo an-
niversario della sua or-
dinazione sacerdotale e, come succede a tanti regali
fatti ai pontefici non fu utilizzato dal Papa, ma fu
‘dirottato’ verso persone a lui care. Che il dono fosse
riservato a Benedetto XV lo attesta, in modo ine-
quivocabile, lo stemma sullo stolone posteriore della
pianeta.
Se si voleva utilizzare per rivestire le reliquie di
don Bosco un paramento importante per storia e
preziosità del materiale, non si poteva fare scelta
migliore.
La pianeta riveste realmente il corpo del Santo, il
volto e le mani presentate alla venerazione dei fede-
li non sono le originali, il volto adagiato tra i cusci-
ni che lo tengono sollevato è una maschera di cera
opera dello scultore Gaetano Cellini, l’originale è
incassato nel cuscino che lo tiene reclinato mentre
le mani, anch’esse del Cellini, sono adagiate sul
petto del Santo e coperte dalla pianeta.
L’architetto Ceradini concepì l’altare avanzato quel
tanto da lasciare lo spazio ad una sorta di scuro-
lo che desse la possibilità ai fedeli di avvicinarsi al
corpo di don Bosco.
L’ambiente è interamente rivestito di marmo giallo
di Siena e da una lastra del marmo di Candoglia,
con decori in bronzo dorato, e offre ai fedeli, da una
apertura protetta da cristallo, una vista ravvicinata
del corpo di don Bosco. Il piccolo ambiente è illu-
minato dall’alto, da una cupola ellittica rivestita di
mosaico e raffigurante il cielo.
20
APRILE 2025

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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150 ANNI DI MISSIONI NEL MONDO
I MAGNIFICI FRUTTI
delle Missioni Salesiane
L a sera del 6 febbraio 2025 don Alfred
Maravilla, Consigliere Generale per le
Missioni, con tutti i membri dell’équipe
del Settore, ha tenuto una conferenza in
un contesto familiare ai rappresentanti della comu-
nità educativo-pastorale della casa “Don Bosco” di
Nizza, sul tema del 150° anniversario della Spedi-
zione Missionaria Salesiana. Questo semplice even-
to ha segnato anche l’inizio delle celebrazioni per i
150 anni di presenza dei Salesiani a Nizza. Spesso si
dimentica, infatti, che il 9 novembre 1875, appena
pochi giorni prima dell’invio dei primi missionari da
Valdocco – l’11 novembre 1875 – un piccolo gruppo
di due sacerdoti, un chierico e un coadiutore inizia-
rono il loro viaggio da Valdocco a Nizza, dove fu-
rono infine accolti presso il “Patronange St. Pierre”
il 28 novembre, invitati dall’allora vescovo di Nizza
monsignor Pierre Sola, su iniziativa del Presidente
della Conferenza locale di San Vincenzo de’ Paoli,
Ernest Michel. Al loro arrivo cominciarono a pren-
dersi cura di 6 giovani algerini e 3 giovani nizzardi.
Sebbene all’epoca non fossero considerati missio-
nari, essi furono dei veri e propri pionieri di quel-
lo che oggi viene chiamato “Progetto Europa”, in
quanto si sforzarono negli anni di inculturare lo
spirito di don Bosco in Francia.
Don Maravilla ha quindi spiegato l’importanza e
l’attualità del “Progetto Europa” nel rivitalizzare il
carisma di don Bosco a Nizza e in Francia.
Al termine della conferenza, per sottolineare l’im-
portanza missionaria dell’arrivo dei primi salesia-
ni a Nizza, il Consigliere per le Missioni ha pre-
sentato al pubblico, e a tutto il mondo salesiano,
il nuovo dipinto commissionato per commemorare
il 150° anniversario delle Missioni Salesiane, inti-
tolato “I frutti delle Missioni Salesiane”, realizza-
to dall’artista argentino Juan Manuel Jaimes. È lo
stesso artista che ha fatto il dipinto ufficiale per la
canonizzazione di Artemide Zatti.
Il pittore ha interpretato il desiderio di don Mara-
villa di presentare i giovani santi che hanno rag-
giunto la santità grazie alla spiritualità salesiana
ricevuta dai missionari:
Simão Bororo, giovane catechista indigeno della
missione salesiana tra la popolazione Bororo, in
Brasile;
la beata Laura Vicuña e il beato Zeffirino Na-
muncurá, dalla gioventù eroica del Cile e dell’Ar-
gentina;
Akash Bashir, allievo salesiano in Pakistan, im-
molatosi per impedire ad un fondamentalista
musulmano di far saltare in aria la comunità cat-
tolica che celebrava la Messa domenicale.
Il dipinto mostra come tutti e quattro fossero profon-
damente radicati nella loro cultura e profondamente
legati alla loro fede cattolica. Sono diventati santi at-
traverso la loro ordinaria vita quotidiana di cattolici,
vissuta con gioia, impegno e amore secondo lo stile
salesiano trasmesso loro dai missionari salesiani.
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I NOSTRI LIBRI
Carmen Laval
Le più belle Lettere di Don Bosco
A cura di Francesco Motto
Il testo che giunge alle mani del lettore in questo anno giubilare 2025 è assai
prezioso. Esso offre al lettore una degustazione qualificata delle “più bel-
le” lettere di don Bosco, perché si possano toccare con mano lo stile concreto
e coinvolgente, la passione educativa e pastorale, l’intelligenza vivace e prati-
ca, il cuore innamorato di Dio e della Chiesa del padre e maestro dei giovani.
Duecentocinquanta sono le lettere che l’autore ha selezionato per questa raccol-
ta. Una reale possibilità di apprezzare pienamente l’ampiezza di una missione
universale accolta dalle mani di Dio e sviluppata con ardore e intraprendenza da
colui che l’ha ricevuta con fede.
50 storie per raccontare Gesù
di Bruno Ferrero
Da un amato e apprezzato narratore, una raccolta di 50 brevi racconti accom-
pagnati da essenziali riflessioni che raccontano Gesù in tutte le sue sfumature.
Piccole perle di scrittura adatte ad ogni età, utili per riflettere ed emozionarsi, per
dare nuovo slancio e senso alla propria esistenza. Parabole moderne e popolari,
nelle quali il protagonista è Gesù, immerso nel nostro tempo e nella nostra quo-
tidianità. Sono adatte a un pubblico di bambini e ragazzi. Cercano di conservare
la freschezza e la semplicità della tradizione orale.
Don Bosco pellegrino
di Francesco Mosetto
Le passeggiate di don Bosco
Santo dei giovani, don Bosco andò pellegrino a Roma, alla Madonna di Oropa e ad
altri santuari. Le gite e le passeggiate, nelle quali conduceva i suoi ragazzi, erano
anche veri e propri pellegrinaggi.
Questo libretto ripercorre le tappe del suo cammino dalla piccola borgata dei
Becchi ai santuari dei dintorni di Torino, alle colline del Monferrato, a Roma, in
Francia e in Spagna. Il suo stile pastorale è un modello tuttora valido per i pelle-
grini e per tutti gli educatori cristiani.
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Don Bosco.
La storia
infinita
di Bruno Ferrero
Una storia di don Bosco
a prova di giovani.
Don Bosco.
Una vita in gioco
di Claudio Russo
Un ricco e originale cammino cate-
chistico che affonda le radici nella
proposta di rinnovamento della ca-
techesi dei bambini, auspicata dai
documenti della Chiesa italiana.
Frutto del lavoro di un’équipe di
esperti in catechesi e di catechiste
impegnate da anni nella propria
Chiesa locale, vuole essere un nuo-
vo progetto proprio nel ripensamento e nel rinnovamento dei per-
corsi di catechesi per i ragazzi.
Paralleli 15 e 20
di Gildásio Mendes Dos Santos
Nel 1883, san Giovanni Bosco vide in sogno una nuova città in costruzione
nella Regione Centrale del Brasile e dichiarò che sarebbe stata costruita tra i
paralleli 15 e 20, come poi accadde. Don Bosco era un sognatore ma allo stesso
tempo era esperto di geografia, e ricco di immaginazione spaziale e geogra-
fica, disegnava e progettava vere e proprie planimetrie per chiese e scuole.
Questo libro vuole presentare don Bosco in una prospettiva moderna che lo
mostra nel suo aspetto più tecnico, di architetto dell’umano e del materiale, le
cui competenze e conoscenze pratiche gli hanno permesso di essere innovati-
vo e operativo. Una lettura di don Bosco che entra in dialogo con l’ingegneria,
la chimica, la fisica, la nutrizione, l’economia, la medicina, la
psicologia, l’intelligenza artificiale e la politica.
Pellegrinaggio sui passi di Gesù
di Giovanni Zappino
Non tutti, forse, possono permettersi di fare realmente un pellegrinaggio in
Terrasanta. A ciò viene in aiuto questo libro: offrire un pellegrinaggio “virtuale”
e spirituale, che permetta di conoscere i luoghi e percorrere le varie tappe del
pellegrinaggio effettuato normalmente in aereo, bus e a piedi. Il libro si sofferma
pertanto in particolare sui “luoghi santi”, visitati dai pellegrini di tutto il mondo,
richiamando il mistero lì ricordato e richiamato da un santuario o da un monu-
mento notevole.
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I NOSTRI EROI
B.F.
Lo splendido
sorriso di GILDA
Gilda (nonostante avesse piena coscienza di
tutto e del mostro che doveva affrontare) ha
deciso e scelto di lasciarci il suo sorriso. Ciò che
più ci stupisce è proprio questo, avrebbe potuto
disperarsi, avrebbe potuto anche semplicemente
chiudersi al mondo, alla famiglia e agli amici...
ed invece si è aperta ancora di più alla vita
sorridendo nonostante tutto.
L a ricordiamo avvolta da una cascata di
riccioli d’oro, la delicatezza, l’armonia,
la grazia e la bellezza dei tratti, il naso
in miniatura, la bocca delicata e il viso
piccolo contrastano con la grande grinta che le
hanno attribuito l’appellativo di leonessa. Tenace
sin da piccola, determinata a raggiungere ciò che
desiderava.
Era nata a Torino il 13 aprile del 2004 per la gioia di
mamma Paola, papà Pasquale e del fratellino Anto-
nio. Dalla mamma salernitana e dal papà calabrese,
prende l’intelligenza, la forza fisica e il carattere ac-
centuato da una determinazione straordinaria, che
le hanno consentito di farsi sempre spazio senza
chiedere aiuto a nessuno. A Torino cresce in una
bellissima realtà familiare, che sarà il segreto del-
la sua forza. Trascorre una buona parte dell’anno
a Torino e durante le vacanze, si trasferisce dai
nonni a Castellabate (SA) e a Laino Borgo (CS),
dove dimostra una straordinaria voglia di vivere in
mezzo agli altri, circondata da amiche e amici che
la riconoscono come leader naturale, che sa come
affrontare i problemi e risolverli. Sportiva, con la
passione del nuoto, dello sci e della pallavolo tanto
da entrare come ultima arrivata nella squadra.
Educata sin da piccola alla fede cristiana nella Par-
rocchia salesiana di San Giuseppe Lavoratore di
Torino, frequenta la Scuola Materna, l’Oratorio
salesiano del Rebaudengo e il catechismo per pre-
pararsi a ricevere, dopo il Sacramento del Battesi-
mo, la Comunione e la Cresima, per poi proseguire
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nella sua ricerca personale del Signore. Lo ha fatto
tramite la Parrocchia ma soprattutto attraverso la
Turris Eburnea, una associazione di magnifiche ra-
gazze che annunciano e vivono il Vangelo attraver-
so il linguaggio dell’eleganza, perché rispecchiava
in lei quel senso della bellezza femminile capolavo-
ro del Signore.
«Gilda amava le piccole cose di
vita quotidiana da cui attingeva
gioia e voglia di vivere ed era
» capace di inondare anche gli altri
di questa voglia di vivere.
Una cara amica le aveva regalato la parrucca ori-
ginale di Pippi Calzelunghe, importandola diret-
tamente dalla Svezia. Pippi Calzelunghe, bambina
indipendente e furba, dalle trecce incredibilmente
orizzontali, che viveva in compagnia di un cavallo
e una scimmietta, sempre ottimista e senza paura,
era un’icona che le stava a pennello.
Scrive ad un’amica: «Come oramai da anni nelle
notti estive a Santa Maria di Castellabate siamo
in compagnia di piccole civette che nidificano nel-
le tegole delle nostre case... a volte quando hanno
bisogno di fare un po’ di movimento le vediamo
appollaiate sui fili dei pali della corrente. In una
piena notte estiva (perché ti sarai accorta che noi
siamo nottambuli) il mio amatissimo nonno ha
sentito quel lamento tipico della civetta nel terraz-
zo del piano di sotto. Scattante e agile come sem-
pre, nonostante sia il più grande in tutto il gruppo,
ha preso una gabbietta, che è diventata
la casetta di questa piccola creatura per
una notte. Dopo questo, nonno ha pensato di far-
mi vedere da vicino la civetta e, svegliandomi, ero
di fronte a questi occhioni spalancati... io ero ve-
ramente contenta e ho pensato che un simile spet-
tacolo non potesse perderselo di certo mio fratello
Antonio... d’altra parte fa parte del sesso maschile
che è coraggioso. Ci appropinquiamo per le scale
che portano alle camere da letto al piano superiore,
dove, Antonio, dormiva già da ore. Erano circa le
3 di notte e con tanta gioia lo svegliai e gli misi,
insieme a nonno, la gabbietta vicino al suo viso...
appena aperto gli occhi ha urlato fortissimo sbat-
tendoci fuori dalla camera per la paura. Si chiuse
a chiave ed io, nonno e la povera civetta, divertiti
da ciò, pensavamo a come sarebbe stato divertente
raccontarlo a tutta la famiglia l’indomani. Ahaha-
hah ho tante storie da raccontarti perché faccio e ho
fatto molti scherzi!»
Da piccola a Laino Borgo (CS), paese natale del
papà Pasquale, amava nascondersi tra i vicoli e,
spesso, saltava fuori per il gusto di far spaventare
gli amici.
Gilda, durante
la sua vita, ci
ha mostrato
che non
si tratta
di essere
eccezionali
ma solo di
capire che
la vita ha
senso pieno
quando al suo
termine lascia
dietro di sé
un oceano
di semplice
amore
condiviso in
cui chi resta
possa nuotare
e trovare
sollievo dal
fuoco della
morte che
consuma.
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I NOSTRI EROI
Se esistono
persone come
Gilda, esiste
Dio.
Era portata per le lingue e anche per i dialetti. Era
un piacere sentirla parlare in calabrese o in saler-
nitano, le terre delle sue radici. Il gioco, quello
che vive anche d’improvvisazione, la caricatura di
qualche caratteristica di un amico, ma sempre nella
direzione della spontaneità, tutt’altro che timida,
capace di scoppiare a ridere in modo fragoroso an-
che per qualche bravata di un compagno di liceo,
caotico e disturbatore durante l’ora di chimica. Lei
prendeva la scuola molto sul serio, ma sapeva sem-
pre vedere l’aspetto comico delle situazioni.
La croce
Nel febbraio del 2020, in concomitanza con lo
scoppio della pandemia da covid-19, dopo aver
fatto una risonanza magnetica per un dolore alla
schiena che insisteva da mesi, veniva scoperta una
massa sospetta sulla cresta iliaca dell’anca destra.
Il 12 marzo del 2020, dopo il ricovero al cto di
Torino per la biopsia ai tessuti ossei e molli della
massa sospetta, le veniva diagnosticato un Sarcoma
di Ewing. Quattro giorni prima aveva perso anche
il nonno paterno che viveva in Calabria.
La sua forza di carattere le ha consentito di non na-
scondersi ma di affron-
tare subito e in maniera
diretta, la malattia. Ini-
zia un percorso difficile
e pesante dove ha dovuto
sostenere 9 ricoveri in
Ospedale per le infusioni
di chemioterapia con la
caduta quasi immediata
dei capelli (la sua forza),
un autotrapianto e 36 in-
terventi di radioterapia. A fine dicembre, al termine
delle cure, effettua tutti i controlli strumentali che
confermano l’andamento positivo delle terapie tan-
to da iniziare, a gennaio del 2021, una terapia orale
di mantenimento per sei mesi. Ricrescono i capelli,
continua con gli studi concludendo un anno scola-
stico con una media generale altissima (superiore al
9). Durante questo periodo di fine inverno e inizio
primavera, l’Oratorio salesiano della parrocchia e
la Turris Eburnea, organizzano delle interviste per
condividere la testimonianza forte di Gilda con tutti
i ragazzi e le ragazze della sua età, ma anche per le
persone adulte. La prima intervista, breve nella du-
rata, viene trasmessa su un canale interno all’Ora-
torio mentre la seconda, considerato il “mondo” di
preghiera che Gilda aveva mosso per la sua malattia
e guarigione, viene trasmessa su un canale social con
una punta di più di 400 collegati. Più che un’intervi-
sta, un fiume in piena di un racconto di circa 1 ora e
40 minuti dove Gilda ha raccontato come ha vissuto
il periodo della malattia e delle cure.
La passione per la musica le darà sempre tanta
forza. Il 16 marzo del 2020, quando era in attesa
del primo ricovero, trovò un pianoforte nell’atrio
dell’ospedale e iniziò a suonare “Someone You Lo-
ved” di Lewis Capaldi. La mamma Paola e il papà
Pasquale erano dietro di lei con il cuore pesante per
la diagnosi appena ricevuta dall’oncologo: “Sarco-
ma di Ewing”. L’incanto di quella musica trasportò
i genitori e persino l’oncologo in una dimensione
diversa dalla tristezza di quel reparto d’ospedale.
Nella musica, Gilda ricercava sempre un momento
di distensione, ma anche un modo di comunicare
serenità ed allegria verso chi aveva problemi di ma-
lattia o di sofferenza.
«Gilda non è stata la sua malattia. La malattia ha tolto
di torno tutto quanto Gilda non era, per lasciare a
nudo solo quello che lei autenticamente era ed è.
» La Croce è terribile ma il suo lato buono è che ci
mostra fino in fondo il Crocifisso.
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Registrava video dove cantava e suonava al piano-
forte e che inviava ad amiche che stavano affron-
tando un ricovero ed anche la scelta della musica
o del testo non erano casuali, ma sapeva sempre
trovare il messaggio giusto per comunicare: «Co-
raggio, ce la farai!»
Nell’agosto del 2021, avrebbe tanto voluto trascor-
rere quella vacanza fuori dal reparto di oncologia e
invece la “recidiva” la costrinse ad un secondo ciclo
di chemio più forte. Con la complicità del papà, si
appropriò del pianoforte e della chitarra, che si tro-
vavano nel salone dei giochi del reparto e organizzò
una straordinaria festa di Ferragosto. Tra i piccoli
pazienti, i genitori, qualche dottoressa di turno, le
infermiere e le oss del reparto, forte delle lezioni di
canto che aveva preso durante la malattia, trasportò
tutti in un “metaverso” di favolosa allegria.
Ed era già Vangelo. La prima parola del Nuovo Te-
stamento è «Kaire! Sii allegra!» e la dice un angelo
ad una ragazzina di quattordici anni destinata a di-
ventare la Regina dell’Universo.
Gilda in quei giorni era Luce!
« » E la sua stanza una cattedrale.
«Tranquilla qualunque
cosa accada!»
La frase che aveva fatto sua, nella consapevolezza
che non sarebbe guarita dalla malattia era: “Tran-
quilla qualunque cosa accada, perché così deve essere
che non è una frase di rassegnazione ma, al contra-
rio, di totale abbandono ad un disegno superiore.
Quell’abbandono frutto di impareggiabile maturi-
tà umana e di vera santità. Davanti alla passione,
Gesù dice fra le lacrime: «Padre mio, se è possibile
allontana da me questo calice di dolore! Però non si
faccia come voglio io, ma come vuoi tu». E rassicu-
rava tutti con la frase “Sto bene!”.
Non sembra possibile, ma nel calendario sulla scri-
vania, dove lei annotava tutto, impegni scolastici,
visite mediche, prelievi, radioterapia… risalta in
stampatello in corrispondenza del mese di novem-
bre 2021, un SONO FELICE!
Incredibili parole di una ragazza bella, dotata, amata,
carica di sogni da realizzare a pochi giorni dalla fine
della vita terrena. Era come se un divino artista, con
lo scalpello della sofferenza, liberasse sempre meglio
l’oro interiore di Gilda. Forse aveva già intravisto che
cosa c’è al di là della Porta dove si spalanca una vita
piena e senza più separazioni? Forse è per questo che
ci ha lasciato con la serenità di pensare che la vita
terrena è solo un momento di preparazione alla Vita
Eterna e che bisogna viverla nel migliore dei modi:
l’importante è fare!”, il suo mantra.
«Non respira più!»
La sera del 24 gennaio, papà Pasquale, mamma Pao­la
e il fratello Antonio erano in quella stanza di ospeda-
le e durante tutta la giornata avevano tenuto strette le
mani di Gilda parlandole di cose belle e affidandole
tutte le persone bisognose, i tanti amici, la famiglia.
Alle 21 e 26 minuti, la mamma ha detto “Non re-
spira più!”.
Gilda ora danzava al passo di Dio.
«Qualcuno
come Gilda
riesce – per
grazia di Dio –
a non mollare
lo sguardo dal
Crocifisso e
dal Risorto e si
lascia condurre,
seminando
luce. E
trasformando
anche la
notte della
sofferenza
in passaggio
fecondo di
vita» (Cardinale
Giorgio
Marengo).
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3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
Angelo Santorsola
I Salesiani
a CAGLIARI
Dal 1° settembre 2023
l’animazione di tutto il fecondo
fronte educativo e pastorale
della Sardegna è affidata all’unica
comunità salesiana, intitolata
alla Nostra Signora di Bonaria,
patrona massima della Sardegna,
che ha dato il nome anche
alla città di Buenos Aires.
La presenza
salesiana
in questo
territorio è
gravida di
futuro, ha
ancora da
esprimere
tutte le
ricchezze
dei valori
del popolo
sardo e della
spiritualità
ancora ben
radicata in
tanti ragazzi
e in tante
famiglie di
Cagliari e
dell’entroterra.
Il desiderio di avere i Salesiani a Cagliari fu
manifestato a don Bosco dall’arcivescovo
nel 1879, con molta insistenza, ma la possi-
bilità si concretizzò solo nel 1908 quando si
accolse l’invito di monsignor Mario Piu, rettore
di Sant’Antonio Abate (una chiesa del quartiere
popolare della Marina) e salesiano cooperatore, a
venire in città per fondare un’opera a favore dei ra-
gazzi più poveri, che avevano le stesse caratteristi-
che e davano gli stessi problemi di quelli di tutte le
città d’Italia all’inizio del secolo scorso. I Salesiani
erano già sbarcati in Sardegna nel 1898 aprendo il
Collegio a Lanusei, con primo direttore don Ceria.
Nel piccolo capoluogo dell’Ogliastra facevano già
un gran bene, in mezzo ad una povertà di mezzi e
d’istruzione che faceva spaventare i confratelli che
arrivavano dalle moderne città del Piemonte.
L’impegno a cercare il terreno e i soldi per realiz-
zare un primo edificio nella via degli Orti (oggi
via Sant’Ignazio da Laconi) non fu di poco conto,
tanto che dalla posa della prima pietra nel 1908 oc-
corre attendere l’ottobre del 1913 per far arrivare la
prima comunità religiosa e avviare il primo anno
scolastico in quelle aule e in quei cortili, incastonati
fra le vestigia romane dell’anfiteatro e della villa di
Tigellio (amico, sembra, di Cicerone), il polmone
verde dell’orto Botanico, la necropoli di Tuvixeddu
e le cisterne puniche.
La scuola, l’oratorio, lo sport, insieme al pane e a
tanta passione, furono il luogo della cura educativa
e pastorale che i Salesiani ebbero nei confronti dei
ragazzi che da tutta la città accorrevano in questa
oasi felice. In pochi anni i numeri aumentano a tal
punto che negli anni ’30 si resero necessari nuo-
vi fabbricati, che andando ad aggiungersi al primo
nucleo, completarono con il tipico “ferro di caval-
lo” dell’architettura salesiana gli spazi destinati alla
scuola e all’internato.
La tragedia della Seconda Guerra Mondiale, che
aveva lasciato l’isola ai margini del conflitto, colpì
pesantemente la città dal 17 febbraio alla fine di
maggio del 1943, con inutili bombardamenti a tap-
peto delle forze alleate, che avrebbero dovuto pre-
parare lo sbarco alleato, già previsto in realtà sulle
coste laziali e in Sicilia. La città fu rasa al suolo per
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4.1 Page 31

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l’80%. Morti e sfollati. In quei mesi terribili, sotto
le bombe delle potenze con cui l’Italia aveva ap-
pena concluso l’alleanza, l’Istituto Salesiano ospitò
nei suoi sotterranei centinaia di famiglie cagliari-
tane che, al suono delle sirene, si rifugiavano nelle
gallerie ricavate nella roccia calcarea, riadattando
antichi cunicoli come rifugi antiaerei. Anche una
parte dell’edificio fu squarciata dalle bombe, per
fortuna senza vittime, mentre metà dei confratelli
e tutti i ragazzi erano sfollati nei paesi dell’interno.
La rinascita
All’indomani della fine della guerra, i Salesiani
ricostruirono e ampliarono l’edificio scolastico,
riprendendo subito tutte le attività a favore delle
famiglie che rientravano in città. Assolutamen-
te lungimiranti, comprarono anche delle vigne in
riva al mare, in località Solanas, dove costruirono
una Colonia Marina, ad una decina di chilometri
da Villasimius. Una baia dove nulla era edificato,
se non una casa cantoniera e una piccola chiesetta,
lungo la mulattiera, neanche asfaltata. A metà degli
anni ’50 iniziarono anche a curare la pastorale di
un nuovo quartiere in costruzione nella Fonsarda,
molto popoloso e popolare. Lì, nel 1961 fu aper-
ta la nuova casa salesiana di San Paolo, oratorio
e parrocchia frequentatissimi. Bisogna aspettare
un’altra decina d’anni perché la configurazione
della presenza salesiana sul territorio si completas-
se con l’apertura del grande Centro di Formazione
Professionale a Selargius, comune della Città Me-
tropolitana di Cagliari. Agli inizi degli anni ’90 la
scuola media e il liceo classico vanno ad arricchirsi
del Liceo Scientifico e di una Scuola Materna ed
Elementare “Infanzia Lieta” che ereditiamo da una
Congregazione femminile.
Il carisma salesiano in questo territorio, a servizio
dei giovani di Cagliari e di tutto il Sud della Sar-
degna, si è potuto radicare grazie allo zelo di tan-
tissimi confratelli che hanno dedicato la loro vita,
le loro migliori energie ai giovani delle scuole, degli
oratori di viale Fra’ Ignazio e di piazza Giovanni,
del Centro di Formazione Professionale di Selar-
gius. Il loro ricordo è ancora in benedizione di tanti
che non mancano di manifestarlo in tante occasio-
ni. Come non ricordare le lezioni e l’arguzia di don
Natale Idda, il profumo di Borotalco e le confes-
sioni di don Giuseppe Marongiu, le premiazioni di
don Osvaldo Gobbi, le prediche di don Villasanta,
i tornei e l’entusiasmo di don Riccardo Macchioni,
le partite a pallone con don Aldo Meloni, i giochi
e i laboratori meccanici del sig. Mario Serafin, il
francese don Antonio Sechi, i pellegrinaggi di don
Filippo Giua, le colonie di don Silvano Sarti o il
Dopo aver
donato alla
Congregazione
e al mondo
tante vocazioni
missionarie,
questa terra e
i suoi giovani
esprimono
ancora un
desiderio
genuino di
bene, che suona
come sfida
operativa per gli
educatori, per i
docenti, per gli
animatori, per
i confratelli e
le consorelle e
tutti i membri –
numerosissimi
– della Famiglia
Salesiana.
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4.2 Page 32

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LE CASE DI DON BOSCO
«Una delle
mie più belle
soddisfazioni
è constatare
sempre più
la Bellezza
che abita
nei giovani
di Cagliari e
che desidera
essere aiutata
a sbocciare»
(Don Angelo
Santorsola).
vocione di don Salvatore Cossu? Senza tralasciare
l’entusiasmo e la passione educativa dei confratelli
e dei laici corresponsabili dell’unica missione edu-
cativa che hanno sempre contraddistinto queste tre
comunità educativo-pastorali lungo oltre 110 anni
di presenza in questo territorio.
Dal 1° settembre 2023 l’animazione di tutto que-
sto fronte educativo e pastorale è affidata all’unica
comunità salesiana, intitolata alla Nostra Signora
di Bonaria, patrona massima della Sardegna, che
ha dato il nome anche alla città di Buenos Aires,
fondata da marinai “casteddai”. Casteddu è il nome
sardo di questa città, capitale del Mediterraneo,
bianca come le sue rocce calcaree, come la pietra dei
suoi bastioni e delle facciate delle sue chiese e dei
suoi palazzi, vivace città di mare, baciata dal sole
e tirata a lucido dal vento quasi costante, afflitta,
come tante città del Sud, dalla povertà di mezzi,
dall’emigrare dei suoi giovani in cerca di lavoro e
di futuro in “continente” (così i sardi chiamano in
resto della penisola) o all’estero.
Cagliari Don Bosco, nelle 8 scuole: Asilo Nido, tre
scuole dell’infanzia (una nostra e due comunali), una
Scuola Primaria, una Scuola Media, il Liceo Clas-
sico e il Liceo Scientifico, che insistono su tre ples-
si scolastici distinti. A questo lavoro tradizionale si
aggiunge l’avvio, in tempo di pandemia, di Spazio-
Compiti, un doposcuola cittadino che serve nel po-
meriggio una cinquantina di ragazzi preadolescenti
e adolescenti e che vede l’impegno di tanti volontari
e l’attenzione dell’amministrazione cittadina e della
Chiesa Locale. Il polo dell’evangelizzazione, affida-
to alla casa e alla cep di Cagliari San Paolo, che ha
il suo cuore pulsante nell’oratorio – centro giovanile
e nella parrocchia di San Paolo, in piazza Giovanni
XXIII. Il polo del mondo del lavoro, affidato alla
casa e alla cep di Cagliari-Selargius, che accoglie nei
suoi cortili, aule e laboratori il Centro di Formazione
Professionale, che avvia alla vita i giovani attraverso
corsi di operatore termoidraulico, meccanico e salda-
tura, elettrico, riparazione veicoli a motore e ristora-
zione, presso la casa salesiana di Selargius.
A questo si aggiunge la storica casa di Solanas,
affidata alla cep di Cagliari Don Bosco, che per
oltre cinquant’anni è stata l’oasi estiva di migliaia
di bambini e di ragazzi dell’hinterland cagliaritano,
delle zone e dei quartieri più poveri, affidati dai
Servizi Sociali, che trascorrevano al mare settima-
ne di spensieratezza, gioia pura, luogo di riscatto
per tanto di loro, occasione di missione educativa
I tre poli
Oggi le case salesiane della Città Metropolitana di
Cagliari, affidate ad un’unica comunità religiosa,
vivono l’unica missione educativa ed evangelizza-
trice differenziata nei tre poli. Il polo della cultu-
ra e dell’istruzione, affidato alla casa e alla cep di
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4.3 Page 33

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Tre domande al direttore don Angelo Santorsola:
Quali sono le tue più belle soddisfazioni?
Il sentirmi a casa grazie alla squisita umanità degli abitanti
di questa meravigliosa città di Cagliari.
Il desiderio delle tre CEP di rendere sempre più visibile il ca-
risma salesiano che ha ancora tanto da dire.
Constatare sempre più la Bellezza che abita nei giovani di
Cagliari e che desidera essere aiutata a sbocciare.
Il riconoscere l’importanza di avere una guida spirituale da
parte dei giovani e degli adulti.
Constatare come il carisma salesiano sia accolto e desidera-
to dalla Chiesa che è in Cagliari.
Quali le situazioni problematiche?
Certamente la sostenibilità economica del polo della scuola
è quella più pesante, che ci accomuna a tutte le scuole pa-
ritarie in Italia. Quello della scuola è una realtà bellissima
come opportunità educativa che ci richiede però tantissimi
sacrifici perché abbiamo bisogno di benefattori che ci aiuti-
no a scommettere sull’educazione investendo sulla cultura.
Non è facile, ma confidiamo sempre nell’aiuto della provvi-
denza che spesso si manifesta con exallievi che vogliono far
sperimentare alle nuove generazioni quel sistema preventi-
vo che loro hanno vissuto e di cui sono infinitamente grati.
La situazione problematica di tanti giovani sardi costretti ad
emigrare in cerca di futuro e di lavoro.
Le politiche discontinue sulla formazione professionale che
però sembrano aver avuto da 5 anni a questa parte un cam-
bio di tendenza positivo che si spera prosegua a beneficio
dei giovani sardi e del loro inserimento nel mondo del la-
voro.
Che cosa sogni per quest’opera
e i suoi destinatari?
Saper raccontare con la vita quotidiana che la Speranza è
viva e che dobbiamo continuare a sognare alla grande come
faceva don Bosco senza mai scoraggiarsi, rendendo pro-
tagonisti i giovani. Sogno la realizzazione di un ambiente
educativo dove tutti possano maturare e vivere il proprio
progetto di vita. Sogno un’opera che si apra sempre più al
territorio accogliendo i bisogni dei ragazzi e giovani più po-
veri e abbandonati.
e pastorale per tantissimi giovani animatori e Sa-
lesiani. A questa esperienza è poi subentrata quella
della Vacanza Studio di Inglese con ragazzi di varie
scuole salesiane d’Italia per circa 25 anni. Oggi la
casa attende benefattori riconoscenti che contribui­
scano significativamente ai necessari lavori di ri-
strutturazione, resi importanti all’indomani delle
chiusure dettate dalla pandemia.
Il lavoro di condivisione della missione comune,
pur nella necessaria distinzione dell’identità e del-
lo specifico di ciascuna cep, è reso possibile dalla
dedizione dei confratelli e di tanti laici correspon-
sabili, e si rende concreto in particolare nella for-
mazione dei Gruppi Apostolici, della Comunità
Animatori, nell’animazione vocazionale e missio-
naria, nella formazione e accompagnamento delle
famiglie, nella gestione della comunicazione socia-
le, nell’apertura sempre maggiore al territorio e alla
Chiesa Locale.
La presenza salesiana in questo territorio è gravida
di futuro, ha ancora da esprimere tutte le ricchezze
dei valori del popolo sardo e della spiritualità anco-
ra ben radicata in tanti ragazzi e in tante famiglie
di Cagliari e dell’entroterra. Valori, come l’ospita-
lità, la gentilezza, la fermezza, l’attaccamento alle
proprie tradizioni culturali, che trovano nella fede
la loro espressione più bella e più genuina. Dopo
aver donato alla Congregazione e al mondo tante
vocazioni missionarie, questa terra e i suoi giova-
ni esprimono ancora un desiderio genuino di bene,
che suona come sfida operativa per gli educatori,
per i docenti, per gli animatori, per i confratelli e le
consorelle e tutti i membri – numerosissimi – della
Famiglia Salesiana.
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33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 15
DIRE NO
Basta un attimo a dire no.
Eppure quell’attimo può avere
conseguenze lunghissime:
può preparare un uomo riuscito o
un uomo fallito. È vero che esiste
anche il sì, non meno importante;
però oggi, forse, è più urgente
ricordarci che esiste anche il no.
Non abbiamo figli un po’ viziatelli? Al-
lora, e se smettessimo di essere troppo
arrendevoli e, qualche volta, dicessimo
un bel no? I no ci vogliono almeno per
quattro ragioni.
1. Intanto perché danno sicurezza.
I no avvertono il figlio che vi sono dei limiti, dei
paletti e quindi lo tolgono dall’ansia, dall’insicu-
rezza, dalla tensione che derivano dal non saper che
cosa fare.
2. I no irrobustiscono l’io.
Preparano il figlio alle inevitabili delusioni della
vita: un brutto voto a scuola, il tradimento dell’ami-
co del cuore... Senza nessuna esperienza del no, al
primo scoglio il ragazzo può rischiare il naufragio.
3. I no avvertono che vi è un’autorità.
II rapporto educativo, già sappiamo, deve essere
a-simmetrico: il genitore, cioè, deve porsi su un
gradino più alto del figlio. È il piccolo stesso a
volerlo: a lui serve una persona autorevole, non un
amico, non un camerata.
4. I no rendono più simpatico il figlio.
Uno al quale è sempre permesso di fare quello che
gli pare e piace, è incapace
di adattarsi agli altri, alle
loro esigenze: non pensa
che a sé, ai suoi comodi, ai
suoi interessi. Un figlio che
si è mai sentito dire ‘No!’,
cresce selvaggio, incivile,
instabile, nevrotico, rompiscatole, piantagrane.
Lo stile dei no
I no vanno detti con stile. Uno stile che richiede,
almeno, tre caratteri.
Non urlati. Se gridati, se urlati, i no potrebbero es-
sere interpretati come dipendenti dal nostro umore
del momento e non già come una decisione presa
per impedire un qualcosa che non si deve compiere
indipendentemente dal nostro ‘raptus’.
Misurati. Quando i no sono troppo frequenti,
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APRILE 2025

4.5 Page 35

▲torna in alto
perdono efficacia. Ha ragione il professor Franco
Frabboni: “Censurando sempre le scelte dei figli, si
rischia di frustrare la loro creatività e di renderli
più insicuri”. E porta un esempio: “Dai tre anni in
poi per i piccoli è molto importante che possano
scegliere liberamente cosa indossare”.
Giustificati. Ogni no deve avere una ragione, una
ragione che va spiegata al figlio, tenendo, ovvia-
mente, conto dello sviluppo di maturazione rag-
giunto. Giustificando il no, illuminiamo il figlio,
lo orientiamo, lo facciamo crescere. Siamo autore-
voli, non autoritari. La differenza tra i due termini
è nota: ‘autorevole’ è chi fa crescere (dal latino ‘au-
gere’: ‘far crescere’); autoritario è chi schiaccia, chi
mortifica, chi frena, senza una vera motivazione.
Quali no?
È impossibile, in ogni caso, fare l’elenco completo
dei no da dire ai figli. Ci limitiamo a quelli che ci
sembrano i più importanti e urgenti.
No alle mode.
Dov’è scritto che tutti i ragazzi debbano avere lo
stesso zainetto, che tutti a Natale debbano ricevere
montagne di regali? “Mamme e papà – esorta lo
OTTO “NO” PER NOI
1. No alle prediche. Le prediche indispongono. Quasi sempre
aggravano la situazione. Buttiamole nel pozzo!
2. No al complesso di Mozart. Mozart a soli cinque anni compo-
neva già sinfonie. Il nostro bambino può avere talenti che richiedono
più tempo per maturare. Non acceleriamolo. Non è tirando su lo
stelo che si fa crescere il grano!
3. No al solo dare. Ai bambini occorre anche chiedere. Per
fortuna ai piccoli piace, quasi sempre, aiutarci, darci una mano.
Piace e fa loro bene.
4. No alla soddisfazione immediata. Se il desiderio è
immediatamente soddisfatto, è la morte del desiderio. Dare
sempre immediata soddisfazione al figlio, è rubargli l’esperienza
del sogno. Furto gravissimo!
5. No alla seduzione. “Se stai bravo”, “se dai un bacio alla zia”.
Il ricatto non educa. Il ricatto può formare un piccolo mercante.
“Mi conviene studiare tanto, per avere quel dono?”
6. No alle parole al vetriolo. “Buono a nulla”, “sai fare solo
pasticci”, “questa me l’attacco al dito”...
7. No al lamento. “Non possiamo più educarli”, ”la televisione
ce li guasta”, ”la scuola ce li ruba”...
8. No alle recite. Il figlio è infallibile: annusa immediatamente
se siamo banderuole o robuste personalità che dicono quello che
pensano e fanno quello che dicono.
psicologo Fulvio Scapano – imparate dai salmoni
che vanno contro corrente. Sbarazzatevi dei copio-
ni”. Insomma, non siate genitori carta-carbone.
No al servizio.
Perché la mamma deve continuare a insaponare il
figlio, ad allacciargli le scarpe, e il papà a sbucciargli
la mela? Qualche anno fa il sociologo Francesco Al-
beroni ha lanciato un messaggio: “Basta con i vizi ai
figli: se la cavino da soli!”.
No all’indulgenza plenaria e al cuore di panna.
Concedere tutto ai figli è tradirli: non si può vivere
in pantofole!
No alle continue richieste.
“Me lo compri?”; “voglio questo”; “dammi quello”...
Ad un certo punto bisogna dire: “No!”, “Ne hai
abbastanza!”, “È inutile insistere: sarebbe troppo”.
“Questo non è per nulla necessario”... Parole
sapienti. Parole benefiche. Parole che forgiano un
uomo capace di attraversare la vita da uomo.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
VOLEVO ESSERE UN DURO,
ovvero elogio della fragilità
Quanto è duro il mondo per quelli normali / che hanno
poco amore intorno / o troppo sole negli occhiali...
«V olevo essere un duro!». A chi non
è mai capitato di pensarlo di fronte
ai tornanti più faticosi del proprio
cammino verso l’adultità, nei mo-
menti di crisi in cui più forte si manifesta tutta la
propria irresolutezza e fragilità? Chi non ha mai
desiderato, almeno una volta nel proprio laborioso
percorso di crescita, di essere più forte, più deciso,
più impermeabile alle critiche degli altri e, magari,
un po’ meno condizionato dalle incertezze di un
futuro che appare quanto mai precario e refrattario
a qualsiasi tentativo di previsione e pianificazione?
Volevo essere un duro
che non gli importa del futuro,
un robot, un lottatore di sumo,
uno spaccino in fuga da un cane lupo
alla stazione di Bolo',
una gallina dalle uova d'oro.
Però non sono nessuno,
non sono nato con la faccia da duro,
ho anche paura del buio,
se faccio a botte, le prendo,
così mi truccano gli occhi di nero.
Ma non ho mai perso tempo,
è lui che mi ha lasciato indietro...
“Vivere la vita è un gioco da ragazzi”:
me lo diceva mamma
ed io cadevo giù dagli alberi.
Quanto è duro il mondo per quelli normali
che hanno poco amore intorno
o troppo sole negli occhiali...
Negli snodi più impegnativi di un’esistenza che ci
chiama continuamente a fare i conti con i nostri
limiti e le nostre in-capacità, sarebbe bello poter
nascondere tutti i nostri timori dietro una solida
corazza di sicurezza e indifferenza; indossare un’ar-
matura scintillante e sentirsi pervasi da un’aura di
coraggio e di baldanza, come l’eroe senza macchia
e senza paura di qualche nobile poema cavallere-
sco. Oppure vestire i panni del “cattivo” di turno
che, incurante di ogni rimorso o scrupolo morale,
persegue con bieco cinismo i propri obiettivi, anche
a costo di schiacciare chi è più debole e chiunque
ostacoli il suo cammino.
Del resto, è la stessa società in cui viviamo che ci
impone di apparire sempre vincenti e infallibili, di
primeggiare in ogni campo e a qualsiasi prezzo, di
non mostrare a nessuno le nostre esitazioni e debo-
lezze, per non rischiare di prestare il fianco a pos-
sibili attacchi da parte degli altri. Una maschera di
ostentata perfezione che non corrisponde affatto a
ciò che siamo realmente e che, anzi, ci condanna ad
una vita a dir poco inautentica.
Quanto più ci sforziamo di celare, prima di tutto
a noi stessi, la parte più vulnerabile del nostro io,
tanto più ci allontaniamo dalla nostra vera natu-
ra, rifuggendo dal misurarci con la nostra fragili-
tà e diventando incapaci di accoglierla come una
potenziale risorsa. Non sempre, infatti, le debo-
lezze e le paure che ci portiamo dietro come un
indesiderato fardello rappresentano un handicap
per la compiuta maturazione dell’identità adulta:
talvolta esse possono rivelarsi un antidoto salutare
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4.7 Page 37

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contro i rischi di un’eccessiva sicurezza, contro la
presunzione di bastare a se stessi, contro l’orgoglio
e la vanità che portano ad un falso sentimento di
autosufficienza.
Riconoscerci fragili e privi di difese di fronte alle
difficoltà della vita può, certo, esporci ai pericoli
di un’ulteriore destabilizzazione del senso di auto-
efficacia necessario a gestire le incertezze della cre-
scita e del confronto con il mondo, ma costituisce
un passo imprescindibile in direzione della piena
accettazione di sé e di una maggiore tolleranza
nei confronti dei limiti propri ed altrui. È solo
abbracciando la nostra condizione di “imperfet-
ta normalità” che possiamo imparare a misurarci
con la complessità e le contraddizioni della realtà
che ci circonda, allenandoci anche a cadere e a sa-
perci rialzare dopo ogni singola, dolorosa caduta.
Ma, soprattutto, confrontarci quotidianamente con
la nostra vulnerabilità può diventare uno stimolo
a riflettere su che cosa significhi essere vincenti e
perdenti nel mondo presente, provando a sovvertire
i parametri di giudizio di una società che ci vuole
sempre “infallibilmente perfetti”.
Volevo essere un duro,
che non gli importa del futuro,
un robot, mеdaglia d'oro di sputo,
lo scippatore che t'aspetta nеl buio,
il re di Porta Portese,
la gazza ladra che ti ruba la fede…
“Vivere la vita è un gioco da ragazzi”:
me lo diceva mamma
ed io cadevo giù dagli alberi.
Quanto è duro il mondo per quelli normali
che hanno poco amore intorno
o troppo sole negli occhiali...
Volevo essere un duro,
però non sono nessuno,
cintura bianca di judo,
invece che una stella uno starnuto.
I girasoli con gli occhiali mi hanno detto:
“Stai attento alla luce”.
È che le lune senza buche sono fregature,
perché in fondo è inutile fuggire dalle tue paure...
“Vivere la vita è un gioco da ragazzi”:
io, io volevo essere un duro,
però non sono nessuno...
Non sono altro che Lucio,
non sono altro che Lucio!
(Lucio Corsi, Volevo essere un duro, 2025)
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
TRE GIORNI IN BALIA
dell’oceano in BURRASCA
Fallito il primo tentativo di entrare in Patagonia.
Lo racconta il 21 maggio 1878 a don Bosco
don G. Costamagna che con il neosacer-
dote E. Rabagliati, monsignor A. Espino-
sa (segretario dell’arcivescovo di Buenos
Aires), e il lazzarista don P.E. Savino mercoledì 8
maggio 1878 si imbarcarono sul vapore Santa Rosa
per raggiungere via mare le località di Carhué e Car-
men in Patagonia. Arrivati nell’Oceano aperto, dopo
un imprevisto insabbiamento nel Río della Plata, la
domenica sera cominciò la terribile avventura.
Lasciamo la parola al testimone: “Dopo un sordo
rombo di tuono, che fu come il segnale dell’orribile
battaglia degli elementi tutti del cielo e del mare, si
scaricarono di botto su di noi e un terribile vento
pampero, e un’acqua dirotta. Il povero Santa Rosa,
agitato di qua e di là, di su e di giù, or sopra un mon-
te d’acqua elevato, or sprofondato in una voragine
profondissima, parve miracolo che non si rovesciasse
in mare. Alcuni moti poi erano così violenti e repen-
tini, che, se non ci tenevamo fortemente aggrappati,
venivamo sbattuti nelle pareti con pericolo di rom-
perci la testa e le ossa. Questo travaglio un altro ce
ne produsse, e fu un mal di mare… Non basta… le
terribili ondate che a guisa di montagne d’acqua si
versavano sul ponte del bastimento, discendendo nei
piani inferiori, penetravano in camera, e dopo averci
tutti inzuppati, ci allagavano… Da tutti si pativa, si
gemeva, si sospirava… Crescendo il buio della not-
te crebbe la burrasca, e cominciarono ad udirsi urla,
pianti, grida, lamenti, preghiere a tutti i Santi, e noi
persuasi che l’ora del supremo passo fosse arrivata…
in tutta la notte non facemmo che raccomandarci a
Gesù, e alla Madonna SS… Oh! è ben giusto il pro-
verbio che dice ‘Non sa pregare chi non fu in mare’”.
Persa ogni speranza
Continua il cronista scampato all’affondamento:
“Pur finalmente giunse il mattino, e noi vedendoci
tutt’ora vivi dubitammo della realtà del pericolo; ma
svanì ben presto ogni dubbio. Il bastimento non ha
più vele… disperati i marinai, il parapetto è fracas-
sato, e seguivano numerando altre avarie che il Santa
Rosa nella notte aveva patito… quand’ecco si apre
l’uscio della nostra cella: – Olà Veneziano, diss’io ad
un vecchio marinaio di Venezia con cui avevamo già
stretta amicizia, olà siamo salvi? – Ed egli a crollar
la testa e risponderci con accento disperato: – Siamo
perduti, il bastimento non ha più il timone! Era pur
troppo vero; una forte tromba marina l’aveva schian-
tato… E noi senza governo eravamo stati gettati in
alto mare lungi circa cento miglia dalla costa del
capo Corrientes… Rimanemmo muti un istante, e
poi il dott. Espinosa disse: bisogna che ci confes-
siamo, poiché è tempo. Ed afferrati alla sponda del
letticciolo per non cadere, ascoltammo l’uno la con-
fessione dell’altro… e intanto continuammo a racco-
mandarci alla Madonna. In quel giorno nessuno dei
viaggiatori uscì dalla cabina; tutti erano occupati a
piangere e pregare. Al cibo neppur si pensò”.
“Facendo uno sforzo uscii di camera, mi attaccai
ben bene e salii sul ponte. Orrore !... Un terribi-
le sbuffo di vento sbatte alcuni mozzi che vi era-
no contro il parapetto e li ferisce crudelmente. Più
nessuno accudiva al bastimento. Do uno sguardo al
mare: è inutile, non potei resistere a quella vista, e
quasi svenni. Cerco allora di ritirarmi in camera di-
cendo tra me: è proprio finita; qui bisogna disporsi
a far sacrificio di noi stessi. Il bastimento ha resi-
stito fin qui, ma resisterà ancora per molto tempo
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4.9 Page 39

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sfracellato qual è?… se il vento cambia direzione, lo
getterà sovra uno scoglio e lo farà a pezzi. Ed anche
senza di ciò, resisterà molti giorni, ma poi manche-
ranno i viveri, verrà meno il carbone alla macchina,
e allora che faremo senza vele e senza timone?
Intanto erano passati il lunedì ed il martedì colle
loro terribili notti… Sempre colla morte alla gola”.
Un’illuminazione
Il mercoledì 15 a don Rabagliati balenò l’idea che
era il primo giorno della novena di Maria Ausilia-
trice. Tutti si unirono alle preghiere dei due sale-
siani, facendo anche voti e promesse, dopo le quali
“entrò nel cuore di tutti… una come certezza che
Maria ci avrebbe liberati… Intanto la tempesta du-
rava inesorabile e la morte ci stava sempre da pres-
so. Un timone provvisorio che si era messo al ba-
stimento era sparito sull’attimo, e lo sbigottimento
seguiva generale. Dico generale, ché le lagrime
spuntavano anche sugli occhi dei più valorosi”.
“Dopo mezzo giorno, io per consiglio del Dottore
Espinosa mi feci tutto solo alla prora, e là dopo aver
dato al tempestoso mare la benedizione di Dio on-
nipotente per intercessione di Maria Ausiliatrice, e
gettato dentro le onde una corona benedetta… mi
sento chiamare: Padre, padre. Vado dietro alla voce
e trovo nella sala maggiore del bastimento un cin-
que o sei uomini afferrati al tavolo per non cadere,
pallidi, sparuti, ripieni di un panico indescrivibile.
Padre, prese a dir uno, ci dica una messa subito, ché
l’affare è disperato. – Mi burlate; le messe a quest’o-
ra !… – Ed io dovetti spendere un cinque minuti
a dimostrar loro che non si poteva dire la messa.
Li esortai invece a domandare perdono di cuore a
Dio dei peccati commessi ed a confessarsi. Furono
fortunati di poterlo fare, sebbene a grande stento.
Dopo li ho confortati dicendo: “Coraggio, abbiamo
già messo negli impegni la Vergine SS. Ausiliatri-
ce; pregatela pur voi. Ella ci ha da salvare, Ella farà
da nocchiero, e ci ricondurrà al porto”.
“La quiete dopo la tempesta”
Quella del mercoledì fu una notte di inferno: “di
nuovo le scosse, le agitazioni della nave in modo
ondulatorio e sussultorio quasi repentino, di nuovo
le grida e le suppliche generali di tutti quegli infe-
lici… Intanto un altro timone era stato preparato, e
già l’onda che continuava a flagellare orribilmente
l’aveva tornato a rompere. Ma il tempo della prova
era presso a finire”.
“Il giorno veniente in sul mattino ecco un sole
splendidissimo rifulgere sull’orizzonte; ecco la cal-
ma del mare e la speranza nel cuore di tutti. Un
quarto timone… fu ben presto allestito… cominciò
ad essere manovrato da molti marinai insieme, e
poco per volta il bastimento prese ad incamminarsi
verso Buenos-Ayres”.
Tre giorni dopo equipaggi e passeggeri sbarcarono
a Buenos Ayres e dopo baci ed abbracci ai loro fa-
miliari non poterono far altro che partecipare tutti
l’indomani ad una messa di ringraziamento e ad
un solenne canto del Te Deum… un viaggio di tre
giorni era durato tredici!
E così il cronista con immenso coraggio concludeva
la sua lettera a don Bosco: “L’avrà vinta il demo-
nio? Non già, fu anzi scornato… e noi torneremo
più coraggiosi all’assalto fra breve… Dimandiamo
unanimi una cosa sola: poter andare presto nella
Patagonia a salvare innumerevoli anime”.
Ci sarebbero effettivamente andati l’anno dopo.
Uomini di fede quei primissimi missionari…
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di aprile 2025 preghiamo per beatificazione e
canonizzazione della Serva di Dio Antonieta Böhm,
Figlia di Maria Ausiliatrice.
Antonieta Böhm nacque il 22 set-
tembre 1907 nella città di Bottrop,
Germania. Ad Essen conobbe le
FMA, arrivate nel 1922 in Germa-
nia, e rimase affascinata dal loro
stile di vita sereno e apostolico. Nel
1926 iniziò il postulato nella casa di
Eschelbach, continuò il noviziato
in Italia a Nizza Monferrato (Asti).
Nel 1928 fece la prima professione
e rimase poi ancora in Italia per lo
studio della musica, mentre era as-
sistente delle universitarie e delle
novizie. Dopo la professione per-
petua, emessa a Torino il 5 agosto
1934, iniziò la sua vita missionaria:
prima in Argentina (1934-1965),
poi in Perù (1965-1969) e in Mes-
sico (1969-2008). Fu insegnante
di musica, infermiera, vicaria,
direttrice, Ispettrice. Dovunque
si mostrò donna forte, disponibi-
le all’ascolto e sempre fiduciosa
nell’aiuto di Dio e di Maria Ausilia-
trice. Consolidò le opere esistenti e
ne aprì di nuove con lungimiranza
di prospettive. Gli ultimi 30 anni
di vita (dal 1979) li trascorse nella
comunità “Villa Spem” di Coacalco,
Messico, in qualità di vicaria e di
direttrice. Furono gli anni fecondi
dell’apostolato come guida spiri-
tuale e dell’impegno di carattere
sociale a favore dei poveri. Nel
1985 diede inizio all’ “Obra saba-
tina” che consisteva nella distri-
buzione di viveri ai più bisognosi e
fino all’anno 2000 seguì di persona
tutto il quadro dell’organizzazio-
ne. Poi accettò con serenità il venir
meno delle forze e seppe lasciarsi
curare, edificando le novizie e tutti
quelli che frequentavano la casa. Si
spense il 27 aprile 2008. Aveva 100
anni di vita, 80 anni di professione
religiosa, 74 anni di vita missiona-
ria in America e 7 anni di forma-
zione in Italia. Nel 2013 fu presen-
tato il Suplex Libellus per avviare il
processo sulla vita e le virtù della
Serva di Dio presso la Diocesi di
Cuautitlán (Messico). Il testamen-
to che ci lascia è l’ardente amore a
Gesù, la fiducia illimitata in Maria
Ausiliatrice, la bontà accogliente e
la generosa e serena disponibilità
alla missione per l’estensione del
Regno di Dio nelle varie culture,
nelle famiglie e nel cuore delle
persone.
Preghiera
O Padre santo,
che hai donato alla Chiesa e alla Famiglia Salesiana
la tua Serva, Madre Antonieta Böhm,
discepola di Gesù
secondo il carisma di S. Giovanni Bosco
e di S. Maria Mazzarello,
ti ringraziamo per aver riversato nel suo cuore
la grazia dello Spirito
che l’ha resa capace di dare la vita
per la santità dei sacerdoti,
dei giovani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
che amava e guidava
con la tenerezza di Gesù, Buon Pastore.
Ti chiediamo di glorificare questa tua Serva fedele
e, per sua intercessione,
di concederci la grazia che attendiamo con fiducia.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
La giovane mamma Urška (Orso-
la), sposata Tisel e che vive a Mari-
bor in Slovenia, ha testimoniato in
data 31 gennaio 2025 due grazie
entrambe attribuite all’interces-
sione del Servo di Dio Andrej
Majcen. Nel primo caso, spari-
rono nell’arco di due settimane
due polipi all’utero che avrebbero
dovuto essere rimossi. La giovane
famiglia si era rivolta, grazie an-
che all’appoggio della mamma di
Urška, Marjeta Ivančič, al Servo
di Dio. La preghiera rivolta a lui
continuò anche quando la prima
gravidanza – allora in corso – si
concluse all’8a settimana con un
aborto spontaneo: senza lasciar-
si scoraggiare, Urška, il marito
e la loro famiglia proseguirono
nell’affidamento orante. Succes-
sivamente, nell’ultimo giorno di
una delle novene che Marjeta fa-
ceva, in sequenza continua, Urška
– di ritorno da un pellegrinaggio
a Marija Bistrica (Zagabria) – sep-
pe di essere nuovamente incinta:
la preoccupazione che le diffi-
coltà potessero ripresentarsi era
forte ed essa aumentò quando la
ginecologa, effettuati gli esami,
constatò una alta probabilità che
il feto soffrisse della Sindrome
di Down. Proseguiva dunque la
preghiera, per affidare la nuova
vita a Dio per l’intercessione di
don Andrej Majcen. Mentre era in
attesa dei risultati di un elettro-
cardiogramma dalla Germania,
la giovane mamma Urška visitò la
basilica di Maria Madre della Mi-
sericordia di Maribor, il 27 dicem-
bre 2023, rimanendo colpita dal
volto sorridente di Majcen che si
staglia su un poster sito nella Ba-
silica accanto al fonte battesimale
[dove egli era stato battezzato
nel 1904]: il giorno successivo, i
risultati dell’esame – arrivati dal-
la Germania – qualificavano il ri-
schio di Trisomia 21 in “basso”. Tre
mesi dopo nacque sanissima la
piccola Neža (Agnese), accompa-
gnata dalla gratitudine di quanti
avevano molto pregato quel Dio
cui «nulla è impossibile» (Lc 1,37),
interponendo la mediazione
intercessoria di don Majcen. La
testimonianza, resa al Vicepostu-
latore della Causa, si conclude con
le parole: «Grazie agli intercessori
che mediano per noi. Grazie, Ser-
vo di Dio Andrej Majcen!».
(Urška Tisel – Marbor – Slovenia)
40
APRILE 2025

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
La comunità
Don Michelangelo Crippa
(DON MIGUEL)
morto il 30 agosto 2017 ad Arese (MI), a 81 anni.
Don Michelangelo (Miguel) Crip-
pa nasce il 24 ottobre 1935 in una
famiglia numerosa, penultimo di
cinque sorelle e tre fratelli (un
fratellino morirà alla nascita), in
un quartiere di Melegnano, alle
porte di Milano, chiamato Car-
mine, per via di una chiesetta
dedicata proprio alla Madonna
del Carmine. Don Miguel dirà
che tutta la sua vita è stata vis-
suta sotto la protezione di Maria
Santissima. A dodici anni, nel
1947, entra all’Istituto salesiano
“Cardinal Cagliero” di Ivrea, in
Piemonte, dove lo aveva prece-
duto il fratello don Mario. Quasi
diciottenne entra al Noviziato
di Villa Moglia, località poco di-
stante da Chieri, cittadina ricca
di ricordi e suggestioni perché
qui don Bosco fu studente in se-
minario. Il 24 ottobre 1954 riceve
il Crocifisso dal Rettor Maggiore
don Ziggiotti, pronto a partire
come missionario, destinazione
Brasile. Viene ordinato sacerdote
il 6 marzo 1965 nella Basilica di
Maria Ausiliatrice a Torino. Mol-
to amato dai suoi parrocchiani,
all’anagrafe don Miguel era
iscritto come Michelangelo (per-
ché Michele era il nonno e Ange-
la la nonna). Il cambio di nome
gli proveniva da quell’esperienza
missionaria in Brasile, laddove le
persone, non riuscendo a pro-
nunciare bene il suo nome, lo
avevano ribattezzato con il nome
più familiare di Miguel. Un cam-
bio di nome che da sacerdote sa-
lesiano avrebbe adottato e con-
servato per sempre in ricordo di
quella sua esperienza così unica
e irrepetibile. Dopo l’ordinazio-
ne don Miguel, ad eccezione dei
suoi primi tre anni di apostolato
spesi nella Scuola, lavorerà sem-
pre nella pastorale parrocchiale
come incaricato di Oratorio a
Brescia (dal ’68 al ’79), Treviglio
(dal 1980 al 1988), Bologna (dal
1988 al ’91) e, successivamente,
come Parroco a Brescia (dal ’91
al ’99) e Pavia (dal ’99 al 2008).
Nel 2008, l’ultima obbedienza lo
destinerà alla Comunità Pastora-
le di Arese.
Il sorriso. Prima il sorriso, il suo
sorriso. Poi, dopo… arrivava lui,
don Miguel. Così lo abbiamo co-
nosciuto. Sorriso aperto, cordiale,
quello dell’amico. Il sorriso di chi
prima ti accoglie e poi ti chiede
chi sei e che cosa fai. Come uno
spalancare le porte della propria
casa e dire “Entra. È casa tua”.
Sorriso luminoso, come una gior-
nata di sole. Che riscalda e dà
luce tutt’intorno. Che ti colpiva
dritto al cuore. “Sorriso dolce,
sorriso che raggiunge gli occhi e
che scende a scaldare il cuore” ha
ricordato con affetto una sua ca-
techista dei primi anni. Un dono
grande. Certi tutti quanti che il
sorriso di don Miguel, di questo
prete, era un sorriso di Dio. Don
Miguel l’aveva dentro questo
sorriso, questo sguardo buono
aperto a tutti e che donava a tutti
sempre, in ogni occasione.
Uomo del dialogo, è stato un
cercatore di verità, uomo libero
e sincero. Don Miguel, pur non
rinunciando alla sua identità e
ai valori fondanti del suo titoli
o autorità. Sapeva andare al di
là delle etichette, delle appar-
tenenze politiche, culturali o
sociali. Convinto che bisogna
cercare insieme la verità, perché
ognuno ne è portatore. Ricorda
una parrocchiana: “Don Miguel ci
ha insegnato ad essere amici di
tutti. Ci ha insegnato ad amare
anche quelli che non la pensano
come noi. Ci ha insegnato a in-
cludere non ad escludere, ci ha
insegnato a vivere il Vangelo”.
Un’altra testimonianza lo con-
ferma: “Aveva una parola e un
saluto per tutti, dai parrocchiani
più vicini a lui, la gente dei cortili
di Valera, a quelli più lontani”.
Coerente e franco nel suo agire,
non si adattava però a un facile
compromesso per una falsa idea
di dialogo o di pace. Mai passivo
di fronte al male, come uomo
e come sacerdote era portato
a reagire e indignarsi di fronte
ad ogni forma di iniquità. Non
mettendo mai a tacere la propria
coscienza se vedeva o veniva a
sapere di qualche prevaricazione
o imparzialità, più volte ha fatto
sentire la propria voce quando
qualcuno veniva ingiustamente
accusato o calunniato.
Miguel risponde bene all’imma-
gine che papa Francesco desidera
dei preti quando dice che dovreb-
bero avere l’odore delle pecore,
stare con la gente fino a essere
parte di loro. Miguel è stato il no-
stro buon pastore.
L’abbiamo amato perché lo abbia-
mo sentito sempre come colui che
era in mezzo noi, come colui che
quando lo cercavi non solo c’era,
ma ti veniva incontro. Si poteva
anche litigare, ma poi non pote-
vamo fare a meno di cercarlo. Mi-
guel ci ha insegnato e ci insegna
che la vita è dono e va donata e
il suo senso profondo è nel volerci
bene. Miguel è vivo, è con noi e ci
accompagna ogni giorno nell’av-
ventura delle nostre vite.
APRILE 2025
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5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere: Ind, IRI, Sig.
Parole di 4 lettere: Ipse, Paul, Rato.
Parole di 5 lettere: Brown, Grisù,
Orlov.
Parole di 6 lettere: Eterea, Golena,
Ornati, Talent.
Parole di 7 lettere: Diabete, Lettoni,
Acromia.
Parole di 8 lettere: Ellenica,
Morbegno, Scodella.
Parole di 9 lettere: Sbadiglio.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le
? Parole di 10 lettere: Frusciante,
Lanceolata, Obbedienza, Originario.
Parole di 12 lettere: Anafilattico,
?
parole contrassegnate dalle tre X nel testo.
Forlimpopoli, Imbastardito,
La soluzione nel prossimo numero.
Notevolmente.
IL GIORNO DEI GIOVANI
Papa Giovanni Paolo II ebbe l’intuizione, ma mai se ne prese il merito, di istituire
per i giovani di tutto il mondo una Giornata a loro dedicata. Già dal 1986, con
la prima edizione avvenuta nella città di Roma, la Giornata Mondiale XXX si
rivelò come un’occasione eccezionale di crescita interiore per i partecipanti e di
scambio di esperienze spirituali e non. Si dichiarò anche come una opportunità
di evangelizzazione del mondo giovanile, un luogo di nascita vocazionale e di
trasformazione, un momento cattolico e universale, essendo aperta a tutti, alle
nuove generazioni di cattolici e laici. La GMG, come fu subito denominata, con la
sigla, per brevità, si proponeva come esperienza della Chiesa universale di cono-
scenza di Gesù cristo attraverso l’incontro personale e diretto con il Pontefice. Egli desiderava promuovere le aspirazioni dei giovani ad avere
un proprio spazio e creò la “Sezione giovani” del Pontificio Consiglio per i Laici, che coordina la realizzazione delle giornate. Dal 2016, con la
soppressione di questo organo, queste competenze sono passate al nuovo Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. Queste Giornate mondiali
Soluzione del numero precedente
vengono celebrate secondo due modalità: a livello internazionale, ogni due o tre anni in una specifica
città del mondo scelta volta per volta dal pontefice, con un grande raduno. E a livello diocesano, ogni
anno con incontri organizzati dalle varie diocesi mondiali. L’ultimo incontro internazionale si è tenuto
ad agosto 2023 a Lisbona e il prossimo sarà nuovamente a Roma, nel 2025 e a Seul nel 2027. I raduni
che hanno visto il maggior numero di papaboys partecipanti (termine che fu coniato dai media nel
2000) sono stati quelli di: Manila, 1995, con quasi 5 milioni di giovani; Rio de Janeiro, 2013, con 3,5
milioni; Cracovia, 2016, con quasi 3 milioni.
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APRILE 2025

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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
IL VIAGGIO
O gni anno il papà di
Martino lo portava dalla
nonna per trascorrere le
Allora ricorda che suo padre gli ha
infilato qualcosa in tasca.
Tremante, cerca quello che ha messo
Trova un pezzo di carta.
Sopra c’è scritto:
«Figliolo, sono nell’ultimo
vacanze estive, e poi tornava a casa suo padre.
vagone!»
sullo stesso treno il giorno dopo.
Un giorno il bambino disse ai suoi
genitori: «Ormai sono grande.
Posso andare da solo a casa della
nonna?».
Dopo una breve discussione, i
genitori accettarono.
Fermi in stazione, in attesa della
partenza del treno, i genitori di
?
Martino lo salutarono dandogli
altre raccomandazioni, mentre
Martino ripeteva loro: «Lo so, me
l’avete già detto mille volte».
Il treno stava per partire e suo
padre gli mormorò all’orecchio:
«Figliolo, se ti senti male o insicu-
ro, questo è per te!».
E gli mise qualcosa in tasca.
Ora Martino è solo, seduto sul
treno proprio come voleva, senza i
suoi genitori per la prima volta.
Ammira il paesaggio dalla fine-
stra, intorno a lui alcuni sconosciu-
ti parlano, fanno molto rumore,
entrano ed escono dal vagone. Il
capotreno fa alcuni commenti sul
fatto che è da solo.
Una persona lo guarda con tri-
stezza. Martino ora si sente male.
Ogni minuto che passa.
E ora ha paura.
Abbassa la testa... Si sente messo
La nostra vita è un viaggio, spesso pauroso
e pieno di preoccupazioni, ma non siamo mai soli.
Dio, che ci ha creati e voluti è sempre presente
all’angolo e solo, con le lacrime
e fa il viaggio con noi.
agli occhi.
APRILE 2025
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Coltivare la SPERANZA
seminare il FUTURO
Approfondisci il progetto a pag. 10
Destina il tuo 5×1000 alla Fondazione DON BOSCO
NEL MONDO e contribuisci alla crescita dell’opera
salesiana in ogni continente: A te non costa nulla, per
un bambino o un giovane in condizione di vulnerabilità,
la tua firma può creare la possibilità di una vita diversa.
Nel 2025, la Fondazione finanzia il progetto di ecolo-
gia integrale PLANTANDO ESPERANÇA, proposto dalle
opere salesiane del Minas Gerais, sud-est del Brasile:
realizzeremo due orti e un frutteto e promuoveremo l’in-
clusione sociale e la consapevolezza ambientale.
Un orto è un laboratorio vivente:
educa al rispetto dell’ambiente
insegna l’autonomia e la collaborazione
rafforza i legami tra le persone
crea empatia e gratitudine verso la natura
Inserisci il nostro codice fiscale
e firma nello spazio dedicato
agli Enti del Terzo Settore,
contribuirai così allo sviluppo
del progetto
Taxe-Perçue
Tassa riscossa
PADOVA cmp
1000
studenti coinvolti
200
cesti di cibo al mese
400
famiglie aiutate
Con il tuo 5×1000
sostieni anche tu
il CAMBIAMENTO!
Via Marsala, 42 - 00185 Roma - tel. +39 06 65612663 - C.F. 97210180580
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