06-Giugno-2024

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la storia di don bosco
per i più piccoli
Un ragazzo
e il suo sogno
la domanda
Cphei rsovnooiio?
GIUGNO
2024
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
linvitato
Don
Daniel
Antúnez

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il grande maestro
DOGLIANI
F u accolto da don Bosco nel
suo Oratorio di Valdocco
(Torino) nel 1864, a 14 anni
di età, come allievo falegname. Egli
però aveva una spiccata inclinazione
alla musica, e trovò in don Bosco chi
lo comprese e l’assecondò. Poté
studiare musica strumentale, armo-
nia e composizione. I suoi progressi
furono così rapidi che, fattosi
salesiano, divenne il più attivo
collaboratore di don Cagliero, e,
allorché questi partì per l’Argentina
a lui fu affidata la direzione della
Schola cantorum, e della banda
musicale dell’Oratorio. La basilica di
Maria Ausiliatrice divenne rinomata
per le grandiose esecuzioni. L’orche-
stra e il coro del maestro Dogliani
divennero famosi e richiesti in
Italia e all’estero.
Il maestro Dogliani, seguendo
il metodo educativo di don
Bosco, seppe fare della scuola di
canto e di banda validi stru-
menti di formazione, educan-
do soprattutto con l’esempio
e la sua abituale compostezza
e inalterabile pazienza. Tra i
suoi allievi vi fu pure il celebre
tenore Francesco Tamagno.
Era un uomo umile e buono.
Don Bosco si faceva spesso
accompagnare da lui. Un giorno,
partendo per Caselle, don Bosco si
accorse che mancava pochissimo alla
partenza del treno, gli disse: “Corri,
Dogliani, precedimi alla stazione e
prendi i biglietti».
«Di prima o di seconda classe?»
«La terza, la terza sempre».
Sopraggiunto don Bosco, salirono
insieme nei carrozzoni di terza classe.
Gli impiegati ferroviari, che riconob-
bero don Bosco, lo costrinsero a pas-
sare in prima con il compagno. Quan-
do vi si furono accomodati, don Bosco
disse sorridendo a Dogliani: «Vedi? Se
avessimo preso i biglietti di seconda
classe, ci avrebbero lasciati stare in
seconda. Abbiamo prese le terze, e ci
hanno fatto venire in prima».
Un’altra volta viaggiando con don
Bosco, Dogliani s’accorse di aver-
gli perduta la valigia! Don Bosco,
vedendolo tutto mortificato disse:
«Niente ti turbi! Mi rincresce solo
per certe carte...». Non finì la frase,
che arrivò trafelato un uomo, dicen-
do: «Ecco la sua valigia». Dogliani
respirò.
Una sera il buon Padre finì di
confessare dopo che da un pezzo
la comunità aveva cenato. Sedutosi
a tavola, Dogliani, che alternava le
lezioni di musica con i servizi del
refettorio, ordinò la cena per lui.
Il cuciniere mandò un piatto di
riso stracotto e freddo. Il giovane
coadiutore si stizzì e disse:
«Ma è per don Bosco!» E il
cuoco che si chiama Gaia e
aveva un caratterino vivace:
«Oh, don Bosco è uno come
tutti gli altri».
Dogliani, umiliato, presen-
tò a don Bosco quella roba,
e si tirò indietro.
Ma un chierico riferì la
frase del cuoco a don
Bosco, che non batté ciglio
e con aria tranquilla e tono
pacato disse: «Ha ragione
Gaia. È vero».
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giugno 2024

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la storia di don bosco
per i più piccoli
Un ragazzo
e il suo sogno
la domanda
Cphei rsovnooiio?
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
linvitato
Don
Daniel
Antúnez
GIUGNO 2024
ANNO CXLVIII
NUMERO 6
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Dipinto nella Basilica del Sacro Cuore
GIUGNO
2024
di Roma (R.Sedmakova/Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
A braccia aperte
10 TEMPO DELLO SPIRITO
14 L’INVITATO
Ucraina
18 I NOSTRI AUTORI
Don Giorgio Zevini
22 STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Un ragazzo e il suo sogno
26 FMA
Odessa
28 I FONDATORI
Don Carlo Della Torre
31 ARTE SALESIANA
32 MEMORIE
San Donà di Piave
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Tempo di leggerezza
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
14
18
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Quando un educatore
TOCCA IL CUORE
dei suoi figli
L’arte di essere come don Bosco:
«Ricordatevi che l’educazione è
cosa di cuore, e che Dio solo ne
è il padrone, e noi non potremo
riuscire a cosa alcuna, se Dio non
ce ne insegna l’arte, e non ce ne
dà in mano le chiavi». (MB XVI, 447)
Cari amici, lettori del Bollettino Salesia-
no e amici del carisma di don Bosco. Vi
scrivo questo saluto, direi quasi in diretta,
prima che questo numero vada in stampa.
Dico questo perché la scena che sto per raccontarvi
è accaduta solo quattro ore fa.
Sono arrivato da poco a Lubumbashi. Da dieci
giorni sto visitando presenze salesiane molto signi-
ficative, come gli sfollati e i rifugiati di Palabek –
oggi in condizioni molto più umane di quando sono
arrivati da noi, grazie a Dio – e dall’Uganda sono
passato nella Repubblica Democratica del Congo,
nella torturata e crocifissa regione di Goma.
Le presenze salesiane lì sono piene di vita. Più volte
ho detto che il mio cuore era “toccato” (touché), cioè
commosso nel vedere il bene che si fa, nel vedere
che c’è una presenza di Dio anche nella più grande
povertà. Ma il mio cuore è stato toccato dal dolore
e dalla tristezza quando ho incontrato alcune delle
32 000 persone (per lo più anziani, donne e bam-
bini) che sono ospitate nei terreni della presenza
salesiana di Don Bosco-Gangi.
Ma di questo vi parlerò la prossima volta, perché ho
bisogno di lasciarlo riposare nel mio cuore.
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Il “papà” degli scugnizzi di Goma
Ora voglio solo accennare a una bellissima scena
a cui ho assistito sul volo che ci ha portato a Lu-
bumbashi.
Era un volo extra commerciale con un aereo di me-
die dimensioni. Ma il comandante era una persona
familiare, non a me, ma ai salesiani locali. Quando
ho salutato il comandante sull’aereo, mi ha detto
che aveva studiato formazione professionale nella
nostra scuola qui a Goma. Mi ha detto che quelli
erano stati anni che avevano cambiato la sua vita,
ma ha aggiunto un’altra cosa, dicendomi e dicen-
doci: ed ecco colui che è stato un “papà” per noi.
Nella cultura africana, quando si dice che qualcuno
è un papà, si dice una cosa estrema. E non di rado il
papà non è la persona che ha generato quel figlio o
quella figlia, ma colui che lo ha realmente accudito,
sostenuto e accompagnato.
A chi si riferiva il comandante, un uomo di circa
45 anni, con il figlio pilota ormai giovane che lo
accompagnava in volo? Si riferiva al nostro fratello
salesiano coadiutore (cioè non sacerdote ma laico
consacrato, un capolavoro del carisma salesiano).
Questo salesiano, Fratel Onorato, missionario spa-
gnolo, è missionario nella regione di Goma da più
di 40 anni. Ha fatto di tutto per rendere possibile
questa scuola professionale e molte altre cose, cer-
tamente insieme ad altri salesiani. Ha conosciuto
il comandante e alcuni suoi amici quando erano
solo ragazzi sperduti del quartiere (cioè tra centi-
naia e centinaia di ragazzi). Anzi, il comandante
mi ha raccontato che quattro dei suoi compagni,
che in quegli anni erano praticamente per strada,
sono riu­sciti a studiare meccanica nella casa di don
Bosco e oggi sono ingegneri e si occupano della
manutenzione meccanica e tecnica dei piccoli aerei
della loro compagnia.
Il «sacramento» salesiano
Ebbene, quando ho sentito il comandante, exallie-
vo salesiano, dire che Onorato era stato suo padre,
il padre di tutti loro, mi sono commosso profonda-
mente e ho subito pensato a don Bosco, che i suoi
ragazzi sentivano e consideravano come loro padre.
Nelle lettere di don Rua e monsignor Cagliero, don
Bosco è sempre chiamato “papà”. La sera del 7 di-
cembre 1887, quando la salute di don Bosco peggio-
rò, don Rua telegrafò semplicemente a monsignor
Cagliero: «Papà è in stato allarmante». Un antico
canto terminava: «Viva don Bosco nostro papà!».
E ho pensato quanto sia vero che l’educazione è una
questione di cuore. E ho confermato tra le mie con-
vinzioni che la presenza tra i ragazzi, le ragazze e i
giovani è per noi quasi un “sacramento” attraverso il
quale anche noi arriviamo a Dio. È per questo che
negli anni ho parlato con tanta passione e convin-
zione ai miei fratelli e sorelle salesiani e alla famiglia
salesiana del “sacramento” salesiano della presenza.
E so che nel mondo salesiano, nella nostra famiglia
in tutto il mondo, tra i nostri fratelli e sorelle ci
sono tanti “papà” e tante “mamme” che, con la loro
presenza e il loro affetto, con la loro conoscenza
dell’educazione, raggiungono il cuore dei giovani,
che oggi hanno tanto bisogno, direi sempre di più,
di queste presenze che possono cambiare in meglio
una vita.
Un saluto dall’Africa e tutte le benedizioni del Si-
gnore agli amici del carisma salesiano.
Dio vi benedica tutti.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini e Micaela Valentino
A BRACCIA aperte
L’esperienza del progetto
“Siamo con Voi!” con le famiglie
afghane in Italia.
Il 15 Agosto del 2021 la capitale afghana Ka-
bul è stata riconquistata dai talebani e, con il
ritorno all’Emirato islamico dell’Afghanistan,
la popolazione è stata costretta, ancora una
volta nella sua storia, a lasciare tutti i suoi beni e
ad abbandonare il Paese. La vita stessa delle per-
sone è stata messa in pericolo, mentre la comunità
internazionale assisteva inerme al disperato tenta-
tivo di fuggire da un regime autoritario, pericoloso
e retrogrado, soprattutto per le donne. Su di loro
si è riversato un susseguirsi di restrizioni, vere e
proprie violazioni dei diritti umani, che ne hanno
negato la libertà di studiare, di lavorare, di tutela-
re, in qualsiasi forma e a qualsiasi livello, il proprio
presente e il proprio futuro. Per le donne più im-
pegnate nella difesa dei diritti umani è cominciata
una persecuzione che dura tuttora, impedendo loro
di rientrare nel Paese e dando forza a tutte coloro
che, unite nella diaspora, continuano a operare per
la giustizia e la pace.
Molte sono state le comunità salesiane che si sono
attivate per l’accoglienza in Italia delle famiglie in
migrazione forzata e la Fondazione don bosco
nel mondo ha voluto essere al loro fianco attra-
verso il sostegno al progetto di Salesiani per il So-
ciale “Siamo con Voi! Cammini di integrazione per
famiglie afghane accolte nelle comunità salesiane”.
Si tratta di un progetto “pilota”, poiché è nostro
obiettivo comune renderlo un modello, salesiano e
replicabile, di accoglienza e di accompagnamento
di nuclei familiari in migrazione forzata, tuttavia
orientati all’integrazione nel tessuto sociale, lavo-
rativo e culturale del territorio, passando dall’essere
ospiti presso le comunità salesiane ad agenti della
loro stessa storia e di attivazione di percorsi positivi
anche per altre persone migranti.
Mahdi, Tajeba
e i bambini a
Teheran.
La rete cresce
In particolare, per quanto riguarda l’emergenza
afghana, nel mese di settembre del 2021, è stata
costituita una rete informale di associazioni per la
promozione e la creazione di un corridoio umani-
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tario privato. Il supporto delle Ambasciate Italiane
in Pakistan e Iran, del Ministero degli Interni, del
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
Internazionale ha permesso di portare in salvo 73
profughi afghani di etnia hazara.
Salesiani per il Sociale ha supportato le comuni-
tà salesiane in questa prima fase emergenziale,
attraverso concrete azioni di autofinanziamento e
supporto volontario, mentre aprivano le loro porte
senza indugio. La risposta salesiana all’emergenza
ha messo in luce quanto e come le comunità locali
si siano attivate concretamente e in che misura tale
esperienza abbia rappresentato un’occasione di cre-
scita nel servizio e nell’azione educativa e pastorale.
A seguito di questa fase, Salesiani per il Sociale e la
Fondazione don bosco nel mondo si sono uniti
per sistematizzare sforzi e risorse. Il progetto “Sia-
mo con Voi!” è frutto di una comunione d’intenti
e si inserisce nell’ambito della terza accoglienza,
intesa come percorso in cui i beneficiari possano
divenire progressivamente autori e protagonisti
del proprio progetto di vita, attraverso l’avvio di
percorsi di orientamento, di formazione, d’inseri-
mento lavorativo e di accesso ai servizi educativi,
legali, sanitari e sociali. Inoltre, garantisce forme di
accoglienza abitativa quale presupposto e accelera-
tore di percorsi d’integrazione sociale e lavorativa.
Il progetto ha preso avvio nel mese di marzo 2023
e ha supportato 10 nuclei familiari costituiti da 20
adulti e 22 minori.
In ogni sede sono stati realizzati i seguenti percorsi
di accoglienza: tutela psico-socio-sanitaria; forma-
zione e riqualificazione professionale; orientamen-
to e accompagnamento all’inserimento lavorativo;
attivazione dei corsi di lingua italiana e inglese; at-
tivazione dei tirocini; supporto all’iscrizione scola-
stica e universitaria, ai corsi sportivi e di scuola gui-
da; orientamento e accesso ai servizi del territorio;
orientamento e accompagnamento all’inserimento
abitativo e sociale; orientamento supporto legale;
mediazione interculturale; mediazione pedagogica
tra genitori e figli e tra famiglie e contesto scolasti-
co; supporto, accesso e iscrizione al Servizio Sani-
tario Nazionale.
Il progetto ha prodotto un impatto secondo due
traiettorie: lo sviluppo individuale e familiare e il
potenziamento dell’azione delle comunità locali e
delle reti interne ed esterne.
La costruzione del rapporto di fiducia tra gli ope-
ratori e le famiglie è stata la chiave per poter rag-
giungere gli obiettivi prefissati, in quanto che la
complessità della scelta del nuovo percorso di vita,
l’adattarsi al nuovo contesto e alle sfide quotidia-
ne, il doversi reinventare, il comprendere di dover
intraprendere una nuova strada professionale, gli
ostacoli da percorrere nel dover recuperare la pro-
pria professionalità, sono sfide che si sono potute
Narges, Amir
e Mariachiara:
il progetto
“Siamo
con Voi!” è
frutto di una
comunione
d’intenti e
si inserisce
nell’ambito
della terza
accoglienza,
intesa come
percorso in cui
i beneficiari
possano
divenire
progressiva­
mente autori
e protagonisti
del proprio
progetto di
vita.
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DON BOSCO NEL MONDO
superare solo attraverso una
logica di condivisione, di
ascolto reciproco e di com-
prensione empatica.
La Fondazione don bosco
nel mondo e Salesiani per
il Sociale hanno co-progettato un
intervento che fin dalla sua costruzione
è stato inserito nel quadro di riferimento del Si-
stema Preventivo di Don Bosco. In ottica preven-
tiva e partecipativa, ci siamo sentiti chiamati ad
attualizzare il carisma salesiano all’interno della
complessità che le continue emergenze creano e
a unirci per dare significato
autentico ai termini “siner-
gia” e “cooperazione”. Con
il progetto pilota “Siamo con
Voi!” abbiamo scelto di andare
oltre alcuni limiti, di strategia,
di contenuto e di target, per poter
affiancare le famiglie afghane nel loro per-
corso di inserimento e di integrazione oltre la pri-
ma accoglienza, fornendo strumenti e percorsi per
un vero miglioramento delle condizioni di vita di
interi nuclei familiari lontani da casa e minacciati
dalla perdita dei diritti fondamentali.
LE STORIE
Sandra racconta:
siamo tutti fratelli e sorelle
L’aspetto che ho trovato molto positivo è stato lo scambio e il con-
fronto con persone provenienti da zone del mondo che conoscevo
pochissimo sia in termini culturali sia religiosi ed è stato molto ar-
ricchente.
Mi ha aperto prospettive a me sconosciute che aiutano a pensare
che, pur nelle diversità di ciascuno, siamo davvero tutti fratelli nelle
emozioni, nelle esperienze di vita e nella sofferenza.
In questi mesi di accoglienza ho concentrato il mio servizio nello sta-
re a fianco delle persone e nell’aiutarle a soddisfare i loro bisogni di
salute, di conoscenza della nuova realtà in cui si sono trovati a vivere,
di amicizia ecc.
Ho legato in particolare con una donna con cui abbiamo condiviso
tempo di qualità facendo giri di conoscenza in città, scambi culturali
sulle esperienze di vita che abbiamo vissuto.
È stato molto stimolante per me. Dal mio punto di osservazione le
difficoltà maggiori di integrazione nascono principalmente dalle
questioni burocratiche relative alle questioni legate alla richiesta
dello stato di rifugiato, al rilascio del permesso di soggiorno, della
tessera sanitaria ecc. Non ultima la questione della traduzione del
titolo di studio che richiede anni. Questo rallenta moltissimo i tempi
di integrazione di persone che non chiederebbero altro che poter
diventare autonome al più presto e che potrebbero svolgere profes-
sioni molto utili al nostro paese, come quella di infermiera.
La storia di M. e T. da Kabul a Prato
per il sogno di una vita felice
T: La data che ha segnato la nostra vita è sicuramente il 15 agosto
del 2021, giorno in cui la città di Kabul è passata sotto il governo dei
talebani. Questo avvenimento ha reso necessaria la fuga dal nostro
Paese. Prima di quel momento vivevamo tranquillamente in Afgha-
nistan, abitavamo con tutta la nostra famiglia nello stesso condomi-
nio. Eravamo sempre in contatto con i nostri cari. Sono cresciuta in
Iran, ma dopo il matrimonio con M. mi sono trasferita a Kabul, per-
ché lui lavorava per la NATO. Anch’io avevo il mio lavoro, prima in una
mensa ospedaliera, poi in una mensa di un istituto medico. Dopo
un po’ abbiamo deciso di aprire una fabbrica tessile, che abbiamo
gestito insieme, fino al giorno della presa di Kabul… Nel frattempo,
abbiamo avuto due figli, N. nel 2014 e A. nel 2017. Erano molto pic-
coli quando è iniziata la nostra fuga dal Paese, siamo passati prima
da Harat, proseguendo per Dubai per poi arrivare in Italia il 26 gen-
naio del 2022, dove siamo stati accolti presso l’Oratorio Sant’Anna di
Prato. Nel frattempo ci siamo trasferiti e nonostante la distanza dal
Centro Don Bosco continuiamo a frequentare l’Oratorio, che per noi
non è stato solo un’abitazione, ma una vera e propria casa.
M: Non sapevano dove saremmo andati esattamente, ma l’unica
cosa che contava era raggiungere l’Italia, dove avremmo poi trovato
quella che oggi per noi è la nostra “seconda famiglia”. Ciò che ci ren-
de più felici e grati, sono la vicinanza e la gentilezza delle persone
che abbiamo trovato lungo il nostro cammino.
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La giornalista afghana
e i suoi diritti ritrovati
Mi chiamo R.E. e nel mio Paese, l’Afghanistan, ero una gior-
nalista televisiva. Ho tre figli e anche quando erano piccoli,
il mio impegno oltre il lavoro è stato nel sociale. Mentre
lavoravo in tv, sono riuscita a iscrivermi all’Università e ho
conseguito la laurea in Economia e Gestione bancaria. Ero
felice di muovermi con successo in un percorso che in pas-
sato era solo un sogno per me. Il successo nel lavoro mi ha
permesso di comprendere approfonditamente i problemi
familiari e sociali delle donne nella società afghana e di rap-
presentarli nei programmi sia televisivi sia radiofonici.
Mi sentivo molto orgogliosa di essere una madre istruita
per poter essere di esempio e ispirare i miei figli; per me
niente era più importante della loro istruzione.
Tutto questo fino al 15 Agosto 2021, quando il regime tale-
bano ha preso il potere e ha vietato lavoro e studio a donne
e ragazze. Alle mie due figlie è stato impedito l’accesso all’i-
struzione e a nessuna donna è stato più permesso di lavo-
rare negli uffici, nelle scuole e nelle università. Per me era
diventato insopportabile accettare che l’Afghanistan fosse
caduto nelle mani di persone che, negli ultimi vent’anni,
hanno ucciso milioni di bambini e giovani con attacchi
suicidi, e che trattavano donne e ragazze come schiave del
sesso. Molte donne sono finite in carcere per le loro idee in
difesa dei nostri diritti.
Don Mimmo Madonna
e l’accoglienza salesiana
Prima che i talebani tornassero ad attaccare la popolazione afghana, spe-
cialmente le donne, K. lavorava in televisione, in alcune trasmissioni di cuci-
na, mentre M. era un autista dell’esercito e per questo motivo ricercato dai
talebani. Le due figlie maggiori avevano finito il liceo, anche se non hanno
mai potuto ritirare il loro titolo di studio, A. andava a scuola e il piccolo A. era
appena nato.
Ma per chi è di etnia Hazara, vivere in Afganistan era ormai diventato com-
plicato, molto più di quanto possiamo immaginare dalle notizie che arrivano
dai media. Tutta la famiglia era continuamente minacciata e costretta a vi-
vere nel nascondimento.
Finalmente nel mese di giugno del 2022 sono riusciti a fuggire e ad arrivare
in Iran, dove hanno dovuto attendere il visto prima di raggiungere l’Italia e
nel maggio scorso, hanno ricevuto lo status di rifugiati politici.
Nella casa che la comunità ha preparato loro, si sono sentiti subito accolti.
M. ha cercato lavoro e ha ottenuto un regolare contratto presso un vivaio
di Soverato, dove è tuttora impiegato e K. presso un istituto universitario. Il
loro obiettivo è quello di rendere autonoma la famiglia e sostenere in tutto
i propri figli.
Le due figlie maggiori hanno iniziato quest’anno la scuola di italiano e da
settembre 2023, frequentano l’università. A. frequenta le medie nella scuola
salesiana, ama l’arte e lo sport ed è molto bravo a giocare a basket, tanto che
la comunità lo sprona a frequentare laboratori e corsi, dove affinare sia le sue
doti artistiche sia i suoi talenti sportivi.
Il piccolo A. è un raggio di sole nella nostra casa! Tutti i membri della fami-
glia si stanno inserendo nella nuova comunità e nella nuova città, riescono
a interagire meglio e si sentono più indipendenti e pronti a ricominciare una
nuova vita.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
La DOMANDA
C’è una domanda nel cuore della
storia, una domanda che nessuno
può evitare: «Chi è veramente
Gesù di Nazareth?». È vitale
saperlo, non tanto per la storia, ma
per ciascuno di noi. È Gesù stesso
che rivolge a ogni essere umano
la domanda: «Chi sono io per te?».
Èlui stesso a porre direttamente questa stra-
na domanda ai suoi amici e, indirettamen-
te, a noi: «Chi sono io?»
Non possiamo evitare di rispondere, se
siamo dotati di una mente normale, perché molti
fatti sorprendenti o inspiegabili ce lo impediscono:
Otto miliardi di persone, e cioè praticamente
tutto il pianeta, utilizzano il suo anno di nasci-
ta come riferimento per i loro calendari, anche
se non hanno mai sentito parlare di lui. Tutti i
contratti stipulati, tutti gli atti giuridici e tut-
te le pubblicazioni del
mondo utilizzano questo
riferimento. Si tratta evi-
dentemente di un fatto
straordinario, considerati
i numerosi tentativi, tutti
falliti, di cancellare que-
sto riferimento tempora-
le. I rivoluzionari fran-
cesi provarono a creare
un nuovo calendario che
avesse il 1793 come anno
uno, ma il tentativo, cir-
coscritto alla sola Francia, durò solo dodici anni.
Gli ebrei, i musulmani e i Cinesi hanno anch’essi
un proprio calendario, ma il suo utilizzo, limitato
alle sfere d’influenza dei singoli paesi, si affianca
comunque a quello del calendario cristiano. La
data di nascita di Gesù finisce così per rappre-
sentare un meridiano assoluto e universale, un
«equatore del tempo» che divide in due la storia
dell’umanità, con un «avanti» e un «dopo Cristo».
Più di 20 mila libri sono stati scritti su di lui sol-
tanto nel secolo scorso, e ogni anno se ne pubbli-
cano centinaia di nuovi! Dal canto suo, la Bibbia
è il libro più diffuso e più tradotto al mondo in
tutte le lingue. Ad oggi 2,5 miliardi di persone,
e cioè un terzo dell’umanità, afferma di credere
alla divinità di Gesù.
A rigor di logica, Gesù avrebbe dovuto rimanere
un illustre sconosciuto! La sua è una vita nasco-
sta: Figlio di una ragazza madre, era nato in un
oscuro villaggio. Crebbe in un altro villaggio, dove
lavorò come falegname fino a trent’anni. Poi, per tre
anni, girò la sua terra predicando.
Non scrisse mai un libro.
Non ottenne mai una carica pubblica.
Non ebbe mai né una famiglia né una casa.
Non frequentò l’università.
Non si allontanò più di trecento chilometri da dov’e-
ra nato.
Non fece nessuna di quelle cose che di solito si associa-
no al successo.
Non aveva altre credenziali che se stesso.
Aveva solo trentatré anni quando l’opinione pubblica
gli si rivoltò contro. I suoi amici fuggirono. Fu vendu-
to ai suoi nemici e subì un processo che era una farsa.
Fu inchiodato a una croce, in mezzo a due ladri.
Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocavano
a dadi le sue vesti, che erano l’unica proprietà che
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2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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avesse in terra. Quando morì venne deposto in un
sepolcro messo a disposizione da un amico mosso a
pietà.
Due giorni dopo, quel sepolcro era vuoto.
Sono trascorsi venti secoli e oggi Egli è la figura cen-
trale nella storia dell’umanità. Neppure gli eserciti
che hanno marciato, le flotte che sono salpate, i par-
lamenti che si sono riuniti, i re che hanno regnato, i
pensatori e gli scienziati messi tutti assieme, han-
no cambiato la vita dell’uomo sulla terra quanto
quest’unica vita nascosta.
Ognuno di noi è capace di vederlo da sé: il destino
di Gesù di Nazareth è qualcosa che va al di là di
ogni sforzo di immaginazione.
Le risposte insostenibili
Effettivamente, questa domanda «Ma voi, chi
dite che io sia?» (Mt 16,15), che di primo acchito
sembra semplice e inoffensiva, pone in realtà un
problema di una logica implacabile, perché le
possibili risposte sono molto poche e possediamo
sufficienti informazioni per escluderle quasi tutte.
Ecco le risposte che sono state date nel corso della
storia e che sono del resto, logicamente, le uniche
risposte possibili alla domanda: «Chi può essere
Gesù?» (le hanno provate tutte!):
Gesù non è mai esistito, è un mito creato più tardi.
La realtà storica di Gesù è ben documentata e tran-
quillamente accertata da testimonianze storiche ed
archeologiche.
Era solo un grande saggio, un personaggio tutto
sommato tranquillo e profondamente umano, è la
scelta facile dei mediocri e delle persone superfi-
ciali. Lo scrittore C.S. Lewis afferma con molta
chiarezza: «Dovete fare una scelta. O quest’uomo
era, ed è, il Figlio di Dio oppure era un folle, o an-
cora peggio. Possiamo allora gettarci ai suoi piedi e
chiamarlo Signore e Dio, oppure metterlo a tacere
perché pensiamo sia un pazzo o ucciderlo; ma vi
prego, non tiriamo fuori assurdità compiacenti che
si tratti solamente di un grande maestro di morale.
Questa opzione non ci è stata concessa».
Era un fanatico visionario. In realtà nessuno, nean-
che i suoi nemici e i grandi accusatori al suo proces-
so, lo descrivono così.
Era un impostore che ha fallito. Un’accusa più insen-
sata che inutile. Ma è antica. Riassumiamo i suoi
punti principali: approfittando dell’attesa febbrile
del Messia, un astuto intrigante, dopo aver appreso
l’arte della magia in Egitto, dichiara di essere lui il
Messia tanto atteso. Questo personaggio seduce le
folle con dei miracoli e cerca di trascinarle in una
rivolta allo scopo di prendere il potere, ma l’inizia-
tiva risulta sufficientemente pericolosa da far paura
alle autorità. L’impostore viene quindi arrestato,
condannato, giustiziato e sepolto. I suoi discepoli,
che si erano dispersi al momento della sua morte,
si riuniscono in segreto e nel giro di poche ore de-
cidono di improvvisare un seguito rocambolesco a
questa avventura. Rubano il corpo di Gesù, lo sep-
pelliscono in un luogo segreto e, mostrando la tom-
ba vuota, mettono in scena un clamoroso imbroglio
proclamando che è risorto dai morti.
Perché, a quel punto, i grandi sacerdoti non han-
no fatto cercare il corpo di Gesù? Sarebbe stato
semplice! Smascherare, prove alla mano, questo
imbroglio assurdo della resurrezione inventato dai
seguaci di Gesù, offriva loro un’occasione ideale
per metterli a tacere una volta per tutte! Avevano
la possibilità, semplicemente ritrovando il corpo, di
giugno 2024
11

2.2 Page 12

▲torna in alto
TEMPO DELLO SPIRITO
porre fine a questa messinscena inverosimile e peri-
colosa. Invece no, ufficialmente non viene istituita
nessuna indagine!
Vogliamo davvero credere che questo manipolo di
discepoli impauriti abbia potuto accordarsi in po-
che ore per mettere in piedi il più grande inganno
della storia? Far passare colui che alla fine si era
rivelato soltanto un impostore, un comune mortale,
per il Dio sceso in terra, rubandone il corpo, risot-
terrandolo e proclamando poi la sua Resurrezione!
Quale sarebbe, poi, stato lo scopo di questa rocam-
bolesca messinscena? Perché partire per andare in
capo al mondo, ciascuno da solo, presumibilmente
senza moglie, senza figli, senza denaro, per raccon-
tare la storia di un Messia resuscitato a dei pagani
che ignoravano persino il termine, per non dire il
significato del concetto di Messia?
Era un profeta. A causa
delle critiche violente
che ha dovuto subire
e alla morte in croce,
Gesù potrebbe dunque
rientrare a pieno titolo
in questa lunga lista di
profeti. Le sue esorta-
zioni alla conversione
hanno anch’esse un
tenore profetico. An-
che i musulmani, d’al-
tra parte, attualmente
circa 1,5 miliardi di
persone, pensano che
Gesù sia stato un pro-
feta, come riferito dal
Corano.
Questa tesi si scontra
tuttavia, inevitabil-
mente, con delle in-
verosimiglianze insor-
montabili.
Innanzitutto, un pro-
feta che per sua natura
conosce il futuro non si sarebbe circondato di una
banda di imbroglioni e criminali, che lo avrebbe un
giorno dissotterrato e sepolto altrove per poi farlo
passare per il Dio fatto uomo.
Infine un profeta, non essendo Dio, non può di
certo essere resuscitato. Di conseguenza, vale anche
in questo caso tutto ciò che abbiamo detto sull’in-
verosimiglianza dell’operazione messa in scena dai
discepoli, con la sparizione del corpo, la falsa resur-
rezione e tutto ciò che ne consegue.
È il Messia e un uomo straordinario, ma soltanto un
uomo. La tesi secondo la quale «Gesù è il Messia, ma
è solamente un uomo», dopo la sua morte diventa
assolutamente insostenibile, perché per definizione
il Messia è un re destinato da Dio a regnare su Israe-
le. Ma, con grande delusione di coloro che speravano
che il Cristo avrebbe ricostruito la potenza tempora-
le di Israele, Gesù muore sulla croce, abbandonato
da tutti. Se lo si considera un Messia, non può quin-
di essere un Messia solamente umano.
L’unica possibilità:
Gesù è Dio fatto uomo
Una volta raccolta la sfida, tutto inizia a farsi più
chiaro, e i dubbi e le contraddizioni scompaiono.
Per cominciare, questa tesi rende chiaro il sen-
so delle parole che in precedenza erano sembrate
sconcertanti o persino sconvolgenti.
Se Gesù è il Figlio di Dio, in effetti, allora lo è da
sempre e può ben dire:
«Prima che Abramo fosse, Io sono» (Gv 8,58).
«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non pas-
seranno» (Mt 24,35).
La divinità di Gesù lo rende onnipotente, anche
sulla morte e sul peccato, e giustifica le parole:
«Ti sono perdonati i peccati» (Mt 9,5).
«Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25).
«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra»
(Mt 28,18)
Per mezzo dell’Eucarestia può infine donare il suo
corpo come cibo, sotto forma di pane consacrato:
«Io sono il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41).
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giugno 2024

2.3 Page 13

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Da parte di chiunque altro, queste parole sarebbe-
ro state il segno di un orgoglio smisurato, di una
presunzione scandalosa, di un pericoloso delirio di
onnipotenza. Ma nella bocca del Figlio di Dio, del
Messia, prendono un senso completamente nuovo,
in una logica che va al di là delle nostre categorie
abituali.
Il cambiamento radicale
nel comportamento degli apostoli
diventa comprensibile
Si spiega perfettamente, a questo punto, anche la
metamorfosi degli apostoli: dei codardi che erano
stati capaci di rinnegare Gesù e di rinchiudersi
a doppia mandata nel cenacolo, si rivelano
all’improvviso, come per miracolo, pieni di audacia
e di forza, determinati a predicare alle folle l’an-
nuncio della Buona Novella. Come per miracolo,
effettivamente, poiché questa trasformazione è il
risultato del loro incontro con Gesù risuscitato.
L’hanno visto e l’hanno toccato, e ormai più niente
potrà fermarli: hanno capito che la morte è solo un
passaggio verso la resurrezione, e che le persecuzio-
ni sono una testimonianza di fede necessaria, oltre
che una partecipazione alle sofferenze di Cristo. Il
loro atteggiamento è quindi perfettamente logico.
Il successo degli apostoli non ha
un’origine esclusivamente umana
Lungi dall’accontentarsi delle parole, gli aposto-
li vivono la loro fede in maniera totale, una fede
che è per loro più cara della vita. Blaise Pascal
scrive: «Credo ai testimoni che si fanno uccide-
re». È l’argomento ultimo, quello che ha convin-
to le masse agli inizi del cristianesimo. Così, la
sorte dei cristiani perseguitati sotto Nerone non ha
interrotto il flusso delle conversioni. Al contrario,
la testimonianza dei martiri è stata più forte delle
persecuzioni.
Così, quest’ultima ipotesi rappresenta decisamente
l’unica risposta possibile alla domanda «Chi è Gesù
di Nazareth?».
Ora tocca a noi rispondere
Una piccola storia può aiutarci a comprendere quel-
lo che dobbiamo fare.
Un potente sovrano viaggiava nel deserto seguito
da una lunga carovana che trasportava il suo favo-
loso tesoro d’oro e pietre preziose.
A metà del cammino, sfinito dall’infuocato river-
bero della sabbia, un cammello della carovana crol-
lò boccheggiante e non si rialzò più.
Il forziere che trasportava rotolò per i fianchi della
duna, si sfasciò e sparse tutto il suo contenuto, perle
e pietre preziose, nella sabbia.
Il principe non voleva rallentare la marcia, anche
perché non aveva altri forzieri e i cammelli erano
già sovraccarichi. Con un gesto tra il dispiaciuto e
il generoso, invitò i suoi paggi e i suoi scudieri a te-
nersi le pietre preziose che riuscivano a raccogliere
e portare con sé.
Mentre i giovani si buttavano avidamente sul ricco
bottino e frugavano affannosamente nella sabbia, il
principe continuò il suo viaggio nel deserto.
Si accorse però che qualcuno continuava a cammi-
nare dietro di lui. Si voltò e vide che era uno dei
suoi paggi, che lo seguiva ansimante e sudato.
«E tu» gli chiese il principe, «non ti sei fermato a
raccogliere niente?».
Il giovane diede una risposta piena di dignità e di
fierezza: «Io seguo il mio re».
Molti discepoli di Gesù si tirarono
indietro e non andavano più con lui. Allora
Gesù domandò ai Dodici: “Forse volete
andarvene anche voi?”.
Simon Pietro gli rispose: “Signore, da chi
andremo? Tu solo hai parole che danno la
vita eterna. E ora noi crediamo e sappiamo
che tu sei quello che Dio ha mandato”.
(Vangelo di Giovanni 6,66-69)
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Foto di Ester Negro
UCRAINA
Irrigata da sangue
e lacrime
Don Daniel Antúnez, salesiano
argentino e presidente di Missioni
Don Bosco, è rientrato da pochi
giorni in Italia da un viaggio
che lo ha portato a visitare
a distanza di alcuni mesi, i progetti
dei salesiani in Slovacchia,
Polonia e soprattutto in Ucraina.
Arrivato in Ucraina, quali sono le prime
parole che ti sono venute in mente?
Un tumulto di parole, come tristezza, dolore, ab-
bandono, orfani, povertà, fame, morte. Queste e
molte altre conseguenze invisibili sono alcuni degli
effetti di questa guerra. Toccare con mano, vede-
re da vicino, sentire la paura, ma per un momento
lasciare da parte ogni insicurezza, accompagnare e
stare con chi ha più bisogno di noi e che ha nel cuo-
re solo la speranza che un giorno tutto sarà diverso,
che tutto tornerà alla normalità e che nessuno gli
ruberà ciò che è suo, che nessuno ha il diritto di
togliergli ciò che si è guadagnato con il lavoro, con
il sudore, con le lacrime.
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2.5 Page 15

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E il primo pensiero?
L’arrivo a Leopoli dopo due anni mi ha fatto pensa-
re ancora una volta che, comunque la si guardi, non
c’è nulla che giustifichi una guerra, non ha sen-
so. Che dire: l’egoismo, l’ambizione hanno vinto il
cuore? E che non c’è possibilità di vedere nell’altro
un fratello, un figlio di Dio come lo sono io… Se
perdiamo il senso della fratellanza, perdiamo il ri-
spetto per l’altro.
Com’è la vita quotidiana
nella casa salesiana?
Arrivando alla casa mi è sembrato che tutto fosse
normale, che le cose funzionassero, che i trasporti
pubblici funzionassero, che ci fossero molte mac-
chine per le strade, bambini a scuola, persone che
andavano al lavoro e che tutto sembrasse norma-
le. Non c’erano persone all’ingresso della casa che
chiedevano di entrare e passare la notte o che chie-
devano un pezzo di cibo, non c’erano carrozzine
sotto le scale, non c’erano code d’attesa o corridoi
pieni di persone che andavano e venivano tutto il
giorno, al contrario c’era la sensazione che tutto fi-
lasse liscio.
Entrando nella realtà della vita quotidiana, ho co-
minciato a sentire che tutto era uno schermo, qual-
cosa di quasi irreale, un modo per dire andiamo
avanti perché non ha senso stare fermi, stare senza
fare niente, non ha senso stare chiusi in un bun-
ker ad aspettare chissà cosa, così ho cominciato a
provare insicurezza la notte, la sensazione di essere
all’aperto, era meglio non pensare per darmi la spe-
ranza che un giorno tutto sarebbe tornato normale.
Il primo shock?
Si dice che il tempo guarisce le ferite e che con il
passare del tempo si cominci ad accettare che le
perdite sono reali. Qui non l’ho sentito, mi sem-
brava che tutto quello che stava accadendo nel tem-
po potesse peggiorare, potesse approfondirsi. Il mio
primo shock è stato sul campo di calcio, quando
siamo andati a salutare, a vedere l’allenamento dei
mutilati: è invidiabile lo sforzo che fanno per mi-
gliorarsi, il sacrificio e la voglia che mettono negli
allenamenti, ma hanno perso un arto che non po-
tranno mai recuperare. Il colpo psicologico di fron-
te a questa realtà è molto forte, sono giovani, alcuni
di loro sono genitori. È lì, nella casa salesiana, dove
hanno trovato un rifugio sicuro per continuare a
lottare, per normalizzare la vita in qualche misu-
ra, anche con ferite gravi e magari l’amputazione di
qualche parte del corpo.
Il cimitero in centro città
La visita al cimitero nel centro della città sarà una
delle mie esperienze di vita che non dimentiche-
rò mai, le tombe con foto, fiori e altri oggetti che
sicuramente hanno un significato che non saprei
descrivere, la tristezza mi ha invaso, l’angoscia si è
impadronita di me, ho camminato tra le tombe, mi
sono fermato a leggere i nomi e le date di nascita e
di morte in combattimento, c’erano tanti giovani
che avevano dato la vita, ma pensavo che avreb-
bero dovuto fare altre cose, giocare una partita di
calcio, incontrarsi con gli amici, all’università, ma
era così, erano nelle tombe, non avevano le bandie-
re del Paese, ma in molte c’era anche la bandiera
nera e rossa, un salesiano del posto ci ha spiegato
il significato dei colori, il nero rappresenta la terra
Papa Francesco,
parlando dei
bambini ucraini,
ha detto: “La
guerra fa questo:
fa perdere il
sorriso dei
bambini”. “È
vero”, conferma
don Daniel, “I
bambini vivono,
continuano a
giocare, anche
sotto le bombe,
ma dietro sono
stanchi, tristi,
psicologicamente
provati. Sono
bambini, figli
della guerra.
Dentro hanno
ferite che da fuori
non si vedono”.
giugno 2024
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2.6 Page 16

▲torna in alto
L’INVITATO
grande dolore e una giustificazione che con il pas-
sare dei giorni non ho negoziato nemmeno io, an-
cora oggi non riesco a trovarla, ancora oggi non rie-
sco a rispondere e a trovare il senso di quelle morti.
“Abbiamo
festeggiato il
compleanno di
un bambino,
9 anni e una
storia terribile
alle spalle. La
sua mamma ha
perso la vita in un
bombardamento
e il suo papà è
morto al fronte.
Accompagnato
da un Salesiano, è
andato a ricevere
la medaglia al
merito del papà”.
È una delle
tantissime storie
che racconta don
Daniél Antùnez,
presidente di
Missioni Don
Bosco.
dell’Ucraina e il rosso è il sangue dei caduti che
hanno dato, donato la loro vita per una causa che si
chiama amore per la propria patria. Dal sangue qui
la terra è stata irrigata.
Alla fine della visita al cimitero non ho potuto
fare a meno di interrogarmi sul significato di tanto
sangue versato. Solo chi ha perso i propri mariti,
padri, fratelli, figli, nipoti, potrebbe spiegarci o
dirci qualcosa che ci faccia capire il senso di queste
morti, ma non credo che anche in quel caso riusci-
remmo a darci una risposta che ci faccia giustificare
queste perdite.
Non potevo evitare le mie lacrime, non potevo evi-
tare l’impotenza e il dolore che umanamente mi
avvolgevano mentre camminavo in mezzo a loro.
La pioggia, il vento rendevano quel luogo nebbioso
e triste, lasciandomi senza la forza di pronuncia-
re parole, perché di fronte alla morte è quasi im-
possibile trovare una risposta, se non è per fede.
Siamo tornati in silenzio, nessuno di noi ha osato
pronunciare una parola, un’opinione, ognuno di noi
portava nel cuore un grande dolore, sicuramente un
Mariapolis, cittadella di Maria
La visita a Mariapolis è stata un’altra delle espe-
rienze forti che ho vissuto in silenzio, tante fa-
miglie che vivono in container e che hanno perso
tutto, tanti bambini senza casa. Anche lì ci sono i
Salesiani che li affiancano e danno loro assisten-
za e accompagnamento: sono quasi un migliaio di
persone di cui più di 200 sono minori. Ogni mezza
giornata danno loro da mangiare e sono presenti
per qualsiasi necessità. Sono tutte persone che con
il tempo dovranno avere una condizione di vita mi-
gliore, oggi è solo un aiuto per poter sopravvivere.
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giugno 2024

2.7 Page 17

▲torna in alto
La casa famiglia
Siamo partiti da lì e ci siamo ritrovati nella casa
famiglia dove ci sono 65 minorenni. Sono assisti-
ti anche loro dai Salesiani e qui hanno trovato un
luogo dove essere accompagnati, curati, dove poter
andare a scuola, alcuni sono orfani, altri sono stati
portati qui dalle loro famiglie, e ci sono casi di ogni
genere e situazioni di vita molto dolorose.
Sirene a Kiev
I giorni sono passati e siamo andati a Kiev per visi-
tare la casa salesiana e vedere da vicino che cosa si-
gnifica vivere in un Paese dove c’è la guerra. Dopo
circa 8 ore di viaggio siamo arrivati sul posto. Lì
abbiamo potuto visitare la casa, passeggiare per la
città e incontrare alcune persone che non sapevano
come vivere in mezzo a questa insicurezza.
Di notte è suonata la sirena e ci siamo dovuti rifu-
giare nel bunker, che cosa dire in poche parole, silen-
zio, insicurezza, paura e non sapere che cosa sarebbe
successo fuori, mentre eravamo lì nella speranza che
l’allarme non durasse a lungo. Siamo rimasti lì per
circa due ore e poi abbiamo potuto tornare a dormire.
Dopo due giorni abbiamo deciso di tornare a Leo­
poli, perché non ci sentivamo sicuri in niente e per
niente. Tornammo in treno e ci fermammo di nuo-
vo nella casa salesiana.
Loro restano là
Confesso che quando ho salutato i miei fratel-
li salesiani, mi è venuta la stessa angoscia di due
anni fa, la stessa sensazione che io potevo tornare,
sapendo che loro rimanevano là e che lo facevano
per scelta, per stare in mezzo alla loro gente, per
accompagnarli e per dare tutto quello che potevano
per non lasciarli soli.
Oggi, a casa e con una sensazione diversa dall’in-
sicurezza che avevo, continuo a farmi domande e
non riesco a trovare una risposta alla guerra, alla
sofferenza e al dolore di tante persone.
Come Missioni Don Bosco vogliamo continua-
re ad essere vicini a loro, vogliamo continuare ad
essere fratelli e sorelle e che il nostro aiuto possa
servire affinché un giorno possa tornare la pace e
tutti gli ucraini possano tornare alla vita nor-
male.
Secondo i dati
verificati dalle
Nazioni Unite, gli
attacchi avvenuti
tra il 1° gennaio e
il 31 marzo 2024
hanno causato
la morte di 25
bambini, il più
piccolo dei quali
aveva solo due
mesi. Sono almeno
600 i bambini
uccisi nella
escalation della
guerra cominciata
nel 2022. Più di
1350 bambini
sono stati feriti. Il
loro numero reale
è probabilmente
molto più alto.
giugno 2024
17

2.8 Page 18

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I NOSTRI AUTORI
O. Pori Mecoi
Don Giorgio Zevini
IL MIO AMICO GESÙ
In un nuovo libro, Giorgio Zevini dischiude
per giovani e adulti il desiderio di trovare
nel silenzio la voce di Dio e l’amicizia
personale con Gesù.
Si può
autopresentare?
Sono un salesiano prete
con 66 anni di professio-
ne religiosa nella fami-
glia di don Bosco. Sono
nato a Castel Gandolfo
all’ombra del Palazzo
pontifico all’inizio della
seconda guerra mondia-
le con tutte le difficoltà del suo tempo, da genito-
ri religiosi e laboriosi e da una famiglia modesta e
semplice. Io sono ultimo di quattro figli e gemello
con mia sorella. Attualmente sono docente emerito
di Sacra Scrittura dell’Università Pontificia Sale-
siana in Roma, dove ho trascorso gran parte della
mia vita come professore e decano della Facoltà di
Teologia. Naturalmente prima di questa missione
ho avuto il tempo per la mia formazione umanistica
e filosofica a Roma e successivamente per gli stu-
di teologici a Gerusalemme presso il nostro Cen-
tro teologico di Cremisan, poi al Pontificio Istituto
Biblico in Roma e ad Oxford per il conseguimento
dei titoli accademici. La passione per gli studi biblici
è nata nella Terra Santa dove ho vissuto vari anni.
Gli studi ulteriori nel campo della Bibbia mi hanno
portato ad avere un’ampia esperienza e conoscen-
za del mondo biblico, appresa non solo nel Medio
Oriente ma anche in altre parti del mondo. Questo
mi ha permesso di mettere a frutto i miei studi, a
livello scientifico e pastorale, lavorando a servizio
della Chiesa e in ambito salesiano, specie con i gio-
vani in formazione, con preti, con consacrati e con-
sacrate, con laici e laiche e quelli che conseguono ti-
toli accademici come futuri formatori nella missione
pastorale ecclesiale e salesiana.
Com’è nata la sua vocazione?
La mia vocazione è nata a contatto con i Salesiani
frequentando sia la Parrocchia pontificia salesiana
della mia cittadina, dove con gioia facevo da chie-
richetto nelle varie funzioni religiose, sia l’Oratorio
salesiano, dove rimasi incantato nel vedere i giova-
ni salesiani che felici giocavano e stavano sempre
con noi nel cortile, interessandosi dei nostri piccoli
problemi quotidiani. Ma l’esperienza che maggior-
mante ha fatto nascere in me il desiderio di seguire
Gesù fu partecipare al catechismo e alla scuola di
“dottrina cristiana”, come si chiamava allora, nella
quale i salesiani ci raccontavano la “Storia sacra”
scritta da don Bosco e i vari fatti della vita di Gesù,
lasciandoci sempre un grande insegnamento di
vita. Posso dire che l’amore per il Vangelo nacque
fin da piccolo partecipando con i miei compagni
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giugno 2024

2.9 Page 19

▲torna in alto
alla “Compagnia dell’Immacolata” dove si leggeva
il Vangelo, si pregava spesso con pause di silenzio e
piccole riflessioni spontanee che noi ragazzi ci co-
municavamo. In seguito il resto l’han fatto tutto il
Signore e don Bosco, facendomi comprendere che
il vero senso della vita si realizza quando ci si dona
agli altri, servendo specie i giovani e coloro che
sono più deboli e poveri.
Sono conosciutissimi i suoi libri sulla
Lectio Divina. Perché questa predilezione?
Una persona che ha segnato la mia vita specie
nell’approfondimento della Parola di Dio è stato il
cardinal Carlo M. Martini, avendolo avuto prima
come professore al Pontificio Istituto Biblico e poi
come guida nell’esperienza della Lectio Divina. Lui
spesso affermava: “I Concili prima del Vaticano II
non avevano mai detto che la Sacra Scrittura deve
essere pregata, ma ora la Chiesa ha sollecitato i
cristiani a leggere e meditare la Scrittura per avere
una fede che sia fatta di convinzioni, di scelta per-
sonale, d’interiorità”. E aggiungeva: “Il solo cristia-
nesimo che sopravvivrà sarà quello fondato su con-
vinzioni interiori profonde, perché non basteranno
più le tradizioni esterne o i fenomeni di massa. È
proprio l’esercizio della Lectio Divina pregata che
può mediare questa convinzione di fede interiore e
profonda”. Sono convinto, inoltre, che il cristiano
per crescere nella fede nella nostra società, tanto
portata all’esteriorità e al superficiale, ha bisogno
di momenti di lettura e di meditazione sulla Paro-
la di Dio per ritrovare se stesso e Dio. Per questo
con P. Cabra e vari collaboratori ho dato vita alla
collana Lectio Divina per ogni giorno dell’anno, che
insegna a gustare i testi biblici proposti dalla litur-
gia lungo lo svolgersi dell’anno liturgico. E lo fa
guidando il lettore nelle classiche tappe della lectio
(lettura), della meditatio (meditazione), dell’oratio
(preghiera), della contemplatio (contemplazione) e
dell’actio (azione-vita). Anche papa Benedetto XVI
ha affermato. “L’assidua lettura della Sacra Scrit-
tura accompagnata dalla preghiera realizza il col-
loquio con Dio in cui leggendo Dio ci parla e pre-
gando gli si risponde con il cuore. La lectio recherà
alla Chiesa, ne sono convinto, una nuova primavera
spirituale”. Non dimentichiamo mai che la Parola
di Dio è lampada per i nostri passi e luce nel nostro
cammino.
Perché in questo libro
ha scelto il tema dell’amicizia?
La scintilla che mi ha spinto a scrivere questo li-
bro sul tema dell’amicizia è stata duplice. La prima
motivazione è nata dal fatto che, dopo l’esperienza
vissuta nel periodo della pandemia, molti amici,
adulti e giovani, mi hanno chiesto di riprendere gli
incontri settimanali, che con regolarità da anni ab-
biamo realizzato nelle comunità religiose maschili
e femminili e nei gruppi parrocchiali di preghiera e
riflessione sulla parola di Dio. Ancora troppa gente
è chiusa in casa, è sola e abbandonata, vive la tri-
stezza della solitudine e la mancanza delle relazioni
fraterne, che invece ha sperimentato nel passato,
incontrandosi in comunità o nei gruppi. Combat-
tere la solitudine è ricreare uno spirito comunitario,
legami familiari, luoghi dove poter comunicare e
condividere, darsi una mano a vicenda. Vivere l’a-
micizia e la comunione è sperimentare un amore
possibile, perché è dono
che viene da Dio e con-
diviso nella fede. Sapere
che c’è qualcuno che ti
accoglie con amore, nel-
le difficoltà e prove della
vita, non è qualcosa da
poco in questo tempo.
Il secondo motivo lo
trovo nella mia vita per-
sonale di prete e di sale-
siano. Mi sono sempre
più convinto della ne-
cessità di concentrarmi
sull’essenziale, cioè sulla
centralità della Parola di
giugno 2024
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2.10 Page 20

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I NOSTRI AUTORI
Don Giorgio
Zevini nel suo
studio.
Dio e, di conseguenza, sulla relazione personale di
amicizia con il Signore e con le persone che incon-
tro nel mio ministero. Sappiamo, infatti, che la Pa-
rola di Dio non esprime un rapporto con qualcosa,
ma con Qualcuno che ti ha preso il cuore. E non c’è
realtà più bella e convincente nella vita cristiana che
fare amicizia con Gesù, entrare nella sua interiorità,
fare esperienza di discepolato con lui, consapevoli
delle sue parole: “Imparate da me, che sono mite e
umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita”
(Mt 11,29). La realtà del cristianesimo è una Per-
sona che reclama il nostro amore perché Egli ci ha
amato per primo e con totalità. Oggi la vita cri-
stiana è entrata nel suo stadio vitale, quello della
reale esperienza di Dio. Il cristiano è colui che fa la
vera esperienza di Dio, entra in amicizia con Gesù,
sia in un rapporto esteriore con la sua umanità, sia
nella relazione intima del suo cuore, cioè nella sua
realtà umana e divina. Spero che il mio libro aiuti
ad avere rapporti di amicizia tra noi e Dio.
Che tipo di amico è Gesù?
Quando Gesù era tra noi nella Terra Santa ci ha
comunicato la sua esperienza, la sua interiorità, la
sua azione, donandosi a tutti coloro che incontra-
va, invitando, poveri o ricchi, a seguirlo sulla strada
della donazione di sé nella gioia e nella sofferenza.
Per questo Gesù rimane l’Amico buono che sempre
ci accompagna e ci soccorre in ogni difficoltà della
vita. Gesù è la roccia su cui fondare la nostra dimora
interiore, le nostre relazioni fraterne; colui che ci
sta davanti, ci guida nel silenzio con la sua amicizia.
Si deve ritornare ad avere una relazione profonda
con il Signore ed entrare nella sua intimità, ricor-
dando sempre che Gesù ci ama! Tale è l’esperienza
da fare nella vita per sentirsi felici e realizzati: ac-
20
giugno 2024

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲torna in alto
cogliere il dono di Dio e farlo crescere alla sorgente
del Vangelo. Questa fu l’esperienza che hanno fatto
i suoi discepoli. La prima impressione che colpisce
chi legge il Vangelo ed osserva l’agire umano della
persona di Gesù è constatare la grande passione che
egli aveva nel cuore e lo spingeva a comunicare con
zelo il suo messaggio di salvezza ad ogni persona
e diceva: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra e
quanto vorrei che fosse già acceso” (Lc 12,49).
Qual è il volto umano di Gesù?
Il volto umano di Gesù è quello di chi si è fatto
amico delle persone, specie dei più poveri, guaren-
do i malati e venendo in aiuto a tutti coloro che
incontrava e che si rivolgevano a lui. Ha saputo af-
frontare anche i potenti del suo tempo e, per rima-
nere fedele al suo insegnamento, ha testimoniato
con coraggio la parola del Padre fino ad andare in-
contro alla morte. Ha prediletto i piccoli e le perso-
ne fragili, la categoria dei peccatori e degli esclusi,
come gli esattori delle tasse, le prostitute. Il suo
stile di vita fraterna che accoglieva con tenerezza
i rifiutati, i lebbrosi, i ciechi, gli zoppi, fino a farsi
amico dei pubblicani e peccatori, scandalizzò i capi
del popolo e gli osservanti. Coltivò con rispetto e
accoglienza le donne che incontrava superando i
condizionamenti del tempo e le trasformò in an-
nunciatrici di salvezza. La sfida che il mondo di
oggi, specie i giovani, lanciano alla nostra Chiesa è
che li aiuti a scoprire che Gesù è la “stella del mat-
tino” a cui guardare, è l’Amico buono da trovare ed
amare, la guida che ti aiuta a scoprire il senso della
vita facendo amicizia personale con Lui.
Castel
Gandolfo:
nell’oratorio
salesiano
è nata la
vocazione di
don Giorgio.
Sotto: Ingresso
dell’Università
salesiana.
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3.2 Page 22

▲torna in alto
STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Disegni di Nino Musio
Un RAGAZZO
e il suo
SOGNO
Sui colli astigiani, un
ragazzino di 9 anni, ogni
pomeriggio, guida due
mucche ver­so la valle.
Per merenda ha una bella
pagnotta di pane bianco.
Lo aspetta un pastorello
come lui. Solo che è più
povero. Per la merenda
ha solo una fetta di pane
nero. Ogni giorno il primo
ragazzo dice: «Vuoi che ci
scambiamo il pane?».
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3.3 Page 23

▲torna in alto
Quel ragazzo si chiama Giovanni
Bosco. La mamma si chiama
Margherita. Il papà è morto
quando Giovanni aveva due anni.
Giovanni ha due fratelli, Antonio
e Giuseppe. Hanno una voglia
matta di giocare e di far chiasso.
Giovanni impara a zappare, a
falciare l’erba, a maneggiare la
roncola, a mungere le mucche.
Un vero contadino. I viaggi si
fanno a piedi. Alla sera si va a
dormire sul pagliericcio gonfio
di foglie di granturco.
Mamma Margherita accoglie sempre
i poveri che bussano, spiega: «Dio è
dappertutto, ma specialmente nei poveri».
A 9 anni, Giovanni ha un sogno che segnerà
la sua vita. Vede una moltitudine di animali feroci.
Una donna misteriosa gli dice: «Ciò che succede
a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli».
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3.4 Page 24

▲torna in alto
STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Alle feste, Giovanni è
in pri­ma fila. Studia con
attenzione i trucchi dei
prestigiatori, i segreti
degli equilibristi.
Giovanni vede gli animali feroci
cambiarsi in agnelli mansueti e poi in
una folla felice di ragazzi che saltano,
corrono, fanno festa. La donna gli
dice: «Un giorno tutto comprenderai».
Poi li ripete per i suoi piccoli
amici. Dopo gli applausi, come
da un piccolo pulpito, Giovanni
ripete la predica sentita alla
messa del mattino.
Ma i contrasti con il fratellastro
Antonio continuano. Mamma Margherita
gli dice tristemente: «È meglio che tu
vada via di casa per un po’». Una gelida
mattina, Giovanni parte da casa e va a
cercarsi un posto da garzone.
Vuole studiare, ma per tre anni
lavora come ragazzo di stalla
alla cascina Moglia. Si dimostra
volenteroso e ubbidiente.
Tutti gli vogliono bene.
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gli animali brucano l’erba intor­no,
riapre ostinato i suoi libri. Il padrone
scuote la testa: «Perché leggi
tanto?» «Voglio diventare prete!»
Va a frequentare
le prime scuole
a Castelnuovo
e poi a Chieri.
Fa tanta strada
a piedi.
Durante le lunghe vacanze
scolastiche, Giovanni è sempre
circondato da ragazzi. «Tra giochi
e racconti, insegnavo il catechismo
e le preghiere cristiane» racconta.
A 20 anni,
Giovanni Bosco
prende la
risoluzione
più importante
della sua vita:
entra nel
Seminario.
Il 5 giugno 1841, l’arcivescovo di Torino
pone le mani sul capo di Giovanni Bosco
e lo consacra sacerdote. Ha 26 anni,
ed è diventato «Don Bosco». La prima parte
del suo «grande sogno» è realizzata.
Continua...
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3.6 Page 26

▲torna in alto
FMA
Emilia Di Massimo
ODESSA Un pensionato universitario
a prova di bomba.
Ama chi resta
23settembre 1993. Tre suore iniziano
la loro missione educativa. Un anno
prima la Cattedrale, precedentemente
trasformata in una palestra, è tornata
ad essere una Chiesa. Si può cominciare dalla cate-
chesi, dall’animazione liturgica, dagli incontri con i
giovani e con gli adolescenti, anche nelle loro case.
L’oratorio può iniziare con la collaborazione di tutti.
È un apostolato particolare in una città multicultura-
le, ad Odessa, nel sud dell’Ucraina; è qui che incon-
triamo suor Maria Rehakova (slovacca), suor Anna
Kużdżał e suor Teresa Matyja (polacche). Tutte e tre
fanno catechesi, suor Anna insegna anche etica ai
bambini di un Centro organizzato dalla Caritas.
“Sono stata in molte parti dell’Europa dell’est, da
dieci anni sono ad Odessa, dove vivo un’esperienza
bellissima e faticosa. Qui, malgrado la guerra, si
parla la lingua ucraina, mentre anni fa era inam-
missibile; è un segno di cittadinanza universale
molto bello”, ci dice suor Teresa.
La missione principale che le Figlie di Maria Au-
siliatrice svolgono è quella di essere accanto alle
Qui vivo un’esperienza
bellissima e faticosa.
(Suor Teresa)
studentesse che, dal 1994, ospitano nel pensionato
universitario; gli ultimi quattro anni sono stati mol-
to difficili a causa della pandemia e della guerra.
Suor Maria afferma con convinzione che “quando è
scoppiata la guerra non hanno avuto alcun dubbio:
“conta chi resta”, pertanto si rimane accanto alla
gente. Molte ragazze sono partite quando è iniziato
il conflitto ma altre sono tornate; quelle che studia-
vano medicina hanno cominciato a prestare il loro
servizio negli ospedali. Siamo state coinvolte anche
negli aiuti umanitari, ancora oggi collaboriamo con
l’Organizzazione no-profit Jugend Eine Welt ge-
stendo progetti anche con i giovani”.
La mansarda della casa delle Salesiane è stata in-
cendiata nell’agosto del 2022, le camere delle stu-
dentesse sono state allagate. Sono sopravvissute
tutte ma adesso vivono nel seminterrato vicino alla
Cattedrale perché “siamo qui per dare la speranza,
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▲torna in alto
per stare con la gente scorag-
giata, stanca, che non riesce a
perdonare. La nostra presenza
è la missione più importante”,
ci dice suor Anna.
La magia
di una vera casa
La presenza è davvero la di-
chiarazione d’amore più gran-
de? Lasciamo che siano le gio-
vani a rispondere.
“Attualmente sono al quarto
anno; il primo anno vivevo in
un dormitorio dell’universi-
tà, quindi posso fare il confronto. Dalle suore mi
sento al sicuro, sento che sono preoccupate per me,
ho qualcuno a cui rivolgermi in caso di bisogno, di
paura, di insicurezza” (Roksolana).
“Voglio condividere l’esperienza indimenticabile
e le emozioni positive che ho ricevuto vivendo ad
Odessa con le suore. Durante i miei studi all’Ac-
cademia musicale sono state loro a sostenermi con
l’alloggio ed in ogni necessità. Sono rimasta mol-
to colpita dai loro cuori aperti e amorevoli! Sono
vissuta a casa, ho trascorso felicemente del tempo
insieme, ho condiviso eventi, ho imparato giochi
interessanti e riso tanto ma, soprattutto, ho pregato
e ho cercato Colui che è la verità: Gesù!” (Zhanna)
“Quando sono venuta a casa delle suore sono rima-
sta sorpresa: un’atmosfera piacevole e amichevole;
fiducia e rispetto tra noi e loro. Ci hanno insegna-
to l’ospitalità e ad essere donne responsabili ma si
sono prese cura anche del nostro mondo spiritua-
le organizzando delle serate nelle quali potevamo
parlare di un argomento scelto in precedenza e con-
dividerlo con tutte; al termine, una preghiera che
ho sempre sentito autentica. Inoltre ricordo le feste,
soprattutto quelle di Natale e di Pasqua: si creava
una magia indescrivibile. Abbiamo fatto escursioni
e viaggi. Nei momenti difficili della guerra ci sia-
mo unite ancora di più e sostenute reciprocamente.
Le suore non ci hanno lasciato,
sono state accanto anche alle
ex allieve che avevano bisogno
di aiuto. Hanno sempre accol-
to volentieri chiunque fosse in
necessità.
Una testimonianza di misericor-
dia e di bontà l’ho vista quando
la casa è stata incendiata: le
Salesiane hanno cercato subito
un’altra casa: l’abbiamo arredata
e resa confortevole insieme. Le
suore sono la mia seconda fami-
glia. Non importa dove sono e
con chi, non importa dove mi
trasferirò; so che ad Odessa avrò sempre un posto
dove tornare, dove condividere gioie e dolori, qualsia­
si esperienza” (Katia).
Le ragazze provengono da diverse confessioni reli-
giose, la maggioranza di loro è ortodossa, ma non
ha importanza quando la presenza è molto più che
essere qui, è amare perché, ci insegna il monaco
Thich Nhat Hanh: “Quando amate qualcuno, la
miglior cosa che potete offrire è la vostra presenza.
Come si può amare senza essere presenti? Se amate
qualcuno ma siete raramente disponibili per quella
persona, allora non è vero amore”.
Quello delle suore salesiane sembra proprio che lo
sia.
Molte ragazze
sono partite
quando è
iniziato il
conflitto ma
altre sono
tornate;
quelle che
studiavano
medicina
hanno
cominciato
a prestare
il loro
servizio negli
ospedali.
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▲torna in alto
I FONDATORI
T.B.
Don Carlo
DELLA TORRE
Servo di Dio. Fondatore
dell’Istituto Secolare
delle Figlie della Regalità
di Maria Immacolata,
il 19° della Famiglia
Salesiana.
Don Carlo
con il nucleo
iniziale della
famiglia
religiosa
che aveva
fondato.
Don Carlo Della Torre nacque da una fa-
miglia di contadini poveri, ma molto re-
ligiosi a Cernusco sul Naviglio (Milano)
il 7 luglio 1900.
Aveva 17 anni quando l’Italia, in piena guerra
mondiale e scossa dalla disfatta di Caporetto, chia-
mò anche lui alle armi. Fu al fronte per un anno e
mezzo.
Tolta la divisa militare, sentì il bisogno di realizzare
la vocazione che gli era nata tra gli orrori delle
trincee: diventare sacerdote e missionario per in-
segnare a tutti il messaggio di pace e di amore di
Gesù.
Fu ricevuto tra «le vocazioni adulte» nell’Istituto
Cardinal Cagliero di Ivrea, dove rimase dal 1923
al 1926. Di lì partì per l’Oriente, dove avrebbe
fatto il suo noviziato. Lo iniziò a Macao (colonia
portoghese sulla costa cinese), e lo terminò a
Bangnok-Khuek in Thailandia, dove i Figli di Don
Bosco stavano iniziando una nuova missione. Qui
emise i suoi primi voti religiosi, diventando uno del
gruppo salesiano che iniziò le Opere di Don Bosco
in Thailandia.
Negli anni 1932-36, mentre compiva gli studi teo-
logici, fu incaricato dai superiori di dirigere, come
assistente spirituale, un gruppo di signorine impie-
gate presso la Missione. Quando egli si accorse che
quelle ragazze erano pronte a vivere la vita consa-
crata, costituì con loro il nucleo di una nuova fami-
glia religiosa, cioè la «Congregazione delle Ancelle
del Cuore Immacolato di Maria».
Mentre la nuova istituzione cresceva, Carlo Della
Torre fu ordinato sacerdote e destinato dall’obbe-
dienza ad altri incarichi.
Nel 1940 la seconda guerra mondiale invase le
nazioni del Pacifico. Don Della Torre, nel picco-
lo centro di ThàMuang dove risiedeva, radunò un
altro gruppo di signorine che manifestavano incli-
nazione alla vita consacrata. Aveva intenzione di
fondare con loro un’altra famiglia religiosa.
Dopo poco tempo il gruppo di religiose e il loro
fondatore si trasferirono a Bangkok, la capitale del-
lo Stato.
Qui nel 1950 don Carlo Della Torre, con il consen-
so dei Superiori dei Salesiani e l’approvazione del
vescovo Chorin, lasciò la Congregazione salesiana
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giugno 2024

3.9 Page 29

▲torna in alto
per dedicarsi totalmente alla formazione spirituale
del nuovo gruppo di consacrate.
Esso prese il nome di «Istituto Secolare delle Figlie
della Regalità di Maria Immacolata», fu benedetto
dal Vescovo e nel 1954 eretto canonicamente. Don
Carlo diresse con sapienza l’Istituto Secolare da lui
fondato, lo animò di spirito salesiano e di dedizione
apostolica, specialmente verso la gioventù più po-
vera. Fondò scuole affinché le Consorelle vivessero
la missione di educatori della gioventù, formando
la mentalità e la vita cristiana dei giovani.
Nel 1974 don Carlo sentì che la sua Opera poteva
ormai camminare da sola, sotto la direzione dell’Ar-
civescovo di Bangkok, e chiese ai Superiori di poter
rientrare in Congregazione. Ma l’Arcivescovo non
era d’accordo: voleva che don Carlo rassodasse an-
cora di più la sua nuova famiglia religiosa con la sua
presenza, la sua parola e la sua direzione. Solo il 5
dicembre del 1981 (don Carlo aveva ormai varcato
la soglia degli 80 anni!) il cardinale arcivescovo Mi-
chai Kitbunchu comunicò all’Ispettore Salesiano
che dava il suo permesso perché don Carlo Della
Torre rientrasse nella Congregazione salesiana.
Il 9 dicembre di quel 1981 don Carlo faceva nuo-
vamente la sua professione religiosa nelle mani del
Superiore salesiano, attorniato dalle sue Figlie della
Regalità di Maria Immacolata.
La sua salute era ormai molto logorata. Visse gli
ultimi mesi da Salesiano, vero figlio di don Bosco,
che tanto aveva amato durante la sua vita.
Passò alla Casa del Padre il 4 aprile 1982.
Appartenenza
alla Famiglia Salesiana
Le “Figlie della Regalità di Maria” diventarono un
gruppo della Famiglia Salesiana il 12 luglio 1996.
Hanno un rapporto speciale con la Congregazione
Salesiana, sia attraverso il suo fondatore sia attra-
verso lo spirito tramandato alle sodali. L’Istituto
riconosce il Rettor Maggiore come il successore di
don Bosco, padre e guida di tutta la Famiglia Sa-
lesiana, chiamato a promuoverne la crescita e l’u-
nità. Gli aspetti tipici dell’Istituto che si rifanno al
carisma salesiano sono: l’impegno verso i giovani,
che è la condivisione più significativa nella Fami-
glia di Don Bosco; lo Spirito di Don Bosco, che
costituisce l’anima della Famiglia Salesiana; l’ac-
coglienza del Sistema Preventivo con gratitudine e
Le superiore
dell’Istituto.
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3.10 Page 30

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I FONDATORI
amore verso don Bosco, prendendolo come maestro
e modello concreto di come operare con la gioventù
e con gli adulti, per offrire proposte efficaci di cre-
scita umana e cristiana.
collaborazione in attività ecclesiali nelle com-
missioni della Conferenza Episcopale della
Thailandia, quali “mass media”, ufficio liturgico
e la società missionaria.
Identità
Poiché le Figlie della Regalità di Maria sono
delle laiche consacrate, la missione dell’Istituto si
concretizza essenzialmente nella testimonianza di
vita. Inoltre l’Istituto svolge alcune attività evange-
lizzatrici, come ad esempio:
l’istruzione e la formazione della gioventù nelle
scuole;
la catechesi e attività catechetiche secondo le ne-
cessità;
gruppi di persone che volontariamente aderisco-
no alla recita giornaliera del Rosario;
attività giovanili del gruppo “amici di Maria”;
attività caritative di vario tipo, per esempio du-
rante le inondazioni;
organizzazione di gruppi “Single Mums’, cioè di
madri che sono state lasciate sole ad allevare i
figli;
Sfide per il futuro
Vivere nella semplicità: scelgono una povertà
concreta nell’alloggio, nel vestito, nella vita quo-
tidiana, nel posto di lavoro. Hanno Maria come
modello di vita.
Educare la gioventù: promuovere la persona
umana, guidare i giovani nella vita spirituale,
aiutarli a coltivare buone abitudini e a promuo-
vere i valori del Vangelo.
Formare buoni cristiani: giacché i cristiani in
Thailandia sono una piccola minoranza, offro-
no ai giovani figli l’opportunità di sperimentare
un’atmosfera di famiglia con adulti che si pren-
dano cura di loro.
Promuovere la preghiera del Santo Rosario: la reci-
ta del Rosario e la sua promozione sono un’eredità
di don Carlo e un compito molto impegnativo per
l’Istituto.
Le “Figlie
della Regalità
di Maria”
diventarono
un gruppo
della Famiglia
Salesiana il 12
luglio 1996.
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giugno 2024

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

▲torna in alto
ARTE SALESIANA
Natale Maffioli
Il SOGNO di marmo
P er un certo periodo quest’opera dello scul-
tore Rubino era stata esposta sopra l’ingres-
so dell’oratorio, ora è tornata al suo posto
naturale come paliotto dell’altare maggiore
della parrocchiale e così completa grande ancona
marmorea realizzata nel 1943 dallo scultore Edoar­
do Rubino (1871-1954) e dai suoi collaboratori.
La lastra, con l’evanescenza tipica del marmo bian-
co di Carrara, descrive l’episodio del sogno dei nove
anni noto a tutti: siamo al momento finale, Maria
pone la mano sul capo di Giovannino mentre gli
Indubbiamente l’illustrazione
del Sogno di don Bosco più
intensa per la qualità formale,
è il bassorilievo che attualmente
si trova sotto l’altare maggiore
della chiesa dell’Istituto Salesiano
Edoardo Agnelli di Torino.
dice: «A suo tempo tutto comprenderai», Gesù, con
fare amichevole, gli indica quello che sarà il cam-
po della sua attività futura; attorno non ci sono più
bestie feroci ma pecore che hanno bisogno di un
pastore.
La simmetria governa la composizione: due albe-
ri, due gruppi di pecore, due sfondi paesaggistici,
Gesù e Giovannino si accostano, uno per parte,
alla Madonna, fulcro di tutta la scena, è lei che,
in posizione frontale, si qualifica come “maestra”
nella trasmissione dei messaggi e detta il ritmo alla
disposizione degli elementi.
Nonostante l’adesione a questo elementare princi-
pio della composizione classica il bassorilievo è sua-
sivo e la distribuzione su più piani, dal bassorilievo
allo stiacciato, regala una forte nota di realismo.
Il presbiterio
della chiesa
parrocchiale.
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4.2 Page 32

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MEMORIE
Wally Perissinotto
Novant’anni di musica a
SAN DONÀ DI PIAVE
L’anima dell’Oratorio.
Inaugurazione
della banda
nel 1932,
quarto
anniversario
dell’arrivo dei
Salesiani.
Novant’anni di Banda rappresentano un
momento importante che è doveroso ce-
lebrare, non certo o non solo per lasciarsi
cullare dalla nostalgia, ma per recupera-
re l’entusiasmo degli inizi, ricordarne i sacrifici e le
scelte che li hanno accompagnati.
L’oratorio salesiano di San Donà di Piave affonda
le sue radici in un paese sfigurato dalla miseria ma-
teriale del Primo dopoguerra e impoverito nel suo
tessuto morale e spirituale.
I Figli di don Bosco cercano di risollevare gli animi
e la situazione, incidendo sull’anello debole della
catena: la gioventù abbandonata, che “girovaga per
le strade inoperosa e dedita a monellerie”. All’ora-
torio molti di questi ragazzi trovano, non solo un
cortile spazioso dove giocare e un ambiente protet-
to dai pericoli della strada, ma soprattutto un grup-
po di adulti gioiosi, i primi Salesiani, disposti ad
ascoltarli, a parlare con loro, a divertirsi insieme a
loro. Cosa insolita in una società abituata a trattare
i ragazzi con severità e distacco.
Don Luigi Castellotti, pianista e compositore di
talento, apre a questi ragazzi orizzonti impensati,
avvicinandoli al mondo misterioso della musica.
È già banda nei loro sogni
Sogni che trovano concretezza quando don Franch
acquista una quarantina di strumenti di seconda
mano dalla società filarmonica di Ceggia, un pae­
se limitrofo. Ragazzi di età eterogenea hanno così
l’opportunità di vestire una divisa fiammante e di
coltivare talenti fino ad allora impensati.
L’inaugurazione ufficiale della neo Banda Don Bo-
sco viene fissata per il 24 settembre 1932, quarto an-
niversario dell’arrivo dei Salesiani. Questa festa apri-
rà la strada ad una serie di successi che segneranno
gli eventi del calendario religioso e civile della città.
Quarantotto giovanissimi bandisti guidati dal-
le esperte mani del maestro Segattini, partecipano
l’anno successivo alla grande manifestazione a Tori-
no organizzata per la canonizzazione di don Bosco.
Qui sfilano davanti al principe Umberto suonando
l’inno del Piave. È un grande onore: nessuno di loro
aveva varcato, fino ad allora, i confini ristretti del
paesotto di provincia in cui erano nati e cresciuti.
I musicisti sono solo dei ragazzi, a volte incapaci di
leggere un semplice spartito, ma con un orecchio
musicale affinato fin dall’infanzia. In occasione
delle feste paesane del circondario, viaggiano su un
carro trainato da un cavallo, con gli strumenti am-
massati al centro e i ragazzi seduti lungo il perimetro
del mezzo, sballottati qua e là dalle improvvise virate
dovute alle buche che costellano la strada. Un viag-
gio scomodo, ripagato dalla gioia dello stare insieme.
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4.3 Page 33

▲torna in alto
Dopo una parziale fase di inattività durante il pe-
riodo bellico e molti cambiamenti, agli inizi degli
anni Sessanta assume la direzione della banda don
Tarcisio Del Fabro, salesiano con una lunga espe-
rienza musicale maturata negli Oratori di Chioggia
e di Trieste. Con lui il gruppo bandistico trova sta-
bilità tornando a ripercorrere la strada degli inizi,
cioè puntando sui giovanissimi.
Nel corso degli anni, lo spirito di don Bosco fatto
di saggezza, di fantasia, di amore appassionato per
i giovani suggerisce ai maestri di banda che via via
si scambiano la bacchetta, di aprirsi all’innovazione
proponendo repertori sempre più ampi ed impe-
gnativi.
Rimasta forse l’unica Banda Don Bosco ad operare
all’interno di un Oratorio, il gruppo sandonatese
conta attualmente 42 strumentisti di entrambi i
sessi e di età variabile tra i 13 e i 75 anni. Giunta al
traguardo dei novant’anni, l’associazione musicale
ha voluto celebrare il prestigioso anniversario con
l’intera Comunità, in due momenti distinti.
La prima manifestazione, fissata per domenica 16
ottobre 2022, ha visto la Banda esibirsi in concer-
to presso il Teatro Metropolitano astra di San
Donà. È stata un’occasione speciale per condivide-
re con la cittadinanza il piacere della buona musica
e assaporare l’orgoglio di un’appartenenza imple-
mentata nel tempo, come ha sottolineato anche il
sindaco Andrea Cereser.
L’esibizione musicale, diretta magistralmente da
Graziano Cester, ha spaziato dalla musica legge-
ra, ai brani della grande tradizione operistica sen-
za ovviamente tralasciare i moderni arrangiamenti
per banda.
Dopo due ore di attento ascolto, nessuno accennava
ad alzarsi, tanto che è stato necessario segnare la
fine del concerto intonando “Giù dai colli”; l’inno
di don Bosco ha infiammato gli animi di una platea
gremita (tutti i 498 posti erano occupati) che ha
accompagnato coralmente la musica con il canto.
«Novant’anni di attività sono importanti, ma questa
banda sta facendo oggi tanto del bene a noi e alla
città”, ha commentato dal palco a fine concerto il
direttore dell’Oratorio, don Nicola Munari.
Il secondo evento, ospitato in Oratorio la settimana
successiva, è stato incentrato sull’accompagnamen-
to musicale del canto liturgico domenicale. Gli ar-
rangiamenti allegri hanno piacevolmente sorpreso
sia il Vicario generale del Rettor Maggiore dei sa-
lesiani, don Stefano Martoglio, che ha presieduto
l’Eucarestia, sia i concelebranti: don Igino Biffi,
Ispettore dei salesiani del Nord est e don Nicola.
La partecipazione dei bandisti alla Santa Messa è
stata motivo di ringraziamento per il grande pri-
vilegio di portare avanti una delle più importanti
attività di aggregazione create da don Bosco.
All’uscita dalla messa, le note festose della banda
hanno invitato tutti a raccogliersi intorno alla gio-
stra che domina il cortile per il brindisi augurale e
il rinfresco offerti dall’oratorio.
Per l’occasione è stato dato alle stampe un libro,
curato da Ivano Maschietto, che ripercorre fedel-
mente la storia della banda degli ultimi vent’anni,
dando così seguito al precedente volume che ne
raccontava i primi settanta. Una pubblicazione che
nasce dal desiderio di alimentare il ricordo e la gra-
titudine per il tanto bene dato e ricevuto.
Sfogliandone le pagine patinate, si ha quasi l’im-
pressione che i volti delle tante foto si rincorrano
fino quasi a confondersi perché, pur nella naturale
evoluzione, ciò rimane immutato, e ciò che traspa-
re, è il cuore appassionato ed eternamente giovane
di don Bosco.
La banda di
San Donà
oggi, con
il direttore
don Nicola
Munari.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 7
DARE SICUREZZA
I figli hanno tre bisogni
fondamentali: bisogno di sazietà
(bisogno di cibo), bisogno di calore
(bisogno d’amore), bisogno di
sicurezza (bisogno di fermezza).
Qui limitiamo il nostro discorso
a questo terzo bisogno.
A proposito, la psicologa Jacqueline Renaud
è molto esplicita: “I vantaggi della fer-
mezza non hanno bisogno d’essere di-
mostrati: essa favorisce la costruzione di
una forte personalità e l'acquisizione dell’autono-
mia. Nella prima infanzia, poi, ha un ruolo par-
ticolarmente intimo e importante, perché aiuta il
bambino a difendersi dall’ansia”.
Venendo subito al pratico, vediamo in che modo
possiamo offrire sicurezza.
Innanzitutto con il metterci un gradino più in alto
del figlio.
Il rapporto genitore-figli è pedagogicamente ac-
cettabile se è a-simmetrico, cioè se non ci si pone
tutti sullo stesso piano. Essere amichevoli sta bene,
ma un confine ci vuole. “Oggi, invece, i genitori
giovanilizzano, i maestri bamboleggiano” sostiene
il sociologo Franco Garelli. Dello stesso parere è
l’insegnante Mario Lodi: “Mentre una volta erano i
figli ad avere paura dei genitori, oggi sono i genitori
ad avere paura dei figli”.
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4.5 Page 35

▲torna in alto
Forse sono giudizi esagerati, però significativi di
una mentalità che pare prenda sempre più piede.
Per questo arriva quanto mai opportuno il richia-
mo di Charles Galea che per molti anni si è occu-
pato di ragazzi difficili nei riformatori degli Stati
Uniti: “Se avete 40 anni, non comportatevi come
se ne aveste 16. I vostri figli vogliono qualcuno da
rispettare. Forse non hanno il coraggio di dirvelo,
ma non ci sono dubbi su quello che pensano: ‘com-
portatevi da genitori, non da coetanei’”.
Altra via che offre sicurezza ai figli è quella delle
norme, delle regole.
Uno tra i massimi pedagogisti statunitensi dei no-
stri giorni, T. Berry Brazelton, ci manda a dire:
“Qualunque età abbia vostro figlio, gli fate un gran
bene e gli dimostrate quanto lo amate ogni volta
che gli imponete delle buone regole di disciplina.
Un bambino viziato non è un bambino felice. È
soltanto uno che passa di esperienza in esperienza.
La vostra disciplina non è segno di rigore, ma di
dolcezza”.
Finalmente, una terza strada che offre sicurezza è
quella della lode.
Dire “bravo”, “bene”, “mi piace come fai”... rinforza
l’io del figlio, molto più che non un rimprovero: il
rimprovero, infatti, è un rinforzo negativo, mentre
la lode è un rinforzo positivo!
Dunque, e se, da questo momento, imparassimo a
lodare i figli quando si sono lavati bene la faccia e
non solo a sgridarli quando se la sono lavata male?
Una parola buona li rafforza, li incoraggia, mette
loro le ali, fa scoprire qualità che troppi rimproveri
finiscono con il soffocare.
La lode è fondamentale nell’arte di educare. Chi
non si sente mai lodato finisce con il pensare di es-
sere incapace, inadeguato, inferiore agli altri; chi,
invece, è lodato, si sente rinforzato ‘dentro’. In al-
tre parole, lodare è aiutare il figlio a volersi bene.
Esperienza fondamentale perché solo chi viene a
sapere di non essere cattivo, fa il buono! Lodare!
Un proverbio arabo, che già conosciamo, recita: “Se
hai bisogno di un cane, chiamalo leone”. A sua vol-
FORTI CONTRO
LE MINACCE VIRTUALI
Le troppe ore passate sui social rendono i ragazzi ansiosi e dipen-
denti. È necessario riconnettersi ai ritmi del calendario e delle
proprie comunità, istituendo ad esempio un giorno settimanale di
riposo digitale o una serata per la famiglia.
Dare importanza al rito per eccellenza: mangiare insieme (ovvia-
mente senza cellulari sulla tavola). Ritrovare la capacità di concen-
trazione (anche attraverso esperienze di preghiera e meditazione).
Ripartire dallo stupore. Gli adolescenti trascorrono sempre meno
tempo fuori casa, e quando lo fanno sono spesso curvi sullo scher-
mo. Ritrovare lo stupore per la bellezza della natura con una pas-
seggiata in montagna.
Sono importanti i ritmi del sonno. Gli smartphone dovrebbero re-
stare fuori dalla camera da letto almeno 30-60 minuti prima dell’o-
ra in cui si dorme.
Attuare discreti, ma efficaci controlli. Siamo ansiosi di controllare
i nostri figli nella vita reale, magari geolocalizzandoli; li lasciamo
completamente liberi, invece, nel mondo virtuale. Da questo con-
trasto, secondo gli esperti, nasce gran parte dell’ansia. I genitori
imparino, dunque, a usare il parental control sugli smartphone.
Per lo stesso motivo può essere utile far uscire i figli da soli e senza
telefono nel mondo reale, anche andando in gruppo a scuola la
mattina.
Sfruttare con fantasia il tempo di vacanza, lo sport e il gioco. Il gio-
co libero e in presenza è l’antidoto fondamentale al mondo incor-
poreo dei social.
ta, san Francesco di Sales diceva che quando si par-
la è bene pensare all’insalata: “Per fare una buona
insalata, occorre più olio che aceto e sale”. Le lodi
sono quello che è l’olio per l’insalata.
giugno 2024
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
TEMPO DI LEGGEREZZA,
ovvero l’arte
di SVUOTARE
U n’altra estate è alle porte e, come ogni
anno, si fa strada in ognuno di noi il de-
siderio di ritagliarci un tempo prezioso
di pausa e di riposo: un tempo “vuoto”
– come ci ricorda la stessa etimologia della parola
“vacanza”, da vacans, participio presente del verbo
latino vacare, cioè mancare, essere privo – in cui
riappropriarci di una libertà e di una leggerezza
che durante il resto dell’anno spesso ci sono pre-
cluse.
Nella corsa a ostacoli dell’esistenza, in molti casi,
facciamo infatti fatica a sperimentare dei momenti
di autentica spensieratezza. Le nostre giornate di
giovani adulti sono scandite da inderogabili im-
Lo vedi? Arriva un’altra estate,
lo so, non ci credevi più,
che è stato buio l’inverno,
troppo duro, un inferno,
e così immobile la primavera.
Ma tu ora dove sei?
Dimmi dove sei?
Che oggi ti porto via...
E ce ne andiamo al mare,
chissà che effetto fa?
Vediamo se questo tempo ci rincuora,
se questa estate ci consola...
Lo vedi, amico? Arriva un’altra estate
e ormai chi ci credeva più!
Che è stato duro l’inferno,
ma non scaldava l’inverno:
hai pianto troppo questa primavera.
Vediamo se questo tempo
ci rincuora, / se questa
estate ci consola... / E
nuoteremo con il cuore
in gola / fino all’orizzonte,
/ perché in fondo noi in
quell’orizzonte / ci crediamo
ancora, / ci crediamo
ancora...
pegni di lavoro, appesantite da mille incombenze
e occupazioni, programmate meticolosamente in
modo da sfruttare appieno ogni singolo istante, e
persino il tempo “libero” dedicato alla socialità e
allo svago si trasforma non di rado in uno slalom
– tra una cena con gli amici e un allenamento in
palestra, tra una gita fuori porta e un pomeriggio
di shopping – per cercare di incastrare il maggior
numero possibile di attività nel poco tempo a di-
sposizione. Un’interminabile apnea che attraversa
gran parte dell’anno lavorativo, lasciandoci ben
poco spazio in cui ci sia concesso di risalire in su-
perficie e, finalmente, respirare una salutare bocca-
ta di ossigeno.
Nessuno stupore, dunque, se con l’approssimarsi
dei mesi estivi e delle tanto desiderate ferie matura
in noi il bisogno di rallentare i ritmi della nostra
quotidianità frenetica e irrequieta: di svuotare, to-
gliere, alleggerire, per fare spazio alla semplicità di
momenti vissuti all’insegna dell’essenzialità e di
una rigenerante levità. In altre parole, a ciò che può
renderci veramente felici!
Un’esigenza, questa, che appare tanto più urgente e
necessaria in questi tempi di crisi, in cui il nostro
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giugno 2024

4.7 Page 37

▲torna in alto
cuore è spesso gravato da piccole e grandi preoc-
cupazioni, dal «peso di vivere» – come lo definisce
Calvino nella prima delle sue “Lezioni americane” –
che, facendo calare un opprimente velo di inquietu-
dine sulle nostre giornate, ci spinge per reazione a
ricercare una leggerezza da cui ci sentiamo sempre
più alieni.
Lungi dal configurarsi come un futile desiderio di
evasione, come una fuga dalle proprie responsabili-
tà nel segno di un superficiale disimpegno, questa
insopprimibile volontà di leggerezza risponde al
bisogno di ristorarsi nello spirito e ritemprarsi nel
corpo, ritrovando un proprio equilibrio interiore e
ritagliandosi uno spazio di genuino “ben-essere”.
Come ci insegna, infatti, Sant’Agostino con stra-
ordinario acume, la leggerezza di cui abbiamo bi-
sogno non risiede nella “vanitas”, cioè nell’ozio fine
a se stesso, nell’allontanamento elusivo dalla realtà
che ci porta a fuggire i problemi del quotidiano e
i dolori dell’esistenza per rifugiarci a tempo inde-
terminato in una dimensione onirica e falsamente
consolatoria, bensì nella ricerca della “veritas”, gra-
zie alla quale possiamo sfrondare la nostra quoti-
dianità di tutto ciò che è inessenziale, superfluo,
artificioso e recuperare una spontaneità e una liber-
tà interiore che ci consentano di tornare a noi stessi
e al cuore delle cose che fanno bella la nostra vita e
la rendono degna di essere vissuta.
È la semplicità di un tempo vissuto come dono, in
cui sperimentare un contatto intimo e profondo
con la natura e con il suo silenzio, in cui godere con
lentezza e senza fretta della compagnia delle perso-
ne che amiamo, in cui aprirci alla scoperta di nuove
esperienze e relazioni e in cui sospingere lo sguardo
verso orizzonti inesplorati. Un tempo di rinascita,
durante il quale ciò che conta non è tanto cambiare
luogo, quanto mutare prospettiva, per lasciare che
la nostra anima stanca e infreddolita possa essere
rigenerata dalla luce calda ed avvolgente di una
stagione che è metafora della fioritura di rinnova-
te energie con le quali predisporci ad affrontare le
tante sfide che ci attendono.
E tu ora dove sei?
Dimmi dove sei?
Che oggi, se vuoi, ti porto via...
E ce ne andiamo al mare,
chissà che effetto fa?
Vediamo se questo tempo ci rincuora,
se questa estate ci consola...
E nuoteremo con il cuore in gola
fino all’orizzonte,
perché in fondo noi in quell’orizzonte
ci crediamo ancora,
ci crediamo ancora...
Tu ci credi?
Io ci credo ancora!
E ce ne andiamo al mare,
chissà che effetto fa?
Lo vedi? Arriva una tempesta...
E ce ne andiamo al mare,
chissà che effetto fa?
Che poi magari ci consola...
(Diodato, Un’altra estate, 2020)
shutterstock.com
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Un “INSIGNE
BENEFATTORE”
da non dimenticare
Della trentina di lettere di don Bosco al banchiere Giuseppe
Antonio Cotta non siamo riusciti a rintracciarne alcuna.
Fortunosamente però ne abbiamo recuperate altre, con le
quali possiamo meglio conoscere i rapporti di don Bosco con
l’“insigne benefattore che veniva in persona a portargli denaro”,
ma che è piuttosto dimenticato.
Il “banchiere della Provvidenza”
Giuseppe Antonio Cotta (1785-1868), nato a Tori-
no da famiglia baronale, divenne console del com-
mercio della città, banchiere e membro di impor-
tanti istituzioni. Senatore del regno di Savoia dal
1848 e del Regno di Italia dal 1861, ne frequentò
attivamente le sedute fino al trasporto a Firenze,
quando non vi poté più assistere per malferma sa-
lute. L’impegno socio-caritativo esercitato tutta
la vita – era celibe – gli valsero il titolo civile di
“Grande ufficiale dell’Ordine Mauriziano”, quello
ecclesiastico di “Commendatore dell’ordine di S.
Gregorio Magno” e, significativamente, i sopran-
nomi di “banchiere limosiniere” o “banchiere della
Provvidenza”.
I primi rapporti con don Bosco
(1850-1851)
Iniziarono abbastanza presto, probabilmente nel
momento in cui il Cotta sedeva in Consiglio comu-
nale (1849-1852). Infatti il 29 giugno 1850 don Bo-
sco lo invitò espressamente a Valdocco a partecipare
alla festa, posticipata, di S. Luigi e di S. Giovanni.
“Ill.mo Signore / Sebbene sia persuaso che poco tempo
avrò da poter disporre della venerat.ma persona di V.
S. Ill.ma, tuttavia le mando l’orario della nostra festa
affinché se un ritaglio di tempo il permettesse, venga a
vedere una festa, che per noi è la più bella. Nella spe-
ranza che saranno appagati questi miei desideri con
tanto rispetto mi reputo a grande onore il potermi dire
Di V. S. Ill.ma / Obbl.mo servitore/ D. Bosco”.
Il senatore, che il 1° marzo aveva sentito in senato il
collega Ignazio Pallavicini parlare favorevolmente
dell’Oratorio di Valdocco, dovette presumibilmen-
te accogliere il gentile invito.
I rapporti fra il Cotta e don Bosco si strinsero ulte-
riormente nei mesi seguenti tanto che il 19 febbraio
1851 presso il banchiere venne stipulato il contratto
di compra in comune della casa Pinardi e di terreni
attigui da parte di don Bosco, don Borel, don Ro-
berto Murialdo e don Cafasso. Don Bosco riuscì ad
avere a disposizione la cifra da versare (28 500 lire)
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giugno 2024

4.9 Page 39

▲torna in alto
ma le 3500 lire di spese accessorie furono date dal
banchiere stesso.
Di fronte a tale generosità, e confidando ovvia-
mente in quella futura – nel corso dell’anno infat-
ti il banchiere avrebbe offerto altre 8700 lire – si
comprende come don Bosco il 20 luglio successivo
lo abbia invitato per la posa ufficiale della prima
pietra dell’erigenda chiesa di S. Francesco di Sales.
Non solo, ma data la sua professione, don Bosco gli
affidò il ruolo di tesoriere all’interno dalla Com-
missione organizzatrice della lotteria in favore della
suddetta chiesa (dicembre 1851).
Anni dopo (1858-1860)
Non si hanno più notizie dei rapporti fra don Bosco
e il senatore fino all’11 ottobre 1858 quando il san-
to gli fece pervenire “un paio di pere”. Commovente
nella sua semplicità il biglietto di accompagnamen-
to: Benemerito Signore, / sono andato alcuni giorni
a Castelnuovo di Asti colla maggiore parte de’ nostri
ragazzi per far loro godere un po’ di campagna. Desi-
derava portarle di là qual che rarità delle nostre vigne,
e mi parve che un paio di pere del nostro giardino forse
sarebbero dalla bontà di Lei gradite. Ella dunque sia
cortese di accettarle, non già pel valore commerciale che
è nullo, ma come segno di gratitudine da parte mia e da
parte dei miei ragazzi… Sac. Bosco Gio’”.
Gli aiuti finanziari del banchiere all’Oratorio di
Valdocco continuarono, fino ad offrire a don Bo-
sco nel luglio 1860 oltre 30 mila lire (poco meno
della metà dell’esborso totale) per l’acquisto di casa
Filippi. Se ne dovette ricordare il santo che il 1°
novembre 1861 gli annunziò preghiere in suffragio
dei suoi defunti: “Benemerito Signore / nel desiderio
di dare un segno di gratitudine verso di V. S. B. pei
molti tratti di carità compiuti verso questa casa, ho
pensato di farle cosa gradevole e consentanea alla bontà
del suo cuore coll’offerire secondo la pia di Lei inten-
zione quanto dimani si fa in questa nostra chiesa. Ella
dunque offra per quei fini che meglio crederà le messe,
preghiere, comunioni, ed altri esercizi di pietà che in
tale giorno noi of[ f]riamo al Signore… Sac. Bosco Gio”.
Due lotterie (1861-1868)
Cassiere, come si è detto, nella partecipatissima
lotteria del 1861 (208 mila biglietti venduti), dovet-
te affrontare un “incidente di percorso”. Vincitori
dello stesso premio – un quadro – risultarono gli
acquirenti di due biglietti staccati da matrici diver-
se. La Commissione organizzatrice nella seduta del
23 novembre 1862 accettò il suggerimento del te-
soriere: tentare una via conciliativa, con l’offerta di
500 lire a chi dei due non fosse stato favorito dalla
sorte in una nuova estrazione; in caso di disaccor-
do, allo stesso sarebbe andato il valore economico
del quadro, una volta fatto stimare da competenti
(5000 lire). Cosa che di fatto avvenne. Avrà il Cot-
ta rimpiazzato la cifra persa da don Bosco? Chissà?
Per la terza volta nel 1866 il Cotta fu nominato cas-
siere della lotteria di oggetti lanciata “a favore degli
Oratori maschili… in Torino e per l’ultimazione
di una chiesa in Valdocco [Maria Ausiliatrice]. Il
Cotta ne poté vedere la conclusione con l’estrazione
del 1° marzo 1867.
Ma ormai anziano la salute peggiorava e in occasione
di un imminente pericolo di morte a don Bosco che lo
invitava a confidare nella Vergine Ausiliatrice, avreb-
be promesso, se fosse guarito, di offrire per sei mesi
2000 franchi per la chiesa in costruzione. Cosa che
fece pochi giorni dopo per la prima rata e successiva-
mente le altre, venendo poi a morire ottantatreenne
pochi mesi dopo l’inaugurazione della chiesa.
La chiesa di
San Francesco
di Sales a
Valdocco.
Il banchiere
Cotta fu
invitato
alla posa
della prima
pietra, per
ringraziamento
dei suoi
generosi
contributi.
giugno 2024
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo per la canonizzazione del Beato Giuseppe Kowalski,
di cui ricorre quest’anno il 25° della Beatificazione.
Giuseppe Kowalski (Siedliska, Po-
lonia, 13 marzo 1911 – Auschwitz,
Polonia, 4 luglio 1942), diventato
salesiano, alimentò un intenso de-
siderio spirituale: «Soffrire ed es-
sere disprezzato per te, Signore».
Ordinato sacerdote il 29 maggio
1938, si impegnò nel lavoro edu-
cativo e pastorale presso l’opera
salesiana di Cracovia, svolgendo
anche l’ufficio di segretario ispet-
toriale. Il 23 maggio 1941, insieme
con altri salesiani venne arrestato
dai nazisti e portato nel campo
di sterminio di Auschwitz, dove
venne identificato con il numero
17 350. Non smise mai di eserci-
tare un intenso ministero sacerdo-
tale tra i compagni di prigionia. A
seguito del rifiuto di calpestare la
corona del rosario subì umiliazio-
ni e oltraggi fino al martirio. San
Giovanni Paolo II l’ha proclamato
beato il 13 giugno 1999 a Varsavia,
insieme a un gruppo di 108 martiri
polacchi, vittime della persecuzio-
ne nazista durante la Seconda
guerra mondiale.
Preghiera
O Dio, che hai suscitato nel beato Giuseppe [Kowalski], presbitero,
il d esiderio della santità e la prontezza nel donare la vita per amore
di Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
la forza per affrontare le avversità della vita
e abbracciare la croce, via di salvezza.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
L’11 aprile 2024 nel corso del Congresso peculiare dei Con-
sultori Teologi presso il Dicastero delle Cause dei Santi è stato
espresso parere positivo circa la Positio super martyrio del Servo
Elia Comini, Sacerdote Professo della Società Salesiana di San
Giovanni Bosco (1910-1944), ucciso in odio alla fede nella strage
nazista di Monte Sole il 1° ottobre 1944.
Ringraziano
Ho avuto un figlio down a 25
anni già consapevole in gra-
vidanza e alla nascita viene al
mondo con leucemia mieloide
acuta. Quando Antonio compie
i cinque anni penso che un altro
figlio mi avrebbe dato consolazio-
ne ma lo perdo al secondo mese,
poi ancora esattamente dopo un
anno lo perdo ancora. Dispera-
ta e sfiduciata specialmente nei
medici, mi affido alla Madonna
che traccia un percorso per farmi
incontrare una dottoressa a cui mi
affido e in questa circostanza la
gravidanza tanto attesa procede
e sotto la protezione e affidamen-
to a san Domenico Savio nasce
la mia seconda figlia Ilenia Maria
Rita. Sono exallieva salesiana e
devota a san Domenico Savio e
l’abitino lo porto sempre con me
e l’ho regalato a quattro donne
che desideravano un figlio e an-
che in circostanze difficili hanno
avuto il figlio tanto desiderato.
Grazie a san Domenico Savio e
alla Madonna.
(NN)
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giugno 2024

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ANS
Monsignor Alois Kothgasser
Morto a Salisburgo il 22 febbraio 2024, a 87 anni
I Salesiani di Don Bosco dell’Ispet-
toria “Angeli Custodi” dell’Austria
hanno comunicato con profon-
do cordoglio la scomparsa del
loro confratello monsignor Alois
Kothgasser, Vescovo Emerito di
Salisburgo. Il prelato salesiano si è
spento giovedì scorso, 22 febbraio
2024, presso il seminario di Sali-
sburgo, alla presenza dei suoi fa-
migliari più stretti, dei seminaristi
che aveva accompagnato come pa-
store, e dell’Arcivescovo Metropoli-
ta di Salisburgo, monsignor Franz
Lackner, OFM, che ha espresso la
sua profonda tristezza per la morte
di monsignor Kothgasser, ma an-
che la sua grande gratitudine per
il “modello di mitezza” di questo
“vescovo incentrato sull’uomo”.
Monsignor Kothgasser è stato un
modello per molti nel suo impe-
gno per l’unità e la comunione.
“Fare la verità nella carità” non a
caso fu il suo motto episcopale,
che visse sempre con profonda
fede e instancabile impegno ver-
so le persone.
Alois Kothgasser nacque il 29
maggio 1937 a Sankt Stefan, nel
distretto di Feldbach, in Stiria. Ha
frequentato la scuola primaria e
secondaria inferiore nella sua par-
rocchia d’origine e poi, all’età di
18 anni è entrato a far parte della
Congregazione dei Salesiani di Don
Bosco, emettendo i suoi primi voti
il 16 agosto 1955 e quelli perpetui
esattamente tre anni dopo. Dopo
essersi diplomato all’istituto “Don
Bosco” di Unterwaltersdorf, ha
svolto un tirocinio di tre anni come
educatore a Unterwaltersdorf e
Klagenfurt. Ha ultimato gli studi
di Filosofia e Teologia a Torino, ve-
nendo ordinato sacerdote il 9 feb-
braio 1964 nella Basilica di Maria
Ausiliatrice a Torino.
Seguirono ulteriori studi a Roma,
presso l’allora Pontificio Ateneo
Salesiano (PAS). Dopo aver conse-
guito il Dottorato in Teologia, con
una tesi sullo sviluppo del dogma
nella visione cattolica, Kothgasser
ha poi lavorato presso il PAS come
Professore associato di Dogmati-
ca e Responsabile dell’Istituto di
Spiritualità Salesiana.
Era un insegnante sempre pre-
parato che cercava la chiarezza
dell’esposizione e una cordiale
comunicatività con gli allievi.
Sempre cortese e disponibile, era
apprezzato da tutti.
Il fulcro della sua pluriennale
attività accademica fu Bene-
diktbeuern, in Baviera, vicino al
confine austriaco, dove insegnò
Dogmatica e fu Rettore del centro
per diversi anni (dal 1982 al 1988
e dal 1994 al 1997).
L’attuale Superiore dell’Ispettoria
AUS, don Siegfried M. Kettner,
exallievo del compianto presu-
le salesiano, oggi ricorda: “Don
Kothgasser ha formato innumere-
voli giovani sacerdoti – austriaci e
non solo – ed è stato per noi un
modello non solo per la sua fede,
ma soprattutto per la sua mode-
stia. Già allora, da studente, mi
dicevo: ’Se c’è qualcuno che ha le
carte in regola per diventare ve-
scovo, quello è Kothgasser’”.
Nominato Vescovo di Innsbruck
da papa Giovanni Paolo Il nell’ot-
tobre del 1997, fu pastore di
quella diocesi per 5 anni, fino al
novembre del 2002.
Il 23 novembre 2002 il capitolo
dei canonici della cattedrale di
Salisburgo lo selezionò come nuo-
vo arcivescovo di Salisburgo. Il 27
dello stesso mese papa Giovanni
Paolo II lo nominò ufficialmente
e prese possesso dell’arcidiocesi
il 19 gennaio successivo. Come ar-
civescovo deteneva anche i titoli
di primate di Germania e legatus
natus a Salisburgo.
Nel suo stile pastorale ritenne
importante apportare lo spirito
di don Bosco. Era particolarmente
importante per lui “raggiungere i
giovani, specialmente quelli che
vivono in povertà in vari modi,
specialmente nella povertà delle
relazioni”, come ebbe a sottoli-
neare in un’intervista. Era questo
il modo in cui voleva far vivere la
spiritualità di don Bosco.
In seno alla Conferenza Episcopa-
le Austriaca fu responsabile della
liturgia, dei seminari, delle facoltà
e dei collegi teologici e dei teolo-
gi laici, e in tutti questi ambiti si
mostrò un vescovo attento al suo
popolo.
Divenuto Vescovo emerito dal
2013, ha trascorso quasi nove
anni presso il Centro spirituale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice a
Baumkirchen, dove ha continuato
a lavorare per la Chiesa e a cele-
brare funzioni religiose, battesi-
mi, prime comunioni, ordinazioni
e molto altro, fino a quando, nel
2022, si è trasferito al seminario
dell’Arcidiocesi di Salisburgo.
Saputo della sua scomparsa, il
vescovo di Bolzano-Bressanone,
monsignor Ivo Muser, ha commen-
tato: “L’Arcivescovo Alois Kothgas-
ser è stato per me un modello
episcopale e un amico episcopale.
Si caratterizzava per il suo modo
equilibrato, paterno e capace di
unire, per la sua vicinanza alle
persone, per la sua capacità di
ascolto, per la sua spiritualità sa-
lesiana e anche per la sua chiarez-
za teologica”.
giugno 2024
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere: Asi, Lot, Nos,
Rca, Ska.
Parole di 4 lettere: Buoi, Noni,
Orde, Reno.
Parole di 5 lettere: Agorà, Brest,
Hegel, La Paz, Praga, Scafo, Stipo,
Strip, Trave.
Parole di 6 lettere: Adesso,
Alcapp, Indaco, Murena, Restia,
Zenone.
Parole di 7 lettere: Operose,
Ramarri, Redente.
Parole di 8 lettere: Oppiaceo.
? Parole di 9 lettere: Sbirciare.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso, Parole di 10 lettere: Anestetico,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le Esalazioni, Stabulario.
?
parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 11 lettere: Riappendere,
La soluzione nel prossimo numero.
Sansepolcro.
SALESIANI A NAPOLI
La città italiana più meridionale visitata da don Bosco fu Napoli, nel 1880, e in
quel viaggio il Santo celebrò messa nella chiesa di San Giuseppe in via Medina
assistito da un piccolo ministrante, Peppino Brancati. Questi, anni dopo, si recò
a Valdocco e lì intraprese il percorso che lo portò ad essere il primo salesiano
del Sud. Nel 1934 alla periferia di Napoli, nel quartiere della Doganella, i sale-
siani locali iniziarono il difficile lavoro di accoglienza e formazione, spirituale,
pratica e sociale, dei numerosi giovani. I locali erano pochi e inadatti, inoltre la
guerra rallentò le attività. Si riprese nel ’54 quando fu iniziata la costruzione,
con il sostanzioso aiuto di benefattori privati e pubblici, del grande Istituto che è ancora il centro della vita salesiana a Napoli e che già allora
accoglieva centinaia di ragazzi del collegio e dell’oratorio. Nel 1959 vi fu l’inaugurazione ufficiale da parte del Presidente della Repubblica
Giovanni Gronchi. Vent’anni dopo fu riconosciuto giuridicamente con il nome di Istituto “Ernesto Menichini”, promotore di attività educative
a favore dei ragazzi a rischio, congiuntamente al convitto e alle case famiglia. Il cortile con lungo porticato è il baricentro: un ampio spazio
Soluzione del numero precedente
diviso in quattro campi da calcio, uno da basket e uno da pallavolo. In pratica una “piazza” a misura
di ragazzo, la XXX. Questo luogo è prezioso perché sorge in una zona della città priva di spazi de-
dicati ai ragazzi, che spesso sono costretti a stare per la strada. Il cortile è uno dei pilastri del sistema
educativo salesiano e si caratterizza con la sua vocazione all’incontro, all’ospitalità, al dialogo. Luogo
di gioia e di festa. Iniziative collaterali, ma non meno importanti sono il laboratorio-pizzeria sociale
“Anem e pizz” in cui i giovani aspiranti pizzaioli imparano l’antico mestiere e il centro “Le Ali” per il
riscatto sociale e l’integrazione dei minori affidati dai servizi sociali o dal tribunale.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
Lo SPAVENTAPASSERI
U na volta un cardellino fu
ferito a un’ala da un
cacciatore. Per qualche
«Cardellino, mangia i miei denti:
sono ottimi granelli di mais».
«Ma tu resterai senza bocca».
diceva lo spaventapasseri al cardellino.
Toccò poi alle noci che servivano da
occhi. «Mi basteranno i tuoi raccon-
tempo riuscì a sopravvivere con
«Sembrerò molto più saggio».
ti», diceva lui.
quello che trovava per terra. Poi,
Lo spaventapasseri rimase senza
Infine lo spaventapasseri offrì al car-
terribile e gelido, arrivò l’inverno. bocca, ma era contento che il
dellino anche la zucca che gli faceva
Un freddo mattino, cercando
suo piccolo amico vivesse. E gli
da testa.
qualcosa da mettere nel becco, il
sorrideva con gli occhi di noce.
Quando arrivò la primavera, lo
cardellino si posò su uno spaven-
Dopo qualche giorno fu la volta del spaventapasseri non c’era più. Ma il
tapasseri. Era uno spaventapasseri naso di carota.
cardellino era vivo e spiccò il volo nel
molto distinto, grande amico di
«Mangialo. È ricco di vitamine»,
cielo azzurro.
gazze, cornacchie e volatili vari.
Aveva il corpo di paglia infagotta-
?
to in un vecchio abito da cerimo-
nia; la testa era una grossa zucca
arancione; i denti erano fatti con
granelli di mais; per naso aveva
una carota e due noci per occhi.
«Che ti capita, cardellino?», chiese
lo spaventapasseri, gentile come
sempre.
«Va male – sospirò il cardellino. –
Il freddo mi sta uccidendo e non
ho un rifugio. Per non parlare del
cibo. Penso che non rivedrò la
primavera».
«Non aver paura. Rifugiati qui
sotto la giacca. La mia paglia è
asciutta e calda».
Così il cardellino trovò una casa
nel cuore di paglia dello spaven-
tapasseri. Restava il problema del
cibo. Era sempre più difficile per
il cardellino trovare bacche o semi.
Un giorno in cui tutto rabbrividiva
sotto il velo gelido della brina, lo
Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane
e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo
diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate;
questo è il mio corpo
spaventapasseri disse dolcemente al
cardellino:
(Matteo 26,26)
giugno 2024
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Un progetto pilota nato per integrare
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culturale del territorio, le famiglie
afghane rifugiate e renderle
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“Siamo con Voi!:
Cammini di integrazione
per le Famiglie Afghane”
Approfondisci l’articolo a pag. 6 di questo numero oppure su
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