08-Settembre-2024

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don bosco nel mondo
Don Crisafulli
eroi
Don
Michele
Gentile
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
le case di
don bosco
Tibidabo
salesiani
Don
Serafino
Chiesa
SETTEMBRE
2024

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
La berretta
SCACCIASCRUPOLI
M ichele Unia era un contadi­
no robusto e deciso. A
ventisette anni, nella festa
di S. Giuseppe del 1877 venne da
don Bosco e lo pregò di accettarlo,
perché voleva farsi prete. Don Bosco
lo accettò. Veramente la sua inten­
zione non era di farsi Salesiano; ma
dovette fare i conti con don Bosco.
Tornato all’Oratorio il primo agosto,
fu mandato a Lanzo a intraprendere
gli studi. Lassù un giorno, interroga­
to da don Bosco su che cosa pensasse
di fare dopo il ginnasio: «Andare al
mio paese» rispose con tono risoluto.
«Non ti piacerebbe fermarti con don
Bosco?» «Io ho sempre avuto in mira
di essere prete a Roccaforte, il mio
paese». «Ma se il Signore ti volesse
per un campo più vasto?»
«Se il Signore mi dimostrasse che
questa è la sua volontà...»
«Se Dio mi rivelasse il tuo interno e
io te lo dicessi qui a te, avresti in ciò
un segno che egli ti vuole con me?»
Unia che non aveva mai inteso un
linguaggio simile, non sapeva se
dovesse prendere sul serio o per
burla quelle parole. Ma don Bosco
stava là in attesa di una risposta.
«Va bene, mi dica quello che vede
nella mia coscienza». Don Bosco
cominciò a dirgli tutto il suo passato
con tanta esattezza e precisione, che
Unia sulle prime credette di sognare:
numero, specie, malizia, tutto veniva
fuori. Commosso, Michele biascicò:
«Ma, caro don Bosco, come ha
fatto Lei a sapere tutte queste
miserie?». Don Bosco continuò:
«So ben altro ancora. Tu avevi
undici anni quando, una dome­
nica nel coro della tua chiesa
durante i vespri, hai infilato
una susina nella bocca aperta
del tuo vicino che dormiva. Il
poveretto, sentendosi soffocare,
balzò in piedi e si mise a cor­
rere di qua e di là, implo­
rando aiuto. Ma per questo
peccato non occorre altro:
tuo cugino prete ti diede
subito la penitenza con una mezza
dozzina di scapaccioni».
Sbalordito, Michele Unia entrò
nel seminario per diventare prete
salesiano.
Ma prima dell’ordinazione sacerdo­
tale decise di abbandonare tutto e
tornò da don Bosco. Il buon Padre
lo guardava in silenzio e sorrideva:
«Dunque non vorresti più andare
avanti?». «No, ho la testa rotta e mi
voglio fermare come sono». «La­
sceresti dunque don Bosco? Proprio
tu?» «Sì, io».
«Ebbene, giacché dici che hai la testa
rotta, io te la accomodo subito. Prendi
la mia». Don Bosco si tolse la sua
berretta dalla testa e la pose su quella
di Unia: «Ora va dove io ti mando!»
Gli ingiunse. «Anche in capo al mon­
do?» «Anche in capo al mondo!»
Paure, dubbi, pensiero di lasciare
tutto si dileguarono sotto quella
magica berretta. Michele Unia uscì
senza restituirla e la portò sempre
con sé. Oggi è una preziosa reliquia.
Don Unia andò davvero in capo
al mondo. Partì per la Colombia,
arrivò ad Agua de Dios, una località
sperduta nella campagna. Qui fondò
il lebbrosario che sarà proseguito dal
beato Luigi Variara. Tutto il mon­
do lo considerò il secondo grande
apostolo dei lebbrosi dopo padre
Damiano.
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settembre 2024

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don bosco nel mondo
Don Crisafulli
eroi
Don
Michele
Gentile
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
le case di
don bosco
Tibidabo
salesiani
Don
Serafino
Chiesa
SETTEMBRE 2024
ANNO CXLVIII
NUMERO 8
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: I primi doni dell’autunno
SETTEMBRE
2024
(Foto di New Africa/ Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Don Crisafulli
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 EROI
Don Michele Gentile
16 LA NOSTRA FAMIGLIA
Istituto delle suore catechiste
20 SALESIANI
Sulle ali di un sogno
24 LE CASE DI DON BOSCO
Tibidabo
27 ANNIVERSARI
28 FMA
I primi cento anni della scuola
Madre Mazzarello
32 EVENTI
34 COME DON BOSCO
Raccontare fiabe
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
6
20
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, José Luis Burguera,
Pierluigi Cameroni, Jorge Crisafulli,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massimo,
Monica Falcini, Nicola Antonio Farinola,
Antonio Labanca, Agnese La Bella,
Sarah Laporta, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Stefano Martoglio, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL VICARIO
Don Stefano Martoglio
Sulle ALI della SPERANZA
Con molta semplicità, tranquillamente
e in totale continuità, rimanendo
nel mio servizio di Vicario nei prossimi
mesi supplirò il Rettor Maggiore
portando la Congregazione
a Capitolo Generale, il 29°,
nel febbraio 2025.
C ari lettori del Bollettino Salesiano,
mi accingo a scrivere queste righe con
trepidazione perché, essendo un lettore
del Bollettino Salesiano fin da quando
ero bambino nella mia famiglia, ora mi trovo in una
pagina diversa a dover scrivere nel primo articolo,
quello riservato al Rettor Maggiore.
Lo faccio volentieri, perché questo onore mi per­
mette di rendere grazie a Dio per il nostro don Án­
gel, ora Cardinale di Santa Romana Chiesa, che ha
appena terminato 10 anni di prezioso servizio alla
Congregazione e alla Famiglia Salesiana, dopo la
sua elezione al Capitolo Generale 27° nel 2014.
A distanza di 10 anni da quel giorno, ora è piena­
mente al servizio del Santo Padre, per quanto papa
Francesco gli affiderà. Noi lo portiamo nel cuore e lo
accompagniamo con la preghiera riconoscente, per il
bene che ci ha fatto, perché il tempo non diminuisce
ma rafforza la riconoscenza. La sua storia personale è
un evento storico per lui, ma anche per tutti noi.
Il suo andare via, nel senso canonico per un servizio
ancora più grande alla Chiesa, è un rimanere sem­
pre con noi e dentro di noi.
In totale continuità
E adesso come Congregazione, e per estensione
come Famiglia Salesiana, come andiamo avanti?
Con molta semplicità, tranquillamente e in totale
continuità. Il Vicario del Rettor Maggiore secon­
do le Costituzioni Salesiane ha anche il compito
di sostituire, o supplire il Rettor Maggiore in caso
di necessità. Così sarà, fino al prossimo Capitolo
Generale.
Le Costituzioni Salesiane lo dicono in modo più
organico e articolato, ma il concetto fondamentale
è questo. Rimanendo nel mio servizio di Vicario
nei prossimi mesi supplirò il Rettor Maggiore por­
tando la Congregazione a Capitolo Generale, il 29°
nel febbraio 2025.
Questo sì è un compito impegnativo per cui vi
chiedo subito preghiere e invocazione allo Spirito
Santo per esser fedeli al Signore Gesù Cristo, con il
cuore di don Bosco.
Mi chiamo Stefano
Prima di passare alle cose importanti, due parole
per presentarmi: io mi chiamo Stefano, son nato
a Torino da una famiglia tipica della nostra terra;
figlio di un papà exallievo salesiano, che ha volu­
to mandarmi alla stessa scuola dove era passato lui
ai suoi tempi, e di una mamma maestra, anche lei
exallieva di una scuola cattolica. Da loro ho ricevu­
to la vita e la vita di fede, semplice e concreta. Così
siamo cresciuti io e mia sorella, siamo solo due.
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settembre 2024

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I miei genitori sono già in cielo, nelle mani di Dio,
e si faranno dei grandi sorrisoni a vedere le cose
che capitano al loro figlio… commenteranno sicu­
ramente: dun Bosch tenje nà man sla testa! (don Bosco
tienigli una mano sulla testa!)
Salesianamente parlando son stato sempre parte
dell’Ispettoria salesiana del Piemonte Valle d’A­
osta, fin a quando al CG27 mi è stato chiesto di
coordinare la Regione Mediterranea (tutte le real­
tà Salesiane intorno al Mar Mediterraneo, sui tre
continenti che vi si affacciano… ma includendo
anche il Portogallo ed alcune aree dell’est Europa).
Un’esperienza salesiana bellissima, che mi ha tra­
sformato, rendendomi internazionale nel modo di
vedere e sentire le cose. Il CG28 ha fatto il secondo
passo, chiedendomi di diventare Vicario del Ret­
tor Maggiore, e qui siamo! 10 anni a fianco di don
Ángel imparando in questi anni a sentire il cuore
del mondo, per una congregazione che è veramente
diffusa su tutta la terra.
Il futuro prossimo
Il servizio di questi mesi prossimi, fino al febbraio
2025 è quindi di accompagnare la Congregazione
al prossimo Capitolo Generale, che si celebrerà a
Torino Valdocco dal prossimo 16 febbraio 2025.
Cari amici, il Capitolo Generale è il momento più
alto ed importante della vita della Congregazione,
in cui si raduno i rappresentanti di tutte le Ispet­
torie della Congregazione (stiamo parlando di più
di 250 confratelli) essenzialmente per tre cose: co­
noscersi, pregare e riflettere per “pensare il presen­
te ed il futuro della congregazione” ed eleggere il
prossimo Rettor Maggiore e tutto il suo Consiglio.
Un momento quindi molto importante che il nostro
don Ángel ha indirizzato nella riflessione al tema
“Appassionati di Gesù Cristo e dedicati ai giovani”.
Questo tema che il Rettor Maggiore ha scelto per
la congregazione si articolerà in tre aspetti diversi
e complementari: la centralità di Cristo nella no­
stra vita personale, la consacrazione religiosa; la di­
mensione della nostra vocazione comunitaria, nella
fraternità e nella corresponsabilità laicale a cui è
affidata la missione; gli aspetti istituzionali della
nostra congregazione, la verifica dell’animazione e
del governo nell’accompagnare la Congregazione.
Tre aspetti per un unico tema generativo.
La nostra Congregazione ha molto bisogno di vi­
vere questo Capitolo Generale che viene dopo tante
vicende che tutti ci hanno toccato. Pensate che lo
scorso Capitolo Generale è stato celebrato a ridosso
della Pandemia, e proprio dal Covid è stato antici­
patamente chiuso.
Costruire la Speranza
Celebrare un Capitolo Generale è celebrare la Spe­
ranza, costruire la Speranza tramite le decisioni isti­
tuzionali e personali che consentono di proseguire
il “sogno” di don Bosco, di dargli presente e futuro.
Ogni persona è chiamata ad esser un sogno, nel
cuore di Dio, un sogno realizzato.
Nella tradizione salesiana, c’è quella bella frase che
don Bosco disse a don Rua, richiamato a Valdocco
per prendere concretamente il posto di don Bosco:
«Hai fatto don Bosco a Mirabello. Adesso lo farai
qui, all’Oratorio».
Questo è ciò che veramente conta: «Essere don Bo­
sco oggi» ed è il dono più grande che possiamo fare
a questo mondo.
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DON BOSCO NEL MONDO
Jorge Crisafulli
Essere MISSIONARIO
salesiano in TERRA
MUSULMANA
Padre Jorge Crisafulli, salesiano
argentino in Nigeria, condivide
con noi un’interessante esperienza
sul carisma di don Bosco
nella terra della Sharia.
H o ancora il ricordo vivido di quan­
do da bambino ascoltavo mia
madre recitare la poesia “Cam­
minatore, non c’è cammino” del
poeta spagnolo Antonio Machado: “Cam-
minatore, le tue orme sono il cammino e niente
più; Viandante, non esiste un sentiero, il cammino si fa
camminando. Camminando si fa il sentiero e quando ti
guardi indietro vedi il sentiero che non verrà mai più
calpestato, camminando non c’è sentiero ma sentieri nel
mare. È una bella poesia – e una bella canzone –
sulla vita che scorre, cammina, viaggia, segna passi
e fissa mete. Questa poesia è un invito a sognare,
ad aprire strade e sperimentare cose nuove.
Oggi, ripensandoci, vedo che la poesia mi invita al
coraggio, ad aprire strade senza paure né pregiu­
dizi, a lanciarmi in avanti senza calcoli o proget­
ti premeditati. Come direbbe don Bosco: “Io vado
avanti come Dio e le circostanze me lo dicono”; e biso­
gna avere una grande fede e sentirsi molto amati da
Dio per fare un’affermazione di questo tipo.
Ecco perché vedo la mia vita missionaria come un
continuo “fare e percorrere nuove strade”. Si vive in
un atteggiamento di costante esodo. Quando inizi
a calmarti, a sentirti calmo e a tuo agio, è arrivato il
momento di un nuovo gioco. Sì, la vita missionaria
è fatta di partenze e arrivi. È un invito continuo
ad aprire strade, ad andare verso le periferie, nel­
le situazioni estreme: dove nessuno osa andare, lì
vanno i missionari. Devi rassegnarti, rimboccarti le
maniche, essere un po’ pazzo di Dio.
Da ciò condivido con voi una bella esperienza
missionaria nel nord della Nigeria, dove la mag­
gioranza della popolazione Hausa e Fulani sono
musulmani severi e convinti e dove cristiani e cat­
tolici sono una minoranza. Lì, in quella terra di
musulmani, abbiamo deciso di aprire una missione
salesiana.
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settembre 2024

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Essere missionario salesiano
tra i musulmani
Nel 2014, infatti, nello stato musulmano di Kebbi,
e con la legge della Sharia – moralità e legge mu­
sulmana – è nata la prima opera salesiana nel nord
della Nigeria. Ricordo che, quando venne a trovarci
per la prima volta il vescovo locale che ci aveva in­
vitato, ci fermammo a dissetarci in un piccolo bar
della capitale. Abbiamo ingenuamente chiesto una
birra “fredda” per dissetarci (il termometro segnava
47 gradi alle 3 del pomeriggio!). Il cameriere ci ha
subito detto: “Qui non si vendono alcolici. “Sono in
uno Stato musulmano e la vendita di alcolici è vie­
tata”. Se ne andò e riapparve dopo poco per dirci:
“Il proprietario dice che se vuoi bere la birra te la
offriamo noi in una teiera e puoi berla come se fos­
se tè, nelle tazze”. Con tutto il rispetto, ordiniamo
una bibita!
Il Vescovo ci ha assegnato alla città di Koko. Quan­
do siamo arrivati con il primo gruppo di missionari
– tutti salesiani africani – siamo andati a trovare
l’Imam della città, che ci ha accolto calorosamente.
Questo leader religioso è stato chiaro con noi: “Vi
chiedo di non fare proselitismo, né di convertire il mio
popolo. Non diamo terreni per costruire chiese. Non si
possono tenere processioni pubbliche, né proclamare o
manifestare la loro religione nelle strade. Fai attenzione
a ciò che predichi. Se un musulmano chiede di conver-
tirsi dall’Islam, dovrà pagare una multa e presentare
un modulo al governo con le ragioni per abbandonare la
religione del profeta Maometto. I cristiani non potran-
no ricoprire incarichi pubblici o essere capi villaggio”.
La mia risposta è stata chiara quanto il suo inter­
vento. Gli ho detto che non venivamo per conver­
tirci, né per predicare pubblicamente, che eravamo
Salesiani di Don Bosco e che volevamo costruire
una scuola di formazione professionale per educare
i giovani e aiutarli ad entrare nel mondo del lavoro.
Gli occhi dell’Imam si illuminarono e potei vede­
re un sorriso sul suo volto. “Questo è esattamente ciò
di cui abbiamo bisogno. Educare i giovani a diversi
mestieri in modo che non cadano nelle mani di Boko
Haram”, un pericoloso gruppo terroristico nel nord
della Nigeria.
“Boko Haram” in lingua hausa significa “l’educa­
zione libresca è cattiva”, il che significa che l’edu­
cazione occidentale e cristiana, l’educazione biblica
è cattiva. Ma si riferiscono all’educazione formale
e confessionale, non alla formazione professiona­
le e tecnica. Don Bosco aveva trovato il modo di
inserirsi pacificamente nella terra dell’Islam at­
traverso la formazione professionale e tecnica dei
ragazzi e delle ragazze più poveri. Un gran goal a
centrocampo.
Dare l’esempio
L’Imam ci ha offerto un buon terreno alla perife­
ria, ben fuori, della città di Koko. Un terreno eroso,
senza alberi né cespugli, nel deserto più deserto. E
l’abbiamo accettato perché sapevamo che con il no­
stro lavoro avremmo potuto trasformarlo in un’oasi,
una foresta dove migliaia di giovani avrebbero tro­
vato pace e gioia nel futuro. Così è stato. “Colpo
dopo colpo e versetto dopo versetto”. Ci siamo fatti
strada mentre camminavamo, senza voltarci indie­
tro. Abbiamo montato, come Gesù, la nostra tenda
nel mezzo di un paese povero e bisognoso di tutto.
Abbiamo alzato un muro per motivi di sicurezza e
costruito una sala dove celebriamo la Messa per i
Don Jorge
Crisafulli
presenta il
quadro che
rappresenta
san Artemide
Zatti.
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DON BOSCO NEL MONDO
Don Crisafulli
durante una
celebrazione
eucaristica.
cristiani cattolici che vivono in città. Abbiamo co­
struito un centro di formazione professionale dove
vengono formati ragazzi e ragazze. Vivono nei no­
stri collegi durante l’orario scolastico. Abbiamo un
oratorio e un centro giovanile al quale partecipa­
no ragazzi e ragazze di tutte le etnie e religioni.
Operiamo in più di ventisei villaggi in un territorio
vasto e molto complicato dalla presenza di banditi
e fondamentalisti. Le persone scappano e cercano
rifugio nella nostra parrocchia, dove restano finché
il pericolo non passa.
Ecco com’è. Posso sembrare pazzo e non è facile.
I missionari che animano questa comunità vivono
una vita di sacrificio. Sanno che la possibilità del
martirio è concreta. Ma vivono quella missione
con grande pace e gioia interiore. Essi evangeliz­
zano, come ci ha detto Paolo VI nella sua Enciclica
Evangelii Nuntiandi, non come maestri e con le pa­
role, ma come testimoni e con la vita. Non possono
predicare Cristo apertamente ed esplicitamente, e
questo fa male, ma lo annunciano implicitamente
attraverso la formazione umana e professionale che
offrono ai bambini e ai giovani. Non parlano aper­
tamente di Cristo, ma possono parlare apertamente
di don Bosco, del suo sistema educativo, del sistema
preventivo, invitando i giovani ad essere onesti cit­
tadini e a vivere con un sano timore di Dio.
La nostra missione è formare le nuove generazio­
ni al dialogo, al rispetto, alla riconciliazione e alla
pace. Cristiani e musulmani vivono insieme nei
nostri collegi e nelle nostre aule, preparano insie­
me il cibo e condividono la stessa tavola, studiano
nelle stesse aule e ciascuno prega Dio nella propria
lingua e religione. Dobbiamo mostrare loro che la
convivenza è possibile. L’Islam non è male. Il cri­
stianesimo non è male. L’istruzione, e soprattutto
l’istruzione delle ragazze, non è una cosa negativa.
Dobbiamo aiutar loro a capire che la religione non
è un’ideologia; che assolutizzare un punto di vista
ci impoverisce, perché alla fine un punto di vista
non è altro che la visione di un punto, come diceva
Leonardo Boff. Si tratta di formare le nuove gene­
razioni alla tolleranza perché, come dice papa Fran­
cesco, la realtà e la verità sono molteplici. Il sogno
di Gesù era l’unità, non l’uniformità. “Fratelli tutti”,
tutti fratelli e sorelle, siamo uno nella diversità, tutti
diversi ma uniti in un abbraccio universale.
E continuiamo a fare il nostro cammino mentre
camminiamo. Abbiamo ricevuto aiuti e ampliere­
mo la scuola professionale. Promuoviamo l’istru­
zione delle ragazze offrendo loro borse di studio.
Abbiamo iniziato la costruzione di un campo spor­
tivo e vogliamo aprire una scuola di musica. La for­
mazione professionale, lo sport, la musica saranno
strumenti di cambiamento sociale. Continueremo
ad aprire strade al dialogo, educando i giovani alla
pace e al perdono. E parleremo di Cristo alle nuove
generazioni con la nostra testimonianza di vita e
parlando di don Bosco e del suo sogno, un sogno
che ci fa sognare, trasformando i lupi in agnelli nel­
la terra della Sharia, nel cuore della Nigeria musul­
mana.
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1.9 Page 9

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Studiare con il SOLE anche di sera
Il progetto
“Miglioramento della vita di bambini,
giovani e studenti vulnerabili di strada
attraverso l’accesso all’energia solare
presso il Child Protection Center
Nei centri salesiani di Ibadan, in Nigeria,
è stato installato un sistema di 8 pannelli
alimentati a energia solare. L’impianto
fornisce energia regolare alla comunità,
al centro giovanile, alle scuole e alle case
di accoglienza.
Il progetto ha permesso di:
Ridurre i costi di energia fossile
utilizzata per alimentare i generatori
Attingere in modo regolare acqua
dai pozzi per permettere le
quotidiane funzioni igieniche
Consentire ai giovani di studiare
anche la sera
Educare i giovani al rispetto
dell’ambiente
DONAZIONI
I destinatari
€ 7000
 54 studenti
 Studenti scuola di Filosofia
 15 docenti e formatori
 Oltre 200 giovani che frequentano il Centro
 7 Salesiani
 U ffici Centro per la Protezione dell’infanzia
e Programma per bambini di strada
GRAZIE!
Insieme abbiamo contribuito
a dare luce alle ragazze
e ai ragazzi di IBADAN.

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
IL CORAGGIO
È una delle virtù più incomprese, ma fondamentale
nella costruzione di un essere umano valido e resistente.
Il coraggio
di accettare se stessi e la realtà
Per il grande teo­logo Romano Guardini, coraggio
significa accettare la propria esistenza. Coraggio
vuol dire assumere la vita nella sua totalità come
essa è, nella fiducia che in essa si cela una divina
indicazione.
Voglio raccontarvi una storiella interessante su un
turista in visita in Italia che si imbatte in un cantie­
re con degli uomini al lavoro. Il turista si avvicina
a un muratore e gli chiede: «Cosa fai?». Il muratore
risponde: «Poso i mattoni».
Il turista prosegue e vede un altro muratore che fa
la stessa cosa. Va da lui e gli chiede: «Cosa fai?».
L’uomo risponde: «Costruisco un muro».
Infine, vede un altro muratore che fa la stessa iden­
tica cosa dei primi due. Anche a lui il turista chie­
de: «Cosa fai?». Il terzo muratore lo guarda e ri­
sponde: «Costruisco una cattedrale per rendere
gloria a Dio».
Non importa quanto un compito sia
ripetitivo o quanto una sfida sia
ardua, la prospettiva con cui
affrontiamo le cose è determi­
nante e può fare tutta la dif­
ferenza del mondo in termi­
ni di esperienza personale.
Tutto quello che
non abbiamo scelto
Tutti ci troviamo a dover af­
frontare un certo numero di
circostanze che non abbiamo
scelto, non abbiamo voluto e che
in qualche modo ci sono state imposte: è quello che
chiamerò il «dato» della vita. Il luogo di nascita, la
famiglia, l’epoca in cui viviamo; il corpo, la perso­
nalità e l’intelligenza, le capacità, le qualità, ma an­
che i limiti e gli handicap. E anche gli eventi che ci
accadono, che ci toccano in prima persona ma sui
quali non abbiamo alcun potere o controllo: le ma­
lattie, le alterne fortune economiche, la vecchiaia e
la morte. In pratica, il «destino» dell’essere umano.
Una possibilità è rifiutare la nostra sorte e deside­
rare che le cose vadano in maniera diversa. Quasi
tutti preferiremmo non invecchiare, non ammalar­
ci, non morire. C’è chi rifiuta la propria cultura,
la propria famiglia, il proprio paese natale. Altri
disprezzano il proprio corpo o il proprio tempe­
ramento e soffrono di certe limitazioni fisiche o
psichiche. Si tratta di un rifiuto comprensibile e
legittimo, ma la serenità, la pace interiore, la gioia
non possono arrivarci senza un’acquiescen­
za all’essere e un’accettazione profonda
della vita per come ci è stata data,
con la sua quota di ineluttabile.
Non possiamo sceglierci i ge­
nitori. Non possiamo decide­
re di scambiarli con altri né
di trasformarli in persone
diverse. Come la famiglia,
anche il paese e l’ambiente
in cui siamo nati non sono
frutto di una scelta.
Il lavoro di accettazione deve
essere compiuto anche nei
confronti della nostra perso­
na. Abbiamo tutti una qualche
10
settembre 2024

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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forma di intelligenza, una sensibilità, un tempera­
mento innato e un carattere che si acquisisce con
l’educazione. È importante riconoscerli e imparare
ad accettarli. Proprio come l’aspetto fisico.
Il solo fatto di accettare la vita e l’essere procura un
sentimento di gratitudine che è già di per sé fonte
di felicità. È una specie di respirazione.
Il “sogno della
zattera” di
don Bosco:
contro ogni
sorta di
avversità
porta i ragazzi
in salvo.
Il coraggio di vincere i nemici interni
Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere:
ansia, angoscia, paura, sensi di colpa. La maggior
parte delle paure che nascono in noi sono irrealisti­
che, e non si avverano per nulla.
Il coraggio di sconfiggere i nemici
esterni
Sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficol­
tà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono. In­
fatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che
ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di av­
venimenti imponderabili, e in questo mare qualche
volta la nostra barca viene sballottata dalle onde.
La virtù del coraggio allora ci fa essere marinai re­
sistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.
Il coraggio di indignarsi e prendere
sul serio la sfida del male nel mondo
Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada
bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che
nella storia non si dibattano forze oscure portatrici
di morte. Ma basta sfogliare un libro di storia, o pur­
troppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze
di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti:
guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri,
ferite mai sanate che ancora sanguinano. La virtù del
coraggio ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco
a tutto questo. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi
dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia
ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a
tutto ciò che conduce all’indifferenza. “No” al male
e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino
che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.
Il coraggio di essere cristiani
Hanno coraggio soltanto coloro che fanno il loro
dovere anche quando hanno paura. San Tomma­
so Moro, poco prima di morire scrisse alla figlia:
«Quand’anche io dovessi sentire paura al punto da
essere sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro,
che per la poca fede cominciò ad affondare nel lago
al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invo­
cherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi».
Coraggioso è chi si mette in gioco, sapendo di es­
sere debole e anche di poter fallire, confidando nel
Signore e non nelle proprie forze. Anche se si fal­
lisce ignominiosamente come Pietro, c’è il Signore
a rialzarci. La vita spirituale, insomma, non è per
rammolliti, ma nemmeno soltanto per i forti e gli
eroi. È per tutti noi che inspiriamo l’ossigeno dello
smisurato amore di Dio. Potremo essere timorosi e
inciampare, ma tra i nostri errori andremo avanti,
e con la grazia di Dio arriveremo alla meta, dove
respireremo un’atmosfera più libera.
settembre 2024
11

2.2 Page 12

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EROI
Sarah Laporta
Sogno ALBANIA
Incontro con don Michele Gentile
Un bigliettino dei superiori cambiò
la mia vita e il seme gettato è
diventato una pianta rigogliosa.
Ti puoi presentare?
Sono Michele Gentile, salesiano sacerdote, missio­
nario in Albania. Sono nato a Rignano Garganico,
piccolo paese del Gargano il 29 aprile del 1940. Di
famiglia contadina, quinto su 8 fratelli e sorelle.
In famiglia c’era già uno zio salesiano don Angelo
Gentile, che sarà il pioniere di tante vocazioni sale­
siane e un fratello don Antonio anche lui salesiano.
Il paese, pur non essendoci una casa salesiana, ha
dato alla chiesa numerosi Figli di Don Bosco e nu­
merose vocazioni ma­
schili e femminili di
vari ordini religiosi.
Ho frequentato l’aspi­
rantato a Torre An­
nunziata (Napoli) e
il noviziato a Portici
concluso con la pro­
fessione religiosa il 16
agosto del 1957.
Dopo il liceo in Sici­
lia e la laurea in inge­
gneria a Bari, ho fatto
gli studi teologici a
Torino concludendoli
con l’ordinazione sacerdotale il 3 aprile del 1971
a Bari. Dopo un ventennio di lavoro pastorale in
varie case salesiane della Puglia, la Provvidenza mi
ha preparato l’occasione per realizzare la vocazione
missionaria.
Arrivo in Albania e
prime attività
Dopo la visita della prima
delegazione pontificia in
Albania la S. Sede ha invi­
tato ufficialmente i Salesia­
ni a venire in Albania per
prendersi cura dei giovani.
Don Fedrigotti, responsa­
bile dei Salesiani in Italia,
mandò questo biglietto a
don Luigi Testa, ispettore
dell’Italia meridionale il 13
giugno: “Caro don Luigi, ti
mando questo autografo del Rettor Maggiore, sui
problemi dei giovani tuoi “dirimpettai...”. Don Te­
12
settembre 2024

2.3 Page 13

▲torna in alto
sta lo stesso giorno lo inviò al sottoscritto, allora di­
rettore della Comunità di Lecce, dicendomi di fare
una visita in Albania per rendermi conto di persona
della situazione.
Così nel luglio del 1991, il sottoscritto con altri
due confratelli fa una prima visita in Albania ren­
dendosi conto del degrado materiale e spirituale
in cui si trovava l’Albania dopo la caduta del co­
munismo.
Don Viganò e le due Opere
di Scutari e Tirana
Nel mese di ottobre 1991, don Antonio D’Ange­
lo presenta al Rettor Maggiore l’esperienza fatta
in agosto, pregandolo di aprire, dopo il “Progetto
Africa”, un fronte missionario verso l’Est-Europa,
terra di giovani affamati di pane e assetati di futu­
ro. A conclusione dell’incontro don Viganò conclu­
se con poche parole: “Andremo in Albania. La Santa
sede ha fatto pressione per aprire una presenza salesia-
na, ma fino ad oggi non ho ancora risposto. Ho capito
che è arrivato il momento”.
A fine mese di dicembre l’ispettore mi chiama per
comunicarmi che dovendo fare un nome al Rettor
Maggiore di un salesiano dell’Ispettoria disponi­
bile per l’Albania, aveva pensato a me e mi chie­
deva se ero disponibile. Risposi che ero totalmente
disponibile avendo anche fatto esperienza con gli
albanesi in Italia e poi in Albania durante l’estate.
E così si realizza la mia vocazione missionaria.
Già nell’ultimo anno di aspirantato, ascoltando la
testimonianza di missionari si era acceso in me il
desiderio di partire per le Missioni. Ma il Signo­
re volle creare un’occasione speciale per realizzare
quel sogno. E così a 52 anni potevo dar inizio con
altri 6 confratelli di varie ispettorie alla presenza
del carisma salesiano in Albania con l’apertura di
due case salesiane: a Scutari e a Tirana. Seguiranno
nel tempo l’apertura di due Opere nel Kossovo a
Prishtina e a Gjilan e un’altra a Lushnje in Albania.
Prima di recarci in Albania, il Rettor Maggiore ha
voluto incontrare a Roma tutti i confratelli destina­
ti all’Albania, con alcune raccomandazioni. Fra le
altre cose ci disse:
“Partendo per l’Albania, come per le Missioni, non
si va a trovare le comodità. La situazione in quella
terra è difficile: si richiede quindi coraggio e sacri­
ficio. È attraverso il sacrificio accettato che passa la
fecondità apostolica e vocazionale.
In questo lavoro non sarete soli, ma sentitevi sem­
pre vicina la Congregazione e le vostre Ispettorie.
Andate a nome della Congregazione”.
Arrivo in Albania a Scutari
il 24 settembre 1992
A Lecce grande festa per il mandato missionario
nella Basilica di San Domenico Savio domenica 20
settembre per i Salesiani partenti. E il 24 settem­
bre nel ricordo di Maria Ausiliatrice finalmente si
sbarca in Albania.
Domenica 27 settembre il Nunzio apostolico mon­
signor Ivan Dias accoglie e presenta al popolo al­
banese nella chiesa dei Francescani di Scutari il
gruppo dei Salesiani indicando il campo di lavo­
ro: la scuola professionale, il centro catechistico e
l’Oratorio Centro giovanile. Durante la Messa il
Nunzio semina alcuni semi in un vaso chiedendo al
Signore e a Maria Ausiliatrice che quei semi possa­
no diventare piante rigogliose.
I primi confratelli destinati in Albania sono stati
don Michele Gentile, don Oreste Valle e il confra­
tello coadiutore sig. Francesco Gippetto per l’Ope­
Arrivarono
anche le
suore.
settembre 2024
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2.4 Page 14

▲torna in alto
EROI
Primi e attuali
confratelli.
ra di Tirana e don Zef Gashi, don Renato Torresan
e i due chierici Skënder Qerimi e Lekë Oroshi per
l’Opera di Scutari.
E così ho iniziato l’esperienza missionaria che ha
cambiato la mia vita. Un mondo totalmente di­
verso da quello italiano, una lingua per me molto
difficile da imparare, una nazione multireligiosa,
che usciva da una dittatura proclamatasi atea. Ho
dovuto accettare una realtà diversa da quella in cui
ero vissuto fino ad allora e condividere con il po­
polo albanese i primi anni della ripresa economica,
sociale e religiosa.
A Tirana si prende visione dei cattolici della no­
stra zona pastorale Lapraka e della situazione. Si
individua una sala per poter celebrare la Messa la
domenica e alcuni locali con ampi cortili liberi per
eventuali attività oratoriane.
Ci si impegna su vari fronti: l’aiuto alle famiglie
povere, l’oratorio, la catechesi e la costruzione della
scuola professionale. Ci si muove per conoscere le
famiglie cattoliche e così invitarle alla frequenza
della Messa e alla preparazione ai sacramenti.
Ricordo in modo indelebile il primo giovedì santo
(1993) vissuto in Albania. Celebro l’ultima Cena at­
torniato da pochi giovani e fedeli su un tavolo in un
salone che era stata la sala mensa della scuola uffi­
ciali comunista fino a due anni prima. Un’altra espe­
rienza indimenticabile, una delle messe della notte
di Natale celebrata in un villaggio in un capannone,
usato come stalla, dove sono accorsi numerosi bam­
bini e fedeli con delle torce e candele (non c’era la
luce): i bambini seduti su una trave o sulle proprie
ginocchia, come si usa in Albania, e al momento
della consacrazione un asino presente nella stalla che
raglia. I bambini scoppiano a ridere ed io: “È il suo
modo per adorare il Signore” e tutti zittiscono.
Difficoltà immense per poter iniziare la nostra mis­
sione a Tirana, dove era stato previsto un Centro di
formazione professionale. Ex-proprietari del terreno
non permettevano la costruzione degli ambienti per
la scuola e l’oratorio. Per tre anni abbiamo dovuto
lottare contro la burocrazia, contro gli ex-proprie­
tari e finalmente il 19 aprile del 1996 l’inaugura­
zione dei primi edifici della scuola con la presenza
del presidente della Repubblica Italiana on. Scalfaro
e quello albanese Sali Berisha. E l’anno successivo
l’inaugurazione degli ambienti dell’Oratorio alla
presenza del Rettor Maggiore don Vecchi, che ri­
tornerà in Albania dopo un anno per ricevere le pro­
fessioni religiose dei primi 5 salesiani.
Un’altra esperienza forte ho dovuto viverla a Scutari
nel periodo della guerra civile nel marzo del 1997.
Per le strade cannoncini e carri armati dovunque.
Di notte impossibile dormire per i continui spari.
Paura di uscire dalla città, ma anche la necessità di
andare a celebrare la Messa domenicale e le fun­
zioni della Settimana Santa nei vari villaggi. E il
coraggio ti viene, quando sai che c’è il Signore ac­
canto a te.
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settembre 2024

2.5 Page 15

▲torna in alto
Lo stesso accadde nella città di Scutari nel febbraio
dell’anno successivo, quando di notte alcuni faci­
norosi assaltarono la nostra casa. I 5 novizi per sal­
varsi si calarono dalla finestra del primo piano con
le lenzuola insieme al Direttore-Maestro don Rudi,
che però nel cadere si ruppe tutte e due le gambe.
Per più di 15 anni ho servito come amministratore
parrocchiale o come parroco vari villaggi dei
dintorni di Scutari. Ho assistito all’emigrazione in
Italia e in America di tanti giovani e famiglie in
cerca di lavoro o di uno standard di vita miglio­
re. Sono andato in varie città in Italia e anche in
America per incontrare molte di queste famiglie,
che con tanto affetto mi hanno ricevuto e aiutato a
ricostruire le chiese nei loro villaggi di origine.
Ora mi trovo a Tirana. Per 7 anni ho lavorato pa­
storalmente in una zona periferica della parrocchia.
Sono stato a contatto con tanta gente povera, immi­
grata dal Nord dell’Albania e stabilitasi in periferia,
che ha conservato alcuni segni di fede, ma che aveva
ed ha bisogno di approfondire i valori cristiani per
poter affrontare il materialismo dilagante anche qui.
Questo mi ha messo alla prova di come sono capace
di testimoniare Cristo e di farlo conoscere soprattut­
to alle persone che si dicono cattoliche solo perché
nate in famiglie di tradizione cattolica.
Per questo avevo preso l’impegno non solo di ce­
lebrare la Messa la domenica, ma di visitare con­
tinuamente le famiglie, incontrare i genitori nelle
loro case, donare un sorriso a tutti e soprattutto ai
bambini. Tuttavia non mancarono e non manca­
no le gioie spirituali nel vedere alcuni accettare la
proposta cristiana e viverla in profondità, anche da
parte di giovani provenienti da famiglie musulma­
ne o betashi. Prego il Signore che supplisca alle mie
incapacità.
Futuro della Congregazione in Albania
Dopo 33 anni di presenza salesiana in Albania,
posso dire che il Signore ha benedetto queste due
opere di Tirana e di Scutari. A Tirana una scuola
elementare, media e liceo con circa 800 allievi, una
parrocchia, un Oratorio-centro giovanile molto
frequentato da bambini con le loro mamme, da ra­
gazzi e giovani di varie religioni e un centro diurno
per circa 100 ragazzi Rom. E così anche a Scutari
con l’Oratorio-Centro giovanile molto frequenta­
to e una Parrocchia, convitto e corsi professionali.
Una nuova presenza è sorta nel Sud dell’Albania,
a Lushnje con parrocchia e oratorio. E dall’Alba­
nia si è estesa l’Opera salesiana anche nel vicino
Kossovo dove la presenza salesiana già esistente
come parrocchia ha avuto un balzo con due nuove
scuole. La visita dei Rettori Maggiori, don Chavez,
don Vecchi e don Ángel Fernández Artime è sta­
to un incoraggiamento a proseguire con coraggio e
a consolidare queste opere. Quel seme gettato nel
terreno nel giorno della presentazione da parte del
Nunzio è diventato una pianta rigogliosa e si pre­
vede per il futuro una crescita di opere per cui i
Superiori hanno pensato di creare una delegazione
dipendente dall’Ispettoria Meridionale.
Il Centro
Don Bosco
di Tirana
e l’interno
della chiesa.
settembre 2024
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2.6 Page 16

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LA NOSTRA FAMIGLIA
B.S.
Istituto delle SUORE
CATECHISTE di Maria
Immacolata Ausiliatrice
Il fondatore è un vescovo salesiano sorridente
e pieno di coraggio, venuto dal Texas,
che trasformò una diocesi e continua ad operare
nella Chiesa attraverso le sue Figlie.
T utto cominciò con Louis LaRavoire
Morrow, arrivato nella diocesi di Kri­
shnagar nel 1940 passando per il Texas,
il Messico e le Filippine. In Texas, dove
è nato, ha raccolto un’eredità franco-irlandese e una
tradizione pionieristica. In Messico, dove è diven­
tato sacerdote, ha acquisito un morbido accento
spagnolo e un duro apprendistato su come affron­
tare i problemi. Dalle Filippine, dove è stato segre­
tario di un dignitario della Chiesa, è emerso come
vescovo e anche come scrittore di libri cattolici che
si vendono a milioni.
Suo padre, Joseph LaRavoire, era arrivato negli
Stati Uniti come emigrante dalla cittadina di Ru­
milly, ai piedi delle Alpi francesi. Un piccolo vil­
laggio nelle vicinanze porta il nome degli antenati
del Vescovo, “LaRavoire”. Le sue radici sono sa­
voiarde, come san Francesco di Sales e come don
Bosco.
Sua madre si convertì al cattolicesimo nel 1905 e,
come uno dei suoi primi atti cattolici, mandò l’un­
dicenne Louis in un collegio gestito dai Salesiani
a Santa Julia, alla periferia di Città del Messico.
Questa fu la decisione che fece di Louis LaRavoire
Morrow un sacerdote e un vescovo. Louis decise di
diventare salesiano. Lo spirito di don Bosco diven­
ne il suo.
Era in missione a Manila, come segretario dell’ar­
civescovo, quando, una sera del giugno 1939, men­
tre era a cena, arrivò un telegramma da Roma. Il
Monsignor
Louis
LaRavoire
Morrow con le
prime suore.
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settembre 2024

2.7 Page 17

▲torna in alto
delegato apostolico, l’arcivescovo Piani, aprì la let­
tera, sorrise e disse che, essendo cifrata, avrebbe
dovuto lavorarci l’indomani. Dopo la Messa del
giorno successivo, quando il suo segretario aveva
dormito bene, l’arcivescovo Piani consegnò a Mor­
row il cablogramma, non cifrato. Diceva: “LaRa­
voire Morrow nominato vescovo di Krishnagar.
Congratulazioni”.
“Pensavo fosse uno scherzo”, ha detto poi Morrow.
“Non avevo mai sentito parlare di un posto chiama­
to Krishnagar”.
Dopo averlo individuato sulla mappa, decise di
dare una rapida occhiata a Krishnagar mentre tor­
nava a Roma e negli Stati Uniti. Il 5 settembre
1939, proprio mentre la guerra iniziava in Europa,
Morrow salpò da Manila per Singapore sulla nave
di linea americana President Harrison, poi volò a
Calcutta, dove arrivò verso la fine della stagione
delle piogge, appiccicosa e vaporosa. Prese il treno
locale che sferragliava dalla stazione di Sealdah
per Krishnagar, a due ore di distanza, e rimase
sconvolto da ciò che trovò lì. La diocesi era rima­
sta senza vescovo dal 1928 al 1934; il prelato no­
minato nel 1934 aveva potuto rimanere in carica
solo per un anno, e dal 1935 al 1939 la diocesi era
rimasta nuovamente senza vescovo. Non c’erano
soldi per pagare l’elettricità e l’acqua disponibili in
città. Pochi bambini frequentavano le due scuole.
Gli edifici avevano urgente bisogno di riparazio­
ni. Il dormitorio dei ragazzi non aveva né porte
né finestre; tra il piano terra e il secondo piano
c’era solo una scala traballante, perché mancavano
i soldi per una scala.
La prima decisione del Vescovo fu quella di far ar­
rivare subito l’acqua potabile dalla città.
Monsignor Morrow sottovalutava ostinatamente
la propria influenza nel Bengala Occidentale e il
rispetto e l’affetto che i funzionari e la gente della
zona di Krishnagar provavano per lui. Non superò
mai lo stupore per quello che è stato probabilmente
l’evento più straordinario dei suoi sessantacinque
faticosi anni: la sua elezione da parte della popo­
lazione di Krishnagar a commissario municipale
della città.
Gli fecero anche notare che doveva avere un qual­
che tipo di simbolo, come gli altri candidati, in
modo che coloro che non erano in grado di leggere
il suo nome sapessero dove segnare le schede elet­
torali. Il Vescovo accettò di girare per la città in
bicicletta, come era solito fare, per farsi vedere dagli
elettori. E alla fine decise di scegliere un orologio
come simbolo, perché l’unico orologio pubblico di
Krishnagar era quello familiare sul campanile della
chiesa della sua missione.
Intraprese lunghi viaggi e cicli di conferenze negli
Stati Uniti. Ovunque andasse a raccontare il lavoro
della sua missione e i bisogni dei suoi figli, trovava
persone disposte ad ascoltare e a dare dai penny ai
torni, da una banconota da un dollaro a un trattore
da mille dollari.
Il primo venerdì di ogni mese, immancabilmente,
celebrava una funzione nella cattedrale per tutti i
suoi figli. In queste occasioni scriveva il suo sermo­
ne e lo faceva tradurre in bengalese da padre Austin
Guarneri, uno dei suoi sacerdoti specializzati in que­
sta lingua. Il Vescovo parlava poco il bengalese, ma
lo capiva abbastanza bene da leggere i suoi sermoni
«Santa Teresa
di Calcutta,
fondatrice
delle
Missionarie
della Carità,
gli chiese se
anche la sua
congregazione
potesse usare
lo stesso tipo
di sari a tre
strisce blu
per il proprio
saio, il nostro
fondatore
acconsentì
prontamente».
settembre 2024
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2.8 Page 18

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LA NOSTRA FAMIGLIA
Le sorelle
raggiungono
i villaggi più
lontani.
con accento e intonazione corretti. In una frase, il
Vescovo si sentiva a casa in bengalese, la frase con
cui iniziava tutti i suoi discorsi ai figli: “Amar prio
sontangon, ami tomadigoke bhalobasi”. (“Miei cari fi­
gli, vi voglio bene”). Nessuna parola è mai uscita più
diretta dal cuore di un texano.
Una nuova Congregazione
Monsignor Louis LaRavoire Morrow, dopo aver
preso in carico la diocesi di Krishnagar nel 1939,
con profonda fiducia in Dio, formulò insieme
ai suoi sacerdoti il suo piano pastorale. Da qui la
necessità di suore, come lui stesso afferma: “Ora,
come siete entrate in gioco voi, Suore Catechiste di
Maria Immacolata Ausiliatrice? Ebbene, quando il
25 maggio 1939 fui nominato vescovo di Krishna­
gar e arrivai qui, i miei sacerdoti mi dissero: «Ve­
scovo, la nostra difficoltà è raggiungere le donne.
Semplicemente non possiamo incontrarle». Abbia­
mo visto chiaramente la necessità che le religiose
istruite lavorino tra le donne della nostra diocesi.
Abbiamo parlato e pregato, lavorato, sognato e spe­
rato che le suore visitassero le case nelle città e nei
villaggi qua e là”.
Domenica 20 aprile 1952 le prime otto novizie
ricevettero l’abito religioso. Consisteva in un sari
bianco bordato con tre fasce blu, disegnato dal
Fondatore dopo lunghe consultazioni con il picco­
lo gruppo e molti altri. È interessante notare che
nella sua generosità e magnanimità, quando Santa
Teresa di Calcutta, fondatrice delle Missionarie
della Carità, si avvicinò a lui chiedendogli se anche
la sua congregazione potesse usare lo stesso tipo di
sari a tre strisce blu per il proprio saio, il nostro
fondatore acconsentì prontamente.
Nel corso degli anni, la nostra Congregazione è
progredita ben oltre le aspettative del nostro Fon­
datore, e ha cominciato a servire anche in altre dio­
cesi. Nel 1966 le fu concesso il Diritto Pontificio.
Nel 1990 siamo andati in provincia. Il 10 giugno
1992 siamo diventati membri ufficiali della Fami­
glia Salesiana. Oggi serviamo in India, Germania,
Italia, Tanzania, Kenya, Uganda e Stati Uniti.
La missione
Lo scopo del nostro Istituto è lo sviluppo inte­
grale della famiglia: il suo benessere spiritua­
le, morale, sociale e materiale, soprattutto delle
donne, delle ragazze e dei bambini, rendendoli
consapevoli dell’amore incondizionato e della
tenera cura di Dio per loro. Ciò si realizza con­
dividendo con loro la nostra profonda intimità
e l’esperienza personale di Dio, attraverso i no­
stri diversi ministeri, a imitazione di Gesù che è
passato facendo del bene a tutti: guarendo, inse­
gnando e annunciando sempre la Buona Novel­
la che è venuto per condurre tutti a Dio, nostro
Padre. Così viviamo e condividiamo il nostro
motto: amare Dio e aiutare gli altri ad amare Dio.
Morrow, che chiamiamo affettuosamente pa-
dre vescovo, quando prese in carico la sua diocesi
di Krishnagar nel 1939, si rese conto del grande
bisogno delle religiose istruite di raggiungere le
famiglie per elevarle e avvicinarle al vero Dio.
«Non aspetteremo solo che la gente venga da noi,
ma andremo dalla gente, nei villaggi, nelle città
e nelle loro case», ha detto. Questa visione è di­
ventata realtà quando ha fondato il nostro istitu­
to. Svolgiamo il suo mandato attraverso il nostro
apostolato principale della visita domiciliare nelle
città e nei villaggi, nonché attraverso le attività
pastorali, mediche, educative, culturali e indu­
striali e altre attività proprie del nostro istituto.
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2.9 Page 19

▲torna in alto
Il carisma della nostra Congregazione è l’espe­
rienza Abbà di Gesù – vedere Dio come il nostro
Padre amorosissimo e tenero e fare tutto solo per
compiacerlo – secondo la Piccola Via dell’Infanzia
Spirituale di Santa Teresa di Gesù Bambino.
Visite alle famiglie. Nella nostra missione andia­
mo di casa in casa visitando le famiglie, i malati e
coloro che sono costretti a casa, pregando con loro
e per loro. Ascoltiamo i loro problemi, insegniamo
loro semplici questioni di fede e di morale e li indi­
rizziamo in molti ambiti della vita per i quali hanno
bisogno di guida e consulenza. Cerchiamo anche di
portare la pace alle famiglie in difficoltà e distrutte
unendo coloro che sono separati.
Apostolato nei villaggi. Durante la visita ai vil­
laggi rimaniamo tra la gente, condividiamo le loro
gioie e i loro dolori, li aiutiamo a migliorare il loro
tenore di vita e a realizzare la dignità e la libertà dei
figli di Dio.
Ministero pastorale. Contribuiamo all’edifica­
zione della Chiesa particolare partecipando atti­
vamente alle opere pastorali e ministeriali affidate
alle religiose. Con essi incoraggiamo tutti ad una
partecipazione piena, consapevole e attiva al cul­
to liturgico, a incontrare Cristo nei sacramenti e a
condurli alla comunione con Dio e ad essere testi­
moni di Cristo risorto.
Media catechetici. Le pubblicazioni catechetiche
del nostro Padre Fondatore vengono da noi aggior­
nate e diffuse a beneficio di tutti, soprattutto dei
giovani. Così proclamiamo la Buona Novella che
Gesù è il nostro Salvatore e aiutiamo ad approfon­
dire la fede dei credenti.
Ministero di guarigione. Come Gesù andava cu­
rando e guarendo ogni tipo di malattia e infermità
come segno che il regno di Dio era venuto, anche
noi, spinti da questa carità e compassione, lo vedia­
mo in ogni persona sofferente e gli prestiamo cura
cristiana del suo corpo fisico, dei bisogni mentali
e spirituali. Questo servizio viene svolto principal­
mente attraverso i nostri dispensari, ospedali e case
per anziani.
L’APOSTOLATO DEL SORRISO
Il nostro Fondatore ci insegna: “Devi mantenere un aspetto allegro
tutto il tempo, tutti i giorni dell’anno, con il volto sorridente, mo-
desto. Questo è il vostro Apostolato del Sorridere, che io qui vi do.
Non possiamo pensare ad una Suora di Maria Immacolata che sia
curva e abbia il viso lungo. Il nome ‘Sorella di Maria Immacolata’
dovrebbe essere sinonimo di una sorella dal corpo eretto e dal volto
sorridente”.
Scuole ministeriali, convitti, centri professionali
e culturali. Gestiamo scuole a vari livelli, in parti­
colare collegi per ragazze dei villaggi, che proven­
gono da famiglie povere e lavoreranno nei campi
agricoli per sostenere le loro famiglie. Li aiutiamo
attraverso le nostre istituzioni a completare almeno
la loro istruzione di base. Con la nostra presenza
amorevole e premurosa con loro creiamo un’atmo­
sfera favorevole a sviluppare riverenza e amore per
Dio, per i genitori e gli insegnanti, per le autorità
civili e religiose, per i compagni e per il prossimo.
Imparano ad essere compassionevoli e generosi ver­
so tutti, specialmente verso i poveri, gli anziani, i
bisognosi e i sofferenti. Inoltre instilliamo in loro
l’amore e il rispetto per tutta la creazione di Dio
e affinché siano cittadini responsabili nel nostro
mondo.
Emancipazione delle donne. Rendiamo consa­
pevoli le donne della loro dignità e del loro giusto
posto nella famiglia e nella società, e diamo loro
potere con i valori del Vangelo per liberarsi dai mali
che le rendono schiave.
settembre 2024
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2.10 Page 20

▲torna in alto
SALESIANI
Missioni don Bosco
Sulle ali di un SOGNO
Servizi sociali, scuole e perfino
una centrale idroelettrica.
La storia di don Serafino
Chiesa, missionario in
Bolivia, che ha cambiato
completamente il volto
di una città a 4000 metri
di altezza.
Q uesta è la storia di don Se­
rafino Chiesa, sacerdote
piemontese, che nel
1977 lasciò l’Italia
per andare a vivere in Bolivia.
Quella che stiamo per raccon­
tarvi è anche – e forse soprat­
tutto – una storia che insegna
che cosa può essere realizzato de­
volvendo il 5×1000 dalla propria dichiarazione dei
redditi “nella maniera giusta”.
«Sono padre Serafino Chiesa, sono nato a Santo
Stefano Roero, in provincia di Cuneo, il sesto di
dieci figli (5 maschi e 5 femmine). Mia sorella
maggiore è Figlia di Maria Ausiliatrice ed è
missionaria in Uruguay, il maggiore dei miei
fratelli è sacerdote e i suoi anni li ha vissuti
come prete operaio.
Sono partito per la missione di Kami, sul­
le montagne della Bolivia, il 2 gennaio
1985, per dare una mano e offrire il mio
sostegno a quest’opera così lontana e
complicata a causa dell’altitudine (4000
metri slm). Non ero preparato per par­
tire missionario, ma ho accettato la
proposta dei superiori di aprire una piccola finestra
sul mondo, una missione tra i poveri… e Kami era
il posto giusto! Non potevo dire nient’altro se non
che era arrivato il momento per me di non vivere
più di chiacchiere, ma di dare finalmente il mio
contributo».
Pane e pesci
Siamo nel 1977 don Serafino lascia la sua Torino
e arriva a Kami, in Bolivia. Porta con sé lo spirito
del giovane missionario e l’esempio di don Bosco e
appena arriva capisce di essere giunto in un mondo
completamente diverso da quello a cui era abituato.
Non che non se lo aspettasse, ma senza neppure di­
sfare i bagagli, senza aver conosciuto nessuno, sen­
za aver ancora iniziato a confrontarsi con i bisogni
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settembre 2024

3 Pages 21-30

▲torna in alto

3.1 Page 21

▲torna in alto
e le esigenze di quella gente, già nota qualcosa
di profondamente nuovo e diverso. Gli
basta annusare l’aria.
Kami è a 4000 metri di altitudine.
È definito un ambiente ipossico,
cioè povero di ossigeno: il 60% circa
di quanto se ne respira a livello del
mare. La gente che vi abita, circa
20mila abitanti, attraverso le generazioni è riuscita
ad adattare il proprio organismo a quelle condizio­
ni ambientali. Dalle analisi emerge come i globuli
rossi siano di più rispetto alla norma. Ma è gen­
te forte, nella quasi totalità appartenenti alle etnie
Quechua (gli antichi Incas) e Aymarà (pre-incaici),
che ha dimestichezza con freddo e neve. Il resto
del mondo, l’Occidente, con i suoi ritmi, con il suo
tepore, con le sue connessioni, è lontanissimo.
Aiutare i più bisognosi, il dovere morale di tutti
noi. Don Serafino Chiesa si mette subito al lavoro:
per prima cosa punta sulla formazione dei giovani,
creando scuole e convitti, e poi via ai progetti am­
biziosi che riguardano tutta la comunità: l’assisten­
za sanitaria, l’acquedotto, le strade, la maglieria, il
rimboschimento, la falegnameria, il panificio, l’al­
levamento ittico: cose strabilianti sia per la Bolivia
andina sia per chi le immagina dall’Italia. Certo,
non tutto è semplice. Basti pensare alla difficoltà di
far arrivare fin lassù personale competente e i ma­
teriali, oppure ancora il dover lavorare con i mezzi
della missione, non esattamente nuovi di zecca.
Che dai tre anni iniziali ne siano già passati tan­
tissimi, dice solo che Kami non si può abbandona­
re. «Per me è stato un tuffo che mi ha insegnato a
nuotare e devo dire che per questo salto dalle Alpi
alle Ande mi hanno aiutato i tanti giovani dell’o­
ratorio Agnelli di Torino e la comunità salesiana.
Respirare, vivere, lavorare in un ambiente dove per
vari mesi c’è fango dappertutto, strade impratica­
bili, dove per rifornirsi è necessario andare nella
città più vicina che è a 5 ore di macchina è dura,
però penso che tanto lavoro non può essere buttato
via, occorre fedeltà. Abbiamo innescato un mecca­
nismo di speranza nel cuore della gente di
Kami che non possiamo tradire, dob­
biamo dar loro tranquillità fino a che
il Signore regala vita e salute».
«La presenza salesiana a Kami, ini­
zialmente italiana, ha subito molti
cambiamenti e, gradualmente, ha
incorporato dei salesiani bolivia­
ni, finché è passata ad essere amministrata dall’I­
spettoria boliviana. Ma le linee della missione non
sono cambiate dall’inizio.
A quei tempi le strade erano terribili, le frane erano
costanti e la città più vicina era a molte ore di di­
stanza. Un’altra questione impressionante era la si­
tuazione dei bambini che non avevano nulla per pro­
teggersi dalla pioggia e dal freddo. Ora la situazione
è molto diversa, non c’è paragone con quegli anni.
Prima, non essendoci una strada, era più difficile
raggiungere le comunità remote, e c’erano notti in
cui necessariamente dovevo trattenermi in qualche
comunità. Le persone che mi ospitavano mi la­
sciavano il loro povero letto e andavano a dormire
nei magazzini. L’ospitalità è stata sempre grande,
così come l’affetto. Ma ora ci sono strade, ci si può
muovere in macchina e non c’è motivo di dormi­
«Abbiamo
innescato un
meccanismo
di speranza
nel cuore
della gente
di Kami che
non possiamo
tradire,
dobbiamo dar
loro tranquillità
fino a che il
Signore regala
vita e salute».
settembre 2024
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3.2 Page 22

▲torna in alto
SALESIANI
Le opere sociali
iniziarono quasi
immediatamente
dopo l’arrivo dei
salesiani, come
l’acquedotto, che
è considerato
un’opera
monumentale,
la costruzione
dell’ospedale,
della palestra e
di una centrale
idroelettrica.
re fuori. Questo è sia un bene sia un male, perché
l’atmosfera di vicinanza, convivialità e familiarità
si è persa».
L’impatto sociale della presenza
salesiana a Kami
Uno dei primi effetti è stata la presenza di sacerdoti
che visitavano le famiglie e assicuravano la celebra­
zione dell’Eucaristia.
Le opere sociali iniziarono quasi immediatamente
dopo l’arrivo dei salesiani, come l’acquedotto, che
è considerato un’opera monumentale. Ci sono 7
chilometri di tubature lungo una catena montuosa
molto complicata. L’acqua è stata portata a Kami in
grandi quantità, anche se è ancora insufficiente a
causa del gran numero di minatori.
Altre opere importanti sono state la costruzione
dell’ospedale, della palestra e del cinema nel 1984.
Sono opere sociali che hanno avuto un forte im­
patto sulla popolazione di Kami e hanno creato un
rapporto di stima con la comunità salesiana.
Ad un certo punto, circa venti anni fa, a don Sera­
fino viene l’idea in grado di cambiare per sempre
Kami e la qualità della vita della sua gente: riattiva­
re un impianto idroelettrico abbandonato, per dare
energia alla città, ai suoi abitanti e alle loro attività,
per migliorare la qualità della vita di tutti, per dare
lavoro e addirittura per vendere l’energia prodotta
in sovrabbondanza e con gli incassi sostenere i ser­
vizi sociali e altre attività necessarie. Occorre però
trovare le risorse, tante risorse.
Queste arrivano tramite Missioni don Bosco e
il 5×1000 dei contribuenti. L’investimento è im­
portante, ci sono voluti anni di lavoro duro ma alla
fine, nel 2007, la centrale ha aperto i battenti e
Kami è cresciuta moltissimo. “Volevamo camminare
sulle ali di un sogno insieme con una popolazione che
un giorno potrà camminare con i propri piedi” ripete
spesso don Serafino a chi gli chiede di quel periodo
e di quel progetto. Anni in cui non sono mancati
sacrifici e neppure grandi paure: una mattina, alle
6,45, una frana investe in pieno le turbine. Se fosse
successo neanche un’ora più tardi, pioggia e frango
avrebbero travolto anche gli operai al lavoro e sa­
rebbe stata una tragedia. Don Serafino non smette
di ringraziare Dio per non esserci stata alcuna vit­
tima. Un miracolo.
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settembre 2024

3.3 Page 23

▲torna in alto
Il progetto è davvero grande. La prima fase venne
completata già nel 2007, ora siamo alla terza e ul­
tima fase del progetto, da completare per la costru­
zione dell’impianto, che fornirà l’elettricità all’inte­
ra regione e potrebbe essere in grado di espandersi
ancora un po’. Il progetto prevede che l’energia in
eccesso venga venduta allo Stato e che il reddito
venga utilizzato per sostenere tutte le attività della
missione salesiana in Bolivia: sostenere i progetti di
Radio Don Bosco, i progetti agricoli, mantenere le
strade, che è una parte importante dello sviluppo
dei villaggi...
Il miglior prosciutto della Bolivia
Quest’iniziativa nacque circa 25 anni fa, a partire
da un progetto agricolo che cercava di migliorare la
qualità della vita della gente migliorando la qualità
dei semi di patata, e che continua ancora oggi. È
un sistema che nel corso degli anni ha dimostrato
la sua efficienza.
In quegli anni, quando non c’erano veterinari nella
zona, la formazione di promotori agricoli divenne
una necessità. Così, nel centro “Icaya”, una piccola
fattoria dove si tengono i corsi, i contadini hanno
potuto lavorare con i maiali, poiché tutte le fami­
glie hanno questi animali nei loro campi, ma erano
trascurati e malati.
Abbiamo iniziato con lo sviluppo di corsi di for­
mazione e siamo riusciti a fare piccoli allevamenti
di maiali in buone condizioni igieniche. Sono stati
tenuti corsi di sensibilizzazione e di formazione
che hanno portato a un allevamento di maiali di
razza migliorata. I partecipanti hanno comprato
questi animali e li hanno allevati a casa secondo le
specifiche del corso. Dopo alcuni anni di vendi­
ta di maiali di razza, abbiamo scoperto che erano
troppi e avevamo un’eccedenza di questi animali.
Con questo input abbiamo iniziato a sperimenta­
re e siamo riusciti a produrre prosciutto serrano e
salame chorizo, con ottimi risultati. Siamo stati in
grado di dare un valore aggiunto alla carne di ma­
iale.
In questo modo, è stato attrezzato il centro di pro­
duzione e il prodotto è attualmente venduto in due
catene di supermercati, a Cochabamba e La Paz.
E posso affermare che siamo riusciti a produrre il
miglior prosciutto serrano della Bolivia.
settembre 2024
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3.4 Page 24

▲torna in alto
LE CASE DI DON BOSCO
Burguera Pérez José Luis, sdb
TIBIDABO
Il “Tibidabo” è il colle di Barcellona,
518 metri per una splendida
fotografia alla capitale della
Catalogna e a parte del suo
territorio. Collina del divertimento e
dello spirito: oltre al grande parco
per il tempo libero, infatti, il suo
culmine è occupato dal poderoso
tempio del Sacro Cuore, voluto da
don Bosco, meta di pellegrinaggi
e luogo di preghiera. Tibidabo (dal
latino tibi dabo - ti darò) è chiaro
riferimento a Cristo tentato su un
imprecisato monte dal quale poteva
vedere le ricchezze della terra.
L’ idea di costruire un tempio in cima al
monte Tibidabo nacque alla fine del xix
secolo a causa di voci sulla costruzione
di un tempio protestante e di un alber­
go-casinò, in risposta alle quali un “Consiglio dei
Cavalieri Cattolici” acquisì la proprietà del terreno,
che cedette nel 1886 al sacerdote italiano Juan Bo­
sco (canonizzato nel 1934). Bosco era allora in vi­
sita a Barcellona su invito di Dorotea de Chopitea,
grande mecenate e promotrice del progetto. Nac­
que allora l’idea di realizzare un tempio dedicato
al Sacro Cuore di Gesù, devozione allora di moda
grazie all’impulso di papa Leone XIII, seguendo
la linea del tempio costruito a Roma dallo stesso
Bosco (Sacro Cuore di Gesù), così come il famoso
Sacro Cuore di Parigi e altre chiese francesi con lo
stesso nome, come quelle di Lione e Marsiglia.
Infine, il 28 dicembre 1902, fu posta la prima pie­
tra in un evento presieduto dal vescovo di Barcello­
na, Salvador Casañas i Pagès, che nel suo discorso
chiese l’elemosina per la “nuova Montmartre di
Barcellona” – in riferimento alla famosa collina
parigina dove si trova il Sacré-Cœur. I lavori du­
rarono fino al 1961 e furono completati da Josep
Maria Sagnier, figlio dell’architetto del progetto,
Enric Sagnier.
Enric Sagnier fu un autore prolifico, forse l’archi­
tetto con il maggior numero di costruzioni a Bar­
cellona, ​q​ uasi 300 edifici documentati. Dallo stile
eclettico, con una certa tendenza classicista, si av­
vicinava al modernismo che era di moda all’epo­
ca nella capitale catalana, interpretandolo però in
modo sobrio e funzionale. La sua principale fonte
di ispirazione era l’architettura medievale, in parti­
colare romanica e gotica.
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settembre 2024

3.5 Page 25

▲torna in alto
Al XXII Congresso Eucaristico Internazionale te­
nutosi a Madrid nel 1911, il Sacro Cuore del Ti­
bidabo fu nominato Tempio Espiatorio Nazionale
della Spagna. Il 29 ottobre 1961 il tempio ricevette
il titolo di basilica minore, concesso da papa Gio­
vanni XXIII.
La profezia di don Bosco
Le Memorie Biografiche di don Bosco raccontano:
«Mentre dunque don Bosco stava là in preghiera, si
avanzarono verso di lui i detti signori, fecero dare
lettura di un atto col quale gli cedevano la proprie­
tà della montagna e rassegnarono nelle sue mani le
carte relative. Il documento di cessione era scritto e
ornato da valente calligrafo. Glielo presentò a nome
della Commissione il Presidente della Società di g.
Vincenzo de’ Paoli con queste parole: “A perpetuare
il ricordo della sua venuta in questa città, i signori
qui presenti si sono consigliati e di comune accor­
do hanno deliberato di cederle la loro proprietà del
monte Tibidabo, affinché la sua cima, che minac­
ciava di cambiarsi in un semenzaio d’irreligione, sia
consacrata con un santuario al Sacro Cuore di Gesù,
per mantenere ferma e incrollabile quella religione
che con tanto zelo ed esempio Ella ci ha predicata
e che è nobile retaggio dei padri nostri”. Allora don
Bosco, profondamente commosso, rispose: “Sono
confuso dell’inaspettata e novella prova che mi date
della vostra religione e pietà. Ve ne ringrazio; ma
sappiate che in questo istante voi siete strumenti
della divina Provvidenza. Quand’io lasciava Torino
per venire nella Spagna, pensavo tra me: Ora che la
chiesa del Sacro Cuore a Roma è quasi terminata,
bisogna studiare qualche altro mezzo per onorare il
Sacro Cuore e propagarne la divozione.
Ed una voce intera mi rendeva tranquillo, assicu­
randomi che avrei potuto qui soddisfare al mio
voto. Quella voce mi ripeteva: Tibi dabo, tibi dabo!
, o signori voi siete strumenti della divina Prov­
videnza. Col suo aiuto sorgerà presto su quel monte
un santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; là
avranno tutti comodità di accostarsi ai saliti Sacra­
menti e si ricorderà in eterno la vostra carità e la
fede di cui mi avete date tante e sì belle prove».
Il primo segnale della sua volontà di rispettare
i patti venne subito, e fu la costruzione di una
cappella di forme gotiche, proprio sul cucuzzolo
della collina. A pianta quadrata di poco più di
due metri per lato, alta otto metri dalla base alla
cuspide, e all’interno un’immagine del S. Cuore…
poco più di un’edicola insomma, ma sufficiente a
testimoniare la destinazione futura dell’area. La
finanziò la nobildonna Dorotea de Chopitea, di cui
è in corso la causa di beatificazione, sincera ammi­
ratrice e benefattrice di don Bosco, che aveva già fi­
nanziato la costruzione del collegio di Sarriá. Iniziò
subito un movimento popolare spontaneo di visite
Il Tibidabo è
diventato la
Montmartre
spagnola. Il
tempio fa da
piedistallo alla
grande statua
in bronzo del
Sacro Cuore
di José Miret le
cui braccia
si aprono
ad accogliere
Barcellona
e il mondo.
settembre 2024
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3.6 Page 26

▲torna in alto
LE CASE DI DON BOSCO
Da cent’anni,
i Salesiani
curano
la salute
spirituale dei
pellegrini con
iniziative di
ogni genere.
e pellegrinaggi che andò via via ingigantendosi. La
prima pietra del tempio venne posta in loco dal car­
dinale Casañas il 28 dicembre 1902.
Il Tibidabo è diventato la Montmartre spagnola.
Il tempio fa da piedistallo alla grande statua in
bronzo del Sacro Cuore di José Miret – 7,50 m di
altezza e 4800 kg di peso – le cui braccia si aprono
ad accogliere Barcellona e il mondo. I salesiani da
cent’anni curano la salute spirituale dei pellegrini
con iniziative di ogni genere.
Per diversi decenni del xx secolo, la casa salesia­
na di Tibidabo, oltre alla sua dedizione prioritaria
all’adorazione e al culto del Sacro Cuore di Gesù,
è stata un’aspirantato salesiano, una scuola per l’i­
struzione primaria e anche la sede di un notevole
coro di voci bianche: l’“Escolania”. Nel vicino edi­
ficio “Mater Salvatoris” – oggi non più di nostra
proprietà – si tenevano molti ritiri, esercizi spiri­
tuali e anche capitoli dell’ex ispettoria salesiana di
Barcellona; dal 1969 la chiesa è anche parrocchia.
La casa salesiana del Tibidabo ebbe un ruolo im­
portante nel XXXV Congresso Eucaristico Inter­
nazionale di Barcellona del 1952, quando la chiesa
superiore fu coperta e la statua del Sacro Cuore fu
posta sul punto più alto. Nel 1961, in concomitanza
con l’illuminazione della statua, si tenne il 1° Con­
gresso Internazionale del Sacro Cuore, organizzato
dallo stesso Tibidabo, anno in cui un breve ponti­
ficio insignì la chiesa del titolo e della dignità di
Basilica Minore.
Missione della Comunità
Oggi la comunità salesiana è composta da sette
confratelli.
La missione dell’opera salesiana del Tempio del Sa­
cro Cuore di Gesù del Tibidabo è l’Evangelizza­
zione con un proprio stile, che comprende:
annunciare la misericordia di Dio attraverso
l’incontro con la Parola di Dio, promuovendo la
devozione al Sacro Cuore di Gesù;
facilitare la partecipazione trasformativa e co­
munitaria ai sacramenti;
proporre una spiritualità e una forma di pre­
ghiera che dia priorità all’incontro personale con
Gesù Cristo e alla trasformazione della propria
vita seguendo gli itinerari della Rete Mondiale
di Preghiera del Papa;
promuovere la pratica dell’adorazione eucaristi­
ca, garantendone la qualità secondo l’ideologia
salesiana del Tempio;
accogliere visitatori, pellegrini e gruppi, soprat­
tutto giovani della Chiesa e delle classi popolari,
nello stile del carisma salesiano.
Attività
Attività realizzate e promosse dal Tempio Tibi­
dabo:
porte aperte del Tempio per tutta la giornata
con possibilità di visitarlo, pregare, conversa­
re con un membro della comunità salesiana,
ecc.;
partecipazione ai Sacramenti;
preghiera personale e preghiera comunitaria del­
le Lodi e dei Vespri;
esposizione eucaristica per l’adorazione persona­
le e di gruppo;
proposte di evangelizzazione e formazione attra­
verso il Tibidabo Magazine, visite guidate, au­
dioguide, la ricca simbologia del Tempio e social
network;
alloggio per ritiri, convivenza, formazione, ce­
lebrazioni;
ascensore per vista panoramica.
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settembre 2024

3.7 Page 27

▲torna in alto
ANNIVERSARI
BSol
Istituto Salesiano per le MISSIONI
100 anni di aiuti ai nostri missionari
I l 13 gennaio del 1924, con un decreto reale,
veniva eretto in ente morale l’Istituto Salesia-
no per le Missioni, per un’iniziativa del Ret­
tor Maggiore, il beato Filippo Rinaldi, che
voleva sostenere le attività missionarie. L’Istituto
prosegue anche oggi il suo compito a favore di tante
missioni nel mondo.
Nel giugno 1924 il Rettor Maggiore, don Filippo Ri­
naldi, scriveva ai salesiani a proposito delle missioni:
“E, cosa mirabile, i giovani stessi di molti nostri col­
legi, pensionati, convitti, e principalmente oratorii
festivi, sono già divenuti apostoli ferventi, suscitano
e tengono viva tra i compagni una nobile gara di pri­
vazioni e mortificazioni spontanee a pro delle nostre
Missioni; di lotterie, recite drammatiche, e altri trat­
tenimenti per lo stesso fine; di letterine ai genitori, ai
fratelli, ai conoscenti ed amici per avere qualche of­
ferta, o per indurli a iscriversi tra i Cooperatori o ad
abbonarsi al caro periodico Gioventù Missionaria. E
non di rado avviene che, a forza di questuare per le
Missioni, qualche giovane finisce per dare anche sé
stesso, facendosi missionario salesiano.”
Quando don Bosco finì la sua vita terrena, i sa­
lesiani missionari erano presenti in cinque paesi
dell’America Latina, in numero di circa 150, fra i
773 salesiani in tutta la Congregazione. Il loro nu­
mero crebbe tanto che fino al 1925 erano partiti per
le missioni circa 3000 salesiani. Un numero così
grande di missionari, con un numero grande anche
delle opere missionarie, per non parlare dei bene­
ficiari delle missioni, richiedeva un’organizzazione
ingente, tanto nella preparazione di questi generosi
salesiani quanto nelle risorse materiali.
Si stavano approntando anche i preparativi per ce­
lebrare il cinquantesimo della prima Spedizione
Missionaria (1875-1925). A proposito di questo, il
Bollettino Salesiano del giugno 1924 scriveva:
Lungo un secolo, l’Istituto Salesiano
per le Missioni ha fatto da intermediario
tra i benefattori e i beneficiati
delle missioni.
“Avvicinandosi il Cin­
quantenario delle Missio­
ni Salesiane (1875-1925),
raccomandiamo a tutti la
celebrazione delle Gior­
nate Missionarie a favore
delle Missioni Salesiane,
per diffonderne la cono­
scenza e i bisogni, e gua­
dagnare ad esse maggiori
simpatie, perché raggiun­
gano quell’appoggio di
cui abbisognano quoti­
dianamente.
A questo scopo fu neces­
sario fondare un ente giu­
ridico, Istituto Salesiano
per le Missioni, che si occupasse delle necessità
missionarie. Il compito dell’Istituto Salesiano per
le Missioni iniziato cento anni fa non si è fermato,
non essendosi fermate le necessità. Continua anche
oggi perché l’educazione dei ragazzi, specialmente
dei più poveri, è una missione continua. Di bene­
fattori c’è sempre bisogno perché Dio vuol far par­
tecipare tutti alla sua opera salvifica. Dipende da
ognuno se vuol essere cooperatore di Dio.
CONTATTI
Istituto Salesiano per le Missioni - Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino
CF 00155220494  tel. +39 011.5224.248
istitutomissioni@sdb.org  istitutosalesianoperlemissioni@pec.it
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3.8 Page 28

▲torna in alto
FMA
Monica Falcini
I primi cento anni della scuola
MADRE MAZZARELLO
di Torino
Cent’anni e non sentirli.
Soprattutto, non subirli,
perché si può fare di
meglio: viverli con la
consapevolezza di una lunga storia
alle spalle, da onorare e custodire,
ma con l’energia di un giovanotto,
che si incardina nel presente per
rispondere alle sue necessità, e
insieme sogna e spera con i ritmi
generosi dell’età provetta.
La Direttrice con Don Bosco e Madre Mazzarello!
Così è per la scuola Madre Mazzarello di via
Cumiana 2, a Torino, della grande con­
gregazione delle Figlie di Maria Ausilia­
trice. Ha aperto il bel portone all’angolo
di corso Peschiera proprio cent’anni fa, rivolgendosi
alle fasce deboli del quartiere con laboratori di sar­
toria e ricamo, con una scuola materna per i bimbi
delle tante famiglie operaie e con corsi serali profes­
sionalizzanti. Nel volgere degli anni è cresciuta, si è
qualificata, ha quasi raddoppiato la sua estensione,
ed oggi è un grande plesso scolastico paritario che
accoglie dai piccolissimi della sezione Primavera ai
bimbi della scuola materna, che diventa primaria e
secondaria, per finire con tre corsi liceali. Tutti gli
angoli, dalle aule ai cortili, dalla veranda al salo­
ne, brulicano di una ricca e variegata umanità, che
conta quasi novecento studenti e la giusta dose di
docenti, educatori, collaboratori scolastici. Ultime,
ma non meno importanti, le suore, espressione del
carisma di don Bosco, per cui “basta che siate gio­
vani perché io vi ami”. Ed è così ogni giorno. Per
tutti.
Suor Enrica Ferroglio, direttrice della comunità,
bisogna un pochino rincorrerla. È ovunque. Vien
da chiedersi se il dono dell’ubiquità del santo di
Castelnuovo sia passato anche a lei, o se sia sempli­
cemente merito del fisico giovane e dell’impegno
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settembre 2024

3.9 Page 29

▲torna in alto
a non mancare mai. “Siamo rimaste in poche, noi
suore, e qualche volta dobbiamo fare i salti mortali
per aprire, chiudere, accogliere, insegnare, pregare,
far quadrare i bilanci, collaborare con il territorio e
tracciare nuovi percorsi. Ma siamo ben accompa­
gnate: l’opposizione laici e consacrate è un retaggio
del passato che non ci appartiene da tempo. Stiamo
bene insieme, ci capiamo, rispettiamo le vocazioni
individuali e lavoriamo con gioia, perché le case di
don Bosco devono essere allegre!”
La sua mano destra (o il ventricolo sinistro? non è
dato di saperlo!) è la professoressa Daniela Mesi­
ti, che festeggia il centenario della scuola davvero
“con il botto”. Nel suo caso, il botto è un bel far­
dello. Preside di lungo corso e di grande talento, da
quest’anno dirige non solo l’infanzia e il liceo, ma
l’intera scuola, in tutti i suoi ordini, in un carnevale
di esigenze diversificate, mai sottovalutate, sempre
prese a cuore. È donna senza orari, ama le cammi­
nate in montagna e forse per questo non la spaven­
tano i percorsi in salita: con le pietre di inciampo è
capace di farci un resort! Chi la conosce bene, come
i suoi collaboratori più stretti, sa che si può sempre
contare su di lei, per qualunque esigenza, profes­
sionale ma anche umana. Comprende, valorizza,
accompagna. Guai in vista solo se comunica “Mi è
venuta un’ideuzza”, perché lì scattano straordinari
senza fine, ma anche nuove partenze verso traguar­
di che parevano impensabili.
Tornano sempre
E così la scuola cresce e ha salutato questo 2024
con iniziative di grande calibro: un musical dal ti­
tolo “Sei con noi”, memoria di Madre Maria Maz­
zarello, che ha visto oltre duemila persone riem­
pire campo e spalti del Palazzetto dello Sport di
Torino, per ricoprire tutti i ruoli che un musical
di qualità esige: cantanti, ballerini, musicisti (che
sinfonia quella band di suonatori di… secchielli e
bacinelle!), coristi, suggeritori… E poi il festival
della lettura, con scrittrici del calibro di Margheri­
ta Oggero, Alice Basso, Cristina Frascà, Valentina
Petri, che di scuola se ne intendono quasi come di
letteratura; il laboratorio d’arte in collaborazione
con il Museo di Arte Urbana, che ha dato vita a due
panchine d’artista nel cortile della scuola; la visita
del Sindaco Lo Russo e la benedizione del vesco­
vo monsignor Repole, che ha anticipato i tempi nel
2023. Per le iniziative da settembre a Natale… l’e­
lenco è lunghetto e non si vuole spoilerare troppo…
Ma la vera festa del centenario è… tutti i giorni.
Fonti ben informate riferiscono di fiumi di lacrime
versate a fine quinta dai liceali che… salutano la
scuola. Sono gli stessi che in tempi non sospetti non
vedevano l’ora del decollo verso orizzonti più alti e
La band della
secondaria.
settembre 2024
29

3.10 Page 30

▲torna in alto
FMA
Il coro della
primaria.
Sotto:
ll sorriso di
suor Enrica
Ferroglio.
ora abbracciano gli insegnanti dicendo “La Mazza
rimarrà sempre la nostra casa”. E mantengono le
promesse: i loro appuntamenti per cene o balli se­
rali sono nella via, sotto le finestre delle suore, che
ogni tanto si affacciano a salutare all’ennesimo col­
po di clacson. Ma gli ex tornano, tornano sempre.
E questo stropiccia il cuore dei loro insegnanti di
tenerezza e nostalgia.
Chiunque voglia conoscere la scuola, è sempre ben
accolto. Gli appuntamenti servono per garantire a
ciascuno la dovuta attenzione e per non trovarsi in
troppi a condividere le sedie del parlatorio o il tour
delle aule. Ma c’è posto per tutti, fino al “proprio
non ci stiamo più”!
vature liceali e le innovazioni della scuola dell’ob­
bligo, perché onesti cittadini si diventa anche attra­
verso una solida preparazione, conseguita con fatica
e soddisfazione.
La Mazzarello è scuola, cultura, teatro, musica,
tanto sport. È una finestra cui affacciarsi insieme,
alunni e professori, per guardare il mondo, scoprir­
sene responsabili e cercare la maniera per restituire
al creato e al Creatore talenti moltiplicati e messi
a servizio. È modernità, nelle attrezzature, nei la­
boratori, nella costruzione di un ambiente di ap­
prendimento intenzionale e sistematico, volto alla
costruzione di competenze e abilità attraverso l’ap­
proccio esperienziale. Ed è tradizione, nel rispetto
della migliore pedagogia salesiana, che chiede di
essere “maestri in cattedra, amici in cortile”, che
impone di amare al di sopra dei possibili nonostan-
te…, e che spalanca orizzonti di infinito in una so­
cietà che fatica anche solo a pensare oltre il ristretto
orizzonte della materia.
La carica dei 101
“L’educazione è cosa di cuore”, recitava don Bosco.
Questo è anche un caposaldo dell’offerta formativa
della scuola Mazzarello, perché arriva al cuore dei
ragazzi solo ciò che parte dal cuore dei loro maestri.
E non si creda: anche la cultura fa questo percorso,
perché il cervello dei giovani si apre a condizioni
molto esigenti, che sono la sfida quotidiana dei
docenti, anche i più esperti. E la Mazzarello vuole
raggiungere traguardi di eccellenza anche sotto il
profilo culturale, di cui sono testimonianza le cur­
30
settembre 2024

4 Pages 31-40

▲torna in alto

4.1 Page 31

▲torna in alto
L’OFFERTA FORMATIVA
L’offerta formativa della scuola Mazzarello si articola in:
scuola dell’infanzia, a partire dalla sezione Primavera per i bimbi
di due anni, con bilinguismo;
scuola primaria e secondaria di primo grado con potenziamento
della lingua inglese;
liceo linguistico a curvatura artistico ed enogastronomica, in
collaborazione di Fondazione Torino Musei e Slow Food;
liceo economio-sociale, con curvatura in economia civile, in col-
laborazione con la Scuola di Economia Civile;
liceo scientifico scienze applicate, con curvatura in divulgazione
scientifica.
Per ulteriori informazioni e contatti, consultare i siti
https://www.mazzarello.it/
https://www.liceomazzarello.it/
Le previsioni post centenario parlano il linguaggio
di una progettualità ampia, differenziata, inclusi­
va e innovativa. Pare che il motto di questo nuovo
anno scolastico appena iniziato sia “La carica dei
101” e le energie non mancano in quel di via Cu­
miana. “Estote parati”, direbbe don Bosco. Tradu­
cendo oggi, stay tuned! Chiaro?
In alto:
I “piani”
della
professoressa
Daniela
Mesiti.
A fianco:
Ballerini
in pista.
settembre 2024
31

4.2 Page 32

▲torna in alto
EVENTI
Agnese La Bella
L’inno ufficiale del
SINODO SALESIANO
dei giovani 2024
La canzone In the shape of your
dream è il risultato di una comunione
di talenti ed è stata scelta da una
Commissione di giovani provenienti
da tutto il mondo.
Il nuovo singolo del gruppo musicale dei DBsons
è stato scelto come inno ufficiale del Sinodo
Salesiano dei Giovani 2024, arrivando vincitore
nella classifica dei partecipanti al contest per la
selezione dell’inno a livello mondiale. È stato scelto
dal Core Group, o Commissione centrale, composto
da giovani provenienti da tutto il mondo.
I DBsons, gruppo musicale dell’Ispettoria Salesiana
Sicula, composto da don Emanuele Geraci (sdb) e
don Giuseppe Priolo (sdb), nasce dal sogno di que­
sti due giovani talentuosi salesiani di parlare di Dio
e renderLo presente in mezzo ai giovani, trovando
nella musica quella forza comunicativa capace di
rendere questo sogno realtà.
La canzone In the shape of your dream è il risultato di
una comunione di talenti: il testo è stato composto
dal pianista, nonché cooperatore, Angelo Di
Chiara, musicato e cantato dai DBsons, insieme alle
voci di Chiara Raneri, una studentessa del Con­
servatorio, don Walter Paolo Riggio, sdb del Don
Bosco Ranchibile di Palermo, e Agnese La Bella,
studentessa liceale. Il video ufficiale è stato realiz­
zato grazie alla collaborazione di don Orazio Mo­
schetti, regista e ideatore del progetto, insieme ad
Agnese La Bella.
DBsons… come si è formato questo
gruppo?
– Ciò che si è voluto creare nel tempo, – ci dice
don Emanuele – più che un gruppo, lo definirei
“una realtà”: una realtà nata dalla voglia di mettere
a frutto un talento ricevuto da Dio, dalla voglia di
mettere anche questo dono della musica a servizio
dei giovani. Ho trovato fin da subito un compagno
in questa avventura, il buon don Giuseppe.
L’intento è quello di scrivere delle canzoni che
parlino di Dio, senza nominarlo esplicitamente,
con il preciso obiettivo di poter raggiungere anche
quei ragazzi che sono intrisi di pregiudizi, frutto di
luoghi comuni, su Dio e la Chiesa. Con il passare
del tempo, siamo stati poi coinvolti direttamente
dall’incaricato della Pastorale Giovanile Ispettoria­
le nella realizzazione di anno in anno di un inno
sulla tematica pastorale.
32
settembre 2024

4.3 Page 33

▲torna in alto
Il filo rosso delle varie canzoni ed esperienze fatte
negli anni è sicuramente uno, ovvero offrire non
solo un prodotto musicale ai giovani, ma farlo con
loro: vivere un’esperienza con dei ragazzi (non sem­
pre gli stessi), che suonano, che cantano, che scri­
vono arrangiamenti, che collaborano nella redazio­
ne del testo, che fanno da attori nella registrazione
del videoclip.
Una delle cose in cui crediamo fermamente è che la
musica e tutto ciò che le gira intorno sia occasione,
per questi ragazzi che vengono coinvolti, di pren­
dere consapevolezza di quel dono che il Signore ha
fatto loro, di infonder loro il coraggio di osare per
metterlo a servizio degli altri, di educare al Bello,
di sognare e far sognare gli altri.
Come nasce questa canzone?
La canzone – afferma Angelo – nasce dalla voglia
di raccontare e testimoniare come il sogno dei nove
anni di don Bosco, a distanza di duecento anni, sia
ancora vivo e tangibile nel cuore di tutti i giovani
del mondo; anche di quelli che magari non hanno
conosciuto o non conoscono don Bosco, perché per
loro, allo stesso modo, può sempre essere possibile
una vita “nella forma del sogno” del santo dei gio­
vani.
Nasce, inoltre, da un continuo ricordarci che siamo
figli di quel sogno e che ne siamo anche promo­
tori. Un sogno che cantiamo e
testimoniamo con le nostre vite,
perché possiamo cambiare quelle
di chi ci sta attorno, in particolare
dei giovani che ci sono affidati in
quanto educatori/formatori.
mondo della spiritualità, essa è un mezzo che avvi­
cina il cuore dei fedeli a Dio.
In un momento storico come il nostro, dove spes­
so i giovani vengono attirati e sedotti dal mondo
profano, che ha a che fare con tutto tranne che con
Dio, oggi più che mai, la musica, attraverso anche
l’utilizzo dei social, può essere un mezzo per porta­
re i giovani a Dio.
In the shape of your dream nasce dall’esigenza di
parlare di don Bosco con uno stile moderno, uti­
lizzando delle sonorità e degli arrangiamenti vi­
cini a quelli che i giovani ascoltano. Essi possono
identificarsi in questo tipo di musica, utilizzando
essa stessa, inconsciamente, come mezzo di avvici­
namento alla storia e al carisma di don Bosco che
porta direttamente a Dio.
Che messaggio volete dare ai giovani
che stanno ascoltando la vostra nuova
canzone?
Il messaggio che vogliamo dare – afferma don
Emanuele – è che il sogno di don Bosco è qualcosa
di grande, dove c’è spazio per tutti, per ogni stato
di vita, per ogni tipologia di impegno nella Chiesa.
L’unico requisito richiesto è la disponibilità del pro­
prio cuore a sognare, a rischiare per amore, a offrire
il meglio di noi. Solo così daremo, con la nostra
vita, forma ad un sogno che continua.
In the shape
of your
dream nasce
dall’esigenza
di parlare
di don Bosco
con uno stile
moderno,
utilizzando
delle sonorità
e degli
arrangiamenti
vicini a quelli
che i giovani
ascoltano.
Che valore ha la musica per
voi e come si sposa con la
scelta di educare i giovani?
Nel corso della storia – spiega
Chiara – la musica è stata veicolo
di emozioni e di idee, unendo ge­
nerazioni e persone diverse. Nel
settembre 2024
33

4.4 Page 34

▲torna in alto
COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 9
RACCONTARE FIABE
A molti guai della nostra epoca sarà difficile rimediare,
almeno in breve tempo: pensiamo allo smog, alla droga,
alla crisi energetica, al terrorismo. Però subito possiamo
rimediare alla solitudine dei nostri bambini, al loro bisogno
di attenzione, di tenerezza, di amore.
P ossiamo rimediare subito e a poco prezzo.
Basta una fiaba!
Basta una fiaba per rendere più luminosa e
meno noiosa la vita del bambino.
Basta una fiaba per rafforzargli il sistema immuni­
tario psicologico.
Basta una fiaba per regalare una carezza che rima­
ne nel cuore per tutta la vita. Perché non iniziare da
stasera? Sì, da stasera perché il momento più adatto
per raccontare fiabe è la sera.
Il bambino che sente raccontare una fiaba prima
di addormentarsi fa un’esperienza di vita emotiva
intensa.
C’è una voce protettiva e intima che gli parla: è la
voce della mamma o del papà. La voce della
mamma e del papà è infinitamente superiore
a quella della televisione. La televisio­
ne è fredda, inesorabile: parla da
sola e tira avanti. Non accetta
domande. La televisione non
ha occhi per guardarti, non
ha mani per accarez­
zarti.
La mamma che rac­
conta al bambino, in­
vece, ne segue lo sguardo,
gli sfiora il viso,
adatta le parole, fa le pause giuste...
Non c’è, davvero, occasione più propizia per stare
insieme e per rinsaldare il rapporto educativo. Per
questo la psicanalista Maria Valcarenghi, scrittrice
di fiabe, sostiene che “bisognerebbe sempre rac­
contare ai bambini una storia prima di andare a
letto, fino a sei, sette anni”.
“Noi genitori – nota l’esperto di letteratura infanti­
le Domenico Volpi – siamo gente strana. Quando il
figlio è giunto all’adolescenza ci lamentiamo: ‘Non
riesco a dialogare!’. E non ci curiamo di parlargli
quando ha quattro o sei anni”.
Il dialogo non è una pianta esotica che cresce im­
provvisamente quando i ragazzi hanno quindici
anni. Il dialogo è una pianta umile che oc­
corre coltivare con pazienza, incominciando
dall’infanzia. Il dialogo na­
sce anche dalla somma di
tante sere magiche nel­
le quali la mamma o il
papà raccontano una
fiaba, mentre il picco­
lo dolcemente scivola
nel sonno.
I bambini senza fiabe
diventeranno adul­
ti tristi, con
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4.5 Page 35

▲torna in alto
poca fantasìa e tanta fragilità. Tutti gli psicologi,
poi, notano che il rapporto con l’ignoto e il fanta­
stico contribuisce allo sviluppo del pensiero logico
del piccolo.
Non basta. Le fiabe aiutano il bambino ad esor­
cizzare le sue paure che, senza di esse, potrebbero
trasformarsi in vere e proprie patologie. Sì: comin­
ciamo a raccontare fiabe da stasera, e tutte le sere,
non solo la sera di Natale.
IN BRACCIO
«La mia bambina più piccola pretendeva che le leggessi una favola
ogni sera prima di andare a dormire. Un giorno mi venne l’idea di
acquistare una serie di audiocassette con delle fiabe già registrate.
La bimbetta imparò a far funzionare il registratore e tutto andò
bene per qualche giorno, finché una sera non mi cacciò in mano
un libro di fiabe.
“Ma cara”, dissi, «lo sai come si accende il registratore”.
“Sì, ma non posso sedermici in braccio”, rispose la bambina.
Le persone contano. Non le cose».
In tutto il mondo non ho
mai trovato un bambino che alla
sera non sia contento di sentirsi
raccontare una favola.
Daniel Pennac, scrittore
Le fiabe mettono paura?
Di tanto in tanto c’è qualcuno che, puntualmente,
mette le fiabe sotto accusa: sono crudeli, fan na­
scere paure, angosce. È vero? No! Decisamente no,
Condannare le fiabe è uno zelo eccessivo, uno zelo
che sbaglia bersaglio.
Le fiabe non generano paure (o, se le genera­
no, sono paure che aiutano a crescere). La paura
il bambino la incontra nella vita: la trova nel tele­
visore che, troppe volte, tracima violenza da ogni
canale; la trova nelle strade quando vede drogati,
barboni; la incontra quando sente parlare di guerre,
di soprusi.
Ebbene, esattamente all’opposto di ciò che dice
l’accusa, è la fiaba che aiuta il piccolo a superare
tanti turbamenti. La fiaba aiuta per due ragioni.
La prima perché parla un linguaggio simbolico.
In parole chiare: il bosco, la palude, il fuoco, la
strega, l’orco, sono immagini di stati inferiori,
incarnazioni di vizi e passioni che difficilmente
riusciamo ad esprimere in parole concettuali. È più
facile ricorrere al simbolo; simbolo che ha il van­
taggio di circoscrivere bene le paure, di dare loro un
contorno definito che ci permette di controllarle e
dominarle, quindi di superarle e vincerle.
“L’esperienza psicoterapeutica – nota il dott. Giu-
seppe Fojeni – mi ha insegnato la forza dei simboli.
Essi, anche senza bisogno di interpretazioni, li­
berano l’inconscio umano da quelle paure, ango­
sce, squilibri affettivi, che impediscono all’uomo
di affrontare serenamente gli squilibri sociali”. Il
secondo motivo per cui la fiaba aiuta a superare
la paura sta nel fatto che tutte le fiabe finiscono
bene. E questo è molto rassicurante per il bambino.
Prendiamo, ad esempio, Cenerentola. Cenerentola
fa rivivere il problema della rivalità fraterna. Infatti,
anche se in realtà non è vero, spesso il bambino si
sente maltrattato come Cenerentola, ma dalla vit­
toria finale dell’eroina trae grandi speranze per il
futuro. Ecco perché alla fine di ogni proiezione del
film di Walt Disney, Cenerentola, quando la fatidi­
ca scarpetta entra nel piedino della protagonista, da
sempre, gli applausi scoppiano fragorosi. La paura è
vinta. La pace e la gioia rientrano nel cuore.
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4.6 Page 36

▲torna in alto
LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’esperienza “dissonante”
del SILENZIO
Quello che manca al mondo è un poco di silenzio; quello che
manca in questo mondo è il perdono che non vedo e non sento!
Nella civiltà delle parole, non siamo più avvezzi al silenzio e la cosa
più grave è che spesso non ne sentiamo neppure la mancanza!
L asciateci alle spalle le vacanze estive, un
altro anno lavorativo sta per cominciare e,
ancora una volta, ci apprestiamo a essere ri­
succhiati, inghiottiti, fagocitati da un tur­
bine delirante di attività, scadenze e impegni di ogni
Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio;
quello che manca in questo mondo
è il perdono che non vedo e non sento!
Tutta la gente intorno sogna
di cavalcare il temporale,
quello che serve alla vita
è acqua e sale.
Io non sono quell'uomo che aveva un sogno:
che ne è stato dei sogni di questo tempo?
Di che cosa parliamo in questa vita?
Di che cosa nutriamo i nostri figli?
Quello che mancherà domani
è un monumento all'uguaglianza;
quello che manca già stanotte
sono mille parole d'amore,
perché c'è gente che parla d'amore
in una lingua morta.
Sono vivi e gli basta e sanno aspettare,
ma in questa estate che sembra
piuttosto dicembre
non tutto va bene, oppure sì,
se vi pare...
genere che più spesso di quanto crediamo finiscono
con il toglierci il respiro, precludendoci la possibilità
di ritagliarci dei momenti preziosi di silenzio e di
riflessione all’interno della nostra quotidianità.
Nella frenesia scomposta delle nostre giornate di
giovani adulti immersi nella propria esistenza con­
vulsa e irrequieta tutto diventa “rumore”: dai clac­
son impazienti che ci scuotono impietosi dal nostro
torpore mentre attraversiamo la città nel traffico
mattutino al chiacchiericcio incessante e salottiero
dei colleghi che incontriamo al lavoro; dal sotto­
fondo onnipresente della televisione sempre accesa
nelle nostre case al “muto frastuono” dei pensieri
che in ogni istante della giornata affollano la nostra
mente, impedendoci di “fare silenzio” dentro di noi
persino quando all’esterno tutto tace... Nella civiltà
delle parole, non siamo più avvezzi al silenzio e la
cosa più grave è che spesso non ne sentiamo nep­
pure la mancanza!
Eppure, mai come in questo particolare momento
storico, il mondo sembra avere bisogno di silenzio.
Mai come oggi, che siamo chiamati a confrontar­
ci con una comunicazione a dir poco ridondante e
pervasiva e con molteplici forme di “inquinamento
acustico”, ciascuno di noi necessita di riscoprire il
valore terapeutico e liberante del silenzio.
È nel silenzio, infatti, che possiamo penetrare nelle
pieghe più intime della nostra interiorità per nutrire
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settembre 2024

4.7 Page 37

▲torna in alto
i nostri sogni e desideri più autentici. È facendo si­
lenzio che, mettendo tra parentesi ogni ambizione
e interferenza, abbiamo l’opportunità di cogliere il
senso del nostro agire, di decifrare le nostre emo­
zioni, di riconoscere ciò che conta davvero nella
nostra vita e ciò che ci rende felici. È attraverso il
silenzio che diventiamo finalmente capaci di resti­
tuire significato alle nostre parole, aprendoci nel
contempo all’ascolto degli altri, alla comprensione
profonda delle loro ragioni, al perdono e alla tolle­
ranza verso chi la pensa diversamente da noi.
Come in uno spartito musicale le note non avreb­
bero senso senza le pause e gli intervalli che ne
scandiscono la melodia; come in un testo poetico lo
spazio bianco della pagina è ciò che delimita il pen­
siero dell’autore, accogliendo il distendersi del verso
e determinando il ritmo del componimento; così la
reciprocità di ogni dialogo ha bisogno di fondarsi
sull’alternarsi di pieni e di vuoti, di parole e silenzi,
in cui poter far spazio al punto di vista dell’interlo­
cutore e al riconoscimento della sua “alterità”, senza
il quale rischiamo di ricadere in una sterile autore­
ferenzialità.
Il silenzio, dunque, lungi dal coincidere con il “vuo­
to comunicativo”, se ricercato e custodito come mo­
mento fondamentale di riflessione e pausa necessaria
nel flusso ininterrotto e sovrabbondante di chiac­
Quello che manca al mondo
lo vedo bene coi miei occhi;
quello che manca in questo mondo
non lo posso raccontare...
Io non sono quell'uomo che aveva un sogno
e nemmeno l'artista che aveva un dono,
ma anche un solo pensiero fa strada,
come tutte le grandi illusioni.
Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio;
quello che manca in questo mondo
è il perdono che non vedo e non sento!
Quello che manca al mondo
è un poco di silenzio...
(Ivano Fossati, Quello che manca al mondo, 2011)
chiere e rumori che ingombrano le nostre giornate,
può offrirci una rinnovata capacità di metterci in
ascolto di tutto ciò che ci circonda e che non urla
per imporsi alla nostra attenzione. Ma, soprattutto,
ci apre ad una nuova prospettiva sul mondo: quella
della “contemplazione”, che per quanto possa appa­
rire per molti aspetti “dissonante” rispetto al nostro
vissuto abituale fatto di ritmi febbrili e corse contro
il tempo, è l’unica esperienza in grado di metterci in
comunicazione con la nostra dimensione interiore,
di aiutarci a discernere le cose davvero essenziali per
lasciare andare ciò che non serve, di indicarci la via
di una ritrovata trascendenza in cui anche il silenzio
ci parla con Parole di Vita.
settembre 2024
37

4.8 Page 38

▲torna in alto
LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le sue lettere
un’AUTOBIOGRAFIA
a sua insaputa
“Scrivendo a Lei mi è di sollievo in mezzo
alle mie 500 lettere cui vado in questo
momento a cominciare la risposta”.
Non è una boutade, un paradosso, o una fake
news, ma è un dato di fatto che con una
lettera scritta da don Bosco ogni tre gior­
ni nei 43 anni trascorsi a Valdocco (1846-
1888) non è difficile ricostruire ex novo la sua storia,
la sua azione, il suo pensiero. Ci sarà chi lo farà, ma
intanto pensiamo che i nostri lettori possano essere
interessati a saperne di più sulle migliaia di lettere – in
parte edite per la prima volta in questa rubrica – che
sono appena state raccolte in dieci volumoni. Soddi­
sfacciamo rapidamente la loro legittima “curiosità”.
Quante lettere ha scritto don Bosco?
Impossibile saperlo. Ne abbiamo recuperate esat­
tamente 4682, ma si può presumere che ne abbia
scritte 8/10 mila. Per lo più sono andate smarrite
quelle più antiche, quelle cioè scritte quando don
Bosco non era ancora riconosciuto come il grande
educatore, l’ammirevole imprenditore del sacro, il
santo taumaturgo di Torino. Difatti del decennio
1838-1847 se ne conservano solo una trentina; oltre
300 invece sono quelle del decennio 1848-1857; tre
volte di più dal 1858 al 1867; poco meno del dop­
pio (1550) dal 1868 al 1877 e infine quasi 1900 dal
1878 al 1887. Dunque una costante crescita; oltre
300 lettere nel solo anno 1878.
Tutte scritte da lui?
Di certo oltre una metà
(2400) sono scritte da lui;
410 sono quelle con la sola firma, in quanto messe
in bella copia dal segretario o da altro amanuense;
380 le minute, 190 quelle autenticate da un’autorità,
altrettante sono a stampa e infine 60 sono le minute
altrui da lui corrette: per un totale di circa 3600. Il
migliaio mancante si suddivide all’incirca in questo
modo: 400 le copie semplici, 250 le circolari e lettere
collettive a stampa, 130 le lettere senza firma o con
firma altrui, 60 le copie dattiloscritte, una cinquan­
tina le minute di altra mano; le rimanenti sono edi­
te nelle Memorie Biografiche, nei Bollettini salesiani,
nelle Letture cattoliche, nei suoi libri, su vari giornali.
Circa 350 sono le lettere scritte in lingua francese,
moltissime delle quali autografe; una decina sono
quelle in spagnolo e due in inglese, tutte semplice­
mente firmate da don Bosco, che invece redige di
sua mano quelle poche decine in latino, non rare
volte con mille correzioni, necessariamente mes­
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settembre 2024

4.9 Page 39

▲torna in alto
se in bella copia dal segretario don Berto, l’unico
o quasi che sapeva decifrare la calligrafia [= bella
scrittura: si fa per dire!] di don Bosco.
A chi ha scritto più lettere?
I singoli destinatari delle lettere di don Bosco sono
circa 1350, appartenenti a tutte le classi sociali (dal
principe… all’orfanello) e a tutti i ruoli sia civili
(dal re… al semplice popolano) sia ecclesiastici (dal
papa… al semplice fedele).
Raccolte in categorie sono circa oltre mille quel­
le inviate ai Salesiani, di cui un terzo a chierici e
giovani (una decina le giovani); poco meno di un
migliaio sono indirizzate a uomini, oltre 800 quel­
le indirizzate a donne (76 suore). Quasi 900 sono
quelle ad autorità religiose e 531 a quelle civili.
Quanto ai singoli corrispondenti, la persona cui
don Bosco ha fatto pervenire il maggior numero
di lettere (ben 190) è don Michele Rua, che ha
vissuto al suo fianco 35 anni come braccio destro.
Al secondo posto si colloca con 133 lettere papa
Pio IX, seguito con 84 lettere da papa Leone XIII.
Vengono poi la contessa Carlotta Callori con 81
lettere, l’arcivescovo di Torino, monsignor Lorenzo
Gastaldi con 65 lettere, tallonato dal conte francese
Louis-Antoine Colle con 63 lettere personali e 7
assieme alla moglie Marie-Sophie (pure destinata­
ria di 22 lettere). Leggermente inferiore (60) risulta
il numero delle lettere indirizzate al redattore del
Bollettino Salesiano, don Giovanni Bonetti e alla
devotissima benefattrice francese Claire Louvet.
Dove ha scritto tali lettere?
Per la gran parte, ovviamente, nella sua cameretta
di Torino, di pomeriggio e di sera al lume di can­
dela: un lavoro semplicemente massacrante, tanto
che talora gli indirizzi li scriveva un segretario. Al­
meno un migliaio poi sono scritte in altre località:
a Roma anzitutto, dove ha soggiornato complessi­
vamente 24 mesi, ma poi a Genova, Firenze, Pisa,
Bologna, Modena, Milano, Marsiglia, Nizza Ma­
rittima, Lione, Parigi, Barcellona… e altrove.
Dove si trovano oggi tali lettere?
Circa 2850 sono raccolte nel fondo don Bosco dell’Ar­
chivio Salesiano Centrale di Roma, che conserva
anche copie di tutti gli altri originali sparsi un po’
ovunque nel mondo: soprattutto in paesi europei
(Spagna, Portogallo, Polonia, Inghilterra, Bel­
gio…) e sudamericani (Argentina, Cile, Uruguay,
Brasile, Colombia, Venezuela…). Una è addirittura
conservata negli edifici reali del Madagascar.
Decine di lettere sono invece gelosamente custodi­
te nei vari fondi dell’Archivio Apostolico Vaticano,
degli altri archivi della Santa Sede, dell’Archivio
Centrale dello Stato di Roma, dell’Archivio di Sta­
to e Archivio Storico Comunale di Torino. Altre
ancora sono custodite in archivi di varie diocesi
soprattutto italiane e di numerose case salesiane.
Ovviamente alcune centinaia di lettere sono tutto­
ra nelle mani dei legittimi eredi dei corrispondenti
di don Bosco.
Se ne troveranno ancora?
Sicuramente, ma poche. Potranno ancora affiorare
da qualche archivio ecclesiastico e civile, da qualche
vecchia cassapanca di famiglia nobile, da qualche
antiquario, da qualche sito online. Ci si augura
che le facciano pervenire in originale o almeno in
copia all’Archivio Salesiano
Centrale di Roma, che sarà
sempre ben lieto di metterle
a disposizione di tutti.
La corrispondenza privata e
pubblica di don Bosco, anche
se spesso scritta in tutta fretta
– o forse proprio per questo –
costituisce un ricchissimo pa­
trimonio culturale, atto non
solo a conoscere la sua perso­
na ed il movimento che da lui
è sorto, ma anche per saperne
di più sulla storia civile ed ec­
clesiastica del Risorgimento
non solo italiano.
Una delle quasi
cinquemila
lettere scritte
da don Bosco.
settembre 2024
39

4.10 Page 40

▲torna in alto
I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di settembre preghiamo per la canonizzazione
della Beata Maddalena Morano. Figlia di Maria Ausiliatrice.
Maddalena Morano (Chieri, Torino,
15 novembre 1847 – Catania, 26
marzo 1908) fin da giovane acquisì
una ricca esperienza educativa, di-
dattica e catechistica che segnerà
tutta la sua vita. Nel 1879 diventò
Figlia di Maria Ausiliatrice, chie-
dendo al Signore la grazia
«di rimanere in vita fin-
ché non avesse com-
pletato la misura della
santità». Nel 1881 fu
inviata in Sicilia, dove
iniziò una feconda
opera educativa tra i
ceti popolari. Volgendo
costantemente «uno sguardo alla
terra e dieci al Cielo», aprì scuo-
le, oratori, convitti, laboratori in
ogni parte dell’isola. Il suo mol-
teplice apostolato fu apprezzato
e incoraggiato dai vescovi, che
affidarono alla sua evangelica in-
traprendenza l’intera Opera
dei catechismi. Alla sua
morte in Sicilia ci sono
18 case, 142 suore, 20
novizie e 9 postulanti.
A Catania san Giovan-
ni Paolo II la proclamò
beata il 5 novembre
1994.
Preghiera
Padre, che hai arricchito la Beata Maddalena Morano
di una spiccata sapienza educativa,
concedici, per sua intercessione,
le grazie che ti domandiamo.
Fa’ che anche noi con gioia e instancabile amore
sappiamo donarci nell’annuncio del Vangelo
con le parole e con la vita.
Rendici forti nella speranza
perché possiamo glorificarti ed essere, dinanzi ai fratelli,
profeti credibili di Cristo Gesù.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 31 maggio 2024 è stato consegnato presso il Dicastero delle Cause
dei Santi in Vaticano il volume della Positio super Vita, Virtuti-
bus et Fama Sanctitatis del Servo di Dio Oreste Marengo (1906-
1998), vescovo salesiano missionario nel Nord Est India.
Ringraziano
Mio marito Vid ed io quest’anno
celebriamo il nostro matrimonio
di perle e allo stesso tempo stiamo
ricevendo grandi grazie. Nel mar-
zo 2022 sono sorti grossi problemi
nel matrimonio del figlio Andrej.
Sfortunatamente si è separato
dalla moglie, anche se ha conti-
nuato a prendersi cura dei bam-
bini. Seguendo il consiglio del mio
confessore, io e mio marito abbia-
mo pregato con fervore per la ri-
conciliazione nel loro matrimonio.
Abbiamo fatto diverse novene e
abbiamo pregato con l’interces-
sione del servo di Dio Andrej
Majcen, perché si riconciliassero
e salvassero il loro matrimonio.
Ci siamo affidati anche alla Madre
celeste Maria Ausiliatrice. Quando
visitiamo il cimitero di Žale di Lju-
bljana, ci fermiamo sempre sulla
tomba del servo di Dio Andrej
Majcen e a lui ci raccomandiamo.
Nel giorno dell’Ascensione del
Signore abbiamo ricevuto la gra-
zia per intercessione del Servo di
Dio Andrej Majcen, a Rakovnik di
Ljubljana. Nel mese di marzo di
quest’anno (2024), nostro figlio
Andrej e sua moglie hanno ini-
ziato a vivere di nuovo insieme in
un’unione familiare e coniugale. Il
5 maggio 2024 abbiamo celebrato
il nostro anniversario di matrimo-
nio. Tra gli altri sono venuti anche
il figlio Andrej e sua moglie. Quan-
do li abbiamo visti insieme, io e
mio marito abbiamo pensato di
essere entrati in paradiso.
(Vid e Marica)
Sono un exallievo salesiano ancora
legato con amore alla famiglia sa-
lesiana e devoto di don Giuseppe
Quadrio. Trovandomi nel 1963 a
Valdocco sono stato testimone –
attraverso le parole e le notizie
date dai Superiori – delle ultime
fasi della malattia di don Giuseppe
Quadrio considerato già all’epoca
un sacerdote santo. Vi scrivo per
segnalare una grazia ricevuta ul-
timamente per sua intercessione
e avuta come inaspettato dono.
Martedì 4 giugno 2024, presso la comunità “Zeffirino Namuncurà”
a Roma, sono stati inaugurati e benedetti dal Rettor Mag-
giore, il Cardinale Ángel Fernández Artime, i nuovi locali
della Postulazione Generale salesiana.
Da tempo (oltre 10 anni) mi era
stato prescritto un farmaco per
curare una patologia ossea. Qua-
si in coincidenza era comparsa e
diagnosticata da un oculista una
alterazione della pressione ocula-
re. Avendo l’abitudine qui a Torino
– dove risiedo – alla messa quoti-
diana, la settimana scorsa con mia
moglie abbiamo pensato di anda-
re a Messa nella chiesa dei Salesia-
ni della Crocetta in via Piazzi, ove
è collocata la tomba del venera-
bile don Giuseppe Quadrio.
Ci siamo soffermati in preghiera
per avere aiuto e conforto in que-
sta particolare circostanza. Nella
notte successiva, un’improvvisa
e provvidenziale ispirazione ha
risvegliato mia moglie con il desi-
derio di leggere con attenzione le
controindicazioni riportate nel fo-
glietto illustrativo del farmaco che
da oltre un decennio continuavo
ad assumere. E – con sorpresa –
abbiamo scoperto che il primo
effetto indesiderato di questo
farmaco indicava proprio l’altera-
zione della pressione oculare. Una
rapida consulenza dal mio medico
ha confermato l’opportunità di
un’immediata interruzione e so-
stituzione della terapia all’origine
dei miei disturbi oculari. Debbo
concludere che l’intercessione del
venerabile don Giuseppe Quadrio
ci ha consentito di aprire gli occhi
sugli effetti di una terapia e sulle
sue pericolose conseguenze. Sono
grato a don Giuseppe Quadrio che
dal cielo continua ad assisterci e
a proteggerci. Siamo in fiduciosa
attesa di un prossimo miracolo
che lo innalzi all’onore degli altari!
Uniti nella preghiera.
(Sandro e Domenica Torino)
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settembre 2024

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
B.F.
Don Secondo Rastello
(1881-1945)
Don Secondo Rastello è stato un
personaggio importante della
Famiglia Salesiana, in particolare
per gli inni da lui composti in ono-
re di san Giovanni Bosco. Era nato
in mezzo alle risaie, a Prarolo in
provincia di Vercelli. Dopo avere
frequentato le scuole elementari
di Prarolo, Secondo Rastello en-
trò nell’oratorio salesiano di To-
rino all’età di 11 anni; completò i
suoi studi presso varie istituzioni
salesiane, fu ordinato sacerdote
nel 1907 a Venezia e, nel 1912,
conseguì la laurea in lettere a
Bologna. Dopo servizi svolti a Mo-
gliano Veneto e a Borgo S. Mar-
tino, dal 1919 fu direttore della
casa di Chieri. Dal 1923 fu a Torino
presso il collegio di Valsalice; nel
1924 fondò il gruppo “Studenti
universitari exallievi don Bosco”,
trasformato poi in “Associazione
universitaria exallievi don Bosco”.
Nel 1929 fu trasferito da Torino e
da allora vagò per varie sedi sale-
siane: Gualdo Tadino (1929-1932),
Ferrara (1933-1937), Mogliano Ve-
neto (1937-1940) e Chiari (1940-
1945). A Chiari, l’11 giugno 1945
morì investito da un autocarro
mentre, di notte, si recava in bi-
cicletta a Treviglio per avvertire i
genitori di alcuni alunni che i loro
figli non potevano tornare a casa
quella sera); è sepolto nel cimite-
ro di Chiari.
Singolari i ricordi di Mogliano
Veneto. Parlano di due chierici
salesiani vivacissimi, dinamici e
quindi simpatici a tutti. Un ra-
gazzino di allora (anno 1900) li
ricordava così: «Il primo episodio
primaverile che mi viene incontro,
fu la gita di tutto il collegio, circa
duecento ragazzi, a Conegliano.
Nella prima fermata a Spresiano,
riempimmo la vasta chiesa par-
rocchiale per ascoltarvi
la Messa, in mezzo alla
folla del paesotto agri-
colo, accorsa in massa.
A un certo punto quella
folla si irrigidì in un si-
lenzio estatico. Dall’or-
chestra scendeva, tra
un severo commento di
organo, la lauda “Me-
morare, o dulcissima
Virgo Maria”, modulata
a due voci alternate dal
coro di voci bianche.
I due solisti erano un
ragazzo, dalla voce in-
tonatissima, e un tenore in piena
forma artistica. Il tenore era don
Rastello, l’organista don Gregorio.
Ricordo l’entusiasmo che quel
canto produsse sul popolo, che si
assiepò, delirante di applausi, at-
torno ai tavolati, allestiti in piazza
per la nostra colazione. Il resto lo
fece la banda, che benché tutta di
giovani, se la cavò bene perfino a
Conegliano, che già allora aveva
delle esigenze cittadine».
Don Secondo fu anche poeta e
scrittore; gli exallievi di Mogliano
Veneto hanno pubblicato una rac-
colta di suoi versi (Prime poesie,
Treviso 1950). Altre composizioni
sono riportate in un opuscolo
del 1957 degli exallievi dove, af-
fettuosamente, a pagina 100 sta
scritto: “Le nostre mogli, quasi
tutte, hanno avuto anch’esse una
poesia, non da noi ma da don
Rastello, il giorno delle nozze. I
nostri figli hanno ricevuto da Lui il
primo saluto in rima”. Tra le com-
posizioni riportate nel volumetto
vi è Don Bosco ritorna (nota anche
come Giù dai colli), le cui parole
furono musicate da don Michele
Gregorio a Casale Monferrato.
L’inno che tutto il mondo salesia-
no canta nacque così. Un mese
prima della beatificazione di don
Bosco (che avvenne il 2 giugno
1929) a don Michele Gregorio, che
era direttore dell’Oratorio di Casa-
le Monferrato, arrivò un biglietto
di don Rastello dove c’era scritto:
“Si avvicina la festa di don Bosco
e non abbiamo ancora un inno
da cantare il giorno della Beatifi-
cazione. Io ho buttato giù i versi
che ti allego, se ti sembrano buo-
ni cerca di scrivere la musica”. Don
Gregorio si recò immediatamente
in una sala dell’Oratorio per scri-
vere la musica; in circa mezz’ora
l’inno fu musicato ed inviato a
don Rastello. Questi, lo gradì, ma
scrisse che avrebbe preferito un
inno più marziale. Don Gregorio
scrisse una seconda partitura e,
d’accordo con don Rastello, la-
sciarono a don Pietro Ricaldone
di decidere tra le due versioni: il
futuro Rettor Maggiore con fare
bonario, ma deciso, escluse quello
più marziale ed approvò il primo,
dicendo che era molto più adatto.
Ne risultò l’inno che i salesiani
intonarono nel 1929 a Roma in
occasione della beatificazione
di Giovanni Bosco. Don Rastello
compose pure l’inno Campane
suonate, musicato da don Giovan-
ni Pagella, per la canonizzazione
di don Bosco nel 1934. In tale oc-
casione si intonò pure l’inno del
1929.
settembre 2024
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere:
Ing, Mao, Rar, Set, Tir .
Parole di 4 lettere:
Abba, Erma, Inia, Laos, Lega, Nasa, Neon,
Niet, Olla, Orco, Spal, Vega.
Parole di 5 lettere:
Ganzo, Hanoi, Nessi, Sorgo.
Parole di 6 lettere:
Algido, Enigma, Oriana.
Parole di 7 lettere:
Lorenzo, Macramè, Paranze.
Parole di 8 lettere: Scannati.
Parole di 9 lettere:
? Anacoreti, Ortopedia.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso, Parole di 10 lettere:
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le Assimilare, Bagnoregio, Bohemienne,
?
parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
Edificanti.
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 11 lettere: Anabattisti.
SCENDERE IN CAMPO PER I GIOVANI
In generale, nella teologia cattolica, per azione pastorale si intende l’insieme dei
mezzi necessari per svolgere e mettere in atto gli insegnamenti di Cristo e della
Chiesa. La XXX (abbreviata in PG) è l’azione educativa con cui la comunità ec-
clesiale, animata dallo Spirito Santo, accompagna i giovani e favorisce il loro pro-
tagonismo, affinché abbiano pienezza di vita e di speranza nel nome del Signore
nelle loro concrete situazioni di vita. Dunque, la Chiesa con sensibilità educativa
“scende in campo” mediante molteplici attività con e per i giovani affinché in-
contrino la Parola di Dio, crescano nel senso di appartenenza alla comunità di fede, celebrino il Signore nella preghiera e nella liturgia,
sappiano scoprire il progetto di Dio su di loro e nel quotidiano imparino progressivamente a potenziare i loro talenti mettendoli al servizio
di tutti per la costruzione della civiltà dell’amore. È l’espressione multiforme di una comunità ecclesiale, nel cui nucleo animatore è pre-
sente la comunità dei consacrati salesiani, assieme a laici collaboratori, costituendo tutti insieme quella comunità ecclesiale sul territorio.
Al centro della sua azione vi sono i giovani, specialmente i più bisognosi. Cercare quindi i giovani nella loro realtà con le loro difficoltà e
Soluzione del numero precedente
conoscere i contesti culturali e sociali in cui vivono, dialogando per proporre un cammino comuni-
tario. Nel carisma originale ed originario di don Bosco, secondo l’ispirazione della carità educativa
di san Francesco di Sales, ha il riferimento principale, espressione della pedagogia preventiva,
pronta al dialogo ed alla fiducia, e la misura della propria verità ed efficacia. Il consigliere per la
PG con il suo dicastero assiste le ispettorie ed orienta l’azione educativa salesiana curando che in
esse siano realizzate la priorità giovanile e il Sistema Preventivo.
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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
Dipingere la VITA
I l pittore Gerd Gisder,
conosciuto per molti lavori
per il cinema e per la
E indicò l’altalena che aveva nello
studio e che gli era servita da mo­
dello. Le impresse una piccola spinta
principio sono gli alti e bassi; come
gli alti e bassi di ogni vita».
Dopo una pausa, aggiunse: «Se
televisione, una volta fu convocato e l’altalena cominciò a muoversi:
guardi bene l’altalena ha più alti che
da un ricco industriale.
indietro poi avanti, in alto e in basso. bassi».
«Lei deve dipingere un quadro per Continuamente.
Fece una lunga pausa silenziosa.
me. Un gran bel quadro!»
Il pittore continuò: «Chi si siede
Poi disse: «Ma quello che conta di
«Quale deve essere il soggetto del su un’altalena è costantemente in
più è che ogni altalena è saldamente
dipinto?» chiese Gisder.
movimento, come tutta la vita. Il suo trattenuta in alto».
«La vita! Lei deve dipingere la vita!»
Gerd Gisder accettò e promise
di completare il lavoro entro una
settimana.
?
Quando l’imprenditore contat­
tò nuovamente l’artista dopo la
scadenza del termine stabilito, era
ansioso di vedere che cosa c’era
sulla tela del pittore.
Forse Gerd Gisder aveva dipinto
un albero come albero della vita
o un sentiero come stile di vita o
addirittura l’acqua come origine e
fonte di tutta la vita.
L’artista lo accompagnò nel suo
studio. Sul cavalletto c’era un
dipinto ad olio.
Il cliente rimase stupito e fissava
il quadro corrugando la fronte,
strizzando gli occhi, riflettendo in
silenzio.
Indietreggiò di due passi e si infilò
gli occhiali. Poi esclamò: «È un’al­
talena!».
L’artista annuì, e poi, come se
avesse indovinato i pensieri
dell’uomo, spiegò: «Sì, un’altalena!
È il mio simbolo della vita prefe­
rito».
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