Esercizi Spirituali CG29 - Mistica della vita cristiana

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ESERCIZI SPIRITUALI 2025

Capitolo Generale XXIX

LA MISTICA DELLA VITA CRISTIANA



1.- Motivazione


Riprendendo il tema capitolare “Appassionati di Gesù Cristo” vediamo che non si può raggiungere questo essere appassionati senza una esperienza di Dio che riempie di entusiasmo e di gioia la nostra vita. Ecco perché tutti i temi restanti delle riflessioni dei nostri Esercizi gireranno attorno ad una prospettiva, dalla quale cercheremo di contemplare alcune delle principali dimensioni della nostra vita cristiana e religiosa/salesiana: è la prospettiva della mistica.


È una parola assai ricca e affascinante, ma proprio per questo può intendersi in forme molto diverse, tra il massimalismo dell’esperienza mistica in senso stretto, e il minimalismo della “mistica sportiva”, o la “mistica del lavoro”, ecc. In un libro pubblicato dieci anni fa (2014) nella nostra Università Salesiana di Roma, troviamo interventi con titoli come questi: “Mistici nell’Educazione”, “Mistica e Corporeità”, “Mistici in Politica Oggi”, “Mistica ed Internet” … È innegabile non soltanto la diversità, ma persino la confusione.


Cercando di focalizzare quel che vogliamo indicare con questa parola, più che “definirla” vorrei sottolineare due elementi essenziali: in primo luogo, si riferisce in qualche maniera alla nostra esperienza di Dio; più in concreto, il Dio di Gesù Cristo, il Dio che è Amore, Padre, Figlio e Spirito Santo. In secondo luogo, accentua il carattere “entusiasmante” di questa esperienza, che riempie il cuore di gioia e di senso; più ancora: ci riempie di Dio stesso, che è il senso etimologico della parola “entusiasmo”. D’altra parte, è il corrispondente dell’aspetto ascetico della vita.


La motivazione di questa prospettiva teologica ed antropologica è molto semplice: troppe volte viviamo il nostro essere cristiano e religioso con radicalità esemplare ed innegabile, ma non sempre irradiamo la felicità che da questa forma di vita deve sorgere. La famosa critica di Friedrich Nietzsche continua ad essere una pungente sfida per noi: “più redenti dovrebbero apparirmi i suoi discepoli”. Abbiamo i cristiani veramente “faccia di redenti”?


Il Papa Francesco, fin dall’inizio del suo Pontificato, in particolare nelle sue prime esortazioni apostoliche, significativamente utilizza parole quasi sinonime nei rispettivi titoli: “Evangelii gaudium”, “Veritatis gaudium” e “Amoris laetitia”: sempre in questa linea, come se volesse rispondere alla sfida di Nietzsche. L’articolo 17 delle nostre Costituzioni lo dicono chiaramente: “Il salesiano non si lascia scoraggiare dalle difficoltà, perché ha piena fiducia nel Padre: ‘Niente ti turbi’, diceva Don Bosco. Ispirandosi all’umanesimo di san Francesco di Sales, crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza. Coglie i valori del mondo e rifiuta di gemere sul proprio tempo: ritiene tutto ciò che è buono, specie se gradito ai giovani. Perché annuncia la Buona Novella è sempre lieto. Diffonde questa gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa: ‘Serviamo il Signore in santa allegria”.


Tuttavia, non possiamo ridurre questo ad una gioia che fosse soltanto elemento secondario della nostra vita cristiana come qualcosa di “aggiunto”, o come caratteristica del nostro temperamento più o meno “ottimista”, o conseguenza di una situazione umana “gratificante”, e meno ancora, un’immagine “propagandistica” per guadagnare seguaci. Deve nascere dal più profondo della nostra esperienza cristiana.



2.- Prospettiva fondamentale


Troppo frequentemente, intendiamo l’essere cristiani come qualcosa che, essendo stata accettata (abitualmente senza rendercene conto, fin dal Battesimo ricevuto appena nati), dobbiamo sopportare lungo tutta la nostra vita; un obbligo che viene tradotto nell’accettazione di alcune verità, l’osservanza di alcune norme morali, e l’adempimento di alcuni riti e celebrazioni. In fondo, qualcosa che noi dobbiamo fare (e che non sempre diventa piacevole).


Il Catechismo tradizionale, che molti di noi abbiamo studiato (e persino imparato a memoria), ci insegnava:


Domanda. - Perché Dio ha creato l’uomo?

Risposta. - Per amare e servire Dio in questa vita, e poi, vederlo e goderlo nell’altra vita, per sempre.


Invece, la Parola di Dio afferma:


Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi (1 Gv 3, 16a).

In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui (1 Gv 4, 9).

In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 Gv 4, 10).

Noi amiamo, perché Egli ci ha amati per primo (1 Gv 4, 19).


Evidentemente, non si tratta soltanto della “teologia giovannea” (e meno ancora, soltanto della sua prima lettera): in questa direzione si orienta la testimonianza intera del Nuovo Testamento: saperci e sentirci amati da Dio, in maniera incondizionata e personale: questo è il fondamento della “mistica” della vita cristiana. Sarebbe inconcepibile che chi avesse veramente questa convinzione potesse vivere senza allegria; anzi, è una allegria che nulla può toglierci… Come dice san Paolo: “Io sono persuaso che né morte né vita (…) potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8, 38-39).


Questa esperienza fontale cristiana è in rapporto strettissimo con l’esperienza umana fondamentale: nella vita non cominciamo amando, ma essendo amati. E questo è così importante, che chi non si è sentito amato, accettato, accolto fin dall’inizio della sua esistenza, molto difficilmente imparerà ad amare autenticamente. Molte volte, e con troppa facilità, giudichiamo alle persone “egoiste”, incapaci di amare e di uscire da sé stessi, senza domandarci se sono state ben volute, e soprattutto, se si sono sentite così!


Da questa prospettiva, possiamo affermare che l’educazione cristiana elementale non comincia imparando a fare il segno della croce, o a pregare, ecc., ma propiziando che, fin dalla nascita (anzi: prima, dal seno materno) ogni essere umano si senta accolto, ben-venuto e ben-voluto. Nel progetto meraviglioso di Dio, l’ambiente umano che accoglie ogni neonato dovrebbe essere l’ottimo, anche dal punto di vista più profondo: viene accolto da altri che partecipano della sua stessa carne e sangue… Ma dobbiamo anche dire: se manca quest’esperienza basica, è molto difficile che possa essere sostituita: la persona porta con sé, in occasioni per tutta la vita, una carenza strutturale che si manifesterà anche in maniera cosciente, ma soprattutto in forma inconscia ed implicita, e per questo, paradossalmente, più incisiva. Sarebbe molto arricchente domandarci: Qual è stata la mia esperienza basica? Con quali conseguenze nella mia vita?


3.- Illuminazione: il rapporto tra fede ed amore


In fondo, vi invito a domandarci: come concepisco la mia vita cristiana (e religiosa/salesiana): come qualcosa che iodevo fare”, o in primo luogo come qualcosa che Dio Trino ha fatto, e continuerà a fare per me e in me? Ho l’obbligo di “guadagnarmi” l’amore di Dio, o piuttosto devo (e voglio) corrispondere all’Amore di Dio “con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente, con tutte le mie forze, con tutto il mio essere”? Sono due strade diverse, che portano con sé molte conseguenze, anche dal punto di vista psicologico; e per disgrazia, molti fratelli e sorelle cristiani vivono più la loro fede con la angoscia di dover “meritare” l’Amore di Dio e la salvezza eterna (persino, alle volte, considerandole due cose separate) …


Il Papa emerito Benedetto XVI, nel suo ultimo Messaggio di Quaresima (2013), vero testamento spirituale, ci illumina in maniera straordinaria questa realtà, attraverso un’espressione che può sembrare, superficialmente, un semplice gioco di parole, ma non lo è. Afferma che, nella nostra esperienza cristiana, il primato appartiene alla carità, ma la fede ha la priorità.


Partendo dalla fondamentale affermazione dell’apostolo Giovanni: “Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi” (1 Gv 4, 16), ricordavo che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva… Siccome Dio ci ha amati per primo (cf. 1 Gv 4, 10), l’amore adesso non è più solo un “comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro” (Deus Caritas est, 1). La fede costituisce quella personale adesione -che include tutte le nostre facoltà- alla rivelazione dell’amore gratuito e “appassionato” che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo. L’incontro con Dio Amore che chiama in causa non solo il cuore, ma anche l’intelletto: “Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai “concluso” e completato” (ibid., 17).

Da qui deriva per tutti i cristiani e, in particolare, per gli “operatori della carità”, la necessità della fede, di quell’ “incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore” (ibid., 31). Il cristiano è una persona conquistata dall’amore di Cristo e perciò, mosso da questo amore – “caritas Christi urget nos” (2 Cor 5, 14) – è aperto in modo profondo e concreto all’amore per il prossimo (cf. ibid., 33). Tale atteggiamento nasce anzitutto dalla coscienza di essere amati, perdonati, addirittura serviti dal Signore, che si china a lavare i piedi degli Apostoli e offre Se stesso sulla croce per attirare l’umanità nell’amore di Dio.


(…) Tutto ciò ci fa capire come il principale atteggiamento distintivo dei cristiani sia proprio “l’amore fondato sulla fede e da essa plasmato” (ibid., 7).


Tutta la vita cristiana è un rispondere all'amore di Dio. La prima risposta è appunto la fede come accoglienza piena di stupore e gratitudine di un’inaudita iniziativa divina che ci precede e ci sollecita. E il “sì” della fede segna l’inizio di una luminosa storia di amicizia con il Signore, che riempie e dà senso pieno a tutta la nostra esistenza. Dio però non si accontenta che noi accogliamo il suo amore gratuito. Egli non si limita ad amarci, ma vuole attiraci a Sé, trasformarci in modo così profondo da portarci a dire con san Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cf. Gal 2,20).


Quando noi lasciamo spazio all’amore di Dio, siamo resi simili a Lui, partecipi della sua stessa carità. Aprirci al suo amore significa lasciare che Egli viva in noi e ci porti ad amare con Lui, in Lui e come Lui; solo allora la nostra fede diventa veramente “operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6) ed Egli prende dimora in noi (cf. 1 Gv 4,12).


L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l'amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio. Nella Sacra Scrittura vediamo come lo zelo degli Apostoli per l’annuncio del Vangelo che suscita la fede è strettamente legato alla premura caritatevole riguardo al servizio verso i poveri (cf. At 6,1-4). Nella Chiesa, contemplazione e azione, simboleggiate in certo qual modo dalle figure evangeliche delle sorelle Maria e Marta, devono coesistere e integrarsi (cf. Lc 10,38-42).


(…) In sostanza, tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri.


(…) La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l'unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell'amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cf. Rom 5,5).


Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della fede (“il sapersi amati da Dio”), ma deve giungere alla verità della carità (“il saper amare Dio e il prossimo”), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cf. 1 Cor 13,13).

Carissimi fratelli e sorelle, … auguro a tutti voi di vivere questo tempo prezioso ravvivando la fede in Gesù Cristo, per entrare nel suo stesso circuito di amore verso il Padre e verso ogni fratello e sorella che incontriamo nella nostra vita.” (Benedetto XVI, Messaggio di Quaresima 2013).



4.- Conclusione


Abbiamo qui elementi preziosi per la nostra riflessione personale, e per la nostra preghiera e dialogo di amore con il Signore. Non ho voluto sviluppare qui un tema che sorge spontaneamente: la nostra vita consacrata, come espressione di questo incontro di amore tra Dio Padre, Figlio e Spirito Santo con ognuno di noi. Indubbiamente troveremo, se lo vediamo da questa prospettiva, moltissimi elementi nelle Costituzioni, che possono aiutarci a far concreta questa esperienza di saperci/sentirci amati da Dio. Basterebbe ricordare -anche in forma esplicita- i testi della nostra Regola di Vita dove appare la parola “risposta” (o simili) in questo contesto, in particolare nella preghiera della Professione: “Dio Padre, Tu mi hai consacrato a Te nel giorno del Battesimo. In risposta all’amore di Gesù tuo Figlio” (C 24).


Appendice

Per la vostra meditazione personale vi offro un testo anche esso molto bello di un documento della Chiesa sulla formazione dei religiosi:


All'origine della consacrazione religiosa c'è una chiamata di Dio che si spiega solo con l'amore che Egli nutre per la persona chiamata. Questo amore è assolutamente gratuito, personale ed unico. Investe la persona al punto che essa non appartiene più a se stessa ma appartiene a Cristo. Riveste così il carattere di una alleanza. Lo sguardo che Gesù posò sul giovane ricco manifesta questo carattere: “posando lo sguardo su di lui, Gesù lo amò” (Mc 10, 21). (n. 8).

La chiamata di Cristo, che è l'espressione di un amore redentivo, «investe la persona intera, anima e corpo, si tratti di un uomo o di una donna; nella sua entità personale è assolutamente unica». Essa “prende nel cuore del chiamato la forma concreta della professione dei consigli evangelici»”. In questa forma, quelle e quelli che Dio chiama donano a loro volta a Cristo Redentore una risposta di amore: un amore che si abbandona interamente e senza riserve, che si perde nell'offerta di tutta la persona “come ostia viva, santa, gradita a Dio” (Rom 12, 1). Solo questo amore di carattere nuziale, che impegna tutta l'affettività della persona, permetterà di motivare e di sostenere le rinunce e le croci che incontra necessariamente colui che vuole “perdere la sua vita” a causa di Cristo e del Vangelo (cf. Mc 8, 35). Questa risposta personale è parte integrante della consacrazione religiosa. (Potissimum Institutioni, n. 9).


Vorrei invitarvi a farvi una domanda che vi può aiutare a applicare personalmente quello che abbiamo detto, leggendo tutta la vostra vita alla luce della fede; una domanda molto semplice, ma decisiva: Mi sento amato personalmente da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, come se fosse l’unica persona nel mondo? Posso “scoprire” questo Amore di Dio lungo tutta la mia vita? E come conseguenza di questo: Sono convinto che Dio Trino/Amore dice al mio cuore: “ho bisogno di te per essere felice”?


Qualora ci sembrasse esagerata l’espressione, basterebbe rileggere la Parabola per eccellenza della misericordia che ci presenta Luca (15, 11-32)), in cui leggiamo:


Mentre egli (il figlio prodigo) era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 E il figlio gli disse: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22 Ma il padre disse ai suoi servi: "Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato". E si misero a fare gran festa. 25 Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. 27 Quello gli disse: "È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28 Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose al padre: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; 30 ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato". 31 Il padre gli disse: "Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato"».