07-Luglio-Agosto-2024

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
linvitato
Il Mago
Sales
le case di don bosco
Molfetta
Grazie,
MONSIGNOR ÁNGEL LUGLIO/
AGOSTO
2024

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
DISARCIONATO!
(E salvato da un asino)
I n quell’anno 1841, don
Bosco, ordinato da poco,
dava una mano in parroc-
chia. Era cercatissimo per le prediche
e così era invitato in tutti i paesi dei
dintorni. Una domenica, per predi-
care in un paese piuttosto lontano,
decise di servirsi di un cavallo. Ma la
sua cavalcata durò poco. Spaventato
da uno stormo di passeri, il cavallo si
imbizzarrì e scaricò don Bosco su un
mucchio di pietre. Dall’alto della
collina, un asino che pascolava se ne
accorse e cominciò a ragliare. Il
padrone dell’asino accorse e portò
don Bosco in casa e mandò a chia-
mare il medico.
«Dove mi trovo? Dio vi compensi
di tanta carità, mio buon amico».
Bisbigliò don Bosco appena rinvenne.
«Siete sulla collina di Bersano, in
casa di Giovanni Calosso, sopran-
nominato Brina. Anch’io ho avuto
bisogno degli altri. Parecchi anni
or sono, di autunno, io era andato
ad Asti con il mio somarello a fare
provvigioni per l’inverno. Nel ritor-
no, giunto nelle valli di Morialdo, la
mia povera bestia, carica assai, cadde
in un pantano e restò immobile.
Ogni sforzo per rialzarla era inutile.
Era mezzanotte, tempo oscurissi-
mo e piovoso. Non sapendo più che
fare, mi diedi a gridare chiamando
aiuto. Dopo alcuni minuti, dal vicino
casolare vennero un chierico, un suo
fratello, con due altri uomini por-
tando fiaccole accese. Mi aiutarono
a scaricare la giumenta, la tirarono
fuori dal fango, e condussero me e
tutte le cose mie, in casa loro. Io era
mezzo morto; ogni cosa imbrattata
di melma. Mi pulirono, mi ristora-
rono con una stupenda cena, poi mi
diedero un letto morbidissimo. Al
mattino prima di partire ho voluto
dare compenso come di dovere. Il
chierico ricusò tutto dicendo: “Può
darsi che domani siamo noi ad aver
bisogno di voi! Se sapessi che cosa
fare per quella buona famiglia! Che
buona gente!»
A quelle parole, don Bosco si com-
mosse. «Come si chiamavano?»
«Famiglia Bosco, soprannominata
Boschetti. Ma perché si mostra tanto
commosso? Forse conosce quella fa-
miglia? Vive, sta bene quel chierico?»
«Quel chierico, mio buon amico, è
quello stesso che adesso sta qui in
casa vostra, in questo letto.
La divina Provvidenza ha voluto
farci conoscere con questo fatto, che
chi fa carità ne aspetti».
Giunto di lì a poco il medico, trovò
che non esistevano rotture, e perciò
in pochi giorni, don Bosco poté ri-
partire sul ritrovato cavallo. Giovan-
ni Brina rimase per sempre uno dei
suoi più cari amici.
E il più felice era il provvidenziale
somaro.
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
linvitato
Il Mago
Sales
le case di don bosco
Molfetta
Grazie,
MONSIGNOR ÁNGEL LUGLIO/
AGOSTO
2024
LUGLIO/AGOSTO 2024
ANNO CXLVIII
NUMERO 7
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Il nostro amato Rettor Maggiore,
chiamato dal Papa, saluta la Congregazione
Salesiana (Foto di Renato Ricci).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Sul fronte della droga
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Il Mago Sales
16 LE CASE DI DON BOSCO
Molfetta
20 STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Hanno solo bisogno di un amico
26 EVENTI
Intelligenza artificiale
28 SALESIANI
Giulio Valotti
32 FMA
Angola
34 COME DON BOSCO
Giocare
36 LA LINEA D’OMBRA
L’indignazione non basta!
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
12
20
32
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, , Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massimo,
Nicola Antonio Farinola, Ángel Fernández
Artime, Antonio Labanca, Sarah Laporta,
Carmen Laval, Cesare Lo Monaco, Natale
Maffioli, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Tra AMMIRAZIONE
e DOLORE
Oggi vi saluto per l’ultima volta
da questa pagina del Bollettino
Salesiano. Il 16 agosto, nel giorno
in cui si commemora la nascita
di don Bosco, termina il mio
servizio come Rettor Maggiore
dei Salesiani di Don Bosco.
È sempre un motivo per ringraziare, sempre Grazie! Innanzitutto a Dio,
alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana, a tante persone care e amiche,
a tanti amici del carisma di don Bosco, i molti benefattori.
A nche in questa occasione il mio saluto
trasmette qualcosa che ho vissuto recen-
temente. Di qui il titolo di questo saluto:
Tra ammirazione e dolore. Vi racconto
la gioia che ha riempito il mio cuore a Goma, nella
Repubblica Democratica del Congo, ferita da una
guerra interminabile, e la gioia e la testimonianza
che ho ricevuto ieri.
Tre settimane fa , dopo aver visitato l’Uganda (nel
campo profughi di Palabek che, grazie all’aiuto e al
lavoro salesiano di questi anni, non è più un campo
per rifugiati sudanesi ma un luogo dove decine di
migliaia di persone si sono insediate e hanno tro-
vato una nuova vita), ho attraversato il Ruanda e
sono arrivato al confine nella regione di Goma, una
terra meravigliosa, bella e ricca di natura (e proprio
per questo così desiderata e desiderabile). Ebbene, a
causa dei conflitti armati, in quella regione ci sono
più di un milione di sfollati che hanno dovuto la-
sciare le loro case e la loro terra. Anche noi abbiamo
dovuto lasciare la presenza salesiana a Sha-Sha, che
è stata occupata militarmente.
Questo milione di sfollati è arrivato nella città di
Goma. A Gangi, uno dei quartieri, c’è l’opera sale-
siana “Don Bosco”. Sono stato immensamente feli-
ce di vedere il bene che là viene fatto. Centinaia di
ragazzi e ragazze hanno una casa. Decine di ado-
lescenti sono stati tolti dalla strada e vivono nella
casa di don Bosco. Proprio lì, a causa della guerra,
hanno trovato casa 82 bambini neonati e ragazzini
e ragazzine che hanno perso i genitori o sono stati
lasciati indietro (“abbandonati”) perché i genitori
non potevano occuparsene.
E lì, in quella nuova Valdocco, una delle tante Val-
docco del mondo, una comunità di tre suore di San
Salvador, insieme a un gruppo di signore, tutte so-
stenute dalla casa salesiana con aiuti che arrivano
grazie alla generosità dei benefattori e della Provvi-
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denza, si prendono cura di questi bambini e bambi-
ne. Quando sono andato a trovarli, le suore avevano
vestito tutti a festa, anche i bambini che dormivano
nelle loro culle. Come non sentire il cuore pieno di
gioia per questa realtà di bontà, nonostante il dolo-
re causato dall’abbandono e dalla guerra!
Ma il mio cuore è stato toccato quando ho incon-
trato alcune centinaia di persone che sono venute
a salutarmi in occasione della mia visita. Sono tra
i 32 000 sfollati che hanno lasciato le loro case e la
loro terra a causa delle bombe e sono venuti a cer-
care rifugio. Lo hanno trovato nei campi da gioco
e nei terreni della casa Don Bosco di Gangi. Non
hanno nulla, vivono in baracche di pochi metri
quadrati. Questa è la loro realtà. Insieme cerchiamo
ogni giorno un modo per trovare da mangiare. Ma
sapete che cosa mi ha colpito di più? La cosa che
mi ha colpito di più è che quando ero con queste
centinaia di persone, per lo più anziani e madri con
bambini, non avevano perso la loro dignità e non
avevano perso la loro gioia o il loro sorriso. Sono
rimasto stupito e il mio cuore si è rattristato per
tanta sofferenza e povertà, anche se stiamo facendo
la nostra parte nel nome del Signore.
Un concerto straordinario
Ho provato un’altra grande gioia quando ho ri-
cevuto una testimonianza di vita che mi ha fatto
pensare agli adolescenti e ai giovani delle nostre
presenze, e a tanti figli di genitori che forse mi leg-
gono e che sentono che i loro figli sono demotivati,
annoiati dalla vita, o che non hanno passione per
quasi nulla. Tra gli ospiti della nostra casa, in questi
giorni, c’era una straordinaria pianista che ha gi-
rato il mondo dando concerti e che ha fatto parte
di grandi orchestre filarmoniche. È un’exallieva dei
Salesiani e ha avuto un salesiano, ora scomparso,
come grande riferimento e modello. Ha voluto of-
frirci questo concerto nell’atrio del tempio del Sa-
cro Cuore come omaggio a Maria Ausiliatrice, che
tanto ama, e come ringraziamento per tutto ciò che
è stata la sua vita finora.
E dico quest’ultima cosa perché la nostra cara ami-
ca ci ha regalato un concerto meraviglioso, con una
qualità eccezionale a 81 anni. Era accompagnata
dalla figlia. E a quell’età, forse quando alcuni dei
nostri anziani in famiglia hanno già detto da tempo
che non hanno più voglia di fare nulla, né di fare
nulla che richieda uno sforzo, la nostra cara amica,
che si esercita ogni giorno al pianoforte, muoveva
le mani con un’agilità meravigliosa ed era immersa
nella bellezza della musica e della sua esecuzione.
La buona musica, un sorriso generoso alla fine del-
la sua esibizione e la consegna delle orchidee alla
Vergine Ausiliatrice erano tutto ciò di cui avevamo
bisogno in quella meravigliosa mattinata. E il mio
cuore salesiano non ha potuto fare a meno di pen-
sare a quei ragazzi, ragazze e giovani che forse non
hanno avuto o non hanno più nulla che li motivi
nella loro vita. Lei, la nostra amica concertista, a 81
anni vive con grande serenità e, come mi ha detto,
continua a offrire il dono che Dio le ha fatto e ogni
giorno trova sempre più motivi per farlo.
Un’altra lezione di vita e un’altra testimonianza che
non lascia il cuore indifferente.
Grazie, amici miei, grazie dal profondo del cuore
per tutto il bene che stiamo facendo insieme. Per
quanto piccolo possa essere, contribuisce a rendere
il nostro mondo un po’ più umano e più bello. Che
il buon Dio vi benedica.
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DON BOSCO NEL MONDO
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Sul fronte
della
DROGA
Fotografie di Ester Negro
Il “terminale” costituito in Italia
da Missioni Don Bosco, rispetto
all’attività educativa e sociale
svolta dai Salesiani in 136 Paesi,
segnala la contiguità stretta
fra mancato sviluppo di molte
realtà del Sud del mondo e lo
spadroneggiamento dei criminali
della droga.
La dimensione internazionale del consumo
di droghe sfugge ordinariamente alla mera
osservazione dell’impatto che ne registria-
mo per le nostre strade. O, meglio, abbia-
mo sicuramente la percezione dell’esistenza di una
rete globale di produzione e distribuzione dei vari
prodotti, ma siamo più colpiti dalla vista distur-
bante degli spacciatori sotto casa o dalle cronache
locali che annotano tristemente crimini e decessi
collegati al narcotraffico.
Sembra meno interessante per la nostra opinione
pubblica considerare gli effetti – che le sostanze na-
turali o artificiali allucinogene seminano lungo il
loro cammino – sulle persone implicate o involon-
tariamente coinvolte nei Paesi di origine e di tran-
sito. Eppure, emergono di tanto in tanto le molte
violenze nelle metropoli o le battaglie campali fra
esercito e squadre armate, che sorgono dalla con-
correnza per il controllo dei campi di coltivazione o
dei laboratori di manipolazione delle molecole po-
tenzialmente omicide.
Anche l’Onu attraverso il suo Ufficio contro la dro-
ga e il crimine evidenzia che “soprattutto nei Paesi a
basso e medio reddito, dove vive circa l’86% della po-
polazione mondiale, le sfide legate alla droga pongono
difficili dilemmi politici. La questione non può essere
affrontata da un solo Paese o regione”.
Quando si dice di “economie della droga” si in-
tendono vaste regioni o intere nazioni investite
dal fenomeno: preoccupano i governi che non solo
tollerano ma affidano a questo particolare export
l’equilibrio dei bilanci statali. Ci spaventa – giu-
stamente – il calcolo che qualche potenza straniera
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può fare per erodere dall’interno la forza fisica e
morale di un “nemico” mediante la costante infil-
trazione nel suo territorio di sostanze allucinogene
e distruttive dell’organismo. Come non pensare
che la guerra finanziaria e commerciale si possa
combattere anche indebolendo la popolazione del
competitore? È l’interrogativo che può nascere
ad esempio dall’allarme per il fentanyl che è stato
lanciato in Italia recentemente dal Ministero della
Salute, già prefigurato da Vita con un articolo di
Paolo Manzo nel giugno dello scorso anno come
“droga da supermercato”. La circolazione di questo
oppiaceo di grande potenza e a costo concorrenzia-
le avvicina molto il narcotraffico alla guerra biolo-
gica che ci preoccupa almeno quanto quella con i
missili.
Il caso Haiti
Il “terminale” costituito in Italia da Missioni Don
Bosco, rispetto all’attività educativa e sociale svol-
ta dai Salesiani in 136 Paesi, segnala la contiguità
stretta fra mancato sviluppo di molte realtà del Sud
del mondo e lo spadroneggiamento dei criminali
della droga.
Il caso più eclatante è costituito da Haiti, dove si
erge un nodo di smistamento dei carichi dal Sud
al Nord America, il quale richiede l’assenza di un
potere democratico che tenti di arginarlo. In que-
ste settimane ce ne siamo accorti per l’impossibile
equilibrio istituzionale nell’isola, dove un presi-
dente “a tempo”, eletto dopo l’assassinio del suo
predecessore, non può o non vuole indire le ele-
zioni; ma la popolazione e il sistema amministra-
Nella lotta
contro la
diffusione
della droga
tra i giovani
i Salesiani
sono in prima
linea. Qui don
Eric Meert in
Congo.
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DON BOSCO NEL MONDO
resistono, ma condivide uno sfogo personale:
Siamo ‘tra coloro che son sospesi’: un brutto Purga-
torio, ma per purgare cosa? La nostra grande scuola
professionale Enam (la prima opera salesiana in Hai-
ti nel lontano 1936) è occupata dai banditi, e il suo
direttore, don Lex Florival, è stato picchiato e tenuto
in ostaggio per tre settimane, liberato dopo aver pa-
gato una grande somma. Anche il centro Lakay Don
Bosco per i ragazzi di strada è occupato da bande
armate. A Port-au-Prince è un inferno”.
Come pensare di contrastare commercio e consumo
di droghe in un contesto simile? Più che un esempio
di intervento preventivo e di recupero, lo sguardo
internazionale oggi segnala l’estremo limite al quale
può arrivare la diffusione del fenomeno della tossi-
codipendenza.
La droga è un
meccanismo
incredibilmente
perfido che
distrugge
migliaia di vite
giovani.
tivo sono in balìa della delinquenza, organizzata
e armata fino ai denti, dunque difficile pensare a
votazioni regolari. Il consumo di droghe è l’olio
che fa girare questa macchina dell’assurdo, dal
momento che gli spacciatori vengono ingaggiati
dall’offerta di qualche dose quale benefit
per il “lavoro” che fanno, e i più violenti
fanno carriera proteggendo il carico
e scarico dal porto o dall’aeroporto
della capitale.
L’eroismo dei missionari e di tanti
operatori del sociale che resisto-
no ad Haiti sta nel perseguimen-
to di una normalità che consenta
ai bambini e ai ragazzi di
frequentare una scuola, di
essere protetti nell’andarci
e nel tornare a casa. Che
possano costruirsi un fu-
turo affidato alle mani
e all’intelligenza di un
lavoro onesto. Un sa-
lesiano, don Attilio
Stra, ultraottanten-
ne, è fra quelli che
Le disperate droghe dei poveri
Altri Paesi sono ampiamente incamminati su que-
sta china: il Venezuela vede all’interno del governo
consumatori assidui di sostanze, e le politiche che
ne conseguono hanno il profumo di queste; l’Equa-
dor è la nuova piazza di partenza del narcotraf-
fico, più accessibile perché il Paese non ha
dimestichezza con il contrasto a questo:
qui c’è un margine di difesa, se la si-
tuazione non precipita.
In Africa la droga serve ad aizzare le
truppe irregolari a servizio di qual-
che interesse neocolonialista, per
sfondare linee di demarcazione e per
fomentare odii razziali, per impe-
dire l’accesso ai civili in zone
riservate allo sfruttamen-
to economico. Oppure è
impiegata per costringere
ragazze e ragazzi alla pro-
stituzione, come accade in
molti Paesi asiatici (e, non
dimentichiamolo, in mol-
ta parte dell’Europa). Ci
sono progetti (ad esem-
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1.9 Page 9

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pio in Sierra Leone) dedicati
espressamente alle bambine
sfruttate, per sottrarle alla
tratta, e alle giovani, che pos-
sono acquisire competenze per
un lavoro dignitoso attraverso
corsi di avviamento. Nigeria,
Gabon, Senegal, Costa d’A-
vorio Repubblica democratica
del Congo sono bloccati nel
loro sviluppo anche dal cre-
scente numero di giovani tos-
sicodipendenti.
Ma parlare di droghe è un
“lusso” in certe situazioni. In
Perù i ragazzi inalano colle in-
dustriali e altri prodotti chimici volatili pur di stor-
dirsi, per affrontare così il nulla di lunghe giornate;
in Angola grattano i muri e bruciano la polvere che
ne ricavano con la sola funzione di interferire con
l’apparato respiratorio e, a catena, con quelli circola-
tori e cerebrali. Lo “sballo” è garantito.
Salesiani in prima linea
C’è un intervento esemplare dei Salesiani in Co-
lombia. A Medellin, la città che ospita i cartelli più
potenti del narcotraffico, sulla collina è attivo dal
2001 un centro “Don Bosco” che ha diversi obietti-
vi, tutti inerenti alla condizione di vita dei bambini
e degli adolescenti, da chi non ha famiglia o vive in
condizioni di miseria. Offre sostegno materiale e
psicologico, con percorsi anche lunghi e per questo
vissuti in modalità residenziale; imparano un me-
stiere per costruirsi un futuro sostenibile. Fra questi
giovanissimi sono stati accolti, d’intesa con il go-
verno, anche gli ex soldati ingaggiati in età scolare
dalla guerriglia, ammantatasi in origine del titolo
di “rivoluzionaria” e divenuta nel tempo la forza
armata della “repubblica” della coca. Il progetto
ha avuto successo per decine e decine di ragazzi
e ragazze che erano stati svuotati della loro per-
sonalità, costretti a non avere contezza della vio-
lenza subìta, la stessa che
dovevano poi esercitare nei
confronti dei nemici, anche
della popolazione inerme
ingabbiata nelle aree dei
combattimenti. Nello stato
precedente, la loro coscien-
za era condizionata da un
sottoprodotto della lavora-
zione della coca da esporta-
zione: il basuco, conosciuto
popolarmente come “ladro
di cervelli”.
Accoglienza, offerta di al-
ternative alla strada, oratori
aperti giorno e notte, istru-
zione di base, formazione professionale. È la “for-
mula” semplice, ma l’unica da praticare da parte dei
missionari se si vuole togliere alla diffusione della
droga la “ragione” di esistere. E poi – allo stesso
tempo – sono attivi gli interventi di recupero psi-
cologico e relazionale: i salesiani plasmano il loro
intervento anche su questo aspetto, mentre il brac-
cio di ferro con la criminalità richiede alle istituzio-
ni interventi radicali, auspicando che queste siano
meno corrotte o corruttibili.
Padre Eric
Meert: «Qui
i ragazzi
trovano chi
ascolta la
loro storia
e, quando
è possibile,
noi Salesiani
ristabiliamo
un contatto
e li aiutiamo
a reinserirsi
in famiglia,
senza mai
dimenticarci
di loro anche
quando sono
rientrati nel
loro nucleo
familiare
originale»
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1.10 Page 10

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Il tempo dello
STUPORE
Don Bosco cercava di sviluppare nei suoi
ragazzi il sentimento del bello, del natu-
rale, dell’estetico e lo faceva con poetici
ritratti della natura. Raccontava ai suoi
ragazzi che, quando saliva in camera a notte tarda,
dopo un’intensa giornata di lavoro: “Giunto sul bal-
cone mi fermava a contemplare gli spazi interminabili
del firmamento, mi orizzontava coll’Orsa Maggiore,
fissava lo sguardo nella luna, poi nei pianeti, poi nelle
stelle; pensava, contemplava la bellezza, la grandezza,
la moltitudine degli astri, la lontananza sterminata fra
di loro, la distanza da me; e inoltrandomi in questi
pensieri, saliva fino alle nebulose e al di là ancora...
tanto ne era preso che mi venivano le vertigini. L’uni-
verso mi appariva un’opera così grande, così divina...
che non poteva reggere a quello spettacolo” e mio uni-
co scampo era di correre presto nella mia camera...».
Tutti i giovani a questo punto stavano sorpresi, rite-
nendo il respiro, aspettando che cosa avrebbe detto
ancora don Bosco; ed egli, fatta breve pausa, ripi-
gliava: «… e correva a cacciarmi sotto le lenzuola»
(Memorie Biografiche, IV, 202).
Sole, luna e stelle
È un’esperienza intensa sentire che noi esseri umani
siamo un filo nel tessuto della natura e del cosmo,
inseriti nel ritmo di una vita che determina fisica-
mente la nostra esistenza. Il sole, la luna e le stelle
non sono semplici astri nel firmamento. Da tempi
immemorabili gli esseri umani vi hanno visto un
simbolo della loro esistenza.
«Spesso, la sera, in giardino, mio padre spiegava a
noi bambini le stelle. Nelle sue parole sentivo la sua
Possiamo trasformare i
giorni di pausa e di vacanza
nei giorni dell’incanto
e della riscoperta della
meraviglia della Creazione.
meraviglia per la bellezza delle stelle e per la gran-
dezza dell’universo. Non riuscivo a ricordarmi le sin-
gole costellazioni. Ma, ancora oggi, quando alzo lo
sguardo al cielo notturno stellato, sono affascinato
da quello che vedo. Grazie all’astronomia so quanto
le stelle siano lontanissime dalla Terra e che possia-
mo vederne soltanto una piccola parte. Tanto mag-
giore è la mia reverenza di fronte al cielo stellato.
Mi immagino quanto sia piccola la nostra Terra in
confronto alle innumerevoli stelle che riusciamo a
vedere e al numero ancora più grande di stelle che
ci restano invisibili. Allora non sono colpito soltanto
dalla bellezza, ma anche dalla grandezza del creato.
E mi fermo. Allo stesso tempo lo sguardo rivolto al
cielo stellato mi lega alle molte persone che so che
adesso, nel loro Paese, molto distanti da me, stanno
osservando lo stesso cielo. Non è soltanto il sole a
sorgere sopra tutti gli uomini, anche la luna ci lega
gli uni agli altri, proprio come le stelle e le diverse
costellazioni» (Anselm Grun).
Ogni giorno la Chiesa canta l’aurora con imma-
gini che interpretano il mistero della risurrezione.
Cristo scaccia ogni tenebra dal nostro cuore. Egli
risorge vittorioso sulla morte. La luce ha vinto le
tenebre. La vita e l’amore sono più forti della mor-
te. Vediamo il sole come immagine del tepore e
dell’amore. Se, in autunno o in primavera, ci met-
tiamo al sole, possiamo immaginare come l’amore
di Dio pervada il nostro corpo, come ci sentiamo
totalmente amati. In estate non solo ci ripariamo
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dal sole cocente, ma ci godiamo anche il sole che
dona la sua bellezza al paesaggio.
Anche le stelle del firmamento hanno sempre af-
fascinato l’uomo. Lo sguardo verso il cielo not-
turno ci fa sentire la vastità del cosmo e intuire la
grandezza di Dio, che ha creato tutto questo. Il
numero inconcepibile delle stelle risveglia in noi
l’anelito dell’infinito.
Ammirate il cielo stellato, guardate con stupore
la grandezza di Dio che – ci dice la Genesi – ha
adornato di stelle la volta celeste in modo così me-
raviglioso. Lo stupore non è soltanto l’inizio della
riflessione e della filosofia. È anche una via di de-
vozione e una via verso Dio.
La certezza
Anche gli scienziati attuali, tra i quali molti premi
Nobel, ammettono che è impossibile guardare il co-
smo senza pensare a Dio. Carlo Rubbia, professore
di fisica all’Università di Harvard e premio Nobel
per la fisica nel 1984, dice chiaramente: «Parlare di
origine del mondo induce inevitabilmente a pensare
alla creazione e, guardando la natura, si scopre che
esiste un ordine troppo preciso che non può essere
il risultato di un “caso”, di un equilibrio tra “forze”
come noi fisici continuiamo a sostenere. Credo che
per noi sia più facile mettere in evidenza l’esistenza
di un ordine prestabilito nelle cose. Noi arriviamo a
Dio percorrendo la strada della ragione».
Camminando nella natura
“Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna
e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo per-
ché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne
curi?” (Salmo 8).
«Contemplando l’immensità dell’universo, la straor­
dinaria bellezza della natura, la sua potenza, sono
risalita spontaneamente al Creatore del tutto e ho
avuto come una nuova comprensione dell’immen-
sità di Dio. L’impressione è stata così forte e così
nuova che mi sarei gettata subito in ginocchio ad
adorare, a lodare, a glorificare Dio. Ho sentito un
bisogno di far ciò, come se questa fosse la mia at-
tuale vocazione.
E, quasi mi si aprissero ora gli occhi, ho compreso
come non mai prima, chi è colui che abbiamo scelto
come ideale, o meglio colui che ha scelto noi. L’ho
visto così grande, così grande, così grande che mi
sembrava impossibile avesse pensato a noi. E que-
sta impressione della sua immensità mi è rimasta
in cuore per alcuni giorni. Ora il pregare così: “Sia
santificato il tuo nome” o “Gloria al Padre, al Figlio,
allo Spirito Santo” è un’altra cosa per me: è una ne-
cessità del cuore. Contemplare magari una distesa di
mare senza fine, una catena di monti altissimi, un
ghiacciaio imponente o una volta del cielo punteg-
giata di stelle… Che maestosità! Che immensità! E,
attraverso lo splendore abbagliante della natura, ri-
salire a colui che ne è l’autore: Dio, il Re dell’univer-
so, il Signore delle galassie, l’Infinito. Egli è presen-
te dovunque: è sotto lo scintillio d’un ruscello, nello
schiudersi d’un fiore, in un’alba chiara, in un rosso
tramonto, su una vetta nevosa…» (Chiara Lubich).
«Se, quindi, guardo più a fondo, anche in un fiore
vedo qualcosa di più di un fiore. I fiori diventano
metafore: simbolo di morte e di risurrezione, di
amore e di gioia. Posso rico-
noscere tutto questo,
se osservo un fiore
abbastanza
a lungo»
(Anselm
Grun).
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
Sarah Laporta
Il magnifico
MAGO SALES
Don Silvio Mantelli, conosciuto in tutto
il mondo come Mago Sales, con le sue
straordinarie magie ha regalato sorrisi
e felicità a milioni di bambini
nel nome di Dio e di don Bosco.
A destra:
Mago Sales
con Arturo
Brachetti.
Sotto:
con papa
Francesco.
Qual è stata la tua prima avventura?
Sono nato a Novello, provincia di Cuneo, il 22 gen-
naio del 1944 in una zona tra le più belle della terra,
carica di tesori naturali con il profumo di more e il
sapore di viti preziose: la Langa.
Quando avevo poco più di un anno, un partigiano
della zona sparò a una pattuglia tedesca di passag-
gio: poi si rifugiò in paese e si nascose sotto la pesa
pubblica, che aveva una botola d’accesso pratica-
mente invisibile e perciò era un ottimo nascondiglio.
I tedeschi arrivarono e non capirono come avesse
fatto questo partigiano a sparire nel nulla in così
poco tempo. Perciò fecero una cosa molto classica
per i nazisti: un rastrellamento. Presero a caso un
po’ di persone e minacciarono che, se non fosse sal-
tato fuori il partigiano, loro avrebbero ucciso tutti.
Ma il partigiano rimase ben nascosto. E i nazisti ci
misero al muro.
Sì perché, sfortunatamente, in quella retata era
caduta anche mia madre, con me in braccio.
Ora immaginate la situazione: tutto sembrava per-
duto. Un gruppo di persone di ogni età, con tanto
di mamma e bambino, stava davanti al plotone
d’esecuzione guardando in faccia la morte. I nazisti
ci puntarono i fucili addosso, la gente implorava,
piangeva, pregava ma io... io niente. Anzi: forse
prendendo tutto come un bellissimo gioco sfoderai
un meraviglioso sorriso al capo pattuglia, quello
che comandava il plotone d’esecuzione.
Nessuno sa dire se quell’uomo riconobbe nei miei
occhi chiari quelli dei suoi figli o se semplicemente
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si vergognò di quanto stava facendo (oppure se fu
il Signore a metterci lo zampino). Ma quel sorriso
bastò a salvare me, mia mamma e il gruppo ormai
rassegnato. Un gesto di cuore e di disobbedienza
stabilì che si doveva e si poteva vivere in pace.
Come hai incominciato?
Da bambino ero affascinato dai trucchi e, nel-
lo specifico, da come la mente umana sembrava
programmata per farli. Voglio spiegarmi meglio.
D’estate a Novello, come tutti i miei coetanei, non
stavo con le mani in mano: lavoravo in falegname-
ria – un posto pericolosissimo tutto seghe e cinghie
e pulegge, mi vengono i brividi a pensarci – e poi
al mulino, un posto decisamente più tranquillo ma
faticoso, e infine alla pesa pubblica, che era il luogo
che preferivo. Perché alla pesa c’era una cosa che mi
colpiva sempre: vivevo in mezzo ai trucchi. Se è vero
che Francesco di sera mi faceva vedere i trucchi con
le carte, è altrettanto vero che io vedevo fare trucchi
nel corso dell’intera giornata: c’era il venditore di
vino che bagnava l’uva prima di pesarla, il carret-
tiere che nascondeva le pietre nel carro per alterare
la tara, il panettiere che aggiungeva carta e cartone
al pane per aumentarne il peso, e così via. Il paese
di Novello era un circo di personaggi straordinari,
tutti sempre lì a cercare di escogitare qualche truc-
co nuovo, pieni di un’inventiva che mi affascinava
e mi sfidava. Sì, perché io dovevo sorvegliare la re-
golarità della pesa, e perciò il mio quotidiano era
diventato far lavorare il mio cervello per scoprire
i trucchi, e quanto questo abbia a che fare con la
passione nascente per la magia, che stavo covando,
mi sembra estremamente chiaro.
E la vocazione salesiana?
Allora c’era la tradizione degli “esercizi spirituali” e
io avevo avuto la fortuna di partecipare a quelli gui-
dati dall’ispirazione di padre Pellegrino, quello dei
preti operai, che nel 1965 divenne poi Cardinale
di Torino. Era stata un’esperienza fuori dall’ordina-
rio che era andata a sommarsi a un’altra esperienza
straordinaria fatta pochi mesi prima a Torino, dai
Salesiani, quando avevo partecipato a degli eser-
cizi spirituali davvero affascinanti, condotti da
un prete speciale, di cui sono davvero dispiaciuto
di non ricordare il nome: la particolarità delle sue
parole stava nel fatto che non ci parlava tanto della
religione ma della qualità della sua vocazione.
Per me quella era stata una rivelazione. Mi ricor-
do ancora le sue parole: diceva che la sera, quando
usciva di fabbrica e vedeva tutte le luci accese nel-
le case, sentiva con amore quanta gente ci abitava,
ognuno con la sua vita, le sue soffe-
renze, le sue speranze. “Ciascu-
no ha la sua luce”, diceva, e
le sue parole erano sempre
così perfette che avevo
pensato a lungo al
fascino della figura del
prete: ci avevo pensato
tantissimo.
Come sei diventato
“apprendista stregone”?
Quella doppia scoperta – il manuale di
magia e il fatto di sentirmi a tutti gli effetti un di-
scepolo del “mago” don Bosco – avevano improv-
visamente riacceso la mia passione per i trucchi. Il
nostro teatro interno era stato per me una grandis-
sima scuola, con messe in scena, prove e scenogra-
fie autocostruite, ma ora potevo approfittare anche
del laboratorio di falegnameria e meccanica della
Casa Salesiana: in poche settimane mi industriai
a costruire i miei primi trucchi, seguendo le istru-
zioni sul manuale, e ben presto fui pronto a mettere
in scena il mio primo spettacolo, aperto anche ai
ragazzi della zona, quelli che frequentavano l’ora-
torio. Non fu un successo da star, ma nemmeno un
disastro da “Paperissima”. La cosa più sorprendente
fu la scoperta che la mia Vocazione e la mia
Passione potevano andare a braccetto. Anche se,
come vedremo più avanti, molte volte mi venne
consigliato di sciogliermi da questo abbraccio.
Santa Madre
Teresa
gradiva
tantissimo
i giochi di
“magia”:
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
Il Museo
della Magia
a Cherasco
(Cuneo).
Nel frattempo un anno era passato e il 15 agosto
del 1964, presi i primi voti religiosi e divenni Sale-
siano a tutti gli effetti.
Com’è incominciata la tua amicizia
con Arturo Brachetti?
In quell’estate incontrai un ragazzo smilzo, timi-
do e imbranato, un ragazzino che sembrava vivere
“fuori dal tempo”, che non giocava a calcio e non
amava i giochi collettivi: insomma, era esattamente
come me molti anni prima. Fu automatico per me
immedesimarmi in lui e prenderlo a cuore.
Questo ragazzino si chiamava Renzo: stava in col-
legio dai Salesiani di Lanzo e aveva una mezza vo-
cazione, ma in realtà era spinto dal padre. Come
dicevo, io mi affezionai subito a lui, per comunanza
di vissuti, e quando gli mostrai il mio baule di
giochi di prestigio lui ci si buttò dentro a capofitto.
In capo a poche settimane diventò bravissimo, un
vero talento, e sul finire di quell’estate fece il suo
primo spettacolo in assoluto, insieme a me, a Gres-
soney, nell’enorme casa di legno del barone Peccoz,
padrone di tutte le funivie.
Per causa o merito mio quel ragazzo non si fece
mai prete. Oggi è una star e ha un nome d’arte che
è celebre in tutto il mondo: Arturo Brachetti. Stu-
diò ancora per un anno ma ormai aveva capito qual
era la sua vera vocazione: lo spettacolo. No, non c’è
niente di male: l’importante non è essere quello che
siamo per gli altri, ma quello che sentiamo di es-
sere dentro di noi, questa è la vocazione. Arturo
non è mai diventato sacerdote perché quello non
era il suo desiderio, ma il desiderio di suo padre. In
compenso è sempre stato un bambino e lo è ancora
oggi... un bambino spontaneo, ridente e generoso,
che continua a giocare con fantasia. Mi ricordo che
gli regalai un libro ‘Fregoli raccontato da Fregoli, II
più grande trasformista mai esistito. Di lì iniziò la sua
grande avventura e con tutte quelle figure di per-
sonaggi, descritte nel libro, iniziò ad immaginarsi
come lui. Ora quel libro, diventato parte importan-
te della scelta artistica di Arturo, fa bella mostra
nel museo della magia di Cherasco, a fianco della
statua di Arturo e del suo primo abito di scena.
Come cominciò il giro del mondo?
Il 2 settembre 1973 venni ordinato sacerdote. Ben
presto la mia vita divenne ancora più frenetica.
Passai anni intensissimi, dividendo il mio tempo in
molti ruoli: ero Consigliere, ero animatore, ero pro-
fessore, ero studente universitario (iscritto al nono
anno...) e soprattutto ero prete. Malgrado avessi
ancora con me le tortorelle, che ora tenevo nel mio
piccolo studio, con tutti questi incarichi non trova-
vo più il tempo di fare il mago.
In tutta questa frenesia c’era però un aspetto
meraviglioso: il rapporto che ero riuscito a
instaurare con i ragazzi della scuola. Era un sen-
timento meraviglioso, che crebbe per gradi, prima
dalla semplice cordialità alla familiarità, poi all’af-
fetto e infine alla vera amicizia.
Riuscii a terminare una seconda laurea e cominciai
ad insegnare religione nelle scuole pubbliche di To-
rino. Dopo alcuni anni pieni di esperienze difficili
e belle riuscii ad allestire un vero grande spettacolo.
Il nome dello spettacolo “II giro del mondo in 80
minuti” si rivelò profetico perché l’anno successivo,
il 1993, incominciai a girare il mondo e fu l’inizio
di una grande avventura che continua ancora oggi.
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Che cosa ricordi?
Per la mia vita fu una sorta di straordinario nuovo
inizio: dopo decenni di onorata “carriera” in Italia
misi trucchi, costumi, bacchetta e cilindro magico
in due grosse valigie e partii, intenzionato a portare
il mio spettacolo in giro per il mondo. Da quel fa-
tidico agosto del 1993 ho fatto tre volte il giro del
globo, trascinando nel gioco i vivaci bambini dei
villaggi africani (in Nigeria, Kenya, Madagascar,
Somalia e Uganda), facendo ridere le timide ragaz-
zine delle Ande boliviane, allietando intere sco-
laresche delle Filippine, affascinando migliaia di
giovani nelle missioni di Macao e di Hong Kong,
portando un sorriso ai bambini indiani di Calcut-
ta, dell’Indonesia, del Vietnam e della Cambogia,
ballando e giocando a ritmo di samba con gli irre-
quieti ragazzi delle favelas brasiliane e delle foreste
dell’Amazzonia... Insomma, grazie alle missioni,
la mia vita si è trasformata in un canto di gioia:
perché il gioco della magia generava allegria e io
ne ero il dispensatore, regalavo sorrisi ai bambini
del mondo: al bambino bianco, al bambino nero, al
bambino giallo, al bambino rosso... In cambio ho
sempre ricevuto un bene prezioso: amore.
Percorrendo le strade del mondo, incontravo situa-
zioni di estrema povertà in cui questo diritto trop-
po spesso era negato. La mia missione diventava
allora quella di dare un “tetto al sorriso del mondo”,
aiutando i bambini che non avevano una casa, una
famiglia o un amico, a vivere decentemente il grande
dono della vita.
Da quel lontano 1993, grazie all’aiuto di tanti bene-
fattori, molti bambini sono stati liberati dalla fame,
dalle malattie e dall’ignoranza; e hanno ricevuto
sostentamento, salute, istruzione e tanta allegria.
E adesso?
Il 27 aprile 2013, con molti miei collaboratori inau-
gurai il Museo della Magia di Cherasco. È una bella
antica cittadina molto vicina alla casa Salesiana di
Bra, dove vivo. L’allestimento non era ancora del
tutto completo e non erano ancora stati ultimati gli
abbellimenti e gli arricchimenti che potete vedere
oggi (a proposito: cosa aspettate a venirlo a visi-
tare!?) ma era già tutto magicamente accogliente.
Ogni anno il museo della magia, attualmente il più
grande e originale in Europa, accoglie più di 30 000
visitatori. Ora se volete incontrare don Silvio e il
mago Sales non dovete fare altro che prenotare una
visita al museo della magia di Cherasco, dove la
realtà si fonde con la fantasia ed è bello ritornare
bambini.
Sale del
Museo.
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Nicola Antonio Farinola
A MOLFETTA
dopo quasi 80 anni
È come se i salesiani fossero ancora qui.
L’ORMA E LO SPIRITO DI DON
BOSCO NON SI CANCELLANO.
La parrocchia di san Giuseppe a Molfetta
è stata per tanti decenni luogo di incontro
di giovani, casa per molte famiglie e luogo
sicuro per tutta la cittadinanza molfettese.
Nonostante ciò, i Salesiani, con grande ramma-
rico, chiudono a Molfetta nell’autunno del 2018,
affidando la parrocchia alla diocesi, ma il carisma
salesiano e l’amore per i giovani continua tutt’ora
grazie ai vari gruppi che compongono l’opera, mai
sciolti dalla partenza dei Salesiani.
Quello che intendiamo fare ora è un percorso stori-
co dell’opera e una presentazione di quella che è la
comunità di san Giuseppe a Molfetta.
Cenni Storici
Erano noti a Molfetta attraverso il Bollettino Sa-
lesiano, i progressi nell’educazione della gioventù
che don Bosco con il metodo preventivo attuava a
favore di essa. Don Giuseppe attraverso il Bolletti-
no Salesiano, a cui era abbonato, era sempre al cor-
rente dei progressi educativi che don Bosco attuava
a favore della gioventù e dal 1880 fu iscritto tra i
cooperatori salesiani. Con il diffondersi dell’Azione
Cattolica anche a Molfetta, molti circoli cattolici
organizzavano gli oratori, aperti specialmente ai
ragazzi e ai giovani, seguendo il metodo educativo
di don Bosco. Non dimentichiamo che all’inizio
del secolo scorso sorse presso il Seminario Vesco-
vile il Ricrea­torio festivo Don Bosco.
Intorno al 1910 Domenico Gagliardi, esimio be-
nefattore, invitò i Salesiani ad aprire a Molfetta un
oratorio festivo tutto a sue spese, ma l’invito non fu
accolto per mancanza di sacerdoti. Non mancaro-
no in quel periodo altri inviti a coadiuvare all’inse-
gnamento presso il Seminario Vescovile. Nel 1926,
con l’apertura a Molfetta del Pontificio Seminario
Regionale S. Pio XI, diversi cardinali, che lo visi-
tarono nel tempo, auspicavano l’aiuto dei Salesiani
a coadiuvare all’insegnamento dei novelli sacerdoti,
seguendo il metodo pedagogico di S. Giovanni Bo-
sco. L’ampliamento urbanistico del territorio della
Parrocchia Immacolata, avvenuto dopo la I Guer-
ra Mondiale, verso ponente della città, spinse l’al-
lora parroco don Giuseppe Gadaleta a sollecitare
l’allora vescovo di Molfetta, monsignor Pasquale
Gioia, a istituire una nuova parrocchia per la cura
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delle anime; la proposta fu accolta con favore. Alla
morte repentina di monsignor Gioia, toccò al suo
successore, monsignor Achille Salvucci affrontare
il problema oramai resosi urgente, tanto che ad un
anno dal suo ingresso nella Diocesi, il 5 dicembre
del 1936, attraverso le pagine di luce e vita, an-
nunciava l’istituzione, di una nuova parrocchia, in-
titolata a san Giuseppe, nel rione Sedelle favorita
dalla donazione di un suolo, nei paraggi di Corso
Fornari, da parte del parroco don Giuseppe Gada-
leta. Nel 1939 monsignor Saverio Carabellese donò
tutta la sua proprietà per finanziare la costruzione
della nuova parrocchia e fu istituito il Beneficio
Parrocchiale di S. Giuseppe.
Nel 1945, passata la bufera della guerra, il parroco
don Giuseppe Gadaleta, nel sollecitare l’erezione
della nuova parrocchia, probabilmente suggerì al
Vescovo di affidarla ai Salesiani, memore dell’e-
sperienza educativa di un suo fratello salesiano
defunto. La scelta della venuta dei Salesiani fu per
la necessità di curare un quartiere periferico con
problemi di alta analfabetizzazione e sacche di po-
vertà, per cui andavano seguiti numerosi fanciulli e
giovani.
Il pioniere di questo iniziale lavoro educativo fu il
salesiano don Giuseppe Piacente giunto a Molfetta
alla fine del 1945, alloggiando prima presso il Se-
minario Regionale e poi nel Seminario Vescovile.
Nel Seminario Regionale collaborò con i seminari-
sti, suggerendo pratici consigli per il buon funzio-
namento dell’oratorio domenicale presso lo stesso
Seminario seguitissimo da molti giovani.
A un anno dalla posa della prima pietra, fu ultimata
la costruzione della chiesa, intitolata a san Giusep-
pe. La comunità parrocchiale si avvalse anche di
iniziative rivolte specialmente all’apertura dell’ora-
torio, dove da sempre migliaia di fanciulli e giovani
frequentatori sono stati seguiti amorevolmente dai
Salesiani che, nel tempo, si sono avvicendati alla
guida della parrocchia.
Affreschi e vetrate
Il Salesiano don Giuseppe Melle è ri-
cordato a Molfetta per aver affrescato
la Chiesa di S. Giuseppe. Era già quasi
ottantenne, quando quotidianamente si
inerpicava tra scalette e impalcature per
terminare gli affreschi in S. Giuseppe,
per dare il colore alle maestose scene in
cui figurano santi e papi, parabole ed
eventi della Chiesa: sempre in fervore di opere e
di attività, gli occhi azzurri incontaminati dalla
vecchiaia e addosso la febbre che gli derivava dalla
passione di creare e terminare l’opera intrapresa.
Poi si ritirò in solitaria meditazione ad attende-
Ritratto
del salesiano
don Giuseppe
Melle, che
affrescò la
chiesa di San
Giuseppe.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Dopo la
partenza
dei Salesiani
l’oratorio
e l’intera
parrocchia
sono stati
affidati ai vari
gruppi che la
compongono.
re la fine della sua giornata terrena a Bari, presso
l’istituto del Redentore. La sua stanza era diven-
tata la materiale rappresentazione di chi dal vivere
cristiano aveva appreso l’essenza e la vera sostanza
delle cose: l’inutilità degli agi terreni, l’umiltà e la
povertà resa pratica quotidiana, un misero lettino
di ferro, una vecchia valigia sgangherata, una sedia
e nessun mobile. Ma non era una stanza nuda, né
don Melle, che con affettuosa affabilità ci accolse,
si sentiva minimamente a disagio. Sulle vaste pareti
o appesi a cordicelle che attraversavano la stanza,
grossi disegni e cartoni riempivano lo spazio: erano
volti di soldati conosciuti o caduti in guerra, ritratti
dei genitori e poi santi e chiese, archi
e madonne, progetti e briciole di arte
scaturita da una passione profonda,
nata ed esercitata per glorificare la
fede. Visse così don Melle, maestro
sublime del colore, pittore di santi e di
cieli immensi, umile e grande sacer-
dote di Cristo.
Nel 2021 da alcuni parrocchiani ven-
nero donate 6 vetrate. Tre rappresen-
tano i tre giovani posti dalla chiesa
sull’altare, cioè Carlo Acutis, Chiara
Luce Badano e Pier Giorgio Frassanti.
Mentre le altre 3 rappresentano i padri fondatori
dell’oratorio ovvero san Giovanni Bosco, san Fran-
cesco di Sales e san Filippo Neri.
Gruppi & Laboratori
Dopo la partenza dei Salesiani l’oratorio e l’intera
parrocchia sono stati affidati ai vari gruppi che la
compongono.
È noto in molte case salesiane lo spettacolo “ac-
cademia dell’immacolata”, che dà voce ai vari
gruppi di rappresentare e ricordare, attraverso dei
numeri teatrali, la fondazione del primo oratorio di
don Bosco, avvenuta il 1° dicembre 1841.
Anche la parrocchia di
San Giuseppe non è da
meno, infatti è lunga tra-
dizione che nei giorni 7,
8 e 9 di dicembre ci sia
questo spettacolo con le
rispettive repliche.
La più recente accademia
ha visto come tema “la
Pace”, e il titolo in questio-
ne si ispira a una celebre
frase del venerabile mon-
signor Tonino Bello “In
piedi costruttori di Pace”.
A parer di molti, que-
sta è una delle più belle accademie mai realizzate
all’interno della parrocchia, che mira a unificare i
rapporti umani e internazionali attraverso numeri
comici e non preparati dai gruppi dell’oratorio.
A far da filo conduttore tra questi, c’era la storia
della nascita dell’oratorio: in particolare una giova-
ne animatrice doveva trovare in giro per il mondo
dei “Costruttori di Pace”, e il suo incarico era stato
ordinato da Bartolomeo Garelli.
Non dimentichiamoci di certo della celebre fra-
se di don Bosco “Il demonio ha paura della gente
allegra”. Infatti, oltre all’Accademia dell’Immaco-
lata, l’oratorio organizza anche il recital natalizio
a cura della catechesi e gli spettacoli di carneva-
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2.9 Page 19

▲torna in alto
le, divisi tra lo spettacolo a cura
della catechesi e quello a cura dei
gruppi dell’oratorio. Non possono
mancare di certo i saggi di danza
organizzati da asd don Bosco, in
particolare dal gruppo “danza
don bosco”.
Il più recente saggio, “Dance in
the World”, tratto dal film “The
Greatest Showman”, ha visto
come protagonista il circo come
ambiente di diversità e luogo di
incontro di diverse culture.
Infine, non possono mancare i
memorial “Giovanni Sallustio”, la biciclettata “Sa-
vio in Bici – Giovanni Sallustio” e il “Festival della
Canzone Oratoriana – Giovanni Sallustio” in ricor-
do del giovane ragazzo e animatore dell’oratorio,
salito al cielo in giovane età.
Estate Ragazzi
Come in molte parrocchie, l’estate oratoriana vuol
dire: estate ragazzi.
La parrocchia di Molfetta è nota come una delle
parrocchie che crea una delle più belle ‘estate ra-
gazzi’ in Puglia.
Ovviamente come tutte le cose belle, dietro c’è una
grande preparazione, che per l’oratorio in questione
inizia già verso le ultime settimane di marzo.
Gli animatori, dopo aver scelto il tema annuale e
divisi nelle cinque commissioni, partono nell’orga-
nizzazione di questa grande attività.
Le cinque commissioni sono dei gruppi di lavoro
che si occupano nei particolari di organizzare l’esta-
te ragazzi. Una volta finite tutte le commissioni, il
prodotto di ognuna va a comporre il sussidio, ovve-
ro un manuale con tutte le informazioni sull’intero
periodo di estate ragazzi.
Le giornate di estate ragazzi non sono solo giochi
e balli; infatti, nell’oratorio di Molfetta sono pre-
viste alcune giornate speciali come i giovedì e i sa-
bati quando vengono organizzate escursioni all’ac-
quapark, caccia al tesoro, giochi
d’acqua, sagre, grandi giochi e
ovviamente la serata finale, quan-
do ogni squadra gioca per vincere
il trofeo dell’estate ragazzi, met-
tendo in scena un re-telling di un
qualsiasi film d’animazione.
“Nel Tempo
e nell’Eternità”
Una storia che continua 80 anni
dopo la prima voce che girava a
Molfetta in quel tempo, una storia
che continua quasi 6 anni dopo la
chiusura dei Salesiani ma che vede un futuro illu-
minato da don Bosco e che si dedica all’amore per
i ragazzi. Anche se l’opera di Molfetta è da tempo
non più Salesiana, ancora oggi ogni individuo che
entra in quell’oratorio si sente salesiano nel cuore, e
dando uno sguardo al passato, don Bosco tutt’ora
governa in quella chiesa a Molfetta. E prendendo
spunto da una frase della canzone “Tutti nel tuo so-
gno” possiamo dire: “... passa il tempo ma qui resta,
il tuo ideale nella testa...”.
Una storia
che continua
quasi 6 anni
dopo la
chiusura dei
Salesiani
ma che vede
un futuro
illuminato da
don Bosco e
che si dedica
all’amore
per i ragazzi.
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2.10 Page 20

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STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Disegni di Nino Musio
HANNO SOLO
BISOGNO
... continua dal numero precedente
DI UN AMICO
Don Bosco decide di rimanere ancora a
Torino per prepararsi meglio. Don Cafasso
gli dice: «Vai, guardati intorno». Conosce
soltanto la povertà delle campagne. Non sa
cosa sia la miseria delle periferie cittadine.
Incontra un gran numero di giovani di
ogni età che vagano per le vie e le
piazze della città, specialmente nei
dintorni del mercato, giocando, rissando,
bestemmiando e facendo anche di peggio.
Scrive: «La parte più vicina a Porta Palazzo brulicava di merciai
ambulanti, venditori di zolfanelli, lustrascarpe, spazzacamini...
tutti ragazzi che vivacchiavano alla giornata».
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L’impressione più sconvolgente
Don Bosco la prova entrando
nelle prigioni. Anche i ragazzi
sono rinchiusi in stanzoni
collettivi, dove i più mascalzoni
diventavano i maestri di vita.

3 Pages 21-30

▲torna in alto

3.1 Page 21

▲torna in alto
Porta pane, frutta e cioccolata. Ma è tutto
inutile. Un giorno scoppia a piangere.
«Perché quel prete piange?», domanda
qualcuno. «Perché ci vuole bene. Anche mia
madre piangerebbe se mi vedesse qui dentro».
Don Bosco pensa: «Se questi ragazzi
avessero avuto un amico pronto
a prendersi cura di loro, non
sarebbero finiti qui dentro».
Il primo ragazzo del quale Don
Bosco diventa amico è Bartolomeo
Garelli: è orfano, non sa né
leggere né scrivere. Il sacrestano
vuole cacciarlo fuori dalla chiesa
perché non è capace di servire la
Messa. «Però sai fischiare!» gli dice
Don Bosco.
Dopo la messa, Don Bosco insegna a
Bartolomeo a fare il segno della croce.
L’opera di Don Bosco comincia con un’Ave Maria
e un semplice catechismo.
Tre giorni dopo Bartolomeo porta con sé
degli amici. Sono selciatori, scalpellini,
muratori, spazzacamini, che vengono
da lontani paesi.
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3.2 Page 22

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STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
CI CHIAMEREMO SALESIANI
«Durante la settimana andavo a trovarli in mezzo
ai loro lavori, nei cantieri, nelle officine»,
ricorda don Bosco. Nasce così l’oratorio.
Alla sera, i più intelligenti
di quei ragazzi vanno a
gruppetti da Don Bosco
che fa loro scuola.
«Specialmente nei giorni di festa, il mio
confessionale era attorniato da centinaia di
giovani». Don Bosco insegna che il segreto
della felicità è l’amicizia con Dio.
Dopo una grave malattia, Don Bosco
torna a Torino accompagnato dalla sua
mamma, Margherita: «Ho affittato tre
stanze a Valdocco e presto ospiterò dei
ragazzi abbandonati. Non verreste a fare
da mamma ai miei ragazzi?».
Nel maggio del 1847, un ragazzo bussa disperato
alla porta di Don Bosco. «Vengo dalla Valsesia.
Non ne posso più. Per favore, non mandatemi via».
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Altri ragazzi lo seguiranno.
Don Bosco apre la sua casa a tutti.

3.3 Page 23

▲torna in alto
I piccoli pensionanti
aumentano e don
Bosco organizza
la vita “familiare”.
Mentre mamma Margherita si occupa
della cucina, presiede al bucato, adatta e
rammenda la biancheria e gli abiti logori.
Qualcuno dei ragazzi chiede a Don Bosco
di diventare come lui, cioè di spendere
la vita per altri ragazzi in difficoltà.
Nascono così i Salesiani.
Nel 1854 arriva da Don Bosco
un ragazzo di 12 anni, Domenico
Savio. Con semplicità chiede a Don
Bosco: «Mi aiuti a farmi santo».
Don Bosco donò a Domenico
Savio la sua ricetta per la santità:
Primo: allegria. Ciò che ti turba
e ti toglie la pace non piace al
Signore. Secondo: i tuoi doveri di
studio e di preghiera. Terzo: fare
del bene agli altri».
Per Domenico la comunione
era il centro della giornata.
Nella sua prima Comunione
aveva scritto in lettere grandi
questo impegno: «I miei amici
saranno Gesù e Maria».
luglio/agosto 2024
23

3.4 Page 24

▲torna in alto
STORIA DI DON BOSCO PER I PIÙ PICCOLI
Domenico cercò di formare un gruppo
di piccoli apostoli in mezzo agli altri
ragazzi. Ma aveva anche poca salute e
volò in cielo pochi mesi dopo, piccolo
grande santo.
Nell’autunno del 1853 Don Bosco inizia
all’interno dell’oratorio, il primo
laboratorio per giovani apprendisti.
Negli anni che seguono Don Bosco allarga la sua
casa, apre laboratori per falegnami, sarti, legatori
di libri, tipografi, fabbri. Dice: «Voglio fare di questi
ragazzi degli onesti cittadini e dei buoni cristiani».
Nel 1864 Don Bosco inizia a
costruire, nei prati di Valdocco,
un grande santuario a Maria
Ausiliatrice: «Ogni mattone
di questa chiesa è una grazia
concessa dalla Madonna a chi
l’ha invocata».
24
luglio/agosto 2024
Quattro anni dopo Don Bosco, con
l’aiuto di una grande donna, Maria
Domenica Mazzarello, fonda le Figlie
di Maria Ausiliatrice. A loro dice:
«Voi farete alle fanciulle il bene
che i Salesiani fanno ai ragazzi».

3.5 Page 25

▲torna in alto
Nel 1875 Don Bosco consegna il
crocifisso ai primi dieci salesiani
che partono missionari per l’America
del Sud: vanno a fare i «Don Bosco»
in altre parti del mondo.
Papa Pio IX considera Don Bosco
suo grande amico, e sovente
lo invita a Roma chiedendogli
consiglio per decisioni importanti.
Don Bosco
ha inventato
un sistema di
educazione
familiare che
presto tutti
riconosceranno
come il «sistema
ideale» per
educare i giovani.
Nel 1876 Don Bosco fonda una nuova
famiglia: i Cooperatori Salesiani.
Prima di morire, all’alba del 31
gennaio 1888, Don Bosco dice loro:
«Senza la vostra carità, avrei
potuto fare poco o nulla».
Le ultime parole
di don Bosco:
«Dite ai miei
ragazzi che
li aspetto tutti
in paradiso».
luglio/agosto 2024
25

3.6 Page 26

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EVENTI
Antonio Labanca
Intelligenza
I Salesiani di Don
Bosco si preparano
ARTIFICIALE all’era dell’Intelligenza
Artificiale: varata una
nuova Commissione.
shutterstock.com
«Siamo di fronte a possibilità infinite,
ma anche a rischi enormi»: è quanto
esprime in estrema sintesi l’incontro con
Bruno Geraci sul tema dell’intelligenza
artificiale. Giornalista rai che si è occupato da
vicino di temi economici, da alcuni decenni insegna
“comunicazione” alla Columbia University e nella
sede di Torino della Pontifica Università Salesiana.
L’ottimismo è sulle capacità di ricavare, dall’uso dei
super-sistemi, informazioni rapide che richiedereb-
bero altrimenti anni di studio e di scambio fra gli
scienziati: ad esempio nel campo della medicina.
Preoccupazioni invece per l’uso nel settore militare
delle medesime capacità di analisi dei dati.
«È stata individuata la cellula madre di tutti
i tipi di cancro. L’ai è arrivata a questo risultato
facendo sintesi e proiezioni a partire dalla massa
delle ricerche fino a oggi effettuate» spiega Geraci,
«è stata cioè identificata nel dna la matrice delle
anomalie che generano tumori e malattie rare: un
punto di svolta per procedere in modo strategico
nella cura e nella prevenzione.»
Al contempo però la stessa ai sta facendo fare passi
giganteschi nel mondo delle armi: «I razzi Himars
dati dagli Usa all’Ucraina possono sbagliare l’obiet-
tivo di 2 metri, quelli russi di 600». E aggiunge:
«Ci sono già i robot militari che possono scendere
a combattere al posto degli uomini: tutto il mondo
si sta riorganizzando in base alle capacità di questa
tecnologia, e purtroppo anche la grande industria
degli armamenti.»
Tra accettare passivamente l’evoluzione dei com-
puter e le sue applicazioni, e lasciarsi terrorizzare
dai pericoli insiti in essa, la strada che possiamo
seguire da semplici cittadini è quella di sapere
bene di che si stia parlando. Informarsi, speri-
mentare nella nostra quotidianità l’uso di questo
potente mezzo, premere sul potere politico perché
governi e non subisca l’evoluzione dell’informati-
ca: possiamo farlo togliendo il velo che copre que-
sta (relativa) novità delle nostre vite. «L’ultimo dei
microchip è capace di fare un miliardo di miliardi
di calcoli in un secondo» riferisce Bruno Gera-
ci, «siamo di fronte a un super-calcolatore, a una
macchina straordinariamente veloce, addestrata
con oltre trecento miliardi di parole che ha estrat-
to da libri, giornali, riviste, social». Ma è tutto qui
quello che sa, e che può ricavare in base alle do-
mande che poniamo. «Siamo di fronte sempre e
comunque a una macchina priva di quella capacità
di intelligenza naturale che abbiamo noi umani»
26
luglio/agosto 2024

3.7 Page 27

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commenta il nostro interlocutore. Essa ricava le
sue parole dal patrimonio sconfinato dei vocabo-
lari del mondo e le mette insieme secondo calcoli
di probabilità»: sintassi e statistica, puntualizzano
gli esperti, non semantica, cioè la macchina non
capisce il “senso” delle frasi che emette.
Nascita dell’ISCAI
Per dare seguito al mandato del Capitolo Generale
28 di rispondere in modo creativo, coraggioso ed
educativo alla cultura digitale, e in sintonia con il
recente appello di papa Francesco sull’importanza
dell’Intelligenza Artificiale per la Chiesa, il Settore
per la Comunicazione Sociale della Congregazio-
ne Salesiana ha creato una Commissione Salesiana
Internazionale per l’Intelligenza Artificiale (iscai,
in inglese).
L’iscai è stata istituita per l’impegno proteso a ri-
manere al passo con i segni dei tempi, a cogliere
i benefici della tecnologia dell’Intelligenza Artifi-
ciale (ia) in rapida evoluzione e anche con lo scopo
di potenziare la Famiglia Salesiana e i suoi benefi-
ciari attraverso la conoscenza degli strumenti e del-
le implicazioni etiche e morali inerenti all’ia.
L’incontro inaugurale online dell’iscai si è svol-
to martedì 7 maggio 2024. Don Gildasio Mendes
sdb, Consigliere Generale per la Comunicazione
Sociale e Presidente dell’iscai, nel suo discorso di
apertura ha affermato che “lo scopo principale di
questa commissione è quello di riflettere sull’Intel-
ligenza Artificiale da una prospettiva interdiscipli-
nare e di fornire linee guida per i salesiani e gli edu-
catori che lavorano a stretto contatto con i giovani”.
La commissione ora si occuperà di esplorare il po-
tenziale dell’ia per migliorare la comunicazione
e gli sforzi educativi; le implicazioni etiche dello
sviluppo e dell’uso dell’ia e l’uso dell’ia per pro-
muovere la giustizia sociale e l’assistenza agli emar-
ginati.
Come possiamo interpretare l’ia da una prospetti-
va salesiana? Sarà questa una delle domande cen-
trali che guiderà questo gruppo di lavoro verso la
ricerca, l’innovazione, i confronti, le deliberazioni,
i casi di studio e l’elaborazione di politiche.
Al termine del raduno don Gildasio Mendes ha già
comunicato le date dei prossimi due appuntamenti,
rispettivamente il 5 settembre e il 4 dicembre 2024.
L’incontro si è concluso con l’invito a essere am-
basciatori creativi che promuovono un uso positivo
delle tecnologie in evoluzione come l’ia per il mi-
glioramento di tutta l’umanità e del pianeta Terra,
la Casa Comune.
Don Gildasio
Mendes
(primo a
sinistra) e i
componenti
della
Commissione
Salesiana
Internazio-
nale per
l’Intelligenza
artificiale
(ISCAI).
luglio/agosto 2024
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3.8 Page 28

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SALESIANI
Natale Maffioli
Giulio VALOTTI
Tra le tante attività nelle quali si sono cimentati
i Salesiani, vi era anche quella dell’architettura
e il personaggio più ricordato nella storia della
congregazione salesiana per aver esercitato
questa attività in modo eminente è stato
certamente il coadiutore Giulio Valotti.
Giulio Valotti era nato a Quinzano d’O-
glio (in quel di Brescia) il 30 gennaio
1881 aveva compiuto il corso ginnasia-
le nel seminario vescovile di Brescia, in
seguito si presentò a Torino al primo successore di
don Bosco, don Michele Rua, co­me aspirante alla
vita salesiana. Dopo la pro­fessione religiosa a San
Benigno Canavese fu coinvolto nell’Ufficio Tecni-
co dell’Economato Genera­le nel settore delle co-
struzioni; nel frattempo si era laureato in architet-
tura al Politecnico di Torino. Da allora in poi la sua
at­tività fu tutta dedicata alla progettazione e alla
direzione dei lavori edilizi dei Salesiani, nonché di
alcune chiese della diocesi di Torino (il santuario
di Nostra Signora di Lourdes al Selvaggio presso
Giaveno.)
In alto:
Il santuario
di Santa Rita
a Torino.
A destra:
Il santuario
del Selvaggio
(Torino)
Un ufficio di 30 metri quadrati
Potrebbe sembrare una presenza marginale, quella
di un ufficio di non più di 30 metri quadrati gestito
da così poche persone che le dita di una mano pos-
sono bastare ed anche, tranquillamente, avanzare;
il tutto poi paragonato all’apparato organizzativo
dei Salesiani, che già all’inizio del secolo era ben
presente ed esteso in Italia e che cominciava ad
estendersi a tutte le altre nazioni.
Eppure in quei locali affacciati sulla piazza Maria
Ausiliatrice decine di istituti, chiese, scuole, oratori
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luglio/agosto 2024

3.9 Page 29

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vennero ideati, pensati, progettati, modificati, non
sempre tutti realizzati; e in tutto questo il Valotti
entrò come l’artista al quale affidarsi ciecamente sia
per il suo valore, per così dire, artistico, quanto per
la sua capacità di “vivere” le realizzazioni sul campo
(fu direttore dei lavori in diversi cantieri torinesi),
sia ancora per la sua indiscutibile formazione reli-
giosa, la quale si poneva a sigillo e garanzia della
sua opera.
E comunque di questo che è decisamente ridutti-
vo chiamare “ufficio”, il Valotti fu colui al quale i
diversi Economi Generali dell’epoca, e primo di
tutti don Giraudi, diedero piena fiducia, certi della
sua conoscenza dei problemi connessi alla vita sa-
lesiana, nonché persona che viveva profondamente
i valori religiosi; per quanto riguarda la sua capa-
cità dal punto di vista architettonico, questa era
riconosciuta non solo a livello locale.
Sono una cinquantina gli
edifici, tra religiosi e scola-
stici, che recano la sua firma,
ma l’intervento che ebbe più
a cuore fu certamente l’am-
pliamento della basilica di
Maria Ausiliatrice di Torino
dove intervenne in maniera
determinante: a lui si deve la
salvaguardia degli edifici re-
trostanti la basilica, proget-
tò il prolungamento del pre-
sbiterio con la cupola minore
che lo copre e la realizzazio-
ne delle due grandi cappelle
che lo affiancano; l’altare
maggiore è frutto della sua
inventiva, lo progettò in stile
neo­rinascimentale con una
grande cornice che ospitas-
se la pala dell’Ausiliatrice
del Lorenzone. Sempre per
la basilica, progettò l’altare
di Santa Maria Domeni-
ca Mazzarello. Merita una particolare attenzione
l’urna di bronzo che accoglie le spoglie della santa,
dove prese a modello di riferimento la tomba rea-
lizzata nel 1469-72 dal Verrocchio nella sacrestia
fiorentina di san Lorenzo per accogliere le salme di
Pietro, il padre di Lorenzo de Medici, e di suo fra-
tello Giovanni. Gli spigoli dell’arca della Mazza-
rello sono fatti da diverse girali di foglie di acanto,
che da un piede, sempre di foglia d’acanto e da una
cornice di rose canine, salgono fino alla copertura
dell’urna.
Affiancano l’urna due composizioni floreali, in
bronzo dorato, realizzate a mio avviso su disegno
sempre del Valotti per-
ché rispondono appieno
a modelli quattrocen-
teschi fiorentini; non
poteva l’architetto tra-
L’altare maggiore e
la cappella di Madre
Mazzarello nella Basilica
di Maria Ausiliatrice.
luglio/agosto 2024
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3.10 Page 30

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SALESIANI
Sopra:
La chiesa di
San Domenico
Savio
a Torino.
Sotto:
L’Istituto
Rebaudengo
(Torino).
lasciare di accompagnare l’urna della santa senza
lasciarsi influenzare dal modello dello splendido
risultato delle angolature antiche.
Predicare con i mattoni
Ma quello che interessa è anche il fatto della varie-
gata tipologia degli interventi progettati dall’infa-
ticabile signor Valotti: infatti non costruì solo nuo-
ve chiese, ma fece sopraelevazioni, arredi interni,
persino alcuni arredi sacri; e degli istituti progettò
i cortili, le opere parrocchiali, i teatri ma anche le
scuole, i laboratori, i convitti e poi le case per il per-
sonale salesiano.
Della sua profonda pietà cristiana e religiosa, non-
ché del suo valore artistico, disse giustamente mon-
signor Bovero, primo rettore
del Santuario di Selvaggio:
«La presenza e l’edifican-
te contegno dell’architetto
Valotti durante i brevi sog-
giorni estivi nelle visite che
faceva per dirigere i lavori
di costruzione e di amplia-
mento del Santuario erano
la più bella predicazione per
i fedeli che frequentavano il
Santuario... Come oggi ri-
cordiamo con ammirazione
il Juvarra, il Vitozzi, il Ti-
baldi, il Guarino che han-
no lasciato nella nostra re-
gione meravigliosi esempi
del barocco piemontese,
così domani sarà ricorda-
ta l’opera del Valotti per
le sue geniali concezioni
romanico-lombarde». Per
la sua proverbiale mode-
stia unita ad artistico talento viene spontaneo il
raffronto con un altro grande coa­diutore salesiano,
formato direttamente da don Bosco, il maestro e
compositore di musica Giuseppe Dogliani.
È significativa la testimonianza di Arturo Poesio,
presidente degli exallievi di don Bosco: “Giulio
Valotti è stato tipicamente e in grado eminente la
personificazione del Salesiano Coadiutore, quale
con intuizione certamente celeste, lo ideò e realizzò
don Bosco, formandone uno dei capolavori nuovi
ed inimitabili della sua Congregazione. Don Bo-
sco preparò e forgiò il Coadiutore, quasi sacerdote,
senza Messa, nella pietà e nell’apostolato; e, nella
vita pratica, proteiforme elemento di ogni moder-
na attività: umile cameriere o amministratore o
esperto ragioniere, catechista negli oratori festivi o
architetto nelle molteplici creazioni di nuovi Istitu-
ti; linotipista o editore; capo d’arte oppure operaio
manovale d’ogni mestiere; provveditore di generi
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luglio/agosto 2024

4 Pages 31-40

▲torna in alto

4.1 Page 31

▲torna in alto
alimentari, magazziniere o guardarobiere; spesso
suonatore di ogni strumento o maestro e direttore
d’artistici concerti; il buon samaritano nelle infer-
merie dei collegi, e nelle missioni anche dottore in
medicina e, occorrendo, perfino pronto e abile chi-
rurgo… La lunga enumerazione che fu fatta delle
opere di cui il Valotti fu progettista e sovente anche
direttore dei lavori, non è in realtà che una piccola
parte della sua multiforme attività. Ma al disopra
di ogni titolo di rinomanza e benemerenza esterio-
re, il compianto carissimo Coadiutore Valotti era e
rimane per chi lo ha conosciuto l’esempio delle più
belle virtù del Religioso secondo lo spirito di don
Bosco”.
L’armonia attuale della
Basilica deve tutto
all’architetto Valotti.
MALABO: l’Isola del nuovo FUTURO
In Guinea Equatoriale ancora oggi la legge proi-
bisce alle ragazze incinte di proseguire gli studi
curricolari.
Senza la possibilità di istruirsi e di imparare un me-
stiere, rimangono intrappolate in un sistema che le
stigmatizza e le punisce, non hanno modo di integrar-
si nella società e di aspirare a un lavoro dignitoso.
A Malabo i Salesiani hanno attivato dei corsi pro-
fessionali rivolti alle giovani madri, in se-
greteria esecutiva, sistemi informatici,
gestione delle risorse umane,
educazione della prima infan-
zia, amministrazione e finan-
za e lingua spagnola.
Grazie ai sostenitori della Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO
sono stati raccolti 6840 euro
per il progetto
Malabo: l’Isola
del nuovo Futuro
che ha permesso a
22 ragazze madri
tra i 16 e 25 anni
di raggiugere
l'indipendenza
economica.
L’incontro che trasforma
luglio/agosto 2024
la
tua3v1ita

4.2 Page 32

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FMA
Emilia Di Massimo
ANGOLA
Il fascino della gioia
Le prime sono arrivate in Angola
dal Brasile. Ora le Salesiane
animano sette fiorenti comunità.
Le giovani
del gruppo
vocazionale.
Trasformazioni in atto
Hanno viaggiato di notte arrivando il 24 ottobre
1983; sono state accolte dai Salesiani e ospitate nel-
la comunità delle suore di San Giuseppe di Cluny,
San Paolo. La missione educativa che hanno iniziato
è stata per i bambini, gli adolescenti, i giovani, ma
anche per le famiglie; si è svolta nelle scuole, nelle
parrocchie, nei servizi sociali e nei Centri professio-
nali, secondo il carisma salesiano, con l’impegno di
concretizzarlo mediante un progetto di educazione
integrale rivolto in particolar modo ai ragazzi poveri
ed abbandonati, non solo dal punto di vista materia-
le. “Educare”, per ogni Figlia di Maria Ausiliatrice,
ha la sua radice nel Sistema preventivo basato sulla
ragione, sulla religione e sull’amorevolezza; le suore
lo hanno vissuto in una società aperta, multicultura-
le, pacifica, capace di convivenza plurale.
È questa l’impostazione che in Angola hanno dato
le prime sorelle giunte dal Brasile: suor Theotonia
Thiesen, suor Anna Bello Soares, suor Juraci Ma-
ria da Silva, suor Maria das Graças de Souza. At-
tualmente le Salesiane sono presenti in 7 Comunità
nelle Province di Benguela, Cabinda, Kuanza Sul,
Moxico e Luanda, le comunità sono tre e sono in
Cazenga, Cacuaco, Viana.
“Gli ultimi anni sono stati di profondo cambia-
mento, pertanto si è fatto un discernimento per
comprendere le trasformazioni in atto e sintoniz-
zarsi con il cuore delle persone, con il grido degli
esclusi, con le problematiche giovanili”, ci dice suor
Maria das Graças de Souza.
L’esito lo possiamo dedurre da due testimonianze
di vita che, pur se differenti, sono strettamente col-
legate l’una all’altra.
Casa comune
“Sono suor Elsa Pulido, ho 53 anni, sono colom-
biana. Sin da bambina ho sempre fatto parte del
gruppo missionario della scuola delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice; la gioia della dedizione e della ge-
nerosità delle suore mi ha affascinata. Ho sentito la
vocazione missionaria quando ho visto un filmato
riguardante la missione svolta dalle Salesiane tra
gli indigeni. Avevo 16 anni. A 17 anni ho iniziato
la formazione per diventare religiosa e, quando lo
sono diventata, ho fatto la richiesta di essere mis-
sionaria con la convinzione che “c’è più gioia nel
dare che nel ricevere”. Sono stata prima in Colom-
bia, in una missione al servizio delle giovani conta-
dine, in un collegio per 200 adolescenti e ragazzi,
in una scuola di educazione sociale.
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luglio/agosto 2024

4.3 Page 33

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Le suore della
Visitatoria.
Nel 1988 sono venuta in Angola; erano tempi di
guerra eppure le suore erano molto allegre e cor-
diali, soprattutto con i ragazzi. Ho lavorato in ora-
torio, nella catechesi, nei gruppi giovanili, nelle
scuole della diocesi ed in seguito nelle nostre. Mal-
grado il periodo difficile a causa della situazione
del paese, abbiamo condiviso tutto tra noi e fatto
campi per i giovani in città, in periferia; con i Sa-
lesiani abbiamo lavorato per la formazione dei ra-
gazzi. Dopo 35 anni di vita missionaria sono molto
felice ed entusiasta di avere l’opportunità di essere
attenta agli altri. Attualmente mi trovo a Luena,
dove faccio assistenza all’asilo nido. Siamo 6 suore
ed abbiamo una scuola con 3000 alunni, inoltre 18
giovani di diverse province che vivono con noi per-
ché hanno scelto di vivere la vita consacrata”.
«La terra è la nostra crisalide»
“Sono Roseira Correia, exallieva di Benguela; pro-
vengo da una famiglia cattolica, ho fre-
quentato la scuola “Laura Vicuña”
dove, oltre ad arricchirmi cultu-
ralmente, sono maturata come
“buona cristiana ed onesta
cittadina”. Con lo scorrere
degli anni ho appreso le pri-
me catechesi, ho intensificato
l’amore e la devozione a Maria
Ausiliatrice, a Maria Mazzarello,
a Laura Vicuña, a don Bosco. Vivere e sperimenta-
re l’amore di Dio per gli altri mi ha portata ad es-
sere attenta alla casa comune, ovvero il creato. Ho
imparato a scuola a pregare prima delle lezioni, a
curare l’igiene della nostra classe e molto altro che
mi ha maturata; è stato in questo ambiente educati-
vo che si è svegliato in me il forte desiderio di cono-
scere meglio Dio e di fare un’esperienza personale
con Lui, ciò che, con l’aiuto delle suore è stato pos-
sibile. Quanto sono oggi lo devo principalmente
al clima vissuto nella scuola salesiana, agli svariati
momenti formativi, alle celebrazioni di fede, alle
feste, al dono di sé ai più poveri. Tutto questo ha
fatto nascere in me il desiderio e l’impegno di la-
sciare il mondo migliore di come l’ho trovato. Alle
Figlie di Maria Ausiliatrice la mia gratitudine per
la dedizione ai bambini, agli adolescenti ai giovani
di Benguela. La loro presenza nelle terre di Omba-
ka ha portato e continua a portare molti frutti tra-
sformando il cuore e l’esistenza di quanti
vi si avvicinano”.
Suor Elsa e Roseira, che con la
loro testimonianza indicano
come ci si può prendere cura
del creato, ricordano quan-
to afferma la sceneggiatrice
LeeAnn Taylor. “Siamo tutti
farfalle. La terra è la nostra cri-
salide”.
luglio/agosto 2024
33

4.4 Page 34

▲torna in alto
COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 8
GIOCARE
Il bambino ha bisogno di giocare
come di mangiare. Senza gioco
e senza giocattoli, il bambino
non può vivere. Il fondatore degli
Scouts, Baden Powell, afferma: “II
gioco è il primo grande educatore”.
Insomma, si potrebbe dire che per
diventare grandi, bisogna giocare!
Ecco perché dobbiamo lasciar
giocare il bambino. Rubargli il gioco
è come rubargli la sua vitamina
psicologica di base.
I miracoli del gioco
Il gioco è una vera e propria
miniera di cose buone.
Il gioco rende interessante
la vita. Costruisce la felici-
tà del bambino. Tutti concordano nel dire che un
bimbo che non gioca, gioia ne ha poca.
Il gioco spinge a socializzare, a fare gruppo, a
vivere ‘insieme’ e non solo ‘accanto’ agli altri. Se
voglio che il gioco della palla continui, devo pas-
sarla a chi si diverte con me!
Il gioco libera le emozioni e le tensioni accu-
mulate durante lo studio e gli impegni. Giocare
rilassa; giocare sconfigge la noia che è il killer
dell’anima di tutti, specialmente di quella di un
bambino.
Il gioco è medicina. Si può tranquillamente dire
che, giocando, il bambino si cura da sé. Non
per nulla i competenti sostengono che fino a
quando il bambino gioca, non esistono problemi
psicologici insolubili. È quando non gioca più
che iniziano i guai.
Il gioco è il semaforo verde della creatività. È
come un attaccapanni per appendervi la fantasia.
Il gioco mette in condizione di dare libero sfogo
non solo alle energie fisiche, ma anche alle più
originali e frizzanti energie psichiche.
Il gioco allena il cervello. Regalare un giocattolo
ad un bambino è come dirgli; pensa, ragiona, crea.
Han detto bene: “Se sull’ultima spiaggia in cui sarà
costretta a rifugiarsi l’umanità, ci sarà un bambino
capace di fare castelli di sabbia, il mondo degli uo-
mini autentici non scomparirà” (Gino di Rosa).
Finalmente, il gioco, in termini di educazione,
stravince sulla televisione. Se guarda la televisio-
ne, il bambino vede vivere; se gioca, si appropria
del mondo. Se guarda la televisione, assorbe; se
gioca, esperimenta. Se guarda la televisione, si fa
la testa ben piena; se gioca, si fa la testa ben fatta.
Se guarda la televisione, siede, tace e ingrossa;
se gioca, parla, ride, corre, salta, si ossigena, si
snellisce: vive!
Le nostre regole del gioco
Queste le regole del gioco che il bravo educatore
conosce bene.
1. Non compriamo giocattoli troppo perfetti, del
tutto automatici. In questo caso il bambino di-
venta inutile, ed allora il gioco è finito. II giocat-
34
luglio/agosto 2024

4.5 Page 35

▲torna in alto
tolo deve essere una proposta, non una risposta;
deve essere come una fiaba che non finisce mai.
Ecco perché i giocattoli più poveri e meno
strutturati sono quelli che piacciono di più a tutti i
bambini del mondo. Non trovate un bambino che
non ami giocare con queste quattro realtà pove-
rissime: l’acqua: tutti i bambini amano sguazzarvi
dentro; l’aria: tutti amano correre, sentire i brividi
dell’altalena; il fuoco: tutti si incantano davanti ad
un fiammifero acceso; la terra: tutti amano pastic-
ciare con l’argilla, con la sabbia.
2. Non soffochiamolo di giocattoli. Riempire la ca-
meretta di giocattoli, è un duplice errore: eco-
nomico e psicologico. Economico, in quanto è
un inutile spreco di denaro; psicologico, perché
troppi giocattoli sviluppano la cupidigia, l’avi-
dità, il desiderio di avere sempre di più. Inoltre
mettono il piccolo in una situazione di imbaraz-
zo, di incertezza. Non sapendo quale scegliere
tra i molti giocattoli, il bambino sovente sceglie
il capriccio!
3. Mentre sta giocando, non disturbiamolo con
eccessive interferenze. Il bambino va lascia-
to giocare a modo suo. D’altra parte, però,
partecipiamo, di tanto in tanto, alla felicità del
piccolo che si diverte. Al bambino piace avere,
per qualche momento, i genitori come compagni
di giochi. E, poi, non c’è occasione più opportuna
per conoscerlo meglio; non c’è occasione più bel-
la per un’intensa condivisione affettiva. Giocare
con un bambino è una delle forme più alte e più
ricche di dialogo.
4. Non buttiamo via i giocattoli. Se non abbiamo
spazio, deponiamoli in cantina o in soffitta. Ha
ragione Marcello Bernardi: “I giocattoli sono
strumenti con cui l’essere umano ha conquistato
la vita. Il giocattolo deve essere considerato qual-
cosa da conservare sempre, come una reliquia”.
5. Non compriamo un giocattolo solo perché l'ab-
biamo tanto desiderato noi. Non è detto che i
gusti del bambino combacino con i nostri. Dun-
que, come non è saggio ripetere: “Ai miei tem-
I VIDEOGIOCHI FANNO BENE?
Ecco una domanda che sta interessando un numero sempre mag-
giore di genitori ed educatori.
Tanti sì
Non c’è dubbio che i videogiochi hanno molti punti a loro vantaggio.
Questi i principali: stimolano la velocità dei riflessi e la prontezza
mentale; migliorano il coordinamento occhi-mani; favoriscono la
concentrazione; avvicinano ai nuovi mezzi di comunicazione in-
terattivi. I videogiochi permettono al ragazzo di identificarsi con i
vari personaggi. Piacciono perché fanno leva sulla sfida. Tutti sanno
che i ragazzi amano sfide sia fisiche che mentali: ecco perché, ad
esempio, amano tanto gli indovinelli che sono altrettante sfide ai
loro cervelli.
Tanti no
L’uso esagerato del videogioco può provocare inconvenienti fisici:
danni alla vista, emicranie, posizione del corpo talora dannosa. I
videogiochi non sono affatto da buttare: sono semplicemente da
gestire con intelligenza.
Il principale pericolo è quello che impediscono di fare: i discorsi, i
giochi, le festività e le discussioni familiari attraverso le quali av-
viene gran parte dell’apprendimento del bambino e si forma il suo
carattere. I videogiochi sviluppano la velocità di reazione, ma ten-
dono a disattivare la riflessione.
pi..., ai miei tempi...”, così non è bene, notando
l’indifferenza con cui il bambino accoglie un
giocattolo, dirgli: “L’avessi avuto io!”,
6. Non lasciamoci guidare dalla bella figura o dalla
competizione. Perché il figlio sia alla pari con i
vicini, con i cuginetti, deve avere un giocattolo
lussuoso e costoso: così si ragiona in troppi. Si
arriva all’assurdo che, dopo aver comprato un
giocattolo costosissimo, i genitori ne proibiscano
l’uso per paura che si sciupi o si rompa!
luglio/agosto 2024
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’INDIGNAZIONE
non basta!
Sul divano occidentale, fino al
fungo nucleare, / sento una testa
cadere, sento una testa vacillare,
/ ed è la mia...
«M i indigno, dunque sono». Nel dif-
ficile periodo storico in cui vi-
viamo, segnato dall’emergere e,
sempre più di frequente, dal
giungere al punto di rottura di innumerevoli fattori
di tensione a livello geopolitico, economico, sociale
e culturale, questo sembra essere diventato il motto
collettivo di una generazione di giovani adulti (e,
per la verità non solo il loro) che non perdono oc-
Sul divano occidentale,
arruolati da sdraiati,
disputiamo, guerreggiamo,
interventisti sul divano.
Sul divano sorvoliamo
sui conflitti, sulla storia,
atterriamo, decolliamo e poi planiamo
sul divano...
In guerra eroica, sul fronte della linea stoica,
in guerra eroica, sul fronte della linea stoica:
col deretano sul divano guerreggiamo,
con sguardo bovino ci diciamo da vicino
che resistere, resistere, è il modo per esistere,
e resistere, resistere, è il modo per esistere!
Sul divano fronteggiamo
le paure, sul divano
la mollezza a domicilio,
corpo inerte nel mobilio.
casione per manifestare accoratamente – sui social
come nelle conversazioni quotidiane – la propria
indignazione per i tanti problemi che affliggo-
no l’umanità. Dai conflitti in atto in varie regio-
ni del mondo al rigore negato alla nostra squadra
del cuore, dalla crisi economica globale al rincaro
del costo mensile della piattaforma di streaming cui
siamo abbonati, dall’ennesima notizia di una morte
sul lavoro all’ingiusta esclusione del nostro concor-
rente preferito dal reality show che seguiamo con
tanto accanimento: su ogni questione ci riteniamo
ugualmente legittimati a dire la nostra, ad esprime-
re a gran voce il nostre sdegno, ad ingaggiare sottili
dispute dialettiche con chi la pensa diversamente
da noi. Il tutto rimanendo comodamente seduti sul
divano della nostra coscienza e combattendo la no-
stra battaglia per un mondo più giusto e sostenibile
a suon di post e condivisione di status su Instagram
o su Facebook, brandendo il telecomando come
un’arma solo apparentemente inoffensiva, ergen-
doci a giudici monocratici che esercitano il proprio
incondizionato diritto di opinione di fronte allo
“spettacolo mediatico” delle ingiustizie più dispa-
rate che travagliano la società. Come se fosse suffi-
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luglio/agosto 2024

4.7 Page 37

▲torna in alto
ciente la nostra indignazione sbandierata ai quattro
venti e amplificata dalla cassa di risonanza del web
per invertire il corso della Storia o, per lo meno, per
farci sentire in pace con noi stessi...
Ma se è vero che l’indignazione è «il motore della
resistenza», come ci ricorda una figura del calibro
di Stéphane Hessel – sopravvissuto alla deporta-
zione a Buchenwald dopo aver partecipato in prima
linea alla Resistenza francese e tra gli estensori, nel
secondo dopoguerra, della Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo – che di tale atteggiamento con-
testativo ha fatto il filo conduttore di tutta la sua
vita, senza la disponibilità a rimboccarsi le maniche
e ad impegnarsi in prima persona per modificare
ciò che non va e per tradurre in una logica costrut-
tiva la doverosa ribellione nei confronti di tutto ciò
che offende la propria dignità e quella degli altri,
essa rischia di risolversi in una sterile e indiscri-
minata esplosione di rabbia, utile solo a dilatare la
permanente conflittualità che segna la convivenza
sociale, ma incapace di farsi carico di una concreta
responsabilità in direzione del cambiamento dello
status quo.
Il tuo sedere, il mio sedere,
il tuo sedere, il mio sedere sul divano,
il tuo sedere, il mio sedere,
il tuo sedere, il mio sedere sul divano:
quanto ti amo, quanto ti amo...
In guerra eroica, sul fronte della linea stoica,
in guerra eroica, sul fronte della linea stoica:
bombe nucleari, sganciate giù pari
al bottone rosso del telecomando,
e resistere, resistere, è il modo per esistere,
e resistere, resistere, è il modo per esistere!
L'Occidente va alla notte,
va a morire con il sole;
l'Occidente va, l'Occidente va alla morte,
va a morire con il sonno.
Europa, Europa dove sei?
Perché morire con il giorno,
se stride Oriente ed Occidente,
perché finire nel vapore?
Non c'è più noi, non c'è bandiera
che non sia il pezzo di sedere,
occupato e riscaldato
sul divano occidentale.
Sul divano occidentale
non si sta poi tanto male:
ho il mio piano resiliente,
resiliente sul divano.
Sul divano occidentale,
fino al fungo nucleare,
sento una testa cadere,
sento una testa vacillare,
ed è la mia...
(Vinicio Capossela, Sul divano occidentale, 2023)
Per contrastare la cultura dell’indifferenza dominan-
te nella presente fase storica non basta, infatti, grida-
re allo scandalo sull’onda di un’emotività impulsiva e
contingente, salvo poi adattarsi ad accettare ciò che ci
appare ineluttabile, nel nome di una troppo decantata
“resilienza”: occorre, invece, sforzarsi prima di tutto
di capire e di valutare – che è cosa ben diversa dal
giudicare –, per poi adoperarsi quotidianamente af-
finché la tensione etica insita nel sentimento dell’in-
dignazione possa tradursi nel coraggio di cambiare
le cose e nella capacità di immaginare un mondo più
giusto e all’altezza delle nostre speranze.
luglio/agosto 2024
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
La prima volta a
FIRENZE CAPITALE
La prima visita di don Bosco a
Firenze nel 1866, appena diventata
nuova capitale del regno d’Italia,
fu semplicemente di pochi giorni.
È vero, all’epoca soffriva di mal
di occhi, ma la città non lo attirava
per le sue bellezze artistiche;
don Bosco vi andava solo perché
aveva bisogno di trovare sussidi
per la sua opera di Torino e
di allargare i confini della stessa.
T orino ormai gli andava stretta, tanto più
che essa si stava leccando le piaghe dei
tumulti del settembre 1864, con 62 mor-
ti e 170 feriti, a seguito della decisione
governativa di trasferire la capitale a Firenze. La
città si era impoverita, migliaia di persone l’aveva-
no abbandonata e la lotteria lanciata da don Bosco
nell’aprile 1865 per finanziare la costruzione della
chiesa di Maria Ausiliatrice stentava a raggiungere
la cifra sperata. Al contrario Firenze era in ascesa,
con il trasferimento della famiglia reale, dei mini-
steri e degli uffici amministrativi nazionali. Con
30 mila nuovi arrivi, la città di 120 mila abitanti in
pochi anni cambiò decisamente volto.
Che cosa fare di meglio per don Bosco se non re-
carsi a Firenze presso gli antichi amici piemontesi,
addetti ai ministeri da lui più frequentati, quelli
dell’interno, della guerra e dei lavori pubblici? In
riva all’Arno non si sarebbe trovato a disagio. Il suo
nome di grande educatore, di uomo di chiesa, di
fecondo scrittore popolare correva su molte bocche
fiorentine, soprattutto dell’arcivescovo Gioachino
Limberti e dei preti fiorentini che volevano fra l’al-
tro affidargli qualche orfano. Ma anche a molte fa-
miglie nobili era giunta la fama di santo sacerdote.
Non vedevano l’ora di farne la conoscenza, di avvi-
cinarlo, possibilmente di ospitarlo, stando almeno
alle loro insistenze una volta giunto in città e alle
loro corrispondenze una volta ritornato a Torino.
Firenze si prestava dunque magnificamente ad ac-
crescere il numero degli amici e dei benefattori.
Il viaggio
Don Bosco già nel settembre 1866 aveva avuto in
animo di recarsi a Firenze; la notizia della sua venu-
ta, data da qualche sacerdote amico, si era diffusa in
città, ma la grave malattia e la morte il 7 ottobre del
suo braccio destro, don Vittorio Alasonatti, gli fece
ritardare la partenza. Fino a mettersi in viaggio solo
l’11 dicembre. Fermatosi brevemente a Pisa, ospite
dell’amico card. Corsi – meravigliosa e commoven-
tissima la lettera che scrisse ai suoi ragazzi dalla cit-
tà della torre pendente – giunse alla capitale la sera
del 13 dicembre e sarebbe rimasto fino al 18.
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luglio/agosto 2024

4.9 Page 39

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Il solenne ricevimento dei canonici
Non sono molte le notizie sicure sulle cinque giorna-
te trascorse da don Bosco in città, benché le Memorie
Biografiche vi dedichino varie pagine, con qualche
fantasia di troppo. Ospite i primi due giorni dell’ar-
civescovo Gioachino Limberti – da don Bosco in
relazione da anni a motivo soprattutto delle pub-
blicazioni di Valdocco –, come primo atto pubblico
della sua presenza in città dovrebbe esserci stato un
cordialissimo ricevimento dei Canonici del duomo,
un loro caloroso indirizzo di saluto e un improvvisa-
to e impegnativo discorsetto di don Bosco. Ancora
nel 1991 Antonio Miscio nel suo volume Firenze e
Don Bosco (1848-1888) scriveva “Senza esito le ricer-
che nell’archivio del Capitolo del Duomo”.
Ora se per l’intervento di don Bosco possiamo solo
avanzare ipotesi – molto probabilmente avrà parla-
to dei suoi oratori di Torino, della chiesa di Maria
Ausiliatrice in costruzione per la quale era in corso
una lotteria, della necessità dell’educazione di gio-
vani poveri ed abbandonati delle città – di certo si
è che il ricevimento dei canonici ebbe luogo e che
l’accoglienza fu “benevola”. Ce lo documenta con
sicurezza l’interessante lettera autografa, recente-
mente ritrovata, indirizzata un mese dopo il suo
ritorno a Torino al canonico arcidiacono Filippo
Restoni Samuelli.
Don Bosco esordisce quasi scusandosi di non aver
subito ottemperato al dovere di ringraziare dell’ac-
coglienza ricevuta: “La benevola accoglienza fatta-
mi dal Rever.d.mo Capitolo Fiorentino nella lieta
occorrenza in cui passai alcuni giorni in codesta
novella capitale produsse in me tali sentimenti di
gratitudine, che io andava tuttora aspettando l’op-
portunità di renderla palese con qualche segno
esterno. Ma la nobiltà e la dignità de’ personaggi,
con cui doveva trattare, e la pochezza mia mi met-
tevano nell’impossibilità di poterlo fare”.
Prosegue indicandogli l’omaggio che intende fare
a ciascun canonico: “Ho pertanto divisato di fare
l’umile offerta di una copia della comunque siasi
mia Storia d’Italia [quinta edizione] a ciascuno dei
sig. canonici con preghiera di volerla gradire non
pel merito letterario o scientifico, ma come unico
mezzo per dimostrare la mia grande soddisfazione
e la cara rimembranza di quella giornata che per me
sarà sempre di grata memoria. Ella poi, benemerito
sig. Arcidiacono, mi farà un vero favore se, oltre al
gradire una copia, si compiacerà di farne tenere una
a caduno de’ signori canonici aggiugnendo da par-
te mia quelle più cordiali espressioni di stima e di
affetto che io non valgo ad esprimere, ma che Ella
nella conosciuta sua saggezza saprà interpretare e
meglio formolare”.
Comunica poi a tutti i canonici di aver portato con
sé a Torino cinque orfanelli fiorentini per collocarli
nel collegio di Mirabello aperto due anni prima.
Uno di loro, un certo Ernesto Saccardi, un piccolo
Domenico Savio, morirà non molto dopo. Come
sempre con i sacerdoti e grandi benefattori, invita
i canonici a visitarlo a Torino: “Apro… questa casa
per ogni occorrenza, e che venendo a Torino qual-
cheduno di loro avrò sempre come tratto di bontà
e di favore una loro visita. Insomma contino sopra
della mia povera persona in tutto quello che loro
potessi prestare qualche servizio”.
Il dado era tratto, un manipolo di famiglie gli aveva
aperto le porte, le nobildonne si sarebbero organiz-
zate per la raccolta di fondi per la chiesa di Maria
Ausiliatrice e le opere di don Bosco.
Da Firenze don Bosco sarebbe transitato e si sareb-
be soffermato altre volte, ma solo con molto ritardo,
nel 1881 avrebbe aperto la prima casa salesiana in
città.
La chiesa
dell’opera
salesiana
di Firenze.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
Nei mesi di luglio-agosto preghiamo per la canonizzazione
dei Beati Francesco Kęsy e Compagni, martiri, di cui ricorre
quest’anno il 25° della Beatificazione
I giovani martiri furono oratoria-
ni della casa salesiana di Poznań
(Polonia): Czesław Jóżwiak, nato a
Lazyna nel 1919; Edward Kazmier-
ski, nato a Poznań nel 1919; Fran-
ciszek Kęsy, nato a Berlino nel 1920;
Edward Klinik, nato a Bochum nel
1919 e Jarogniew Wojciechowski,
nato a Poznań nel 1922. Impegnati
nell’animazione dei compagni e le-
gati tra loro da interessi e progetti
sociali, dopo essere stati arrestati
dalla Gestapo nel settembre del
1940, con l’accusa di appartenere a
un’organizzazione illegale e di alto
tradimento, vennero processati e
condannati a morte. Condivisero
con grande fede e fraterna amici-
zia il tempo della prigionia e l’ora
del martirio, avvenuto il 24 agosto
1942 a Dresda (Germania). Il 13
giugno 1999 furono beatificati da
san Giovanni Paolo II a Varsavia
insieme con 108 martiri polacchi.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 28 aprile 2024 a Cuautitlán (Messico) chiusura dell’In-
chiesta diocesana della Causa della Serva di Dio Antonieta
Böhm (1907-2008), Figlia di Maria Ausiliatrice.
Il 5 maggio 2024 a Modica (Ragusa) chiusura dell’Inchiesta
diocesana del Servo di Dio Antonino Baglieri (1951-2007),
Laico, Volontario con Don Bosco.
REGISTRAZIONE APERTA
WWW.MARIAAUXILIADORA2024.PT
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luglio/agosto 2024
Preghiera
O Dio, che hai concesso ai Beati Francesco [Kesy]
e compagni martiri
la grazia della santità nel tempo della giovinezza;
rinnova i prodigi del tuo Spirito
perché anche noi affrontiamo, per tuo amore, ogni avversità,
e camminiamo con entusiasmo incontro a te,
che sei la vera vita.
Ti supplichiamo di voler glorificare questi tuoi servi
e di concederci, per loro intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ANS
Carlo Di Cicco
Giornalista, Vicedirettore de L’Osservatore
Romano e collaboratore dell’ANS
e del Bollettino Salesiano
Si è spento lunedì 15 aprile 2024, a
Roma, all’età di 79 anni, il giorna-
lista Carlo Di Cicco. Professionista
che può essere a buon diritto an-
noverato tra i comunicatori “della
e per la pace”, e del sociale, da
sempre vicino alla spiritualità sa-
lesiana – essendo stato lui stesso
professo per un periodo – lavorò
prima all’agenzia Asca (Agenzia di
Stampa Cattolica Associata) e poi a
L’Osservatore Romano, dove diven-
ne Vicedirettore, ruolo in cui venne
fortemente voluto dal Cardinale
Tarcisio Bertone. È stato per anni,
inoltre, uno stretto collaboratore
dell’Agenzia iNfo Salesiana (ANS) e
anche del Bollettino Salesiano.
Schivo e riservato, ma preparatis-
simo e dalle profonde convinzioni
etiche e sociali “senza se e senza
ma”. Insomma, “un giornalista di
altri tempi”, si potrebbe dire oggi.
Così lo ricordano colleghi e quanti
lo hanno conosciuto in questi quasi
50 anni di attività giornalistica.
Nato in campagna, a Valleluce, in
provincia di Frosinone, il 9 luglio
1944, era un uomo concreto e
che badava all’essenza delle cose:
veniva dalla campagna e aveva
anche badato alle pecore da pic-
colo. Si trasferì giovanissimo nei
“borghetti” alla periferia della
città di Roma. Forse qui, tra quelli
che Papa Francesco ha definito gli
“scarti” ignorati da una società
che non ama “le periferie”, svilup-
pò ancor di più la sua sensibilità
sociale.
La sua è stata una vita passata
da cronista sociale e vaticano
all’agenzia Asca, che contribuì
a lanciare e per la quale svolse
anche un importante lavoro sin-
dacale nel Comitato di Redazione.
E insieme c’era l’impegno per un
giornalismo che, insieme a tanti
altri settori della società italiana,
ancora aveva il sogno e l’ambi-
zione di cambiare la società. È in
questa dimensione che va sempre
inquadrato, con testardaggine e
poco margine ai compromessi, il
suo impegno professionale che lo
portò fino a diventare redattore
capo all’Asca.
L’ultima sua battaglia nella agen-
zia per la quale spese buona parte
della sua vita fu di creare una re-
dazione “Sociale” in cui credette
con totale impegno, tanto da intro-
durre, per la prima volta in Italia,
la figura del redattore sociale. Che
assicurasse un flusso quotidiano
e continuo di notizie su fatti e po-
litiche che riguardassero le realtà
marginali della società, il volonta-
riato e il terzo settore, argomenti
quali le droghe, il carcere, la salute
negata e poi i migranti e le disabi-
lità. Insomma, tutte quelle che, so-
prattutto in quegli anni, erano con-
siderate “non-notizie” con fasce di
popolazione che non servivano né
al consenso, né all’economia.
In questo percorso si inserisce
anche l’impegno di Di Cicco per
la pace: fermamente pacifista,
passò anche un breve periodo
in carcere essendosi rifiutato di
svolgere il servizio militare nell’e-
poca in cui ciò costituiva appunto
reato. Amico del Movimento “Pax
Christi”, militante di questa realtà
associativa, per 10 anni ne fu di-
rettore del Bollettino nazionale,
e fu amico di vescovi impegnati
quali monsignor Tonino Bello e
monsignor Luigi Bettazzi.
La sua professionalità ebbe una
sorta di conferma con la chiama-
ta, nell’ultima fase della sua vita,
oltretevere, quale Vicedirettore de
L’Osservatore Romano, che contribuì
a guidare negli anni del pontificato
di Papa Ratzinger. Fu lo stesso pon-
tefice tedesco a chiamarlo perché
positivamente colpito da un suo
argomentatissimo libro: “Ratzin-
ger. Benedetto XVI e le conseguen-
ze dell’amore” del maggio 2006,
(per le Edizioni Memori) nel quale
– controcorrente – descriveva un
pontefice dai tratti e dagli indirizzi
completamente differenti da quelli
presentati dalla stampa in quegli
anni. Una lettura “altra” e del tutto
inedita che colpì i vertici Vaticani
per l’acutezza delle analisi oltre
gli schemi ormai cuciti addosso a
quello che fu subito bollato come
“il Pastore tedesco”.
A L’Osservatore Romano Di Cicco
portò soprattutto il forte senso del
lavoro, della dignità preziosa della
professione giornalistica e la spinta
ad avere l’occhio sempre orienta-
to ai più poveri e ai più bisognosi,
ai migranti in primo luogo. Allo
stesso tempo non mancò di fare
sentire l’attenzione del giornale
della Santa Sede alle comunità dei
religiosi e delle religiose.
Collaborò con numerose testate
giornalistiche, quotidiane e perio­
diche, e con riviste specializzate.
Avviò e curò la parte giornalisti-
ca “Vidimus Dominum”, il primo
quotidiano internazionale online
sulla vita consacrata.
Per l’Agenzia iNfo Salesiana è
stato uno stretto e valido collabo-
ratore proprio negli anni in cui la
Congregazione decideva di rilan-
ciarla. “Fu un dono gratuito del
Cielo – lo ha ricordato il salesiano
don Carlos Garulo, già Coordina-
tore dell’ANS negli anni ’90 del
secolo scorso –. Venni chiamato
per riorganizzare la comunicazio-
ne della Congregazione e avendo
poca conoscenza dell’italiano
contattai per un aiuto un redat-
tore della rivista Jesus. Questi non
poteva, ma mi indicò Di Cicco, e fu
una benedizione”.
Dopo una telefonata e un primo
incontro, Di Cicco si appassionò al
progetto dell’ANS. “Veniva una
volta alla settimana, per impostare
insieme il tipo di comunicazione
che volevamo realizzare – con-
tinua il salesiano –. Stringemmo
un rapporto vitale. E fu davvero
importante: tante cose io non le
avrei mai fatte, avevo una forma-
zione più aziendale, lui portò la
sua formazione giornalistica”.
“Ringrazio il Signore di averlo incon-
trato” conclude infine don Garulo.
luglio/agosto 2024
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5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere:
Ami, Art, Rid, Teo, Têt.
Parole di 4 lettere: Adda, Asap,
Ciro, Cupo, Ergo, Esse, Salt, Star, Stop.
Parole di 5 lettere: Atout, Tiene.
Parole di 6 lettere:
Lipsia, Oramai, Peplum, Stuolo.
Parole di 7 lettere: Capitol,
Otranto.
Parole di 8 lettere: Cannabis,
Elegiaca, Lastrico, Souvenir.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le
parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 9 lettere: Illusione.
Parole di 10 lettere: Adrenalina,
Anemometro, Argentario, Coleottero,
Nastroteca.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 12 lettere: Saccopelista.
ACCOGLIENZA CONTRO
EMARGINAZIONE E DISAGIO
La congregazione Salesiana opera in molti modi, anche attraverso un’importan-
te associazione: Salesiani XXX APS. Questa svolge attività di interesse gene-
rale e di promozione sociale a beneficio dei propri iscritti o di terzi avvalendosi
prevalentemente del volontariato dei propri associati, è una associazione “non
profit” senza scopo di lucro. Si occupa quindi di bambini, adolescenti e giovani
in condizioni di povertà e l’obiettivo principale è che possano condurre una vita
piena e dignitosa in comunità ricche di relazioni e collaborazioni. Opera in tutto il territorio nazionale attraverso una rete fatta di case famiglia,
comunità accoglienza, centri diurni e altri servizi, ispirandosi al metodo educativo di don Bosco e al suo “sistema preventivo”. Venne costituita
nel luglio del 1993 dai Salesiani ispirandosi ai dettami di san Giovanni Bosco e intesa come strumento a sostegno del disagio e della pover-
tà educativa. L’associazione è composta da 88 organizzazioni (soci ordinari) diversificate in enti ecclesiastici, organizzazioni di volontariato,
associazioni e cooperative sociali presenti su tutto il territorio nazionale: 46 Comunità residenziali (case famiglia, comunità alloggio e semi-
Soluzione del numero precedente
autonomia), 30 Centri Diurni per minori e giovani, 10 Centri di accoglienza ed accompagnamento
contro le dipendenze, 901 operatori qualificati, 102 Soci Sostenitori che svolgono attività educative
legate principalmente al Servizio Civile, 2983 volontari che prestano il loro servizio gratuitamente. A
portare avanti l’azione di don Bosco non ci sono solo i salesiani consacrati, ma anche molti laici che si
riconoscono nel carisma del Santo torinese. Sono circa 30mila i minori in Italia che vivono fuori dalle
loro case d’origine: bambini orfani, abbandonati dai genitori naturali o addirittura dalla famiglia
adottiva.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
L’AQUILONE
U na tersa e ventilata mattina
di marzo, un bambino,
aiutato dal nonno, fece
e saliva sempre più in alto, finché Lassù, nell’azzurro, l’aquilone
divenne solo più un puntolino.
dondolava tranquillo e sicuro,
Il filo si srotolava e seguiva l’aquilone seguendo le correnti. Due grassi
innalzare nel cielo un magnifico
verso l’alto, ma il nonno aveva legato piccioni chiacchieroni, che volavano
aquilone.
saldamente un’estremità del filo al pigramente, si affiancarono all’aqui-
Portato dal vento, l’aquilone saliva polso del bambino.
lone e cominciarono a fare commenti
sui suoi colori.
«Sei vestito proprio in ghingheri,
amico» disse.
«Dai, vieni con noi. Facciamo una
gara di resistenza» disse l’altro.
«Non posso», disse l’aquilone.
«Perché?».
?
«Sono legato al mio padroncino,
laggiù sulla terra».
I due piccioni guardarono in giù.
«Io non vedo nessuno», disse uno.
«Neppure io lo vedo», rispose
l’aquilone «ma sono sicuro che c’è:
perché ogni tanto sento uno strattone
al filo».
Anche Dio
rischia di diventare il
«Grande Invisibile», Io
sconosciuto inascoltato
per eccellenza. Eppure,
se stiamo attenti
e affiniamo il nostro
sentire interiore, la
nostra coscienza, noi
sentiamo gli «strattoni»
della sua presenza.
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5.4 Page 44

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