Esercizi Spirituali CG 29 - introduzione

Capitolo Generale XXIX

Appassionati per Gesucristo, dedicati ai giovani

per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana


Il 24 di settembre del 2023, l’allora Rettor Maggiore, don Angel Fernández Artime, dopo aver consultato le novantadue Ispettorie della Congregazione, a norma dell’articolo 150 delle nostre Costituzioni, convocò il XXIX Capitolo Generale, con il tema “Appassionati per Gesucristo, dedicati ai giovaniper un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana, tema per il quale ha scelto come ispirazione la citazione di Mc 3,14-15 “Gesù chiamò quelli che voleva con sé e li mandò a predicare”.


Il tema pretende essere sviluppato attraverso tre nuclei, che il RM considera di particolare importanza:

  • Animazione e cura della vita vera di ciascun salesiano”

  • Insieme Salesiani, Famiglia Salesiana e Laici ‘con’ e ‘per’ i giovani”

  • Una coraggiosa verifica e riprogettazione del governo della Congregazione a tutti i livelli”


È evidente che il tutto ha a che vedere con l’identità carismatica salesiana, che potrebbe essere la chiave di lettura di tutto il CGXXIX, ma anche delle tre parti in cui è stato proposto lo sviluppo del tema.


Questo appare con chiarezza nella declinazione del primo nucleo tematico:


  • Animazione e cura della vita vera di ciascun salesiano


Riaccendere il dono di Dio che avete ricevuto” (2 Tim 1,6)


  • Come credenti conquistati da Dio fissiamo il nostro sguardo nella vita consacrata salesiana incentrata in Gesù Cristo.

  • Prendendosi cura sempre della Vocazione, propria e altrui,

  • Fedeli a Dio, insieme, come comunità, nel vivere una vocazione comune, una fraternità che sia autentica, evangelica e affascinante.

  • Accompagnando di modo pieno le diverse tappe della propria vita e quella dei confratelli; prendendosi così cura della formazione iniziale e continua.

  • Con l’impegno a vivere la fraternità evangelica nelle nostre comunità religiose e nell’apertura a coloro che soffrono esperienze di esclusione nel nostro mondo.


E non di meno appare nel primo trattino del terzo nucleo riguardante la verifica e riprogettazione del governo della Congregazione, che dice:


  • Per la fedeltà carismatica: un’animazione e governo che cura la Vita delle persone, la missione; che cura i più poveri e sappia modernizzare le strutture di servizio.


E poi andando alla giustificazione della scelta del tema, il RM afferma:


Come si evince dal tema scelto, esso fa riferimento alla centralità di Dio (come Trinità) e di Gesù Cristo come Signore della nostra vita, senza mai dimenticare i giovani e il nostro impegno nei loro confronti. E quello che viene offerto come sottotitolo coglie la nostra priorità e preoccupazione in questo momento, sia nella vita religiosa in generale che nella nostra vita consacrata in particolare. (E il sottotitolo legge: “per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana”.) Se nella nostra Congregazione mancassero la fedeltà e la profezia, saremmo come la luce che non brilla e il sale che non dà sapore. In molte sessioni del Consiglio generale abbiamo espresso la nostra preoccupazione per la mancanza di identità carismatica che a volte percepiamo. Nella lettera che verrà pubblicata sul numero 440 degli Atti del Capitolo Generale, affronterò proprio questa realtà facendo il punto sulle conquiste di questi anni e sulle sfide che percepisco e che sono tali perché non siamo riusciti a superare alcune debolezze che ci rendono più vulnerabili.


E più avanti aggiunge:


Nel tema del Capitolo proponiamo di concentrarci su cosa significa per noi essere veramente salesiani appassionati di Gesù Cristo, perché senza questo offriremo buoni servizi, faremo del bene alle persone, aiuteremo, ma non lasceremo molto altro di valido.”


E alla luce del citato testo di Mc 3,14-15 “Gesù chiamò quelli che voleva con sé e li mandò a predicare” esplicita:


E noi, dal momento della nostra professione, abbiamo optato per una vera compagnia di Gesù, in un rapporto da persona a persona che ci coinvolge totalmente. E da questo coinvolgimento con Gesù, ci sentiamo spinti verso i nostri giovani. … Siamo stati consacrati da Dio alla sequela del suo amato figlio Gesù ma per vivere veramente come quelli conquistati da Dio. Perciò ancora una volta quello essenziale, quello dove tutto si gioca della fedeltà della Congregazione al Santo Spirito con lo spirito di Don Bosco è nel fatto di vivere una vita consacrata salesiana incentrata in Gesù Cristo.”


E prima di presentare ‘altri compiti” conclude facendo una sintesi del tutto:


il tema ci concentra fortemente sulla nostra identità consacrata salesiana, con un vero desiderio di crescere nella fedeltà e nel valore profetico della nostra vita, così come sulla missione condivisa con i laici e la famiglia salesiana, ma sempre portando nel cuore ai giovani e le loro famiglie, tante volte povere e colpiti; e continuità anche in riferimento ai temi riguardanti l'animazione e il governo della Congregazione che non furono trattati in precedenza.”


Nella lettera “Dove ci porta il cuore”, il Rettor Maggiore, offrendoci lo stato della Congregazione prima di rinunciare per essere disponibile per la missione che gli affiderà il Santo Padre, scrive:

Pensando al contenuto di questa lettera e a ciò che intendo condividere con voi, cari confratelli, sono ben consapevole di offrirvi in tutta onestà il mio punto di vista, la mia lettura di ciò che ho vissuto, creduto, pensato, pregato e elaborato in questi anni. Sono senza dubbio possibili molte altre letture. Io presento la mia visione – in modo molto sintetico – a partire dalla conoscenza della nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana acquisita durante il mio servizio”.


E dopo una presentazione della “nostra realtà fatta di contrasti, luci e ombre” … il Rettor Maggiore la conclude con queste parole:


Tutto ciò mi porta a dire che ci sono aspetti in noi che, se fossero superati nella fede e mediante una autentica conversione – sempre e per tutti necessaria – renderebbero la nostra Congregazione un corpo molto più vivo in grado di riflettere ancora di più la luce che siamo chiamati a testimoniare e il bene che siamo chiamati a compiere, collaborando con Colui che è l’unico Signore.”1


E richiama inseguito i quattro elementi che considera “della massima importanza per il cammino futuro della Congregazione”.


  1. Mi preoccupa una certa debolezza o fragilità nel modo di vivere la vita spirituale e il rapporto con Dio. Si tratta di un fattore molto presente in tutta la vita consacrata, ma anche nella nostra, come salesiani, e che incide sulla nostra stessa identità carismatica.”2 E conclude: “Senza una vera esperienza di Dio, non ci sono credenti e – permettetemi di dirlo – ancor meno consacrati e ancor meno Salesiani di Don Bosco con una vita totalmente spesa per i giovani.”


  1. Devo condividere con voi un’altra preoccupazione dovuta al fatto che ci sono molti confratelli che sentono il bisogno di abbandonare la vita salesiana, la Congregazione, per motivi molto diversi.”3 E individua le cause principali: prometeismo apostolico, vuoto affettivo, disagio comunitario…Il fatto è che citando Papa Francesco «Possiamo ben dire che in questo momento la fedeltà è messa alla prova; le statistiche che avete esaminato lo dimostrano. Siamo di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa». È un aspetto che noi Salesiani non abbiamo superato in modo soddisfacente in questi dieci anni.


  1. Mi preoccupa incontrare situazioni di vita comunitaria in cui la comunità serve per quello che si vuole fare: è “funzionale” ma non è profetica e, quindi, non è attraente per i giovani.”4


  1. Cari confratelli, non sono ancora soddisfatto dell’attenzione riservata ai ragazzi e ai giovani più poveri. Il nostro cuore dovrebbe essere follemente innamorato dei più poveri, come lo era quello di Don Bosco.”5


Sia la lettera di convocazione del CG29 con il tema “Appassionati per Gesucristo, dedicati ai giovaniper un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana sia la lettera “Dove ci porta il cuore” con una visione sullo stato di salute della Congregazione esplicitano e lasciano vedere con ogni chiarezza che la maggiore sfida della Congregazione in questo momento è recuperare la “centralità di Dio (come Trinità) e di Gesù Cristo come Signore della nostra vita, senza mai dimenticare i giovani e il nostro impegno nei loro confronti”.


Ecco, carissimi confratelli, perché ho scelto come tema dei nostri Esercizi Spirituali la prospettiva della mistica della nostra vita salesiana, che ci permetterà di vedere tutta la nostra vocazione nelle sue dimensioni (missione, comunità, consigli evangelici, vita di preghiera) “a favore dei giovani specialmente i più poveri, abbandonati e a rischio” (C. 2) alla luce delle nostre Costituzioni. È lì, infatti, che si trova il progetto apostolico di Don Bosco che siamo invitati a fare nostro, e lì che risiede tutta la nostra identità carismatica, e sappiamo bene che questa è frutto della nostra identificazione con essa.


L’art. 196, con cui si conclude il testo delle Costituzioni, afferma:

In risposta alla predilezione del Signore Gesù che ci ha chiamati per nome, e guidati da Maria, accogliamo le Costituzioni come testamento di Don Bosco, libro di vita per noi e pegno di speranza per i piccoli e i poveri.

Le meditiamo nella fede e ci impegniamo a praticarle: esse sono per noi, discepoli del Signore, una via che conduce all’Amore.”

Questo fa sì che la nostra vita consacrata salesiana sia una via che parte dall’Amore di Gesù che ha fissato il suo sguardo su di noi, ci ha amati, ci ha chiamati, ci ha afferrati. Ed è anche una via che conduce all’Amore, in quanto via sicura per raggiungere la pienezza di vita in Dio. Ciò vuol dire che tutta la vita consacrata è contrassegnata dall’amore e va vissuta alla sua insegna, per cui non la si può vivere se non nella letizia, anche nei momenti di prova e difficoltà, con la convinzione e l’entusiasmo di chi ha l’amore come forza trainante della vita. Da qui promanano la serenità, la luminosità e la fecondità della vita consacrata, che la rendono incantevole.


A niente serve avere le migliori Costituzioni, secondo una testimonianza dell’allora Segretario per la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica, Mons. Jose Rodriguez Carballo, se non le conosciamo, non le amiamo, non le preghiamo e non le pratichiamo. Una identità carismatica fedele e profetica, dunque feconda spiritualmente, pastoralmente, vocazionalmente, dipende dalla nostra piena identificazione con “il Progetto apostolico del Fondatore” (C. 2).


Mi azzardo a dire, come ho detto al RM dopo che mi comunicò il tema scelto per il CG XXIX, che il tema riecheggia quello del CG26 “Da mihi animas, cetera tolleIdentità carismatica e passione apostolica. Lì scrivevo:


Per raggiungere l’obiettivo del CG26 è necessaria innanzitutto una miglior conoscenza di Don Bosco: occorre studiarlo, amarlo, imitarlo e invocarlo (Cost. 21). Dobbiamo conoscerlo come maestro di vita, alla cui spiritualità ci abbeveriamo come figli e discepoli; come fondatore, che ci indica la strada della fedeltà vocazionale; come educatore, che ci ha lasciato quale preziosissima eredità il Sistema preventivo; come legislatore, in quanto le Costituzioni, che egli direttamente e la storia salesiana successiva ci hanno dato, ci offrono una lettura carismatica del vangelo e della sequela di Cristo.6

Oggi più che ieri e domani più di oggi, c’è il grave rischio di spezzare i legami vivi che ci tengono uniti a Don Bosco. Siamo ad oltre un secolo dalla sua morte. Sono ormai decedute le generazioni di salesiani che erano venute a contatto con lui e lo avevano conosciuto da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico e culturale dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella vicinanza psicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a Don Bosco e al suo spirito, anche alla semplice vista del suo ritratto. Ciò che ci è stato tramandato può andare smarrito. Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica, indeboliti i legami al suo spirito, se non ravviviamo le nostre radici corriamo il pericolo di non avere futuro né diritto di cittadinanza.”7


Appassionati per Gesù Cristo e dedicati ai giovani

In questo tema scelto per il CG 29 si trova tutta qui compresa la spiritualità del “Da mihi animas, cetera tolle”, che fu il motto ispiratore di Don Bosco e che lui ci ha lasciato come “un programma di vita.” (C 4)


Io lo vorrei brevemente affrontare a partire del tema della ‘passione di Dio’ nel Cristo Crocifisso, espressione che sta a significare sia l’amore infinito, incommensurabile di Cristo (‘passione’ come espressione di un grande amore) sia la sua sofferenza immane frutto del tradimento di uno dei suoi, dell’abbandono di tutti i suoi, del rinnegamento del capo dei ‘dodici’, del rifiuto del popolo, della condanna dei capi del popolo, della crocifissione a mani dei romani e del silenzio di Dio (‘passione’ come espressione della sofferenza per amore). Non meraviglia che non ci sia migliore espressione della ‘passione’, nel doppio senso, che il Cristo Crocifisso.


La ragione è molto chiara: solo sapendoci, sentendoci e volendoci amati infinitamente dal Padre in Cristo potremo essere conquistati per Lui ed essere capaci di amare gli altri, i confratelli, i giovani, tutte le persone che con noi portano avanti la missione come Lui ci ama.


È proprio questo ‘pathos’ di Dio quello che portò a Paolo a confessare: “Sono crocifisso con Cristo. Non sono io che vive, ma è Cristo che vive in me. E la vita che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi amò e si consegnò per me.” (Gal 2,19-20)


Questa è appunto la mistica della nostra vita salesiana e quella che ci fa essere quello che siamo: persone conquistate dall’amore di Cristo, trasformate da Lui, persone che sentendo l’urgenza della carità sono totalmente dedite ai giovani, specialmente i più poveri e abbandonati.


Questo vuol dire che, “l’uomo sviluppa la propria umanità in rapporto alla divinità del suo Dio”, come direbbe Moltmann8. In altre parole, l’essere umano tende a cercare la propria realizzazione e felicità a partire dall’immagine che ha di Dio, di ciò che egli ritiene come l’Assoluto. È il desiderio, tanto antico dell’uomo, di “diventare come Dio”, il che non è qualcosa di negativo o di cattivo, dal momento in cui siamo sua immagine e somiglianza. Si potrebbe dire che dall’immagine che abbiamo di Dio scaturisce il senso che diamo alla nostra vita. Ecco perché conquistati dalla passione (amore e sofferenza) di Cristo diventiamo appassionati (capaci di amore e di consegna totale col suo stesso amore).


Ma Dio può soffrire? si domanderebbe più di uno. Certo! Chi può amare è anche passibile giacché si apre sé stesso alle sofferenze che comporta l’amore. Non soffre nella sua essenza ma sì nel suo rapporto con noi.

Dio prende talmente sul serio gli uomini che le azioni di costoro possono essere per lui motivo di sofferenza e di lesione. Al centro della predicazione profetica troviamo la certezza che Dio è interessato al mondo fino al punto da soffrire per esso.”9


E perché amare è l’accettazione dell’altro senza guardare al proprio benessere, della stessa forma comprende la potenza della compassione e la libertà di patire l’alterità dell’altro. Questo rapporto tra il “pathos di Dio” e il suo popolo rende l’uomo capace di ‘simpatia’, di sentire e di soffrire con Dio e con gli altri.


“… nella situazione del pathos divino (l’uomo) si rende homo sympatheticus. Il pathos divino si riflette nella partecipazione dell’uomo, nelle sue speranze e preghiere. Simpathia è apertura di una persona alla presenza dell’altro. Essa presenta una struttura dialogica. Nel pathos divino l’uomo è riempito dallo Spirito di Dio. Egli diventa amico di Dio, sente simpathia con Dio e per Dio.”10


Intanto che un Dio impassibile porta all’uomo ad essere ‘a-pático’, il Dio ‘patetico’, che troviamo nella incarnazione del Figlio di Dio fino alla morte in croce, rende all’uomo ‘simpatetico’.


Facendosi uomo in Gesù di Nazareth, Dio non s’immerge soltanto nella finitezza dell’uomo ma anche, con la morte in croce, nella situazione di abbandono da Dio che l’uomo sperimenta. In Gesù egli non muore della morte naturale, propria dell’essere finito, ma subisce la morte violenta del malfattore, una morte nel pieno abbandono di Dio. Soffrire nella passione di Cristo è l’abbandono, il ripudio da Dio, suo Padre. Dio non si trasforma in religione, così che si potrebbe partecipare della sua realtà a livello di pensieri e di sentimenti religiosi adeguati. Dio non si trasforma in legge, così che partecipare della sua realtà significherebbe obbedire alla legge. Dio non diventa un ideale, per cui si giungerebbe alla comunione con lui mediante uno sforzo e tensione continui. Egli si umilia e prende su di sé la morte eterna del senza Dio e dell’abbandonato da Dio, così che tutti gli empi e abbandonati ora possono sperimentare la loro comunione con lui.


Il Dio fattosi uomo è presente e reso accessibile all’umanità di ciascun uomo e più precisamente alla corporeità pienamente umana. Nessuno dovrà fingere, apparire diverso da quello che è, per cogliere la comunione che lo stringe al Dio umano. Potrà abbandonare tutte le finzioni e sembianze, e in questo Dio umano diventare quegli ché in verità è. Inoltre, il Dio Crocifisso gli si rende vicino nello stato di abbandono sofferto da ciascun uomo.”11


E questo rapporto fa rinascere l’uomo alla nuova vita in Cristo sì da poter vivere in comunione con Lui fino alla sua ‘divinizzazione’ senza che nulla e nessuno, tranne il peccato, possa cancellarla, come dice la bellissima catechesi battesimale di Rom 6.

La vita nella comunione di Cristo è vita piena, condotta nella situazione trinitaria di Dio. Morto in Cristo e risorto a nuova vita, come Paolo afferma in Rom 6, 8, il credente prende realmente parte della sofferenza di Dio nel mondo, perché partecipa della passione dell’amore divino. Ma prende anche parte alla sofferenza concreta del mondo, perché sulla croce di suo Figlio Dio l’ha resa sofferenza propria. Quel Dio umano che s’incontra nel Crocifisso conduce dunque l’uomo ad una divinizzazione (theosis) che va intesa in termini realistici. A livello di comunione con Cristo si può realmente dire che gli uomini vivono in Dio e di Dio, che essi «in lui vivono, si muovono e sono» (Hch 17, 28)”.12


Lo contrario dell’amore non è l’ira ma l’indifferenza, la ‘a-patía’. E questo è un segno chiaro della mancanza di esperienza di Dio, del Dio Amore, di cui invece siamo chiamati ad essere ‘segni e portatori’ (C. 2).



Conclusione


La totale dedizione alla missione a favore dei giovani, specialmente i più poveri, bisognosi e in situazione di rischio, aiutandoli a superare tutte le sofferenze prodotto del peccato del mondo (l’ingiustizia, la miseria, l’ignoranza, ecc.) è la forma più concreta in cui seguendo Cristo possiamo vivere l’amore cristiano. Questo amore sempre implicherà la negazione di sé stessi, e a volte provocherà “l’odio del mondo” (Gv 15, 18ss). Questo è il rapporto inseparabile tra amore (passione) e sacrificio (passione).


Cercare la realizzazione e la felicità fuori della negazione di sé e della totale consegna agli altri che implica l’amore fallirà, conseguenza della struttura dell’essere umano: “si il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24-25).


Il nostro lavoro da educatori e pastori dei giovani ha, tra i massimi compiti, quello di aiutare i nostri destinatari a trovare il senso della vita e la vera felicità nell’imparare a non conservare la vita per loro stessi ma ad essere persone per gli altri, al modo di Gesù e come Don Bosco educò i suoi ragazzi a Valdocco.


Ma, come presentare tutto questo? Non certamente elaborando teologie complicate, ma insistendo nella radice di tutto questo, nel suo nucleo più profondo: Dio è Amore perché è Comunità (Trinità) ed è Comunità perché è Amore. E noi siamo stati creati a sua immagine per essere diventare simili a Lui attraverso l’amore in comunità.


Mi auguro che queste riflessioni ci aiutino ad approfondire il motto che Don Bosco visse come esperienza dello Spirito e ci ereditò e consegno come programma di vita: “Da mihi animas, cetera tolle”, e di conseguenza ci aiutino a riscoprire la sua novità e la sua vera normatività.


Lì troveremo la risposta alla grande sfida che il Rettor Maggiore ci ha presentato nel tema del Capitolo Generale: “Appassionati per Gesucristo, dedicati ai Giovani”.


1 A. Fernandez ArtimeDove ci porta il Signore «Mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12, 9) Torino, 8 settembre 2023, ACG 440, p. 5

2 Ib. Pp. 18-23

3 Ib. Pp. 23-27

4 Ib. Pp. 27-29

5 Ib. Pp. 29-31

6 Cf. P. Chávez, “Contemplare Cristo con lo sguardo di Don Bosco”, ACG 384 (2003).

7 ACG 394 (Da mihi animas).

8 Jürgen Moltmann, Il Dio Crocifisso, La croce di Cristo fondamento e critica della teologia cristiana, 4ª edizione, Queriniana - Brescia 1990, p. 313

9 Moltmann, o.c. p.318

10 Moltman, o.c, p. 320

11 Moltmann, o.c. p.324s

12 Moltmann, o.c. p. 325

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