ESERCIZI SPIRITUALI 2025
Capitolo Generale XXIX
LA MISTICA DELL’INCONTRO CON DIO
Introduzione
La prospettiva mistica di tutte le dimensioni della nostra vita cristiana e salesiana trova la sua pienezza nell’incontro esplicito con il nostro Dio, cioè nella nostra vita di preghiera, anche se questo non vuol dire che sia l’unico, o esclusivo; anzi, alle volte neanche il più rilevante.
Senza questo rapporto esplicito con il Signore, corriamo il rischio di perdere la nostra identità carismatica, riducendo la realizzazione della nostra Missione soltanto a opere e attività di promozione umana, e persino dimenticando che, nella nostra donazione agli altri, in particolare alla gioventù più bisognosa, in fin dei conti stiamo amando e servendo Gesù, come Lui stesso afferma (cf. Mt 25, 31ss). “Nel compiere questa Missione, troviamo la via della nostra santificazione.” (C 2), come dicono i primi articoli delle Costituzioni di Don Bosco.
1.- Dimensione filiale-cristologica della preghiera cristiana
Per poter vivere pienamente il nostro rapporto con Dio, abbiamo un solo Maestro: Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo. L’espressione più profonda e radicale della sua filiazione divina è indubbiamente il suo atteggiamento orante. I vangeli ne danno testimonianza in maniera unanime, in particolare Luca (4, 42; 5, 16; 6, 12; 9, 18.28; 10, 21; 11, 1ss.; cf. 2, 41ss.); anche Giovanni presenta Gesù con parole e attitudini di dialogo con il Padre, soprattutto la straordinaria “preghiera sacerdotale” nel capitolo 17.
Secondo Joseph Ratzinger, la preghiera di Gesù è la chiave del suo Mistero; egli afferma: “La Cristologia si esprime pienamente nella preghiera; altrimenti, in nessuna parte”. Se non partiamo dalla preghiera di Gesù, da una comprensione interna di essa, non entriamo nella realtà più profonda della persona di Gesù; anzi, ci fermiamo soltanto nella molteplicità di dati (miracoli, parabole, discussioni, persino la morte in croce) senza unità interna. Proprio perché la preghiera è il centro della persona di Gesù, la partecipazione nella sua preghiera è il presupposto per conoscere e comprendere Gesù”.1.
Questo mistero della persona del Signore, che è il fondamento della sua identità più profonda in quanto Figlio del Padre, si manifesta anche nel carattere personale (non individualista!) della sua preghiera. L’unione di Gesù con il Padre nello Spirito Santo diventa esplicita e concreta nei momenti in cui egli si allontana nella feconda solitudine di questa orazione, indispensabile per Gesù. A questo proposito dice Hans Urs von Balthasar:
Una tendenza continua ad allontanarsi verso la solitudine della preghiera, in una profondità e silenzio che si nascondono davanti a tutti gli sguardi (…) Soltanto se partiamo da questo rapporto assoluto e immediato con il Padre (anche nell’oscurità dell’abbandono nella croce), Gesù può ‘spiegare’ la sua esistenza come l’incarnazione totale, come la realizzazione piena della volontà amorevole del Padre verso il mondo; soltanto così può -secondo l’espressione di Karl Barth- diventare ‘l’uomo per gli altri’, a differenza di noi, che in quanto creature, soltanto possiamo diventare ‘uomini con gli altri’. Se Gesù non si fosse allontanato verso una solitudine così profonda con Dio, mai sarebbe stato capace di penetrare così profondamente nella comunità umana”.
Un testo molto bello (anche se poche volte riflettuto da questa prospettiva) lo troviamo in Mt 11, 25ss; Lc 10, 21-22).
È una preghiera di ringraziamento di Gesù verso il Padre;
Ha una dimensione trinitaria: il Figlio verso il Padre nello Spirito Santo;
Il contesto è totalmente paradossale: dopo aver fatto esperienza dell’insuccesso nella sua predicazione (nelle città dove aveva lavorato di più!).
Magari potessimo anche noi, contemplando Gesù orante, vivere così i nostri insuccessi educativi e apostolici!
2.- Identità trinitaria della nostra preghiera
Imitando Gesù, e con Gesù, la preghiera del cristiano ha un’identità fondamentale: non si dirige, e non è in rapporto semplicemente con “Dio”; il Dio di Gesù Cristo, il Dio in cui crediamo, è Comunità, Famiglia, Amore trinitario. Qui troviamo di nuovo, e nella sua pienezza, la dimensione mistica che costituisce la prospettiva dei nostri Esercizi.
È interessante sottolineare che l’esperienza mistica cristiana è, nelle sue espressioni culminanti, mistica trinitaria. Santa Angela di Foligno afferma: “Io creo di essere stata nel cuore della Trinità”.
Santa Teresa di Gesù, descrivendo l’esperienza di Dio nella settima “dimora”, cerca di esprimere l’ineffabile:
Ma qui la cosa è diversa. Il nostro buon Dio vuol levarle le squame dagli occhi, affinché veda ed intenda qualche cosa della grazia che sta per farle, e ciò in un modo assai strano.
Una volta introdotta in questa mansione, le si scoprono, in visione intellettuale, le tre Persone della santissima Trinità, come in una rappresentazione della verità, in mezzo a un incendio, simile a una nube risplendentissima che viene al suo spirito. Le tre Persone si vedono distintamente, e l’anima, per una nozione ammirabile di cui viene favorita, conosce con certezza assoluta che tutte e tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio.
Ciò che crediamo per fede, ella lo conosce quasi per vista, benché non con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, non essendo visione immaginaria.
Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e con lo Spirito Santo scende ad abitare nell’anima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti.
O Dio! Che differenza udire e credere a queste parole dall’intenderne la verità nel modo che ho detto! Lo stupore dell’anima va ogni giorno aumentando, perché le pare che le tre divine Persone non l’abbandonino più. Le vede risiedere nel suo interno, nella maniera già detta, e sente la loro divina compagnia nella parte più intima di se stessa, come in un abisso molto profondo che per difetto di scienza non sa definire.
Possiamo continuare con citazioni di san Giovanni della Croce, Maria dell’Incarnazione, Elisabetta della Trinità… Ma non vogliamo riferirci soltanto ai grandi santi e sante che hanno ricevuto come dono questa esperienza mistica. Karl Rahner diceva, in un testo famoso, che “il cristiano del futuro, o sarà un mistico (cioè, un credente che fa esperienza di Dio, del Dio di Gesù Cristo, Padre, Figlio e Spirito Santo), o non sarà cristiano”.
Anzitutto, non si tratta di cercare l’esperienza mistica in senso stretto, e neanche di “prepararci” a riceverla: non esiste tale preparazione, poiché è un dono totalmente gratuito da parte di Dio. Quello che è più importante e crescere in questa identità trinitaria nella nostra vita di preghiera: non siamo davanti a un “Dio” senza volto, ma nella presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La liturgia, abitualmente, ci invita sempre a farlo così nei testi eucologici, cominciando dalla dossologia che ogni giorno proclamiamo. Penso che, più cresciamo nella semplicità della nostra preghiera, più facile diventerà il vivere la preghiera, come dice santa Teresa, in chiave di amicizia, come un dialogo d’amore con Chi, essendo Amore, ci invita a entrare nella loro intimità trinitaria. Per questo ci sarebbe molto utile “respirare con i due polmoni”, come diceva San Giovanni Paolo II, cioè, con la teologia e spiritualità della Chiesa orientale e quelle della Chiesa occidentale.
3.- Dimensione personale: la meditazione
Se viviamo la preghiera in chiave di amore-amicizia, è indispensabile l’incontro personale con questo Dio-Comunione. La meditazione non è, anzitutto, una pratica o semplicemente uno spazio di tempo dedicato ad approfondire temi e neanche testi biblici, ma l’opportunità di manifestarci davanti a Lui come suoi figli, con la nostra piena, unica e inalienabile realtà personale. In questo senso, la meditazione è, in primo luogo, un diritto che la comunità ci deve offrire.
L’articolo costituzionale che ci presenta questo è molto bello, anzitutto, grazie alla ampia motivazione che ci offre: “Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo personalmente uomini di preghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nell’intimo il suo modo personale di essere figlio di Dio, manifestargli la sua gratitudine, confidargli i desideri e le preoccupazioni apostoliche. Una forma indispensabile di preghiera è per noi l’orazione mentale. Essa rafforza la nostra intimità con Dio, salva dall’abitudine, conserva il cuore libero e alimenta la dedizione verso il prossimo. Per Don Bosco è garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazione” (93).
A questo riguardo, conviene ricordare che la meditazione è un dialogo, non un monologo; più ancora: questo dialogo non lo cominciamo noi, ma il Signore. Da qui l’importanza di ascoltarlo, attraverso la sua Parola. Un metodo efficace e collaudato da sempre è la lectio divina, la quale non deve sostituire la meditazione, ma arricchirla. Il favorire la dimensione comunitaria, in particolare nella condivisione fraterna di quello che il Signore vuol dirci, è uno degli aspetti che più possono far crescere a profondità la nostra comunione e la nostra comunicazione; ma non dovrebbe mai eliminare il momento personale di questo incontro, appunto come dice l’articolo sopra citato: “Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nell’intimo il suo modo personale di essere figlio di Dio” (C SDB 93).
4.- Dimensione comunitaria della preghiera
Penso che a questo riguardo sia necessario chiarire un malinteso, come se la preghiera comunitaria si potesse limitare a certi momenti del “orario”. In realtà, piuttosto dobbiamo sottolineare che la vita comunitaria è, in sé stessa, esperienza di Dio, e in conseguenza, ha una dimensione mistica che si esprime nella preghiera, e allo stesso tempo, si nutre di essa. VC ha un testo molto bello: “la vita consacrata ha sicuramente il merito di aver efficacemente contribuito a tener viva nella Chiesa l’esigenza della fraternità come confessione della Trinità (…) In questo modo essa addita agli uomini sia la bellezza della comunione fraterna, sia le vie che ad essa concretamente conducono. Le persone consacrate, infatti, vivono ‘per’ Dio e ‘di’ Dio” (VC, 41). Se questo non diventa realtà nella nostra preghiera, questa si riduce soltanto ad un insieme di individui che pregano, ognuno, il “suo” Dio.
Nelle Costituzioni questa dimensione comunitaria della preghiera è molto esplicita. Ad esempio, l’articolo di apertura del capitolo dedicato alla preghiera ci dice: “La comunità esprime in forma visibile il mistero della Chiesa, che non nasce da volontà umana, ma è frutto della Pasqua del Signore. Allo stesso modo Dio raduna la nostra comunità e la tiene unita con il suo invito, la sua Parola, il suo amore. Quando prega, la comunità salesiana risponde a questo invito, ravviva la coscienza della sua intima e vitale relazione con Dio e della sua missione di salvezza, facendo propria l’invocazione di Don Bosco “Da mihi animas, cetera tolle.” (C 85)
5.- Centralità dell’Eucaristia
Anche qui, dobbiamo evitare la riduzione a una “celebrazione”, anche se la più importante nella vita cristiana. È molto di più: è un incontro, incontro con Chi costituisce il centro e il senso della nostra vita. Perciò, abbraccia la celebrazione eucaristica, ma anche la pratica - così importante nella nostra tradizione salesiana – della visita al Signore.
“L’ascolto della Parola (di Dio) trova il suo luogo privilegiato nella celebrazione dell’Eucaristia. Essa è l’atto centrale quotidiano di ogni comunità salesiana, vissuto come una festa in una liturgia viva. La comunità vi celebra il mistero Pasquale e comunica al corpo di Cristo immolato, ricevendolo per costruirsi in Lui come comunione fraterna e rinnovare il suo impegno apostolico. (…) La presenza dell’Eucaristia nelle nostre case è per noi, figli di Don Bosco, motivi di frequenti incontri con Cristo. Da Lui attingiamo dinamismo e costanza nella nostra azione per i giovani” (C 88).
A questo riguardo, un documento poco conosciuto di san Giovanni Paolo II, che è come il suo “testamento spirituale”, dice alle religiose e ai religiosi: “Voi, consacrati e consacrate, chiamati dalla vostra stessa consacrazione a una contemplazione più prolungata, ricordate che Gesù nel Tabernacolo vi aspetta accanto a sé, per riversare nei vostri cuori quell'intima esperienza della sua amicizia che sola può dare senso e pienezza alla vostra vita” (MND, 30).
6.- La esperienza mistica del perdono di Dio
Il titolo è intenzionalmente provocatorio, ma ha la sua ragione di essere. Se il fatto di essere amati da Dio (e di sentirci amati), il tema della nostra prima riflessione, è entusiasmante, e questo amore di Dio è assolutamente gratuito e immeritato, questa esperienza aggiunge qualcosa ancora più forte: siamo indegni di questo Amore. E proprio per questo, risplendono di più tutte le caratteristiche della sua Divinità. Vi invito a rileggere, da questa prospettiva, la bellissima parabola del padre buono e i suoi due figli (Lc 15, 11-32): possiamo affermare che soltanto quando il figlio minore ha sperimentato l’amore paterno malgrado tutto, ha fatto esperienza in una maniera nuova e piena la bontà e l’amore di suo padre. Qualcosa simile possiamo dire dell’incontro della peccatrice pentita con Gesù in Lc 7, 36-50.
Vorrei stabilire un rapporto tra la dimensione preveniente/preventiva del nostro Carisma Salesiano e l’esperienza spirituale di santa Teresa di Gesù Bambino, in un testo un poco lungo, ma straordinario e persino commovente:
Riconosco che, senza di Lui, avrei potuto cadere in basso quanto Santa Maddalena e la profonda parola di Nostro Signore a Simone mi risuona con grande dolcezza nell’anima… Lo so: “colui al quale si perdona meno, ama meno”, ma so anche che Gesù mi ha perdonato più che alla Maddalena giacché mi perdonò in anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter spiegare quello che sento!... Ecco un esempio che esprimerà un poco il mio pensiero. Supponiamo che il figlio di un abile dottore incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere e che in questa caduta si rompa un arto. Subito il padre va da lui, lo rialza con amore, cura le sue ferite, impiegando per questo tutte le risorse della sua arte e ben presto il figlio, completamente guarito, gli manifesta la propria riconoscenza. Certo, questo figlio ha perfettamente ragione di amare suo padre! Ma farò anche un’altra supposizione. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trovava una pietra, si affretta ad andare davanti a lui e la rimuove (senza essere visto da nessuno). Certamente, questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non sapendo la sventura da cui è liberato dal padre non gli manifesterà la propria riconoscenza e l’amerà meno che se fosse stato guarito da lui… ma se viene a conoscere il pericolo al quale è sfuggito, non l’amerà forse di più? Ebbene, sono io quella bambina oggetto dell’amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il suo Verbo per riscattare i giusti, ma i peccatori. Egli vuole che io l’ami perché mi ha rimesso non molto, ma tutto. Non ha aspettato che l’amassi molto come Santa Maddalena, ma ha voluto che IO SAPPESSI di essere stata amata di un amore di ineffabile previdenza, affinché ora io lo amassi alla follia! Ho sentito dire che non si era mai incontrata un’anima pura che ami più di un’anima penitente; ah, come vorrei smentire queste parole!...
L’articolo costituzionale evoca, in maniera implicita, il testo del Vangelo di Luca, presentando la Riconciliazione come incontro con il Padre misericordioso: “La Parola di Dio ci chiama a una continua conversione. Consapevoli della nostra debolezza, rispondiamo con la vigilanza e il pentimento sincero, la correzione fraterna, il perdono reciproco e l’accettazione serena della croce di ogni giorno. Il sacramento della Riconciliazione porta a compimento l’impegno penitenziale di ciascuno e di tutta la comunità. Preparato dall’esame di coscienza quotidiano e ricevuto frequentemente, secondo le indicazioni della Chiesa, esso ci dona la gioia del perdono del Padre, ricostruisce la comunione e purifica le intenzioni apostoliche” (C 90).
7.- La Vita Come Preghiera
Il Rettor Maggiore D. Angel, presentando il CG 27, fa riferimento alla “Grazia dell'unità” come “la via per rispondere con generosità e per essere noi stessi: consacrati salesiani, fratelli al servizio dei giovani. Accettando questo dono ritroveremo un tratto caratteristico della nostra spiritualità, che è l'unione con Dio; che favorisce l'unificazione della vita: preghiera e lavoro, azione e contemplazione, riflessione e apostolato. Qui troveremo l’estasi dell’azione. La testimonianza a cui siamo chiamati non si riferisce ad aspetti parziali della nostra vita; per essere autentica, deve essere totalizzante» (CG 27, p. 14).”
Tra i tratti essenziali del Salesiano, nella contemplazione, sequela e imitazione di Gesù Cristo, la nostra Regola di Vita colloca immediatamente l'unione con Dio in chiave trinitaria: «Operando per la salvezza della gioventù, il salesiano fa esperienza della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione divina della sua attività: «senza di me non potete far nulla». Coltiva l'unione con Dio, avvertendo il bisogno di pregare senza sosta in un dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre, che sente vicino. Attento alla presenza dello Spirito e compiendo tutto per amore di Dio, diventa, come Don Bosco, contemplativo nell'azione» (Cost 12).
Per vivere questa mistica della vita salesiana come preghiera, in questa “estasi dell’azione” salesiana, credo che abbiamo una guida straordinaria nell’articolo 95:
“Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale, il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è inviato. Scoprendo i frutti dello Spirito nella vita degli uomini, specialmente dei giovani, rende grazie in ogni cosa; condividendo i loro problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la forza della Sua presenza. Attinge alla carità del Buon Pastore, di cui vuole essere il testimone, e partecipa alle ricchezze spirituali che la sua comunità gli offre. Il bisogno di Dio, avvertito nell'impegno apostolico, lo porta a celebrare la liturgia della vita, raggiungendo quell'operosità instancabile, santificata dalla preghiera e dall'unione con Dio, che deve essere la caratteristica dei figli di san Giovanni Bosco».
Appendice
A modo di riflessione complementare di questa meditazione sulla ‘mistica della preghiera’, mi permetto di offrire un commento a questo bellissimo art. 95 delle Costituzioni, un vero capolavoro spirituale, che mi sembra possa essere illuminante e stimolante.
95.- La Vita come Preghiera
Questo articolo, uno dei più riusciti e belli delle Costituzioni Salesiane rielaborate e approvate nel CG22 (1984), costituisce una degna conclusione di tutta la grande Seconda Parte delle stesse, e in particolare del tema della nostra vita di preghiera, nella linea più tipicamente salesiana: la vita come preghiera.
L'articolo del 1972 partiva da una constatazione e cercava di rispondere ad essa; la difficoltà del salesiano di incontrare Dio nella preghiera, stando immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita apostolica, rendeva necessario l'intervento della comunità; anche se già sottolineava la caratteristica del nostro Carisma, in questo campo: quella di vivere “la liturgia della vita”.
Proprio il fatto che la formulazione attuale inizi con le stesse parole, accentua paradossalmente il cambiamento radicale: non si presenta più in termini di difficoltà, e tanto meno come alternativa, ma come sintesi: proprio perché siamo immersi in detta situazione, impariamo a incontrare Dio in coloro ai quali il salesiano è inviato.
Possiamo evidenziare tre aspetti, oltre a questo cambiamento radicale: a) il “segreto” che ha permesso a Don Bosco, e permette al salesiano, di fare di tutta la sua vita una preghiera: la capacità di incontrare Dio nei destinatari;
b) una parola indica che si tratta di un processo, non sempre facile, e mai “automatico”: impara...;
c) non si tratta semplicemente di “incontrare Dio negli altri”, ma in coloro ai quali siamo inviati: senza la coscienza della missione, questo ideale non sarà facile per il Salesiano, e forse nemmeno possibile.
Per questo il secondo paragrafo è totalmente nuovo, e ci presenta, in una formulazione troppo sintetica, i “motivi” della preghiera del salesiano: ringraziamento, domanda, intercessione, derivati dalla realizzazione della nostra missione, dallo stare con i giovani.
Già l’art. 86 presentava, in forma inclusiva (all’inizio e alla fine) il rapporto tra preghiera e vita: “Don Bosco visse l’esperienza di una preghiera umile, fiduciosa e apostolica, che congiungeva spontaneamente l’orazione con la vita (…) La preghiera salesiana è gioiosa e creativa, semplice e profonda; si apre alla partecipazione comunitaria, è aderente alla vita e si prolunga in essa”.
Nell’ultimo paragrafo c’è una novità molto piccola, ma significativa e coerente con quanto sopra: non parliamo più di “bisogno interiore” di Dio da parte del salesiano, ma di bisogno di Dio sperimentato nel lavoro apostolico.
D’altronde non c’è dubbio che ogni testo, nel fare alcune opzioni, lascia da parte altri elementi: non tutto può essere incluso. La prima riformulazione del Capitolo suggeriva di modificare il contributo della comunità, aggiungendo la convenienza (senza dubbio essenziale) di comunicare ai fratelli le gioie e le fatiche della loro vita apostolica.
Vorrei evidenziare due ultimi aspetti che, seppur piccoli, sono significativi:
+ nel testo attuale è stato arricchito l'elemento della carità pastorale facendola derivare dal Buon Pastore;
+ l'azione della comunità si caratterizza per ciascun fratello, non tanto come qualcosa che questa dà, ma come qualcosa che offre: termine che fa più appello all'iniziativa della persona.
1 Citado por: Gabino Ulibarri Bilbao SJ, La Mística de Jesús, Santander, Sal Terrae, 2017.