08-Settembre-2025

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▲torna in alto
le case di don bosco
L’Aquila
in prima linea
La scuola
i ragazzi di don bosco
Gli spazzacamini
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
giovani santi
Sean
Devereux
SETTEMBRE
2025

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
La QUERCIA
e il PERO
C’ erano dei peri nel prato dei
Becchi. Tra due di questi,
la domenica pomeriggio,
Giovannino Bosco annodava una
fune, e davanti posava una sedia.
I compaesani, grandi e piccoli, si
accomodavano sul prato. Il ragazzo
invitava tutti a recitare il Rosario e a
cantare una lode sacra. Finito questo
montava sopra la sedia, faceva la
predica, o meglio ripeteva quanto si
ricordava della spiegazione del
vangelo udita al mattino in chiesa;
oppure raccontava fatti od esempi
uditi o letti in qualche libro. Poi il
piccolo predicatore si trasformava in
un giocoliere di professione. Sulla
corda camminava come per un
sentiero; saltava, danzava, si appen-
deva ora per un piede, ora per due;
talora con ambe le mani, talora con
una sola. Eseguiva giochi di presti-
gio e capriole. Gli applausi scroscia-
vano sinceri.
Come tutti i ragazzini dei Becchi,
Giovannino Bosco andava a cac-
cia di nidi per catturare i piccoli,
destinati a diventare una deliziosa
pietanza. Un giorno, vide un grosso
nido sopra una vecchia, alta e grossa
quercia, in mezzo a un piccolo
boschetto poco lontano dalla casa.
I suoi compagni provarono a salire,
ma nessuno vi poté riuscire. Gio-
vanni in un batter d’occhio fu in
alto. Ma altro era salire sul tronco,
e di qui guardar la nidiata, altro
andarla a prendere: il nido si trova-
va sopra l’estremità di un grosso e
lungo ramo quasi parallelo al suolo
e che ad un quarto della sua lun-
ghezza si piegava in giù. Giovanni,
avvezzo a passeggiare sulle corde,
non si lasciò sgomentare, ma adagio
adagio, giunse ove era la nidiata, e se
la infilò nella camicia. Ma il ritorno
dalla punta del ramo si rivelò subito
difficoltoso. Dopo aver lottato
per un quarto d’ora circa, sfinito,
si lasciò cadere. I suoi compagni
spaventati gli corsero subito attorno,
credendolo morto.
Giovanni si rialzò, regalò il nido e
si avviò verso casa; ma fatti alcuni
passi, più non poté camminare. Lo
stomaco e la schiena gli dolevano; le
membra tutte gli tremavano. Fi-
nalmente giunse a casa, e si pose a
letto. La madre corse subito e fece
chiamare il medico. Giovanni attese
che la mamma fosse lontana e rivelò
al dottore la causa del suo male.
«Perché non me lo hai detto subito?»
Chiese il dottore. «Avevo paura che
mia madre mi conciasse per le feste!»
rispose Giovannino. Guarì dopo tre
mesi e ricominciò con le sue acro-
bazie. Tuttavia da quel giorno ogni
volta che passava vicino alla quercia
tremava di paura.
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SETTEMBRE 2025

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▲torna in alto
le case di don bosco
L’Aquila
in prima linea
La scuola
i ragazzi di don bosco
Gli spazzacamini
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
giovani santi
Sean
Devereux
SETTEMBRE 2025
ANNO CXLIX
NUMERO 8
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: È ora di riprendere in mano i libri
SETTEMBRE
2025
(Foto Inside creative house/Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 IN PRIMA LINEA
Può vincere solo la scuola
10 LE CASE DI DON BOSCO
L’Aquila
14 TEMPO DELLO SPIRITO
La bellezza dell’essere umano
16 MISSIONARI
Don Zanardini
20 FONDAZIONE DON BOSCO NEL MONDO
22 LA NOSTRA BASILICA
Gli arcangeli di Valdocco
24 I RAGAZZI DI DON BOSCO
Gli spazzacamini
27 I NOSTRI LIBRI
28 FMA
Brasile
30 GIOVANI SANTI
Sean Devereux
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
6
14
16
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile: Bruno Ferrero
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1.4 Page 4

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Fabio Attard
Profeti del PERDONO
e della GRATUITÀ
In questi tempi, in cui le notizie, giorno dopo giorno, ci
comunicano esperienze di conflitto, di guerra e di odio, quanto
è grande il rischio che noi come credenti finiamo per essere
coinvolti in una lettura
degli eventi che si riduce
solamente a livello politico
oppure ci limitiamo a
prendere posizione a favore
di una parte o dell’altra
con degli argomenti che
hanno a che fare con la
nostra maniera di vedere le
cose, con la nostra maniera
di interpretare la realtà.
Nel discorso di Gesù che segue le beati-
tudini c’è una serie di “piccole/grandi
lezioni” che il Signore offre. Sempre
iniziano con il versetto “avete inteso
che fu detto”. In una di queste il Signore richiama
l’antico detto “occhio per occhio e dente per dente”
(Mt 5,38).
Fuori dalla logica del Vangelo, questa legge non solo
non è contestata, ma può anche essere presa come
una regola che esprime il modo di ristabilire i conti
con coloro che ci hanno offeso. Ottenere vendetta è
percepito come diritto‚ fino a essere anche un dovere.
Gesù si presenta davanti a questa logica con una
proposta completamente differente, totalmente op-
posta. Per quello che abbiamo inteso, Gesù ci dice:
“Ma io vi dico” (Mt 5,39). E qui come cristiani
dobbiamo fare molta attenzione. Le parole di Gesù
che seguono sono importanti non solamente per se
stesse, ma perché esprimono in una maniera molto
sintetica tutto il suo messaggio. Gesù non viene per
dirci che c’è un altro modo di interpretare la realtà.
Gesù non si avvicina a noi per allargare lo spettro
delle opinioni a proposito delle realtà terrene, in
modo particolare quelle che toccano la nostra vita.
Gesù non è un’altra opinione, ma lui stesso incarna
la proposta alternativa alla legge della vendetta.
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SETTEMBRE 2025

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La frase “ma io vi dico” è di fondamentale impor-
tanza perché adesso non è più la parola pronuncia-
ta, ma la persona stessa di Gesù. Quello che Gesù
ci comunica, lui lo vive. Quando Gesù dice “di non
opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo
sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt
5,39), queste stesse parole le ha vissute in prima
persona. Sicuramente non possiamo dire di Gesù
che predica bene ma vi fa male nel suo messaggio.
Per ritornare ai nostri tempi, queste parole di Gesù
rischiano di essere percepite come le parole di una
persona debole, reazioni di chi non è più capace di
reagire ma soltanto di subire. E in effetti quando
noi guardiamo a Gesù che si offre completamente
sul legno della Croce, questa è l’impressione che
possiamo avere. Eppure, sappiamo benissimo che
il sacrificio sulla croce è frutto di un vissuto che
parte dalla frase “ma io vi dico”. Perché tutto ciò
che Gesù ci ha detto, lui ha finito per assumerlo in
pieno. E assumendolo in pieno è riuscito a passare
dalla croce alla vittoria. Quella di Gesù è una lo-
gica che apparentemente comunica una personalità
perdente. Ma sappiamo benissimo che il messaggio
che Gesù ci ha lasciato, e che lui ha vissuto piena-
mente, è la medicina di cui questo mondo oggi ha
proprio bisogno.
Essere profeti del perdono significa assumere
il bene come risposta al male. Significa avere la de-
terminazione che la potenza del maligno non con-
dizionerà il mio modo di vedere e di interpretare
la realtà. Il perdono non è la risposta del debole.
Il perdono è il segno più eloquente di quella liber-
tà che è capace di riconoscere le ferite che il male
lascia dietro di sé, ma che quelle stesse ferite non
saranno mai una polveriera che fomenta la vendetta
e l’odio.
Reagire al male con il male non fa altro che allar-
gare ed approfondire le ferite dell’umanità. La pace
e la concordia non crescono sul terreno dell’odio e
della vendetta.
Essere profeti della gratuità richiede da noi
la capacità di guardare al povero e all’indigente non
con la logica del profitto, ma con la logica della ca-
rità. Il povero non sceglie di essere povero, ma chi
sta bene ha a possibilità di scegliere di essere gene-
roso, buono e pieno di compassione. Quanto sareb-
be differente il mondo se i nostri leader politici in
questo scenario dove stanno crescendo i conflitti e
le guerre, avessero la sensatezza di guardare a colo-
ro che pagano il prezzo di queste divisioni, e sono i
poveri, gli emarginati, quelli che non possono scap-
pare perché non ce la fanno.
Se partiamo da una lettura puramente orizzontale,
c’è da disperarsi. Non ci rimane altro che rimanere
chiusi nelle nostre mormorazioni e nelle nostre cri-
tiche. Eppure, no! Noi siamo educatori dei giovani.
Sappiamo bene che questi giovani in questo nostro
mondo stanno cercando punti di riferimento di
un’umanità sana, di leader politici capaci di inter-
pretare la realtà con dei criteri di giustizia e di pace.
Ma quando i nostri giovani si guardano attorno,
sappiamo bene che colgono solamente il vuoto di
una visione povera della vita.
Noi che siamo impegnati per l’educazione dei gio-
vani abbiamo una grossa responsabilità. Non ba-
sta commentare il buio che lascia un’assenza quasi
completa di leadership. Non basta commentare che
non ci sono proposte che hanno la capacità di in-
fiammare la memoria dei giovani. Spetta ad ognu-
no e ad ognuna di noi accendere quella candela di
speranza in questo buio, offrire esempi di umanità
riuscita nella quotidianità.
Davvero vale la pena oggi essere profeti del perdo-
no e della gratuità.
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1.6 Page 6

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IN PRIMA LINEA
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Può vincere
solo LA SCUOLA
Sono 234 milioni i bambini che non ricevono un’istruzione
adeguata! Sono coinvolti in situazioni di crisi e non riescono
ad accedere alla scuola: sfollati con le famiglie a causa della
violenza armata o dei cambiamenti climatici, vittime del
pregiudizio di genere che colpisce le ragazze, abitanti di aree
rurali penalizzate o dei quartieri periferici delle megalopoli.
È ad essi che si rivolgono molti dei progetti missionari salesiani.
L’antidoto alle guerre è l’istruzione
Ce ne stiamo rendendo conto mentre intorno al
nostro Paese – tuttora lontano dai terreni di scon-
tro – si stanno svolgendo guerre lampo, guerre
striscianti, guerre permanenti. Il numero di quelle
classificate “ad alta intensità” è di quaranta: le ta-
belle statistiche considerano tali quelle che genera-
no almeno 1000 morti all’anno. Si tratta dei fram-
menti di quella che papa Francesco definì “la guerra
mondiale a pezzi”. Gli osservatori aggiungono altri
70 conflitti a bassa o media intensità, con scontri
intermittenti: guerriglie, terrorismo, persecuzioni
etnico-religiose. Se ogni guerra coinvolge almeno
due Stati, il numero di Paesi dovrebbe ammontare
a 220: paradossalmente sono più del totale dei Paesi
riconosciuti o in corso di riconoscimento a livello
internazionale. Evidentemente c’è chi combatte su
più fronti e solleva così gli altri Stati dall’imbrac-
ciare i fucili e dall’invadere altri con i carri armati.
Le “ragioni” delle guerre sono diverse da caso a
caso, ossia gli eserciti trovano sempre un pretesto
per ingaggiare combattimenti. Ma usare il termi-
ne “ragione” è una falsificazione poiché, pur nella
inevitabilità dei conflitti, la soluzione “ragionevole”
non è mai quella di ammazzarsi a vicenda ma quel-
la di trovare soluzioni ai disequilibri che emergono.
Dunque, occorre tornare alla Ragionevolezza, la
quale si compone della Conoscenza e del Giudizio:
è quanto l’istruzione ha per obiettivo. Ecco perché
essa è “antidoto” alle guerre.
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SETTEMBRE 2025

1.7 Page 7

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I salesiani non rinunciano mai
Quando ci preoccupiamo del tema della scolariz-
zazione insufficiente in gran parte del mondo, per-
cepiamo quanto sia importante l’impegno dei for-
matori e delle istituzioni che consentono a questi di
operare. Ma solamente di fronte ai numeri possia-
mo capire la vastità e l’urgenza degli interventi dei
governi nazionali e delle organizzazioni ingaggiate
per questa sfida: sono 234 milioni i bambini che
non ricevono un’istruzione adeguata! Sono coinvol-
ti in situazioni di crisi e non riescono ad accedere
alla scuola: sfollati con le famiglie a causa della vio-
lenza armata o dei cambiamenti climatici, vittime
del pregiudizio di genere che colpisce le ragazze,
abitanti di aree rurali penalizzate o dei quartieri
periferici delle megalopoli.
È ad essi che si rivolgono molti dei progetti missionari
salesiani. La scuola è un’àncora di salvezza per molte
ragioni: costituisce una “parentesi” in mezzo ai con-
flitti, la possibilità di trovarsi con i coetanei e con gli
adulti educanti, di apprendere nozioni e informazio-
ni che aiutano a capire che cosa accade intorno. Le
guerre trovano terreno fertile nell’ignoranza: il pre-
giudizio sui “nemici”, l’affidamento ai più bellicosi,
l’accettazione della prevaricazione come fatale.
Chi si trova in una situazione di guerra o di mar-
ginalità è vittima oggi e rimarrà vittima domani se
non riesce ad essere agganciato da una proposta di
alfabetizzazione, di consapevolezza, di autostima.
È stato così, ad esempio, per i bambini-soldato in
Africa o in Sud America: ragazzi e ragazze a 8 anni
intruppati nei gruppi armati, hanno imparato ad
obbedire ciecamente ai capi, ad accettare le loro
violenze di ogni tipo: a non disporre, cioè, degli
elementi di base per comprendere il loro stato di
minorità. In quei casi, i salesiani hanno creato luo-
ghi dove accogliere chi doveva riscattarsi da anni di
soprusi e di azzeramento della coscienza, aggiun-
gendo subito l’istruzione, l’avviamento a mestiere
abilitante alla vita civile, oltre che il cibo e il tetto.
Nell’Ucraina presa di mira dalla Russia, i percorsi
scolastici sono stati garantiti dall’uso intensivo della
didattica a distanza. Le scuole salesiane lì presenti
hanno approfittato dei momenti di allentamento
dei bombardamenti per tenere aperti i portoni e
per garantire l’incontro materiale fra gli adolescen-
ti, hanno attivato oratori – sia pure in spazi ristretti
– e “campi estivi” in zone sicure al fine di garantire
l’indispensabile sperimentazione di quei momenti
di serenità che ripristinassero gli animi altrimenti
condannati alla costante angoscia di morte.
Dove la scuola è un miraggio
Come Missioni Don Bosco attesta attraverso le
centinaia di progetti – conclusi e in corso – che i
benefattori sostengono, non sono solo le situazioni
estreme quelle in cui la presenza salesiana supplisce
Ovunque
sono presenti,
i salesiani
lottano
strenuamente
per l’istruzione
scolastica.
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1.8 Page 8

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IN PRIMA LINEA
all’assenza delle autorità pubbliche che garantiscano
alfabetizzazione e formazione scolastica pluriennale.
È così che troviamo anche nelle “crisi prolungate”
– come quelle del Sudan e Sud Sudan, dell’Etiopia
e della Repubblica Democratica del Congo, del Me-
dio Oriente e del Pakistan – interventi emergenziali
e stabili di assistenza alle nuove generazioni.
La guerra civile in corso dal febbraio 2023 in Su-
dan ha portato un terzo della popolazione a lasciare
le proprie case: di queste, quasi quattro milioni di
persone hanno lasciato il Paese. Carenza di cibo e di
cure sanitarie moltiplicano la precarietà, 17 milioni
di studenti hanno dovuto abbandonare la scuola. Le
crisi umanitarie diventano facilmente regionali e in
questo caso ricadono sul Sud Sudan dove continua il
braccio di ferro fra etnie che si contendono il gover-
no centrale e soprattutto le aree petrolifere. Gli stessi
interessi che innescarono la seconda guerra civile, il
conflitto armato che durò dal 1983 al 2005 con in
mezzo la grande crisi umanitaria della regione del
Darfur: quasi 2 milioni di morti e oltre 4 milioni
di profughi. È dal sud del Paese, che si
rese indipendente nel 2011, che la
popolazione fuggì verso i Paesi
confinanti. Facile pensare che
fra i beni personali trasportati
a mano non ci sia stato posto
per libri, penne e quaderni.
In Uganda, a Palabek, si è costituito uno dei più vasti
campi profughi dell’Africa (85mila persone), che ha
rischiato di diventare un luogo di confino nel deser-
to se non ci fossero stati i salesiani del luogo. Con
l’appoggio dell’Onu, essi hanno costituito un presi-
dio di accoglienza e di assistenza rivolto soprattutto
ai minori. La priorità, subito dopo la distribuzione
di cibo, è di riuscire a permettere loro di frequentare
una scuola. Gli aiuti umanitari sono molto ridotti
da qualche tempo a questa parte. In questa “terra di
mezzo” (dove sono risaliti da sud anche i profughi
dalla Repubblica del Congo) l’investimento sull’i-
struzione appare davvero “fantascienza”, e la gente
lasciata nell’ignoranza risulta certamente meglio
manovrabile. I salesiani hanno avviato un
programma di sostegno che permette ai
bambini e ai ragazzi rifugiati di fre-
quentare le scuole primarie e seconda-
rie delle vicine città di Gulu, Kitgum
e Kamuli. Per questi studenti è un
modo per tenersi lontani dai pericoli
del campo, dallo sfruttamento
lavorativo, dai matri-
moni precoci.
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SETTEMBRE 2025

1.9 Page 9

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I salesiani di Bangalore
Nelle strade polverose di Davangere, nel sud dell’In-
dia, il giusto desiderio dei bambini di gioco, di essere
destinatari di attenzioni, di avviarsi alla conoscenza
del mondo viene spezzato troppo presto. Invece del-
le matite, migliaia di minori stringono gli attrezzi
del lavoro a cui sono costretti: nei campi agricoli, nei
mercati cittadini, nelle officine insicure. Negli ulti-
mi 25 anni oltre 2000 bambine e bambini sono stati
sottratti allo sfruttamento e accompagnati verso un
futuro dignitoso fatto di istruzione, crescita perso-
nale e reintegrazione sociale, che coinvolge anche
le comunità attraverso attività di sensibilizzazione e
campagne sul lavoro minorile.
Questo è avvenuto grazie all’impegno instancabile
dei salesiani del distretto di Bangalore e al supporto
della Bangalore Rural Educational and Development
Society. L’intervento educativo mira in particolare
ai più fragili, quelli che non hanno mai frequentato
la scuola o l’hanno abbandonata. Prevede un per-
corso iniziale di recupero scolastico che può durare
da 3 a 12 mesi a seconda della persona, al termine
del quale gli studenti sono pronti a frequentare re-
golarmente le scuole pubbliche locali.
Angeli della Pace
Il fatto che la guerra sia contraria all’educazione sco-
lastica, e che questa possa essere antidoto efficace a
quella, è plasticamente rappresentato dall’iniziativa
che i salesiani del Medio Oriente attuano dal 2015.
È la scuola “Angeli della Pace” che garantisce istru-
zione ai bambini rifugiati, assieme a un percorso di
sostegno effettuato da psicoterapeuti e logopedisti
per superare i disturbi post-traumatici della guer-
ra e dello sfollamento. Lo scorso anno il Libano
ha mostrato timidi segnali di rilancio della propria
economia dopo i precedenti anni di gravissima cri-
si che hanno portato conseguenze disastrose per i
diritti umani e hanno condotto più dell’80% della
popolazione sulla soglia della povertà.
L’escalation della guerra a Gaza ha coinvolto anche
il “Paese dei Cedri”. L’intensificazione delle violenze
ha generato un’emergenza umanitaria senza prece-
denti, con migliaia di morti e feriti, mentre circa 1,2
milioni di Palestinesi, Siriani, Irakeni e degli stessi
Libanesi hanno dovuto abbandonare le proprie abi-
tazioni in cerca di un rifugio sicuro. Centinaia di
abitazioni e infrastrutture pubbliche sono state di-
strutte, aggravando ulteriormente la sofferenza del-
la popolazione. La popolazione è traumatizzata dai
mesi di bombardamenti e di combattimenti, dalle
continue minacce di violenze, dalle migrazioni.
Tutte le scuole del Paese sono state temporaneamen-
te chiuse poco dopo l’inizio dell’anno scolastico per
ragioni di sicurezza, compresa la scuola salesiana che
si trova nella periferia di Beirut, dove vive la maggior
parte della comunità di rifugiati e richiedenti asilo.
Ma gli insegnanti sono riusciti a raggiungerla e uti-
lizzare le attrezzature e la connessione internet sta-
bile per gestire le lezioni a distanza con gli studenti.
Lo scorso inverno anche gli studenti hanno potuto
fare ritorno nelle aule grazie al trasporto organizzato
dai salesiani con otto autobus che li portano da tutte
le zone di Beirut e di Jounieh. A dicembre si sono
svolti gli esami del primo semestre: mai esami sono
stati più graditi dagli allievi poiché costituiscono un
segno inequivocabile di graduale ritorno a una nor-
malità che significa – anche – Pace.
L’istruzione è
l’unico vero
antidoto alle
radici della
guerra.
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1.10 Page 10

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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità
L’AQUILA
Continua a volare
sempre più in alto
Dopo il terrificante terremoto,
i salesiani non solo non hanno
abbandonato la città, come molti
temevano, ma sono rimasti ed
hanno affrontato con coraggio
e sacrificio le immani difficoltà
del momento tragico, prestando
servizi di ogni genere alla gente
aquilana, soprattutto ai ragazzi
e ai giovani più bisognosi.
Isalesiani hanno iniziato la loro opera all’A-
quila il 22 ottobre del 1932. A chiamarli fu
un gruppo di persone tra cui S.E. monsignor
Manuelli, il podestà On. Serena, la N.D. As-
sunta Visca, Ved. Tedeschini D’Annibale, beneme-
rita benefattrice.
Iniziarono la loro attività con la direzione dell’or-
fanotrofio San Giuseppe, presso la chiesa dei Bar-
nabiti, per passare, tre anni dopo, nella nuova sede
ricavata dall’ex convento Santa Lucia delle suore
agostiniane, poi di proprietà del Comune (1 ottobre
1935). Qui i salesiani diedero vita ai laboratori di
falegnameria, di sartoria, di legatoria per gli orfani
e per i ragazzi esterni di povere condizioni econo-
miche; istituirono anche un Pensionato per giovani
delle scuole secondarie inferiori e superiori, un do-
poscuola e scuole elementari interne limitatamente
alle classi quarta e quinta; organizzarono un Ora-
torio festivo che vide salire subito ad oltre trecen-
to il numero degli iscritti. In seguito, per qualche
anno funzionò anche una scuola media.
Nel corso degli anni 60-70 le scuole sono state so-
stituite dagli universitari, dando vita per anni, e
fino al sisma del 2009, a una residenza universitaria
di quasi 100 posti letto.
A distanza di novant’anni, l’Opera si presenta con
un volto rinnovato, ma non ancora tutto operativo
nelle sue sedi ufficiali, che svolge la sua azione in
10
SETTEMBRE 2025

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

▲torna in alto
L’opera
salesiana è
rinata dopo
il terremoto.
E tutto è
come prima:
un ambiente
di formazione
educativa,
sociale e
religiosa.
tre settori specifici: l’Oratorio-Centro Giovanile, il
Centro di Formazione Professionale (Ass. cnos-
fap, che nei prossimi mesi tornerà nella sua sede
rinnovata) e il collegio universitario (ancora in atte-
sa di apertura, essendo necessario il completamento
dei lavori sull’edificio).
In tutti questi decenni l’Istituto dell’Aquila è stato
sede durante l’estate di numerosi corsi nazionali,
per gli istruttori del cfp, per le Assemblee o i corsi
nazionali di formazione delle Associazioni civilisti-
che (cgs_pgs_tgs). Tutti erano in cerca di un po’
di refrigerio, vista l’altezza slm della città dell’A-
quila, e dell’Opera salesiana, cioè 730 m.
Va ricordato, inoltre, che l’Opera Salesiana, con la
delibera del Sindaco e del Consiglio Comunale del
27 maggio 2003, ha ottenuto la Cittadinanza Ono-
raria dell’Aquila.
L’Oratorio-Centro Giovanile
L’Oratorio è storicamente la prima delle opere sta-
bili di don Bosco, nei suoi multiformi aspetti. Uno
degli aspetti fondamentali era l’apertura a tutti, ma
nel rispetto delle norme che lo regolavano; inoltre,
altri aspetti erano il clima di famiglia, di allegria e
di festa, che favorisce l’ottimismo e la visione posi-
tiva della vita. Tutti questi aspetti erano la caratte-
ristica anche dell’Oratorio dell’Aquila.
Fin dai primi anni è stato il centro di aggregazione
giovanile e familiare di tutti gli Aquilani: luogo di
sport per tutte le categorie giovanili maschili, so-
prattutto calcio, pallacanestro e pallavolo. Molto
forte e significativa l’associazione scout Agesci, che
ha lasciato segni indelebili presenti ancora oggi tra
gli adulti/anziani e tra i più giovani. Grande parte-
cipazione femminile nelle attività di teatro e cine-
ma. Un ambiente ricco di attività supportate dalla
proposta educativa, sociale e religiosa. La famosa
formazione integrale che voleva don Bosco nelle
sue case.
Non si incontra persona aquilana che non sia passata
all’oratorio salesiano. Negli uffici, nei negozi, nell’o-
spedale, nelle scuole, nei luoghi più comuni la pre-
senza del salesiano rievoca emozioni, commozioni,
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
racconti di simpatia. Si sente spesso dagli exallievi
più anziani ringraziare i salesiani per l’educazione
ricevuta radicata sui valori umani e cristiani.
I salesiani godono di una grande stima non solo da
parte dei laici, ma anche dal clero diocesano con il
quale collaborano attivamente.
Il Centro di Formazione
Professionale CNOS-FAP
Il Centro di Formazione Professionale dell’Aquila è
parte dell’Associazione cnos-fap Regione Abruz-
zo (Centro Nazionale Opere Salesiane – Forma-
zione Aggiornamento Professionale) e ha come
finalità istituzionale la formazione dei giovani per
l’inserimento nel mondo del lavoro. Oggi il centro
è frequentato in particolare da giovani provenienti
da paesi del Nord Africa o dell’Est europeo.
Negli ultimi anni il Centro ha sviluppato percorsi
triennali, in particolare nelle qualifiche di mecca-
nico d’auto, termo-idraulico, operatore elettrico e
ha sviluppato il nuovo percorso “Sistema Duale” di
IV anno di Diploma “Tecnico” IeFP.
Il Collegio Universitario
La presenza salesiana all’Aquila è, sin dall’inizio,
legata ad un convitto e semiconvitto per l’acco-
glienza dei giovani. Attraverso una serie di ristrut-
turazioni si è passati, nel 1982, ad un Pensionato
Universitario in risposta alle esigenze locali.
Nel 2009, a causa del sisma che ha devastato la città
dell’Aquila, l’attività del Collegio Universitario si è
interrotta.
Attualmente la struttura è quasi pronta dopo anni
di ristrutturazione e vicende varie. Auspichiamo
tutti la sua riapertura nel più breve tempo possibile.
Il Collegio Universitario Salesiano (cus) vuole es-
sere un servizio offerto ai giovani che sono tempo-
raneamente lontani dalla famiglia. Si favoriscono,
in esso, le relazioni inter personali, si rendono i
giovani responsabili dell’organizzazione della vita
quotidiana e si dà loro la possibilità di svolgere at-
tività di gruppo. Si mantiene il contatto con le fa-
miglie o i responsabili dei giovani e si stabiliscono
rapporti con l’università o l’ambiente di lavoro che
essi frequentano. Prima del terremoto (2009) era
frequentato da una novantina di giovani universita-
ri, provenienti soprattutto dal Centro Sud.
L’Oratorio dopo il 6 aprile del 2009
(giorno e anno del devastante sisma)
I salesiani non solo non hanno abbandonato la città,
come molti temevano, ma sono rimasti ed hanno
affrontato con coraggio e sacrificio le immani diffi-
coltà del momento tragico, prestando servizi di ogni
genere alla gente aquilana, soprattutto ai ragazzi e
ai giovani più bisognosi. Hanno capito che oltre al
gravissimo disastro geologico, il terremoto ha colpi-
to profondamente l’anima delle persone (“terremoto
dell’anima” lo ha chiamato il cardinale Petrocchi). E
la ricostruzione della propria vita interiore, sociale,
umana e religiosa degli Aquilani si sta dimostrando
più lenta ed impegnativa di quella materiale, al di là
della loro capacità di resilienza e tenacia.
I salesiani di quegli anni post sisma si sono rimboc-
cati le maniche ed hanno ri-creato l’Oratorio Don
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SETTEMBRE 2025

2.3 Page 13

▲torna in alto
Bosco nel parco Baden Powell gentilmente conces-
so dal Comune. Spazi esterni per giochi ed attività
varie, casette prefabbricate, container e tanta buona
volontà hanno consentito di ridare vita ad uno de-
gli ambienti più necessari per le famiglie e per quei
ragazzi traumatizzati dal sisma. Anche il Centro
Professionale vi ha trovato spazio per continuare,
nei limiti del possibile, l’attività dei laboratori.
Neanche il flagello della pandemia ha potuto fermare
il lavoro dei salesiani, coadiuvati da giovani ed adulti
impegnati. Ha solo costretto a ridurre il numero per i
distanziamenti e misure restrittive vigenti.
Oggi, giugno 2025, l’attività ricreativa ed educativa
dell’Oratorio Salesiano accoglie, fino al 24 luglio,
500 ragazzi iscritti ed una sessantina di animatori
e aiuto animatori. Dalle 07.30 fino alle 17.30 bam-
bini delle Elementari, ragazzi della Scuola Media,
giovani delle Superiori ed Universitari possono vi-
vere una delle esperienze più belle dell’anno, e forse
della vita, in spazi esterni molto vasti, belli, acco-
glienti, ricostruiti tre anni dopo il sisma.
L’Estate Ragazzi (così chiamata per la durata di
ben 7 o 8 settimane, praticamente tutta l’estate)
fino a oggi è un servizio prezioso alle famiglie che,
soprattutto per motivi di lavoro, affidano i loro figli
ai salesiani e ai giovani animatori. Così oggi e così
per lunghi anni per i quali, l’Amministrazione e la
città, sono riconoscenti ai tanti salesiani che si sono
avvicendati per così lungo tempo nel mantenere
vivo l’interesse e l’amore per i giovani.
Dal settembre 2024 i salesiani hanno deciso di dare
continuità a questo lavoro chiedendo alle famiglie
di fare un passo deciso in avanti per ‘ricostruire’ l’O-
ratorio nel tempo delle quattro stagioni. È finito
il tempo dell’emergenza ed è stato deciso che que-
sto è il momento di dare continuità e profondità ai
momenti aggregativi e alle tante esperienze estive,
con percorsi formativi che durano tutto l’anno e nei
diversi ambiti: associativi, sportivi, culturali, reli-
giosi. Tutte le età troveranno così spazio, interessi
e formazione per costruire una nuova appartenenza
al “Don Bosco”, nell’Associazione Agesci o dentro
il movimento giovanile salesiano, che porta avanti
il carisma e gli obiettivi educativi di don Bosco.
Dopo le 16.30, l’Oratorio riprende il suo volto di
luogo libero aperto a tutti, nessuno escluso e senza
l’onere di un centesimo. Anche un bel gruppo di stu-
denti africani e dell’Erasmus usufruiscono dei campi
di calcetto, basket, volley nella massima libertà.
I salesiani chiedono solo un comportamento rispet-
toso delle persone e delle cose.
Nel mese di luglio si vuole tentare anche una nuova
via con e per gli adolescenti, promuovendo alcune
attività ludiche ed educative esclusivamente per loro
dalle 19.30 alle 23.30. Potrebbe essere un modo
per strappare gli adolescenti, nell’età più delicata
e critica, alle gang,
ai ritrovi a rischio di
fumo e di alcol.
Ci auguriamo che l’i-
niziativa possa portare
frutti buoni per i gio-
vani, le loro famiglie e
la città dell’Aquila.
La bella
comunità
dell’Aquila:
salesiani e
salesiane uniti
dallo stesso
ideale.
SETTEMBRE 2025
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2.4 Page 14

▲torna in alto
TEMPO DELLO SPIRITO
Don Silvio Roggia - Consigliere generale per la Formazione
Istanbul International
Airport: LA BELLEZZA
DELL’ESSERE UMANO
Scrivere mentre si viaggia: ho cominciato a farlo quando ero missionario in Nigeria (1997-2005),
perché non ero capace di mettermi a tavolino e rispondere con calma a messaggi di parenti e amici:
da lì il ghiribizzo di raccontare qualcosa di quel che mi stava capitando, mentre tornavo in
trotro (i pulmini del trasporto pubblico) da Lagos a Ondo, e mandarlo in copia a chi mi era
vicino, pur con il Sahara e il Mediterraneo di mezzo. Da allora non ho più smesso, e ogni
tanto, dal treno o dall’aereo, faccio una chiacchierata a distanza prendendo spunto da
quello che il caleidoscopio infinito del viaggio della vita offre in quel momento.
Mi hanno chiesto di condividere qualcuna di queste chiacchiere anche sul
Bollettino Salesiano. Comincio con una che è di qualche anno fa, in questo stesso
periodo dell’anno. Buon viaggio!
Don Silvio
Roggia.
Sto aspettando il volo
delle 21.30 per Nai-
robi, dopo l’atterrag-
gio da Fiumicino nel
pomeriggio.
Una delle prime cose che
vorrei raccontarvi è la varie-
tà dei volti e delle nazionalità con cui mi trovo a
condividere il lavoro, gli incontri, i dialoghi… Non
parlo del fiume di gente che scorre senza sosta da-
vanti a me in questo momento qui dove son seduto
adesso in aeroporto, ma di coloro con cui ho inte-
ragito di persona a Manila la settimana scorsa e
con cui lo farò a Nairobi da domani in poi. Mi son
tolto lo sfizio di mettere in fila i loro paesi di ori-
gine, seguendo l’ordine alfabetico: Angola, Belgio,
Benin Republic, Brasile, Cina, Congo rdc, Etio-
pia, Filippine, Giappone, India, Indonesia, Kenya,
Korea, Madagascar, Mali, Messico, Myanmar, Ni-
geria, Polonia, Rwanda, Spagna, Sri Lanka, Sud
Africa, Tanzania, Timor Est, Vietnam… e forse ne
ho dimenticato qualcuno.
Questo mix di nazioni non è così strano per i sale-
siani di don Bosco, perché siamo sparsi in 133 paesi
e siamo missionari fin dalle origini (11 novembre
1875, per essere precisi). Molti di questi fratelli
miei si trovano a vivere in una nazione che non è
quella in cui sono nati.
Veniamo da paesi così lontani, culture e storie di
vita così diverse: eppure quanto abbiamo in comune
è così tanto, fin dal primo saluto, dalla prima stret-
ta di mano. È per via di don Bosco? Senz’altro. È
ancor prima per via dello stesso nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo con cui cominciamo
insieme a pregare, pur con la girandola di lingue
che entrano nello stesso coro? Certamente sì.
Mi vien proprio voglia di credere che l’essere così
prossimi pur con tante diversità viene da una radice
ancora più profonda, da ancora più dentro di noi:
l’essere umani è un patrimonio talmente grande,
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SETTEMBRE 2025

2.5 Page 15

▲torna in alto
talmente infinito che non c’è nulla in questo uni-
verso che possa fare da contrappeso a questa di-
gnità. Non c’è niente di “così di più” o di “così di
meno” che possa rendere Pedro nato in Angola più
uomo o meno uomo di Camiel, nato in Belgio.
La bellezza della nostra vita risplende in modo
tanto più chiaro ed evidente quanto più ci si lascia
prendere dalla meraviglia per la diversità dei modi
con cui questa stessa vita è vissuta; la diversità delle
culture e delle lingue; l’incomparabile diversità del-
la storia unica che ciascuno di noi disegna su que-
sto micro-puntino nella Via Lattea che chiamiamo
Terra. Se l’Europa ci offre già un buon aperitivo
circa questa varietà di colori, a confronto Asia e
Africa sono un pranzo di nozze con 18 portate. È lì
che vive la più parte del mondo. In Europa ci abita
meno del 10% dell’umanità. Ma non voglio comin-
ciare a mettere dei distinguo e a tirare confini.
Sono estasiato dalla bellezza di quanto abbiamo
in comune, ed è quanto mi fermo a contemplare
stasera con voi, da questa seggiola nell’aeroporto di
Istanbul.
Tra i poeti e i mistici, gli artisti, i musici, i sapienti
di tutte le tradizioni e paesi c’è chi ha saputo lun-
go la storia cogliere splendidamente l’unità che sta
dentro la vita, e non solo di noi umani, ma di tutto
l’universo di cui noi siamo parte. Non siamo fuori.
Siamo dentro. È parte di noi, come e più ancora
di quanto noi siam parte di lui. Senza Via Lattea,
senza la nostra galassia nulla sarebbe di nessuno di
noi, di questa tastiera, delle dita mie che scrivono e
degli occhi tuoi che leggono.
C’è un’unità, una connessione così forte tra tutto
ciò che esiste: non rendersene conto e comportarci
come se fossimo noi i padroni del vapore, come se
tutti e tutto fossero lì solo a nostro uso e consumo,
significa perdere il meglio della nostra esistenza.
Cosa c’è di più angusto e ristretto di un mondo
grande solo quanto le mie voglie e le mie idee?! Più
ci si avvicina al tesoro che sta al cuore di tutto, più
ci si scopre davvero vicini tra di noi: le distanze
nei secoli e sulla carta geografica, la differenza di
lingue e di religione, smettono di fare da steccato.
È molto di più quanto ci unisce, senza bisogno di
coprire o nascondere nulla della diversità di cui ci
vestiamo e con cui ci esprimiamo.
Gate 211: è la porta d’imbarco per Nairobi e i pri-
mi si sono già messi in fila. Meglio che anch’io mi
metta in riga.
Come ultima battuta prima di chiudere il laptop mi
torna in mente un proverbio zairese: “L’uomo supe-
ra infinitamente l’uomo”. Questo è il mio augurio
per tutti a cominciare da me stesso: che questa pri-
mavera dello spirito, che per noi si chiama quaresi-
ma, pasqua e pentecoste, ci aiuti a recuperare il vero
senso della nostra grandezza, quella che abbiamo
in comune con ogni altro essere umano, e a non
lasciare che nessun altro interesse o distrazione si
metta di traverso e ci faccia stimare anche solo un
grammo o un centimetro in meno il valore della
vita che ci portiamo dentro: tutto, tutti, sempre,
dappertutto.
SETTEMBRE 2025
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2.6 Page 16

▲torna in alto
MISSIONARI
Sofia Matera
Paraguay
DON GIUSEPPE
ZANARDINI
Ha provato a dimostrare che,
semplicemente, “Dio ha parlato
e parla ad ogni popolo nella cultura
di appartenenza”.
Qual è il futuro riservato ai popoli
indigeni?”. La domanda pronun-
ciata da san Giovanni Paolo II, du-
rante la visita in Paraguay nel 1988,
è ancora attuale.
Lo sanno bene in un Paese di sei milioni di abitanti
dalle grandi contraddizioni. All’ultimo posto della
scala sociale troviamo proprio gli indigeni. Basti
pensare che veniva assegnato il congedo militare
come premio ai soldati che uccidevano i “Mori”:
così, infatti, erano chiamati i temuti indigeni Ayo-
reo, che vivevano come cacciatori nella selva.
Gli indios, come scrisse l’antropologo Miguel Cha-
se Sardi, sono conosciuti “per quello che non sono,
non per quello che sono; per quello che non hanno,
non per quello che hanno”.
Solo nel 1962 i primi gruppi Ayoreo uscirono dalla
selva, deposero le armi e si presentarono a Fortin
Baustista dove c’erano i missionari. Il Vicaria-
to apostolico del Chaco comprese la situazione di
questi primi gruppi Ayoreo (vivevano di caccia, ma
la fauna scarseggiava) e comprò un lotto di terra di
circa 20mila ettari, dove fondò, sopra il fiume Pa-
raguay, la prima missione Ayoreo chiamata Puerto
Maria Auxiliadora.
La saggezza degli Ayoreo
In questa storia si inserisce quella del salesiano
bresciano don Giuseppe Zanardini, ottavo di 10
fratelli (tra cui il compianto don Giorgio), che nel
2025 ha festeggiato 50 anni di ordinazione, 47 li ha
vissuti in Paraguay. Ingegnere chimico e antropo-
logo, non si è risparmiato. Ha scelto di stare dalla
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SETTEMBRE 2025

2.7 Page 17

▲torna in alto
parte dei più poveri. Dal 1978 al 1984 ha diretto ad
Asunciòn la Scuola Tecnica salesiana dove i ragazzi
possono apprendere un mestiere.
Nel 1982 ha intrapreso la costruzione dei villag-
gi nella periferia della capitale per i “baraccati”,
coinvolgendo e responsabilizzando, anche econo-
micamente, i proprietari. Avvalendosi delle sue
competenze di ingegnere e dell’aiuto economico di
sostenitori bresciani suoi conterranei, padre Zanar-
dini è riuscito nel 1985 a far costruire dodici vil-
laggi per centinaia di famiglie indigene che fino ad
allora vivevano in catapecchie definite dallo stesso
Vescovo di Asuncion, “peggiori di quelle degli ani-
mali nelle stalle”.
Se nel suo “primo tempo” si è concentrato sulla pro-
gettazione di case dignitose, nel “secondo tempo”,
dal 1985, ha sposato la causa degli indios, vivendo
con loro, in particolare con la comunità Ayoreo. Ha
investito nella formazione dei maestri indigeni per
non disperdere conoscenze e valori. La società con-
temporanea, oggi, ha ancora più bisogno della “sa-
biduria”, della saggezza, di popolazioni che hanno
sempre sviluppato un rapporto di cura del creato.
Il suo contributo ha permesso a livello legislativo
la creazione di scuole indigene con un’autonomia
in termini di programmi e di orari, formando, con
corsi biennali, docenti indigeni.
Si raccolgono i frutti di questa lungimiranza. Tra
gli Ayoreo, possiamo, ad esempio, festeggiare il
primo laureato in Scienze della Salute.
Consigliere del ministro
Sul territorio ci sono 20 differenti popolazioni sud-
divise in 400 comunità per 120mila persone. La
nazione fatica ad accettare la realtà multicultura-
le e a ritrovare in essa le proprie origini, anche se
la Costituzione del 1992 “riconosce l’esistenza dei
popoli indigeni, definiti come gruppi di cultura
precedente alla formazione e organizzazione dello
Stato paraguayano”.
“Il virus etnocentrico – afferma don Giuseppe –
colpisce una parte della società che si sente supe-
riore ai popoli indigeni, essendo incapace di rico-
noscere le diversità culturali”.
Don Zanardini è stato uno degli artefici nel 2007
della legge di educazione indigena. Uno dei risulta-
ti, anche se il processo è lungo, è stata l’attivazione
di 400 scuole indigene dove nei primi tre anni si
impara la lingua materna: l’alfabetizzazione nella
lingua materna permette di non disperdere un pa-
trimonio importante relegato alla sola tradizione
orale. È stato chiamato dall’Università Cattolica di
Asunción come professore di Antropologia Sociale
e Direttore del Centro di Studi Antropologici della
stessa Università e come direttore delle due presti-
giose riviste Suplemento Antropologico e Estudios Pa-
raguayos della medesima Università.
Don Zanardini, attraverso gli articoli pubblicati sui
giornali, le interviste alla radio e in televisione, ha
cercato di sensibilizzare i cittadini sui diritti ance-
strali dei popoli indigeni. E ha provato a dimostra-
re che, semplicemente, “Dio ha parlato e parla ad
ogni popolo nella cultura di appartenenza”.
Grazie al suo impegno, nel 1992, si arrivò per la
prima volta nella storia del Paraguay indipenden-
te, all’approvazione nella nuova Costituzione di un
Don Zanardini
ha provato a
dimostrare che,
semplicemente,
“Dio ha parlato
e parla ad
ogni popolo
nella cultura di
appartenenza”.
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2.8 Page 18

▲torna in alto
MISSIONARI
Don Giuseppe
ha tenuto
conferenze in
tutti i Paesi
dell’America
Latina e
dell’Europa
e così pure
in Turchia,
in India,
in Russia,
in Cina, in
Giappone, in
Australia e in
Angola.
capitolo dedicato ai diritti collettivi dei popoli in-
digeni. Ha tenuto conferenze in tutti i Paesi dell’A-
merica Latina e dell’Europa e così pure in Turchia,
in India, in Russia, in Cina, in Giappone, in Au-
stralia e in Angola.
Ha ricevuto numerosi premi nazionali e internazio-
nali. Il suo cursus honorum è ricco. È consigliere del
Ministro della Pubblica Istruzione del Paraguay
per le scuole indigene e Coordinatore di una Rete
Multiculturale che comprende i Ministeri della
Pubblica Istruzione di dieci nazioni dell’America
Latina. È membro del Consiglio Direttivo dell’As-
sociazione Indigenista del Paraguay. È Accademi-
co di Numero dell’Accademia Paraguaiana della
Storia e così pure delle Accademie della Storia
della Spagna, del Brasile, dell’Argentina e della
Colombia. È anche consigliere del wwf (World
Wildlife Fund) per l’America Latina. Ha parteci-
pato al Cop26 di Glasgow (United Nations Clima-
te Change Conference) e ha scritto una ventina di
libri con contenuti etnografici, analisi mitologiche
e problematiche indigene.
Grazie al progetto “Studiare con Beppe”, ha curato
la pubblicazione, in quattro volumi, del primo di-
zionario in quattro lingue (ayoreo, spagnolo, gua-
ranì e portoghese). Sempre grazie all’associazione,
voluta da Sofia e Guido Amato in ricordo dell’a-
mato figlio morto nel 2020 all’età di 52 anni, ven-
gono raccolte ogni anno delle borse di studio per
permettere a chi non ha le possibilità economiche
di proseguire il percorso scolastico nelle scuole su-
periori ed anche in università nella facoltà di scien-
ze della medicina. Da una tragedia può nascere la
speranza.
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SETTEMBRE 2025

2.9 Page 19

▲torna in alto
LA MIA STRANA VOCAZIONE
«Mi sono fatto salesiano per mezzo del Bollettino Salesiano.
Non sono mai stato in Scuole o Parrocchie salesiane. Son
cresciuto in ambienti parrocchiali con preti diocesani, nell’A-
zione Cattolica e quando ero universitario nella FUCI. Ma da
giovane arrivava a casa il Bollettino Salesiano e vedevo le
notizie di che cosa facevano i salesiani nel mondo: ricordo
molti servizi sui viaggi di don Ziggiotti in America tra gli in-
dios. E questi popoli mi entusiasmavano e suscitavano in me
il desiderio di conoscerli da vicino, diventare salesiano e fare
qualcosa con loro. Quindi un giorno parlai con il direttore dei
salesiani di Brescia, don Sangalli, che mi diede il libro delle
Costituzioni Salesiane. Mi disse di leggerle, e se mi piaceva-
no di prendere decisioni. Fu così che dopo pochi mesi entrai
nel Noviziato di Missaglia senza avere mai passato un giorno
intero in una Casa Salesiana. Strana vocazione! E nel 1978
sono partito con grande entusiasmo per il Paraguay, dove
mi aspettavano tre settori di lavoro salesiano: la formazio-
ne professionale di giovani lavoratori con le scuole notturne,
poi la costruzione di case popolari per senzatetto mediante
il sistema della autocostruzione con l’aiuto reciproco e final-
mente i popoli indigeni.
Sono andato a vivere con gli indigeni della selva Chaquena,
che è la parte occidentale del Paraguay a ovest del grande
fiume Paraguay che attraversa tutto il paese dal nord al sud
dividendolo in due parti assai diverse geologicamente e
culturalmente. Nella foresta vissi con gli indigeni e come gli
indigeni per un bisogno di sentirmi povero, semplice, umile e
disposto a condividere la loro vita con le angustie, speranze,
delusioni e progetti.
Gli ayoreo sono l’unico popolo del Cono Sud di America che
ha ancora piccoli gruppi di persone non contattate da nessu-
no, che vivono come migliaia di anni fa nella profonda selva.
Non hanno contatti neppure con gli altri ayoreo che vivono
nei villaggi stabilmente. Sono nomadi in cerca di spazi sicuri
che si riducono sempre di più a causa della tragica deforesta-
zione galoppante. Questi indigeni ci insegnano tante cose:
anzitutto hanno una profonda spiritualità, tutto ha riferi-
mento all’esistenza di un Essere Superiore che è origine e
fonte di tutto e che, mediante speciali riti e pratiche, mantie-
ne l’universo, le persone e tutta la realtà in armonia e pace.
Ci insegnano la semplicità, l’essenzialità,
la non accumulazione di beni materia-
li, la solidarietà, il valore della persona,
della famiglia e del clan, il rispetto per gli
animali, le piante, la terra, l’acqua, l’aria.
Inoltre sono popoli molto allegri, aman-
ti dell’armonia e della pace. E quando ci
sono alcuni problemi sanno risolverli me-
diante lunghe conversazioni in assem-
blee generali dove si nota il desiderio di
arrivare a un consenso generale per non
dividere il gruppo in due parti, cioè quelli
che vincono e quelli che perdono».
SETTEMBRE 2025
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2.10 Page 20

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DON BOSCO NEL MONDO
Marco Borraccino - Responsabile Comunicazione Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Le Scuole Salesiane e la Pace:
torna “SOGNATI DA GRANDE”
Torna il contest rivolto alle scuole salesiane di tutta Italia:
la nuova edizione sarà dedicata alla Pace e vuole generare
speranza anche in un’Opera gemellata in Niger.
Sotto: Emma
Cornaglia
prima
classificata di
Bra. I vincitori
di Treviglio
e a destra: Il
presidente
della
Fondazione
premia il
vincitore
dell’Istituto
Pio XI.
“Dov’è Emma?”
Mi rivolgo a una platea di un
centinaio di alunne e alun-
ni della scuola media salesiana
“San Domenico Savio” di Bra. Hanno ascoltato
pazientemente la nostra presentazione riguardante
la Fondazione don bosco nel mondo. Hanno
guardato con curiosità i lavori vincitori della prima
edizione di “Sognati da grande”. È comprensibile
che alla mia domanda esploda un’ovazione since-
ra e liberatoria, che conclude un’attesa di tre quarti
d’ora, vissuti peraltro con compostezza.
In aula magna, la loro compagna di scuola si è se-
duta in ultima fila. Forse prova un po’ di imbarazzo
e allora sono i suoi professori a spronarla ad alzarsi.
Percorre la sala e, giunta da noi, finalmente legge a
tutti il testo della sua creazione, vincitore ex aequo
del primo posto della categoria “Sognatori emergen-
ti”. Emma ha 12 anni, frequenta la seconda media
e, attraverso un disegno e un testo, ha descritto con
equilibrio e consapevolezza il suo sogno: diventare
una calciatrice professionista. E siamo rimasti sor-
presi nell’apprendere che questo progetto è più con-
creto di quanto ci aspettavamo (anche se forse non
ne avevamo motivo, vista la maturità espressa dal suo
testo). Emma gioca già da portiere nelle giovanili di
una squadra di Serie A e, più volte alla settimana,
va in città per allenarsi. “A patto che studi sempre,
come richiesto dai genitori” precisano i professori.
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SETTEMBRE 2025

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲torna in alto
In alto:
Premiazione
a Trento e in
altre classi
partecipanti.
Tutte le emozioni della prima
edizione di “Sognati da grande”
La prima edizione del contest “Sognati da grande” è
stata un vortice di emozioni. Le premiazioni svolte a
maggio nelle sette scuole vincitrici ci hanno permes-
so di associare volti, voci, luoghi e storie agli splen-
didi video, disegni, testi creati dagli studenti e dalle
studentesse degli istituti partecipanti. Un’esperienza
umana, sociale e educativa che non dimenticheremo.
Per gli studenti, un’opportunità di ritrovare entusia-
smo e spirito di collaborazione. Ce lo ha dimostrato,
ad esempio, la classe III A della Scuola S. Croce di
Mezzano di Primiero, “dove i ragazzi” racconta il
docente referente “hanno riscoperto la bellezza del
lavoro di squadra e il valore dell’amicizia, ritrovando
il piacere di costruire qualcosa insieme”.
Al centro della nuova edizione,
la Pace
Per l’anno scolastico 2025/26, la Fondazione don
bosco nel mondo rilancia con gioia questa sfida
della creatività giovanile. “Sognati da grande” avrà,
naturalmente, un tema tutto nuovo. L’anno scorso
abbiamo dedicato il contest al sogno dei nove anni
di don Bosco: alle ragazze e ai ragazzi abbiamo
chiesto di immaginarsi da grandi, descrivere in che
modo vorrebbero realizzarsi e contribuire al benes-
sere della comunità. L’obiettivo della
nuova edizione è, se possibile, anco-
ra più ambizioso: agli studenti e alle
studentesse chiediamo di raccontarci
la Pace.
Che cos’è, per te, la Pace? È un dirit-
to inalienabile? È un’idea per cui vale
la pena schierarsi? Oppure, per te la
Pace è qualcosa di ancora più vicino. È un modo di
stare con gli altri, nella tua città, nel tuo quartiere,
perfino a casa o con i tuoi amici. Oggi più che mai
la Pace è una ferita aperta: le guerre continuano a
generare ingiustizia, violenza, sopraffazione. Defi-
nire che cosa è Pace è più decisivo che mai. Con
“Sognati da Grande” 2025/26, invitiamo le scuole
salesiane a farlo attraverso un video, un testo, un
disegno, oppure – altra novità assoluta – un’idea di
videogioco.
Nasce il gemellaggio solidale
I cambiamenti non finiscono qui. Da questa edi-
zione, attraverso la loro partecipazione tutti gli
Istituti italiani contribuiranno a sostenere un’Ope-
ra gemellata, a Niamey, in Niger dove i salesiani
accolgono e proteggono bambini e ragazzi in fuga
dalla violenza dei gruppi armati. Ed ecco che la
partecipazione può raddoppiare il suo significato.
Ogni scuola iscritta alla seconda edizione di “So-
gnati da grande” contribuirà a sostenere una mis-
sione salesiana dove bambini, bambine e giovani,
hanno gli stessi diritti ma meno opportunità; con-
dividono gli stessi sogni dei nostri ragazzi, ma in
un contesto più fragile.
La Pace immaginata qui può far nascere speranza
altrove. Insieme, rendiamo contagiosi i sogni.
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3.2 Page 22

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LA NOSTRA BASILICA
Natale Maffioli
Gli ARCANGELI
di Valdocco
Don Bosco aveva un debole per gli angeli.
E gli angeli lo ricambiavano con straordinario affetto.
Non c’è da stupirsi se sui campanili della Basilica di
Maria Ausiliatrice, con la statua della Madonna benedicente
ha voluto le statue dorate di due magnifici arcangeli.
P er la facciata ester-
na della Basilica di
Maria Ausiliatrice,
l’architetto Spezia
si ispirò alla facciata di San
Giorgio Maggiore in Venezia,
disegnata dal Palladio. Chi
guarda la chiesa dall’imbocco
della piazza presso corso Regina Mar-
gherita, vede splendere le statue dorate della Ma-
donna sulla cupola (alta 4 metri, opera dello scul-
tore Boggio) e degli angeli sui due bassi campanili:
l’arcangelo Gabriele a destra e l’arcangelo Michele
a sinistra.
Gli arcangeli dei campanili sono stati recentemente
restaurati e indorati. Sono in rame battuto e indo-
rato, la loro altezza è di due metri e mezzo.
Don Bosco stesso ne aveva fatto il disegno. A de-
stra: un arcangelo, recante con la mano sinistra una
bandiera, in cui, a traforo nel metallo e a grossi ca-
ratteri, è scritto: “Lepanto”. A sinistra un altro, in
atto di offrire con la mano destra una corona d’al-
loro alla Santa Vergine, dominatrice sulla cupola.
«In un primo disegno, che noi abbiamo visto» scrive
don Lemoyne nelle Memorie Biografiche, «anche il
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SETTEMBRE 2025

3.3 Page 23

▲torna in alto
secondo angelo sollevava una bandiera sulla quale
era, pur a traforo la cifra 19... seguita da due fori.
Indicava una nuova data e cioè il mille novecento,
ommesse le decine ed unità di anni. Si mise poi,
come si è detto, in mano all’angelo una corona: ma
noi non abbiamo mai dimenticato quella data mi-
steriosa, la quale, a parer nostro, indicava un nuovo
trionfo della Madonna».
Gli angeli di cui ci parla la Bibbia ci indicano che
in tutte le situazioni della nostra vita entra una vi-
cinanza che sana e salva. Dio non è solamente il
mistero lontano e inconcepibile, ma egli interviene
concretamente con gli angeli nella nostra vita. Ci
manda angeli sotto figura di uomini, che fanno un
tratto di strada con noi e ci aprono gli occhi per
la realtà vera. Ci invia angeli che nel sogno ci ad-
ditano una via d’uscita da un vicolo cieco, che nel
sogno ci porgono medicine per la nostra anima e ci
slegano le catene. Dio ci aiuta con l’angelo che sta
dentro di noi, nel nostro cuore, nei nostri pensieri,
nei delicati impulsi della nostra anima. Se, come fa
la teologia, consideriamo gli angeli esseri creati, la
vicinanza di Dio si concretizza in loro in una realtà
creata, sperimentabile.
Questo è un messaggio consolante, un messaggio
che recupera il Dio lontano e inconcepibile e lo in-
serisce nella realtà della nostra vita quotidiana.
Il messaggio degli angeli
I due arcangeli sono in posizione avanzata rispetto
alla statua della Madonna. È come se la precedes-
sero. Così ha voluto don Bosco, grande devoto de-
gli angeli. All’altare dell’Angelo Custode ha cele-
brato la sua prima Messa. Agli angeli ha dedicato il
suo primo libro. Gli angeli affollano le opere d’arte
con la loro grazia, la loro bellezza. Sono il soggetto
onnipresente nelle chiese, nelle edicole devozionali
lungo le strade, sugli spalti dei ponti. Sottolineano
la potenza e la gloria di Dio. La Vergine ne è quasi
sempre circondata – lei è la Regina degli angeli –
così come i santi sono accompagnati dagli angeli.
Sono la rappresentazione di creature che non ve-
diamo, ma che riempiono della loro presenza cielo
e terra. E qualche volta sono ben visibili, come il
Grigio di don Bosco.
I due arcangeli della Basilica sono un dolce mes-
saggio di don Bosco a tutti quelli che verso di loro
alzano lo sguardo.
SETTEMBRE 2025
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3.4 Page 24

▲torna in alto
I RAGAZZI DI DON BOSCO
T.B.
Gli SPAZZACAMINI
Visi sporchi dal lavoro ma anime candide
I piccoli
spazzacamini
di Torino nel
1935, con
il cardinale
Maurilio
Fossati.
Gli spazzacamini, nella Torino di don
Bosco, provenivano tutti dalle valli, so-
prattutto dalla Val Vigezzo, chiamata
oggi romanticamente la valle dei pitto-
ri. Chi ama dipingere trova in questa valle l’ispi-
razione necessaria, tanto sono belli i colori in ogni
stagione; il paesaggio poi è incantevole e da favola,
soprattutto in autunno. È una delle cento valli che
disegnano il territorio dell’Ossola. Un tempo era il
regno della miseria. Molti facevano i tipici lavori dei
frontalieri, gli “spalloni”, erano coloro che, gerla in
spalla, si recavano al lavoro nella vicina Svizzera. Il
paese di Santa Maria Maggiore, poco lontano da
Malesco, era il luogo dal quale partivano tanti ra-
gazzi che facevano il lavoro degli spazzacamini. A
loro, nel 1985, è stato dedicato in una piazza del pae­
se, il monumento allo spazzacamino. Quando don
Bosco arriva a Torino, da tre anni, in piazza San
Carlo, c’era il monumento a Emanuele Filiberto. È
proprio sotto questa statua che don Bosco incontra i
primi spazzacamini. Quelli che avevano sette, otto
anni, si esprimevano solo in dialetto, in patois, ter-
minologia vagamente francesizzante. Conversando
con loro, don Bosco venne a conoscere la loro storia.
Disse un giorno: “Quanti buoni giovani ho trovato
fra gli spazzacamini. Era nera la loro faccia, ma tan-
te volte quanto bella era la loro anima”.
L’adulto capo e i piccoli
spazzacamini
La stagione più propizia per il lavoro degli spaz-
zacamini iniziava con l’inverno. Le mamme, dopo
aver dato ai propri figli
tre camicie di lana grezza
ed un berretto, li accom-
pagnavano dall’adulto –
capo degli spazzacamini,
il “couèitse”, come veniva
chiamato in dialetto pie-
montese. Durante il lavo-
ro, il capo-spazzacamini si
impegnava a procurare 780
grammi di pane ogni gior-
no a ciascuno dei ragazzi.
Non sempre però, il capo
degli spazzacamini era una
persona onesta. Il capo
adulto assegnava i picco-
li ragazzi ad un “capgail-
lo”, un altro spazzacamino
adulto che coordinava il la-
voro di più squadre di spaz-
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SETTEMBRE 2025

3.5 Page 25

▲torna in alto
zacamini distribuiti nei diversi quartieri. Minestra
e carne, i piccoli dovevano elemosinarle nelle case
dove raschiavano i camini. Più il ragazzo era esile e
piccolo, più era ricercato nella pulitura dei camini.
Doveva entrare nel camino e con una piccola raspa
scrostava la fuliggine raggrumata sulle pareti. Una
volta giunto alla sommità del
camino, doveva gridare per
tre volte “spaciafournel”. Era
la sua maniera di avvertire il
capo degli spazzacamini che
aveva finito il lavoro. Allo-
ra poteva ridiscendere, faccia
ed abiti neri di fuliggine. Il
capo adulto degli spazzaca-
mini, che durante il lavoro
delle squadre faceva il vendi-
tore ambulante, affittava uno
stanzone o una soffitta dove i
piccoli spazzacamini dormi-
vano sulla paglia e passavano
i giorni quando veniva loro
la febbre. Le malattie profes-
sionali dei piccoli spazzacamini erano: tubercolosi,
polmoniti e bronchiti. I polmoni dei piccoli si in-
tasavano di fuliggine. Non era raro poi il caso di
molti piccoli che morivano perché precipitavano di
schianto dalla sommità del camino, dopo aver por-
tato a termine il lavoro. Scrive don Bosco su di loro:
“Scendevano innocenti dalle loro montagne senza
alcuna malizia del mondo”.
Una lettera
Mi chiamo Thomas G. Hayworth. Oggi sono un
vecchio, con i polmoni stanchi e le mani dure come
corteccia. Ma un tempo ero solo un bambino, così
piccolo da infilarmi in fessure dove voi non riusci-
reste nemmeno a inginocchiarvi. Sono stato uno
spazzacamino, e poi un hurrier, un trascinatore di
carbone, nelle miniere dello Yorkshire. Non scrivo
per me, ma perché forse, se qualcuno leggerà queste
righe, le ossa di chi non ha vissuto abbastanza per
GOMITI E GINOCCHIA
“Mi era stato proibito di lavarmi. Dopo qualche tempo acquistai
una certa abilità nello scalare canne fumarie, ma ginocchia e go-
miti sanguinavano senza che qualcuno provvedesse al minimo
medicamento. I vestitini sporchi di fuliggine si appiccicavano alla
pelle e ogni movimento mi provocava forti dolori fino a farmi
zoppicare. Andavo su a tentoni, con movimenti alterni, a forza
di gomiti e ginocchia, puntellandomi alla canna del
camino. Nessuno può immaginare cosa si prova a
stare racchiusi in un buco buio, con la testa in un
sacco, più il camino è stretto, più ti senti soffocare”
(Da Fam, füm, frecc, il grande romanzo degli spazza-
camini di B. Mazzi).
raccontare la propria infanzia
potranno finalmente trovare
pace.
Sono entrato nei camini a sei
anni. Alcuni erano larghi ap-
pena 45 centimetri, come bare
messe in piedi. Non aveva-
mo luce, né guanti, né voce.
Grattavamo la fuliggine con
le unghie, mentre i mattoni ci
laceravano le ginocchia e i gomiti. A volte il padro-
ne accendeva il fuoco mentre uno di noi era ancora
dentro. “Così si muovono più in fretta”, diceva. Il
fumo bruciava gli occhi e la gola. Alcuni svenivano.
Alcuni non si svegliavano più.
A sette anni fui mandato in miniera. Trascinavo
carrelli di carbone da oltre 200 chili in gallerie alte
meno di 40 centimetri, incatenato a una cintura.
Andavo a carponi, con la pelle a brandelli, il sangue
che mi scendeva lungo le cosce. Dietro di me, un
thruster, spesso un altro bambino ancora più pic-
colo, spingeva con la fronte e le mani. Dal soffitto
colava acqua acida che ci bruciava la pelle. Lavora-
vamo dalle quattro del mattino, a volte al buio, e io
cantavo piano per non sentirmi solo.
Avevo compagne come Patience Kershaw, che
spingeva i carrelli così forte con la testa da perdere
i capelli. O Sarah Gooder, che a otto anni passa-
va ore aprendo e chiudendo porte per far circola-
SETTEMBRE 2025
25

3.6 Page 26

▲torna in alto
I RAGAZZI DI DON BOSCO
re l’aria nelle gallerie, da sola e senza una candela.
“A volte canto, se ho luce”, disse una volta. “Ma al
buio no. Al buio non mi piace.” Io le rispondevo da
un’altra galleria, anche io cantando.
Molti di noi morivano prima dei 25 anni: di cancro,
di asfissia, in incidenti. Alcuni venivano decapita-
ti dalle macchine, cercando di raccogliere pezzi di
carbone. Altri perdevano mani o braccia e venivano
licenziati. In una fabbrica vicino a Cork, sei bambi-
ni morirono e sessanta rimasero mutilati in quattro
anni. Io vidi un bambino restare impigliato in una
ruota. Aveva nove anni.
I ricchi accendevano i loro camini con le nostre
mani e indossavano abiti cuciti con il nostro san-
gue. Parlano della schiavitù come se appartenesse
ad altri continenti, ma nei sotterranei delle loro cit-
tà, i loro stessi figli erano incatenati. Lavoravamo
per una scodella di avena annacquata e un pezzo di
pane nero. Dormivamo in trenta in una stanza, tra
i topi, e chi rubava il cibo dei maiali, come feci io
una notte, veniva frustato e marchiato.
Se un bambino fuggiva, lo ritrovavano, gli mette-
vano i ceppi alle caviglie e lo riportavano al lavoro.
Eravamo “apprendisti poveri”, venduti dalle case di
accoglienza per togliersi un’altra bocca da sfamare.
Robert Blincoe, il vero Oliver Twist, fu uno di noi.
Gli accendevano il fuoco sotto i piedi per farlo salire
più in fretta nei camini. L’ho visto una volta. Non
parlava. Aveva lo sguardo di chi ha smesso di sperare.
Mia madre morì di fame. Mio padre, un soldato, non
tornò più. Quando non avevamo nulla da mangiare,
raccoglievamo ghiande e le bollivamo. Una volta,
con il mio primo salario, la donna che mi aveva ac-
colto a Leeds prese in mano le monete, le guardò a
lungo e disse: “Posso comprare il pane. Pane vero.”
Ora siedo accanto a un camino spento. Lo guar-
do come si guarda un vecchio nemico. I camini di
Londra, Parigi, Boston… sono ancora lì. Testimo-
ni dei nostri corpi piccoli, delle nostre voci spezza-
te. Alcuni non sputano più fumo, ma conservano
ancora l’eco dei nostri nomi.
Se mai vi troverete in una casa antica, toccate il ca-
mino. Forse sentirete ancora il battito di un bambi-
no come me, che si arrampicava nel buio per scal-
dare un salotto dove non fu mai invitato a sedersi.
Con la fuliggine nelle ossa e amore intatto per chi
non ce l’ha fatta, Thomas G. Hayworth Ultimo
spazzacamino e bambino del carbone.
Londra, 3 novembre 1892.
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SETTEMBRE 2025

3.7 Page 27

▲torna in alto
Un vademecum
per genitori ed educatori
per relazionarsi in modo significativo
con il mondo giovanile e comunicare
ad esso un senso di grande speranza
Questo volume vuole aiutare
i genitori a rientrare in se stessi
per riscoprirsi come risorse.
Il genitore “speranza”, figura
che scaturisce da queste pagine,
guarda il figlio non fermandosi
alla superficie ma lo raggiunge
nel profondo della sua identità
collocandolo nel territorio del sacro
per aiutarlo a vivere nella gioia
che va oltre il tempo.
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i ragazzi
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3.8 Page 28

▲torna in alto
FMA
Emilia Di Massimo
Brasile
ATTENTI A CHI
“RESTA INDIETRO”
Si chiama suor Maria Helena de Resende,
e questa è la sua vita e la sua testimonianza.
Un progetto
basato sul
sistema di
don Bosco:
«Ragione,
Religione,
Amorevolezza».
A favore dei più disagiati
È nata il 5 ottobre 1938 a Resende Costa, una città
dell’interno dello Stato di Minas Gerais, in Brasile.
Come racconta lei stessa, a 15 anni si è trasferita
a São João Del Rei, dove ha iniziato a lavorare in
una fabbrica tessile per aiutare la famiglia, perché il
padre era molto malato e non poteva lavorare.
È stata una buona esperienza, perché lavorando per
20 anni con le Opere Sociali, ora mi rendo conto delle
difficoltà che affrontano i genitori che devono lasciare i
loro figli in queste istituzioni”.
Dopo aver studiato letteratura alla Facoltà di Filo-
sofia, Scienze e Lettere di São João Del Rei, ha ini-
ziato a insegnare portoghese e inglese nelle scuole
di Belo Horizonte, Rio De Janeiro, Sao Joao del
Rei, Anapolis e Brasilia.
Un giorno ricevetti un invito da una sorella che mi
invitava a lavorare con lei in un centro di assistenza
sociale. Accettai l’invito e, con l’approvazione dell’I-
spettrice, ho iniziato a lavorare a Barbacena. Sono
rimasta lì per otto anni e poi sono stata assegnata
all’Opera sociale Chiara Palazzoli di Contagem (Belo
Horizonte), dove sono rimasta solo per un anno. In se-
guito, l’Ispettrice ha avuto bisogno di una sorella come
Direttrice dell’Opera sociale di Cachoeira do Campo,
ed eccomi qui”.
Attualmente suor Maria Helena è infatti Direttri-
ce dell’Opera sociale Nostra Signora Ausiliatrice di
Cachoeira do Campo, Minas Gerais, dove conti-
nua a dedicarsi instancabilmente e con passione alla
cura e alla promozione dei bambini e degli adole-
scenti, con un impatto positivo sulle loro famiglie
e sul territorio. L’Opera sociale è un’organizzazione
civile, senza scopo di lucro, delle Salesiane, i suoi
obiettivi sono la promozione dell’infanzia e dell’a-
dolescenza, il consolidamento dei legami familia-
ri e comunitari, la prevenzione delle situazioni di
rischio, sviluppando le potenzialità di bambini e
ragazzi perché diventino autonomi, protagonisti e
cittadini capaci di contribuire alla trasformazione
della società. Si rivolge alla popolazione che vive
in una situazione di vulnerabilità sociale derivante
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SETTEMBRE 2025

3.9 Page 29

▲torna in alto
da povertà e disagio dovuto, tra gli altri, a man-
canza di reddito, accesso precario o nullo ai servizi
pubblici e/o fragilità affettiva. Si occupa di bambini
e adolescenti di età compresa tra i 6 e i 14 anni,
offrendo loro, dal lunedì al venerdì, pranzo, me-
renda e diversi laboratori attraverso i quali si lavora
su temi quali la cittadinanza, l’ambiente, i valori,
il progetto di vita, la musica, la famiglia, la demo-
crazia e la cooperazione tramite attività sportive,
artistiche e culturali. La metodologia è basata sul
Sistema Preventivo di don Bosco e di Madre Maz-
zarello: “Ragione, Religione, Amorevolezza”.
Quello che faccio qui mi entusiasma, perché lavoro con
120 bambini e adolescenti, assistiti da dieci educatori che
compiono la loro missione con grande amore e dedizio-
ne. Abbiamo diversi laboratori per gli studenti, come:
supporto pedagogico, informatica, artigianato, progetto
di vita, sport, musica, teatro, danza, ecc.”. Suor Maria
Helena accoglie gli studenti, fa assistenza in cortile,
tiene riunioni per genitori ed educatori, offre accom-
pagnamento individuale a genitori e studenti.
Il 19 ottobre 2024, presso l’Auditorium Centro Con-
gressi Capretti a Brescia (Lombardia) l’Associazione
Carlo Marchini Onlus, dedita al sostegno dell’in-
fanzia in Brasile, ha assegnato a suor Maria Helena
il Premio Carlo Marchini in riconoscimento dell’im-
pegno profuso a favore dei bambini disagiati che vi-
vono nelle zone più povere del Paese”. L’importo del
Premio è di € 10 000, servirà nel corso del tempo
per acquistare libri da distribuire a 120 bambini e
adolescenti in situazione di vulnerabilità, realiz-
zando laboratori dedicati alla lettura, laboratori
esperienziali e una fiera di esposizione letteraria.
Educazione e solidarietà
La collaborazione di suor Maria Helena con l’As-
sociazione Carlo Marchini inizia nel 1995 come ri-
sposta ad un suo appello: aiutare i bambini più di-
sagiati del territorio. Quando nel 1998 suor Maria
Helena si trasferisce a Cachoeira do Campo, per
venire incontro alla situazione dei minori, l’Asso-
ciazione Carlo Marchini prende in carico 150 bam-
bini dell’Istituto Nossa Senhora Auxiliadora; oggi
circa 90 bambini, dai 7 ai 14 anni, vengono aiutati
tramite il sostegno a distanza.
Così ci descrive la situazione generale di chi fre-
quenta l’oratorio: «Si tratta di minori che provengono
da famiglie in situazione di forte vulnerabilità sociale
dovuta a povertà, assenza di stipendi fissi, scarso ac-
cesso ai servizi pubblici, fragilità dei vincoli affettivo-
relazionali e di apparte-
nenza sociale».
Il segno distintivo di suor
Maria Helena è l’atten-
zione a chi “resta indietro”,
il “praticare gentilezza a
casaccio e atti di bellezza
privi di senso”, come scri-
ve la scrittrice Anne Her-
ber, ed è la missione per
eccellenza che trasforma i
cuori.
SETTEMBRE 2025
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3.10 Page 30

▲torna in alto
GIOVANI SANTI
Giancarlo De Nicolò
“WHILE MY
Sean Devereux:
HEART BEATS” giovane, volontario
in Africa, martire.
Sean era giovane, si era formato in un contesto salesiano, aveva vissuto da animatore e con metodo prettamente
salesiano i suoi anni di docente, aveva accolto, rispondendo a moti del cuore e a proposte concrete di un amico,
la “vocazione” missionaria per essere vicino ai più bisognosi, soprattutto giovani sfruttati, “giovani soldati” gettati
al macello nelle guerre locali al servizio dei “signori della guerra”; aveva scelto la missione più difficile e rischiosa.
2gennaio 1993. Tania, la sorella minore di
Sean Devereux, si sveglia con una sensa-
zione di angoscia inspiegabile. In qualche
modo riguarda suo fratello, anche se non
sentire giunge come un fulmine a ciel sereno: Sean
è stato assassinato a Kismayo, in Somalia. Un vile
attentato, un colpo alla nuca che ha spento per sem-
pre il suo sorriso contagioso e la sua energia debor-
sa come e perché. Forse perché sua sorella mag- dante. Il sogno di un mondo più giusto, di un’A-
giore Theresa – di ritorno da
Nairobi dove aveva visto Sean
per le vacanze natalizie – le ha
Non si può rimanere
frica libera dalla fame e dalla
violenza, si è infranto su una
in silenzio davanti strada polverosa, sporcata dal
parlato di lui con apprensione.
Poche ore dopo, la notizia che
nessuno avrebbe mai voluto
all’ingiustizia
(Sean Devereux)
sangue innocente di un uomo
buono. La sua energia si è dis-
solta in un istante, lasciando
un vuoto incolmabile nei cuori di chi lo amava.
Era un ragazzo
brillante,
dotato di
un‘intelligenza
vivace e di una
personalità
carismatica
che lo rendeva
popolare tra
i coetanei. La
sua passione
per lo sport,
in particolare
per il calcio, lo
accompagnerà
per tutta la vita,
diventando in
seguito uno
strumento
prezioso
per stabilire
relazioni con i
giovani africani.
La notizia si diffonde rapidamente, portando con
sé un’ondata di dolore e incredulità. La famiglia
Devereux è distrutta. Gli amici, i colleghi, gli stu-
denti, tutti coloro che hanno avuto la fortuna di
incrociare il suo cammino, sono sconvolti dalla per-
dita improvvisa e tragica di un uomo speciale, un
eroe dei nostri tempi, anche se lui personalmente
non si sentiva così e mai avrebbe desiderato essere
ricordato così, ma soltanto come uno che giudica la
sua vita come “un dovere morale” e sente di dover ri-
spondere a “una chiamata interiore”.
Le radici di un ideale
Sean Patrick Devereux nasce il 25 novembre 1964 a
Camberley, nel Surrey, in Inghilterra, in una fami-
glia cattolica di origini irlandesi. Figlio di Maureen e
Christopher Devereux, cresce in un ambiente amo-
30
SETTEMBRE 2025

4 Pages 31-40

▲torna in alto

4.1 Page 31

▲torna in alto
revole e carico di valori, dove la fede e il senso di giu-
stizia rappresentano pilastri fondamentali. La madre
Maureen, insegnante di matematica, e il padre, im-
piegato, gli trasmettono fin da piccolo l’importanza
dell’istruzione e del rispetto per ogni essere umano.
“Sean era un bambino solare, sempre pronto ad
aiutare gli altri,” ricorda la mamma. “Aveva questa
capacità innata di percepire il dolore altrui e di sen-
tirsi chiamato a fare qualcosa per alleviarlo. Ricor-
do che già alle elementari difendeva i compagni più
deboli dal bullismo, senza mai usare la violenza,
ma con la forza della parola e dell’esempio.”
L’infanzia di Sean trascorre serena tra la scuola e le
attività parrocchiali. È un ragazzo brillante, dotato
di un’intelligenza vivace e di una personalità cari-
smatica che lo rende popolare tra i coetanei.
La sua passione per lo sport, in particolare per il
calcio, lo accompagnerà per tutta la vita, diventan-
do in seguito uno strumento prezioso per stabilire
relazioni con i giovani africani.
Dopo aver completato gli studi primari, Sean fre-
quenta il Salesian College di Farnborough, una scuo-
la gestita dai Salesiani di Don Bosco. Qui, oltre a ri-
cevere un’educazione di qualità, entra in contatto con
i principi pedagogici di don Bosco, basati sull’amore
preventivo e sull’educazione integrale della persona,
principi che influenzeranno profondamente il suo
approccio all’insegnamento e al lavoro umanitario.
Al termine degli studi secondari, Sean decide di
proseguire la sua formazione presso l’Università di
Birmingham, dove si laurea in Scienze dello Sport.
James Wilson, amico e compagno di università,
racconta: “Sean era un vulcano di energia e di idee.
Mentre molti di noi pensavano a divertirsi e a co-
struirsi una carriera, lui parlava già di andare nei
paesi in via di sviluppo per aiutare chi era meno
fortunato. Ricordo che una volta, dopo aver letto
un articolo sulla carestia in Etiopia, passò l’inte-
ra notte a discutere di come avremmo potuto fare
qualcosa di concreto.
Su questa base umana matura una vocazione spe-
ciale, come ricorda Fr John Dickson, insegnante di
Sean al Salesian Colle-
ge: “Ricordo Sean come
un ragazzo vivace, intel-
ligente e sempre pronto
ad aiutare gli altri. Era
evidente che avesse una
forte simpatia per i valo-
ri salesiani e che voles-
se fare la differenza nel
mondo. Si distingueva
per la sua capacità di coinvolgere gli altri e per il suo
entusiasmo contagioso”.
Durante i quattro anni trascorsi come insegnante
in Inghilterra, Sean in effetti matura sempre più
la convinzione che la sua missione si estenda oltre
i confini del suo paese. Le notizie che giungono
dall’Africa, flagellata da guerre, carestie e povertà,
lo toccano profondamente.
Il battesimo africano:
l’esperienza in Liberia
Nel 1989, a 25 anni, Sean prende una decisione che
cambierà per sempre il corso della sua esistenza: si
offre volontario per insegnare in una missione sa-
lesiana in Liberia. Quando Sean sbarca in Liberia
nell’aprile del 1989, il paese è sull’orlo di una guerra
civile che scoppierà pochi mesi dopo. La Liberia,
fondata nel 1847 da ex schiavi americani tornati in
Africa, sta vivendo gli ultimi anni della dittatura
di Samuel Doe, caratterizzata da corruzione, viola-
zioni dei diritti umani e tensioni etniche.
Sean viene assegnato alla Don Bosco Technical
School di Monrovia, la capitale, dove insegna edu-
cazione fisica e matematica. Come in Inghilterra, si
Sean (a sinistra)
nella scuola
salesiana.
Sotto: Con i
collaboratori.
SETTEMBRE 2025
31

4.2 Page 32

▲torna in alto
GIOVANI SANTI
La mamma
di Sean tra
i bambini
come suo
figlio.
rivela un insegnante carismatico e innovativo, capace
di conquistare la fiducia degli studenti e di stimo-
larli a dare il meglio di sé. Ma il contesto è radical-
mente diverso: qui i ragazzi vivono quotidianamente
nell’insicurezza, molti di loro hanno perso i genitori
o sono stati testimoni di violenze, e la povertà è una
realtà con cui devono fare i conti ogni giorno.
Padre Antonio Russo, missionario salesiano che la-
vorava con Sean in quel periodo, ricorda: “Quando
Sean arrivò, fu come se un soffio di aria fresca en-
trasse nella scuola. Aveva un entusiasmo contagioso
e non si lasciava scoraggiare dalle difficoltà. Orga-
nizzava tornei di calcio, attività sportive, ma soprat-
tutto sapeva ascoltare i ragazzi, comprendere i loro
problemi, essere per loro un punto di riferimento.”
La scuola salesiana di Monrovia si trasforma in un
centro di accoglienza per i rifugiati che fuggono dai
combattimenti. Sean, insieme agli altri missionari,
lavora instancabilmente per fornire cibo, riparo e as-
sistenza medica a migliaia di persone disperate. Non
si limita a distribuire aiuti, ma si impegna anche a
documentare le atrocità commesse, raccogliendo te-
stimonianze e denunciando le violazioni dei diritti
umani, sia attraverso i canali della Chiesa che trami-
te i contatti con la stampa internazionale. “Sean non
aveva paura di denunciare ciò che vedeva,” racconta
il giornalista Tim Butcher del Daily Telegraph, che
lo incontrò in quel periodo. “Mentre molti operatori
umanitari cercavano di mantenersi neutrali per poter
continuare il loro lavoro, lui riteneva che di fronte
a certe atrocità non si potesse rimanere in silenzio.
Mi fornì informazioni preziose su massacri che altri-
menti non sarebbero mai stati documentati.”
Questa presa di posizione netta contro le violenze
mette presto Sean in pericolo. Riceve minacce, viene
fermato ai posti di blocco, subisce intimidazioni. Ma
invece di lasciare il paese, come fanno molti stranie-
ri, decide di restare, trasferendosi a Buchanan, una
città costiera a sud di Monrovia, dove la situazione
è leggermente più sicura. Nel settembre 1990, viene
arrestato da un gruppo di soldati governativi che lo
accusano di sostenere i ribelli. Viene picchiato e mi-
nacciato di morte, ma grazie all’intervento dell’amba-
sciata britannica viene rilasciato dopo alcuni giorni.
L’esperienza in prigione, lungi dal fiaccare il suo
spirito, rafforza in Sean la determinazione a con-
tinuare il suo lavoro. “Ciò che ho visto mi ha con-
vinto ancora di più che non possiamo chiudere gli
occhi,” scrive in una lettera ai genitori. “Le persone
qui stanno soffrendo terribilmente e il mondo sem-
bra non accorgersene. Non posso abbandonarle.”
L’impegno in Somalia:
l’ultima missione
Dopo un breve periodo in Inghilterra, durante
il quale Sean si dedica a sensibilizzare l’opinione
pubblica sulla situazione in Liberia attraverso con-
ferenze e interviste, nel 1992 decide di tornare in
Africa. unicef gli offre un incarico in Somalia, un
paese devastato dalla guerra civile e dalla carestia,
dove milioni di persone sono a rischio di fame.
“Quando gli proposi l’incarico in Somalia, lo avvi-
sai che si trattava di una delle missioni più pericolo-
se,” ricorda James Hamilton, funzionario dell’uni-
cef che reclutò Sean. “Mi rispose semplicemente:
‘Se non vado io, chi andrà? Questi bambini hanno
bisogno di aiuto ora, non possiamo aspettare che la
situazione migliori’”.
La Somalia del 1992 è in una situazione catastro-
fica. Dopo la caduta del dittatore Siad Barre nel
1991, il paese è precipitato nell’anarchia, fram-
mentato in territori controllati da vari signori della
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4.3 Page 33

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guerra. La carestia, aggravata dal conflitto, miete
vittime soprattutto tra i bambini. Le immagini di
bambini scheletrici con il ventre gonfio fanno il
giro del mondo, suscitando l’indignazione dell’opi-
nione pubblica internazionale.
Sean viene inviato a Chisimaio, una città portuale
nel sud del paese, come coordinatore dei programmi
alimentari dell’unicef. Il suo compito è organizza-
re la distribuzione di cibo nelle zone rurali e gestire
i centri di alimentazione terapeutica per i bambini
malnutriti. È un lavoro complesso e pericoloso, che
richiede non solo competenze organizzative, ma an-
che una grande capacità di negoziazione con le varie
fazioni armate che controllano il territorio.
Ma, come in Liberia, Sean si scontra presto con
il problema della corruzione e del dirottamento
degli aiuti. “Non permetterò che il cibo destinato
ai bambini affamati finisca nelle mani di chi già
ha troppo,” dichiara durante una riunione con i
capi locali. “Questi aiuti non sono miei, non sono
dell’unicef, sono del popolo somalo, di tutti i so-
mali, non solo di alcuni clan.”
Questa posizione intransigente gli vale crescenti
minacce. In più occasioni, convogli di aiuti da lui
guidati vengono fermati e saccheggiati. Sean stesso
subisce intimidazioni dirette. In una lettera ai ge-
nitori, scritta poche settimane prima della sua mor-
te, racconta: “La situazione qui è tesa. Alcuni non
apprezzano il nostro lavoro perché minaccia i loro
interessi. Ma la maggior parte della popolazione ci
sostiene e questo mi dà la forza di continuare.”
Nonostante i rischi, Sean rifiuta la scorta armata
che gli viene offerta, convinto che ciò contraddi-
rebbe lo spirito della sua missione. “Non posso
predicare la pace con una pistola in mano,” spiega
ai colleghi preoccupati per la sua sicurezza. “Se ini-
ziamo a muoverci con le armi, diventiamo parte del
problema”. Hassan, un autista dell’unicef che vide
Sean poco prima della sua morte, racconta: “Quel-
la mattina sembrava preoccupato, ma determinato
come sempre. Mi disse che aveva ricevuto nuove
minacce, ma che non poteva lasciare il suo lavoro
a metà. ‘Ci sono troppi bambini che contano su di
noi’, mi disse. ‘Non possiamo deluderli’”.
Il 2 gennaio 1993, mentre si reca a piedi da casa
all’ufficio unicef di Chisimaio, Sean viene assas-
sinato con un colpo di pistola alla nuca da un sicario
rimasto sconosciuto. Aveva 28 anni.
Fatima, una donna che si trovava sulla strada quan-
do Sean fu ucciso, ricorda: “Ho visto un uomo avvi-
cinarsi a lui alle spalle e sparare. Sean è caduto senza
un grido. La gente intorno è scappata, io sono rima-
sta paralizzata. Non riuscivo a credere che avessero
ucciso l’uomo bianco che aiutava i nostri bambini.”
La sua morte provoca indignazione a livello inter-
nazionale e cordoglio tra la popolazione somala che
aveva imparato ad amarlo e a rispettarlo. Il funera-
le si svolge nella cattedrale di Arundel, in Inghil-
terra, alla presenza di centinaia di persone, tra cui
rappresentanti dell’unicef, della Chiesa cattolica
e del governo britannico. Contemporaneamente, a
Chisimaio, la popolazione organizza una cerimo-
nia di commemorazione, con preghiere secondo la
tradizione islamica. “Sean è morto come ha vissu-
to, al servizio degli altri,” dichiara il rappresentante
dell’unicef durante il funerale. “Il suo sacrificio
non sarà vano se continueremo la sua battaglia con-
tro l’indifferenza e l’ingiustizia.”
A 30 anni dal suo assassinio, rimane vivo il suo
messaggio “While my heart beats”. Un cuore che
batte per i poveri e contro le ingiustizie, le violenze,
i soprusi, le guerre. Un battito che risuona anche
nel cuore di tanti giovani che si sentono chiamati
in causa dal Signore e dalle grida di sofferenza dei
poveri.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 19
ASCOLTARE i figli
La maggior parte dei genitori
crede di ascoltare i propri figli.
Sembra un’attività semplice e
scontata. Eppure quante volte
mamma e papà ascoltano
veramente e sinceramente,
con piena attenzione ciò che
i figli dicono o cercano di dire?
L’ospitalità dell’ascolto
Vi è un’ospitalità che consiste nell’aprire le porte di
casa, ma vi è anche un’ospitalità che consiste nell’a-
prire le orecchie: è l’ospitalità dell’ascolto. Ascol-
tare il figlio è dargli sicurezza emotiva, è offrirgli
un anticipo di fiducia; se ti ascolto, è segno che ti
stimo! Ascoltare è già, in qualche modo, risponde-
re. Lo notava l’esperto psicanalista francese Jacques
Lacan: “Purché ci sia chi ascolta, non c’è parola
senza risposta, anche se cade nel silenzio”.
Non basta ‘sentire’: ‘sentire’ è un problema di acu-
stica, ‘ascoltare’ è un problema di cuore. ‘Ascoltare’
è lasciare che le parole dell’altro penetrino dentro
di noi, nel profondo, e vi risuonino con tutta la loro
forza.
In concreto.
Non diciamo al figlio: “Lasciami in pace; ho
troppo da fare; cosa vuoi ancora?”
Sediamoci vicino.
Concentriamo la nostra attenzione tranquilla su
di lui.
Non sbirciamo continuamente l’orologio.
Guardiamolo in faccia. Non si ascolta solo con
le orecchie, ma con tutto se stessi. Si ascolta con
lo sguardo, con gli occhi accoglienti che fanno
capire che lui, il figlio, in quel momento rappre-
senta, per noi, il mondo.
Il segreto di don Bosco
«Si dia agio agli allievi di esprimere liberamente i
loro pensieri» diceva don Bosco ai suoi collaborato-
ri. Insisteva: «Li ascoltino, li lascino parlare molto».
Don Bosco, per primo, fu un esempio di «ascolto».
Una celebre fotografia lo ritrae durante le confes-
sioni dei ragazzi: tutta la sua persona è in ascolto,
assorbita nell’attenzione.
Le Memorie Biografiche (VI, 438-439) ricordano:
«Nonostante le sue molte e gravi occupazioni, era
sempre pronto ad accogliere in sua camera, con un
cuore di padre, quei giovani che gli chiedevano
un’udienza particolare. Anzi voleva che lo trattas-
sero con grande famigliarità e non si lagnava mai
dell’indiscrezione colla quale era da essi talora im-
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portunato. Lasciava a ciascuno piena libertà di far
domande, esporre gravami, difese, scuse...
Li riceveva con lo stesso rispetto col quale trattava i
grandi signori. Li invitava a sedere sul sofà, stando
egli seduto al tavolino, e li ascoltava colla maggior
attenzione come se le cose da loro esposte fossero
tutte molto importanti...»
La maggior parte dei genitori crede di ascoltare i
propri figli. Sembra un’attività semplice e scontata.
Eppure quante volte mamma e papà ascoltano
veramente e sinceramente, con piena attenzione ciò
che i figli dicono o cercano di dire?
«Io parlo, parlo, ma nessuno mi ascolta» brontola
Corinna (8 anni). E Giuditta (7 anni): «Allora, la
sera, a letto, giro le spalle a tutti quanti, mi met-
to contro il muro e mi parlo, perché almeno io mi
ascolto». Nella sala-colloqui di un istituto correzio-
nale, un giovane disse amaramente al padre: «Papà,
ti rendi conto che in vent’anni è la prima volta che
mi stai ad ascoltare?».
Spesso, quando i genitori cercano di obbligare i figli
a parlare di un determinato problema, non ap-
prodano a nulla, finiscono per irritarsi a vi-
cenda e la comunicazione si interrompe.
Ascoltiamolo con simpatia, anche se
non siamo d’accordo sui suoi hob-
by, su alcune sue stranezze.
Non interrompiamolo tutti i
momenti e neppure diamo su-
bito un giudizio: “Quello che
hai fatto è una grossa stupi-
data!”, lasciamo che il figlio si
sfoghi, si sciolga.
Rispondiamo a tono alle even-
tuali domande.
I genitori sono abituati a parlare
ai figli. Devono abituarsi a parlare
con i figli e i figli impareranno che
il dialogo comincia sempre dall’ascol-
to dell’altro.
Se tale sarà il nostro ascolto, non solo regalere-
mo al figlio un’ottima medicina psichica (l’ascolto
è sempre terapeutico!), ma anche una straordinaria
esperienza di incontro umanizzante, cioè educante:
incontro indimenticabile e più efficace di mille pa-
role, le parole si possono dimenticare, gli abbracci
no. Ascoltare è abbracciare!
Ascoltare è far vivere, ce lo ricorda questa dolce fa-
vola: Tanti anni fa, in Cina, vivevano due amici.
Uno era molto bravo a suonare l’arpa. L’altro era
molto bravo nell’ascoltarlo.
Quando il primo suonava o cantava una canzone che
parlava, ad esempio, di montagna, il secondo diceva:
“Vedo la montagna come se l’avessi davanti!”
Quando il primo suonava a proposito di un ruscel-
lo, quello che ascoltava diceva, estasiato: “Sento
scorrere l’acqua tra le pietre!”. Ma un triste gior-
no quello che ascoltava si ammalò e morì, il primo
amico tagliò le corde della sua arpa e non suonò
mai più.
Esistiamo, veramente, solo se qualcuno ci ascolta.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’AMOR che move
il SOLE e l’altre STELLE
Comunque andare, anche quando ti senti morire,
per non restare a fare niente aspettando la fine.
Andare, perché ferma non sai stare,
ti ostinerai a cercare la luce sul fondo delle cose.
«Chi si ferma è perduto»! È quanto
recita un vecchio detto popolare,
condensando in poche, semplici
parole la saggezza antica di una
civiltà che aveva compreso molto bene l’importan-
za di mettere un piede davanti all’altro per poter
procedere in modo spedito verso il futuro, rifug-
gendo dalla tentazione di un’inerzia che porta sem-
Comunque andare,
anche quando ti senti morire,
per non restare a fare niente
aspettando la fine.
Andare, perché ferma non sai stare,
ti ostinerai a cercare la luce
sul fondo delle cose.
Comunque andare,
anche solo per capire
o per non capirci niente,
però all'amore poter dire:
“Ho vissuto nel tuo nome!”.
E ballare e sudare sotto il sole,
non mi importa se mi brucio la pelle,
se brucio i secondi, le ore;
mi importa se mi vedi e cosa vedi,
sono qui davanti a te,
coi miei bagagli
ho radunato paure e desideri...
pre con sé il rischio di trasformarsi in sterile immo-
bilismo. Se è vero, infatti, che le soste e i momenti
di riposo lungo il percorso si rivelano essenziali
per prendere fiato, ricalibrare la rotta e radunare le
energie necessarie ad affrontare il tratto di strada
che ci aspetta, indugiare troppo a lungo nella stasi
dell’ozio può farci perdere di vista la meta verso cui
siamo diretti, facendoci smarrire il gusto stesso del
viaggiare e fiaccando in noi il proposito di prose-
guire nel cammino.
È quanto avviene, a volte, anche ai giovani impe-
gnati nel proprio itinerario di crescita, inevitabil-
mente segnato da momenti di stanchezza, di de-
motivazione, di scoraggiamento che, per quanto
fisiologici in ogni percorso, se vissuti con passività
e non come un’occasione per fare un bilancio delle
scelte fatte e per risignificare o magari anche rimo-
dulare il proprio progetto di vita, possono tradursi
in una condizione permanente. Non è raro, infatti,
che nel difficile cammino verso l’adultità ci si areni
nelle secche di un’apatia che azzera ogni volontà di
andare avanti. Una simile situazione di stallo può
essere il frutto della paura di mettersi in gioco, del-
le tante delusioni sperimentate anche a fronte del
proprio impegno e dei sacrifici fatti, dell’incapacità
di trovare dentro di sé una ragione forte in grado di
riaccendere l’entusiasmo e riattivare il dinamismo
dell’andare...
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4.7 Page 37

▲torna in alto
Ma mai come in questi momenti è fondamenta-
le ricordarsi che il segreto di ogni viaggio sta nel
trovare il coraggio di fare il primo passo: spesso
il più difficile da compiere, ma anche quello che
ci permette di ridare slancio alla voglia di cammi-
nare! Non ha importanza che sia un piccolo passo,
magari incerto e malsicuro. Non importa neppure
che siamo convinti di aver imboccato la direzione
giusta. Ciò che conta è andare avanti, anche lenta-
mente, magari procedendo per tentativi ed errori,
ma comunque accettando la sfida di riprendere la
strada. E una volta che avremo ripreso il cammi-
no, forse scopriremo con sorpresa che, passo dopo
passo, il nostro procedere si è fatto più lesto, che le
gambe si sono irrobustite e che anche il fia-
to è diventato meno corto, al punto che
avvertiamo sempre meno la stanchezza
dell’andare.
Affinché rinasca in noi la dispo-
nibilità a rimetterci in cammino
spesso, però, non è sufficiente fare
appello alle nostre energie inte-
riori. Talvolta, abbiamo bisogno
di una motivazione più forte, di
qualcosa che ci sproni a su-
perare le nostre paure, che
guarisca le nostre ferite,
che ci restituisca la
speranza nella possi-
bilità di dare un nuo-
vo significato alla
nostra esistenza. E
questa motivazione
non può che essere
l’Amore! Quell’A-
more che «move il
sole e l’altre stelle» –
come ha scritto Dante
in un celebre verso della
sua Commedia –, ma che è
in grado di mettere in mo-
vimento anche noi, ricon-
Comunque andare,
anche quando ti senti svanire,
non saperti risparmiare,
ma giocartela fino alla fine.
E allora andare, che le spine si fanno sfilare,
e se chiudo gli occhi sono rose
e il profumo che mi rimane...
Comunque andare, perché ferma non so stare,
in piedi, a notte fonda, sai che mi farò trovare.
E voglio ballare e sudare sotto il sole,
non mi importa se mi brucio la pelle,
se brucio i secondi, le ore.
E voglio sperare quando non c'è
più niente da fare,
voglio essere migliore, finché ci sei tu
e perché ci sei tu da amare!
Dimmi se mi vedi e cosa vedi,
mentre ti sorrido,
io coi miei difetti
ho radunato paure e desideri...
(Alessandra Amoroso, Comunque andare, 2016)
ciliandoci con i nostri difetti e con
le “spine” che ci portiamo dentro e
spingendoci ad essere migliori.
È l’Amore, infatti, che ci dà il
coraggio di rimetterci in gioco,
che ci fa riconoscere la luce
anche nelle situazioni più
buie, che ci infonde la
forza per affrontare
ogni ostacolo e ci re-
stituisce la voglia di
andare avanti senza
risparmiarci. Per-
ché solo quando
amiamo e ci sen-
tiamo amati riu­
sciamo a cammi-
nare con letizia ed
è nella relazione che
riscopriamo la bellezza
del viaggio, spingendoci
ogni giorno un po’ più
in là.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
“IL SACRO
ESPERIMENTO” Gioia e dolore
del pioniere
dell’isola
Dawson
monsignor
Fagnano
Uno dei primi
laboratori.
Il 20 gennaio 1880, don Giuseppe Fagnano si
installò con alcuni salesiani e Figlie di Maria
Ausiliatrice sulle rive del Río Negro (Argen-
tina), dove rimase sette anni. Vi costruì opere
educative (scuole, chiese, laboratori per artigiani,
casa di formazione…), promosse opere sociali (so-
cietà di mutuo soccorso, osservatorio meteorologi-
co, centro sanitario…) e avvicinò piccoli centri di
indigeni lungo le sponde del grande fiume. Nella
primavera del 1881, come cappellano dell’esercito,
lo risalì fino alle Ande, per poi ridiscenderlo sem-
pre allo scopo di entrare in contatto con gli indige-
ni, difenderli dalle inevitabili violenze dei militari
e soprattutto evangelizzarli. Nel frattempo anche
don G. Beauvoir e don D. Milanesio facevano al-
trettanto.
Nominato nel dicembre 1883 Prefetto apostolico del-
la Patagonia meridionale, delle Malvine e delle iso-
le oltre lo stretto di Magellano, dall’ottobre 1886 al
gennaio 1887 don Fagnano, in compagnia di alcuni
marinai e soldati, in un avventuroso e tragico viag-
gio poté ampiamente esplorare la Terra del Fuoco
per rendersi conto della presenza colà di gruppi di
indios. Ovviamente la convivenza con i militari,
condizione sine qua non per inoltrarsi fra gli indi-
geni, costituiva sempre un problema di coscienza.
Nel luglio 1887 si trasferì a Punta Arenas (1500
ab.), meta in quegli anni di commercianti cosmo-
politi, piccoli armatori di navi, cercatori d’oro,
avventurieri. Colà fondò collegi, luoghi di culto,
scuole e oratori per i giovani. Il suo sogno era però
la salvezza degli indios. Da tempo erano in corso
violente scorrerie di indigeni contro i cercatori di
oro, contro gli estancieros che dove arrivavano allon-
tanavano con la forza delle armi gli indios ed ucci-
devano i guanachi, principale loro alimento.
Il coraggiosissimo pioniere don Fagnano prospet-
tava una sua soluzione. Ancora prima di trasferir-
si sullo stretto di Magellano aveva infatti scritto a
don Bosco (26 gennaio 1887): “Con quanta facilità
potrebbe il Governo nazionale civilizzare quei poveri
selvaggi passando loro qualche razione di viveri ed eri-
gendo fra essi una scuola pei maschi ed un’altra per le
femmine come centro della Missione! In due o tre anni
quei miseri, potrebbero, a mio parere, essere utilizzati
nell’agricoltura come giornalieri, o come marinai, e co-
stituirebbero sempre una speranza ed un rifugio per i
naufraghi della Terra del Fuoco”.
E un mese dopo essere arrivato a Punta Arenas (30
agosto 1887): “Abbiamo bisogno di correre tutte le iso-
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le, i canali dove vivono i selvaggi, per annunziar loro
la buona novella del Vangelo, trasportarli in un punto
solo e attendere alle loro necessità spirituali e materiali.
Non si potrà ottener conversioni se non si provvede ai
selvaggi vitto, vestito e sementi per un anno”.
Monsignor Fagnano affittò allora una goletta, vi im-
barcò cavalli, pecore, alimenti, equipaggio e si lan-
ciò in escursioni delle isole fueghine. L’affitto della
goletta costava troppo, per cui nel 1889 ne comperò
una propria, la “Maria Auxiliadora”. Esplorò così in
lungo e in largo l’isola Dawson e nel 1890 ne otten-
ne dal governo cileno il possesso per vent’anni. Con
grande fatica e molto dispendio di denaro, un minu-
scolo drappello di Salesiani disboscarono un’ampia
zona costiera, vi costruirono un centinaio di casette,
vi trasportarono bestiame, vestiario e attrezzi e vi
avviarono una segheria con un motore recuperato da
un vapore fuori uso. Radunandovi qualche centinaio
di indigeni tentarono così una problematica opera-
zione di salvataggio delle etnie locali.
In una sua visita alcuni anni dopo così descriveva
la “Missione San Raffaele”: A fianco del piazzale che
prospetta la Chiesa vidi innalzato un bell’Ospedale con
due vaste sale, che possono già prestare un buon servizio
in caso di bisogno; accanto al fabbricato delle Suore di
Maria Ausiliatrice una casa per le vedove e per le nubi-
li; più in giù molte nuove case per gli Indii; poi una sega
a vapore che lavora incessantemente per dare i materia-
li di costruzione; e quello che più mi fece impressione, un
gran lanificio, dove stanno occupate tutte le donne e le
ragazze Indie. Che bello spettacolo vedere queste pove-
re creature, dall’aspetto sì selvaggio, affaccendarsi con
tanta intelligenza in questo laboratorio, chi in lavare
la lana, chi in cardarla, altre in torcerla ed altre in tes-
serne coperte da letto, stoffe pei loro vestiti, cappe per le
donne e mantelli per gli uomini, i quali attendono alla
coltivazione della terra. Le ragazze poi interne dell’O-
spizio delle Suore… È questo un vero paesello di cam-
pagna, che conta 450 persone, a cui bisogna procurare
tutto, vitto, vestito, istruzione, educazione, infonder
loro l’idea della civilizzazione cristiana e indirizzarli
al lavoro, dal quale rifuggono come per natura (1° ago-
sto 1897). Nella Missione Buon Pastore sulla punta
orientale dell’isola le Figlie di Maria Ausiliatrice
tenevano un altro gruppo di ragazze.
Ma malattie infettive, portate dall’estero e diffuse
in regime di sedentarietà, convivenza e uso di in-
dumenti per coprirsi cominciarono inesorabilmente
a mietere vittime su vittime senza riuscire a porvi
rimedio: “li occupiamo piuttosto nei lavori materiali
all’aria aperta, affinché crescano più robusti […] Pro-
vai un po’ di pena nel sentire la notizia della morte
di alcuni, causa la polmonite che li attacca inesorabil-
mente sia nella Missione, sia nei boschi ed alle rive del
mare. È un vero bisogno la permanenza d’un medico
nelle Missioni munito di rimedii e specialmente di olio
di merluzzo, l’unico ricostituente della loro debole com-
plessione” (20 febbraio 1900).
Allo scadere della convenzione governativa sull’isola
Dawson rimanevano pochi indigeni. Vennero allora
trasferiti sull’isola Grande della Terra del Fuoco, alla
foce del Rio Grande, dove nel 1893 lo stesso monsi-
gnor Fagnano, su un vasto terreno ottenuto in modo
precario dal governo argentino, aveva raccolto centi-
naia di ovini e bovini e provveduto alla costruzione
della grande missione, “Nostra Signora della Cande-
laria”, oggi monumento nazionale.
Il Sacro esperimento della “fine del mondo”, finito
con un insuccesso, va anche detto che, se non era
teoricamente l’unica alternativa possibile, in effetti
fu l’unica realizzata per preservare gli indios dalla ri-
conosciuta violenza dei bianchi, per metterli in con-
dizioni di prepararsi a una futura integrazione nella
società cilena ed argentina.
I primi
contatti.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
Nel mese di settembre preghiamo per la beatificazione e
canonizzazione del Servo di Dio Włodzimierz Szembek,
salesiano sacerdote
Włodzimierz Szembek, figlio dei
conti Zygmunt e Klementyna del-
la famiglia Dzieduszycki, nacque
il 22 aprile 1883 a Poręba Żegoty,
vicino Cracovia. Nel 1907 conse-
guì la laurea in ingegneria agra-
ria presso l’università Jagellonica
di Cracovia. Per circa vent’anni si
occupò dell’amministrazione dei
poderi della madre e fu impegna-
to nell’apostolato
laico. Compiuti i 40
anni, la vocazione
religiosa del Servo di
Dio giunse a matura-
zione. Il 4 febbraio
1928 entrò nell’aspi-
rantato salesiano di
Oświęcim. Sul finire
del 1928 iniziò il no-
viziato a Czerwińsk.
Emise la professione
religiosa il 10 ago-
sto 1929. Il 3 giugno
1934 ricevette l’ordi-
nazione sacerdotale
a Cracovia. Divenne
segretario ispetto-
riale e nel 1941 vice
parroco a Skawa. Arrestato dalla
Gestapo il 9 luglio 1942 e impri-
gionato a Nowy Targ, il 19 agosto
successivo fu condotto nel campo
di concentramento di Auschwitz,
dove, stremato dalle sofferenze
e dal lavoro disumano, morì il 7
settembre 1942, avendo 59 anni.
Per 13 anni fu salesiano e per 8
sacerdote.
Ringraziano
Peter Khanh Nguyen Huy Chien,
SDB, chierico vietnamita, segnala
il 25 maggio 2025 il miglioramen-
to imprevisto delle condizioni del-
la sorella minore Maria Nguyen
Thi Trinh, in seguito all’interces-
sione del Servo di Dio don Andrej
Majcen. Maria, nata nel 1994 con
Trisomia 21 (Sindrome di Down)
accusando una cardiopatia con-
genita, ha avuto nell’agosto 2022
l’ennesimo infarto. In condizioni
critiche e con compromissione
multifattoriale, la paziente do-
vette essere intubata. Alcuni gior-
ni più tardi, il 13 agosto, data l’e-
strema gravità, la famiglia chiese
le venisse amministrata l’Estrema
Unzione, mentre il 15 agosto un
medico consigliò di portarla a
casa, non essendoci più speranza
alcuna di guarigione. Da casa, la
famiglia provvide a organizzare
il servizio funebre, in vista del
Preghiera
Signore Gesù Cristo,
vincitore della morte, dell’inferno e di satana,
ti rendiamo grazie per il dono dell’amore e della fortezza
che rifulse nel tuo servo Włodzimierz Szembek,
fedele alla sua vocazione nella persecuzione e nel martirio.
Umilmente ti supplichiamo
di glorificare questo tuo testimone;
concedici la grazia che per sua intercessione
fiduciosi ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
21 maggio 2025: la Santa Sede concede il Nulla Osta per l’apertu-
ra della Causa del Servo di Dio Gaetano Nicosia (San Giovanni La
Punta - Catania 3 aprile 1915 - Hong Kong [Cina] 6 novembre 2017),
Sacerdote Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco,
missionario in Cina.
30 maggio 2025: Chiusura a Lima (Perù) dell’Inchiesta diocesa-
na della Causa di Luigi Bolla (1932-2013), missionario salesiano
tra gli indios Shuar e Achuar dell’Ecuador e del Perù.
5 giugno 2025: consegna presso il Dicastero delle Cause dei San-
ti in Vaticano e della Positio super Vita, Virtutibus et Fama
Sanctitatis del Servo di Dio Andrej Majcen (1904-1995), missio-
nario salesiano in Cina e Vietnam.
13 giugno 2025: nel corso del Concistoro, papa Leone XIV ha de-
cretato che la Beata Maria Troncatti, Suora Professa dell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sia iscritta nell’Albo dei Santi
domenica 19 ottobre 2025.
4 luglio 2025: chiusura, presso il Vicariato di Roma, della fase dio-
cesana del processo di beatificazione e canonizzazione della
Serva di Dio Madre Rosetta Marchese (Aosta 20 ottobre 1922
- Roma 8 marzo 1984), Figlia di Maria Ausiliatrice e superiora Ge-
nerale delle FMA.
suo imminente decesso. Per 3 o
4 volte, Maria entrò in agonia,
riuscendo a superare i momenti
critici. Il 17 agosto, constatan-
do la sofferenza che le causava
l’intubazione, la famiglia decise
di [farla] estubare, consapevole
dei rischi. Da quel momento tut-
tavia Maria, per la quale si era
cominciato a pregare con fervore
il Servo di Dio don Majcen, andò
migliorando, sino a una completa
ripresa. Ora prosegue nel cammi-
no, gravato dai problemi di salute
ma senza sequele per la grave cri-
ticità affrontata.
40
SETTEMBRE 2025

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ANS
Don Bartolomeo Giaccaria
Morto il 3 giugno 2025 a Campo Grande (Brasile),
a 92 anni.
Una vita dedicata ai popoli indigeni
Ha raggiunto la Casa del Padre
all’alba di martedì 3 giugno 2025,
a Campo Grande (Mato Grosso do
Sul, Brasile), il sacerdote salesiano
don Bartolomeo Giaccaria, all’età
di 92 anni. Originario di Chiusa di
Pesio, in provincia di Cuneo (Ita-
lia), don Giaccaria ha dedicato ol-
tre settant’anni della sua vita alla
missione evangelizzatrice e alla
difesa dei diritti dei popoli indige-
ni, in particolare degli Xavante. La
sua figura è riconosciuta come una
delle più significative nella storia
missionaria salesiana in Brasile.
Una vocazione salda
e missionaria
Bartolomeo Giaccaria nacque l’11
settembre 1932 e fu battezzato
pochi giorni dopo, il 14 settem-
bre. Ricevette la Cresima il 15
agosto 1940. Entrò nella Congre-
gazione Salesiana nel 1945, nella
casa salesiana di Chieri, ed iniziò
il noviziato a Monte Oliveto (Pi-
nerolo) nel 1950. Emise la prima
professione religiosa nel 1951 e
quella perpetua nel 1957, a Cam-
po Grande. Fu ordinato sacerdote
l’8 dicembre 1961, a San Paolo
(quartiere Bom Retiro), da monsi-
gnor Lourenço Rolim Loureiro.
Giunse in Brasile il 29 novembre
1954 e ottenne la cittadinanza bra-
siliana il 10 aprile 1986. Completò
la sua formazione teologica presso
l’Istituto Pio XI, a San Paolo, e si
specializzò in antropologia con un
corso post-laurea presso l’Universi-
dade de Brasília, nel 1980.
Un missionario
instancabile
Fin dal suo arrivo in Brasile, don
Giaccaria ha operato in numero-
se località: Lucélia, Sangradouro,
São Marcos, Nova Xavantina e
Brasília. Fu assistente, insegnante,
infermiere, parroco, economo e
missionario itinerante. Nel 1998 fu
nominato parroco della parrocchia
personale “São Domingos Sávio”
degli indigeni Xavante, a Nova Xa-
vantina, ministero che svolse con
dedizione fino al 2021, quando si
trasferì a Campo Grande per rice-
vere cure mediche.
La “pomata del padre”:
medicina e saggezza
tradizionale
Una delle sue iniziative più cono-
sciute è la preparazione di una
“pomata miracolosa”, realizzata
con erbe medicinali locali. Il rime-
dio divenne ampiamente utiliz-
zato nelle comunità Xavante per
trattare problemi cutanei come
pruriti, irritazioni e ferite. Don
Giaccaria produceva anche sapo-
ni, oli e sciroppi naturali, sempre
distribuiti gratuitamente alle co-
munità indigene.
Educazione bilingue e
valorizzazione culturale
Visionario come don Bosco, don
Giaccaria comprese fin dall’inizio
l’importanza dell’istruzione bilin-
gue e della salvaguardia della cul-
tura indigena. Nel 1957 pubblicò
un dizionario xavante-portoghese
con oltre mille voci, seguito da una
cartella bilingue adottata nelle
scuole indigene. Il suo contributo
fu fondamentale per rafforzare
l’identità culturale del popolo Xa-
vante e per garantire il diritto all’e-
ducazione nella loro lingua madre.
Riconoscimenti
accademici e lascito
spirituale
Nel 2015 ricevette il titolo di Dot-
tore Honoris Causa dall’Universi-
dade Católica Dom Bosco (UCDB),
in riconoscimento del suo impe-
gno nella ricerca, nell’educazione
e nella protezione delle culture
indigene, in particolare dei popoli
Bororo e Xavante.
Nonostante l’età avanzata, ha
continuato ad essere attivo fino
a pochi anni prima della sua mor-
te, offrendo corsi di formazione,
orientando giovani insegnanti e
producendo materiali didattici e
medicinali.
Nel 2021 si trasferì definitivamente
a Campo Grande per motivi di sa-
lute. Fu succeduto nella parrocchia
da don Aquilino Tseré ub’õ Tsirui’á,
il primo sacerdote di etnia xavante,
che ha proseguito la missione da
lui avviata decenni prima.
Un esempio immortale
La scomparsa di don Bartolomeo
Giaccaria rappresenta l’addio non
soltanto ad un valido Figlio di Don
Bosco e sacerdote, ma anche ad
un simbolo di dedizione, empatia
e lotta per la giustizia e la dignità
dei popoli originari. Il suo lascito
umano e missionario, tuttavia, re-
sta vivo nel cuore del popolo Xa-
vante e di tutti coloro che credono
in una Chiesa impegnata con i più
poveri e dimenticati.
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere: Sec, Tue.
Parole di 4 lettere: Enti, Ibis, Iraq,
Ulan.
Parole di 5 lettere: Egadi, Kafka,
Imera, Negra, Norma, Raoul, Uroni.
Parole di 6 lettere: Abacuc, Aironi,
Balzac, Carnet, Iberia, Ingres, Muting,
Noceto, Oreste.
Parole di 8 lettere: Allergie.
Parole di 9 lettere: Anseatica,
Roosevelt, Tabagismo.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le
parole contrassegnate dalle tre X nel testo.
? Parole di 10 lettere: Torquemada.
Parole di 11 lettere: Abbordaggio,
Liquidatore, Mozambicani.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 12 lettere: Riprogettare.
DIO VI VEDE, VI AMA, VI AIUTA
Nel cuore di un piccolo paese piemontese, tra le colline e i campi coltivati, nel 1837, nacque una gio-
vane contadina destinata a diventare santa, Maria Domenica Mazzarello. Fin da bambina mostrò un
grande spirito di sacrificio, aiutando la famiglia nei lavori agricoli, ma trovando sempre tempo per la
preghiera e la carità verso i più bisognosi. Il suo carattere deciso si univa a una profonda dolcezza e a
una fede incrollabile che colpiva tutti. Un grave episodio di malattia la colpì in gioventù: contrasse il
tifo mentre si prendeva cura degli ammalati del suo villaggio. Sopravvisse, ma le sue forze non furono
più le stesse. Fu allora che comprese di essere chiamata a un compito diverso: dedicarsi all’educazione
delle ragazze povere, offrendo loro dignità, affetto e speranza. Iniziò così ad accogliere le giovani nella
sua casa, cominciò a XXX ma anche valori fondamentali come l’onestà, la gioia, la pazienza e la fidu-
cia in Dio, trasformando la sua casa in una scuola piena di gioia e fede. Diceva spesso: “Fate del bene
a tutti e male a nessuno.” Le ragazze la chiamavano affettuosamente “Maìn”. Era semplice, concreta,
sempre sorridente, e possedeva una capacità straordinaria di farsi amare. Era solita dire: “Dio vi vede,
Soluzione del numero precedente
Dio vi ama, Dio vi aiuta.” Nel 1864 incontrò don Bosco, con
cui condivise la passione per l’educazione cristiana. Insieme fondarono l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, per formare “buone cristiane e oneste cittadine”. Ne divenne la prima superiora, pur
rimanendo umile e riservata, convinta che il vero comando fosse servire. Morì nel 1881, a soli 44 anni,
lasciando un’eredità viva ancora oggi in decine di Paesi. Fu proclamata santa nel 1951. Il suo spirito
materno, la sua fede e il suo esempio, attraverso l’opera di migliaia di suore salesiane, continuano la
sua missione con amore, accoglienza e spirito di famiglia.
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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
IL PROFUMO
C’ era un ragazzino di nome
Teddy, che non giocava con
gli altri bambini. I suoi
vestiti erano disordinati, era scontro-
so e solitario. La signora Thompson
avrebbe dovuto evidenziare in
negativo il rendimento scolastico di
Teddy; prima però volle consultare
i risultati che ogni bambino aveva
raggiunto negli anni precedenti;
per ultima, esaminò la situazione
di Teddy. Tuttavia, quando vide
?
il suo fascicolo, rimase sorpresa:
nelle elementari era stato eccellente,
brillante.
Il suo insegnante di terza elementare
aveva scritto: “La morte di sua madre
è stata dura per lui e tenta di fare del
suo meglio, ma suo padre non mostra
molto interesse e, se non verranno
presi i giusti provvedimenti, il suo e una bottiglietta di profumo piena Teddy si laureò e iniziò una magni-
contesto familiare presto lo influen- per un quarto, ma lei soffocò le risate fica carriera. Prima del matrimonio
zerà. Teddy si è rinchiuso in se stesso dei bambini esclamando quanto fosse invitò la signora Thompson ad ac-
e non mostra più interesse per la
grazioso il braccialetto e mettendo compagnarlo al matrimonio facendo
scuola. Non ha amici e qualche volta un po’ di profumo sul polso.
le veci della madre dello sposo.
dorme in classe”.
Quel giorno Teddy rimase dopo
Naturalmente, la signora Thompson
A Natale, tutti gli alunni portarono la scuola, giusto il tempo di dire:
accettò. E indovinate un po’ che fece?
regali, avvolti in bellissimi nastri e “Signora Thompson, oggi profumava Indossò proprio quel braccialetto,
carta brillante, fatta eccezione per come la mia mamma quando usava quello con gli strass mancanti, quel-
Teddy. Il suo dono era stato malde- proprio quel profumo”. Dopo che i lo che Teddy le aveva regalato; fece
stramente avvolto nella pesante carta bambini se ne furono andati, la si- anche in modo di mettere il profu-
marrone di un sacchetto di generi gnora Thompson pianse per almeno mo che la madre di Teddy indos-
alimentari. La signora Thompson un’ora; da quel giorno prestò partico- sava l’ultimo Natale che passarono
però aprì il regalo prima degli altri. lare attenzione a Teddy e, con la sua insieme. Si abbracciarono e Teddy
Alcuni bambini cominciarono a
vicinanza, la mente del piccolo iniziò sussurrò all’orecchio della signora
ridere quando videro un braccialetto a rianimarsi. Alla fine dell’anno,
Thompson: «Grazie, signora per
di strass con alcune pietre mancanti Teddy era diventato uno dei migliori. aver creduto in me».
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Con il tuo 5×1000
coltivi la SPERANZA,
semini il FUTURO
Quest’anno, il tuo 5×1000 fa nascere qualcosa di speciale in Brasile.
Il progetto “Plantando Esperança”, promosso dalla Fondazione DON BOSCO
NEL MONDO presso le comunità salesiane di Belo Horizonte e Pará de Minas,
ha molteplici obiettivi:
Rigenerare un orto esistente; realizzarne uno nuovo; creare un frutteto
Coltivare frutta, verdura ed erbe aromatiche
Educare al rispetto dell’ambiente
Garantire una fonte di cibo sana a bambini, ragazzi e famiglie delle opere salesiane
Rafforzare la comunità attraverso il lavoro condiviso della terra
Questo è il nostro modo di prenderci cura del creato.
Con la tua firma puoi contribuire a questo cambiamento.
Se il tuo reddito annuo è di 20 000 euro, il tuo contributo
24 euro di
ci aiuterà ad acquistare sementi e attrezzi per
le coltivazioni orticole nel Centro Giovanile di Pará de Minas.
Con un reddito annuo di 40 000 euro, il tuo 5×1000
vale 58 euro: fondamentali per organizzare attività
educative ambientali rivolte a studenti e famiglie.
E se il tuo reddito è di 60 000 euro, i 97 euro
che puoi devolvere ci permetteranno di realizzare nuovi spazi
verdi nel Colégio Salesiano di Belo Horizonte.
Dona il tuo 5x1000 alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Scrivi il codice fiscale 97210180580 nel riquadro “Scelta per la destinazione
del 5×1000” del tuo modello 730 o della Dichiarazione dei Redditi.
Un piccolo gesto, per un grande raccolto.
Taxe-Perçue
Tassa riscossa
PADOVA cmp
Via Marsala, 42 - 00185 Roma - tel. +39 06 65612663 - C.F. 97210180580
donbosconelmondo@sdb.org - www.donbosconelmondo.org