05-Maggio-2025

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Don Fabio Attard
Undicesimo successore di don Bosco
MAGGIO
2025

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
PROVVIDENZA e furti
L a Bibbia esalta la fede di
Abramo. Dio gli disse:
«Parti! La strada si rivele-
rà». Abramo partì. Don Bosco era
della stessa tempra. Lavorò instanca-
bilmente per una settimana per
trasformare la tettoia Pinardi in una
cappella. Quando arrivò alla fine si
accorse che gli mancava il calice per
la prima Messa.
Come fare a provvederlo?
Si rivolse, come sempre nei momenti
di difficoltà, verso Mamma Mar-
gherita, e poi esclamò quasi ispirato:
«Madre, cercate, frugate per ogni
dove; manca il calice, e voi dovete
trovare i denari per comprarlo».
Si misero all’opera tutti e due.
Cercarono, frugarono, e alla fin fine
trovarono, in fondo ad un vecchio
cassettone fuori uso, un rotolo con-
tenente otto scudi d’oro, esattamente
quanti erano necessari per comperare
un calice da Messa.
«Oh bella! Chi li ha nascosti qua
dentro?» chiese la mamma.
«Elementare, madre» ribatté don
Bosco «li ha messi lì la Provvidenza,
che ci ha voluto fare uno scherzo».
formare una sottanina per i chieri-
chetti.
Un giorno, Mamma Margherita gli
corse incontro tutta ansante gridando:
«Oh Giovanni, Giovanni, se sapessi!»
«Che cosa!? Hai guadagnato un terno
al lotto?»
«Altro che guadagno! perdita, mio
caro, perdita! Ti hanno rubato la veste
nuova, la sola buona che hai. L’avevo
stesa sul terrazzo al sole, e te l’hanno
rubata».
«Se l’hanno rubata, pazienza! che
volete farci?»
«Bisogna cercare il ladro! Sarà ancora
nei dintorni».
«Devo mettermi a fare il carabiniere?»
«Ecco, ti fidi sempre di tutti. Ed ora
come farai ad uscire?»
«Oh bella! Prenderò uno di quei cap-
potti regalati dal Municipio, ed uscirò
vestito da militare».
«Ma che figura farai? Non è
Carnevale!»
«Un po’ di Carnevale non guasta mai!»
Poi, cambiando tono, soggiunse:
«Guardate, madre, il ladro ne aveva
forse più bisogno di me... forse è già
pentito... e se venisse a confessarsi io
mi contenterei del fermo proposito di
non farlo più, e gli regalerei la veste
o l’equivalente, gli darei l’assoluzione
in lungo e in largo. Pregate intanto la
Madonna che me ne mandi un’altra».
E così i parrocchiani della
Chiesa del Carmine videro
don Bosco arrivare per la
celebrazione della Messa
vestito come un caporale
del Regio Esercito.
La veste
L’ultima cosa di cui don Bosco si
preoccupava era il vestito. Per molti
anni portò gli zoccoli in casa e un
soprabito così logoro che non aveva
più colore. Indossava la veste talare
per tanto di quel tempo che, quando
la smetteva, a stento se ne poteva
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Don Fabio Attard
Undicesimo successore di don Bosco
MAGGIO
2025
MAGGIO 2025
ANNO CXLIX
NUMERO 5
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Il sorriso di don Fabio Attard,
nuovo Rettor Maggiore della Congregazione
Salesiana (Foto Piero Giordano).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 LA NOSTRA GUIDA
Chi è il nuovo Rettor Maggiore
8 IN PRIMA LINEA
Maria Ausiliatrice a Buenos Aires
12 LE CASE DI DON BOSCO
Colle Val d’Elsa
16 LA NOSTRA BASILICA
Le nuove campane
18 SALESIANI
I ragazzi del cimitero
22 IL POSTER
24 FMA
Reti (in)vulnerabili
26 TESTIMONI
Vera Grita
30 DON BOSCO NEL MONDO
Il tuo sogno
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Il diritto di cambiare idea
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
8
18
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile: Bruno Ferrero
Condirettore: Andrei Munteanu
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo numero:
Agenzia Ans, Fabio Attard, Marco
Borraccino, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Marco Di Gennaro, Emilia Di
Massimo, Louis Kannan, Antonio Labanca,
Carmen Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Andrei Monteanu, Francesco
Motto, Pino Pellegrino, Lodovica Zanet,
Fabrizio Zubani.
IL POSTER: la Madonna della cupola di Maria
Ausiliatrice come l’ha voluta don Bosco
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
Fondazione
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Fabio Attard
Quando il
SIGNORE BUSSA
Un confratello mi ha detto: «Padre, abbiamo solo bisogno
della tua vicinanza, del tuo ascolto, della tua preghiera.
Questo ci consola, ci incoraggia e ci dà forza e speranza
perché continuiamo a servire i giovani, poveri e feriti,
impauriti e terrorizzati!»
Il 25 marzo 2025 la Chiesa celebra la solen-
nità dell’annunciazione dell’Angelo Gabriele
a Maria. Una delle solennità più significative
per la fede cristiana. In questa solennità noi
facciamo memoria dell’iniziativa di Dio che entra
a far parte di quella storia umana che lui stesso ha
creato. In quel giorno nella Santa Eucaristia noi re-
citiamo il credo e quando professiamo che il Figlio
di Dio si è fatto uomo noi credenti ci inginocchia-
mo come segno di stupore per questa iniziativa me-
ravigliosa di Dio davanti alla quale non ci resta che
metterci in ginocchio.
Nella esperienza dell’annunciazione Maria ha pau-
ra: “Non temere Maria” le dice l’Angelo. Dopo che
ha espresso le sue domande, essendo assicurata che
si tratta del progetto di Dio per lei, Maria rispon-
de con una semplice frase che rimane per noi oggi
un richiamo e un invito. Maria, la Benedetta tra le
donne, dice semplicemente: “Sia fatto di me secon-
do la tua parola”.
Il 25 marzo passato il Signore ha bussato sulla porta
del mio cuore attraverso la chiamata che i miei fra-
telli al Capitolo Generale 29° mi hanno rivolto. Mi
hanno chiesto di mettermi disponibile per assumere
la missione di essere Rettor Maggiore dei Salesiani
di don Bosco, la Congregazione di san Francesco di
Sales. Confesso che lì per lì sentivo il peso dell’in-
vito, momenti che disorientano perché quello che il
Signore stava chiedendomi non era una cosa leggera.
Il punto è che quando arriva la chiamata, noi come
credenti entriamo in quello spazio sacro dove sentia-
mo forte il fatto che è Lui che prende l’iniziativa. La
strada davanti a noi è solo quella di semplicemente
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abbandonarsi nelle mani di Dio, senza se e senza
ma. E tutto questo naturalmente non è facile.
«Vedrai come il Signore lavora»
In queste prime settimane mi sto ancora chiedendo,
come Maria, che senso ha tutto questo? Poi pian
piano comincia ad arrivare quella consolazione che
una volta mi diceva un mio Ispettore: “Quando il
Signore chiama è Lui che prende l’iniziativa, da
Lui dipende quello che si fa. Tu solo tieniti pronto
e disponibile. Vedrai come il Signore lavora.”
Alla luce di questa esperienza personale ma di por-
tata assai ampia, perché si tratta della Congrega-
zione Salesiana e della Famiglia Salesiana, mi sono
immediatamente rivolto ai miei cari fratelli Sale-
siani. Fin dal primo momento ho chiesto loro che
mi accompagnassero con la loro preghiera, la loro
vicinanza, il loro sostegno.
Devo confessare che queste prime settimane già sen-
to che questa missione deve ispirarsi a Maria. Lei
dopo l’annunzio dell’Angelo si mise in cammino per
aiutare la sua cugina Elisabetta. E così mi sono mes-
so a servire i miei fratelli, ad ascoltarli, condividendo
e assicurando loro il sostegno di tutta la Congrega-
zione, specialmente per coloro che vivono in situa-
zioni di guerre, conflitti e povertà estreme.
Mi ha colpito il commento di un ispettore che con
i suoi confratelli sta vivendo una situazione estre-
mamente difficile. Dopo un colloquio molto fra-
terno mi disse: “Padre, abbiamo solo bisogno della
tua vicinanza, del tuo ascolto, della tua preghiera.
Questo ci consola, ci incoraggia e ci dà forza e spe-
ranza perché continuiamo a servire i giovani, po-
veri e feriti, impauriti e terrorizzati!” Dopo questo
commento siamo rimasti in silenzio, lui e io, con
qualche lacrima che scendeva dai suoi occhi e devo
dire anche dai miei.
Finito l’incontro sono rimasto solo nel mio ufficio.
Mi sono chiesto se questa missione che il Signore
mi chiede di accettare non è forse quella di ren-
dermi fratello accanto ai miei fratelli che soffrono
ma sperano? Che combattono per fare il bene per i
poveri e non hanno nessuna intenzione di smettere?
Sentivo dentro di me una voce che mi diceva che
vale la pena dire “sì” quando il Signore bussa, costi
quel che costi!
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LA NOSTRA GUIDA
ANS
Chi è il nuovo RETTOR MAGGIORE
UNA VITA DONATA
AL CARISMA SALESIANO
L’elezione di don Fabio Attard
come 11° successore di don Bosco
segna un momento storico per
la Congregazione Salesiana e per
la Famiglia Salesiana nel mondo.
Eletto durante il 29° Capitolo Generale
della Società di San Francesco di Sales,
don Fabio Attard incarna pienamente il
carisma di don Bosco e si prepara a gui-
dare la missione salesiana dedicata ai giovani, spe-
cialmente ai più poveri e vulnerabili, in ben 136 na-
zioni. Con una vasta esperienza teologica, pastorale
e accademica, don Attard è chiamato a condurre
la Congregazione Salesiana verso un futuro rinno-
vato, portando il sogno di don Bosco al centro del
mondo contemporaneo.
Un Cammino di Fede
e Formazione
Nato il 23 marzo 1959 a Gozo, Malta, don Fabio
Attard è cresciuto a Victoria, dove ha frequentato le
scuole primarie e secondarie pubbliche. La sua voca-
zione ha iniziato a prendere forma durante gli anni
trascorsi al Seminario Maggiore di Gozo (1975-
1978). Successivamente, ha intrapreso l’aspirantato
salesiano presso il Savio College di Dingli, Malta,
per poi prepararsi al noviziato a Dublino. L’8 set-
tembre 1980, ha fatto la professione religiosa come
Salesiano di Don Bosco a Maynooth, Irlanda.
Don Attard ha proseguito i suoi studi con grande
impegno, conseguendo una laurea in Teologia presso
l’Università Pontificia Salesiana (ups) e una Licenza
in Teologia Morale presso la prestigiosa Accademia
Alfonsiana di Roma. Ordinato sacerdote il 4 luglio
1987, ha intrapreso un ministero profondamente ra-
dicato nella cura pastorale e nella ricerca accademica.
Un Missionario ed Educatore
al Servizio del Mondo
Lo spirito missionario di don Attard si è manife-
stato fin dai primi anni della sua vita salesiana. Dal
1988 al 1991, ha fatto parte del gruppo di Salesiani
che hanno avviato la nuova presenza della Congre-
gazione in Tunisia, in un contesto prevalentemente
non cristiano, dove ha gettato le basi di un servizio
evangelico ed educativo. Tornato a Malta, ha as-
sunto ruoli di leadership come Rettore della Scuola
Salesiana di San Patrizio e dell’Oratorio Salesiano,
dove ha operato dal 1993 al 1996.
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Nel 1999, don Attard ha completato il suo dotto-
rato di ricerca sul tema della coscienza nei sermoni
anglicani di John Henry Newman, presso il Mill-
town Institute for Philosophy and Theology. Gra-
zie alla sua competenza, è entrato a far parte del
corpo docente dell’Università Pontificia Salesiana,
dove ha co-diretto tesi di dottorato presso l’Ac-
cademia Alfonsiana e contribuito alla formazione
accademica di futuri teologi.
Un Visionario per la Pastorale
Giovanile
Il ruolo di don Attard come leader globale si è con-
cretizzato nel 2008, quando è stato eletto Consi-
gliere Generale per la Pastorale Giovanile durante
il 26° Capitolo Generale. Rieletto per un secondo
mandato nel 2014, ha ricoperto questo incarico
fino al 2020, guidando la Congregazione nella sua
missione per e con i giovani.
Con il suo coordinamento, è stato pubblicato il
Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile
Salesiana (2013), un documento fondamentale che
offre linee guida aggiornate per il lavoro pastorale
salesiano a livello mondiale. Don Attard ha promos-
so iniziative a livello mondiale come il Congresso
Internazionale sulla Pastorale Giovanile e la Fami-
glia (Madrid, 2017) e ha coordinato le attività volte
a fronteggiare problemi come l’emarginazione, la
povertà e le migrazioni.
Ha inoltre rafforzato i programmi di volontariato
missionario e consolidato l’istruzione tecnica e pro-
fessionale (tvet) attraverso iniziative come Don
Bosco Tech Africa e Don Bosco Tech ASEAN, rap-
presentando i Salesiani in importanti forum interna-
zionali dedicati a politiche giovanili, migrazione e
occupazione giovanile a Bruxelles e New York.
Un Ponte tra Teologia
e Cura Pastorale
Oltre ai suoi incarichi amministrativi, don Attard
si è sempre distinto come un costruttore di pon-
ti tra teologia e pastorale. Nel 2005 ha fondato e
diretto l’Istituto di Formazione Pastorale a Mal-
ta, dedicato alla formazione dei laici impegnati
nella pastorale. Ha continuato a insegnare come
professore visitatore presso l’Università Pontificia
Salesiana, contribuendo allo sviluppo intellettua-
le e spirituale degli educatori salesiani e dei loro
collaboratori.
Il suo contributo alla Chiesa universale è stato ri-
conosciuto nel 2018, quando papa Francesco lo ha
nominato Consultore del Dicastero per i Laici, la
Famiglia e la Vita. La sua partecipazione al Sinodo
sui Giovani (2018) ha evidenziato il suo impegno
nel dare voce ai giovani e nel favorirne una maggio-
re integrazione nella vita della Chiesa.
Al termine del suo mandato come Consigliere Ge-
nerale, don Attard è stato incaricato di coordinare
la Formazione Salesiana e Laicale in Europa dal
2020 al 2023.
Continuare il Sogno
di don Bosco
Come nuovo Rettor Maggiore, don Fabio Attard
guiderà una Congregazione composta da 13 750
Salesiani consacrati, organizzati in 92 ispettorie e
presenti in 136 nazioni. Con la sua profonda spi-
ritualità, la sua visione carismatica, il suo brillante
percorso accademico e i suoi decenni di esperienza,
è pienamente preparato per animare e governare la
Congregazione Salesiana e la Famiglia Salesiana
nel xxi secolo.
Don Fabio
Attard, Rettor
Maggiore, e
il suo Vicario,
don Stefano
Martoglio.
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IN PRIMA LINEA
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Una visita
MARIA AUSILIATRICE
A BUENOS AIRES
Dove sono arrivati i Salesiani è arrivata la devozione a Maria
Ausiliatrice. L’arrivo dei Salesiani in Argentina segnò il primo
passo dell’espansione missionaria della Congregazione. I primi
10 Figli di don Bosco arrivarono nel Paese, il 14 dicembre 1875,
poi sciamarono in tutti gli angoli del vastissimo Paese. Proprio
nella capitale, Buenos Aires, edificarono una magnifica Basilica
dedicata alla Madonna di don Bosco. Qui fu battezzato papa
Francesco, che la amò sempre come la “sua” chiesa.
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P ensate di visitare un tempio e vi trova-
te immersi in un testo sacro scritto per
mano di architetti, di pittori, di sculto-
ri, di cesellatori. È quello che vi succe-
de se entrate nella Basilica di Maria Auxiliadora a
Buenos Aires, sede della parrocchia San Carlo nel
quartiere Almagro. Una visione analoga e addirit-
tura mistica ne ebbe il cardinale Eugenio Pacelli
che, in veste di Segretario di Stato Vaticano, la vi-
sitò nel 1934 durante il Congresso eucaristico svol-
tosi nella capitale argentina.
Non si tratta di un’impressione esagerata se si ha
modo di conoscerne l’idea progettuale e le tappe
della sua costruzione. Così è stato per la delegazio-
ne di Missioni Don Bosco che nel novembre scorso,
in vista dei 150 anni della prima spedizione salesia-
na oltreoceano, ha avuto la fortuna di visitarla con
la guida del professor Flavio Sturla, docente di sto-
ria nell’attiguo Collegio Pio IX. Il tempio appare
subito come uno scrigno in cui i Figli di Don Bosco
hanno voluto radunare tutte le preziosità della fede,
i suoi testimoni, la grande maternità di Maria.
Nell’anno 1900 furono gettate le basi della nuova
chiesa su quella originaria dedicata a san Carlo
Borromeo, molto più piccola. Lo scopo era quello
di rendere omaggio in modo solenne alla Vergine
Maria con il titolo di Ausiliatrice. Almagro assun-
se così il valore di una nuova Valdocco per l’intera
America, 32 anni dopo l’inaugurazione del santua-
rio a Torino.
Benedetta da don Bosco
Il progetto era stato affidato a don Ernesto Vespi-
gnani, un teologo che scrisse così con la pietra il suo
trattato. Su una superficie totale di 1800 metri qua-
drati, la costruzione si articola su tre livelli (inferiore,
intermedio e superiore) e con tre navate, una princi-
pale e due laterali. Lo stile architettonico si ispirò al
Romanico lombardo, in ossequio a san Carlo arcive-
scovo di Milano.
Per iniziare a dare idea di dove si trovi il fedele di
oggi nella storia della salvezza, la Basilica di Maria
Ausiliatrice è composta di tre spazi: quello a livello
terra (rialzato di un metro e mezzo e con accesso dal-
la gradinata esterna) che rappresenta la Chiesa Mili-
tante, quella che lotta in questo mondo testimonian-
do la fede per raggiungere il Cielo; quello inferiore,
la cripta, che rappresenta la Chiesa Purgante, ossia le
anime in Purgatorio che attendono la purificazione
per accedere al Paradiso; quello superiore che rap-
presenta la Chiesa Trionfante, cioè quella che ha già
raggiunto il Paradiso e gode della Grazia eterna.
È al livello di quest’ultimo che si trova il cosiddetto
Camarín (camerino) della Vergine Maria: una strut-
tura con quattro colonne e una sorta di piccolo tetto
che segnala il luogo sacro. Vi si accede dalle due sca-
linate che fiancheggiano l’altare maggiore. Come le
due gallerie laterali, presenta un soffitto di un inten-
so blu puntellato del giallo-oro delle stelle.
È voluto dall’intelligenza “teatrale” dell’architettura
che, appena si superi l’ingresso in chiesa, lo sguardo
si volga verso l’alto, appunto verso il Camarín dove
si trova la statua in legno intagliato alta 1,4 metri
di “Maria Ausiliatrice dei Cristiani con il Bambi-
no Gesù in braccio”. È un’opera benedetta da don
Bosco alla partenza dalla Francia, realizzata dallo
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IN PRIMA LINEA
scultore Paul-François Belouin, il quale dovette at-
tenersi scrupolosamente all’immagine commissio-
nata al pittore Lorenzone per il santuario di Maria
Ausiliatrice sulla base delle precise indicazioni del
Fondatore. Nel punto più alto dell’abside, sopra
il Camarín, si trova la rappresentazione gloriosa
dell’Agnello dell’Apocalisse, adorato e incensato da
alcuni cherubini.
Le gallerie laterali superiori furono progettate per
essere utilizzate dagli studenti del Collegio Pio IX.
Anche qui c’è un’abbondanza di rimandi alla spiri-
tualità salesiana, che dodici finestre illuminano in
maniera festosa: san Giuseppe, rappresentato nella
sua felice ascesa al cielo, accompagnato sulla terra da
Gesù e Maria; san Luigi Gonzaga, raffigurato alla
sua Prima Comunione amministrata da san Carlo
Borromeo; san Giovanni Bosco nella Gloria (opera
di Quintino Piana per la beatificazione del 1929);
san Domenico Savio portato dagli angeli in cielo e
incoronato (opera di Cirilo Katkoff del 1952).
Sopra la porta d’ingresso si trova l’organo, sti-
mato dalla Città di Buenos Aires come patrimo-
nio culturale della città. Proveniente dall’Italia,
costrui­to nel 1910 dalla ditta Vegezzi Bossi, fu
inaugurato nel 1911 dal musicista Luis Ochoa alla
presenza del compositore Pietro Mascagni: l’ascol-
to di poche note suonate su quello strumento fa
intuire che, nella complessità architettonica del Ve-
spignani, fosse compresa anche la sonorità dell’am-
biente: un’esperienza quasi ipnotica.
Il “parrocchiano” Francesco
Un altro Papa trova qui le sue radici: è Francesco,
battezzato nel Natale 1936, due anni dopo il pas-
saggio del suo predecessore.
Don Ramon Dario Perera, ispettore di Buenos Ai-
res, dichiara: «Il santuario di Maria Ausiliatrice, la
Basilica di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, è uno
dei più importanti dell’Argentina. I Salesiani por-
tavano con loro la devozione di Maria Ausiliatrice
come avevano ben imparato a Valdocco. Il santua-
rio attualmente riceve molte persone, soprattutto
intorno al 24 maggio, che è la festa di Maria Au-
siliatrice. Tutte le nostre opere, che sono numerose
in Buenos Aires, fanno un giorno di pellegrinag-
gio. Non dobbiamo dimenticare che tra i devoti di
Maria Ausiliatrice c’era papa Francesco, che è nato
nel quartiere, è stato battezzato in questa basilica
ed essendo arcivescovo di Buenos Aires non è mai
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L’ISPETTORIA DELL’ARGENTINA SUD
L’Ispettoria “Beato Ceferino Namuncurá” dell’Argentina Sud (ARN) è nata
in tempi molto più recenti, nel 2010, frutto della fusione di altre tre Ispettorie:
quelle di Buenos Aires (ABA), di Bahia Blanca (ABB) e di La Plata (ALP). Uno
degli elementi distintivi dell’Ispettoria è stato il coinvolgimento attivo dei
laici nell’animazione e nel governo delle opere salesiane, una scelta che ha
caratterizzato fin dall’inizio la missione e che continua ancora a svilupparsi.
L’Ispettoria conta 143 Salesiani consacrati e un’ampia rete di ben 63 ope-
re educative, pastorali e sociali distribuite su tutto il territorio. Tra queste
si trovano 47 scuole e 14 Centri di Formazione Professionale, che educano
formalmente oltre 60 000 studenti; 29 parrocchie, che accompagnano il percorso di fede e di vita di migliaia di persone;
65 tra oratori e centri giovanili, che rappresentano luoghi di aggregazione e crescita per migliaia di bambini e ragazzi; una
università, l’Unisal di Bahía Blanca; 11 opere di accompagnamento sociale, rivolte a giovani in condizioni di vulnera-
bilità, che offrono sostegno educativo, formazione al lavoro e supporto per il recupero dalle dipendenze e diverse
missioni tra i popoli originari.
mancato alla festa di Maria Ausiliatrice. Si dice
che sia andato poco prima del Conclave di Roma,
sia salito nel camerino della Vergine e sia rimasto
un po’ in preghiera. Immagino come anche questo
avesse imparato dai suoi genitori, che erano di lì,
della parrocchia salesiana, e che avevano imparato
da padre Pósol e dagli altri Salesiani la devozione
a Maria Ausiliatrice. La chiesa è bella e intorno c’è
un grande movimento che rende la festa di Maria
Ausiliatrice davvero un evento molto importante».
Possiamo aggiungere un aspetto non secondario
nella realizzazione di questo tempio: la coralità
dei Salesiani coinvolti per dare lode a Dio e rico-
noscenza alla Madonna. Esso è infatti opera col-
lettiva della comunità di Almagro: furono
organizzate lotterie, concorsi e raccolte
di offerte per poterne finanziare l’e-
rezione. Una parte significativa degli
arredi fu realizzata nei laboratori del
Collegio Pio IX di Arti e Mestieri:
centoventicinque anni fa gli studenti
costruirono le panche e i confessionali,
le ringhiere in ferro che circonda-
no l’edificio e la Croce che co-
rona la torre principale. Fra
loro c’erano due allievi che
sarebbero diventati celebri
per altre ragioni che quelle
artigiane: Ceferino Namuncurá, e Carlos Gardel,
compagni di corso nel 1901. Il primo è proprio il
giovane mapuche che fu accolto dai Salesiani e ora
è riconosciuto dalla Chiesa come beato (un quadro
che lo rappresenta è collocato sull’asse centrale
della Basilica); l’altro divenne in tutta l’Argentina
il più famoso cantante di tango. I due si sfidarono
in una competizione per diventare la prima voce
del coro del Collegio. Vinse Ceferino e a posterio-
ri i sostenitori dell’avversario, lo “zorzal criollo”
(il passero canterino creolo, così soprannominato) giu-
stificarono la sua sconfitta dicendo che “solo un
santo poteva battere Gardel».
«Ovviamente conoscevo la Basilica di Maria Au-
xiliadora di Almagro da quando ho iniziato a
frequentare i Salesiani di Buenos Aires. Ma
mi ha fatto impressione visitarla dopo il mio
trasferimento alla Procura missionaria di
Torino Valdocco, quattro anni dopo. Ho
percepito una volta di più la grandezza
dell’ispirazione che don Bosco ha ricevuto
dalla persona di Maria, alla quale lui
ha risposto “sì” realizzando un’o-
pera così straordinaria ed estesa
come la Famiglia Salesiana»
(don Daniel Antùnez, pre-
sidente di Missioni Don
Bosco).
L’Ispettore
don Dario
Ramon
Perera.
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
Louis Kannan - Foto di Emanuele Bucci
Colle di VAL D’ELSA
Il 2025 segna una tappa speciale
per la comunità di Colle di Val d’Elsa,
che celebra il 75° anniversario
della presenza dei Salesiani.
Un percorso di fede, educazione
e impegno sociale che ha arricchito
la città, creando legami profondi
con generazioni di giovani e famiglie.
Colle di Val d’Elsa è una cittadina al
centro della Toscana sulle colline del
Chianti Senese, fra Firenze e Siena. La
sua vita è legata da sempre al fiume Elsa
da cui prende anche il nome.
Nascono così definizioni cambiate nel tempo come
“Città della carta” per le numerose cartiere le cui
macchine venivano alimentate dalla forza motrice
delle acque del fiume canalizzate in città e la più re-
cente “Città del Cristallo” di cui è ancora oggi uno
dei maggiori produttori mondiali e alla cui attività
è stato dedicato proprio il Museo del Cristallo.
Colle è soprattutto una città d’arte per i suoi te-
sori presenti in un centro storico rimasto intatto, i
bellissimi panorami dalle terrazze dalla parte alta
della città e una vita sociale attiva.
La storia dell’Opera Salesiana
Su richiesta del Vescovo di Colle di Val d’Elsa,
monsignor Francesco Niccoli, rivolta ai Salesiani
nella persona di don Giuseppe Festini, Superiore
dell’Ispettoria Ligure-Toscana, i Salesiani iniziaro-
no la loro presenza nella Parrocchia di sant’Agosti-
no l’11 novembre del 1950.
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MAGGIO 2025

2.3 Page 13

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I primi Salesiani furono don Giovanni Raineri e
don Dario Dori. Colle, all’epoca era divisa in due
schieramenti, tra loro in aspro conflitto: quello cat-
tolico e quello comunista. Questo ambiente stimolò
don Raineri, personalità di grande spessore umano
e culturale, nel serrato confronto con una piazza
“rossa” ed anticlericale, ad intraprendere, nei suoi
quindici anni di permanenza, opere e iniziative im-
portanti, il Cinema-Teatro, una cooperativa sociale
“bianca”, costituita anche grazie all’operato di don
Raineri.
A Colle i Salesiani, fin dal loro arrivo, profusero
impegno religioso e sociale, l’attenzione verso il
mondo operaio e i giovani. Per i giovani in partico-
lare fu attivato nel 1951 l’Oratorio.
La sua evoluzione in 75 anni
Nel 2000, al compimento dei cinquant’anni della
venuta a Colle, i Salesiani avevano evidenziato uno
spazio privilegiato nel contesto religioso, sociale e
culturale della città, dove operavano nella conduzio-
ne delle seguenti parrocchie: S. Agostino, S. Maria
Assunta (Spugna), S. Giovanni Bosco (Campolun-
go) e S. Maria Maddalena (Castiglioni Alto).
I Salesiani anche oggi, a 75 anni dal loro arrivo,
continuano a svolgere il loro prezioso ministero a
Colle, dove sono una realtà profondamente radica-
ta, non solo nella vita religiosa, ma anche in quella
socioculturale.
Una storia di 75 anni caratterizzata da un denomi-
natore comune: la ricerca costante dell’affermazio-
ne dei principi cristiani, perseguita in modo parti-
colare nello stile di don Bosco.
Dal 1950 al 2025 sono avvenuti molti cambiamenti
culturali e sociali: l’immigrazione dal Sud e a par-
tire dagli anni novanta dall’Albania e Romania.
L’aumento della popolazione ha richiesto la costru-
zione di nuove abitazioni nelle zone dell’Abbadia,
Campolungo e Agrestone. Di conseguenza si è
avuta anche la costruzione di due nuove Chiese, di
S. Alberto a La Badia e di S. Giovanni Bosco in
Campolungo, nonché di una Moschea.
I punti di forza
L’anno 2025 segna il raggiungimento dei 75 anni di
presenza dei Salesiani a Colle. Eventi vari si sono
succeduti nel corso dell’anno e il primo è avvenuto
il 2 febbraio con la concelebrazione presieduta dal
cardinale arcivescovo Augusto Paolo Lojudice e i
Salesiani.
Don Kannan Louis, intervistato, ha detto: “Questo
inizio dei festeggiamenti è l’occasione per ritrovar-
si, per condividere ricordi e testimonianze di una
storia che ha lasciato un segno indelebile a Colle di
Val d’Elsa”.
I 75 anni segnano un percorso di fede, educazione e
impegno sociale che ha arricchito la città, crean­do
legami profondi con generazioni di giovani e fa-
miglie. È anche un’opportunità per rendere grazie
a Dio per il lungo cammino percorso e per la de-
dizione dei Salesiani, che hanno sempre messo al
centro il bene dei cittadini e giovani, soprattutto
quelli più bisognosi.
I Salesiani sono arrivati a Colle di Val d’Elsa nel
1950, quando la città stava attraversando un periodo
di trasformazione. In quel contesto, la presenza sale-
siana si è subito distinta per la sua capacità di rispon-
dere ai bisogni educativi e sociali della comunità. La
parrocchia, l’oratorio e il centro giovanile sono di-
ventati punti di riferimento fondamentali, non solo
per i ragazzi, ma anche per le loro famiglie.
“Un evento speciale sarà il coinvolgimento della
popolazione, che rappresenta la memoria vivente di
questi 75 anni di impegno educativo – afferma don
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2.4 Page 14

▲torna in alto
LE CASE DI DON BOSCO
Kannan Louis, il Direttore-parroco. Questo an-
niversario non è solo un’occasione per celebrare il
passato, ma anche un momento di rinnovamento”.
La presenza salesiana continua a essere un punto di
riferimento per la comunità di Colle di Val d’Elsa,
pronta a proseguire il suo cammino di educazio-
ne e fede, con la stessa passione e impegno che ha
contraddistinto questi lunghi anni. I 75 anni dei
Salesiani a Colle di Val d’Elsa sono l’occasione per
guardare con gratitudine al passato, ma anche per
sognare insieme un futuro di speranza, educazione
e crescita”.
“Nel corso di questi 75 anni, i Salesiani hanno lavo-
rato incessantemente per trasmettere valori cristiani
e umani, seguendo l’esempio di don Bosco, il fonda-
tore della Congregazione – afferma don Guido Tes-
sa – l’educazione, la carità, l’attenzione alle persone
più vulnerabili sono stati i pilastri di un’opera che
ha saputo adattarsi alle sfide dei tempi, mantenendo
però saldi i principi che ne guidano la missione”.
La nostra presenza salesiana a Colle significa mol-
to, in quanto noi ci prendiamo cura dei giovani e
specialmente di giovani poveri e bisognosi, avendo
un oratorio, che accoglie tanti giovani di diverse et-
nie e culture. Servire la gente, i giovani, i bambini e
offrire loro un ambiente accogliente, educativo, pa-
storale e spirituale è sempre il nostro sogno attuale
ed anche per il futuro.
“In un’epoca in cui le sfide educative e sociali si
fanno sempre più complesse, la figura di don Bosco
e il carisma salesiano continuano a rappresentare
una luce guida per la nostra comunità. Attraver-
so le loro opere, i Salesiani hanno contribuito non
solo alla formazione dei nostri ragazzi, ma anche al
rafforzamento di quel tessuto di solidarietà e par-
tecipazione che rende Colle di Val d’Elsa un luogo
speciale” afferma Piero Pii, Sindaco di Colle.
I giovani che frequentano
l’Oratorio di sant’Agostino
Don Stefano Buri, incaricato dell’Oratorio dichia-
ra: “Il cortile è sempre stato il luogo dell’incontro
tra ragazzi, attraverso il gioco e altre attività che
vengono proposte. Per un lungo periodo è stato
frequentato da ragazzi di origine albanese e ulti-
mamente aumentano quelli di origine africana. Per
questi ragazzi l’attività sportiva è sempre stata l’op-
portunità per superare emarginazione e discrimi-
nazione. Per questo sono proposti tornei che per-
mettono agli animatori di educarli e farli crescere.
Lungo gli anni il doposcuola ha aiutato diversi ra-
gazzi a recuperare nello studio e nell’autostima.
Unendo i nostri sforzi con le istituzioni, con la
Fondazione Territori Sociali Alta Valdelsa, abbia-
mo raggiunto diversi ragazzi ai margini dei percorsi
scolastici della vita sociale”.
Il Cinema-Teatro S. Agostino
Una sala di oltre 600 posti divisa in una galleria e
una platea.
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2.5 Page 15

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Il Cinema-Teatro, associato al c.g.s., offre un pro-
gramma di film di ottimo livello, suddivisi per fa-
sce di età, aprendosi anche alle richieste delle scuole
cittadine. L’attività del c.g.s. è gestita da un gruppo
di giovani coppie, volontarie.
Il Cinema-Teatro ha rappresentato per tanti anni e
rappresenta ancora oggi un punto di incontro per i
più o meno giovani ed occupa un posto non indif-
ferente nell’ambito culturale colligiano.
Caritas Parrocchiale
La Caritas Parrocchiale non è semplicemente una
organizzazione di volontariato, ma un’espressione
della pastorale della carità operata dalle Parrocchie
con l’obiettivo di portare aiuto a chi è nel bisogno,
con lo sguardo di Gesù buon samaritano.
La documentazione evidenzia che il numero dei
nuclei familiari in situazioni di particolare biso-
gno, assistiti dalla Caritas è notevole e pertanto per
attuare le varie forme di solidarietà, è necessario
l’impegno di numerosi volontari, meritevoli di ap-
prezzamento per l’impegno profuso.
L’opera della Caritas è molto stimata dai Colligiani
al tal punto che alla medesima nel 2022 fu conferi-
to il Premio Città di Colle.
Il futuro
“La presenza salesiana continua a essere un pun-
to di riferimento per la comunità di Colle di Val
d’Elsa” dichiara don Roberto Colameo, superiore
dell’Ispettoria. “Pronta a proseguire il suo cammi-
no di educazione alla fede, con la stessa passione
e impegno che ha contraddistinto questi lunghi
anni. Guardare e ringraziare per il passato, ma so-
gnare insieme un futuro di speranza, di educazione,
di crescita.
Ogni casa salesiana, per essere pienamente tale,
deve poter riprodurre la stessa tipica esperienza pa-
storale che fu di don Bosco e presentarsi come rea-
lizzazione nell’oggi di quell’originale emblema che
fu l’Oratorio di Valdocco. Rinnovare e discernere.
Rinnovare, significa sottoporre a costante verifica
le attività e le opere che conduciamo se sono una
fedele continuazione della missione di don Bosco.
Discernere vuol dire porsi in prospettiva di sviluppo.
Il campo di azione è immenso, le domande urgono.
La risposta non può mancare!”
Il cardinale Augusto Paolo Lojudice ha scritto: “Ci
sono in giro per l’Italia – e per tutto il mondo – un
sacco di uomini e donne, e non solo preti e suore,
ma laici sposati e con figli al seguito, che continua-
no a prendere alla lettera l’esempio di don Bosco,
occupandosi di oratori, case famiglia, associazioni,
luoghi di aggregazione; accogliendo, tenendo com-
pagnia, istruendo chi da solo non ce la farebbe mai,
italiani e non italiani, dalla pelle bianca o no. Sono
credenti, agiscono in nome e per conto del Vangelo:
ce ne sono anche a Colle di Val d’Elsa”.
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2.6 Page 16

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LA NOSTRA BASILICA
Marco Di Gennaro
Le NUOVE CAMPANE
per Maria Ausiliatrice
Nuove armonie dalle torri campanarie di
Maria Ausiliatrice. Infatti la Basilica è
stata dotata di quattro nuove campa-
ne che, aggiunte alle otto già esistenti,
hanno portato il concerto ad un insieme di dodici
bronzi. Un numero simbolico che richiama le tribù
di Israele, gli Apostoli, le ceste del miracolo della
moltiplicazione dei pani, le porte della Gerusalemme
celeste, le statue dell’altare maggiore del santuario.
Le otto campane originarie risalgono al 1922 (cin-
que maggiori) e al 1988 (tre minori) e fino allo
scorso giugno erano collocate nella torre destra. I
quattro nuovi bronzi sono stati fusi dalla fonderia
Allanconi di Bolzone di Ripalta Cremasca (CR)
nel pomeriggio dell’11 dicembre alla presenza del
rettore don Michele Viviano (SDB) e di alcuni
membri dell’Associazione CampaneTO.
Giovedì 19 dicembre sono arrivati in Basilica e sono
stati esposti per tutto il tempo di Natale davanti al
presbiterio alla visione curiosa dei fedeli. La scelta dei
nomi, delle dediche e delle invocazioni rende onore
ad alcuni grandi santi e beati della famiglia salesia-
na: la campana più grande, nota SI e peso 246 kg, è
dedicata a san Giovanni Bosco nel bicentenario del
sogno dei nove anni e riporta come invocazione le
parole che Maria disse a Giovannino nel prato dei
Becchi: “Io ti darò la maestra sotto alla cui discipli-
na puoi diventare sapiente”; la seconda, nota RE# e
peso 122 kg, ai santi martiri Luigi Versiglia, Callisto
Caravario e a sant’Artemide Zatti nell’Anno Santo
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2025: sulla superficie bronzea, oltre allo stemma del
Giubileo, è impressa la frase: “La loro testimonianza
sia la nostra gloria”; la terza, nota FA e peso 87 kg, a
Madre Mazzarello, cofondatrice con don Bosco del-
le Figlie di Maria Ausiliatrice: sul bronzo è presente
la nota citazione tratta dagli scritti della santa: “Ogni
punto d’ago (rintocco) sia un atto d’amor di Dio”;
la quarta, nota FA# e peso 72 kg, al beato Miche-
le Rua, primo successore del santo dei giovani. Sul
bronzo è riportata la frase: “A Mirabello cercherò di
essere don Bosco”. Le nuove campane sono state col-
locate nella torre campanaria a sinistra della cupola,
fino ad ora rimasta vuota, insieme ai tre bronzi più
piccoli del concerto originario fusi nel 1988 in occa-
sione del centenario della morte di don Bosco.
Così a pochi mesi dal riconoscimento del suono dei
sacri bronzi come patrimonio culturale immateriale
dell’umanità da parte dell’unesco, la Basilica di
Maria Ausiliatrice può vantare il secondo concerto
campanario più imponente della città di Torino per
numero di bronzi, un carillon di dodici campane
in scala di DO# grazie a cui sarà possibile eseguire
uno svariato repertorio di inni sacri e melodie della
tradizione cattolica e salesiana in linea con i tem-
pi forti e le principali solennità dell’anno liturgico.
Dopo la solenne benedizione impartita da monsi-
gnor Alessandro Giraudo – vescovo ausiliare della
Diocesi di Torino – nella celebrazione vespertina
del 6 gennaio, nella giornata di venerdì 10 gennaio
le campane sono state innalzate sul campanile per
mezzo di una potente autogru.
Nelle settimane successive sono stati collegati i mo-
tori per il movimento dei bronzi, i martelli per il
suono dei carillon e la centralina di comando della
Sacrestia. Il 21 gennaio sono iniziati i collaudi e la
programmazione dei suoni all’interno del computer
con la memorizzazione delle melodie e degli inni
tradizionali. Finalmente nel pomeriggio di giovedì
30 gennaio alle ore 16.30 i dodici bronzi hanno la-
sciato sentire per la prima volta la loro voce solenne
e argentina in occasione della vigilia della festa di
san Giovanni Bosco. Diverse persone radunate nel-
la piazza antistante la Basilica hanno ascoltato con
attenzione e soddisfazione il concerto in cui sono
stati eseguiti diversi brani tra cui “Giù dai colli”,
l’Inno del Giubileo, “Padre, maestro ed amico”
seguiti dalla suonata solenne con il campanone “a
bicchiere” e dalla suonata a distesa delle 12 campa-
ne a cui si è unita anche la campanella della chiesa
di San Francesco di Sales, fusa nel 1929, ripristina-
ta dopo anni di silenzio.
Così la Basilica madre dei salesiani ha ritrovato la
sua colonna sonora, una voce antica ma rinnovata
che all’alba del Giubileo del 2025 canta ancora la
continuazione di quel Sogno a nome di quanti, in
questo tempo di particolare grazia, incarnano e dif-
fondono con coraggio e abnegazione la virtù teo­
logale della Speranza.
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2.8 Page 18

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SALESIANI
Andrei Munteaunu
I RAGAZZI
del cimitero
Lothar Wagner: un salesiano
che dedica la sua vita ai ragazzi
di strada in Liberia.
«U na volta stava piovendo a dirotto
quando arrivai al cimitero cen-
trale di Monrovia. Lì vidi dei
bambini che vivevano nelle tom-
be perché non avevano un tetto sopra le loro teste.
Improvvisamente, ho incrociato lo sguardo di uno
dei bambini che mi guardava da una tomba. Dopo
un po’ il ragazzo mi sorrise. Senza parole. Un pic-
colo gesto, come un segno chiaro, un invito nel suo
mondo. È stato semplicemente travolgente. Mi ha
permesso di avvicinarmi, di entrare nel suo mondo.
Questo ha davvero rafforzato la mia decisione di
essere lì per i bambini dimenticati. Che messaggio
mi è stato dato attraverso quel bambino, quando ho
visto in lui Cristo stesso! L’ho incontrato attraverso
il bambino, nella tomba. Un’incredibile sensazione
di felicità. Un dono di grazia nel mezzo di una sof-
ferenza impensabile».
Un cuore per l’Africa
Lothar Wagner, salesiano coadiutore tedesco, ha
dedicato oltre vent’anni della sua vita al sostegno
dei ragazzi in Africa Occidentale. Dopo aver ma-
turato esperienze significative in Ghana e Sierra
Leone, negli ultimi quattro anni si è concentrato
con passione sulla Liberia, un paese segnato da
conflitti prolungati, crisi sanitarie e devastazioni
come l’epidemia di Ebola. Lothar si è fatto porta-
voce di una realtà spesso ignorata, dove le cicatrici
sociali ed economiche compromettono le opportu-
nità di crescita per i giovani.
La Liberia, con una popolazione di 5,4 milioni di
abitanti, è un paese in cui la povertà estrema si ac-
compagna a istituzioni fragili e a una corruzione
diffusa. Le conseguenze di decenni di conflitti
armati e crisi sanitarie hanno lasciato il sistema
educativo tra i peggiori al mondo, mentre il tessuto
sociale si è logorato sotto il peso di difficoltà eco-
nomiche e mancanza di servizi essenziali. Molte
famiglie non riescono a garantire ai propri figli i
bisogni primari, spingendo così un gran numero di
giovani a cercare rifugio per strada.
In particolare, a Monrovia, alcuni ragazzi trovano
rifugio nei luoghi più inaspettati: i cimiteri della
città. Conosciuti come “ragazzi del cimitero”, que-
sti giovani, privi di un’abitazione sicura, si rifugia-
no tra le tombe, luogo che diventa simbolo di un
abbandono totale.
Dormire all’aperto, nei parchi, nelle discariche,
persino nelle fogne o all’interno di tombe, è di-
ventato il tragico rifugio quotidiano per chi non ha
altra scelta.
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«È davvero molto commovente quando si cammina per il cimitero
e si vedono ragazzi che escono dalle tombe.
» Si sdraiano con i morti perché non hanno più un posto nella società.
Una situazione del genere è scandalosa.
Dal cimitero alle celle
di detenzione
Non solo i ragazzi dei cimiteri sono al centro
dell’attenzione di Lothar. Il salesiano si dedi-
ca anche a un’altra realtà drammatica: quella dei
detenuti minorenni nelle prigioni liberiane. La
prigione di Monrovia, costruita per 325 detenu-
ti, ospita oggi oltre 1500 prigionieri, tra cui molti
giovani incarcerati senza una formale accusa. Le
celle, estremamente sovraffollate, sono un chiaro
esempio di come la dignità umana venga spesso
sacrificata.
«Mancano cibo, acqua pulita, standard igienici, assistenza medica e psicologica.
La fame costante e la drammatica situazione spaziale a causa del sovraffollamento
indeboliscono enormemente la salute dei ragazzi. In una piccola cella,
progettata per due detenuti, sono rinchiusi otto-dieci giovani.
» Si dorme a turno, perché questa dimensione della cella offre spazio solo
in piedi ai suoi numerosi abitanti”.
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2.10 Page 20

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SALESIANI
“Non li lasciamo soli nella loro solitudine, ma cerchiamo
di donare loro una speranza,” sottolinea Lothar con
la fermezza di chi conosce il dolore quotidiano di
queste giovani vite.
Non solo i
ragazzi dei
cimiteri sono
al centro
dell’attenzione
di Lothar. Il
salesiano si
dedica anche a
un‘altra realtà
drammatica:
quella dei
detenuti
minorenni
nelle prigioni
liberiane.
Per far fronte a questa situazione, organizza visite
quotidiane nella prigione, portando acqua potabile,
pasti caldi e un supporto psicosociale che diventa
un’ancora di salvezza. La sua presenza costante è
fondamentale per cercare di ristabilire un dialogo
con le autorità e le famiglie, sensibilizzando anche
sull’importanza di tutelare i diritti dei minori, spes-
so dimenticati e abbandonati a un destino infausto.
Una giornata di sensibilizzazione
a Vienna
Il sostegno a queste iniziative passa anche dall’at-
tenzione internazionale. Il 31 gennaio, a Vienna,
Jugend Eine Welt ha organizzato una giornata dedi-
cata a evidenziare la precaria situazione dei ragazzi
di strada, non solo in Liberia, ma in tutto il mondo.
Durante l’evento, Lothar Wagner ha condiviso le
sue esperienze con studenti e partecipanti, coin-
volgendoli in attività pratiche – come l’uso di un
nastro segnaletico per simulare le condizioni di una
cella sovraffollata – per far comprendere in prima
persona le difficoltà e l’angoscia dei giovani che vi-
vono quotidianamente in spazi minimi e in condi-
zioni degradanti.
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Oltre alle emergenze quotidiane, il lavoro di Lo-
thar e dei suoi collaboratori si concentra anche su
interventi a lungo termine. I missionari salesiani,
infatti, sono impegnati in programmi di riabilita-
zione che spaziano dal supporto educativo alla for-
mazione professionale per i giovani detenuti, fino
all’assistenza legale e spirituale. Questi interventi
mirano a reintegrare i ragazzi nella società una
volta rilasciati, aiutandoli a costruire un futuro di-
gnitoso e pieno di possibilità. L’obiettivo è chiaro:
offrire non solo un aiuto immediato, ma creare un
percorso che consenta ai giovani di sviluppare le
proprie potenzialità e contribuire attivamente alla
rinascita del paese.
Le iniziative si estendono anche alla costruzione di
centri di formazione professionale, scuole e strut-
ture di accoglienza, con la speranza di ampliare il
numero di giovani beneficiari e garantire un soste-
gno costante, giorno e notte. La testimonianza di
successo di molti ex “ragazzi del cimitero” – alcuni
dei quali sono diventati insegnanti, medici, avvo-
cati e imprenditori – è la conferma tangibile che,
con il giusto sostegno, la trasformazione è possibile.
Nonostante l’impegno e la dedizione, il percorso è
costellato di ostacoli: la burocrazia, la corruzione,
la diffidenza dei ragazzi e la mancanza di risorse
rappresentano sfide quotidiane. Molti giovani,
segnati da abusi e sfruttamento, faticano a fidarsi
degli adulti, rendendo ancor più arduo il compito
di instaurare un rapporto di fiducia e di offerta di
un supporto reale e duraturo. Tuttavia, ogni piccolo
successo – ogni giovane che ritrova la speranza e
inizia a costruire un futuro – conferma l’importanza
di questo lavoro umanitario.
Il percorso intrapreso da Lothar e dai suoi colla-
boratori testimonia che, nonostante le difficoltà,
è possibile fare la differenza nella vita dei ragazzi
abbandonati. La visione di una Liberia in cui ogni
giovane possa realizzare il proprio potenziale si
traduce in azioni concrete, dalla sensibilizzazione
internazionale alla riabilitazione dei detenuti, pas-
sando per programmi educativi e progetti di acco-
glienza. Il lavoro, improntato su amore, solidarietà
e una presenza costante, rappresenta un faro di spe-
ranza in un contesto in cui la disperazione sembra
prevalere.
In un mondo segnato dall’abbandono e dalla po-
vertà, le storie di rinascita dei ragazzi di strada e
dei giovani detenuti sono
un invito a credere che, con
il giusto sostegno, ogni vita
possa risorgere.
Lothar Wagner continua a
lottare per garantire a questi
giovani non solo un riparo,
ma anche la possibilità di
riscrivere il proprio destino,
dimostrando che la solida-
rietà può davvero cambiare
il mondo.
Il lavoro del
signor Lothar,
improntato
su amore,
solidarietà e
una presenza
costante,
rappresenta
un faro di
speranza in
un contesto
in cui la
disperazione
sembra
prevalere.
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La Madonna
della cupola

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FMA
Emilia Di Massimo
Reti (IN)VULNERABILI
Le Figlie di Maria Ausiliatrice
creano «reti buone» per i figli
abbandonati da questo mondo
distratto e indifferente.
José Alberto
García,
direttore della
Casa Hogar
Mornese di
Jerez de la
Frontera.
In varie aree geografiche della Spagna, le Fi-
glie di Maria Ausiliatrice lavorano in rete con
i Salesiani mediante la cepss (Coordinadora
Estatal de Plataformas Sociales Salesianas)
convinti che il Sistema Preventivo sia anche oggi
una risposta educativa alle situazioni di rischio in
cui si trovano bambini, giovani ed adulti. La rispo-
sta salesiana si concretizza in un ambiente familiare
dove ognuno trova il proprio posto, si promuove il
protagonismo giovanile, ci racconta José Alberto
García, direttore della Casa Hogar Mornese di Je-
rez de la Frontera.
Queste case sono esperienza di accoglienza per
quanti vogliono impegnarsi nell’educazione inte-
grale dei giovani collaborando anche nella Pasto-
rale giovanile delle Piattaforme Sociali, ci dice la
coordinatrice suor Maria Angeles García, creando
un ambiente educativo capace di promuovere la
maturazione dei ragazzi, rispondendo ai bisogni
socio-educativi, favorendone l’inserimento sociale-
lavorativo, con un’attenzione particolare all’infan-
zia, ai giovani, alle donne a rischio di esclusione
sociale.
Una risposta educativa,
ancora oggi
Lasciamo spazio ad alcune testimonianze. “Esse-
re educatore: un’opzione di vita. Ricordo ancora la
prima volta che mi avvicinai ad una casa salesiana
per lavorare in Casa famiglia. Da quel momento è
iniziato un cammino di vita che ancora oggi, dopo
15 anni, continuo a percorrere di pari passo con le
suore. Insieme a loro vivo il carisma salesiano ed un
cammino di crescita spirituale. Il lavoro che svolgo
è missione, è impegno, è una vocazione alla quale
sono stato chiamato da Dio per essere vicino ai ra-
gazzi più vulnerabili, per dedicare loro il mio tempo
e la mia vita, soprattutto ai giovani più bisognosi,
continuando così il sogno di don Bosco e di Maria
Mazzarello. L’incontro con il carisma salesiano ha
cambiato la mia vita ed oggi il mio servizio è tra-
sformare il cuore dei bambini, dei giovani attraver-
so l’accompagnamento, con uno sguardo cristiano,
guidato da Maria Ausiliatrice”.
“Mi sono sentita veramente accolta, sia come par-
tecipante sia come volontaria. Mi hanno aiutata a
formarmi e a trasformarmi!” (Aldenir Alves)
“Gli educatori della Fondazione Maria Auxiliadora
fanno del loro meglio per aiutare gli studenti e in
ogni modo possibile. Insegnano e correggono con
amore. Avranno sempre un posto nel mio cuore”.
(Irene Yemi)
“Durante il percorso formativo all’Associazione
Valponasca sono stata aiutata a migliorare aspetti
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3.5 Page 25

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della mia vita personale e lavorativa, a consolidare
molte conoscenze. Mi sono sentita accompagnata
fin dal primo giorno dalla responsabile del corso:
Sara ha creduto in me e nelle mie capacità, nel mio
impegno e nel mio lavoro”. (Karol Gisela Domín-
guez Mafla)
La casa della speranza
La Fondazione Canaria Maín ha una particolari-
tà: cerca di comunicare speranza. Senza scopo di
lucro, accoglie, sotto la direzione di suor Ana Ma-
ria Cabrera, migranti. Canaria Maín offre loro una
casa, una formazione, i documenti per realizzare il
sogno per il quale hanno rischiato la vita. Attual-
mente ospita 46 giovani in sette case, tra Gran Ca-
naria e Fuerteventura, con una lunga lista di attesa.
Moussa Ndiaye ha giocato d’azzardo fin da quando
era solo un bambino, guidato da un unico pensie-
ro: ottenere soldi per la sua famiglia. Non ricorda
nulla del viaggio, solo che è stato in ospedale per
due giorni per riprendersi dal difficile viaggio dal-
la Mauritania, dove ha trascorso tre anni a pescare
per risparmiare denaro. Sapeva il pericolo che cor-
reva, suo zio è morto a bordo di una barca ma si è
chiesto quale altra opzione aveva. Non sapeva che
sarebbe finito su un’isola ma non gli importava: ve-
dere la terra gli bastava per restituirgli il sorriso. Lo
stesso che mostra adesso a 18 anni – quattro anni
dopo – mentre gioca a carte in casa.
Una testimonianza di emancipazione è di Jean
Thea, un giovane di 23 anni, della Guinea Co-
nakry, abita a Gran Canaria da otto anni. “Sono
arrivato nel 2015 in barca; il viaggio è durato circa
quattro giorni. Per arrivare alle Canarie sono pas-
sato dalla Guinea, dal Mali, dall’Algeria e dal Ma-
rocco, cercando di guadagnare denaro per arrivare
in Europa, la mia meta. Con l’aiuto del Salvamento
Marítimo siamo arrivati a terra. Ci hanno portato
al Centro di Internamento di stranieri, in seguito
sono stato due anni in un Centro per minorenni.
Quando sono arrivato alla Fondazione Canaria
Maín ho frequentato un corso di animazione so-
cioculturale, ho iniziato gli studi universitari per
diventare Educatore sociale. Attualmente lavoro
come educatore nella Fondazione Canaria Maín. Il
mio processo migratorio non è stato facile ma ho
trovato persone che mi hanno aiutato soprattutto a
superare la nostalgia della mia famiglia, ad inserir-
mi in una realtà totalmente nuova”.
Le Piattaforme Sociali sono reti per i vulnerabili
ma i loro “ambienti” li rendono in grado di affron-
tare ogni fragilità con speranza.
Sotto la
direzione
di suor Ana
Maria Cabrera,
Canaria
Maín offre
ai migranti
una casa, una
formazione,
i documenti
per realizzare
il sogno per il
quale hanno
rischiato la vita.
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3.6 Page 26

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TESTIMONI
Lodovica Zanet
VERA
GRITA
Salesiana cooperatrice,
Figlia di don Bosco, ispirò l’Opera
dei Tabernacoli Viventi. Visse
e insegnò uno stile che non si
legasse alle case con le loro mura,
ma la conducesse all’incontro
con gli ultimi, i poveri, i lontani.
La vita di Vera Grita si è svolta nel bre-
ve arco di tempo di 46 anni segnati da
eventi storici drammatici, quali la grande
crisi economica del 1929-1930 e la Se-
conda guerra mondiale, e si è conclusa alle soglie
di un altro evento storico significativo: la contesta-
zione del 1968.
Nacque a Roma il 28 gennaio 1923, secondogenita
di quattro sorelle.
Bambina, dovette lasciare la famiglia e distaccar-
si dagli affetti più cari, insieme alle sorelle Liliana
e Giuseppina, per raggiungere Modica, in Sicilia.
Le zie paterne si erano infatti rese disponibili ad
aiutare i genitori di Vera, colpiti da dissesto finan-
ziario, accogliendo le nipoti in casa propria. A 17
anni ritornò in famiglia a Savona, dove conseguì
l’abilitazione magistrale e lavorò come insegnante
di scuola elementare.
A Savona, il 3 luglio 1944, durante un bombar-
damento, venne travolta e calpestata dalla folla in
fuga; le lesioni riportate la segnarono irreparabil-
mente. Aveva 21 anni.
Sempre a Savona, nella parrocchia salesiana di Ma-
ria Ausiliatrice, partecipava all’Eucaristia e si ac-
costava con fedeltà esemplare al sacramento della
Riconciliazione.
Nonostante la malattia, accettò di insegnare in scuo-
le periferiche: Rialto, Erli, Alpicella, Deserto di Va-
razze... Dal 1963 fu suo confessore il salesiano don
Giovanni Bocchi; quando divenne Cooperatrice
salesiana (1967), si affidò a don Gabriello Zucconi,
salesiano anche lui, come padre spirituale. Il 19 set-
tembre 1967, mentre pregava davanti al Tabernacolo
nella chiesa di Maria Ausiliatrice a Savona, risentì la
“Voce” che già una volta aveva avvertito ad Alpicella,
otto anni prima, che la invitava a vivere a fondo la
gioia e la dignità di figlia di Dio, nella comunione
con la SS. Trinità e nell’intimità eucaristica del Ta-
bernacolo: «Il vino e l’acqua siamo noi: Io e tu, tu e
Io. Siamo una cosa sola […] lasciami lavorare, non
pormi ostacoli […] la volontà del Padre mio è questa:
che Io rimanga in te, e tu in Me. Insieme porteremo
gran frutto». Fu il primo di 186 messaggi che costi-
tuiscono l’Opera dei Tabernacoli Viventi che Vera,
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lottando con il timore di essere vittima di un ingan-
no, scrisse in obbedienza a don Zucconi.
Vera morì a Pietra Ligure, Savona, il 22 dicembre
1969, a due anni dall’inizio della sua esperienza
mistica.
La santità del quotidiano
I luoghi non furono quasi mai per Vera spazi di so-
sta e conforto. Fu soprattutto l’esperienza in fami-
glia a divenire sfidante: crisi economica, morte del
padre, differenze di sensibilità, incomprensioni con
la mamma e molto altro segnarono la sua perma-
nenza tra le mura domestiche: tornare a casa equi-
valse talvolta a votarsi a un esercizio di carità, con-
trastando il proprio sentire e le proprie esigenze.
Vera, che non aveva dimora stabile, si sacrificava
perché gli altri la avessero. Come emerge dalle fonti,
Vera Grita si impegnò economicamente a sostene-
re la famiglia perché potesse trovare una stabilità di
casa e vita. Rapportato al suo modesto stipendio di
maestra, il contributo finanziario garantito da Vera
si rivelò un vero sacrificio, ma
un sacrificio decisivo: l’elemen-
to più “fragile” diveniva il più
“forte” e sorreggeva, in termini
affettivi, pratici ed economici,
tutti gli altri.
Vera si spese totalmente, a prezzo
di rinunce, perché gli altri abitassero
spazi e relazioni qualificate. Una nipote ha
testimoniato che da Vera emanava un particolare
fascino, una allure che rasserenava, elevava e “crea-
va” l’atmosfera giusta («Il “sentore” della Zia era ema-
nazione di ‘allure’ che si spandeva all’intorno della sua
persona. Lei andava oltre qualsiasi buon profumo, Lei
era l’insieme di percezioni amabilissime»).
L’Opera dei Tabernacoli Viventi
Quanto Vera non trovò nello spazio “laico”, lo sco-
prì e ricevette nella “ricchezza abbondante” della
Chiesa. Ebbe nella mamma di don Zucconi (suo
confessore) l’esperienza d’una famiglia come il suo
cuore desiderava. Fu sorella per sacerdoti diversi.
Visse al Deserto di Varazze accompagnata da fama
di santità e profondamente stimata. Ricevette il
dono di una maternità non fisica, ma “pedagogica”
e spirituale per tanti alunni e le loro famiglie. La
chiesetta di Maria Ausiliatrice in Savona diven-
ne, in un certo senso, la sua stessa casa. Il Signo-
re predispose per lei l’ospitalità in case (religiose)
dove voleva fosse accolta, anche a favorire la sua
speciale chiamata per l’Opera dei Tabernacoli Vi-
venti (otv), con tutto ciò che essa comportava: tra
le Canossiane prima e tra i Carmelitani Scalzi poi.
I luoghi furono per Vera punto di partenza e oc-
casione di apostolato. Come Salesiana cooperatrice
– chiamata a portare lo spirito di don Bosco nel
mondo – i primi “luoghi” da abitare consistevano
per lei nelle relazioni. Quando Gesù la rese par-
tecipe dell’Opera dei Tabernacoli Viventi, in quel
«Portami con te» le insegnò uno stile che non si legas-
se alle case con le loro mura, ma la conducesse all’in-
contro con gli ultimi, i poveri, i lontani.
Vera nel
giardino
dell’Ospedale
Santa Corona,
1966.
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TESTIMONI
A destra:
Vera inserita
in un quadro
di santi e beati
salesiani.
Sotto:
Un ricordo di
Vera in chiesa.
Figlia di don Bosco, Vera fu mandata a questi “pic-
coli”: gli studenti di povere famiglie, per i quali fu
maestra e mamma, crescendoli con amore sacrifi-
cato e paziente e privandosi delle proprie medicine
per comprare loro i ricostituenti; i malati in ospeda-
le con i quali condivideva la fatica di accertamenti,
interventi e ricoveri, orientando a Dio.
Il nome nuovo
Maria viene presentata come la “maestra” che «in-
segnerà nell’intimo come amare, adorare, portare
e dare Gesù» (p. 220). «Vengo a portare una “via”
nuova d’Amore sulla terra, per gli uomini che mi
aspettano e mi amano: via fondata sulla Verità, che
è la mia Realtà divina e umana nella Presenza Eu-
caristica; via che porterà la vita di Grazia a tante
anime da Me lontane. La mia Via sta nella Verità e
dona la mia Vita. Questa Via sono io: Gesù Euca-
ristia» (p. 219).
Tra i contenuti dottrinali degli Scritti di Vera, un
punto importante riguarda la permanenza della
presenza eucaristica nei fedeli dopo la comunione,
contrariamente ad un’opinione molto diffusa nella
Chiesa secondo la quale la presenza di Gesù Euca-
ristia sarebbe solo di pochi istanti dopo la comu-
nione, scomparendo quando le specie del pane si
sono dissolte nel corpo. Questa idea (sbagliata) di
una presenza fuggitiva è in contraddizione con le
parole di Gesù nel Vangelo: “Chi mangia la mia
carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”.
La stessa verità è stata espressa in modo splendido
da Vera, che non fa riferimento a una grazia straor-
dinaria data ad alcuni santi, ma ad un effetto nor-
male della comunione, che permette ad ogni fedele
di essere già un vero Tabernacolo Vivente.
“Tabernacolo Vivente” che custodisce e irradia la
Presenza di Gesù Eucaristico, Vera Grita stessa si
scoprì e divenne “casa”: casa che non sempre si piac-
que; casa che descrisse con lucidità anche nei difetti,
in un percorso di conversione e crescita sino all’ulti-
mo istante. Dice Gesù: «Io scavo, scavo per costruirmi
un tempio; lasciami lavorare, non pormi ostacoli».
«Un Tabernacolo da purificare», lo chiama don Mo-
rand Wirth, citando anche queste parole di Gesù:
«Io sto lavorando in te a colpi di scalpello, poiché ho un
Tempio da preparare per Me. Le aridità, le croci piccole
e grandi, sono il mio martello. Quindi, a intervalli ar-
riverà il colpo, il mio colpo. Devo portar via da te mol-
te, molte cose: la resistenza al mio amore, la sfiducia, i
timori, l’egoismo, ansie inutili, pensieri non cristiani,
abitudini mondane».
Anche in una “santa”, c’erano tante cose da togliere
e cesellare!
Quasi al termine della sua vita terrena, il Signore
le dona il nome nuovo: Vera di Gesù. «Ti ho donato
il mio Nome santo, e d’ora in poi ti chiamerai e sarai
“Vera di Gesù”» (Messaggio del 3 dicembre 1968).
«Portami con te»
Il 19 settembre 1967 iniziò l’esperienza mistica
che la invitava a vivere a fondo la gioia e la dignità
di figlia di Dio, nella comunione con la Trinità e
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nell’intimità eucaristica con Gesù ricevuto nella S.
Comunione e presente nel Tabernacolo.
Il «Portami con te» esprime in modo semplice l’in-
vito di Gesù fatto a Vera. Dove, portami con te?
Dove vivi: Vera viene educata e preparata da Gesù
a vivere in unione con Lui. Gesù vuole entrare nella
vita di Vera, nella sua famiglia, nella scuola dove
insegna. Un invito rivolto a tutti i cristiani. Gesù
vuole uscire dalla Chiesa di pietra e vuole vivere
nel nostro cuore con l’Eucaristia, con la grazia del-
la permanenza eucaristica nell’anima. Vuole venire
con noi dove andiamo, per vivere la nostra vita fa-
miliare, e vuole raggiungere – vivendo in noi – le
persone che vivono lontane da lui.
L’Opera, per volontà del Signore, viene affidata in
prima istanza ai figli di don Bosco per la sua rea-
lizzazione e diffusione nelle parrocchie, negli isti-
tuti religiosi e nella Chiesa: «Ho scelto i Salesiani
poiché essi vivono con i giovani, ma la loro vita di
apostolato dovrà essere più intensa, più attiva, più
sentita» (2 febbraio 1968, p. 169).
Nella normalità
della vita parrocchiale
La chiesa di Maria Ausiliatrice a Savona “media”
effettivamente gli incontri fondamentali di Vera
Grita. Qui era assidua all’Eucaristia e alla Ricon-
ciliazione; qui esprimeva il suo amore a Maria;
qui emise i voti privati di castità e vittima. Presso
quest’Opera salesiana si orientò al percorso come
Cooperatrice. Soprattutto, in Maria Ausiliatrice
Vera Grita era “di casa” e qui anche i familiari la
incontravano nella dimensione alla quale la sua vita
era votata e assorbita in modo crescente: la preghie-
ra, l’unione con Dio. L’atteggiamento di Vera non
era disinteresse per la famiglia (in cui fu presente
e a cui volle immensamente bene), ma espressione
di un “più grande amore” che poteva risultare non
immediatamente “decifrabile” ad altri.
Qui, il 19 settembre 1967 Vera risentì la “Voce”
ascoltata una prima volta ad Alpicella nel 1959, men-
tre era in chiesa, davanti al Santissimo Sacramento
esposto sull’altare: «Il vino e l’acqua siamo noi: Io e te,
tu ed Io. Siamo una cosa sola. Io scavo, scavo per costru-
irmi un tempio; lasciami lavorare, non pormi ostacoli...
E la volontà del Padre mio è questa: che Io rimanga
in te, e tu in Me. Insieme porteremo gran frutto». Lei
stessa annota sul Quadernetto: «19-9-1967 ore 11,05
(Davanti al Santissimo Sacramento)». Vera non scrisse
mai per inclinazione o gusto personale: “segretaria”
del buon Dio, si donò senza condizioni, sino a offrir-
si totalmente per l’Opera dei Tabernacoli Viventi.
Accettò di non capire tutto, ebbe bisogno di tempo.
Il Signore le fu accanto per sostenerla e incoraggiar-
la, correggerla e farla crescere: i Messaggi da lei tra-
scritti sono esercizio di umiltà, carità, obbedienza…
di dono oblativo totale, di conversione continua.
Vera, Serva di Dio, crebbe alla scuola esigente di un
amore oggettivo la cui misura non erano i desideri o il
sentire proprio.
Seguendo questo link puoi gustare un video che ripercorre
tutti i luoghi dove Vera Grita è vissuta:
Sulle tracce di Vera Grita - Serva di Dio (1923-1969)
https://youtu.be/BJc48ue-Nlw?si=zi4R_SoLNJ6dmxkp
Vera in
pellegrinaggio
a Lourdes.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marco Borraccino - Responsabile Area Comunicazione Fondazione Don Bosco nel Mondo
Il tuo SOGNO
La Fondazione Don Bosco nel Mondo ha chiesto agli studenti
delle scuole salesiane di raccontare come si immaginano da
adulti: nelle loro creazioni, l’eco del Sogno di don Bosco.
“A ll’età dei nove anni circa ho fatto un sogno
che mi rimase impresso per tutta la vita”.
Comincia così, nelle sue biografie, il
racconto che Giovanni Bosco condivi-
se del suo famoso Sogno dei nove anni: visione e
profezia del suo impegno futuro in favore dei gio-
vani più fragili.
Sei mesi fa la Fondazione Don Bosco nel Mondo ha
invitato gli studenti delle scuole salesiane di tutta
Italia a indagare insieme che cosa vive oggi, nelle
aspirazioni dei ragazzi, del Sogno di don Bosco.
“Sognati da Grande” è il nome di questa iniziativa,
rivolta ad alunni e alunne dai 9 ai 18 anni.
Abbiamo chiesto loro di raccontare con un testo,
un disegno, oppure un video, o una canzone, come
si immaginano da adulti.
Chi vorresti diventare? Che cosa vorresti creare? In
che modo vorresti contribuire al benessere della tua
comunità, sulla scia del sogno di don Bosco?
La risposta arrivata dagli istituti salesiani è stata
eccezionale. L’invito è stato raccolto da 257 stu-
denti di 9 scuole, i quali hanno prodotto ben 24
crea­zioni originali: alcune individuali, altre di
gruppo. Piccoli gioielli che la giuria ha avuto l’in-
grato compito di inserire in una graduatoria che,
per sua natura, non può rendere pieno merito della
bellezza di tutto quanto è stato ricevuto e dello
straordinario impegno dei partecipanti, davvero
nessuno escluso.
Su queste pagine trovate i lavori che riteniamo
migliori per originalità, estro e autonomia dimo-
strata dai ragazzi nella realizzazione. Siamo certi
che, come noi, nelle parole e nei colori dei sogni dei
giovani di oggi scorgerete anche voi promettenti
speranze per il futuro delle nostre comunità.
1° EX AEQUO
“SOGNATORI AFFERMATI”
• 16-18 anni
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1° EX AEQUO
“SOGNATORI AFFERMATI”
• 16-18 anni
I sogni, le speranze e la pre-
parazione al domani dei ra-
gazzi e delle ragazze della
3a B ristorazione del Centro
di Formazione Professiona-
le “BORGO RAGAZZI DON BOSCO” di
Roma. All’orizzonte del proprio cuo-
re, l’apertura di un “ristorante della
speranza” che offra pasti a chi ne ha
bisogno: gli ideali di don Bosco.
“Sognarmi da grande, non come lavoratore, manager, pro-
fessore, poliziotto o qualsiasi altro tipo di professione. Ma
sognarmi da grande come persona, e non pensare che cosa
voglio diventare, ma chi desidero diventare. Con l’unica
certezza che è quella di avere don Bosco sempre presente
nella mia vita.
Partendo da qui e dal tema del sogno ho creato una rap-
presentazione grafica, che tramite immagini disegna il
mio sogno e il mio futuro.
Un futuro fatto di speranza come raffigurato dall’ancora,
simbolo della proposta pastorale salesiana dell’anno cor-
rente; oppure rappresentato ancor meglio dal sogno delle
due colonne di don Bosco che con il messaggio di speranza
offre una via di salvezza per la Chiesa e per noi cristiani.
L’immagine di sfondo del porticato che si confonde con le
nuvole confuse dei pensieri, rappresenta invece quel ricor-
do bello e positivo degli anni passati nell’Istituto Salesiano
di Roma (quartiere Tuscolano), e che mi fanno guardare
al passato con bellezza e amore. Sono poi rappresentate
le immagini di don Bosco e Domenico Savio come guide
di vita e santa Maria Ausiliatrice al centro che ci accoglie
come una madre. “Dammi le anime, e prenditi il resto”.
È di ispirazione perché come don Bosco ha fatto con noi ra-
gazzi accogliendo le anime di tutti, allo stesso modo spero
di poter ricambiare qualcuno anche io, in piccola parte, nel
mio futuro. Così mi sogno da grande”.
Disegno e testo di Andrea Merolle, 5a B scientifico, Istituto
Salesiano Pio XI, Roma
Sul podio della categoria “Sognatori emergenti”,
che comprende studenti dai 9 ai 12 anni, ci sono un
testo-disegno e ben tre video (vedi prossima pagi-
na). Siamo quindi di fronte a quattro lavori premia-
ti, ognuno dei quali proviene da una scuola diversa.
Inquadrate con la fotocamera del vostro telefono il
singolo QR code (simbolo nel riquadro) che vi in-
teressa e accederete al video. Fatevi aiutare da un
familiare se non conoscete lo strumento.
1° EX AEQUO
“SOGNATORI EMERGENTI” • 9-12 anni
“Io, da grande, vorrei diventare una calcia-
trice professionista. Fin da piccola, ho sem-
pre avuto qualcosa di diverso dalle altre mie
coetanee. A differenza delle altre ragazze, a
me ha sempre appassionato il calcio e, in-
vece, non mi sono mai interessata agli altri
sport più femminili. Mi piaceva differenziar-
mi dalla massa e questo non accadeva sol-
tanto tramite lo sport che praticavo, bensì
anche nel modo di vestire, di parlare e di
pettinarmi. Io me ne rendevo conto di esse-
re diversa, ma, a dire la verità, non mi pesa-
va per nulla anche perché, fortunatamente,
nessuno mi ha mai giudicata, esclusa o presa in giro. La mia famiglia mi ha
sempre supportata e non mi ha mai impedito di praticare calcio: io sono
molto grata ai miei genitori per questo e non smetterò mai di ringraziarli.
Secondo me, per realizzare il proprio sogno, bisogna riuscire a superare
tre tappe della vita: la prima è quella della felicità perché si avverte di
avere “l’occasione più importante”, la seconda è quella più difficile perché
si potrebbe cadere nello scoraggiamento e, di conseguenza, perdere la
voglia; la terza invece ridona la speranza.
Per diventare calciatore ci sono anche in questo caso due strade: la prima è
composta dai “raccomandati”: il loro, a parer mio, non è un vero sogno perché
viene realizzato da qualcun altro. La seconda è composta, invece, da perso-
ne che faticano e si impegnano per portare a termine il loro sogno e, in caso
non lo riuscissero a raggiungere, devono essere comunque grati a loro stessi.
Questo, per me, è il percorso da seguire perché è nostro e di nessun altro. Io
preferisco non riuscire a realizzare il mio sogno ma, comunque, provarci fino
allo sfinimento perché essere onesti con sé stessi è la cosa più importante”.
Disegno e testo di Emma Cornaglia, 2a A Scuola Media Istituto Salesiano
San Domenico Savio di Bra
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DON BOSCO NEL MONDO
1° EX AEQUO
“SOGNATORI EMERGENTI” • 9-12 anni
Attraverso un video realizzato anche con l’intelligenza artificiale, gli studenti
della 2a media A dell’Istituto Salesiano Don Bosco Villa Ranchibile di Palermo
rispondono in modo spontaneo e puntuale a grandi domande: “il mio sogno
è”, “lo voglio fare perché”. Nelle loro parole un alto livello di consapevolezza.
Nella realizzazione del video un’incoraggiante prova di autonomia.
“SOGNATORI EMERGENTI” • 9-12 anni
Un insegnante presenta alla classe un quaderno: è il diario dei sogni, su
cui ognuno può mettere per iscritto il proprio progetto. Il taccuino verrà
poi seminato nel giardino della scuola, perché dia frutti. Un cortometrag-
gio in cui la 2a media A dei Salesiani Don Bosco di Treviglio-Sacra Famiglia
ci riserva un finale a sorpresa, che parla di legami che durano nel tempo.
“SOGNATORI EMERGENTI” • 9-12 anni
Con un mix riuscito di ironia e originalità,
la video-canzone dei due giovanissimi stu-
denti Michele Brunato e Teresa Cattani della
1a media sez. A dell’Istituto Salesiano Maria
Ausiliatrice di Trento ci racconta la difficoltà
di rispondere a una do-
manda così impegnati-
va come “cosa farai da
grande?” e ci regala tre
minuti di leggerezza.
Le domande “difficili”
“Cosa vuoi fare da grande?”
“Chi vuoi diventare?”
“Qual è il tuo sogno nel cassetto?”
Domande che per tantissimi giovani del nostro
tempo possono essere difficili da accettare, soprat-
tutto tra coloro che si affacciano all’adolescenza.
Per molti, quella che inizia verso i tredici anni – o
spesso prima – è l’età delle (altrui) aspettative da
soddisfare e soprattutto dell’inizio della ricerca di
se stessi.
Il rapporto con gli adulti si fa improvvisamente
molto più complicato e la legittima ricerca della
propria identità si basa essenzialmente sul conflitto.
Viviamo nella “società della performance”: i valori
dominanti sembrano premiare la velocità, la capa-
cità di prevalere sul prossimo, l’astuzia. La crea-
zione di Chiara Amico nasce per rifiutare questa
visione, che del resto trova le proprie radici nel
contesto valoriale che gli adulti hanno generato
con le loro scelte. Il testo e il disegno di questa
studentessa dell’ICC - Roma Pio XI sembrano
quasi polemici verso il contest che abbiamo pro-
mosso. Nell’angoscia delle sue parole e nei colori
cupi che ha scelto, riconosciamo però uno spirito
critico e un grido di libertà che riteniamo inve-
ce estremamente preziosi per le generazioni del
futuro. Don Bosco, del resto, non ha mai avuto
paura di confrontarsi con gli adolescenti. Ci ha
anzi insegnato che ogni relazione con loro parte
dall’ascolto.
L’epoca di grandi trasformazioni che stiamo viven-
do è senz’altro portatrice di domande e di preoc-
cupazioni per il futuro, per noi come per i ragazzi.
E queste sensazioni riecheggiano anche nell’opera
arrivata seconda nella categoria “Sognatori Asso-
luti” (13-15 anni): il disegno animazione di Elisa
Miletto. Il suo sogno di diventare disegnatrice
potrebbe infrangersi in uno sviluppo incontrollato
delle tecnologie da intelligenza artificiale, che po-
trebbero danneggiare irreversibilmente la creatività
e l’originalità degli artisti.
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4.3 Page 33

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“SOGNATORI ASSOLUTI” • 13-15 anni
“In una società capitalista come la nostra importa poco crescere come
persona, devi diventare qualcosa, e lo devi fare velocemente.
La nostra generazione è stata costretta a crescere troppo in fretta e ci
ritroveremo ad 80 anni che non sappiamo cosa fare da grandi.
Io non so cosa voglio essere da grande, quello che mi interessa è chi sono
ora”.
Disegno e testo di Chiara Amico, 2a A scientifico, Istituto Salesiano Pio XI,
Roma
“SOGNATORI ASSOLUTI”
• 13-15 anni
“Ho sempre sognato di usare la mia passione per il di-
segno come un qualcosa che mi avrebbe aperto delle
porte in futuro, ma purtroppo a causa dell’avanzamento
della tecnologia, principalmente dell’intelligenza artifi-
ciale, si sta mettendo in difficoltà la passione di molti
artisti, che creano le loro opere originali con creatività e
dedizione e vengono spesso sostituite con opere prove-
nienti appunto dall’intelligenza artificiale, che tende a
creare un mix di lavori rubati agli artisti”.
Disegno e testo di Elisa Miletto, 2a A scientifico, Istituto
Salesiano Pio XI, Roma
Nei due riquadri sopra, i testi e i disegni di Chiara
Amico e di Elisa Miletto; sotto, una breve descrizione
del video terzo classificato della categoria “Sognatori
Assoluti” (13-15 anni).
Concludiamo questo racconto dei sogni delle ragazze e
dei ragazzi delle scuole salesiane con un sincero e sentito
ringraziamento agli istituti partecipanti, in particolare ai
referenti del corpo docente che hanno raccolto la nostra
proposta e hanno svolto un eccellente lavoro di interme-
diazione con i singoli studenti e le classi partecipanti.
Questo contest ha portato alla luce uno straordinario pa-
trimonio di speranze e di creatività nelle scuole salesiane
di tutto il Paese. Ogni singolo lavoro arrivato, delle 24
realizzazioni ricevute, testimonia originalità e capacità
di racconto. Vi invitiamo a prenderne visione personal-
mente sul sito web della Fondazione, alla pagina https://
donbosconelmondo.org/sognatidagrande/.
“SOGNATORI ASSOLUTI” • 13-15 anni
Azione, ironia e tanti colpi di scena in questo cortometraggio realiz-
zato dalla 3a media A dell’Istituto Salesiano Santa Croce di Mezzano
di Primiero. Nella storia, ogni singolo studente interpreta se stesso
da grande: con gli occhi rivolti al futuro, ma anche senza prendersi
troppo sul serio. Tre minuti di sorrisi.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 16
Dire sì
Qual è la più bella parola del mondo?
Giulia, quattro anni e mezzo: «Sì».
«Perché?» «È la parola-chiave,
apre la porta del mio cuore».
Nell’Università dell’Arizona, gli psico-
logi hanno calcolato una formula che
ritengono magica: R : P = 5 : 1. ‘R’ è la
ricompensa, la lode; ‘P’ è la punizione,
il rimprovero. Dunque, la lode deve stare al rim-
provero come cinque sta ad uno. Chi in giornata ha
ricevuto una punizione, deve ricevere cinque lodi.
Lo stesso vale per i sì ed i no. I sì devono battere i
no per cinque ad uno.
È logico che sia così: i no, infatti, si limitano a sgom-
brare il terreno, a formare il muro di protezione; i
sì, invece, danno la spinta, ti mettono le ali, fanno
crescere. Ecco perché è bene riempire di sì la vita del
figlio. Quali sì? Vediamone alcuni, non, certo, tutti.
Sì ai loro giusti desideri
La pedagogista Patricia Holland ci dà un ottimo
consiglio: “Sarebbe bene che i figli venissero ascol-
tati tanto quanto sono guardati”. Ad ascoltare i figli
non abbiamo che da guadagnarci. I figli, soprattut-
to se bambini, non conoscono l’autocensura; parla-
no franco e tondo. Non dicono quello che voglia-
mo, dicono quello che siamo! Perché, dunque, non
dar loro la parola?
Ascoltiamo i messaggi che seguono. Sono tutti desi-
deri sinceri e veri che attendono il nostro pieno “Sì!”.
Sì alla mia età
“Sono stanca dei momenti in cui siete innervositi e
dite di non fare la bambina. Ma io sono una bam-
bina!” (Annalisa, sette anni).
“I genitori poiché ci hanno visti nascere, tendono
sempre a considerarci bambini e a tenerci in dispar-
te, non credendo che possano interessarci i loro di-
scorsi” (Paola, tredici anni).
Sì al bel tempo in famiglia
Non è stato lui a chiedere di nascere. Dunque non
è giusto che si incontri con facce oscure, mascelle
grintose, musi duri.
La gioia è una dei diritti fondamentali del figlio. Gli
psicologi dicono che, per star bene, un bambino deve
poter ridere anche 500 volte al giorno! Ogni risata
allontana la paura, gli permette di comunicare con il
mondo, gli porta salute fisica e psichica. Insomma,
un bel sì al bel tempo in famiglia! Eppure tante volte
siamo noi la causa della tristezza del figlio.
shutterstock.com
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4.5 Page 35

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Sì a giocare insieme
“Papà, sono contento quando mi afferri per il pigia-
ma e mi fai volare come un vero aeroplano. Sono
anche contento quando mi racconti come eri biri-
chino da piccolo” (Luca, sei anni).
Sì al papà
“Quando a sera torna a casa papà, mi sembra di
essere in vacanza”. (Laura, sei anni)
Sì alla gentilezza
“Papà e mamma mi piacciono quando sono gentili;
il guaio è che gridano sempre”. (Anna, otto anni)
Sì all’accordo di papà e mamma
“Bravo papà! Hai fatto bene a sposare la mamma!”
(Luigi, sette anni).
“Quando vi vedo innamorati, mi innamoro del
mondo, della vita, di tutto” (Carla, dodici anni).
Sì al rispetto
“Ieri ero in camera mia che giocavo al computer.
Arriva mia mamma e mi dice di andare di là a fare
da mangiare, io, tutto contento, sono corso in cu-
cina, e così mi ha detto di impanare le bistecche e
di metterle a friggerle in padella. Ho messo una bi-
stecca nell’olio bollente ma, siccome l’avevo lasciata
cadere un po’ in fretta, l’olio è schizzato un po’ in
giro ed ecco che mia madre si mette a gridare: ‘Vai
via! Sai solo fare pasticci!’. Le ho detto: ‘Tutti pos-
sono sbagliare’, e sono tornato in cameretta molto
triste” (Stefano, nove anni).
Sì al buon esempio
“Papà, vorrei che quando mangi, non sputi nel piat-
to” (Stefania, otto anni).
Sì alla sincerità
“Mia mamma dice sempre le bugie. Esempio: la
sera quando vado a letto mi dice: ‘Mi lavo i denti e
poi ti faccio compagnia’, e poi non viene. Capisco
che è stanca, ma io preferirei che mi dicesse che
non ne ha voglia” (Irene, dieci anni).
Sì alla coerenza
“Perché i miei genitori continuano a ripetere sem-
pre le stesse cose? Se io però dico due volte di fila
di comprarmi il giornalino, il papà mi dice: ‘Ma
quante volte me lo ripeti? L’ho già sentito!’” (Carla,
dieci anni).
“La mamma mi dice sempre che non devo inter-
rompere quando gli altri parlano. Però quando io
vedo in Tv la ‘Domenica sportiva’ e discuto con
papà di sport, lei ci interrompe in continuazione. E
a me viene il nervoso” (Leonardo, nove anni).
Sì ad essere ascoltati e guardati
“Quando ti recito la lezione, mamma, i tuoi occhi
sono sfavillanti, le tue guance si arrossano e si ve-
dono tutti i tuoi denti bianchi. Che bello!” (Gian-
lorenzo, otto anni).
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Il diritto di
CAMBIARE IDEA
La nostra mente è restia a sperimentare il nuovo, a prendere
in considerazione altre vie possibili e l’idea di abbandonare
l’itinerario che abbiamo percorso sinora suscita in noi timore e
frustrazione, una certa resistenza psicologica che, non di rado,
fa naufragare ogni ragionevole tentativo di aggiustare il tiro.
Quanto è difficile cambiare idea? Se è vero
che, in linea generale, facciamo spesso
fatica a rivedere le nostre opinioni e a
modificare in corso d’opera le decisioni
che prendiamo, a maggior ragione ciò appare estre-
mamente complicato quando si tratta di rimettere
in discussione idee consolidate, visioni complessive
Questa è l'unica cosa da fare,
è l'unica cosa che mi rimane:
aspettare qualche mese
che si sciolga la neve.
Eri l'unica e unica rimani,
e la mia vita era nelle tue mani;
il mio cuore era lì,
ad un passo da te...
Ma parlo sottovoce
e penso troppo veloce,
e peso meno di una piuma.
E non importa se dovrò piangere tanto,
se sarà tutto un altro mondo,
e se dovrò cambiare idea...
Questa è l'unica cosa da fare,
quando penso che su tutto
posso ragionare:
non mi devo più ascoltare...
della realtà o scelte di vita che danno sostanza alla
nostra identità e alla rappresentazione che, nel tem-
po, abbiamo costruito di noi stessi. Di fronte all’i-
potesi – che inevitabilmente percepiamo come in-
certa ed insidiosa – di doverci confrontare con una
situazione inedita e sconosciuta, tendiamo a pre-
ferire lo scenario che ci è più familiare, il sentiero
già tracciato, anche se nel nostro intimo avvertiamo
che quelle convinzioni, quei propositi interiori e i
comportamenti conseguenti non ci appartengono
più, non rispecchiano più il nostro modo di essere
e le nostre aspettative. Anche se inavvertitamente
percepiamo che perseverare su quella strada ci con-
dannerà fatalmente a un’esistenza inautentica!
Nonostante questo, la nostra mente è, infatti, restia
a sperimentare il nuovo, a prendere in considerazio-
ne altre vie possibili e, persino quando invertire la
rotta appare come l’unica opzione praticabile, l’idea
di abbandonare l’itinerario che abbiamo percorso
sinora suscita in noi timore e frustrazione, una certa
resistenza psicologica che, non di rado, fa naufra-
gare ogni ragionevole tentativo di aggiustare il tiro
man mano che procediamo nel nostro cammino.
Cambiare idea, in un certo senso, ci mette a disa-
gio, sembra minare il nostro sentimento di auto-ef-
ficacia e, talvolta, si accompagna a un sottile senso
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4.7 Page 37

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di colpa, derivante dalla sgradevole sensazione di
peccare di incoerenza e mancanza di risolutezza.
Una simile difficoltà si accentua ulteriormente in
corrispondenza con il progressivo raggiungimento
della condizione adulta, forse perché accarezziamo
l’erronea convinzione che l’adultità comporti di per
sé la conquista di granitiche certezze circa il pro-
prio modo di pensare, i propri valori di riferimento
e la propria stessa identità. E se siamo tutto som-
mato disposti a tollerare in chi è più giovane una
certa volubilità e il bisogno fisiologico di rimettersi
costantemente in discussione navigando a vista tra
tentativi ed errori, raramente mostriamo la stessa
indulgenza nei confronti degli adulti, dai quali ci
aspettiamo scelte nette e comportamenti lineari.
Quasi che cambiare idea significasse allontanarsi
dalla propria essenza e, in un certo senso, tradire
se stessi…
Ma, come ha scritto qualcuno, «le scelte non sono er-
gastoli». Per quanto la fedeltà a se stessi sia senza
dubbio un valore, le decisioni che prendiamo non
dovrebbero diventare una condanna senza appel-
shutterstock.com
Perché parlo sottovoce
e penso troppo veloce,
e peso meno di una piuma.
E non importa se dovrò piangere tanto,
se sarà tutto un altro mondo,
e se dovrò cambiare idea.
No, non importa se dovrò piangere tanto,
sarà l'inizio della fine del mondo,
ma dovrò cambiare idea,
persino su di me,
persino su di me...
Che parlo sottovoce
e penso troppo veloce,
e peso meno di una piuma.
Devo prendermi cura di me!
E non importa se dovrò piangere tanto,
se sarà tutto un altro mondo,
e se dovrò cambiare idea,
persino su di te,
persino su di me...
(Dente, Cambiare idea, 2023)
lo dalla quale risulti impossibile tornare indietro.
Accettare i cambi di rotta e le deviazioni della vita,
anche quando ciò appare doloroso e diventa ai no-
stri occhi come «l’inizio della fine del mondo», è anzi
in molti casi sintomo di maturità e resilienza, della
capacità di rialzarsi dopo un fallimento o una ca-
duta rovinosa e di ricominciare il cammino, guar-
dando avanti e proiettandosi verso il futuro, anche
se questo ci sembra adesso diverso rispetto a quello
che avevamo inizialmente sognato.
Si tratta di una scelta che, lungi dall’apparire una
comoda via di fuga di fronte alle difficoltà dell’e-
sistenza, comporta coraggio e apertura al cambia-
mento, la disponibilità a rivedere le proprie posizio-
ni e il proprio punto di vista, ma anche l’umiltà di
ammettere i propri errori e di abbandonare le pro-
prie certezze per mettersi alla ricerca di una felicità
più autentica. In altre parole, una scelta che non ci
trasforma automaticamente in individui scostanti e
superficiali – come una piuma capricciosa che vol-
teggia nel vento –, ma che al contrario è indice di
consapevolezza e della capacità di prendersi cura di
se stessi.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Il primo missionario salesiano
“MARTIRE del LAVORO”
La congregazione salesiana
“ha fatto fortuna” nelle terre di
missione grazie a uomini dallo
spessore spirituale di don Baccino,
il primo di migliaia di altri che
come lui non si sono risparmiati
per “cercare anime” lontano da
casa. La loro storia per lo più è
nota solo a Dio.
Celebrando il 150° di quella prima spe-
dizione il Bollettino Salesiano non può
dimenticare la figura del primo missio-
nario deceduto per aver preso alla lettera
il primo ricordo di don Bosco ai missionari: “cer-
cate anime, ma non denari, né onori né dignità”.
Sul
monumento
a don Bosco:
i primi
missionari
salesiani in
Argentina
si dedicano
agli Italiani
immigrati.
In effetti don Baccino, nato nel savonese nel 1843,
vocazione adulta, salesiano dal 1869 e sacerdote dal
1874, appena giunto a Buenos Aires, fu assegnato
alla Iglesia de los Italianos ed in pochi mesi si consumò
nell’attività pastorale fatta di predicazione, catechi-
smi, confessioni, scuole diurne e serali, accoglienza
di giovani, visite alle famiglie. Don Cagliero aveva
scritto che lavorava per quattro, che non capiva come
potesse fare tanto, che faceva in tutto e per tutto da
vero pastor bonus verso gli Italiani di Buenos Aires.
“Se presto non manda aiuto qui,
dovremo per certo soccombere”
Tre mesi dopo, don Baccino confermava il suo gran
lavoro: “A tutte ore devo insegnare il catechismo a
giovani più grandi, i quali vogliono essere ammessi
alla comunione o per maritarsi o per altro. Vengono
donne fin di 25 e più anni, perché io le possa istrui­
re privatamente… giovani poi sono senza numero,
passano già i 20 anni e non sanno ancora quasi di
essere cristiani. Costoro sono in gran parte Italiani
e vengono dal campo lontano fin 10 e più leghe
[50 km], vengono per sentire predicare e intanto i
giovani si fermano in Buenos Aires per farsi istrui-
re… Per costoro, dico, non ho ora fissa, ma insegno
quando vengono”.
A don Bosco che gli scriveva di concedersi un po’ di
riposo per salvaguardare la salute, il 3 aprile 1876 lo
tranquillizzava ma rinnovava il precedente appello:
“Grazie a Dio, dopo che mi son partito da costì, ho
goduto sanità perfettissima. Questo ci voleva, per-
ché tengo che occupar [bello lo spagnolismo] il tem-
po. Padre, se presto non mi manda aiuto, dovremo
sicuramente soccombere, perché è impossibile il far
tanto, mentre siamo pochi… sono quattro mesi che
sono qui e non conosco ancora Buenos Aires”.
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4.9 Page 39

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Non sembra di vedere il primo don Bosco attornia-
to dai ragazzi in giro per Torino o l’altro don Bosco
quando scendeva in cortile a Valdocco?
Certo, come unico responsabile a tempo pieno della
chiesa passava ore e ore al confessionale, quando
non era impegnato a fare catechismo, a preparare le
omelie in spagnolo che conosceva poco, ad andare
ad assistere agli ammalati…
A metà maggio 1876 addolorato si confidava con il
suo maestro di noviziato don Barberis: «Non prego
più, non posso più far la meditazione, solo devo cer-
care un’ora per mangiare, perché se potessi farne a
meno non perderei tal tempo. Il resto del tempo non
so come lo passi, solo so che mi alzo di buon mattino
e alla sera vado a dormire alle dieci o dopo ancora…
La mia salute è di ferro… Se sapesse! Alle dome-
niche confesso fino ad ora pomeridiana, più ancora
la comunione… vengono dal capo lontano 20, 30 e
60 miglia e non andrebbero via neppure alla sera se
prima non si accostassero ai sacramenti… Alle tre
monto in pulpito… quel che dica non so, so solo che
la chiesa è piena con quanti ne può capire, nemmeno
uno che fiati; quei che arrivano dopo devono conten-
tarsi di starsene fuori ascoltando quanto possono…
Finché posso, vado avanti, e poi faranno altri…
Ma come faceva don Baccino a dire di no a coloni
italiani che magari avevano fatto sei ore di viaggio
a cavallo e quattro ore in ferrovia?
Don Scavini soggiungeva che molti giovani adul-
ti venivano tutte le sere al Rosario, per potersi poi
dopo intrattenere con lui che aveva parole per tutti,
che li sapeva prendere per il proprio verso e attirar-
li ai Sacramenti. E aggiungeva che quando usciva
di casa tutti i ragazzi del vicinato correvano a lui
d’attorno: chi saltava, chi correva, chi gridava, chi
batteva le mani. Ed egli trovava una parola ed una
carezza per tutti, fossero ben cento.
L’ultima lettera
Il 20 aprile 1877 lo stesso don Baccino scriveva a don
Bosco quella che sarebbe stata l’ultima sua lettera,
una commovente testimonianza di dedizione alla
missione e di affetto al fondatore: La nostra Chiesa
continua ad essere frequentatissima. Si può dire che
tutti gli Italiani… vengono qui come un torrente…
È ciò che cerchiamo, che ci diano lavoro. Quando
siamo giunti, l’abbiamo detto loro ch’eravamo venuti
per lavorare e far loro del bene; ci han compresi, e del
lavoro ce ne danno. Deo gratias… Io sono contento di
essere venuto in America, vivo tranquillo, lavoro fa-
cendo ciò che posso, ma sono ignorante. Qui andreb-
bero uomini esperti più di me. Una sola cosa mi resta
a desiderare su questa terra, ed è che vorrei ancora
una volta vedere il mio amato padre don Bosco. Potrò
sperarlo in questo mondo? Almeno, almeno preghi
che ci riuniamo nell’altro. Mi faccia pervenire un
qualche suo biglietto, di quelli proprio di padre!...
Questa sia anche di augurio nel suo onomastico, se
non posso più scriverle. E sappia che quantunque
lontano, non vi è alcuno che mi superi in affezione
per lei /L’umile suo figlio Sac. Baccino G.B”.
La congregazione salesiana, la famiglia salesiana,
se “ha fatto fortuna” nelle terre di missione è grazie
a uomini dallo spessore spirituale di don Baccino, il
primo di migliaia di altri che come lui non si sono
risparmiati per “cercare anime” lontano da casa. La
loro storia per lo più è nota solo a Dio.
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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di maggio 2025 preghiamo per la beatificazione
e la canonizzazione della Venerabile Dorotea De Chopitea.
Dorotea De Chopitea nacque a
Santiago del Cile il 5 giugno 1816.
I genitori provenivano dalla Spa-
gna ed erano di condizione eco-
nomica molto agiata. Dorotea fu
una delle ultime di 18 figli. Aveva
tre anni quando la famiglia si tra-
sferì, per motivi politici, a Barcel-
lona. A 16 anni contrasse matri-
monio con il ricco commerciante
Giuseppe Maria Serra. Nacquero
sei figlie: Dolores, Anna Maria,
Isabella, Maria Luisa, Carmen e
Gesuina. Diventeranno “tutte
eccellenti cristiane e madri esem-
plari”, grazie all’atmosfera reli-
giosa che si respirava in famiglia.
Dorotea fu una donna di grande
fede, pietà e intensa vita di peni-
tenza. Partecipava ogni anno agli
Esercizi spirituali. Ma la virtù che
rifulse maggiormente in lei fu la
carità. Venne chiamata “l’elemo-
siniera di Dio” e sacrificò i suoi
beni come nessun’altra persona
fece in Barcellona ai suoi tempi: “I
poveri saranno il mio primo pen-
siero”. Quando il marito morì poté
dedicarsi a tempo pieno alla sua
missione. Fu in questo periodo
che nacque e crebbe il rapporto
con i Salesiani e le Figlie di Maria
Ausiliatrice. Scrisse a don Bosco il
20 settembre 1882 per chiedere
la fondazione di un collegio nelle
periferie di Barcellona. Il collegio
nascerà a Sarrià e diventerà la
casa madre dei Salesiani in Spa-
gna. Dopo la morte di don Bosco è
la volta del Collegio di S. Dorotea.
Per comprare la casa mancavano
settemila pesetas: era proprio la
somma che lei aveva pensato di
tener da parte per la sua vecchia-
ia, ma la diede generosamente
esclamando: “Dio mi chiede di
essere veramente povera: lo sarò”.
Presiedeva una questua di bene-
ficenza il Venerdì Santo del 1891
quando contrasse una polmonite.
Nello spazio di sette giorni questa
la portò alla tomba. Nel 1983 fu
dichiarata Venerabile.
Preghiera
Signore Gesù,
che hai lasciato ai tuoi discepoli
il comandamento nuovo dell’amore fraterno
e infondesti nella Venerabile Dorotea De Chopitea
una carità ardente nel servizio ai poveri e agli emarginati;
concedici, per sua intercessione, la grazia di...
e fa’ che siamo sempre disposti
a fare la volontà del Padre.
Tu che vivi e regni per i secoli dei secoli. Amen.
Ringraziano
Voglio ringraziare la Serva di
Dio Madre Rosetta Marchese
per la “grazia grande” ricevuta
e che per me è un “Miracolo”.
Proprio il giorno dopo la festa di
Maria Ausiliatrice del 24 maggio
2023 ho ricevuto i risultati delle
analisi cliniche fatte alcuni giorni
prima e andavano molto male in
particolare avevo l’emoglobina
bassissima. Si procede quindi a
degli accertamenti, ma senza ec-
cessiva preoccupazione, perché
le cose non si pensava fossero
così gravi. Nel giro di un mese
mi hanno diagnosticato un car-
cinoma gastrico del fondo-corpo
prossimale. Quindi si decide
l’intervento con urgenza. Tutta
la comunità delle suore Figlie di
Maria Ausiliatrice di Pietraperzia
ha iniziato una novena continua
a Madre Rosetta Marchese per
ottenere la grazia. Il 21 settem-
bre 2023 ho subito l’intervento
di gastrectomia totale robotica
ed anastomosi esofago digiuna-
le che è durato più di sei ore con
asportazione di tutto lo stomaco.
Nel decorso post-operatorio ho
avuto complicazioni con trombi
polmonari, ma tutto si è risolto
positivamente. La degenza e la
ripresa è stata buona tanto da
poter riprendere la vita normale
di responsabilità e di animazio-
ne nella comunità, dopo circa
due mesi. Madre Rosetta mi ha
concessa la grazia che non ho
dovuto fare neppure la chemio o
altre cure. Dopo un anno e mez-
zo ho fatto tutti i controlli e tutto
procede bene, voglio dire grazie
a Madre Rosetta perché sento di
essere una miracolata. Oggi sono
responsabile della comunità di
Pietraperzia e dell’Oratorio e
delle attività sportive della casa,
che cerco di portare avanti con la
forza che ricevo dal Signore e da
Maria Ausiliatrice che è Madre e
guida della Comunità. A Madre
Rosetta affido ancora il mio fu-
turo, perché dal cielo continui a
camminare accanto a me, do-
nandomi la sua forza, il suo co-
raggio, il suo entusiasmo e la sua
passione educativa.
Suor Franca Schilirò FMA
Abbiamo pregato san Domeni-
co Savio per una mamma a cui
durante il parto hanno lesionato
l’aorta. Il fegato non funzionava e
si prospettava un trapianto; in più
stava facendo la dialisi. La situa-
zione era grave. Mia nipote è cor-
sa a Nuoro dove c’è la parrocchia
dei salesiani e ha preso l’abitino
di san Domenico. La mamma l’ha
appoggiato sul petto di questa
ragazza e già dall’indomani i reni
hanno iniziato a funzionare bene;
per il fegato non c’è bisogno del
trapianto e piano piano i para-
metri stanno rientrando nella
norma. Il bambino è stato tolto
dall’incubatrice e sta bene. Non
so descrivere la gioia che provo
ancora una volta: san Domenico è
corso come per la sua mamma in
aiuto di questa mamma che era in
pericolo di vita.
Marisa – Sardegna
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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
La comunità
Don Nazzareno Centioni
morto a Roma il 20 febbraio 2024, a 91 anni d’età
Nazzareno nasce a Morrovalle
provincia di Macerata il 25 otto-
bre 1932 da papà Agostino, mu-
gnaio e da mamma Carola Foresi,
casalinga. Due fratelli, Pierino e
Ferdinando, e una sorella Maria.
Il vicario abbaziale di San Claudio
al Chienti (la sua parrocchia) nel
1943 scrive di lui come di “un gio-
vane di ottima condotta religiosa
e morale distintosi tra i giovanetti
nell’Azione Cattolica che mostra
evidenti segni di inclinazione allo
stato religioso”; Nazzareno entra
nell’aspirantato ad Amelia con il
pieno consenso dei genitori, nel
1946; al termine di questo periodo
il 24 maggio 1948 chiede di essere
ammesso al noviziato. Il noviziato
lo vive a Roma a San Callisto dal
15 agosto 1948 ed emette la pri-
ma professione il 16 agosto 1949;
poi la teologia a Torino Crocetta
dal 1955 al ’60; e il presbiterato a
Torino l’11 febbraio 1960.
L’obbedienza lo porta a Faenza,
a Fossombrone, a Macerata, poi
parroco a Ravenna dal 1970 all’83
(gli ultimi 4 anni anche diretto-
re); poi parroco a Terni dal 1983
al ’93; poi diventa vicario dell’i-
spettore dal 1993 fino al 2008.
È stato anche Vicario episcopale
per la vita consacrata ad Ancona
nominato dall’arcivescovo mon-
signor Festorazzi; va come diret-
tore a Loreto per un anno e poi
torna ad Ancona dal 2009 fino al
2023, quando le sue situazioni di
salute chiedono il trasferimento
nella casa di riposo per confratelli
sant’Artemide Zatti.
Il maestro dei novizi nel 1948
scrive di lui di «ritenere che raf-
forzata la sua costituzione fisica
potrà riuscire un buon elemento».
In effetti la salute di don Nazza-
reno è sempre stata un po’ preca-
ria, tanto è vero che fu esonerato
dal servizio militare per motivi
di salute. Nel giudizio di ammis-
sione alla prima professione si
dice chiaramente che «va causa
della debolezza della sua costi-
tuzione si rimane perplessi sulla
sua possibilità di affrontare la
vita dello studentato»; i fatti poi
daranno ragione a lui, ma questa
croce della salute malferma lo ha
accompagnato tutta la sua vita,
dando però l’occasione a nume-
rosi benefattori di farsi in quattro
per assisterlo nelle sue necessità.
Nella domanda per il primo rin-
novo nel 1952 Nazzareno scrive
che ha «ferma volontà di passare
tutta la vita insieme a don Bosco».
In generale i giudizi di chi ne ha
curato la formazione sottolinea-
no sempre il suo spirito religioso
buono, lo zelo apostolico, la bontà
e la generosità d’animo.
Nell’omelia funebre, l’ispettore
don Stefano Aspettati afferma:
«L’incarico pastorale che ha vissuto
di più è quello del parroco per oltre
vent’anni tra Ravenna e Terni e che
cosa significhi per lui lo dice nella
lettera con cui saluta nel 1993 pro-
prio la comunità di Terni «ho speri-
mentato ancora una volta come la
missione del parroco si incarni e si
intrecci con la vita della comunità,
delle famiglie, dei singoli, in uno
scambio e un arricchimento reci-
proco profondo; ho condiviso gioie
e dolori, trepidazioni e speranze».
Invece nella lettera di saluto alla
comunità di Santa Maria in Porto a
Ravenna nel 1983, don Nazzareno
ripercorre gli anni degli inizi della
sua permanenza in quella città
«gli anni ’70… il tempo dell’im-
mediato dopo Concilio, anni di
fermento e di rinnovamento non
facili, ci si chiedeva un modo nuovo
di essere cristiani di fare pastorale
giovanile, di fare comunità cristia-
na, bisognava rinnovare la liturgia,
la catechesi, l’associazionismo, la
presenza nel sociale… abbiamo
cercato di camminare insieme con
pazienza e con costanza fiduciosi
nella presenza del Signore e del
suo spirito, insieme con tutta la
Chiesa italiana, insieme con tutta
la comunità cristiana cittadina,
insieme all’interno della comunità
parrocchiale. Un “insieme” che co-
nosce, con le gioie della fraternità
cristiana, le difficoltà del dialogo
e della ricerca. Non sono molti 10
anni per fare terra nuova; eppure,
quanta strada si è fatta nonostan-
te tutto insieme». E poi altre sue
parole che, dette quarant’anni fa,
suonano oggi tristemente profe-
tiche: «c’è ancora molto da fare, il
Regno di Dio è in perpetua cresci-
ta e il suo spirito spinge la nostra
porzione di Chiesa a farsi sempre
più segno e strumento di salvezza
per tutti gli uomini. Penso ai tanti
“lontani” dalla vita della nostra
comunità, ai giovani che “hanno
tagliato i ponti”, al raffreddarsi
dell’esperienza di fede di tanti
ragazzi dopo la cresima». Ma don
Nazzareno non era uno che guar-
dava indietro; alcuni confratelli
testimoniano come l’abbiano sem-
pre sentito un salesiano che «stava
avanti, camminava con noi, non
guardava indietro a rimpiangere il
passato».
I confratelli ne ricordano soprat-
tutto il periodo vissuto al servizio
dell’autorità come Vicario Ispetto-
riale: il senso istituzionale, la capa-
cità di accoglienza verso tutti, il suo
equilibrio e la sua serenità. «Era
l’incarnazione della parola all’orec-
chio, i suoi commenti arrivavano
dritti senza trambusto e frastuo-
no». I laici e in particolare quelli
della Famiglia Salesiana ricordano
alcuni suoi tratti: la fermezza, la
cura, lo sguardo, la profondità del-
le sue parole, l’arguzia, la sua incre-
dibile capacità di stare al passo con
i tempi, don Neno c’era. Con la fede
più “giovane e rivoluzionaria” di
tanti altri, la conoscenza e il soste-
gno alla Famiglia salesiana. La sua
gioia raggiungeva il culmine ogni
anno il 25 aprile a Loreto quando,
in occasione della Festa della Fami-
glia Salesiana, poteva incontrare
tutti i gruppi insieme.
Mentre era nella comunità A. Zatti
ha potuto godere della vicinanza
dei confratelli, delle Sorelle di Gesù
Abbandonato, del personale e di
coloro che sono venuti a visitarlo.
Ha goduto anche del concerto a
lui dedicato il 15 ottobre scorso ad
Ancona dal maestro Andrea Berar-
di collegandosi da remoto.
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5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere:
Gai, Set, Spa.
Parole di 4 lettere:
Aden, Baez, Este, Idee, Otre.
Parole di 5 lettere:
Fango, Reati.
Parole di 6 lettere:
Annona, Epopea, Esther, Orobie, Tarpea.
Parole di 7 lettere:
Ascisse, Danzica, Imberbi, Niagara,
Spiriti.
Parole di 9 lettere:
Amorevoli, Cabinovia, Sardonici.
? Parole di 10 lettere:
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso, Anastatica, Astrolabio, Improvvida,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le Biscaglina, Smanettone, Stenografa.
?
parole contrassegnate dalle tre X nel testo.
Parole di 11 lettere:
La soluzione nel prossimo numero.
Americanata.
UN PROGETTO ECCEZIONALE
L’impegno in Africa era già stato nei progetti di don Bosco, ma solo dopo la morte del
fondatore i primi Salesiani si stabilirono nel continente. Fu con don Rua rettore che
partirono i primi confratelli, incluse le Figlie di Maria Ausiliatrice. Naturalmente era
l’epoca del colonialismo e il loro arrivo fu facilitato dalla presenza di colonie Europee,
che chiedevano educazione e formazione cristiana per i loro figli. Nel 1891 venne
aperta una casa a Orano, in Algeria, ma le vicende politiche e religiose di questa
nazione non consentirono continuità ad un lavoro pastorale sereno e così nel 1976 i
salesiani conclusero il loro operato lì. Ancora dalla Francia, arrivarono in Tunisia nel
1894 per assumere la direzione dell’orfanotrofio agricolo a la Marsa, presso Tunisi.
Due anni dopo, venne avviata ad Alessandria d’Egitto la prima presenza salesiana in quanto vi vivevano circa 30 000 italiani. Primi destinatari
furono, accanto ai giovani egiziani, anche i figli di questi italiani. La XXX centrale e in quella meridionale dei Salesiani si è realizzata nei paesi
del Katanga, Rwanda e Burundi. Un gruppo di Salesiani venuti dal Belgio guidati da don Giuseppe Sak aprirono una scuola professionale a Eisa-
Soluzione del numero precedente
bethville, futura Lubumbashi nel 1911, nel Katanga. Quindi nel Congo, dove l’apostolato della società
ebbe i maggiori successi, in Guinea Equatoriale, nella Repubblica Centroafricana, Ciad e Camerun.
Nel 1959 alcuni Salesiani provenienti dalla Francia guidarono una scuola professionale a Pointe-
Noire, nel Brazzaville. Nel 1964 giunsero nel Gabon e via di seguito nel meridione del continente, in
Zambia, Malawi, Zimbabwe, Namibia. I Salesiani sono circa 1200, presenti in 42 dei 54 Stati africani
riconosciuti, con 180 comunità, 100 scuole, 200 oratori, 10 ospedali, 4 radio, ecc. In tutti questi Paesi,
la Formazione Professionale è una delle principali linee di intervento per lo sviluppo dei Paesi.
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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
La zuppa di PIETRA
U na volta, un vagabondo giunse
nel villaggio più meschino
dell’intera regione. Gli
Arrivarono anche dei funghi, un bel
pezzo di carne e qualche metro di
salsiccia e poi rape e patate un pizzico
abitanti erano avidi e avari, nessuno
di sale. “Se volete favorire, portate
di loro aveva amici. Erano sospettosi
piatti e cucchiai…” disse cordial-
e neanche si salutavano mai.
mente il vagabondo. “E anche
Toc, toc, toc. Il vagabondo bussò
una tovaglia!” aggiunse. La zuppa
alla porta della prima casa.
bolliva e l’odorino faceva venire
“Chi sei? Cosa vuoi?” strillò
l’acquolina in bocca. Il fornaio corse
una voce “Vattene, non ho
a prendere una dozzina di croc-
niente da darti! Non ho niente
canti forme di pane, altri portaro-
da buttar via, io!”
no formaggio e l’oste arrivò con
Il vagabondo provò alla casetta
una damigiana di vino nuovo.
?
vicina. Ebbe la stessa risposta.
Così di casa in casa. Bussò
Alcune massaie portarono
deliziose crostate di mele.
infine alla porta della casa
Fu stesa una grande tovaglia in mezzo
del sindaco, affacciata sulla
alla piazza, tutti si accomodarono e
piazza del villaggio.
il vagabondo riempì i piatti con la
“Volevo solo chiederle un po’ d’acqua” del villaggio. Quasi tutti gli abitanti zuppa fumante e profumata. Mangia-
disse sorridendo al volto astioso che formarono un cerchio intorno al vaga- rono tutti in allegria e, grazie al vino,
fece capolino, “sto per cucinare una bondo e alla sua pentola.
finirono cantando a squarciagola.
deliziosa zuppa di pietra”. La fessu- “La zuppa di pietra è molto più buona “Oh, questo è il miglior pranzo che
ra della porta si allargò: “Hai detto con una cipolla” disse il vagabondo. ho mai fatto in vita mia!” gongolò il
zuppa di pietra?”
Un attimo dopo una mano porse una sindaco quando ebbero finito. “Quel-
“Sì” fece il vagabondo con fare inno- piccola cipolla. “La zuppa di pietra è la tua pietra è davvero straordinaria”.
cente “posseggo una pietra magica, ottima specialmente con le cipolle e “E tutta vostra, cari amici, ve la
ho solo bisogno di un po’ d’acqua”. con una manciata di fagioli, ma io mi regalo” disse il vagabondo.
Il sindaco brontolò ma arrivò con un accontento…” Un ragazzino arrivò “Potremo ritrovarci a mangiare e far
secchio d’acqua.
trafelato con un mastellino colmo
festa insieme altre volte con la zuppa
“Com’è gentile lei”, sussurrò il vaga- di fagioli. “Li accetto volentieri, se di pietra. E non ci costerà un soldo!”
bondo, “Non avrebbe una pentola un mangi con me” disse il vagabondo, “Eh già!” concluse il vagabondo
po’ grande?”
versando i fagioli nella pentola.
prima di riprendere il cammino.
Il vagabondo accese un fuoco in
mezzo alla piazza, tirò fuori dalla
In realtà, la pietra che viene “bollita” per fare
bisaccia una grossa pietra, la pulì ben
la zuppa è l’egoismo degli abitanti del villaggio.
bene e poi la mise nella pentola. In un
attimo, la notizia della pietra miraco-
losa che bolliva in piazza fece il giro
Grazie al semplice e acuto trucco del vagabondo,
il villaggio ritrova unità e comunione.
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