03-Marzo-2025

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famiglia salesiana
Claudia Sini
le case di don bosco
Roma
Sacro Cuore
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
salesiani
Croazia
la nostra basilica
Battistero
dove dio piange
Maksym
Ryabukha
«Abbine cura:
SONO MIE FIGLIE»
La Madonna a don Bosco
MARZO
2025

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
I 5 VENTI
U na spedizione di Missionari
in fondo all’America, in
quel 1875! L’11 novembre
si svolse nel Santuario di Maria
Ausiliatrice la cerimonia commoven­
te dell’addio. Alle 16 la chiesa era
piena fino a traboccare. Ed ecco un
particolare strano. Raccontano le
Memorie: «Scoccavano le 16 quando
sorse nella casa un impetuoso
rumore con un violento sbattersi di
finestre e di porte. Erasi levato un
vento così forte, che sembrava volesse
atterrare l’Oratorio. Sarà stato un
caso; ma il fatto è che un vento
uguale soffiò nell’ora in cui si pose la
pietra angolare della chiesa di Maria
Ausiliatrice; un vento simile si ripeté
alla consacrazione del Santuario
e poi di nuovo il giorno dell’ar­
rivo di don Bosco da Varazze
dopo la malattia; un vento
furioso si scatenò allo stesso
modo dieci anni dopo, proprio
nell’istante che giungeva a don
Bosco il decreto dei privilegi...
Tanto basta, ci sembra, per
dubitare che entrassero sola­
mente cause ordinarie».
Al termine dei vespri, don
Bosco salì sul pulpito, e tracciò
ai suoi primi figli che partivano
il programma della loro azio­
ne futura: in un primo tempo
si sarebbero occupati dei loro
compatrioti emigrati in Ar­
gentina. «Vi raccomando con
insistenza particolare la posizione
dolorosa di molte famiglie italia­
ne... Voi troverete un grandissimo
numero di fanciulli e anche di adulti
che vivono nella più deplorevole
ignoranza del leggere, dello scrivere
e di ogni principio religioso. Andate,
cercate questi nostri fratelli, cui la
miseria e la sventura portò in terra
straniera...». Poi avrebbero intrapreso
l’evangelizzazione della Patagonia:
«In questo modo noi diamo principio
ad una grande opera – disse, – non
perché si abbiano pretensioni o si
creda di convertire l’universo intero
in pochi giorni, no; ma chi sa, che
non sia questa partenza e questo
poco come un seme da cui abbia a
sorgere una grande pianta?»
Dopo 150 anni, la pianta magnifica
è sotto gli occhi del mondo.
Al termine, don Bosco diede ai
partenti il suo abbraccio paterno e un
foglietto con 20 ricordi speciali.
Ecco i 5 più significativi: Cercate
anime, ma non denari, né onori, né
dignità. Prendete speciale cura degli
ammalati, dei fanciulli, dei vecchi
e dei poveri. Fate che il mondo
conosca che siete poveri negli abiti,
nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete
ricchi in faccia a Dio e diverrete
padroni del cuore degli uomini. Fra
di voi amatevi, consigliatevi, correg­
getevi, ma non portatevi né invidia
né rancore, anzi il bene di uno sia il
bene di tutti; le pene e le sofferenze
di uno siano considerate come pene
e sofferenze di tutti, e ciascuno studi
di allontanarle o almeno mitigarle.
Nelle fatiche e nei patimenti non
si dimentichi che abbiamo un gran
premio preparato in cielo. Amen.
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famiglia salesiana
Claudia Sini
le case di don bosco
Roma
Sacro Cuore
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
salesiani
Croazia
la nostra basilica
Battistero
dove dio piange
Maksym
Ryabukha
«Abbine cura:
SONO MIE FIGLIE»
La Madonna a don Bosco
MARZO
2025
MARZO 2025
ANNO CXLIX
NUMERO 3
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Questo è un mese dedicato ad
una maggiore attenzione al genio femminile
(Foto Avocado Fam/Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL VICARIO
6 PRIMA LINEA
Perché farle soffrire di più?
10 SALESIANI
Don Milan Ivancˇevic´
14 FMA
Come nasce una missione
18 LE CASE DI DON BOSCO
Roma Sacro Cuore
22 LA NOSTRA BASILICA
Il Battistero
24 TEMPO DELLO SPIRITO
Pulizie di primavera
26 FAMIGLIA SALESIANA
Claudia Sini
30 DOVE DIO PIANGE
Maksym Ryabukha
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Questione di punti di vista
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
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10
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile: Bruno Ferrero
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i lavoratori.

1.4 Page 4

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IL MESSAGGIO DEL VICARIO
Don Stefano Martoglio
Siamo noi
don Bosco,
OGGI
«Tu porterai a termine il lavoro che sto iniziando;
io farò gli schizzi, tu disegnerai i colori». (Don Bosco)
Cari amici e lettori, membri della Fami­
glia Salesiana, nel saluto di questo mese
sul Bollettino Salesiano mi concentrerò
su un importantissimo evento che sta
vivendo la Congregazione Salesiana: il 29° Capi­
tolo Generale. Nel cammino della Congregazione
Salesiana ogni sei anni si compie questa assise, la
più importante che possa vivere la Congregazione.
Molte cose fanno parte della nostra vita, e molti
eventi importanti questo anno giubilare ci sta do­
nando; desidero però concentrarmi su questo per­
ché, anche se apparentemente è lontano da noi, ri­
guarda tutti noi.
Don Bosco, il nostro Fondatore, era consapevole
che non tutto sarebbe finito con lui, ma che il suo
sicuramente sarebbe stato solo l’inizio di un lungo
cammino da percorrere. A sessant’anni, un giorno
del 1875, disse a don Giulio Barberis, uno dei suoi
più stretti collaboratori: “Tu porterai a termine il
lavoro che sto iniziando; io farò gli schizzi, tu di­
segnerai i colori [...] Farò una copia approssimativa
della Congregazione e lascerò a quelli che verranno
dopo di me il compito di renderla bella”.
Con questa felice e profetica espressione, don Bo­
sco disegnava il cammino che tutti siamo chiamati
a compiere; ed in forma massima sta compiendo il
Capitolo Generale dei Salesiani di don Bosco in
questi tempi a Valdocco.
La profezia delle caramelle
Il mondo di oggi non è quello di don Bosco, ma c’è
una caratteristica comune: è un tempo di profonde
mutazioni. L’umanizzazione completa, equilibrata
e responsabile nelle sue componenti materiali e spi­
rituali era il vero obiettivo di don Bosco. Si preoc­
cupava di riempire lo “spazio interiore” dei ragazzi,
formare “teste ben fatte”, “cittadini onesti”. In que­
sto è quanto mai attuale. Il mondo oggi ha bisogno
di don Bosco.
All’inizio, per tutti c’è una domanda molto sem­
plice: «Vuoi una vita qualunque o vuoi cambiare
il mondo?» Ma si può ancora parlare di mete e di
ideali, oggi? Quando smette di correre il fiume di­
venta una palude. Anche l’uomo.
Don Bosco non ha smesso di camminare. Oggi lo
fa con i nostri piedi.
Aveva una convinzione riguardo ai giovani: «Questa
porzione la più delicata e la più preziosa della umana
società, su cui si fondano le speranze di un felice av­
venire, non è per se stessa di indole perversa... per­
ché se accade talvolta che già siano guasti in quella
età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non
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per malizia consumata. Questi giovani hanno vera­
mente bisogno di una mano benefica, che si prenda
cura di loro, li coltivi, li guidi...»
Nel 1882 in una conferenza ai Cooperatori a Geno­
va: «Col ritirare, istruire, educare i giovanetti peri­
colanti si fa un bene a tutta la società civile. Se la
gioventù è bene educata avremo col tempo una ge­
nerazione migliore». È come dire: solo l’educazione
può cambiare il mondo.
Don Bosco aveva una capacità di visione quasi spa­
ventosa. Non dice mai “finora”. Ma sempre “d’ora
in poi”.
Guy Avanzini, eminente professore di Università,
continua a ripetere: «La pedagogia del Ventunesi­
mo secolo sarà salesiana, o non sarà».
Una sera del 1851, da una finestra del primo pia­
no, don Bosco gettò tra i ragazzi una manciata
di caramelle. Si accese una grande allegria, e un
ragazzo vedendolo sorridere alla finestra gli gridò:
«O don Bosco, se potesse vedere tutte le parti del
mondo, e in ciascuna di esse tanti oratori!».
Don Bosco fissò nell’aria il suo sguardo sereno e
rispose: «Chissà che non debba venire il giorno in
cui i figli dell’oratorio non siano sparsi davvero per
tutto il mondo».
Guardare distante
Ma che cos’è un Capitolo Generale? Perché occu­
pare queste righe su un tema che è specificamente
della Congregazione Salesiana?
Le costituzioni di vita dei Salesiani di don Bosco,
all’articolo 146, così definiscono il Capitolo Gene­
rale: “Il Capitolo generale è il principale segno dell’unità
della Congregazione nella sua diversità. È l’incontro
fraterno nel quale i salesiani compiono una riflessione co-
munitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma
del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi.
Per mezzo del Capitolo generale l’intera Società, la-
sciandosi guidare dallo Spirito del Signore, cerca di
conoscere, in un determinato momento della storia, la
volontà di Dio per un migliore servizio alla Chiesa”.
Il Capitolo Generale non è quindi un fatto priva­
to dei salesiani consacrati, ma un’importantissi­
ma assise che tutti ci riguarda, che tocca tutta la
Famiglia Salesiana e coloro che hanno don Bosco
dentro di loro, perché al centro ci sono le persone,
la missione, il Carisma di don Bosco, la Chiesa e
ciascuno di noi, di voi.
Al centro c’è la fedeltà a Dio e a don Bosco, nella
capacità di vedere i segni dei tempi e dei differenti
luoghi. Fedeltà che è un continuo movimento, rin­
novamento, capacità di guardare lontano e di tene­
re, allo stesso tempo, i piedi ben piantati per terra.
Per questo si sono radunati circa 250 confratelli sa­
lesiani, da ogni parte del mondo, per pregare, pen­
sare, confrontarsi e guardare distante…in fedeltà a
don Bosco.
E poi dalla costruzione di questa visione, eleggere
il nuovo Rettor Maggiore, il successore di don Bo­
sco e il suo Consiglio Generale.
Non è una cosa fuori dalla tua vita, caro amico/a che
leggi, ma dentro la tua esistenza e nel tuo “affetto”
a don Bosco. Perché dirti questo? Perché tu ac­
compagni tutto questo con la tua preghiera. La
preghiera allo Spirito Santo che aiuti tutti i ca­
pitolari a conoscere la volontà di Dio per un
migliore servizio alla Chiesa.
Penso che il CG29, ne sono certo, sarà
tutto questo. Un’esperienza di Dio
per ripulire altre parti dello schizzo
che don Bosco ci ha lasciato, come
sempre è stato fatto in tutti i Capitoli
generali della storia della Congrega­
zione, sempre fedeli al suo disegno.
Sicuri che anche oggi possiamo continua­
re a essere illuminati per essere fedeli al
Signore Gesù nella fedeltà al carisma ori­
ginale, con i volti, la musica e i colori di
oggi.
Non siamo soli in questa missione e sap­
piamo e sentiamo che Maria, la Madre
Ausiliatrice dei cristiani, l’Ausiliatrice
della Chiesa, modello di fedeltà, sosterrà
i passi di tutti noi.
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IN PRIMA LINEA
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
PERCHÉ farle
SOFFRIRE di più?
I missionari salesiani, sul fronte dell’educazione
scolastica e dell’accoglienza dei giovani negli
oratori, incorrono in queste
situazioni non da oggi,
ma recentemente hanno
modificato il passo per
adeguare maggiormente
i loro “standard” di
attenzione alla condizione
femminile.
Nana ha quattro anni compiuti. È nata e
vive ad Odumase, distretto di Surya­
ni in Ghana. Ogni tanto la mamma le
parla del lavoro che faceva da piccola
sul lago Volta, come aiutante di un pescatore. Ma
non aggiunge particolari: è stato per lei un periodo
di sofferenza a causa dello sfruttamento subìto, ar­
rivato fino alle minacce e alla violenza.
Mutinta vive a Lusaka, capitale dello Zambia. Sta
per compiere quattrodici anni e da diversi mesi
sono iniziate per lei le difficoltà a gestire l’igiene
mestruale. Gli assorbenti usa e getta non sono ac­
cessibili per il bilancio della sua famiglia. Fra i ban­
chi di scuola si sente a disagio, per questo preferisce
rimanere a casa. Ha perso finora un totale di un
paio di mesi di lezione.
Sono due situazioni ricorrenti in tutta l’Africa, so­
prattutto in quella a sud del Sahara. Rappresentano
il punto di origine di una sfida che investe la con­
dizione femminile in due momenti di fioritura alla
vita: l’inizio del percorso di condivisione del tempo
con i propri pari, fuori dalla famiglia, e l’inizio del
ciclo riproduttivo che determinerà nel profondo l’i­
dentità e le opportunità della vita.
Nana frequenta la scuola materna “Maria Goretti”
di Odumase; Mutinta va spesso al centro giovanile
“Don Bosco” di Lusaka, un po’ distante da casa. I
salesiani hanno pensato anche a loro per progettare
nuovi interventi in queste strutture che gestiscono,
con la precisa consapevolezza di mettere a dispo­
sizione delle giovani dei loro Paesi quanto occorre
per aspirare ad un futuro di qualità migliore.
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La donna è decisiva per uno sviluppo armonico del
mondo. Lo è particolarmente nel continente afri­
cano, dove le nascite sono equilibrate fra i due ge­
neri ma l’aspettativa di vita è maggiore per quello
femminile. E tuttavia le consuetudini sociali non
sono sufficienti a garantire alle donne la loro piena
realizzazione. A incominciare dalle questioni con­
nesse all’igiene, e dunque alla salute.
Un progetto ambizioso
Le attività della comunità salesiana di Odumase
comprendono la parrocchia “Maria Ausiliatrice” con
otto cappelle sul territorio circostante, due scuole
primarie e una scuola media inferiore e il centro per
la tutela dell’infanzia “Don Bosco Boys Home” con
55 bambini. Completano le opere due oratori, una
scuola tecnica con 500 alunni e un ostello per ragazzi
con 200 posti letto. Ad animare questo complesso di
interventi sono presenti tre sacerdoti e due salesiani
coadiutori, ai quali si aggiungono due giovani tiroci­
nanti e uno studente universitario salesiani.
Padre Iribe Robertson Sung, che dirige la scuola
materna “Maria Goretti”, spiega che «l’istruzione
spesso non è accessibile a tutti, soprattutto ai bam­
bini in età prescolare.». Nonostante le intenzioni, il
Governo non considera fra i suoi impegni il com­
pletamento delle scuole pubbliche per i bambini fra
i 3 e i 6 anni. Questo è particolarmente pesante in
molte aree del Paese, dove la gente continua a lotta­
re con la povertà e la mancanza di infrastrutture di
base. I salesiani a Odumase suppliscono come pos­
sono: la scuola materna “Maria Goretti” è un tas­
sello di questo intervento. «Ma l’attuale struttura»
spiega padre Iribe «non è sufficiente a soddisfare la
domanda crescente. La mancanza di aule e di servizi
igienici adeguati limita fortemente la capacità della
scuola di accogliere tutti i bambini che desiderano
frequentarla».
Per affrontare queste sfide, i salesiani stanno lan­
ciando in quel contesto un progetto ambizioso: la
costruzione di due nuove aule e dei relativi servizi
igienici che permetterà di accogliere 90 bambini
all’anno; non è solo questione di spazi in più, ma
di allargare l’offerta di un ambiente educativo si­
curo e vicino alle case degli alunni. «Inoltre, i più
piccoli potranno essere accompagnati a scuola dai
fratellini più grandi che frequentano la scuola ele­
mentare che sorge nello stesso plesso: è una grande
comodità per le famiglie della comunità» osserva il
salesiano. Due nuove classi permetteranno ai bam­
bini già iscritti al primo anno di completare la loro
formazione nello stesso ambiente e ogni anno ci
sarà la possibilità di accogliere trenta nuovi scolari.
Un aspetto che può sfuggine a noi che abitiamo
un Paese ricco, è la previsione di un’ampia batteria
di servizi igienici nel contesto delle aule scolasti­
che. Non tutte le abitazioni, in un ambito rurale
come quello di Odumase, sono dotate di ambienti
dedicati ai bisogni personali, o i sanitari non sono
La donna è
decisiva per
uno sviluppo
armonico del
mondo. Lo è
particolarmente
nel continente
africano.
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IN PRIMA LINEA
I missionari
salesiani,
sul fronte
dell’educazione
scolastica e
dell’accoglienza
dei giovani
negli oratori,
hanno
modificato
il passo per
adeguare
maggiormente i
loro “standard”
di attenzione
alla condizione
femminile.
sempre tenuti in perfetta pulizia. L’accesso a servizi
adeguati (acqua potabile, scarichi efficienti, lavan­
dini per il lavaggio delle mani) contrasta la diffu­
sione di malattie infettive (colera, diarrea, malaria)
e le infezioni delle vie urinarie.
Dobbiamo ricordare che la scarsa igiene e l’accesso
insufficiente a strutture sanitarie sono alcune del­
le principali cause di morte tra i bambini. Senza
contare che si possono così abbattere le cause più
frequenti di mancata frequenza scolastica, creando
continuità formativa, nonché indurre – attraverso
l’esperienza diretta – un’educazione ad incentivare
la sanità dei luoghi che si frequentano.
Anche Nana potrà avere l’opportunità di una scuo­
la dove avviarsi su una strada che non la costringa a
sottoporsi alle angherie di un parente o di un estra­
neo che la vuole solo come “collaboratrice” efficien­
te e sottomessa.
Una sfida umana
C’è un punto basico per il raggiungimento di un’i­
dentità libera e influente: è quello della cura fisica
e psicologica nel momento in cui una ragazza in­
comincia ad avere il suo ciclo mestruale. Nei Paesi
più ricchi il problema si risolve con i consigli dei
consultori medici, con l’informazione sessuale (sia
pure talvolta incompleta sul piano dell’educazione
ai sentimenti), con l’utilizzo degli assorbenti in un
regime di ampia disponibilità di questo prodotto.
Nei Paesi più poveri il primo ostacolo consiste pro­
prio nella indisponibilità di questi strumenti ordi­
nari atti a salvaguardare l’igiene personale e a dare
sicurezza nei giorni del flusso anche sul piano della
condotta sociale. Molte donne utilizzano gli stracci
di casa o le foglie raccolte nei campi, con evidente
rischio di infezioni. A catena, di fronte al disagio, si
manifestano anche altri elementi di costrizione: il
tabù ancora presente in molte culture, la reclusione
in casa per più giorni, a cui si collega l’assenza dai
percorsi formativi.
I missionari salesiani, sul fronte dell’educazione
scolastica e dell’accoglienza dei giovani negli ora­
tori, incorrono in queste situazioni non da oggi,
ma recentemente hanno modificato il passo per
adeguare maggiormente i loro “standard” di atten­
zione alla condizione femminile. Abbiamo avuto
modo di parlare in queste colonne, dello sforzo di
individuare e di accogliere bambine e ragazze “di
strada” nelle megalopoli in Sierra Leone o in Ni­
geria, ad esempio: persone costantemente esposte
alla violenza ma anche alla mancanza di condizioni
igieniche adeguate. Per ragioni analoghe, la preoc­
cupazione di assicurare toilet in misura e qualità
sufficienti nelle scuole e nei centri giovanili, con
occhio di riguardo per le donne (non ultime le in­
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1.9 Page 9

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segnanti), si è fatta più consapevole e fattiva.
Negli ultimi anni sono arrivati a Missioni Don Bo­
sco, la Onlus che dall’Italia sostiene i salesiani più
vicini alle situazioni difficili dei giovani nel mon­
do, progetti che mirano a rispondere a quella che
è definita dagli esperti “la povertà mestruale”. La
centralità del tema non è inferiore a quella della ga­
ranzia di disponibilità di acqua o dell’accessibilità
allo studio. Non a caso nel 2014 le Nazioni Unite
hanno istituito la “Giornata dell’igiene mestruale”.
La prima volta che si è potuto disporre di un rap­
porto ufficiale sui servizi idrici e igienico-sanitari
nelle famiglie in 42 Paesi posti sotto osservazione
su questo tema è stata solo nel 2022. L’Unicef os­
servò che “le esigenze di salute e igiene mestruale
non sono soddisfatte e aumenta così il rischio di
infezioni per le donne e le ragazze. Queste sfide
sono particolarmente acute tra i più poveri, i gruppi
etnici, i rifugiati e le persone con disabilità”.
In molte parti dello Zambia, la gestione dell’igiene
mestruale rimane una sfida significativa, in parti­
colare per le ragazze che vanno a scuola. La man­
canza di prodotti mestruali accessibili e sostenibili
contribuisce all’assenteismo e all’abbandono scola­
stico, limitando le opportunità educative e future
delle ragazze. Inoltre, l’uso diffuso di assorbenti
usa e getta contribuisce all’inquinamento ambien­
tale, esacerbando il già pressante problema della
gestione dei rifiuti a Lusaka.
Il dono di Mutinta
Avendo presente questa situazione, i salesiani dello
Zambia hanno deciso di “sposare” una campagna
piuttosto impegnativa. Nel centro giovanile “Don
Bosco” ospite della casa ispettoriale di Lusaka si è
costituito un gruppo che aderisce al progetto della
fondazione “Her and His Gift” (Lei e il suo dono).
«È un’iniziativa guidata dai giovani, avviata e gui­
data da un gruppo di giovani donne innovatrici»
tiene a commentare padre Christopher Kunda,
delegato dell’Ispettoria per il Movimento giovani­
le salesiano. E spiega «Questi giovani mirano ad
affrontare questioni legate alla salute e al benessere
dei loro coetanei fornendo educazione alla salute
mentale e materna tra le ragazze, promuovendo
l’uso di assorbenti riutilizzabili e promuovendo l’e­
ducazione ambientale.».
Questa iniziativa è sostenuta da Catherine Kristy
Phiri, fin da piccola animata dalla vocazione di dare
sostegno ai suoi coetanei. Dopo aver completato
gli studi liceali, ha scoperto che questa vocazione
si sarebbe potuta trasformare in una vera e propria
impresa sociale. La prassi della Her and His Gift
prevede incontri di educazione sessuale che diventa­
no occasione per distribuire – in appositi “pacchetti
mamma” contenenti anche un chitenge, un’ampia fa­
scia di tessuto usato per cingersi i fianchi o la testa
o per tenere addosso il neonato – degli assorbenti
riutilizzabili, che le stesse partecipanti al progetto
imparano a fabbricare attraverso appositi
corsi di taglio e cucito. Una delle par­
tecipanti ha dichiarato: «Ho potuto
fare un salto sul piano fisico, in-
tellettuale, emozionale e rela-
zionale. La mia situazione è
migliorata in maniera auto-
matica».
Grazie al gruppo del cen­
tro giovanile “Don Bosco”,
molte giovani come Mu­
tinta potranno non “sal­
tare” più le lezioni
a scuola.
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1.10 Page 10

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SALESIANI
Andrei Munteanu
L’Ispettoria croata ha
UN NUOVO SUPERIORE
Incontro con
don Milan Ivancˇevic´
Puoi presentarti?
Sono Milan Ivančević, salesiano,
nato il 25 ottobre 1962, a Šlimac
(Rama - Prozor). Ho tre fratelli, tre sorelle e 29 ni­
poti. Ho terminato le scuole elementari e superiori
nella mia città natale. Dopo aver studiato matema­
tica e fisica a Mostar e due anni di insegnamento in
una scuola elementare, sono entrato nella comuni­
tà salesiana nell’autunno del 1989. Ho preso i voti
permanenti l’8 settembre 1997 e sono stato ordina­
to sacerdote il 27 giugno 1998.
Sono stato Vicario parrocchiale, insegnante di reli­
gione, più volte parroco e direttore. Posso solo rin­
graziare per le belle esperienze che ho fatto.
Com’è nata la tua vocazione?
Mia madre mi ha insegnato i primi passi nella fede,
con la parola e con l’esempio. Più tardi, crescendo,
anche tutti gli altri membri della famiglia ci hanno
formato nella fede, perché in famiglia c’era la pre­
ghiera regolare: preghiera del mattino e della sera,
prima e dopo i pasti.
Abitavamo in un villaggio a 7 km dalla chiesa, ma
andavamo regolarmente alla Santa Messa domeni­
cale. Tutto era intriso di fede, ma anche di tanta
sofferenza. La mia zona ha sofferto molto durante
la seconda guerra mondiale. In un giorno la ma­
dre, quando aveva solo 11 anni, perse due fratelli
che furono uccisi dai cetnici (serbi) nell’autunno del
1942 solo perché croati. Quella ferita segnò la fa­
miglia per tutta la vita insieme alla povertà.
Come hai conosciuto i Salesiani?
Ho sentito parlare dei Salesiani abbastanza tardi.
Durante i miei studi di matematica, ho espresso
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2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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il desiderio a mia zia, ormai defunta, che era una
suora in Germania, di voler diventare prete. Mi
ha fornito quattro indirizzi dalla Germania a cui
è possibile rivolgersi in relazione alla vocazione al
sacerdozio. Tra questi il discorso dei Salesiani in
Germania. Così ho cominciato a corrispondere con
loro, e le lettere sono state tradotte dal salesiano
croato don Franjo Crnjaković, che allora lavorava
in Germania. Quando i tempi furono maturi per
entrare in comunità, si presentò il problema di non
conoscere la lingua tedesca. Poi don Franjo mi ha
mandato l’indirizzo dei Salesiani di Zagabria e così
sono diventato salesiano croato.
Perché hai scelto di essere salesiano?
Amavo la matematica e lavorare con i bambini a
scuola. Mi è piaciuto aiutare i giovani a risolvere pro­
blemi di matematica. Fin dalla mia infanzia, la vo­
cazione sacerdotale in qualche modo covava in me.
La prima che ricordo è stata un’esperienza con un
parente anziano che era tra i pochi parenti a ricevere
una pensione. Quando ero in terza elementare, un
giorno mi vide felice per i miei ottimi voti e mi disse:
“Promettimi che studierai per diventare prete, e d’o­
ra in poi ti darò 5 stoi di ciascuna delle mie pensioni”
(valore attuale 10 euro). E ovviamente l’ho promes­
so perché per me da bambino era un grande valore.
Molti anni dopo, quando già lavoravo in una scuola
ed ero vicino alla decisione di entrare in comunità,
fui al suo funerale e sulla tomba aperta lo ringraziai
e gli promisi che mi sarei fatto prete. Tra i bambini
a cui insegnavo matematica c’erano anche quelli ab­
bandonati dai genitori. Osservare la loro situazione
mi ha aiutato a decidere di intraprendere la strada del
servizio ai giovani come salesiano.
Dalla fine della
guerra c’è stata
una crescita
della presenza
salesiana e
la Croazia ha
incominciato
a conoscerci
bene. I Salesiani
sono usciti dalle
sacrestie per
offrire attività
educative e
una spiritualità
salesiana ai
giovani del
paese. Ci sono
Salesiani
cappellani nelle
scuole, nelle
carceri...
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2.2 Page 12

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SALESIANI
Abbiamo la fortuna che un gran numero
di giovani riescano a coltivare e vivere la
propria fede, a volte anche controcorrente.
La tua gioia più bella?
Le esperienze della confessione mi rendono felice
più di tutto. Quando vedo davanti a me la trasfor­
mazione dell’anima umana e riconosco me stesso
come il mezzo attraverso il quale avviene, essa
non può essere paragonata a nulla sulla terra, è
un evento celeste. Soprattutto quando si tratta di
giovani, ma in queste situazioni ogni anima è gio­
vane perché è bella. E ciò che mi ferisce di più è
la disperazione dei bambini e dei giovani quando
i loro genitori si separano. Sono sempre profonda­
mente commosso dalla loro sofferenza. E anche la
consapevolezza di quando le persone prendono alla
leggera la decisione di abortire. Mi viene la pelle
d’oca a causa della cecità in cui le persone non sono
consapevoli di quanto grande sia l’errore che stanno
commettendo. Queste cose penetrano nel profondo
dell’umanità e la mettono in discussione.
Quali sono le necessità locali più urgenti
e dei giovani?
Abbiamo la fortuna che un gran numero di gio­
vani riescano a coltivare e vivere la propria fede, a
volte anche controcorrente. Ma purtroppo molti
sono ancora lontani dalla fede e cercano un senso
in qualcosa di più piccolo di loro.
I Salesiani
sono presenti
in Croazia
dal 1914.
Il paese ha
vissuto grandi
cambiamenti in
questo periodo,
con la dittatura,
la guerra
d’indipendenza.
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Forse potremmo uscire ancora di più e iniziare a
cercare i “randagi”. Ma è necessario uscire prepara­
ti, se usiamo solo le nostre forze riusciremo un po’,
ma se andiamo avanti con la forza di Dio, allora
Lui fa molto per le nostre piccole cose.
Come vedi il futuro?
Il futuro, come il presente, è nelle mani di Dio. La
Bibbia ci insegna che il mondo è in buone mani.
Ecco perché non dobbiamo avere paura. “Se Dio è
per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). È vero che
i cambiamenti avvengono a una velocità incredibi­
le, il mondo diventa sempre più piccolo perché tut­
to è facile e veloce da raggiungere. Culture e tradi­
zioni si mescolano e nessuno può immaginare quali
saranno le conseguenze. Ma se abbiamo fiducia nel
Signore, che è la fonte della vita, Egli porterà tut­
to al bene. Sta a noi ascoltare, discernere e cercare
il nostro posto e il nostro ruolo in ciò che Egli ci
chiede. E se siamo su quella strada, allora siamo
pronti alle meravigliose sorprese che il Signore sta
preparando per noi.
Che cosa diresti ai giovani in questo
momento?
Il mio messaggio ai giovani è che non abbiano paura
di essere credenti, anche se la moda la chiama ar­
retratezza. E infatti nessuno è interessato al nostro
domani quanto Dio, che nei
suoi comandamenti ci dà la for­
za per il futuro. Ci prepara per
il futuro con i suoi comanda­
menti. Se ogni giorno cerchia­
mo di armonizzare la nostra
vita secondo il Decalogo, allora
possiamo già dire di noi stessi:
beati quelli che vengono dietro
di noi perché avranno delle per­
sone davanti a loro. Perciò gio­
vani, siate coraggiosi, non ab­
biate paura della vita, è il dono
più bello di Dio.
CROAZIA: cicatrici e speranze
I Salesiani sono presenti in Croazia dal 1914. Il paese ha vissuto
grandi cambiamenti in questo periodo, con la dittatura, la guer-
ra d’indipendenza... La testimonianza di don Goran Antunovic,
32enne salesiano attivo a Rijeka (Fiume), offre una panoramica
della situazione attuale: «Fino al 1972 eravamo una sola Ispet-
toria con la Slovenia, poi siamo diventati due Ispettorie auto-
nome. Oggi siamo circa 115 Salesiani, tra cui una quarantina di
giovani in formazione, e abbiamo 11 case in Croazia, più quella
di Zepce, in Bosnia, fondata nel 1995. In Croazia, animiamo prin-
cipalmente parrocchie e oratori, ma abbiamo anche due licei
per l’educazione generica e sportiva, e a Zepce, un liceo e una
scuola professionale. Abbiamo anche alcuni ostelli per studenti.
Tra le nostre attività fondamentali ci sono senza dubbio i campi
estivi o “Estate Ragazzi”: ciascuna opera li organizza, durante
la pausa estiva, e l’anno scorso, inspiegabilmente, il numero di
partecipanti è esploso: da 300 a 500 giovani in ogni luogo. Siamo
gli unici ad offrire questo tipo di attività nel paese. C’è un forte
senso spirituale e la gente cerca di fare il proprio cammino nella
fede: non si vuole credere per tradizione. Ogni comunità salesia-
na ha il suo gruppo di preghiera. Qui s’incontrano ogni martedì
60-90 persone.
Dalla fine della guerra c’è stata una crescita della presenza sa-
lesiana e il paese ha incominciato a conoscerci bene. I Salesiani
sono usciti dalle sacrestie per offrire attività educative e una
spiritualità salesiana ai giovani del paese. Ci sono Salesiani cap-
pellani nelle scuole, nelle carceri... Guidano i campi estivi, i pelle-
grinaggi in bici, le settimane di discernimento vocazionale, i riti-
ri... Inoltre l’arrivo delle Reliquie di don Bosco ha suscitato molti
frutti spirituali, i vescovi riconoscono la ricchezza della nostra
presenza e contano su di noi per risvegliare la fede tra i ragazzi».
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2.4 Page 14

▲torna in alto
FMA
B.T.
COME NASCE UNA MISSIONE
Tutto cominciò
con una jeep
Suor Rocivalda, suor Ermencina e
suor Dilza arrivarono a Sacramenta
con mani e borse vuote, ricche
solo di buona volontà e di capacità
di amare.
In un rione di periferia di Bélem, chiamato
Sacramenta, un salesiano cominciò, come
Don Bosco, con un prato, un pallone e un
sorriso. Riuscì in pochi anni a tirare su una
Scuola Professionale dotata di Laboratori attrezzati
per 800 e più ragazzi. Si chiamava don Lorenzo
Bertolusso. Incominciò a raggruppare i suoi ragazzi
in un terreno di fortuna e a galvanizzarli intorno a
un football, dominatore incontrastato di un’incolta
prateria.
Le bambine e ragazzine dell’abitato, inquiline
perpetue della strada, non trovarono di meglio
che mescolarsi nelle file dei giocatori, distribuire
anch’esse calci, parolacce e spintoni, disturbare si­
stematicamente giochi, riunioni, iniziative. Inutile
cacciarle: tornavano imperterrite e incorreggibili.
Don Lorenzo, stanco e un po’ stizzito, si rivolse alle
suore: Venite e prendetevene cura voi!»
Le suore avevano un bel Collegio dall’altro lato
della città. Erano poche, con tante educande, una
Scuola Media e Superiore frequentatissima. Ma
una Figlia di Maria Ausiliatrice non rifiuta mai
l’Oratorio, e due religiose della comunità, scelte
per la fatica domenicale, cominciarono a recarsi
a Sacramenta dal mattino alla sera delle giornate
festive. Era l’anno 1964. Suor Rocivalda, suor Er­
mencina e suor Dilza arrivarono a Sacramenta con
mani e borse vuote, ricche solo di buona volontà e
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2.5 Page 15

▲torna in alto
di capacità di amare. Bastò la loro presenza lieta
ad attirare quel piccolo mondo errante per il rione.
Di domenica in domenica le Oratoriane salirono a
200, 300, 400, 600. Le mamme accompagnavano
le figlie e ascoltavano anch’esse quelle Suore vesti­
te di bianco che nemmeno i cicloni torrenziali o il
calore equatoriale, riuscivano a tener lontane. Non
avevano una tettoia, un rifugio, un luogo di ristoro.
Non possedevano un giocattolo, un passatempo, un
mezzo di attrazione. Facevano catechismo all’aria
libera, insegnavano un po’ di igiene e di morale e
intonavano canti. Erano questi la calamita più po­
tente. Bastava abbozzarne un motivo: lo ripetevano
alla perfezione.
Bisognava però attrezzare un riparo per le giornate
piovose; organizzare, anche solo in modo rudimen­
tale, quelle 600 scatenate monelle domenicali.
Gli ultimi due biglietti per le suore
Ma come? Di denaro, neanche l’ombra. Don Lo­
renzo stava allestendo – per la costruzione della sua
Scuola – una grande lotteria: in palio, una jeep. Le
suore furono pregate di vendere 300 biglietti con
qualche beneficio sul totale degli incassi. Alla vi­
gilia del sorteggio, due soli biglietti erano rimasti
invenduti.
Suor Rocivalda, improvvisamente ispirata, con
tono di scherzo propose al Padre: «Se uscirà uno di
questi due biglietti, darà a noi la jeep da vendere a
pro dell’Oratorio?». Lui, indaffaratissimo, abbozzò
un sorriso incredulo: «Ma sì! Se uscirà...».
Uscì proprio il numero del biglietto invenduto (su
migliaia di comprati!). La jeep fu cambiata con un
terreno su cui Suore e bambine potevano sentirsi
«di casa». Nacque così il Centro Sociale Auxilium.
Il 10 novembre 1964, la prima sede (terreno e tetto­
ia) era pronta e l’allegria delle bambine irrefrenabile.
Al sabato, nel padiglione di legno, funzionavano un
embrionale «Club» delle mamme diretto da un’As­
sistente Sociale coadiuvata da un medico, padre di
due allieve del Collegio. Le Suore intanto, oltre la
parte orientativa e religiosa delle madri, gettavano
le basi di un Corso di Catechesi per giovanette in
vista della preparazione di future Catechiste.
Non erano
certo aule-
modello per
una didattica
funzionale,
ma fu una
Scuola viva,
nuova,
una Scuola
«pioniera».
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2.6 Page 16

▲torna in alto
FMA
La prima
partenza per
l’Uruguay delle
Figlie di Maria
Ausiliatrice, 140
anni fa. Fuori
piove e tira
vento, eppure
alle nove e
mezzo suore
e salesiani si
trovano sul
bastimento.
Madre
Mazzarello
visita cabina
per cabina, per
accertarsi che
non manchi
nulla di quanto
possa alleviare
alle suore i
disagi del
viaggio.
Sotto quella tettoia si improvvisavano rappresen­
tazioni teatrali, saggi di canto e danza, festicciole
tipiche del luogo. Quando pioveva, ci si pigiava a
centinaia, con il rischio di soffocare. Ma nessuna si
muoveva. E, per occupare bene il tempo, si cantava.
Dopo la S. Messa all’aperto, verso sera, le Suore
tornavano al Collegio. La festa finiva tra un sospiro
generale di rimpianto e mille «Voltem logo, Irmas!
Até domingo!». («Tornino presto, Suore! Arrive­
derci a domenica!»).
Il padiglione di legno era ormai insufficiente. Biso­
gnava pensare a costruire un edificio in muratura.
Passi innumerevoli presso persone facoltose; reite­
rate petizioni alle autorità; interessamenti in seno
alle Associazioni benefiche della regione: a distan­
za di 100 anni, le tre suore ripetono la stessa «odis­
sea» di don Bosco alla ricerca di fondi per il suo
primo Oratorio di Torino.
Ospiti notturni, i topi
Messe sull’avviso, suor Rocivalda e suor Dilza ot­
tennero di passare la notte in una squallida casetta
confinante con l’area dell’Oratorio. Due amache,
due lampade elettriche,
un fornellino a gas, due
catini, due sedie e un ta­
volo. Nient’altro. Ospiti
notturni, i topi.
Al mattino presto, dopo
la santa Messa nella Cap­
pella dei Salesiani, la fila delle alunne era già in
attesa.
Si iniziarono le lezioni di cucito, taglio e ricamo:
due suore per centinaia di bambine che non aveva­
no mai tenuto l’ago in mano. Le più abili e attive,
appena sgrossate, passarono al ruolo di maestre. Si
formarono così otto gruppi di ricamatrici in erba,
tanto attente e diligenti da far stupire per i loro ra­
pidi e notevoli progressi.
Ora avevano una scuola, un laboratorio, un oratorio
e due suore tutte per loro. L’edificio in muratura
veniva su pian piano, grazie ai sussidi che giunge­
vano al Centro dalle fonti più insperate. Le classi,
con il 1966 avevano superato la decina; nel 1967 la
quindicina. Ormai potevano funzionare nel nuovo
caseggiato, anche se privo di porte e di finestre: in
Brasile quest’inconveniente non costituisce proble­
ma... Poi la minuscola Comunità si arricchì di due
altre suore. Fu acquistata un’attigua casetta e fu
possibile pensare a un nuovo sviluppo del Centro.
Suor Maria Battista, una vera fata del ricamo, era
l’anima di un avviato laboratorio di cucito. Si confe­
zionavano finissimi lavori in bianco e in colore. Ma
era un’occupazione limitata a chi possedeva talento.
Il sobborgo superpopolato, nido di disoccupazione,
non dava speranza di assorbimento né domestico,
né industriale, della maggior parte delle adolescen­
ti. A 15, 16 anni, quelle figliole, provenienti da fa­
miglie disunite, disordinate, da ambienti equivoci
e moralmente pericolosi, rischiavano di perdersi
definitivamente.
Bisognava trovare un’attività che le rendesse econo­
micamente autonome e il cui rendimento non subis­
se troppo presto la concorrenza. Suor Rocivalda e le
sue suore pregavano e attendevano la Provvidenza.
Un giorno vennero a sapere che vicino a Belém, un
piccolo industriale, in possesso di alcuni telai per
la fabbricazione di reti di amache, tappeti e tende
aveva intenzione di cedere la sua attrezzatura. Suor
Lourdes, nativa della regione del Cearà, conosce­
va bene quel mestiere caratteristico della sua terra.
Le suore visitarono la piccola fabbrica e ne furono
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2.7 Page 17

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soddisfatte. Ma bisognava trovare nuovi fondi per
prelevare i telai, adattare il macchinario, acquistare
il materiale, costruire un locale appropriato.
Fu interessato il Presidente della Fondazione ca­
ritativa «Papa Giovanni» che già precedentemente
aveva sovvenzionato la costruzione, e guardava con
simpatia lo sforzo delle suore.
Fu lo strumento della Provvidenza. In pochi mesi,
alla Scuola Elementare (17 classi), all’Oratorio diur­
no e festivo (700 frequentanti), al Centro Catechi­
stico (20 squadre curate da 20 Catechiste laiche), al
Club delle Mamme (un centinaio di fedelissime) si
poté aggiungere l’impianto per un Corso Professio­
nale originalissimo nel genere di lavorazione e di si­
cure prospettive per il futuro.
I lavori di artigianato delle alunne, con l’orienta­
mento di suor Lourdes, perfetti nell’esecuzione e
geniali nella combinazione di colori, sono assai ri­
cercati. La Scuola comincia a ricevere ordinazioni
di notevoli quantitativi di reti, tappeti, tendaggi,
scendiletti, borse ed altri oggetti fatti con una spe­
ciale fibra, il «cizal».
gioco collettivo, lo squillante tocco di un campa­
nello che placa all’istante quella moltitudine in
effervescenza e la dispone alla partecipazione alla
Messa, impressiona fortemente. Si aprono due por­
te scorrevoli di legno in fondo al porticato e appare
l’altare costruito dai ragazzi artigiani di padre Lo­
renzo. Settecento oratoriane, giovanile assemblea
del Regno di Dio in costruzione, sono pronte per
l’Eucaristia. È un coro possente e argentino che in­
tona gioiosamente: «O Senhor é meu Pastor!».
La storia del Centro Sociale «Auxilium» di Belém
non è finita. È appena cominciata.
Oggi, il Centro Sociale Auxilium è una comuni­
tà inserita nella realtà popolare del quartiere Sa­
cramenta. Oggi non ci sono più né la maglieria né
l’ambulatorio e la scuola è aperta alla comunità,
mettendo a disposizione i suoi spazi per gli incon­
tri della Famiglia Salesiana e della Chiesa locale.
Quattro religiose vivono nello stesso spazio e svol­
gono un lavoro di sostegno pastorale in armonia
con la parrocchia.
La scuola è
aperta alla
comunità,
mettendo a
disposizione i
suoi spazi per
gli incontri
della Famiglia
Salesiana e
della Chiesa
locale. Quattro
religiose
vivono nello
stesso spazio
e svolgono
un lavoro
di sostegno
pastorale in
armonia con la
parrocchia.
«O Senhor é meu Pastor»
Alla domenica, in mezzo al frastuono di una pic­
cola banda alle sue prime prove o di un fremente
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Francesco Marcoccio
ROMA SACRO CUORE
La nuova Sede Centrale
dei Salesiani
Oggi la vocazione originaria
della casa del Sacro Cuore
vede un nuovo inizio.
Tradizione e innovazione
continuano a caratterizzare
il passato, il presente
e il futuro di quest’opera
così significativa.
Quante volte don Bosco ha desiderato
venire a Roma per aprire una casa sale­
siana. Fin dal primo viaggio del 1858 il
suo obiettivo era di essere presente nella
città eterna con una presenza educativa. Per venti
volte è venuto a Roma e solo nell’ultimo viaggio del
1887 è riuscito a realizzare il suo sogno aprendo la
casa del Sacro Cuore al Castro Pretorio.
L’Opera salesiana è collocata nel quartiere Esquili­
no, nato nel 1875, dopo la breccia di Porta Pia e l’e­
sigenza da parte dei Savoia di costruire nella nuova
capitale i ministeri del Regno d’Italia. Il quartie­
re, chiamato anche Umbertino, è di architettura
piemontese, tutte le vie portano il nome di batta­
glie o eventi legati allo stato sabaudo. Non poteva
mancare in questo luogo, che richiama Torino, un
Tempio, che fosse anche parrocchia, costruito da
un piemontese, don Giovanni Bosco. Il nome della
Chiesa non lo sceglie don Bosco, ma è una volontà
di Leone XIII per rilanciare una devozione, quanto
mai attuale, al Cuore di Gesù.
Oggi la casa del Sacro Cuore è completamente
rinnovata per rispondere alle esigenze della Sede
Centrale dei Salesiani. Dal momento della sua
fondazione fino ad oggi la casa ha subito diverse
trasformazioni. L’Opera nasce come Parrocchia e
Tempio Internazionale per la diffusione della de­
vozione al Sacro Cuore, fin dall’inizio l’obiettivo
dichiarato da don Bosco era costruire a fianco un
Ospizio per ospitare fino a 500 ragazzi poveri. Don
Rua porta a termine l’Opera e apre dei laborato­
ri per artigiani (scuola arti e mestieri). Negli anni
successivi vengono aperte la scuola media e il liceo
classico. Per alcuni anni è stata anche la sede dell’u­
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2.9 Page 19

▲torna in alto
niversità (Pontificio Ateneo Salesiano) e una casa
di formazione per salesiani che studiavano nelle
università romane e si impegnavano nella scuola
e nell’oratorio (tra questi studenti si annovera an­
che don Quadrio). È stata inoltre sede ispettoriale
dell’Ispettoria Romana prima e della Circoscri­
zione dell’Italia Centrale a partire dal 2008. Dal
2017, a causa dello spostamento da via della Pisa­
na, è diventata la Sede Centrale dei Salesiani. Dal
2022 è iniziata la ristrutturazione per adeguare gli
ambienti alla funzione di casa del Rettor Maggiore.
In questa casa sono vissuti o passati: don Bosco,
don Rua, il cardinale Cagliero (il suo appartamento
era collocato al primo piano di via Marsala), Zef­
firino Namuncurà, monsignor Versiglia, Artemide
Zatti, tutti i Rettori Maggiori successori di don
Bosco, san Giovanni Paolo II, santa Teresa di Cal­
cutta, papa Francesco. Tra i direttori della casa ha
svolto il suo servizio monsignor Giuseppe Cognata
(durante il suo rettorato, nel 1930, è stata collocata
la statua del Sacro Cuore sul campanile).
Grazie al Sacro Cuore il carisma salesiano si è dif­
fuso in vari quartieri di Roma; infatti, tutte le altre
presenze salesiane di Roma sono state una gem­
mazione di questa casa: il Testaccio, il Pio XI, il
Borgo Ragazzi don Bosco, il Don Bosco Cinecittà,
il Gerini, l’Università Pontificia Salesiana.
Crocevia di accoglienza
I tratti determinanti la Casa del Sacro Cuore sono,
fin dagli inizi, due: 1) la cattolicità in quanto aprire
una casa a Roma ha sempre significato per i fon­
datori degli ordini religiosi una vicinanza al Papa e
un ampliamento degli orizzonti a livello universa­
le. Nella prima conferenza ai cooperatori salesiani
presso il monastero di Tor De’ Specchi di Roma
nel 1874 don Bosco afferma che i salesiani si sareb­
bero sparsi in tutto il mondo e aiutare le loro opere
significava vivere il più autentico spirito cattolico.
2) l’attenzione ai giovani poveri: la collocazione
vicino alla stazione, crocevia di arrivi e partenze,
luogo dove si sono sempre raccolti i più poveri, è
iscritto nella storia
del Sacro Cuore.
La casa voluta
e amata da
don Bosco è
ora il cuore
pulsante della
Congregazione.
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2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
Oggi la casa del
Sacro Cuore è
completamente
rinnovata per
rispondere alle
esigenze della
Sede Centrale
dei Salesiani.
Agli inizi l’Ospizio ospitava i ragazzi poveri per in­
segnare loro un mestiere, successivamente l’oratorio
ha raccolto i ragazzi del quartiere; dopo la guerra gli
sciuscià (ragazzi che lucidavano le scarpe alle perso­
ne che uscivano dalla stazione) sono stati raccolti e
curati prima in questa casa e poi si sono trasferiti al
Borgo Ragazzi don Bosco; a metà degli anni ’80 con
la prima immigrazione in Italia sono stati ospitati dei
giovani immigrati in collaborazione con la nascente
Caritas; negli anni ’90 un Centro Diurno raccoglie­
va ragazzi in alternativa al carcere e insegnava loro i
rudimenti della lettura e scrittura e un mestiere; dal
2009 un progetto di integrazione tra giovani rifugia­
ti e giovani italiani ha visto fiorire tante iniziative di
accoglienza e di evangelizzazione. La Casa del Sacro
Cuore per circa 30 anni è stata anche sede del Cen­
tro Nazionale Opere Salesiane d’Italia.
Il nuovo inizio
Oggi la vocazione originaria della casa del Sacro
Cuore vede un nuovo inizio. Tradizione e innova­
zione continuano a caratterizzare il passato, il pre­
sente e il futuro di quest’opera così significativa.
Innanzitutto, la presenza del Rettor Maggiore con
il suo consiglio e dei confratelli che si occupano
della dimensione mondiale indica il conti­nuum
della cattolicità. Una vocazione all’accoglienza di
tanti salesiani che vengono da tutto il mondo e tro­
vano al Sacro Cuore un luogo per sentirsi a casa,
sperimentare la fraternità, incontrarsi con il succes­
sore di don Bosco. Nello stesso tempo è il luogo
dal quale il Rettor Maggiore anima e governa la
Congregazione tracciando le linee per essere fedeli
a don Bosco nell’oggi.
In secondo luogo, la presenza di un luogo salesiano
significativo dove don Bosco ha scritto la lettera da
Roma e ha compreso il sogno dei nove anni. All’in­
terno della casa ci sarà il Museo Casa don Bosco
di Roma che in tre piani racconterà la presenza del
Santo nella città eterna. La centralità dell’educazio­
ne come “cosa di cuore” nel suo Sistema Preventivo,
la relazione con i Papi che hanno amato don Bosco
e che lui per primo ha amato e servito, il Sacro Cuo­
re come luogo di espansione del carisma in tutto il
mondo, il faticoso percorso di approvazione delle
Costituzioni, la comprensione del sogno dei nove
anni e il suo ultimo respiro educativo nello scrivere
la lettera da Roma sono gli elementi tematici che,
in forma multimediale immersiva, saranno raccon­
tati a coloro che visiteranno lo spazio museale.
In terzo luogo, la devozione al Sacro Cuore rappre­
senta il centro del carisma. Don Bosco ancor prima
di ricevere l’invito a costruire la Chiesa del Sacro
Cuore, aveva orientato i giovani verso questa devo­
zione. Nel Giovane Provveduto ci sono preghiere
e pratiche di pietà rivolte al Cuore di Cristo. Ma
con l’accettazione della proposta di Leone XIII egli
diventa un vero e proprio apostolo del Sacro Cuo­
re. Non risparmia le sue forze per cercare denaro
per la Chiesa. La cura nei minimi particolari e in­
20
MARZO 2025

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲torna in alto
fonde nelle scelte architettoniche e artistiche della
Basilica il suo pensiero e la sua devozione al Sacro
Cuore. Per sostenere la costruzione della Chiesa e
della casa egli fonda la Pia Opera del Sacro Cuore
di Gesù, l’ultima delle cinque fondazioni realizzate
da don Bosco lungo il corso della sua vita insieme ai
Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Coope­
ratori Salesiani, l’Associazione dei Devoti di Maria
Ausiliatrice. Essa venne eretta per la celebrazione
in perpetuo di sei messe quotidiane nella Chiesa
del Sacro Cuore in Roma. Vi partecipano tutti gli
iscritti, vivi e defunti, attraverso la preghiera svolta
e le opere buone compiute dai Salesiani e dai gio­
vani in tutte le loro case.
La visione di Chiesa che deriva dalla fondazione
della Pia Opera è quella di un “corpo vivo” compo­
sto da vivi e defunti in comunione tra loro attraver­
so il Sacrificio di Gesù, rinnovato quotidianamente
nella celebrazione eucaristica a servizio dei giovani
più poveri. Il desiderio del Cuore di Gesù è che tut­
ti siano una sola cosa (ut unum sint) come Lui e il
Padre. La Pia Opera collega, attraverso la preghiera
e le offerte, i benefattori vivi e defunti, i Salesiani
di tutto il mondo e i giovani che vivono al Sacro
Cuore. Solo attraverso la comunione, che ha la sua
sorgente nell’Eucaristia, i benefattori, i Salesiani e
i giovani possono contribuire a costruire la Chiesa,
a farla risplendere nel suo volto missionario. La Pia
Opera ha inoltre il compito di promuovere, diffon­
dere, approfondire la devozione al Sacro Cuore in
tutto il mondo e rinnovarla se­
condo i tempi e il sentire della
Chiesa.
La stazione centrale
per evangelizzare
Infine, l’attenzione ai giovani
poveri si manifesta nella vo­
lontà missionaria di raggiun­
gere i giovani di tutta Roma
attraverso il Centro Giovanile
aperto su via Marsala, proprio
all’uscita della stazione Termini dove ogni giorno
passano circa 300 000 persone. Un luogo che sia
casa per i tanti giovani italiani e stranieri che vi­
sitano o vivono a Roma e hanno sete, a volte non
consapevole, di Dio. Da sempre, inoltre, intorno
alla stazione Termini si accalcano diversi poveri
segnati dalla fatica della vita. Un’altra porta aperta
su via Marsala, oltre quella del Centro Giovanile e
della Basilica, esprime il desiderio di rispondere ai
bisogni di queste persone con il Cuore di Cristo, in
esse infatti risplende la gloria del suo volto.
La profezia di don Bosco sulla Casa del Sacro Cuo­
re del 5 aprile 1880 accompagna e guida la realizza­
zione di quanto è stato raccontato:
Don Bosco mirava lontano. Il nostro monsignor Giovanni
Marenco ricordava una sua misteriosa parola, che il tempo
non doveva coprire di oblio. Nel giorno stesso in cui accettò
quell’onerosissima offerta, il Beato gli domandò:
– Sai perché abbiamo accettato la casa di Roma?
– Io no, rispose quegli.
– Ebbene, sta attento. L’abbia-
mo accettata perché quando il
Papa sarà quello che ora non è
e come deve essere. Mettere-
mo nella nostra casa la stazione
centrale per evangelizzare l’agro
romano. Sarà opera non meno
importante che quella di evan-
gelizzare la Patagonia. Allora i
Salesiani saranno conosciuti e
risplenderà la loro gloria. (MB
XIV, 591-592).
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3.2 Page 22

▲torna in alto
LA NOSTRA BASILICA
Natale Maffioli
IL BATTISTERO
La basilica di Maria Ausiliatrice non è nata
come parrocchiale, ma secondo i progetti
di don Bosco è diventata parrocchia
ed ha quindi anche un fonte battesimale
e un battistero, anche se un po’ nascosti.
La chiesa di Maria Ausiliatrice non è nata
come parrocchiale, tuttavia don Bosco si
è sempre interessato ai fedeli della zona
di Valdocco: dichiarò che tra i motivi
secondari del nuovo edificio sacro c’era quello «di
provvedere al bisogno religioso per la popolazione
del vicinato specialmente nei giorni festivi».
Agli inizi del Novecento Maria Ausiliatrice fu in­
signita del titolo di basilica minore e successiva­
mente anche di parrocchia. Uno dei primi parroci
fu monsignor Mi­
chele Arduino; fu
vescovo di Shiu­
chow (1948), poi,
fu espulso dalla
Cina nel 1951 e, appena tornato in patria, nominato
parroco della basilica (dal 1952 al 1962).
Essendo però la chiesa insignita del titolo di ba­
silica minore, non necessitava né di un battistero
e neppure di un fonte battesimale, ma per rendere
l’edificio completo dei suoi elementi essenziali tra
il 1945 e il 1956 fu dotato di un battistero che fu
realizzato alle spalle dell’altare di san Giuseppe;
nell’ambito dei lavori di ampliamento del santuario
era il prolungamento della grande cappella a sini­
stra dell’abside, denominata cappella degli studenti
e degli artigiani.
Il costruito è, dal punto di vista architettonico, con
pochi pregi artistici, è in definitiva una stanza con
il soffitto decorato con lacunari occupati al centro
da bottoni e rose canine in stucco su fondo di colore
rosso e bleu; la decorazione perimetrale alta è fat­
ta da baccellature terminanti con conchiglie di san
Giacomo, simbolo dello strumento che nella tra­
dizione era associato al battesimo. Le pareti inter­
ne però sono arricchite con affreschi realizzati dal
pittore Carlo Morgari e recano sul bordo inferiore
destro la firma dell’autore e la data “1956” con scene
desunte dall’Antico e Nuovo Testamento, interval­
late da lesene decorate con candelabre tratte dal
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3.3 Page 23

▲torna in alto
repertorio di origine rinascimentale. Gli affreschi
riportano: l’incontro di Gesù con la samaritana al
pozzo di Giacobbe, Mosè che fa scaturire l’acqua
dalla roccia, Pietro salvato dall’affogamento nelle
acque del lago di Genezareth, Tobiolo che pesca
un pesce e lo eviscera. Tutte le scene hanno come
riferimento l’acqua, elemento naturale indispensa­
bile alla celebrazione del sacramento del battesimo.
Sulla parete opposta alle scene bibliche è dipinto un
finto tendaggio di broccato appeso ad un’asta.
Sul fondo della cappella è collocato il fonte batte­
simale alle cui spalle è stata disposta negli anni ’45
(dopo i bombardamenti patiti dalla basilica durante
il secondo conflitto mondiale) una vetrata dipinta
dal pittore Carlo Cussetti e realizzata dalla ditta
Janni di Torino con la raffigurazione del Battesimo
di Gesù, iconografia, questa, da sempre richiesta
dai sacri canoni.
Il fonte battesimale non è enorme, ma di forme ele­
ganti e preziose realizzato in marmo giallo antico.
La vasca, appena al di sotto del conopeo (in legno
e decorato con elementi floreali), è arricchita con
una serie di rose canine, a basso rilievo, avvolte da
foglione di olivo e raccolte tra due semplici cornici.
La vasca, nella parte inferiore, è decorata con una
elegante baccellatura ed è sostenuta da un rocco
di colonna strigilato e la strigilatura termina con
foglie di acanto. Il rocco si appoggia ad un fondo
di arabescato orobico profilato di marmo nero del
Belgio; il tutto poggia su una base con cornice di
modanatura classica: toro, scozia a trochilo. Il fonte
è affiancato da una serie di interessanti decorazio­
ni a nicchia in marmo bianco di Carrara: le nic­
chie, con il fondo in alabastro, non sono profonde
e sormontate da una mezza calotta sferica, questa è
riempi­ta da una conchiglia e sostenuta da una testi­
na alata di cherubino.
Le pareti
interne sono
arricchite
con affreschi
realizzati dal
pittore Carlo
Morgari con
scene desunte
dall’Antico
e Nuovo
Testamento.
Tutte le scene
hanno come
riferimento
l’acqua.
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3.4 Page 24

▲torna in alto
TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Le pulizie di
PRIMAVERA
In questo mese, con il verde delle foglie e l’aria
più leggera, arriva il momento di fare una bella
pulizia di primavera. Pulire è prendersi cura di sé
e del mondo. Un gesto che fonde corpo e spirito.
Tutti gli esseri umani amano ciò che si
definisce “pulito” e quando comincia la
nuova stagione è quasi proverbiale senti­
re: è ora di una bella pulizia. Sentirsi pu­
liti “dentro e fuori” è una reale soddisfazione umana:
tutti sentiamo come negativa la parola “sporco”.
Detta in inglese, decluttering, la definizione fa su­
bito moda. Letteralmente significa eliminare ciò che
non serve, fare spazio. È l’arte di fare pulizia dentro
e fuori di noi: una vera e propria filosofia di vita, il
cui principio è quello di liberarci di ciò che è super­
fluo e creare nuovi spazi fisici e mentali.
Le pulizie di fuori
È l’aspetto più visibile. Si tratta di pulire, lucidare
e ordinare l’angolo di mondo in cui viviamo, noi
e le persone che amiamo. Dando un’occhiata alle
statistiche, si nota che sono ancora molti i Paesi al
mondo in cui i lavori domestici sono svolti dalle
donne. Tuttavia, non sono necessarie particolari
competenze: padri e bambini devono partecipa­
re. Tornare a casa dal lavoro o dalla scuola in un
ambiente pulito e ordinato è un forte incentivo per
far diventare le pulizie una forma di abitudine che
alleggerisce la fatica quotidiana. Ma soprattutto un
ambiente pulito e ordinato è una gioia che collega
alla bellezza della Creazione.
Una delle fonti più intense dell’amore familiare è
«fare le pulizie» tutti insieme.
Il benessere emotivo e mentale risente molto della
sistemazione degli spazi fisici in cui si vive: nessun
ragazzo riuscirà mai a studiare in un ambiente cao­
tico. Lavorare in un ambiente pulito e organizzato
rende le ore di lavoro fluide e serene. Ecco alcune
idee su come cominciare:
Sbarazzarsi degli oggetti inutili.
Tenere solo cose utili; incominciare dai vestiti,
una categoria che spesso è molto abbondante
negli armadi. Provate a buttare il 50% dei vestiti
che avete e a rimanere solo con quelli che usate.
Vedere il vostro armadio svuotato a metà vi por­
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3.5 Page 25

▲torna in alto
IL MISTERIOSO VISITATORE
Un giorno un uomo venne a sapere che Dio stava per veni-
re a trovarlo. «Da me?», si preoccupò. «Nella mia casa?». Si
mise a correre affannato attraverso tutte le camere, salì e
scese per le scale, si arrampicò fin sul tetto, si precipitò in
cantina. Vide la sua casa con altri occhi, adesso che doveva
venire Dio.
«Impossibile! Povero me!», si lamentava. «Non posso riceve-
re visite in questa indecenza. È tutto sporco! Tutto pieno di
porcherie. Non c’è un solo posto adatto per riposare. Non c’è
neppure aria per respirare».
Spalancò porte e finestre.
«Fratelli! Amici!», invocò. «Qualcuno mi aiuti a mettere in
ordine! Ma in fretta!».
E cominciò a spazzare con energia la sua casa. Attraverso
la spessa nube di polvere che si sollevava, vide uno che era
venuto a dargli aiuto. In due era più facile. Buttarono fuori il
ciarpame inutile, lo ammucchiarono e lo bruciarono. Si mi-
sero in ginocchio e strofinarono vigorosamente le scale e i
pavimenti. Ci vollero molti secchi d’acqua, per pulire tutti
i vetri. Stanarono anche la sporcizia che si annidava negli
angoli più nascosti.
«Non finiremo mai!» sbuffava l’uomo. «Finiremo!» diceva
l’altro, con calma.
Continuarono a lavorare, fianco a fianco, per tutto il giorno.
E, finalmente, la casa pareva messa a nuovo, lustra e profu-
mata di pulito.
Quando scese il buio, andarono in cucina e apparecchiarono
la tavola.
«Adesso», disse l’uomo, «può venire il mio Visitatore! Adesso
può venire Dio. Dove starà aspettando?».
«Io sono già qui!», disse l’altro, e si sedette al tavolo. «Siediti
e mangia con me!».
terà immediatamente una sensazione di libertà e
di benessere.
Collocare le cose come e dove devono stare. Tut­
ti si comportano più gentilmente in un ambiente
pulito e ordinato.
Ridurre lo spreco.
Ricordare che lucidare un pavimento, uno spec­
chio, i vetri delle finestre è un’ottima attività
fisica, totalmente gratuita.
Liberare il pc e il telefonino da tutto il “ciarpa­
me elettronico” che si è accumulato. Tutti i di­
spositivi tecnologici dovrebbero essere soggetti
ad una pulizia periodica ancora più frequente,
perché quello che si accumula su di
essi è un’ingente quantità di infor­
mazioni. In un mondo così impre­
gnato di notizie, la cosa più
bella che possiamo fare per noi
stessi è ripulire tutto il super­
fluo e mantenere solo poche
cose importanti.
Le pulizie dentro
C’è una forte connessione tra
lo spazio fisico in cui vivia­
mo e il nostro spazio mentale
ed emotivo. La riflessione e la creatività hanno biso­
gno di spazio, di essenzialità, di leggerezza, di puli­
zia. Gesù è molto chiaro: «Ciò che esce dall’uomo,
questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti,
cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cat­
tive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie,
malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia,
superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengo­
no fuori dal di dentro e contaminano l’uomo».
Si può immaginare il proprio spirito come una casa
con tante stanze piene di ricordi, pensieri e oggetti,
emozioni. Si tratta di esaminare ogni stanza con
attenzione e di decidere che cosa conservare e che
cosa eliminare per riportare equilibrio e serenità
nella propria casa interiore.
Si può ripulire il tempo e ridurre drasticamente
le ore “perse”.
Spazzare via la solitudine, rinfrescare le amici­
zie, eliminare rancori, pregiudizi, giudizi di va­
lutazione, pensieri di superiorità nei confronti di
altri.
Correggere le brutte abitudini, le parole, i senti­
menti e tenere pulite le relazioni umane.
Fare spazio a Dio, alla preghiera, alle parole di
Gesù e alla lettura di testi sacri. Dare una mano
per le pulizie della chiesa parrocchiale.
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3.6 Page 26

▲torna in alto
FAMIGLIA SALESIANA
B.F.
CLAUDIA SINI
Volontaria di don Bosco
Claudia godeva la vita, godeva
il suo lavoro in ospedale, che
percepiva con gratitudine e gioia.
«La secolarità è sempre più bella,
è il campo di battaglia, ma è
anche l’acqua in cui nuoto e l’aria
che respiro, è condivisione con il
mondo, è il terreno in cui essere
seme e la farina in cui essere
lievito, è l’incontro con persone.
Secolarità è il mio bellissimo
lavoro. È il non mettersi in mostra,
ma “stare - con”, senza apparire
troppo».
Non aveva ancora due anni quando, aspettando la
nascita del fratellino, la mandammo per un breve
periodo in Sardegna dai nonni. Lei dirà poi di aver
legato il suo primo ricordo di preghiera alla nonna
materna, Filomena, che alla sera, prima di dormire,
bisbigliava le preghiere. Ed era ghiotta di mele! Mi
sembra di rivederla mentre leggeva con una mela in
mano da addentare fino a lasciare il torsolo pulito!
...E leggeva... leggeva... e mangiava mele!»
Un Oratorio
Vicino alla casa c’era l’oratorio San Giovanni Bosco
con annessa la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Clau­
dia diventa figlia di Don Bosco fin dai suoi primi
anni di vita, per opera della sua famiglia e poi per
sua originale e personale scelta.
Una famiglia
Penso che il primo passo, il primo segno di Dio
nella mia vita sia stato darmi i genitori che ho.
Sono fantastici, non smetterò mai di dirlo e non lo
dirò mai abbastanza. Forse non lo riescono a capire,
ma ho tutto quello che mi hanno insegnato loro.
Racconta la mamma: «Era una brava bimba. Cre­
sceva paffutella e tranquilla, senza capricci, allegra
e sempre obbediente. Per tutto il primo anno non la
sentimmo mai piangere neanche quando ritardava
l’ora della pappa. Sembrava facile per noi il ruolo
di papà e mamma perché ci ascoltava e apprendeva
senza difficoltà.
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3.7 Page 27

▲torna in alto
Per Claudia l’amicizia è il campo in cui esprimere
l’amore con cui si sente amata da Dio.
“Una delle cose che mi dà più gioia, sempre di più,
sono gli amici. Amicizie che vanno coltivate, costa­
no tempo e fatica, ma riempiono davvero”.
Annota nei suoi diari un sogno, che bene illustra
il suo “cuore oratoriano” come attenzione e ricerca
di relazione con i ragazzi, con i piccoli. In questo
luogo da lei molto amato trova amicizie, sostegno
alla sua fede in tutte le esperienze in cui è passata
la sua giovane vita.
“Voglio diventare una lampadina: sii Tu, o Dio, la
corrente elettrica che mi fa splendere per dar luce
agli altri. E ricordami sempre che le lampadine non
si montano la testa!”.
Amava il suo oratorio! La entusiasmavano tutte le
attività: dall’animazione al catechismo, dal canto
alla musica. Il catechismo lo faceva con passione,
le piaceva parlare e far conoscere ai bambini Gesù.
Grazie ad un animatore, in oratorio, imparò a suo­
nare la chitarra.
“Stando in oratorio, era inevitabile sentir parlare
di don Bosco. Io mi sono innamorata di don Bo­
sco è lì che sono diventata salesiana ed ho fatto la
promessa, nonostante tutti i difetti dei Salesiani...
e sono tanti! Più ci sto dentro e più ne vedo. Ma più
ci sto dentro e più ci sto bene!”.
Un passo fondamentale è la promessa di Coope­
ratrice. Scopre il mondo laico nella Chiesa e nel
Mondo.
Una meta
Un giorno tornò a casa dicendo: «Farò il medico,
mi iscrivo alla facoltà di Medicina». «Indescrivibi­
le fu la nostra gioia perché, come tutti i genitori,
sognavamo in grande per i nostri figli e sapere che
sarebbe diventata medico ci ripagava già in anticipo
di tanti sacrifici affrontati e da affrontare, ma era­
vamo felici!» dice la mamma.
Proprio in questo periodo, sboccia in lei l’ipotesi
della sua chiamata alla vita religiosa: “Giù di mora­
le, peggio di così... ciliegina sulla torta: le Figlie di
Maria Ausiliatrice (fma) se ne vanno. Crolla tutto.
Crolla un mondo. E se ne va un pezzo dell’oratorio
che amavo, che amo. Grazie per il mio oratorio e
per la gente che c’è. Perché con loro mi sento co­
munità. Dona al Centro Estivo, alla Parrocchia,
alla Chiesa, e all’oratorio guide che ti amino. Il re­
sto glielo donerai Tu. Fa’ che ti amino”.
“Questo 1993 sarà un anno speciale, difficile, uni­
co. Deciderò cosa fare della mia vita. Un mio gran­
de desiderio sarebbe fare il medico, ma chissà...”.
Amava il suo
oratorio! La
entusiasmavano
tutte le attività:
dall’animazione
al catechismo,
dal canto alla
musica. Il
catechismo
lo faceva con
passione, le
piaceva parlare e
far conoscere ai
bambini Gesù.
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3.8 Page 28

▲torna in alto
FAMIGLIA SALESIANA
«Le Volontarie mi
ispirano un sacco.
Sono veramente,
secondo me,
l’arma vincente
della Famiglia
Salesiana insieme
ai Cooperatori.
Essere Volontaria
di Don Bosco
mi avrebbe
consentito, o mi
consentirebbe
di fare il medico:
chissà che in
effetti non sia
questa la mia
strada, di dare una
testimonianza
splendida. E
anche di fare il
lavoro che più mi
piaceva, in ambito
ospedaliero. Credo
che la vocazione a
Volontaria di Don
Bosco sia una delle
più difficili oggi».
Un partner speciale
Già a 17 anni, trova uno spazio in cui fare chiarez­
za sincera, talvolta severa, di fronte a sé e a Dio. “Ti
adoro, mio Dio, Ti amo con tutto il cuore... Ti amo
con tutto il cuore? Forse un po’ di più. Una vol­
ta mi spaventavo, quasi, perché non sentivo in me
quest’amore. Adesso c’è, anche se è piccolo, piccolo.
E non sono stata certo io a mettercelo! Ti ringrazio
tanto perché è la cosa più bella che ho. Spero di
sentirlo crescere fino a espandersi verso gli altri e a
raggiungere la sua pienezza quando finalmente po­
trò vederti ’dal vivo’, sentire l’Amore, proprio quel­
lo con la A maiuscola, che si irradia da Te in calde
ondate e ci fa felici e pazzi di gioia e pronti a tutto
per Te. A volte non ne vedo l’ora. A volte vorrei
fosse possibile già qui: sarebbe tutto più facile. Ma
probabilmente non ho abbastanza fede!”.
Il suo rapporto con il Signore rimane sempre co­
sciente nella realtà dei suoi comportamenti: “Voglio
diventare una lampadina: sii Tu, o Dio, la corrente
elettrica che mi fa splendere per dar luce agli altri.
E ricordami sempre che le lampadine non si mon­
tano la testa!”.
Un amore vero si basa sul «Io mi fido di te». Clau­
dia si fiderà di Dio sempre, senza tentennare mai.
«Mamma, però, ha ragione: avrei adorato avere una
famiglia di quelle che vanno in missione o prendo­
no bambini in affidamento... Ma già da settembre
mi sono sentita chiamata, piuttosto, alla vita consa­
crata. Non so perché. Non è una scelta emotiva, ma
neanche razionale, è una scelta di libertà».
«Le Volontarie mi ispirano un sacco. Sono vera­
mente, secondo me, l’arma vincente della Famiglia
Salesiana insieme ai Cooperatori. Essere Volontaria
di Don Bosco mi avrebbe consentito, o mi consen­
tirebbe di fare il medico: chissà che in effetti non
sia questa la mia strada, di dare una testimonianza
splendida. E anche di fare il lavoro che più mi pia­
ceva, in ambito ospedaliero. Credo che la vocazione
a Volontaria di Don Bosco sia una delle più difficili
oggi».
Scrive quella che potrebbe essere la motivazione
decisiva per la scelta vdb: «Per anni ho creduto che
per donare qualcosa a Dio si dovesse rinunciare, la­
sciare tutto, ma forse è anche: portare Dio in tutto
e tutto a Dio!».
Nel 2002 vince la borsa di studio per l’ammissio­
ne alla scuola di specialità in Anestesia e Riani­
mazione; questo campo di lavoro la porta spesso a
riflettere sul senso della vita e della morte, sul suo
essere al fianco di persone che si trovano sulla porta
dell’eternità.
La croce
Dopo poco meno di due anni di lavoro all’ospeda­
le di Rivoli, Claudia inizia un durissimo cammi­
no in salita. Si sente male. “Oggi ho compiuto 33
anni. Gli anni di Gesù in croce. Beh, oggi il mio
pezzettino di croce l’ho avuto anche io. Giusto un
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3.9 Page 29

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assaggio”. Segue poi la diagnosi feroce: linfoma di
Hodgkin. È come una condanna a morte. Scrive:
“Il linfoma è solo una parte della mia vita... e ho
tutto il resto da vivere”.
«Oggi finalmente radioterapista e trapiantologo
sono stati molto schietti. È la prima volta che viene
detto, implicitamente, che potrei non guarire; nel
qual caso la conclusione è una sola, cambia solo il
tempo e il modo d’arrivarci... ma non è comunque
così per tutti?
Ho sempre pensato, e lo penso ancora, che sono
contenta della mia vita. Ha un senso, un valore, an­
che se finisse ora: ho già raggiunto obiettivi impor­
tanti, anche se ne avrei tanti altri.
Mi dà soprattutto serenità l’idea che tutto questo,
comunque vada, sia la risposta alla mia preghiera.
‘Aiutami ad esserti fedele’, ’Insegnami ad amarti’...
e soprattutto ‘Dammi la possibilità di arrivare pre­
parata all’incontro con Te’. Se guarirò avrai delle
missioni da affidarmi. Se non guarirò ci incontre­
remo faccia a faccia prima del previsto... e per allora
voglio amarti molto più di adesso!».
L’ultima speranza è un trapianto di midollo.
Scrive nel suo diario: «Finalmente è arrivato il mo­
mento tanto atteso. Il ricovero per il trapianto che
può salvarmi la vita... oppure no. Sono pronta. Ho
fatto tutto. Accetto tutto. Ma stasera vorrei pregar­
ti perché mi aiuti, anche da qui, a vivere il Natale.
Mi affido, ancora una volta. Sperando che, comun­
que vada, non faccia troppo male. Sapendo che, co­
munque vada, ne è valsa la pena».
Il trapianto fallisce. «Tu, Signore, sei qui ad amar­
mi così come sono. Per uscire mi serve la carroz­
zina. Mi risuona nelle orecchie la dottoressa che
mi diceva il risultato della mia biopsia midollare: il
midollo è vuoto... Ora il silenzio va bene, mi piace,
è caldo, accogliente, tranquillo.
Credo che il mio corpo stia vivendo il ‘mio’ si­
lenzio. Quel tempo sospeso, in attesa che arrivi il
momento della Resurrezione. Sta arrivando, pian
piano. Ma per ora il silenzio va bene, mi piace, è
caldo, accogliente, tranquillo. Lasciare che le cose
facciano il loro corso con i
loro tempi, che non sono i
miei. Preparandomi, pian
piano, a iniziare anch’io
una vita nuova».
Una bianca
statuina
Claudia nella veglia pa­
squale del Sabato Santo,
in parrocchia, suona la
chitarra per tutta la fun­
zione.
«D’altra parte era questa una grazia che avevo
chiesto a Dio: poter morire pronta ad essere accolta
tra le sue braccia. Dio mi ama e un giorno saprò il
perché di quello che mi sta capitando».
Su uno scritto trovato alla sua morte: «Al mio fu­
nerale vorrei il vestito della ‘festa dei candelieri’,
voglio essere bella per il mio Dio anche se so che
mi trova bella comunque. Sono lì che canto con voi.
Vorrei che tutti cantassero, deve cantare tutta la co­
munità: tirate fuori la voce e cantate la vostra gioia:
io sarò con Dio, siamo sempre insieme! Se ascoltate
bene sono lì che canto con voi e sorrido perché la
mia comunità canta così bene, ‘un cuor solo, un’a­
nima sola’!».
«Non mi sento sola. ‘Non abbandonerai il tuo con­
sacrato’ vale anche per me. E poi sono sicura di ave­
re Maria al mio fianco.
E che nel mio cuore io possa sempre ripetere l’u­
nica piccola preghiera che mi nasceva spontanea,
in ospedale, nei momenti più pesanti: il mio cuore è
pronto per te, mio Dio».
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3.10 Page 30

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DOVE DIO PIANGE
NPG
I NOSTRI DONI
in tempo di guerra
Monsignor Maksym
Ryabukha, vescovo
ausiliare dell’esarcato
greco-cattolico di Donetsk,
salesiano, condivide
con noi la sua esperienza
nella martirizzata Ucraina.
«La chiesa è
diventata un
ospedale da
campo. Non
solo nel senso
metaforico
in cui lo
diceva papa
Francesco,
ma molte
volte anche in
senso reale.
La gente che
vi ha trovato
il rifugio
sicuro, la cura
dell’anima e
del corpo, il
sostegno nella
disperazione,
il ristoro nella
stanchezza».
Abbiamo ricevuto tanto dalle comunità
ecclesiali italiane (e non solo) e dai gio­
vani: non solo la formazione carisma­
tica salesiana che ci ha aperto un vasto
campo di servizio in Ucraina, ma negli ultimi anni
di guerra in termini di aiuti materiali ed economici
(medicine, cibi, tende, suppellettili, l’accoglienza di
tanti profughi…), e spirituali con la vicinanza e la
preghiera. Ecco, vorrei in qualche modo “restitui­
re” con il dono della nostra esperienza, che per noi
sta diventando il tesoro che ci resta in un tempo di
macerie e di rovina, che è come quel tesoro evange­
lico che non viene consumato da ruggine e da tarli.
Quali sono allora i doni di esperienza che possiamo
offrire ai nostri amici italiani (e forse a vari amici di
altri paesi), i nostri tesori?
Il dono di un Dio che c’è
Dio c’è, c’è sempre, in qualunque tempo e circo­
stanza. Lui diventa la nostra forza di resistenza an­
che nei momenti più drammatici se riusciamo ad
accorgerci della sua presenza. È questa l’esperienza
che purtroppo stiamo vivendo, quella di un Dio
sepolto tra le macerie e le devastazioni assieme a
coloro che sono sepolti e devastati. È questa dun­
que l’esperienza di tanta gente, tanti cristiani, tan­
ti ragazzi e giovani. Ma Dio resiste nei cuori, non
permettiamo che venga sepolto, perché altrimenti
tutto sarebbe veramente finito.
Dio c’è in tutto questo. C’è nei segni delle pre­
ghiere che sono diventate molto più significative
per noi, c’è nella sua Parola che viene annuncia­
ta (magari con i suoni delle sirene di allarme o il
fragore dei missili che cadono o delle difese aeree
che tentano di impedirlo) con maggior senso, nel
gesto di carità di un aiuto a chi ha bisogno, di una
parola di conforto, una carezza a un bambino o
un anziano… e in tanti altri modi. Non abbiamo
bisogno di tante parole di apologetica. Dio si “im­
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MARZO 2025

4 Pages 31-40

▲torna in alto

4.1 Page 31

▲torna in alto
pone” alla fede e alla vita perché altrimenti sarem­
mo disperati.
Nelle parole di Bonhoeffer, Dio resta quella fontana
zampillante del villaggio che permette di dissetarsi
e di sentirsi comunità; e lo è sia nella vita gioiosa sia
in quella pericolante. Me ne accorgo ogni qual volta
celebro la Messa o mi intrattengo tra la gente nelle
parocchie e negli oratori. “Al bombardamento tutto
esplodeva intorno a me. Ed io – solo una scheggia
sotto il naso. Dio c’è”. Quante storie di questo gene­
re assicurano che non siamo lasciati da soli. Egli c’è.
Ecco, questo è il primo “dono” che mi sento di fare,
dal pozzo della nostra fontana di villaggio. Dio c’è;
in modo misterioso ma reale e sempre interrogante
e consolante è presente. Nessuna situazione dram­
matica potrà convincerci che ci abbia abbandonato
o abbia smesso di amarci.
Il dono di una quotidianità infranta
e di un popolo in sofferenza
La nostra vita quotidiana, dall’oggi al domani, si
è infranta al suono delle cannonate e i sibili dei
missili. Intendo la quotidianità nella sua normalità
di alzarsi con il cielo rosso dell’alba o grigio della
pioggia, il caldo della colazione profumata, il bacio
prima di uscire per il lavoro o la scuola, il rientro
serale, il pasto in comune, la notte sicura nel pro­
prio letto e nella propria cameretta… e sogni come
tutti i sogni di persone normali.
Da quell’oggi tutti i nostri domani sono cambiati, e
l’oggi è diventato un incubo, una tensione costante,
una totale insicurezza. Sono rimasti i pezzi, i fram­
menti della nostra vita usuale, come se si fosse di­
sfatto un puzzle completato. Ma ci siamo resi conto
che la guerra non può mettere “in pausa” la vita.
Può essere questo un dono a voi, riscoprire e rivalu­
tare il quotidiano nella sua bellezza e gratuità e me­
ravigliosità? Come la natura a volte ci sa restituire
(le piante, gli animali, l’acqua) con la sua resilienza?
Ho parlato della quotidianità come spazio e tempo
(qui-ora) della concretezza della vita. Ma essa non è
un contenitore vuoto. Questa quotidianità è abitata,
da persone, da cose, da legami, anche da memorie.
Essa presenta e pretende un nuovo modo di essere,
dove la persona, il giovane riscoprono l’importan­
za dell’esserci, della relazione, dell’essenziale e del
poco. Ho visto riscoprire questi valori (volevo dire
la “spiritualità” di questi valori) che probabilmente
altrove contano o valgono poco, ma qui sono la di­
stanza tra vita e morte, tra pieno e vuoto, tra senso
e insignificanza, tra luce e tenebre. Se dovessi la­
sciare solo un messaggio, lascerei questo, appunto
perché è essenziale e vitale, ed è una cosa che nella
sofferenza abbiamo riscoperto con maggior inten­
sità, e la affidiamo anche come tesoro nostro a tutti
gli amici.
Il dono di una Chiesa che soffre
Con il popolo soffre la Chiesa; la Chiesa è il popolo
che soffre. Senza fare voli mistici, la chiesa sono
anzitutto i cristiani che vivono questo tempo nella
speranza e nella fiducia della presenza di Dio; e poi
sono i suoi rappresentanti e i suoi “luoghi” e mezzi
MARZO 2025
31

4.2 Page 32

▲torna in alto
DOVE DIO PIANGE
«Questo
“brutto
tempo” ci
ha fatto
riscoprire la
famiglia (e i
bambini con
essa) come
soggetto
fondamentale
della nostra
pastorale
giovanile.
Perché
abbiamo
riscoperto
la presenza
dell’adulto,
l’assenza
dell’adulto
(profugo o
in guerra),
i legami e
le relazioni
affettive».
che sono presenti là dove la gente sta. Potremmo
dire, sacramento della presenza di Dio nei luoghi
della vita.
La gente ha bisogno che qualcuno tenga desta la
speranza e asciughi le lacrime. In tanti cercano gli
spazi per continuare a invocare il nome del Princi­
pe della Pace. Sono nati e mantengono la fedeltà
i numerosi gruppi di preghiera sia dei giovani sia
degli adulti. Nella casa salesiana di Kyiv sono oltre
al millesimo giorno di preghiera quotidiana a Ma­
ria Ausiliatrice perché protegga i giovani arruolati
e tutte le famiglie, e ottenga da Dio il dono della
vittoria sul male e della pace giusta e duratura. Ma
non solo: sono numerosi i gruppi parrocchiali del­
le “madri in preghiera”, i gruppi dei papà chiamati
“cavalieri di Colombo”, i gruppi giovanili ecc.
In quanto a edifici, anche la Chiesa ha avuto le sue
gravi perdite. Basta vedere qua e là chiese distrut­
te, campanili crollati, monasteri inutilizzabili, ma
conta ancora di più la perdita delle persone, dei
possibili luoghi di incontro, di preghiera, di rige­
nerazione spirituale che in questi edifici era pos­
sibile. Certo, nessun vescovo o prete o religioso è
scappato; ma si è infranta la vita relazionale che
permetteva di elaborare insieme la fede nella quo­
tidianità cristiana, i momenti di silenzio e di ritiro,
di preghiera, di riflessione. Corre il rischio di veni­
re meno la vita comunitaria che rende possibile la
vita spirituale.
La chiesa è diventata un ospedale da campo. Non
solo nel senso metaforico in cui lo diceva papa Fran­
cesco, ma molte volte anche in senso reale. La gente
che vi ha trovato il rifugio sicuro, la cura dell’anima
e del corpo, il sostegno nella disperazione, il ristoro
nella stanchezza.
A questo punto la Chiesa si è davvero fatta carne, si
è resa presente, andando verso, stando con, cercan­
do, anche scavando con le mani nell’aiuto alla gen­
te. E i preti ci sono come tessuto per la vita lacerata
delle persone: i sacramenti come e dove si può, la
parola, la presenza, l’ascolto, la preghiera, il mante­
nere presente Dio. Certo, potrebbero anche bastare
il tempo e la disponibilità all’ascolto, all’aiuto, alla
presenza, come senso di umana vicinanza e solida­
rietà. Ma noi sappiamo che in questo modo faccia­
mo anche evangelizzazione, e annunciamo Gesù in
questo fragore e in queste rovine, perché le rovine
di mattoni e di strutture non diventino rovine di
persone, e della stessa struttura di vita cristiana.
Qualche volta ho pensato: in questo momento sono
più utili i camion di aiuti (e a volte ho anche pen­
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4.3 Page 33

▲torna in alto
sato le armi)… ma non è così. Il prete, la Chiesa
ha da offrire e rendere presente quello che non può
mai mancare, se si vuole ancora vivere con dignità.
Il soccorso e l’arma di difesa più potente contro il
male rimane solo Dio. Ecco, anche e soprattutto
per i bambini e i giovani. Se mancasse la Chiesa in
questo starci, in questo sogno d’inizio di ricostru­
zione, perderemmo non solo il futuro, ma peggio
ancora l’anima stessa.
Se la fecondità della Chiesa si mostra soprattutto
nelle vocazioni, ebbene, abbiamo avuto otto giova­
ni che hanno iniziato il cammino nel Seminario, e
l’ordinazione di quattro diaconi, che hanno matu­
rato la propria scelta in questo periodo tragico, dove
forse hanno scoperto una diversa chiamata, hanno
ascoltato una voce diversa che diventa segno di spe­
ranza per tutti.
Il dono dei nostri giovani
Se san Lorenzo, il diacono romano dei primi tem­
pi della Chiesa, affermava che le nostre ricchezze
sono non i calici e le reliquie dei martiri, pur pre­
ziose e importanti, ma i poveri, per noi vale un’al­
tra eguaglianza: la nostra ricchezza sono i giovani.
E non soltanto – come è ovvio – nel campo della
pastorale giovanile, ma in tutto il campo sociale e
civile. Con essi mi ritrovo, con essi organizzo, con
essi vado nei posti di maggior bisogno. Essi sono la
mia comunità concreta, senza della quale non avrei
la forza, il coraggio e la possibilità di confronto.
Non solo loro mi suggeriscono nuove iniziative, ma
sono la rete attraverso cui ogni incontro è possibile
e accolto.
Ho fiducia nei nostri giovani, maturati troppo pre­
sto e con ferite difficili da rimarginare. Quanto la­
voro non solo psicologico ma spirituale. Su questa
gioventù sarà costruita la nuova Ucraina.
Questo “brutto tempo” ci ha fatto riscoprire la fa­
miglia (e i bambini con essa) come soggetto fon­
damentale della nostra pastorale giovanile. Perché
abbiamo riscoperto la presenza dell’adulto, l’assen­
za dell’adulto (profugo o in guerra), i legami e le
L’AUTORE
«Sono don Maksym Ryabukha, missionario di Don Bosco, nato
nella prima parrocchia salesiana ucraina di Lviv-Leopoli, e qui
sono cresciuto. Finita la scuola, ho iniziato a seguire le attività
dell’oratorio salesiano e qui don Bosco mi ha rubato il cuore.
I miei studi mi hanno portato in Italia: a Pinerolo, a Nave, a
Roma e a Torino e poi sono tornato in Ucraina per seguire
un corso in Gestione delle risorse umane presso l’Accademia
Interregionale a Kyiv, ho conseguito un Magistero in Ammi-
nistrazione delle scuole presso il Politecnico di Lviv-Leopoli e
un Master in pedagogia sociale presso l’Università Nazionale
della Transcarpazia.
Sono sempre stato “prete dei giovani”, un prete in mezzo ai
giovani, un prete delle periferie. In tanti anni come missio-
nario ho amministrato diverse case salesiane: scuole, parroc-
chie, oratori fino a diventare Direttore della Casa salesiana di
Kyiv Maria Ausiliatrice e poi Vescovo Ausiliare dell’Esarcato
Arcivescovile di Donetsk».
https://www.missionidonbosco.org/missionari/
padre-maksym-ryabukha
relazioni affettive, lo scambio di ruoli (adolescenti e
giovani che diventavano gli adulti di appoggio per
i membri della famiglia, mamma e nonni anzia­
ni, bambini), l’intesa sulle cose preziose da salvare,
l’aiuto reciproco per chi in necessità, la preghiera
insieme, soprattutto per i propri cari, ma anche per
altri sfortunati.
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4.4 Page 34

▲torna in alto
COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 14
RESISTERE
Le sfide che i vostri figli affrontano
hanno uno scopo molto importante:
li aiutano ad affinare e a sviluppare
le capacità di cui hanno bisogno
per avere successo nella vita.
«Quando David, il mio figlio più
grande, aveva tre anni, il suo
giocattolo preferito era un piccolo
Superman in miniatura. Ci gio­
cava tutto il giorno e se lo teneva accanto anche nel
letto, quando dormiva. Un giorno io e mia moglie
lo andammo a prendere insieme all’asilo e tornam­
mo a casa. Vivevamo in un appartamento al de­
cimo piano, così entrammo in ascensore. Io e mia
moglie parlavamo tra di noi e David parlava con il
suo piccolo Superman. Quando l’ascensore arrivò al
piano, le porte si aprirono e, proprio mentre usci­
vamo, David fece cadere Superman. Purtroppo era
un Superman che non volava e che si infilò preci­
samente nella fessura tra l’ascensore e il pavimento,
precipitando per dieci piani. Andato per sempre.
Nemmeno mamma e papà potevano recuperarlo.
David cominciò a urlare, disperato. Lo abbracciai,
cercando di tranquillizzarlo, e feci per dire qual­
cosa ma, come spesso accade, mia moglie capì che
cosa stavo per dire e mi fece cenno di tacere. Quello
che avrei detto a mio figlio quel giorno era: “David,
non preoccuparti, ti compreremo un altro Super­
man, anzi, te ne compreremo cento”. Appena en­
trati in casa, David corse in camera sua piangendo
disperatamente, allora dissi a mia moglie: “Perché
mi hai zittito? Non senti come piange?”. Lei mi ri­
spose: “Tal, non privare David dell’opportunità di
imparare ad affrontare le difficoltà”.
Non privare David dell’opportunità di imparare ad
affrontare le difficoltà... questa è una delle lezioni
più importanti che abbia mai ricevuto sull’essere
genitori. Mia moglie aveva perfettamente ragione:
è solo così che i bambini (e gli adulti) sviluppano la
resilienza, le proprie risorse e la creatività».
I genitori tendono a intervenire troppo in fretta
per togliere i figli dalle situazioni difficili. Maria
Montessori, una delle più grandi educatrici della
storia, basava i suoi metodi educativi sull’idea che
l’adulto non dovrebbe mai fare quello che il bam­
bino è in grado di fare da solo. Nel discorso ai suoi
laureandi della Harvard Business School, il profes­
sor Clayton Christensen volle condividere questo
messaggio con i presenti: «Le sfide che i vostri fi­
gli affrontano hanno uno scopo molto importan­
te: li aiutano ad affinare e a sviluppare le capacità
di cui hanno bisogno per avere successo nella vita.
Avere a che fare con un professore difficile, fallire
in un’attività sportiva, imparare a orientarsi nella
complessa struttura sociale dell’ambiente scolasti­
co... queste sono le materie principali della scuola
dell’esperienza». Ora possiamo aggiungere all’elen­
co altre esperienze, come affrontare la didattica a
distanza, il distanziamento sociale e la sospensione
di tutte le attività che i nostri figli aspettavano con
ansia. I bambini imparano molto dalle sfide; acqui­
sire esperienza sulla gestione delle difficoltà fin dai
primi anni di vita li renderà più capaci di superare
i problemi e di dare un ottimo esempio agli altri
quando saranno grandi.
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4.5 Page 35

▲torna in alto
Per non allevare un piccolo despota
“A mio figlio non deve mancare niente; non voglio
che soffra quello che ho sofferto io, non voglio che
faccia la vita che ho fatto io...”: è un ritornello. E così
si dà al figlio non solo tutto il necessario, ma anche
il superfluo e qualcosa di più. Nessuno ci fraintenda!
Non vogliamo vedere i ragazzi soffrire; non voglia­
mo ritornare al pane nero né al lavoro dell’operaio e
del contadino aggiogati alla fatica come i buoi all’a­
ratro. Ciò che vogliamo dire è ben altra cosa.
Vogliamo ricordare che troppo ‘benessere’ finisce
con l’uccidere l’essere. Il benessere può ingrandire
il corpo, ma non abbellire l’anima. Il solo benessere
fa uomini cresciuti di fuori: uomini ‘grossi’, non uo­
mini ‘grandi’. Vogliamo dire che viziare è sempre
ingannare. La vita non è un lecca-lecca continuo,
non è una crociera; non tutti i giorni è Natale o il
compleanno. Educare è anche far faticare! Educare
è porre ostacoli, proporzionati, s’intende, allo svi­
luppo fisico e psichico del figlio.
Parliamoci chiaro: che cosa succede quando il ra­
gazzo non si sente mai dire “no”? Succedono solo
pasticci. Ormai, dopo tanta pedagogia permissiva,
lo ammettono tutti. I “no” aiutano a crescere; “un
bambino abituato a delle regole è sicuramente un
bambino, un ragazzo, un adolescente più capace a
far fronte alle difficoltà” (Giovanni Bollea, psichia­
tra); al contrario, un bambino abbandonato a se
stesso diventa “un rompi-scatole, un adulto instabi­
le, nevrotico, infantile” (Silvano Sanchioni, assisten­
te sociale); “un bambino non abituato, fin dall’ini­
zio della vita, a limitarsi, può facilmente diventare
un piccolo despota” (Renata Rizzitelli, psicologa).
LA VITE E IL POTATORE
Un giorno la vite disse al potatore: «Perché mi stai venendo
incontro con quelle forbici? Forse mi vuoi potare come si faceva
ai tempi d’una volta? Buttala via: non sai che adesso i tempi
sono cambiati?». «Già, rispose il padrone. A pensarci bene non
hai torto. Non siamo più ai tempi d’una volta». E poiché i tempi
erano cambiati, non la potò. Ma in autunno la vite non ebbe uva.
Come al solito, vennero gli amici per assaggiare il vino nuovo.
«Non c’è vino nuovo. I tempi sono cambiati!», disse, sconsolato, il
proprietario della vigna.
I primi sono i sacrifici imposti dalla vita stessa: il
lavoro, lo studio, la professione, i disturbi di salute,
la convivenza umana...
I secondi sono i sacrifici cercati, voluti, preparati
da noi stessi.
Qualche esempio? Saltare giù dal letto al primo
squillo della sveglia; mangiare le carote che non
piacciono; bere un caffè amaro; soffrire il mal di
denti senza dirlo a nessuno; aspettare che tutti si
siano serviti; praticare il digiuno televisivo; non fare
telefonate chilometriche... Forse qualcuno potrà
anche sorridere. Eppure sono proprio questi pre­
ziosi sacrifici che tengono a galla la volontà, perché
possa sopportare il prezzo del vivere umano.
Bentornato sacrificio!
È pericoloso stare a lungo senza soffrire. Una giornata
senza sacrifici è una giornata di sconfitte: la volontà
si allenta; il nemico (pigrizia, egoismo, animalità...)
troverà più facile vincere. Che fare, dunque?
La risposta è chiara: riaprire la porta al sacrificio! I
sacrifici si possono dividere in due categorie: quelli
passivi e quelli attivi.
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4.6 Page 36

▲torna in alto
LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Questione di
PUNTI DI VISTA
Quello che ti fa paura, alla fine, è sempre solo
un punto di vista. E quando saremo in alto, mentre
vedremo tutto, le macchine che si rincorrono, le persone che
si camminano addosso, e sarà bello rendersi conto che siamo
soltanto qui di passaggio e ha più senso fidarsi del vento.
Ètutta una questione di punti di vista! Il
modo in cui percepiamo la realtà che ci
circonda, la prospettiva da cui osservia­
mo il mondo, ciò che ci stupisce e ciò che
ci fa paura dipende dalle lenti che indossiamo in un
dato momento della nostra vita, dalla particolare
angolazione che – in maniera più o meno consape­
Costruirò il tuo letto in aria
per farti vedere le cose dall'alto,
quello che ti fa paura,
alla fine, è sempre solo
un punto di vista.
E quando saremo in alto,
mentre vedremo tutto,
le macchine che si rincorrono,
le persone che si camminano addosso,
e sarà bello rendersi conto
che siamo soltanto
qui di passaggio e ha più senso
fidarsi del vento.
Senti che bello
per una volta sentirsi un granello di sabbia
e non doversi più, più nascondere!
Io non voglio più, più nascondermi...
vole – scegliamo di adottare per guardare ciò che
ci circonda. Talvolta si tratta di lenti temporanee
la cui messa a fuoco è influenzata dal nostro stato
d’animo, dalle emozioni che proviamo, dalle espe­
rienze soggettive che ci ritroviamo a vivere e che,
inevitabilmente, condizionano la nostra capacità di
giudizio – o pre-giudizio – nei confronti degli even­
ti di cui siamo protagonisti. Ma spesso accade che
queste lenti attraverso le quali filtriamo la nostra
percezione del reale si cristallizzino come qualcosa
di statico e permanente, al punto che ci convincia­
mo che esse rappresentino l’unica prospettiva pos­
sibile sul mondo, la sola modalità vera e legittima
per interpretare le cose: il nostro punto di vista, che
non ammette altre visioni alternative.
Diventiamo, così, schiavi di quelle lenti, quasi ci
nascondiamo dietro di esse, e rinunciamo – un
po’ per pigrizia, un po’ per paura – a sperimentare
nuovi modi di guardarci intorno, ad adottare an­
goli visuali inediti che potrebbero magari regalarci
panorami inaspettati e sconosciuti.
È, questa, una difficoltà che, pur essendo sempre
in agguato, sembra acutizzarsi in corrispondenza
di alcuni snodi decisivi del nostro percorso di vita,
ad esempio nella delicata transizione verso l’adulti-
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4.7 Page 37

▲torna in alto
, quando – più che in altri momenti della nostra
esistenza – sentiamo forte il bisogno di ancorarci a
qualcosa di certo, di identificare dei punti di riferi­
mento stabili e sicuri cui aggrapparci nel disorien­
tamento generale che ogni cambiamento impor­
tante porta con sé. È allora che facciamo più fatica
a sbarazzarci del nostro punto di vista soggettivo sul
mondo che, per quanto ancora legato ad abitudini,
atteggiamenti, aspirazioni e desideri appartenenti
ad una fase ormai superata del nostro cammino di
crescita, ci appare la sola via conosciuta per affron­
tare l’incertezza di una condizione che, mai come
ora, si svela in tutta la sua complessità.
Cambiare prospettiva, infatti, non è mai sempli­
ce e comporta una capacità di relativizzazione e
di decentramento del proprio sguardo sulla realtà
tutt’altro che scontata.
Ma, talvolta, si rivela una scoperta preziosa che ci
consegna la chiave d’accesso a un modo differente
di interpretare le sfide quotidiane, le novità che ci
fanno paura, le relazioni con gli altri, abbandonan­
do quelle ferree convinzioni e quegli schemi men­
tali che troppo spesso ci trasciniamo dietro e che
ci condannano a una visione stereotipata dei nostri
limiti e delle nostre potenzialità.
Questo non significa che dobbiamo stravolgere
completamente i nostri punti di riferimento, ma
che possiamo provare a modificare abitudini e
automatismi per cercare di guardare le cose sotto
un’altra luce, con un paio di lenti diverse da quel­
le che indossiamo di solito, arrischiandoci a uscire
Vedi, io vivo come su un binario
e lo so che sembra una rinuncia,
ma è solo un modo per restare in piedi e
non perdermi nel vuoto.
È il giudizio del mio tribunale
che mi ammanetta e non mi fa rischiare,
la presunzione di essere arrivato
nel punto dove tutto è già fissato e stabilito.
Ma io non voglio più, più nascondermi!
Non dobbiamo più, più nasconderci!
Smontiamoci e facciamoci a pezzi,
scambiamoci gli occhi e scambiamoci i sensi,
scambiamoci ogni cosa che ci faccia stupire,
cambiamo angolazioni e modi di percepire:
qualsiasi cosa che ci faccia imparare
un'altra visione del mondo, del tempo e dell'amore...
(Emma Nolde feat. Niccolò Fabi, Punto di vista, 2024)
da quel binario diritto e rettilineo sul quale a volte
scegliamo di vivere – pur al prezzo della rinuncia a
sperimentare nuove possibilità – per non perderci
nel vuoto che vediamo intorno a noi. Una scom­
messa, questa, che può trovare preziose occasioni di
arricchimento nel confronto reciproco con gli altri,
nello sforzo di metterci nei loro panni e di osserva­
re la realtà con i loro occhi, per imparare «un’altra
visione del mondo, del tempo e dell’amore» e provare a
stupirci delle infinite angolazioni e prospettive che
ciò ci dischiude.
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4.8 Page 38

▲torna in alto
LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le “PASSEGGIATE AUTUNNALI”
di don Bosco trasformate in
“CAVALCATE” OLTREOCEANO
Ce ne parla un testimone.
Le passeggiate autunnali di don Bosco a
piedi o in treno come premio e stimo­
lo educativo ai ragazzi si sono ripetute
in Argentina (ovviamente nel mezzo di
trasporto più diffuso ed amato colà dai giovani, il
cavallo). Don Cagliero le conosceva bene, da ragaz­
zo e educatore vi aveva partecipato, tanto più che
spesso avevano avuto come meta di arrivo o luogo
di passaggio il suo paese, Castelnuovo d’Asti.
Una volta in America (1875), per stimolare i colle­
giali di San Nicolás de los Arroyos allo studio e a
fare bene gli esercizi spirituali, d’accordo con il di­
rettore don Giuseppe Fagnano, aveva promesso per
metà anno scolastico (1876) una lunga passeggiata
a cavallo. Era il sogno di ogni giovane argentino
dell’epoca. Immaginiamoci la gioia di quei ragaz­
zi quando don Cagliero si accinse a mantenere la
promessa.
La lunga cavalcata
Ecco come lui stesso ne dava notizia a don Bosco il
17 agosto 1876: “A causa del tanto freddo non pote­
rono venire tutti; eravamo adunque 30 cavalli da sel­
la con una vettura omnibus con 15 dei più piccoli. La
direzione era alla estancia del Signor José D. Manuel
Rojo a cinque leghe di distanza [25 km] da S. Nico­
las… D. Fagnano accompagnava i piccoli nell’om­
nibus: D. Tomatis apriva lo squadrone quale valente
capitano, e D. Cagliero lo chiudeva scortato da due
aiutanti di campo, uno dei quali mezzo gaucho e va­
lente caballero. La marcia cominciò al trotto, quindi
al galoppo senza più fermarci…; qui incontrato un
fiumicello calammo e smontammo alla riva oppo­
sta per dar fiato e riposo ai cavalli e cavalieri. Fino
a qui tutta pianura verdeggiante pieno di uccelli ed
armenti senza incontrare neppure una casa.
Io temeva non resistessi a questa nuova manovra,
ma ci presi gusto e per nulla stanco mi disposi a
non lasciare il mio cavallo e fare il secondo tiro di
viaggio…; perciò nel pensiero che in esso avrei do­
vuto cavalcare più d’una volta, al galoppo e senza
più fermarci arrivammo alla meta, compiendo le
cinque leghe in due ore e mezzo.
Il Signor Rojo ci attendeva tutto in movimento coi
suoi peoni. Gli presentammo i quattro figli suoi, che
abbiamo in collegio, e che sopra ardenti destrieri di­
voravano il camino. D. Fagnano coi suoi piccoli ar­
rivò una ora dopo, a causa che l’omnibus non poteva
accorciare la strada, come il semplice cavallo”.
Il posto di arrivo e il gran pranzo
Continuava la lettera di don Cagliero: “La estan-
cia consisteva in una casa di un solo piano terreno
con tre abitazioni…, accanto stava la casupola dei
mandriani o servi, li trovammo in mezzo ad una
pianura di una legua e mezzo di proprietà sua ed
esclusiva, dove pascolavano un 40 mila pecore: mil­
le e cinquecento vacche e quattrocento cavalli!!!
Erano accesi tre fuochi, dove arrostivano in uno, due
carneros, o montoni, nell’altro 6 pavos, o polli d’India;
il terzo, che era acceso in mezzo al prato cuoceva un
vitello; però tutto senza pentole. Questo vitello alla
nostra presenza fu preso e diviso in quattro parti e
gettate con la pelle tal quale si trovava sopra la fiam­
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4.9 Page 39

▲torna in alto
ma e la bragie, quando fu bene arrostito con pelle
cuoio e tutto, ci chiamavano a tavola: quindi inco-
minciammo a dar gracias á Diós del buen viaje; dopo
alla Americana, ci servirono dell’arrosto d’agnello,
dell’asado con cuero, dei saporiti gallinaggi, di altro
asado con cuero più gustoso del primo e finalmente di
un piatto americano consistente in un pieno di uva
passa d’Europa e carne. La minestra è cosa esclusiva
agli Europei, e non l’abbiamo vista.
Fu insomma un vero divertimento, dopo la fermata
di quattro ore che si passarono giuocando e corren­
do attorno alla Casa, suonò l’ora della partenza”.
Alla ricerca del cavallo disperso
Ma a questo punto ecco una sgradita sorpresa: “Sa­
lutammo gli ospiti cortesi, che si fecero promette­
re altra nostra visita, e montammo a cavallo, però
ne mancava uno; mentre si pranzava, un cavallo
non contento del pranzo dato agli altri suoi fratelli,
scappò pel campo. Si cercò invano. Dopo aver fat­
to una legua di cammino i giovani videro lontano a
vista d’occhio un cavallo solo che pascolava vagan­
do incerto del suo nido: supposero che era il nostro
fuggitivo, ed ecco che quattro dei più corridori gli
danno la caccia, il colpevole fugge, ma questi lo vin­
cono al corso, lo attorniano e lo obbligano ad arren­
dersi; intanto giunsimo [sic] tutti dello squadrone,
e si riconobbe che era il tomo scappato, si rassegnò
a lasciarsi montare dal suo padroncino e via. Alle 5
arrivammo a casa molto stanchi, ma tutti allegri e
contenti, e passando il giorno metà in viaggio e metà
in divertimento… Nella notte nessuno dei giovani
si lamentò che non avesse potuto dormire: Morfeo
è stato contento, perché ebbe dei fervorosi divoti!!!”
Così ad esempio descrive quella di giovedì 20 mag­
gio 1877 lo stesso don Cagliero: “Avevamo una
quarantina di cavalli, un carro pei piccolini ed una
carretta del panattiere con pane ed una intera vacca
uccisa al mattino per tempo, e per farla cuocere…
e farne il famoso asado con cuero. Dovevamo farla
alle sponde del Rio Santa Lucia a cinque leghe di
distanza, quando il padre di due giovani del Colle­
gio, certo Don Federico Sibils inglese, arrivato con
dieci cavalli e quattro peones, ci fece cambiare dire­
zione verso al suo famoso saladero alla spiaggia del
mareArrivati al suo saladero il reggimento di ca­
valleria da lui stesso guidato per tutto il cammino,
mise in movimento tutta la casa e stemmo allegri
tutto il giorno. E la nostra vacca certo scomparì fra
le ottocento uccise in quel giorno dal suo stabili­
mento per mandarne la carne salata nell’Havana! E
combinò per altra volta e per un altro passeggio che
solo lo facessimo avvertito e non occorreva facessi­
mo noi nissun preparativo”.
Che dire? Evidentemente le strategie educative
del santo di Valdocco funzionavano anche in ter­
ra americana: i ragazzi sono sempre ragazzi, sotto
ogni cielo. Il sistema preventivo di don Bosco era
valido anche oltreoceano, era compito degli educa­
tori saperlo applicare con la dovuta creatività.
Ci fu un seguito l’anno dopo
Cavalcate simili, tanto salubri al corpo e utili all’a­
nima, in Sudamerica vennero organizzate diverse
volte dai primi missionari salesiani, tanto più che
servivano anche a sollevare il prestigio del collegio
di fronte ai genitori, all’opinione pubblica, alle au­
torità tanto ecclesiastiche che civili.
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4.10 Page 40

▲torna in alto
I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di marzo 2025 preghiamo per beatificazione e
canonizzazione del Venerabile Giuseppe Augusto Arribat,
Salesiano di Don Bosco.
Giuseppe Luigi Augusto nacque a
Trédou presso Aveyron, in Francia,
il 17 dicembre 1879, secondo di
sette figli, in una famiglia di con-
tadini laboriosi e di profonde con-
vinzioni cristiane. Dopo la scuola
elementare si dedicò subito ai
lavori dei campi, ma il suo sogno
era di diventare prete. Soltanto
a diciotto anni poté iniziare gli
studi secondari nella scuola sa-
lesiana di Marsiglia. Nel 1903 fu
inviato a svolgere il noviziato e
gli studi in Italia. Ricevuto l’abito
ecclesiastico dalle mani del beato
don Michele Rua, Augusto emise
la prima professione religiosa il
25 marzo 1905. Il 21 dicembre
1912 venne ordinato sacerdote.
Trascorse i primi anni di ministero
pastorale nella casa di La Navarre.
Durante la Prima guerra mondiale
servì come infermiere e barelliere.
Fu direttore a La Navarre, Mor-
ges (Svizzera), Millau (Aveyron),
Villemur-sur-Tarn e Thonon (Alta
Savoia). Tutto dedicato alla causa
dei giovani, visse sempre in mez-
zo a loro, prestando i servizi più
umili. Il periodo più eroico lo visse
durante la Seconda guerra mon-
diale a Villemur, nella diocesi di
Tolosa. Mentre i soldati tedeschi
occupavano una parte della casa,
riuscì a nascondere alcuni ragazzi
ebrei per salvarli. Per il suo corag-
gio disinteressato sarà insignito
in memoriam della medaglia di
“Giusto tra le nazioni”. Don Arri-
bat visse gli ultimi dieci anni nella
sua cara La Navarre, come con-
fessore ricercato dai confratelli,
dai novizi, dai preti della diocesi e
da altre persone. Morì il 19 marzo
1963. È stato dichiarato Venerabi-
le l’8 luglio 2014.
Preghiera
O Dio nostro Padre,
tu hai donato al Venerabile Giuseppe Augusto Arribat,
discepolo di don Bosco,
un cuore irradiante di pietà sacerdotale,
pieno di dolcezza e di dimenticanza di sé,
uno spirito pacifico e un volto segnato
da un sorriso costante, umile e accogliente.
Degnati di affrettare il giorno in cui la Chiesa
riconosca pubblicamente la santità della sua vita,
affinché il suo esempio conduca i nostri fratelli
verso la tua maggior gloria.
Per sua intercessione concedici la grazia...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 24 novembre 2024 il Dicastero delle Cause dei Santi nel Congres-
so ordinario ha dato la validità giuridica all’inchiesta diocesana
per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di
Dio Akash Bashir (Risalpur 22 giugno 1994 – Lahore 15 marzo
2015) Laico, Exallievo di Don Bosco.
L’8 gennaio 2025 il Dicastero delle Cause dei Santi, nel suo Congres-
so ordinario ha dato la validità giuridica all’inchiesta diocesana
per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di
Dio Antonino Baglieri (Modica 1° maggio 1951 - 2 marzo 2007),
Laico, Volontario con Don Bosco (CDB).
Il 23 gennaio 2025, nel corso del Congresso Peculiare dei Consul-
tori Teologi è stato dato all’unanimità parere positivo in merito
all’esercizio eroico delle virtù, alla fama di santità e di segni del
Servo di Dio Costantino Vendrame (1893-1957), Sacerdote Profes-
so della Società di San Francesco di Sales, missionario in India.
Don Bosco chiama… Torino risponde”
È il titolo della presentazione in pubblico del monumentale epistolario di don Bosco (10 volumi)
che il 2 aprile prossimo, ore 15, avrà luogo in Torino, all’Archivio di Stato in Piazza Castello, 209.
Ben noti studiosi di Torino come Alberto Riccadonna, Paolo Cozzo, Maria Cristina Morandini,
Rosanna Roccia, Edoardo Garis e Domenico Agasso diranno la loro sui molteplici e interessanti
rapporti epistolari fra don Bosco e la città di Torino (autorità civili e religiose, semplici cittadini,
donne e giovani, santi e protestanti ecc.)
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MARZO 2025

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Tarcisio Card. Bertone
Il cardinale Angelo Amato
Un fine teologo tra occidente e oriente.
Ricordo del cardinale Tarcisio Bertone
Tra i Cardinali Salesiani, soprattutto dotati di grande carisma teo­
logico, spicca il cardinale Angelo Amato che lascia a disposizione
non solo dell’Università Pontificia Salesiana ma anche dei vari Cen-
tri istituzionali di studio e di spiritualità, un grande patrimonio di
dottrina e di sapienza con l’auspicio che continui a incidere nella
vita della Chiesa e delle Comunità formative.
Il cardinal Angelo Amato è stato
uno dei Salesiani più intelligenti
e versati nelle scienze umane ed
ecclesiastiche. La sua capacità
di recepire e congiungere Filo-
sofia e Teologia si è manifestata
soprattutto negli anni del suo
apprendimento all’Ateneo Sale-
siano, facendo parte di un gruppo
di eccezionali studenti che hanno
dato prestigio all’Università Sa-
lesiana e si sono poi distinti non
solo nell’insegnamento ma anche
nel servizio alla Santa Sede presso
i Dicasteri della Curia Romana.
Io ricordo in particolare la sua ecce-
zionale valentia, nello studio della
Cristologia e della Mariologia; i suoi
scritti erano assai raffinati ed era
ricercato come predicatore degli
Esercizi spirituali soprattutto alle
persone consacrate, senza dimenti-
care l’acutezza dei suoi pareri nella
promozione del Dialogo Ecumenico
e Interreligioso. Infatti è stato par-
ticolarmente apprezzato dall’allora
Prefetto della Congregazione per
la Dottrina della fede, cardinale
Joseph Ratzinger (diventato poi
papa Benedetto XVI) e dal Ponti-
ficio Consiglio per la promozione
dell’Unità dei Cristiani. Per questa
ragione è stato mandato in Grecia
a studiare la Teologia dei Padri
Orientali, ha appreso il greco antico
e il greco moderno e ha pubblicato
persino uno studio stimatissimo
all’Università greca di Salonicco
sulla concezione e sulla pratica del
sacramento della Penitenza presso
i Padri Orientali. In quel periodo
ha appreso l’arte e la spiritualità
della “scrittura” delle icone che ha
continuato a praticare fino alla fine
della vita. A Roma ha svolto preva-
lentemente l’insegnamento presso
l’Università Pontificia Salesiana
diventando Decano della Facoltà di
Teologia e, in qualità di esperto di
Cristologia e di Mariologia, è stato
nominato Consultore della Congre-
gazione per la Dottrina della Fede e
successivamente anche Segretario
della medesima.
È interessante il contributo che
don Angelo Amato ha dato in col-
laborazione con il cardinale Joseph
Ratzinger alla Congregazione per
la Dottrina della Fede per la reda-
zione della famosa dichiarazione
dogmatica “Dominus Jesus” del 1°
settembre del 2000, una dichia-
razione voluta da papa Giovanni
Paolo II e redatta dal cardinale
Ratzinger con la collaborazione
fine e intelligente di don Angelo
Amato. Il cardinale Ratzinger lo
ha valorizzato successivamente
per i documenti e le riflessioni
svolte da quel Dicastero dottrinale
della Curia Romana. Poi, quando
il Segretario monsignor Tarcisio
Bertone è stato nominato Arcive-
scovo di Genova, si è cercato un
successore. Io ricordo benissimo le
consultazioni del cardinale Ratzin-
ger e i dialoghi con Sua Santità
Giovanni Paolo II. Tra i candidati
alla successione spiccava il nome
di don Angelo Amato, ma in un
colloquio del cardinale Ratzinger e
del sottoscritto con papa Giovanni
Paolo II, io feci presente una pe-
culiarità che mi sembrava creare
qualche difficoltà, cioè il fatto che
un salesiano succedesse in questo
importante incarico ad un altro
salesiano. Papa Giovanni Paolo II
rivolgendosi al cardinale Ratzinger
domandò; “Ma questo fa proble-
ma al cardinale Ratzinger? Piace
al cardinale Ratzinger di nominare
un altro salesiano all’incarico di
Segretario della Congregazione
per la Dottrina della Fede”? Il car-
dinale Ratzinger rispose: “Io prefe-
rirei don Angelo Amato perché mi
sono trovato molto bene a lavorare
con Lui qui al Dicastero e siamo in
perfetta sintonia”. Giovanni Paolo
II rispose: “Allora nominiamo don
Angelo Amato nuovo Segretario
della Congregazione per la Dottri-
na della Fede” e così avvenne il 19
dicembre 2002.
Ha svolto tanta attività nella reda-
zione dei documenti che hanno ca-
ratterizzato il magistero di questo
dicastero della curia romana pre-
sieduto dal cardinale Ratzinger e,
successivamente, il papa Giovanni
Paolo II decise di crearlo Cardinale
e nominarlo Prefetto della Congre-
gazione per le Cause dei Santi. In
tale incarico svolse un’intensa at-
tività di promozione della santità
nella Chiesa, della santità nella Vita
Consacrata, Laicale, Sacerdotale, e
pubblicò tra i suoi volumi una serie
di biografie di Beati e di Santi che
fecero conoscere e moltiplicaro-
no l’attrazione della santità nella
varietà dei carismi, delle culture e
delle persone che arricchirono la
Chiesa, con tanti benefici esempi e
benefiche iniziative.
Rimase per ben 10 anni, fino al 2018,
Prefetto della Congregazione delle
Cause dei Santi e continuò la sua
attività di magistero per la Chiesa
al servizio dei Papi. Papa Francesco,
mandò un bel telegramma al Vica-
rio Generale della Congregazione
Salesiana, dove esalta appunto la
“salesianità” del cardinale Amato
e la sua opera come Prefetto delle
Cause dei Santi.
Lo riportiamo per intero:
Appresa la notizia della dipartita
del caro Cardinale Angelo Amato,
esprimo la mia vicinanza a Lei e ai
Confratelli di codesto Istituto Re-
ligioso, come pure ai Familiari del
compianto Porporato. Rendo grazie
a Dio per l’edificante testimonianza
di questo figlio spirituale di san
Giovanni Bosco che per tanti anni
si è speso con finezza umana e ge-
nerosità per il Vangelo e la Chiesa.
Penso al suo animo sacerdotale e
alla preparazione teologica con cui
ha servito la Santa Sede, special-
mente nel Dicastero per la Dottrina
della Fede e in quello delle Cause
dei Santi. Assicuro la mia preghiera
per l’anima di questo servo buono
e vigilante che, fedele al suo motto
’Sufficit gratia mea’. Francesco
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere:
Eni.
Parole di 5 lettere:
Anzio, Archi, Aspic, Clear, Flint, Inani,
Nitti, Ovile.
Parole di 6 lettere:
Aomori, Genoma, Hawaii, Miasmi,
Olimpo, Titina.
Parole di 7 lettere:
Atavici, Captare.
Parole di 10 lettere:
Abilitante, Amatoriale, Ineffabile,
? Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso, Latrocinio, Lorenzetti, Sterpaglia,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le Teleutenti, Tempistica.
?
parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 13 lettere:
La soluzione nel prossimo numero.
Eurocentrismo, Salvacondotto.
COMUNICARE GIOCANDO
La grande capacità di don Bosco di sapersi relazionare con il prossimo, con i suoi coetanei e gli
amici dell’adolescenza, nella città natale, Castelnuovo d’Asti, vicino a Torino, e con i più giova-
ni quando diventò un adulto con tanti progetti e aspirazioni, fu la dote più grande che ebbe.
Sicuramente gli fu necessaria affinché si ponessero le basi del suo grande desiderio di aiutare
la gioventù disagiata del capoluogo piemontese e non solo. Questa dote gli fu trasmessa da
Mamma Margherita e attraverso il suo amore, le sue cure e la sua profonda fede, fu preparato
ad esprimersi pienamente e gestire la sua vita crescendo spiritualmente. Quindi, la sua capacità
di comunicazione gli permise di avvicinare e di trasmettere più facilmente agli altri le sue idee
e il suo messaggio di fede e di amore. Nelle Memorie dell’Oratorio, il racconto dettagliato della
sua vita, è ben descritto che egli fosse un eccellente comunicatore e che le XXX fossero l’arma
segreta con cui si poneva all’attenzione e attraeva i giovani alla fede e alla preghiera con gioia e
allegria. Sapeva ben parlare ma non solo, sapeva destreggiarsi in tutti i giochi all’aria aperta e a
Soluzione del numero precedente
quelle attività artistiche che elevano l’animo umano. Don Bosco descrisse in modo molto semplice
come sviluppò le sue abilità nel campo della musica, del gioco, del teatro, della sartoria, così come
le sue abilità nelle relazioni sociali tra i suoi amici. Racconta quanto gli piacesse la musica e il canto
e che di fronte alla necessità di imparare la musica, si rese conto dell’importanza della disciplina,
perché era richiesto impegno. “In mezzo agli studi e trattenimenti diversi, come canto, suono, decla-
mazione, teatrino, cui prendeva parte di tutto cuore, aveva imparati vari altri giuochi. Carte, tarocchi,
pallottole, piastrelle, stampelle, salti, corse, tutti divertimenti in cui non era certamente mediocre”.
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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
«SONO STANCA»
M amma e papà stavano
guardando la televisione
quando la mamma disse:
chiuse la porta e spense la luce nel
corridoio. Sbirciò nella stanza dei
bambini, spense le luci e la televisio­
impostò la sveglia, preparò i vestiti
per il giorno dopo e mise in ordine la
scarpiera. Aggiunse tre voci alla sua
“Sono stanca, è tardi, vado a letto”. ne, prese una maglietta, mise i calzi­ lista di cose urgenti da fare e proprio
Andò in cucina a preparare i
ni nel cesto dei vestiti sporchi e parlò in quel momento, papà spense la tv
panini per il giorno dopo. Mise i
con uno di loro che non aveva finito e annunciò: “Vado a letto”. E così
piatti in lavastoviglie e tirò fuori
i compiti. Una volta in camera sua, fece, senza pensarci due volte.
dal freezer la carne per la cena del
giorno dopo. Controllò che ci
fossero ancora abbastanza cereali,
riempì la zuccheriera, mise in
tavola le ciotole e i cucchiai per la
colazione e preparò la caffettiera.
?
Mise la biancheria bagnata
nell’asciugatrice e quella sporca
nella lavatrice, stirò una camicia e
cucì un bottone, raccolse i giocat­
toli, rimise il telefono sulla sua
base e l’elenco telefonico al suo
posto. Innaffiò le piante, chiuse la
pattumiera e uscì per appendere
uno strofinaccio. Poi sbadigliò, si
stiracchiò e andò in camera sua. Si
fermò un attimo per scrivere una
nota all’insegnante, contò i soldi
per la gita e prese un libro da sotto
la sedia. Firmò un biglietto di
auguri per un’amica e scrisse
l’indirizzo sulla busta, prese un
biglietto per il macellaio e mise
tutto vicino alla borsa. Poi la
mamma si lavò il viso con le
salviette, si mise la crema antiru­
ghe e si lavò i denti.
Papà gridò: “Pensavo che andassi a Niente di strano? Ci chiediamo perché le donne vivono
letto!” “Lo sto facendo”, disse lei.
Mise dell’acqua nella ciotola del
cane e portò il gatto sul balcone,
più a lungo? È perché sono fatte per i lunghi viaggi.
E non possono morire prima, hanno troppo da fare.
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CHE COSA ABBIAMO
FATTO CON IL TUO
5×1000 NEL 2024
Abbiamo sostenuto il progetto “Agricoltura per la
vita”, presso la Scuola Agraria Salesiana di Calulo,
Angola: centro di formazione che promuove lo sviluppo
sostenibile e l’inclusione nel lavoro di ragazzi e ragazze
fragili. Qui grazie al tuo contributo abbiamo:
avviato coltivazioni in serra con i criteri di sostenibilità
e replicabilità
costruito un canale di drenaggio per le acque piovane
realizzato una seconda serra con irrigazione a goccia
coltivato altre due aree agricole e proseguito la
lavorazione dei terreni attorno alla scuola
acquistato un trattore e altri strumenti
formato gli operatori all’utilizzo degli attrezzi agricoli
Aiutati 80 ragazzi e ragazze
tra i 16 e i 18 anni
Coinvolti nell’intervento
480 familiari degli studenti,
provenienti dai villaggi
locali e dalle fasce più
povere della popolazione
Taxe-Perçue
Tassa riscossa
PADOVA cmp
Via Marsala, 42 - 00185 Roma - tel. +39 06 65612663 - C.F. 97210180580
donbosconelmondo@sdb.org - www.donbosconelmondo.org