Strenna_2011_it


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STRENNA 2011 - COMMENTO
1. Tornare a Don Bosco
o Come attua Don Bosco questo impegno per promuovere vocazioni?
2. Un'urgenza previa: creare e fomentare una cultura vocazionale
o La vita è vocazione
o Aperta agli altri e a Dio
o Vissuta come dono e come compito
3. Aspetti che hanno una speciale significatività nell'animazione e nella proposta vocazionale
o Promuovere una cultura vocazionale: compito essenziale della Pastorale Giovanile
o L'educazione all'amore, alla castità
o L'educazione alla preghiera
o L'accompagnamento personale
o Centralità e ruolo della consacrazione religiosa nella missione della Famiglia Salesiana
o Il Movimento Giovanile Salesiano, luogo vocazionale privilegiato
4. Conclusione. Bellezza e attualità della vocazione salesiana
o La carovana nel deserto
o La Danza della Vita
«Venite e vedrete»
(Gv 1,39)
La necessità di convocare
Carissimi fratelli e sorelle,
membri tutti della Famiglia Salesiana

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ed amici di Don Bosco,
Vi saluto con il grande affetto e la stima che nutro per ciascuno di voi augurandovi un anno nuovo
ricolmo delle benedizioni che il Padre ha voluto darci nella incarnazione del suo Figlio.
Vi scrivo per presentare la Strenna del 2011, con la certezza di farvi un dono gradito, sia per il
valore che la Strenna come tale ha nella nostra tradizione salesiana dai tempi di Don Bosco, sia per
il tema scelto che interessa la nostra vita, la nostra missione e la nostra capacità di aiutare a scoprire
che la vita è vocazione, sia pure per il momento che viviamo come Chiesa e Famiglia Salesiana,
soprattutto in Occidente.
Dopo la Strenna del 2010, « Signore, vogliamo vedere Gesù », sull'urgenza di evangelizzare, mi è
sembrata la cosa più logica e naturale fare un accorato appello a tutta la Famiglia Salesiana a
sentire, insieme a noi SDB, la necessità di convocare. Infatti, noi salesiani
« sentiamo oggi più forte che mai la sfida di creare una cultura vocazionale in ogni ambiente, in
modo che í giovani scoprano la vita come chiamata e che tutta la pastorale salesiana diventi
realmente vocazionale. Ciò richiede dí aiutare i giovani a superare la mentalità individualista e la
cultura dell'autorealizzazione, che li spinge a progettare il futuro senza mettersi in ascolto di Dio;
ciò domanda pure di coinvolgere e formare famiglie e laici. Un impegno particolare deve essere
messo nel suscitare tra i giovani la passione apostolica. Come Don Bosco siamo chiamati a
incoraggiarli ad essere apostoli dei loro compagni, ad assumere varie forme di servizio ecclesiale e
sociale, a impegnarsi in progetti missionari. Per favorire un'opzione vocazionale di impegno
apostolico, a tali giovani si dovrà proporre una vita spirituale più intensa e un accompagnamento
personale sistematico. È questo il terreno in cui fioriranno famiglie capaci di autentica
testimonianza, laici impegnati ad ogni livello nella Chiesa e nella società ed anche vocazioni per la
vita consacrata e per il ministero ».'
1 CG26, Da mihi animas, cetera tolle, Roma, 2008, n. 53: « Vocazioni all'impegno apostolico ».
Evangelizzazione e vocazione, cari fratelli e sorelle, sono due elementi inseparabili. Anzi, criterio di
autenticità di una buona evangelizzazione è la sua capacità di suscitare vocazioni, di maturare
progetti di vita evangelica, di coinvolgere interamente la persona di coloro che sono evangelizzati,
sino a renderli discepoli ed apostoli.
Un dato storico della vita di Gesù, confermato da tutti i quattro evangelisti, è che, sin dall'inizio
della sua attività evangelizzatrice (cf. Mc 1,14-15), Gesù chiamò alcuni a seguirlo (cf. Mc 1,16-20;
Mt 4,18-19; Lc 5,10-11; Gv 1,35-39). Questi suoi primi discepoli divennero così «compagni per
tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino
al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo» (At 1,21-22).
La vocazione di questi primi discepoli, secondo il Vangelo di Giovanni, è frutto di un incontro
personale che suscita in essi un'attrazione, un fascino che trasforma la loro mente e soprattutto i loro
cuori, riconoscendo in Gesù Colui nel quale si realizzano le attese più profonde, le profezie, il
Messia atteso. Questa esperienza li collega talmente alla persona di Gesù che lo seguono con
entusiasmo e comunicano ad altri la loro esperienza invitandoli a condividerla, incontrandosi con
Gesù personalmente. Il Vangelo di Luca parla anche del gruppo di donne che accompagna e assiste
il Signore (cf. Lc 8,1-3) il che vuol dire che Gesù aveva delle donne tra i suoi discepoli, alcune delle
quali saranno testimoni della sua morte e resurrezione (cf. Lc 23,55-24,11.22).
Perciò, cari fratelli e sorelle, vi invito ad essere per i giovani vere guide spirituali, come Giovanni
Battista che addita Gesù ai suoi discepoli dicendo loro: « Ecco l'Agnello di Dio! » (Gv 1,36). In tale
modo essi gli andranno dietro, al punto che Gesù rendendosi conto che alcuni lo seguono si
rivolgerà loro direttamente con la domanda: « Che cercate? », ed essi, presi dal desiderio di
conoscere in profondità chi sia questo Gesù, gli domanderanno: « Rabbi, dove abiti? » (Gv 1,38).
Ed Egli li inviterà, come i primi discepoli, a fare una esperienza di convivenza con lui: « Venite e
vedrete ». Qualcosa di immensamente bello essi avranno sperimentato dal momento in cui «
andarono, videro dove abitava e quel giorno rimasero con lui » (Gv 1,39).
Ecco una prima caratteristica della vocazione cristiana: un incontro, un rapporto personale di
amicizia che riempie il cuore e trasforma la vita. Questo incontro trasformante è la fede che,

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animata dalla carità, rende i credenti e le comunità cristiane propagatori della Buona Novella del
Vangelo di Gesù. Così lo esprime Paolo nella lettera alla comunità di Tesalonica: « Avendo accolto
la Parola, voi siete diventati un modello per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia; per mezzo
vostro la Parola del Signore si è diffusa dappertutto » (cf. 1 Ts 1, 7-8). Siamo, dunque, chiamati a
rinnovare in noi questo dinamismo vocazionale: comunicare e condividere l'entusiasmo e la
passione con cui stiamo vivendo la nostra vocazione, in modo tale che la nostra vita diventi essa
stessa proposta vocazionale per gli altri. Proprio come fece Don Bosco, che più che campagne
vocazionali seppe creare a Valdocco un microclima dove crescevano e maturavano le vocazioni,
formando un'autentica cultura vocazionale in cui la vita è concepita e vissuta come dono, come
vocazione e missione, nella diversità delle opzioni.
1. Tornare a Don Bosco
Invitati a ripartire da Don Bosco per capire sempre meglio e poter assumere con più fedeltà la
passione che ardeva nel suo cuore e lo spingeva a cercare la gloria di Dio e la salvezza delle anime,
imitiamolo nella sua instancabile operosità nel promuovere vocazioni al servizio della Chiesa, frutto
il più prezioso della sua opera di educazione ed evangelizzazione, di formazione umana e cristiana
dei giovani. La sua esperienza e i suoi criteri e atteggiamenti potranno illuminare e orientare il
nostro impegno vocazionale.
« Don Bosco, pur operando con instancabile generosità nel promuovere varie forme di vocazioni
nella Chiesa, chiamava alcuni giovani a stare per sempre con lui. Anche per noi la proposta della
vocazione consacrata salesiana, rivolta ai giovani, fa parte della fedeltà a Dio per il dono ricevuto.
A ciò ci spinge il desiderio dí condividere la gioia di seguire il Signore Gesù, rimanendo con Don
Bosco, per dare speranza a tanti altri giovani del mondo intero ».2
2 CG26, Da mihi animas, cetera tolle, Roma, 2008, n. 54: « Accompagnamento dei candidati alla
vita consacrata salesiana ».
Don Bosco visse, non lo dimentichiamo, in un ambiente poco favorevole e per alcuni versi contrario
allo sviluppo delle vocazioni ecclesiastiche. Il nuovo regime costituzionale del Regno Sardo, con le
conseguenti libertà di stampa, di coscienza, di culti, e la potenziale « deconfessionalizzazione »
dello Stato, aveva prodotto un crescente dissenso con la Chiesa. La libertà di culto e l'attiva
propaganda protestante disorientavano il popolo semplice, presentando un'immagine negativa della
Chiesa, del Papa, vescovi e sacerdoti. Si era creato nel popolo e soprattutto tra i giovani un clima
nazionalista impregnato delle idee liberali e anticlericali.
Lo stesso Don Bosco scriveva ricordando quei tempi: « uno spirito di vertigine si levò contro agli
ordini religiosi, alle Congregazioni ecclesiastiche; di poi in generale contro al clero e a tutte le
autorità della Chiesa. Questo grido di furore e di disprezzo per la religione traeva seco la
conseguenza di allontanare la gioventù dalla moralità, dalla pietà; quindi dalla vocazione allo stato
ecclesiastico. Perciò niuna vocazione religiosa e quasi nessuna per lo stato ecclesiastico. Mentre gli
istituti religiosi si andavano man mano disperdendo, i preti erano vilipesi, taluni messi in prigione,
altri mandati a domicilio coatto, come mai umanamente parlando era possibile coltivare lo spirito di
vocazione? ».3
Ma guardate, cari fratelli e sorelle, come reagisce Don Bosco. Egli non si perde in lamenti, ma
subito s'industria per raccogliere e coltivare le vocazioni e promuovere la formazione di giovani
chierici rimasti senza seminario, curare quei ragazzi di buona indole e avviarli alla carriera
ecclesiastica. Nell'Oratorio, assieme ai giovani lavoratori, orfani, Don Bosco accoglie molto presto
ragazzi e giovani di animo buono che mostrano segni per avviarsi al sacerdozio e alla vita religiosa.
Si dedica con attenzione e priorità alla loro formazione, una formazione attiva e pratica con un
accompagnamento personale e in un ambiente di forte valenza spirituale e apostolica. Dagli anni '60
la sezione « studenti » dell'Oratorio di Valdocco viene considerata una fattispecie di seminario. Lo
stesso Don Bosco scrive nelle Memorie dell'Oratorio « che la casa dell'Oratorio per quasi 20 anni
diviene il seminario diocesano ».4 Stando a quanto scrive don Braido, tra il 1861 al 1872 entrarono
nel Seminario di Torino 281 giovani provenienti dall'Oratorio.5

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3 Cenno storico sulla Congregazione di S. Francesco di Sales e relativi schiarimenti. Roma. Tip.
Poliglotta 1874. In OE XXV, p. 233.
4 Memorie dell'Oratorio. Testo critico, a cura di A. Ferreira. Roma, LAS 1991, p. 195. Mettere al
servizio delle diocesi come seminari minori le sue (nuove) scuole private fu un motivo trainante
dell'espansione dell'opera salesiana, cf. A. J. LENTI, Don Bosco. History and Spirit. Vol. 52:
Institutional Expansion, Roma, LAS, 2009, pp. 49-73.
5 Cf. P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo delle libertà. Vol. I, Roma, LAS, 2003,
p. 544.
Come attua Don Bosco questo impegno per promuovere vocazioni?
Innanzitutto Don Bosco faceva speciale attenzione a scoprire i possibili segni di vocazione nei
giovani con i quali entrava in contatto quando andava a predicare nelle chiese dei vari paesi e nei
giovani raccolti nell'Oratorio di Valdocco. Egli nota che, in mezzo alla massa dei suoi giovani, in
alcuni emergono le condizioni per una proposta vocazionale, finora nascoste da un'incrostazione di
grossolanità e d'ignoranza. Questi poveri oratoriani infatti uniscono alla buona condotta uno
svegliato ingegno; li mette dunque alla prova come animatori tra i compagni e li studia con un
accompagnamento speciale da parte sua. Perché Don Bosco non rimane in attesa di uno sviluppo
quasi meccanico della vocazione, sa per esperienza che la mobilità giovanile la può mettere in serio
pericolo. Perciò collabora attivamente col dono di Dio creando un ambiente adatto, mantenendovi
un clima spirituale rispondente alle esigenze di sviluppo della vocazione, e impegnandosi ad essere
animatore e guida di coloro che riscontra chiamati da Dio alla vita sacerdotale e religiosa o alla
cooperazione salesiana nella diversità delle sue espressioni.
1. Il primo impegno di Don Bosco è quello di formare un ambiente, oggi diremmo una cultura, in
cui la proposta vocazionale possa essere favorevolmente accolta e giungere a maturazione.
Un ambiente di familiarità nel quale Don Bosco condivide tutto con i giovani. Sta con loro nel
cortile, li ascolta, promuove un clima di gioia, di festa e di fiducia che apre i cuori e fa che i giovani
si sentano come in famiglia. La gioia che si sprigionava da tutta la persona di Don Bosco mentre
svolgeva il suo apostolato sacrificato ed entusiasta era già in se stessa una proposta vocazionale. I
giovani a contatto con Don Bosco nella vita quotidiana facevano la grande ed esaltante esperienza
di essere e di sentirsi davvero membri di una famiglia, imparando ad aprire i loro cuori ed a
guardare il futuro con ottimismo e speranza.
Questo clima di gioia e di famiglia è alimentato da una forte esperienza spirituale. La visione
religiosa del mondo che Don Bosco possiede e che unifica la sua multiforme attività contagia quasi
spontaneamente i giovani che imparano a vivere alla presenza di Dio. Un Dio che li ama ed ha per
ognuno di loro un progetto di felicità e di vita piena. Si crea nell'Oratorio un clima spirituale che
orienta al rapporto interpersonale con Dio e con i fratelli e permea tutta la vita. Questo clima si
alimenta di una semplice ma costante pietà sacramentale e mariana. La preghiera che orienta i
giovani ad un rapporto personale di amicizia con Gesù e con Maria e l'adeguata esperienza
sacramentale che sostiene e stimola lo sforzo di crescita nella vita quotidiana, costituiscono la
prima risorsa per coltivare e maturare le vocazioni.
Una terza caratteristica dell'ambiente creato da Don Bosco era la dimensione apostolica. Dall'inizio
Don Bosco coinvolge i giovani, in particolare quelli che presentano segni vocazionali, ad
accompagnarlo nella sua opera di educazione e di catechesi. Affida loro alcuni compagni più discoli
perché, facendosi loro amici, li aiutino a inserirsi positivamente nell'ambiente e nella vita
dell'Oratorio. In questo modo i giovani imparano a lavorare per gli altri con grande impegno e
totale disinteresse. Imparano pure a rendere se stessi sempre più disponibili e aperti alle esigenze
dell'apostolato, maturando le proprie motivazioni e facendo ogni cosa per la gloria di Dio e la
salvezza delle anime. Don Bosco, con un accompagnamento attento e costante, procura che questo
servizio di apostolato tra i compagni, vissuto con entusiasmo e disponibilità, mentre esprime la sua
efficacia portando sulla via del bene coloro ai quali si rivolge, diventi pure una concreta « proposta

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» di vita per quei giovani che lui stesso aveva scelti. In questo clima nascono e si sviluppano le
Compagnie, considerate da Don Bosco un'esperienza chiave dell'ambiente e della proposta
educativa dell'Oratorio.
2. Insieme all'ambiente, Don Bosco offre a giovani ed agli adulti, che cercano un orientamento per
la loro vocazione, un fedele accompagnamento spirituale. Il luogo naturale in cui Don Bosco offre
l'aiuto della direzione spirituale è il confessionale, ma non solo: Don Bosco propone e facilita in
vari modi possibilità di incontro e di colloquio tra i « figli di famiglia » e il « padre », offrendo a
tutti un'esperienza profonda di educazione e di direzione spirituale. La sua azione si modula
diversamente ed in maniera personalizzata a seconda che si tratti di giovani o adulti, aspiranti alla
vita ecclesiastica, alla vita religiosa o semplicemente alla vita di buon cristiano e onesto cittadino.
Ugualmente la sua azione di accompagnamento si rende particolare e attenta nel seguire
Cooperatori, Figlie di Maria Ausiliatrice, Salesiani, ecc.
Uno dei tratti che maggiormente colpisce quando si osserva Don Bosco agire come direttore di
spirito, è il discernimento e la prudenza che rivela quando consiglia in merito alla vocazione.
Sebbene in quel tempo alla Chiesa mancassero dei pastori e a lui stesso urgessero collaboratori, don
Rua testimonia, con giuramento, che « giammai consigliava ad entrarvi (nella vita sacerdotale o
religiosa) chi non ne avesse i necessari requisiti... Di varii ho saputo che li dissuase malgrado il loro
desiderio ».66
Summarium, 676 par. 14.
Sempre mosso da prudente discernimento, si dà da fare per indurre a riflettere coloro che, pur
avendone le doti, non avevano mai pensato a divenire sacerdoti o religiosi. Don Bosco poco alla
volta poneva loro sotto gli occhi alcune considerazioni che li aiutassero a ripensare la loro opzione,
e nessuno di essi è stato mai scontento di aver seguito il suo consiglio.
La direzione spirituale di Don Bosco è tutta illuminata dal « dono del consiglio » che lo abilita a
orientare con sicurezza coloro che a lui si rivolgono.
3. L'intensissimo lavoro che Don Bosco svolge a favore delle vocazioni è sostenuto da un intenso
amore alla Chiesa: egli impegna tutte le sue forze, con totale dedizione, per procurare il suo bene. È
proprio questo amore alla Chiesa che ci permette di comprendere l'importanza che dava all'attività
apostolica di promozione delle vocazioni e la sua insistenza perché tutti concordemente lavorassero
e si impegnassero per procurare alla Chiesa il grande tesoro che rappresentano le vocazioni. Così
era solito dire: « Noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando procuriamo una buona
vocazione; che questa vocazione o questo prete vada in diocesi, nelle missioni o in una casa
religiosa non importa. È sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesù Cristo ».7 La
visione del bene di tutta la Chiesa non lo lascia mai, neppure quando spende le sue forze, il suo
tempo, i mezzi finanziari che gli costano tante fatiche, né quando impiega il suo scarso personale o
le sue Case.
« Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani ... ».8 L'appello di Don Bosco morente può
ritenersi rivolto non solo ai presenti in quel momento nella sua camera, ma a tutta la Famiglia
Salesiana in generale. Un appello che urge ed urgerà sempre, perché i giovani di tutti i tempi hanno
bisogno di « salvezza ».
7 MB XVII, p. 262.
8MB XVIII, p. 530.
Quest'invito Don Bosco morente lo rivolge anche a noi. È un invito a rimboccarci le maniche ed a
lavorare sodo perché attorno a noi sboccino, fioriscano e si consolidino, come già attorno a lui,
numerose e valide vocazioni salesiane. Assumerlo richiede a ciascuno di noi di rinnovare la santa
passione per la salvezza della gioventù che viveva lo stesso Don Bosco; questa passione ci renderà
coraggiosi e ci farà superare il timore di non essere capiti o di essere emarginati o respinti da questo

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nostro mondo secolarizzato e dissacratore, che rifiuta la diversità, sopprime il soprannaturale ed
emargina il credente.
Viviamo, dunque, senza paura uno stile di vita che contesta questo mondo e questa società che non
permette lo sviluppo e la promozione integrale della persona umana; uno stile di vita che stimola a
vivere con gioia ed entusiasmo la propria vocazione ed a proporre a giovani e adulti, uomini e
donne, ragazzi e ragazze, la vocazione salesiana come risposta adeguata di salvezza a questo mondo
di oggi, e come progetto di vita capace di contribuire positivamente al rinnovamento dell'attuale
società. Così si esprime l'articolo 28 delle Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco: « Siamo
convinti che tra i giovani molti sono ricchi di risorse spirituali e presentano germi di vocazione
apostolica.
Li aiutiamo a scoprire, ad accogliere e a maturare il dono della vocazione laicale, consacrata,
sacerdotale, a beneficio di tutta la Chiesa e della Famiglia salesiana ». Questo impegno è stato una
finalità della Congregazione prima persino della sua approvazione9 e oggi acquista un'urgenza e
necessità straordinaria (cf. Cost. 6), come ripetutamente ci ricorda la Chiesa.
9 Anche se manca un articolo sui seminari minori nel primo testo costituzionale esistente, il
manoscritto di Rua del 1858, esso fu introdotto da Don Bosco già nella bozza del 1860. Cf. G.
Bosco, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales [1858] 1875. Edizione critica di
Francesco MOTTO, Roma, LAS, 1982, pp. 76-77.
2. Un'urgenza previa: creare e fomentare una cultura Vocazionale l0
« È necessario promuovere una cultura vocazionale che sappia riconoscere e accogliere
quell'aspirazione profonda dell'uomo che lo porta a scoprire che solo Cristo può dirgli tutta la verità
sulla sua vita ».'1 Parlare di cultura vocazionale, come per primo ha fatto Giovanni Paolo II, è oggi
non solo pertinente, ma pure urgente. Notiamo infatti che, a volte, c'è una frattura tra i gesti di
persone, anche generose e bene ispirate, e la mentalità collettiva, tra iniziative personali ed
espressioni sociali, tra la prassi e i suoi fondamenti. Così in Congregazione, come nella Famiglia
Salesiana, notiamo che ci può essere un certo lavoro vocazionale da parte di singoli, cosiddetti
delegati per le vocazioni, ma nello stesso tempo, nelle comunità o nei gruppi si percepisce che non
esiste una vera cultura vocazionale.
La cultura infatti richiama non a gesti singoli, pur numerosi, ma ad una mentalità e ad un
atteggiamento condiviso da un gruppo; riguarda non solo intenzioni e propositi privati, ma impiego
sistematico e razionale delle energie di cui dispone la comunità. I contenuti di una cultura
vocazionale, così intesa, riguardano tre aree: quella antropologica, quella educativa e quella
pastorale. La prima si riferisce al modo di concepire e presentare la persona umana come vocazione;
la seconda mira a favorire una proposta di valori congeniale alla vocazione; la terza fa attenzione al
rapporto tra vocazione e cultura obiettiva e ne ricava conclusioni per il lavoro vocazionale.
10 questa sezione prendo liberamente la voce « Cultura della Vocazione », di don Juan E. Vecchi,
in Dizionario della Pastorale Vocazionale, Libreria Editrice Rogate, Roma 2002, pp. 370-382
" GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXX Giornata di Preghiera per le vocazioni (8
settembre 1992).
La vita è vocazione
Sappiamo che a tutti gli interventi educativi e pastorali soggiace un'immagine dell'uomo, spontanea
o riflessa. Il cristiano la va elaborando col vissuto, con lo sforzo razionale di capirne il senso e con
l'illuminazione della fede. I tre elementi vissuto personale, ricerca di senso e discernimento dalla
fede sono indispensabili e collegati fra loro. La rivelazione non va intesa come una
sovrapposizione esterna all'esperienza ed alla sua comprensione umana, ma proprio come uno
svelamento del suo senso più profondo e definitivo. Bisogna dunque in primo luogo superare un
modo di pensare e di parlare della vocazione quasi fosse un surplus, uno stimolo soltanto per alcuni,
un fatto funzionale al reclutamento per qualche stato di vita, piuttosto che un riferimento sostanziale
alla realizzazione stessa della persona. La crisi delle vocazioni infatti può essere dovuta anche allo
stile di vita che esse presentano. Ma più in profondità si deve a una visione dell'esistenza umana in

1.7 Page 7

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cui la dimensione di « appello », cioè di doversi realizzare in ascolto di un altro e in dialogo con lui,
non solo è esclusa di fatto, ma non può nemmeno venir inserita in maniera significativa. Ciò
avviene nelle visioni dell'uomo che mettono la soddisfazione dei bisogni dell'individuo al di sopra
di tutto, proponendo l'autorealizzazione come unica meta dell'esistenza o concependo la libertà
come pura autonomia. Tali sensibilità sono oggi diffuse, esercitano un certo fascino e anche quando
non vengono assunte in maniera integrale, conformano i messaggi della comunicazione e
influiscono sugli indirizzi educatiVi.
Un primo compito della cultura vocazionale è, allora, di elaborare e diffondere una visione
dell'esistenza umana concepita come « appello e risposta », quale considerazione conclusiva di una
fondata riflessione antropologica. Verso tale conclusione portano l'esperienza del rapporto,
l'esigenza etica che ne consegue, gli interrogativi esistenziali. Sono quindi queste le vie da
percorrere per individuare alcuni contenuti della cultura vocazionale che ci preoccupa. La persona
ha coscienza della propria singolarità. Comprende che la sua esistenza è esclusiva, qualitativamente
diversa da altre, irriducibile al mondo. Le appartiene totalmente ma ha le caratteristiche di un dono,
un fatto precedente ad ogni desiderio o sforzo.
Aperta agli altri e a Dio
Allo stesso tempo l'uomo avverte di essere parte di una rete di rapporti, non opzionali o secondari,
tra i quali quello con le altre persone
è immediatamente evidente e occupa un posto privilegiato. La prima cosa che la persona percepisce
non è l'io con le sue potenzialità, ma l'interdipendenza con gli altri che richiedono di essere accettati
nella loro realtà obiettiva e riconosciuti nella loro dignità. In questa ottica la responsabilità appare
come capacità di percepire segnali che provengono dagli altri e darvi delle risposte. Si tratta di un
appello etico perché comporta delle esigenze di responsabilità e di impegno. L'uomo si sveglia
all'esistenza personale quando gli altri cessano di essere visti soltanto come mezzi di cui servirsi.
Una cultura vocazionale deve prevenire il giovane da una concezione soggettivistica che fa
dell'individuo centro e misura di se stesso, che concepisce la realizzazione personale come difesa e
promozione di sé, piuttosto che come apertura e donazione. E così pure da quelle concezioni che nel
rapporto intersoggettivo rimangono imprigionate nel solo compiacimento, senza vederne il carattere
etico. L'esperienza relazionale e la sua componente etica orientano già verso il Trascendente, perché
in essi appare qualcosa di incondizionato e immateriale. Infatti, gli altri non richiedono solo di
venire loro incontro con oggetti e strutture o di interagire con loro attraverso riflessi istintivi. Essi
chiedono il riconoscimento del mistero della loro persona e postulano dunque rispetto, gratuità,
amore, promozione di valori morali e spirituali.
Ma il richiamo alla trascendenza diventa più evidente quando la persona è capace di aprirsi agli
interrogativi fondamentali dell'esistenza e ne coglie la densità reale. Appare allora la sua apertura
all'Oltre, già intravisto nelle sue realizzazioni positive e nei suoi limiti. Capisce che non può
fermarsi a ciò che le è immediatamente percepibile né circoscriversi all'oggi. La persona è un
mistero infinito che solo Dio può spiegare e solo Cristo può appagare. Perciò è naturalmente spinta
a cercare il senso della vita e a proiettarsi nella storia. Deve decidere il suo orientamento a lungo
termine, avendo di fronte diverse alternative. E non può percorrere la propria vita due volte: deve
scommettere! Nei valori che predilige e nelle scelte che fa si gioca il suo successo o il suo
fallimento come progetto, la qualità e la salvezza della sua vita. Gesù lo esprime in forma molto
chiara: « Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e
del Vangelo,
la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?
» (Mc 8,35-36). Compito di una cultura vocazionale è di sensibilizzare all'ascolto di tali
interrogativi, abilitare ad approfondirli. Compito di una cultura vocazionale è pure promuovere la
crescita e le scelte di una persona in relazione al Bonum, al Verum, al Pulchrum, nell'accoglienza
dei quali consiste la sua pienezza.

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Vissuta come dono e come compito
Tutto questo richiede un approfondimento della vocazione come definizione che la persona dà alla
propria esistenza, percepita come dono e appello, guidata dalla responsabilità, progettata con libertà.
Il filone più fecondo per scoprire tale fondamento è la Scrittura, letta come svelamento del senso
della vita dell'uomo. Nella Scrittura l'essere e i rapporti costitutivi della persona vengono definiti
dalla sua condizione di creatura, il che non indica inferiorità o dipendenza, ma amore gratuito e
creativo da parte di Dio.
L'uomo non ha in sé la ragione della propria esistenza né della propria realizzazione. La deve a un
dono e lo gode rendendosene respon-s`abile. Il dono della vita contiene un progetto; questo si va
svelando nel dialogo con sé, con la storia, con Dio ed esige una risposta personale. Ciò definisce la
collocazione dell'uomo rispetto al mondo e a tutti gli esseri che lo compongono. Questi non possono
colmare 'i suoi desideri e quindi l'uomo non è loro sottomesso.
Un esempio tipico di questa struttura della vita è l'alleanza tra Dio e il suo popolo come viene
presentata nella Bibbia. Essa è elezione gratuita da parte di Dio. L'uomo deve prenderne coscienza
ed assumerla come progetto di vita, guidato dalla Parola che lo interpella e lo pone nella necessità di
scegliere. In Cristo la verità sull'uomo, che la ragione coglie vagamente e che la Bibbia svela, trova
la sua illuminazione totale. Cristo, con le sue parole ma soprattutto in forza della sua esistenza
umano-divina, in cui si manifesta la coscienza di Figlio di Dio, apre la persona alla piena
comprensione di sé e del proprio destino. In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali
nella storia.
La vocazione cristiana non è una aggiunta di lusso, un complemento estrinseco per la realizzazione
dell'uomo. È invece il suo puro e semplice compimento, l'indispensabile condizione di autenticità e
pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di cui è sostanziata la sua stessa
struttura creaturale. Allo stesso modo l'inserirsi nella dinamica del Regno, a cui Gesù invita i
discepoli, è l'unica forma di esistenza che risponde al destino dell'uomo in questo mondo e oltre. La
vita si svolge così interamente come dono, appello e progetto.
Il prendere tutto ciò come base e ispirazione dell'azione, il diffonderlo in modo che diventi
mentalità della comunità educativa pastorale e particolarmente degli operatori vocazionali con le
relative conseguenze educative e pratiche costituisce la « cultura » di cui la pastorale ha urgente
bisogno.
Ecco gli atteggiamenti di fondo che danno vita ad una cultura vocazionale e che noi vorremmo
privilegiare:
La ricerca di senso. Il senso è la comprensione delle finalità immediate, a medio termine e
soprattutto ultime degli eventi e delle cose. Il senso è pure intuizione del rapporto che realtà ed
eventi hanno con l'uomo e con il suo bene. La maturazione del senso comporta esercizio della
ragione, sforzo di esplorazione, atteggiamento di contemplazione e interiorità. Lo si va scoprendo
in diversi ambiti: nella propria esperienza, nella storia, nella Parola di Dio. Tutto converge verso una
saggezza personale e comunitaria che si esprime nella fiducia e speranza di fronte alla vita. « Del
resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio » (Rm 8,28).
I tempi di maturazione del senso possono essere lunghi. Importante è non rinunciare e non chiudersi
di fronte alla prospettiva di ulteriori e più ricche scoperte. La cultura contemporanea è percorsa da
correnti che ignorano, quando non negano, ogni senso che trascenda l'esperienza immediata e
soggettiva. Porta così ad una visione frammentata della realtà, che rende la persona incapace di
padroneggiare i mille eventi del quotidiano, di andare al di là di quello che è epidermico o
sensazionale. La maturità culturale comporta una sintesi, un quadro di riferimento al di là delle
conoscenze singole, per riuscire ad orientarsi e non rimanere imprigionati dai fatti. La qualità della
vita decade quando non è sostenuta da una certa visione del mondo. E con la qualità cadono le
ragioni per impegnarla a servizio di cause nobili.

1.9 Page 9

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Apertura alla trascendenza, all'oltre umano, all'accettazione del limite, all'accoglienza del mistero,
l'accoglienza del sacro nei suoi aspetti soggettivi e oggettivi, alla riflessione e alla scelta religiosa.
È questo un orizzonte che appare in tutte le attività dell'uomo fino ad esserne una dimensione
costitutiva: nell'esercizio della sua intelligenza, nella tensione della sua volontà, negli aneliti del
cuore, nella dinamica dei suoi rapporti, nella realizzazione delle sue imprese. L'esistenza dell'uomo
è aperta sull'infinito e così è la percezione che egli ha della realtà. Ci sono oggi indirizzi culturali
che, consapevolmente o meno, portano a chiudersi negli orizzonti « razionali » e temporali e
rendono incapaci di accogliere la propria vita come mistero e dono. Prendere in considerazione la
trascendenza vuol dire accettare interrogativi, andare oltre il visibile e il razionale. Le esperienze, i
bisogni, le percezioni immediate possono essere punti di partenza per aprisi a valori, esigenze e
verità ulteriori e più esigenti, che non vanno sentiti come negazione delle proprie pulsioni, ma come
liberazione e compimento di esse. Come rivelò Gesù alla donna samaritanta: « Se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe
dato acqua viva » (Gv 4, 10).
Una mentalità « etica »,capace di discernere tra il bene e il male e saper orientarsi al bene. Tale
cultura è illuminata dalla coscienza morale, centrata sui valori piuttosto che sui mezzi, e assume
come punto fondante il primato alla persona. La cultura porta sempre al suo interno una spinta
etica ed è in se stessa un valore morale, perché persegue la qualità umana del
singolo e della comunità. Ma su di essa si ripercuotono i limiti dell'uomo.
Alcune delle sue tendenze e realizzazioni, quando non interi suoi sistemi, appaiono sotto il segno
dell'ambiguità morale. E ciò nelle due dimensioni, oggettiva e soggettiva. Il fatto diventa grave
quando nel dinamismo medesimo di elaborazione della cultura, il criterio etico sparisce o viene
subordinato ad altri. Perde allora ogni incidenza il riferimento al bene e al male, e prevalgono altre
istanze, come l'utilità, il piacere, il potere. Il linguaggio, nell'ultimo tempo, ha coniato una serie di
espressioni che evidenziano sotto forma di polarità il primato o l'assenza di un riferimento etico
valido nell'evolversi della cultura: cultura dell'essere e dell'avere, della vita e della morte, della
persona e delle cose. Sviluppare la cultura con mentalità etica vorrà dire non solo farla crescere
comunque, ma confrontare le sue concezioni e realizzazioni con la coscienza illuminata dalla fede
per purificarla e riscattarla dall'ambiguità e spingerla nella direzione dei valori.
La progettualità. L'apatia di fronte al senso si tramuta spesso in indifferenza verso il futuro. Senza
una visione della storia non appaiono mete appetibili per cui impegnarsi, eccetto quelle che
riguardano il benessere individuale. In periodi precedenti le ideologie, con la loro carica utopica,
spinsero la progettualità sociale ed essa favorì anche la disposizione personale a coinvolgersi in un
progetto storico.
Ci può essere oggi una contrazione del futuro, insieme a una dilatazione del presente, che porta
verso una cultura dell'immediato. I progetti si esauriscono in un tempo breve e si compiono negli
spazi ridotti dell'esperienza individuale. Le stesse iniziative di bene possono ridursi a voler
correggere qualche cosa, ad una ricerca di autorealizzazione soggettiva, ad un entusiasmo effimero.
Progettare vuol dire organizzare le proprie risorse e il proprio tempo in consonanza con le grandi
urgenze della storia e con le domande delle comunità per raggiungere traguardi ideali degni
dell'uomo. Ciò richiede coscienza criti-
ca per difendersi da imperativi apparenti, capacità di discernimento per smascherare pressioni
psicologiche, generosità motivata per andare oltre gli orizzonti immediati.
Impegno per la solidarietà, in opposizione a quella cultura che porta a centrarsi sull'individuo.
Progetti personali genero-

1.10 Page 10

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si possono emergere soltanto lì dove la persona ammette che la sua realizzazione è legata a quella
dei suoi simili. La solidarietà è un'aspirazione diffusa che sale dal profondo delle coscienze, dal
cuore degli avvenimenti storici e si manifesta sotto forme inedite e quasi inattese. Appare come
risposta a macrofenomeni preoccupanti, quali il sottosviluppo, la fame, lo sfruttamento. Ispira
iniziative esemplari come i piani di aiuto, il volontariato e i movimenti di opinioni, che vanno
modificando il rapporto precedente tra persona e società. Tutto questo in ambiti vicini e mondi
lontani. Di conseguenza, mobilita lo spirito di servizio e spinge ad esso.
Ma la cultura della solidarietà è spesso trascurata o viene indebolita da forti correnti economiche e
culturali. Essa suppone una visione del mondo e della persona che consideri l'interdipendenza come
chiave interpretativa dei fenomeni positivi e negativi dell'umanità. Niente ha una sua spiegazione
esauriente o una soluzione ragionevole se viene considerato in forma isolata. Povertà e ricchezza,
denutrizione e spreco sono fenomeni correlati. Tra questi contrasti, funge da mediazione e si
interpone non solo la tenerezza e la compassione, ma la responsabilità umana. La persona non può
essere considerata come un essere che prima si costituisce da se stesso e, solo in un secondo
momento, si orienta verso gli altri. La persona riesce ad essere se stessa soltanto quando assume
solidalmente il destino dei suoi simili.
3. Aspetti che hanno una speciale significatività nell'animazione e nella proposta vocazionale
Promuovere una cultura vocazionale: compito essenziale della Pastorale Giovanile
Tutta la pastorale, e in particolare quella giovanile, è radicalmente vocazionale: la dimensione
vocazionale costituisce il suo principio ispiratore e il suo sbocco naturale. Bisogna, dunque,
abbandonare la concezione riduttiva della pastorale vocazionale, che si preoccupa soltanto della
ricerca di candidati per la vita religiosa o sacerdotale. Al contrario, come detto sopra, la pastorale
vocazionale deve creare le condizioni adeguate perché ogni giovane possa scoprire, assumere e
seguire responsabilmente la propria vocazione.
La prima condizione consiste, sull'esempio di Don Bosco, nella creazione di un ambiente nel quale
si viva e si trasmetta una vera « cultura vocazionale », cioè un modo di concepire e di affrontare la
vita come un dono ricevuto gratuitamente; un dono da condividere al servizio della pienezza della
vita per tutti, superando una mentalità individualista, consumista, relativista e la cultura della
autorealizzazione. Vivere questa cultura vocazionale richiede lo sforzo di sviluppare certi
atteggiamenti e valori, come la promozione e la difesa del valore sacro della vita umana, la fiducia
in sé e nel prossimo, l'interiorità che permette di scoprire in sé e negli altri la presenza e l'azione di
Dio, la disponibilità a sentirsi responsabili ed a lasciarsi coinvolgere per il bene degli altri in
atteggiamento di servizio e di gratuità, il coraggio di sognare e di desiderare in grande, la solidarietà
e la responsabilità verso gli altri, soprattutto i più bisognosi.12 All'interno di questo contesto o
cultura vocazionale la pastorale giovanile deve proporre ai giovani i diversi cammini vocazionali
matrimonio, vita religiosa o consacrata, servizio sacerdotale, impegno sociale ed ecclesiale ed
accompagnarli nel loro impegno di discernimento e di scelta.
12 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXX Giornata Mondiale di preghiera per le
vocazioni (8 settembre 1992).
Ogni comunità educativo-pastorale deve essere consapevole delle caratteristiche del proprio
ambiente culturale e dell'azione educativo-pastorale che sviluppa nel quotidiano lavoro con i
giovani. Tutto ciò nell'intento di promuovere e sviluppare gli elementi tipici di una cultura
vocazionale, che spesso non è accettata dall'ambiente nel quale gli stessi giovani vivono.
Vi indico qui due elementi che possono aiutare lo sviluppo di una cultura vocazionale:
Fare della comunità educativo-pastorale un ambiente di famiglia con testimoni vocazionali
significativi.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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I giovani vivono in un ambiente massificato, nel quale non si sentono riconosciuti né accolti; essi
devono meritarsi e conquistarsi tutto, cosicché i più deboli o i meno preparati restano emarginati e
dimenticati. In tale ambiente risulta quasi impossibile vivere la vita come dono da condividere; essa
piuttosto appare come una lotta per la sussistenza o una corsa per la conquista del benessere e della
realizzazione individuale. Nell'ambiente di famiglia tipicamente salesiano il giovane si sente accolto
e apprezzato gratuitamente; sperimenta rapporti di fiducia con adulti significativi; si sente coinvolto
nella vita di gruppo; sviluppa protagonismo e responsabilità; impara a costruire la comunità
educativa ed a sentirsi corresponsabile del bene comune; trova momenti di riflessione, di dialogo e
di sereno confronto. Questo è l'ambiente migliore per lo sviluppo di una cultura vocazionale.
Assicurare l'orientamento e l'accompagnamento delle persone.
In un ambiente massificato o nel quale i rapporti sono soltanto funzionali sarà molto difficile lo
sviluppo di una visione vocazionale della vita. Infatti tale processo richiede la presenza e la
vicinanza di educatori tra i giovani, soprattutto nei momenti più spontanei e gratuiti; la conoscenza
e l'interesse per la loro vita; la capacità di rapporti personali, anche se puntuali e spontanei;
momenti di dialogo e di riflessione insieme che aiutino a leggere la vita con ottica positiva e
vocazionale; spazi e tempi per incontri più sistematici di accompagnamento personale.
L'educazione all'amore, alla castità
Nell'orientamento e animazione vocazionale ha una grande importanza l'educazione all'amore. È
necessario aiutare l'adolescente a integrare la sua crescita affettivo-sessuale nel processo educativo
ed anche nel cammino di educazione alla fede. Questo affinché possa vivere l'affettività e la
sessualità in armonia con le altre dimensioni fondamentali della sua persona, mantenendo
atteggiamenti di apertura, di servizio e di oblazione.
Oggi l'adolescente deve confrontarsi con un contesto culturale e sociale pan-sessualizzato che
trasmette i suoi continui messaggi nella strada, nella televisione, nel ciberspazio. Si tratta di
suggestioni che spingono ad una pratica sessuale consumista ed orientata alla soddisfazione
immediata del piacere. La tendenza sociale dominante in questo campo è il permissivismo, e i
contenuti appetibili di questo pansessualismo diventano motivo di un triste commercio. Il tutto dà
luogo ad una confusione sul piano dei valori e ad un grande relativismo etico. Accade spesso che si
promuova un uso prematuro della sessualità nelle relazioni di amicizia o nella pura ricerca della
soddisfazione compulsiva del piacere. I giovani scommettono con grande decisione sull'amore,
sfidando pregiudizi e censure, desiderosi di venire incontro ai propri bisogni affettivi e sensibili al
valore di una comunicazione aperta e senza limiti. Ma in questo campo molto spesso non
dispongono di un orientamento e di una guida che li aiuti a comprendere la propria affettività e
sessualità secondo una visione integrale della persona, sviluppando in modo costante e chiaro un
progetto di educazione all'amore che li orienti verso una costruzione armoniosa della personalità e
rendendo possibile una visione della vita come dono e servizio.
Già parecchi anni or sono il CG23 indicava ai Salesiani l'educazione all'amore come uno dei tre
nuclei importanti attorno i quali si rende possibile e si realizza la sintesi fede-vita. Non si tratta,
diceva, « di punti particolari, ma di "spazi" dove si concentra il significato, la forza e la
conflittualità della fede »13
13 Cf. CG23, 181.
Oggi questa importanza è ancora più grande, soprattutto quando si vuole sviluppare con efficacia la
dimensione vocazionale della vita ecreare un ambiente nel quale sia possibile al giovane maturare
un progetto vocazionale, in modo speciale quando si tratta di vocazioni di particolare impegno, che
molte volte includono un'opzione di celibato. Infatti molti giovani si trovano in un ambiente assai
poco favorevole a una visione integrale e positiva dell'amore. E molti di loro vivono deficienze
notevoli che l'educatore deve conoscere per aiutarli a superarle.

2.2 Page 12

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A tanti di loro manca un'esperienza di amore gratuito nella famiglia, nella quale devono sopportare
tensioni e scontri tra i genitori che non raramente finiscono con la scelta della separazione o del
divorzio. La relazione di amicizia che vivono tra di loro è superficiale e tutto questo fa sì che,
invece di resistere alle seducenti proposte dell'ambiente, ne rimangono conquistati. Così, molto
presto, vari di loro si coinvolgono in una relazione di coppia che li chiude agli altri e alla vita del
gruppo. L'urgenza che sentono di vivere una relazione piena con il proprio partner li porta a una
pratica disordinata della sessualità. Certamente in tutto questo incide la mancanza di un vero
percorso di educazione all'amore: il tema si evita o si tratta in modo moralistico e negativo, il che
invece di aiutare suscita il rifiuto dell'adolescente.
Il nostro Sistema Preventivo e lo spirito di famiglia caratteristico4el nostro ambiente possono creare
le condizioni per poter metterlo felicemente in pratica.14
14 Un semplice, ma ancora attuale, itinerario di educazione alla castità è stato prospettato dal
Capitolo Generale 23: cf. CG23, 195-202.
L'educazione alla preghiera
La preghiera è un elemento essenziale e primario nell'orientamentro e nella scelta della vocazione
poiché questa, dono di Dio offerto liberamente all'uomo, può essere scoperta e assunta solo con
l'aiuto della grazia. Quindi una pastorale vocazionale efficace e profonda per i giovani non è
possibile senza introdurli e accompagnarli in una pratica assidua della preghiera.
La prima comunità cristiana aspetta pregando il giorno di Pentecoste, giorno della nascita della
Chiesa evangelizzatrice (At 1,14). Lo stesso Gesù ha pregato prima di eleggere gli apostoli (Lc 6,
12ss) e ha insegnato loro a pregare affinché venga il Regno di Dio (Mt 6,7ss). Il comandamento «
Pregate dunque il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe » (cf. Mt
9,37ss; Lc 10,2) si comprende in tutto il suo valore e la sua urgenza alla luce dell'esempio e degli
insegnamenti di Cristo. La preghiera è il cammino privilegiato e la miglior pastorale vocazionale.
Considerata questa centralità della preghiera nel cammino di fede, è importante aiutare i giovani a
introdursi e iniziarsi in una vera e profonda vita di preghiera: soltanto così potrà maturare in loro
una possibile vocazione di speciale consacrazione.15
15 La promozione delle vocazioni consacrate esige alcune scelte fondamentali, come la preghiera
costante... La preghiera deve essere impegno quotidiano delle comunità e deve coinvolgere giovani,
famiglie, laici, gruppi della Famiglia salesiana » (CG26, 54).
I giovani, oggi, vivono spesso in un ambiente assai poco favorevole alla vita spirituale. Sono
immersi in una cultura del consumismo e del guadagno, del godimento personale e della
soddisfazione immediata dei desideri; la visione superficiale della vita è dominata da criteri etico-
morali soggettivi, molte volte contrastanti e persino contraddittori. L'ambiente in cui si muovono
favorisce un finito di vita agitato, nel quale vivono molteplici esperienze senza poterne approfondire
nessuna. «La crisi della famiglia, la diffusa mentalità relativista e consumista, l'influsso negativo dei
media sulla coscienza e sui comportamenti costituiscono un forte ostacolo alla cultura vocazionale
».16
16 CG26, 57.
D'altro lato, riscontriamo in adolescenti e giovani una ricerca di interiorità, uno sforzo per cogliere
la propria identità ed anche un'apertura e una sincera ricerca di un'esperienza di Trascendenza.
Anche se, molte volte, questo cammino è concepito in maniera soggettiva ed in rispondenza ai
propri bisogni, bisogna dire che esso è una buona opportunità per aiutarli a scoprire il Dio di Gesù.
Si moltiplicano i gruppi e i movimenti che in maniere molto diverse promuovono esperienze di
spiritualità ed i giovani sono largamente presenti in questi gruppi. Basterebbe pensare alla comunità
di Taizé!
Tutto ciò costituisce una condizione favorevole per offrire ai giovani la possibilità di iniziare un
cammino di educazione all'interiorità che li vada conducendo gradualmente a scoprire ed a gustare
la preghiera cristiana, soprattutto in ciò che costituisce la sua originalità e la sua vera ricchezza:
l'incontro con la persona di Gesù che ci rivela l'amore di Dio, che ci invita e ci offre la grazia di una

2.3 Page 13

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relazione personale con Lui. Ecco perché, in un ambiente così profondamente impregnato di
secolarismo e di superficialità, è urgente promuovere questa educazione all'interiorità e offrire ai
nostri giovani una vita spirituale forte e profonda. « Oggi i tempi esigono un più esplicito ritorno
alla preghiera... È una preghiera che vibra in sintonia con il risveglio della fede: essere credenti
impegnati e non solo fedeli abitudinari comporta un dialogo più esplicito, più intenso, più frequente
con il Signore. In un clima di secolarismo si sente una pressante necessità di meditazione e di
approfondimento della fede »17
17 EGIDIO VIGANO, « La nostra preghiera per le vocazioni »,ACG 341(1992) p. 27.
L'educazione alla preghiera deve favorire le condizioni che spingono la persona del giovane ad
assumere un atteggiamento di autenticità. Esse sono: il silenzio, la riflessione, la capacità di leggere
la propria vita, la disponibilità all'ascolto e alla contemplazione, la gratuità e la fiducia. Ad un
giovane che vive nell'agitazione di una vita ricolma di attività non riesce facile creare dentro di sé
tale silenzio e coltivare un cammino di interiorità che lo porti ad un incontro vero con se stesso.
Anche questa sarà una delle mete che bisognerà cercar di raggiungere. Di qui l'importanza di
iniziare i momenti di preghiera con uno spazio di calma, di silenzio, di serenità, che permetta ai
nostri giovani di arrivare a incontrarsi con se stessi e, partendo da questa esperienza, assumere la
propria vita per collocarla davanti al Signore.
Il cuore della preghiera cristiana è l'ascolto della Parola di Dio. Questa deve essere la grande
maestra della preghiera cristiana, che non consiste nel « parlare» a Dio, ma piuttosto nell' «
ascoltarlo » e aprirsi alla sua volontà (cf. Lic 11, 5-8; Mt 6,9ss). « Nei vostri gruppi, carissimi
giovani scriveva Giovanni Paolo II moltiplicate le occasioni di ascolto e di studio della Parola
del Signore, soprattutto mediante la lectio divina: vi scoprirete i segreti del cuore di Cristo e ne
trarrete frutto per il discernimento delle situazioni e la trasformazione della realtà »18 Normalmente
si dovrà iniziare il giovane a questo ascolto, aiutandolo a capire il senso della Parola che ascolta o
legge. Si deve anche riconoscere che la Parola di Dio è efficace in se stessa e, quindi, bisognerà
talvolta lasciarla agire da sola nel cuore dei giovani, senza forzarla troppo con i nostri schemi: molte
volte essa li guiderà da sola verso il dialogo personale con Gesù.
18 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio in occasione della XII Giornata della Gioventù (15 agosto
1996)
Un'altra grande scuola di preghiera è la vita liturgica e sacramentale della Chiesa: bisogna aiutare il
giovane a parteciparvi sempre più coscientemente, comprendendo segni e simboli della liturgia.
Un'educazione alla fede che dimentichi o rimandi l'incontro sacramentale dei giovani con Cristo,
non è la via per trovarlo e ancor meno indicherà la possibilità di seguirlo. « I giovani, come noi,
trovano Gesù nella comunità ecclesiale. Nella vita di questa però ci sono momenti nei quali egli si
rivela e si comunica in modo singolare: sono i sacramenti, in particolare la Riconciliazione e
l'Eucaristia. Senza l'esperienza che sta in essi, la conoscenza di Gesù diventa inadeguata e scarsa,
fino al punto di non consentire di distinguerlo tra gli uomini come il risorto Salvatore... A ragione si
dice che i sacramenti sono memoria vera di Gesù: di quello che egli compì e opera ancora oggi per
noi, di quello che significa per la nostra vita; riaccendono quindi la nostra fede in lui, per cui lo
vediamo meglio nella nostra esistenza e negli avvenimenti.
Sono pure rivelazione di quello che sembra nascosto nelle pieghe della nostra esistenza, per cui ne
prendiamo coscienza... Nella Riconciliazione ci si aprono gli occhi e vediamo quello che possiamo
diventare secondo il progetto e il desiderio di Dio; ci viene ridato lo Spirito che ci purifica e
rinnova. Si è detto che è il sacramento del nostro futuro di figli, anziché del nostro passato di
peccatori. Nell'Eucaristia Cristo ci incorpora alla sua offerta al Padre e rafforza la nostra donazione
agli uomini. Ci ispira il desiderio e ci dà la speranza che entrambi, amore al Padre e amore ai
fratelli, divengano una grazia per tutti e per tutto: annunziamo la sua morte, proclamiamo la sua
risurrezione, vieni Signore Gesù ».19
19 JUAN E. VECCHI, « Lo riconobbero nello spezzare il pane », NPG 1997, n. 8 (novembre) pp.
3-4.
Tra i molti cammini di iniziazione alla preghiera, la Spiritualità Giovanile Salesiana offre la sua

2.4 Page 14

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grande ricchezza e uno stile specifico di vita spirituale, con uno stile caratteristico di preghiera e
una forma attuale di organizzare la vita attorno ad alcune percezioni di fede, opzioni di valori e
atteggiamenti. In essa si ritrovano certe caratteristiche proprie della preghiera salesiana: è una
preghiera semplice, senza inutili complicazioni, inserita nella vita di ogni giorno, che si presenta e si
offre al Signore; una preghiera ricolma di speranza, che promuove una visione pasquale della vita,
in dialogo personale con il Signore Risorto, vivo e presente tra noi; una preghiera che porta alla
celebrazione dei sacramenti, soprattutto dell'Eucaristia in cui si vive l'incontro personale con Gesù;
una preghiera che aiuta a scoprire la presenza di Gesù in ogni giovane, specialmente nei più poveri,
e spinge a impegnarsi nella loro educazione ed evangelizzazione.
È importante, dunque, essere attenti a queste caratteristiche nel nostro cammino di educazione alla
preghiera, per aiutare il giovane a viverle e in questo modo introdurlo nella Spiritualità Giovanile
Salesiana: è un cammino di vita cristiana che può portare anche adolescenti e giovani alla grande
meta della santità.2°
20 Cf. CG23, 158ss e particolarmente 173-177.
Dobbiamo esserne certi: solo con una vita di preghiera sempre più centrata in Cristo il giovane potrà
chiarire e consolidare la propria scelta vocazionale, soprattutto se si tratta di una vocazione di
consacrazione speciale.
L'accompagnamento personale
Un altro elemento fondamentale nella pastorale vocazionale è l'accompagnamento personale
regolare del giovane. Esso dovrà essere rispettoso, con una giusta comprensione della maturità e del
cammino spirituale della persona che si accompagna. Un accompagnamento che aiuti a
interiorizzare e personalizzare le esperienze vissute e le proposte ricevute; che stimoli e guidi
nell'iniziazione alla preghiera personale e alla celebrazione dei sacramenti; che orienti verso un
progetto personale di vita come strumento concreto di discernimento e maturazione vocazionale. La
grazia dello Spirito che opera nel cuore delle persone ha bisogno della collaborazione della
comunità e di un maestro spirituale. Per questo accanto a ogni santo esiste un maestro di spirito che
lo accompagna e lo guida.
L'accompagnamento è ancora più importante nel sistema educativo salesiano, che si fonda sulla
presenza dell'educatore tra i giovani e su una relazione personale basata sulla mutua conoscenza,
sulla comprensione e la fiducia.
Quando parliamo di accompagnamento, non ci riferiamo soltanto al dialogo individuale, ma a tutto
un insieme di relazioni personali che aiutano il giovane ad assimilare personalmente i valori e le
esperienze vissute, ad adeguare le proposte generali alla propria situazione concreta, a chiarire ed
approfondire motivazioni e criteri.
Questo processo include esperienze e livelli successivi promossi dalla comunità salesiana per
assicurare un ambiente educativo, capace di favorire la personalizzazione e la crescita vocazionale.
A titolo di esempio:
la presenza tra i giovani, con la volontà di conoscerli e di condividere la vita con loro, con un
atteggiamento di fiducia;
la promozione di gruppi, dove i giovani sono seguiti dall'animatore e dagli stessi compagni;
contatti brevi, occasionali, che mostrano l'interesse per la persona e il suo mondo; e, al tempo
stesso, un'attenzione educativa a certi momenti di speciale significatività per il giovane;
momenti di dialogo personale brevi, frequenti, sistematici, secondo un piano concreto;
il contatto con la comunità salesiana, con esperienze di condivisione della vita di preghiera, di
fraternità e di apostolato,
l'offerta frequente del sacramento della Riconciliazione: l'intervento attento e amichevole del
confessore risulta sovente decisivo per orientare un giovane nella sua opzione vocazionale.

2.5 Page 15

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Nella pratica dell'accompagnamento, soprattutto nel dialogo personale, conviene assicurare poi
l'attenzione su alcuni punti fondamentali per la crescita umana e cristiana del giovane e il
discernimento dei segni di vocazione. In particolare, eccone alcuni:
Educare alla conoscenza di sé, per scoprire i valori e le qualità che il Signore ha donato a ciascuno,
ma anche i limiti o le ambivalenze nel proprio modo di vivere o pensare. Quanti giovani non hanno
accolto l'appello vocazionale, non perché fossero poco generosi o indifferenti, ma semplicemente
perché non sono stati aiutati a conoscersi e a scoprire la radice ambivalente e pagana di certi
schemi mentali e affettivi, o perché non sono stati aiutati a liberarsi dalle loro paure e difese nei
confronti della vocazione stessa.
Maturare il riconoscimento di Gesù, come il Signore Risorto e come senso supremo della propria
esistenza. Le motivazioni vocazionali devono fondarsi nella riconoscenza all'iniziativa di Dio che ci
ha amati per primo. Come spiegava il Papa Benedetto XVI ai giovani di Roma e del Lazio: « Il Signore
è sempre presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo
sguardo e incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare
esperienza del suo amore è conoscerlo... Per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di
Gesù, Dio e uomo, ci vuole la ragione, ma nello stesso tempo anche il cuore. Solo con l'apertura del
cuore a lui, solo con la conoscenza dell'insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il
nostro amore, con il nostro andare verso di lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e
così anche fare l'esperienza di essere amati... In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più
questa strada della conoscenza, che diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo
pregare, ma anche fare è una parte del cammino verso Gesù: fare le cose buone, impegnarsi per il
prossimo ».21
21 BENEDETTO XVI, Incontro con i giovani di Roma e del Lazio in preparazione alla Giornata
Mondiale della Gioventù, 25 marzo 2010.
Educare a leggere l'esperienza della propria vita e gli avvenimenti della storia come dono di Dio e
come chiamata a mettersi a disposizione della missione per il Regno di Dio. Per questo, aiutare i
giovani ad illuminare la propria esistenza con la Parola di Dio, in un costante riferimento a Gesù
Cristo, sentito come il Signore della vita che propone un progetto particolare per ciascuno di noi. «
La mia vita è voluta da Dio dall'eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me
nella totalità della storia; ha un progetto proprio per me. La mia vita è importante
anche necessaria. L'amore eterno mi ha creato in profondità
mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che la
vita è un dono, che è bene vivere... Quindi c'è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti, che è
identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un progetto
preciso con ogni uomo.... Non "avere" la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me stesso,
ma dare agli altri. Questo è l'essenziale»22
22 Ivi
Approfondire l'assimilazione personale dei valori evangelici come criteri permanenti
che orientano nelle scelte che si fanno nella vita quotidiana. Sarà più facile così
resistere alla tentazione di seguire in faina conformistica quello che fanno tutti.
Come già ho detto prima, un aspetto al quale dobbiamo dare una speciale
attenzione in questo campo, sarà l'educazione all'amore e all'affettività.
Centralità e ruolo della consacrazione religiosa nella missione della Famiglia Salesianas
La missione salesiana è missione educativa (di promozione integrale della persona) e missione di
evangelizzazione dei giovani. Queste due dimensioni della nostra missione salesiana (l'educativa e
l'evangelizzatrice) sono essenziali e devono essere vissute in mutua complementarità e reciproco

2.6 Page 16

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arricchimento.
La Famiglia Salesiana, nel rispetto del carisma dei diversi gruppi che la compongono, è il soggetto
di questa missione e deve curare l'integralità di questa unità organica; per questo è una ricchezza
che in essa siano significativamente presenti le due forme complementari di vivere la vocazione,
quella secolare e quella consacrata, e in esse la laicale e la sacerdotale.
Ma è indispensabile essere consapevoli e mettere in evidenza il valore fondamentale della vita
consacrata nella realizzazione della missione salesiana. « Don Bosco afferma il CG24 ha
voluto persone consacrate al centro della sua opera, orientata alla salvezza dei giovani e alla loro
santità »23
23 CG24, 150.
La forma laicale della vocazione salesiana, nelle sue diverse espressioni all'interno della Famiglia
Salesiana, richiama i valori della creazione e delle realtà secolari, offre una particolare sensibilità
per il mondo del lavoro, pone una specifica attenzione al territorio, sottolinea le esigenze della
professionalità; la laicità nei membri della Famiglia Salesiana, religiosi, consacrati o no, mostra a
tutti come vivere la totale dedizione a Dio per la causa del Regno in questi valori e occupazioni
secolari. L'altra forma è la sacerdotale, che richiama la finalità ultima di tutta l'azione educativa; i
sacerdoti, appartenenti ai diversi gruppi della Famiglia Salesiana, realizzano un sacerdozio
pienamente inserito nell'impegno educativo: offrendo la Parola di Dio non soltanto nella catechesi,
ma anche nel dialogo e azione educativa, costruiscono la comunità cristiana attraverso la
costruzione della comunità educativa.
Si deve ritrovare nella Famiglia Salesiana il valore della consacrazione religiosa. Essa infatti si pone
come un segno necessario che, mentre specifica l'identità di coloro che hanno fatto una scelta totale
nella sequela di Gesù, indica al tempo stesso ai laici che condividono il nostro carisma, che il loro
intervento nella missione non è semplicemente un aiuto complementare, ma piuttosto una
particolare esperienza di Dio, nella condivisione di una stessa spiritualità e di una stessa missione. «
Non c'è speranza per una figura religiosa che non esprima immediatamente, e quasi
emozionalmente, un significato trascendente; che non sia una freccia puntata verso il divino e verso
l'amore al prossimo, che dal divino nasce ».24
24 JUAN E. VECCHI, Beatificazione del Coad. Artemide Zatti: Una novità dirompente, ACG 376
(2001) p. 43.
Non poche volte nella nostra visione della vocazione salesiana e nella sua presentazione diamo
l'impressione di privilegiare gli aspetti funzionali, lasciando in ombra o dando per scontati e per
sottintesi quelli della vita consacrata. « Se si mette tra parentesi la consacrazione religiosa per
ragionare in termini di azioni e di ruoli funzionali, questo non solo confonde i piani, ma altera le
dimensioni.25
25 Ivi
Nel suo specifico compito la Famiglia Salesiana si arricchisce con la presenza significativa e
complementare di sacerdoti, religiosi, consacrati e laici. Insieme configurano una completezza
insolita di energie impiegate per la testimonianza e la missione educativa; le diverse vocazioni
laicali arricchiscono la testimonianza della vita consacrata e la ,funzione animatrice che come tale
essa deve realizzare nella Famiglia e nel Movimento salesiano.
Questo rapporto dunque non si fonda nei ruoli o nelle funzioni diverse che ognuno può realizzare
(molte volte questi ruoli sono gli stessi), ma negli specifici doni vocazionali attraverso i quali
ognuno contribuisce alla comune missione. La consegna della vita deve essere identica perché
totale, non però il modo di consegnarla.
Il Movimento Giovanile Salesiano, luogo vocazionale privilegiato
Il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è una realtà piena di vita, presente nei cinque continenti.
Esso rappresenta un'espressione significativa della forte attrazione che la persona di Don Bosco e il
suo carisma esercitano sui giovani. Nei diversi incontri nazionali e internazionali del MGS si fa
un'esperienza viva e forte di una corrente di comunione che ha la sua sorgente nella persona di Don

2.7 Page 17

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Bosco, nei valori della sua pedagogia e della Spiritualità Giovanile Salesiana.
Questo sviluppo del MGS, con la sua varietà di gruppi e associazioni, con la presenza di numerosi
animatori, la diversità di iniziative e proposte formative, è per noi membri della Famiglia Salesiana
una grazia di Dio e allo stesso tempo una chiamata. Il Signore ci invia tutti questi giovani perché li
aiutiamo nel loro cammino di crescita come persone sino a raggiungere la pienezza della vita
cristiana.
La tendenza associativa, la vita di gruppo, l'ispirazione comunitaria è stata una esperienza quasi
spontanea nella vita di Don Bosco. C'era in lui un'inclinazione naturale alla socialità e all'amicizia.
L'associazionismo giovanile è pertanto un'esigenza indispensabile nella proposta educativa voluta
da Don Bosco. Attraverso una pluralità di gruppi e associazioni giovanili abbiamo la possibilità di
assicurare una presenza educativa di qualità nei nuovi spazi di socializzazione dei giovani. E questa
esperienza diventa significativa nel momento in cui i giovani sono chiamati a comprendere la realtà
ecclesiale e ad impegnarsi in essa come membra vive nel « corpo » della comunità cristiana.
A volte può sembrare che i giovani dei nostri ambienti e di alcuni nostri gruppi siano superficiali,
soprattutto quando si manifestano nel loro stile rumoroso e festivo. In realtà molti di loro sono
profondamente buoni e spirituali. Essi manifestano una grande sete di Dio, di Cristo, di vangelo
vissuto nella semplicità e nella normalità della vita quotidiana. Don Bosco era convinto che una
percentuale elevata dei giovani che il Signore invia alle nostre case ha disposizioni favorevoli per
seguire, se sono motivati e accompagnati convenientemente, una vocazione di impegno speciale.26
Proprio perché vivono spesso in un ambiente poco favorevole al silenzio e all'interiorizzazione,
cercano il nostro aiuto, il nostro sostegno ed il nostro accompagnamento nel cammino di
maturazione della loro vita. La Spiritualità Giovanile Salesiana, lo stile di vita cristiana vissuto da
Don Bosco e dai giovani dell'Oratorio di Valdocco, costituisce allora una risorsa da offrire a questi
giovani.
26 Cf. MB XI, p. 266.
In parecchie parti del mondo molte vocazioni alla vita religiosa o sacerdotale e anche alla vita
laicale impegnata nella Famiglia Salesiana fioriscono nei gruppi e nelle associazioni del MGS,
soprattutto tra gli animatori. È un fatto di cui dobbiamo tenere conto, valorizzando e
accompagnando molto meglio questa esperienza associativa. Forse dovremmo essere più convinti
che i nostri giovani, soprattutto i giovani animatori, hanno il diritto di ricevere da noi uno stimolo
che li induca a pensare alla loro vita e al loro impegno in chiave vocazionale; nel loro
accompagnamento personale dobbiamo proporre con chiarezza la domanda vocazionale e
incoraggiare la loro risposta generosa.
È questo un compito importante e urgente per ogni salesiano e per ogni membro della Famiglia
Salesiana nel suo contatto quotidiano con i giovani dei gruppi e nei diversi impegni di animazione.
Quando ci sia un'occasione propizia e una potenziale disponibilità da parte del giovane, è il
momento per proporre un impegno vocazionale. In questa proposta dobbiamo essere liberi e
coraggiosi, affidandoci all'azione dello Spirito, che sovente ci sorprenderà con la sua azione.
Oggi l'età delle opzioni vocazionali di vita si sta spostando e, anche se il seme si getta nella
preadolescenza o adolescenza, esso matura spesso in momenti successivi, quando i giovani si
trovano nell'università o nelle prime esperienze di lavoro. E importante promuovere proposte e
spazi concreti che ci permettano di accompagnarli in questi momenti decisivi per il loro futuro. Tra
questi giovani dobbiamo curare in modo speciale quelli che sono più vicini a noi, gli animatori, i
volontari, i collaboratori delle nostre opere che condividono generosamente molti aspetti della
missione salesiana, hanno un'autentica volontà di servizio e sono in ricerca di un progetto di vita
significativo. Bisogna assicurare che l'esperienza di animazione o di volontariato li aiuti a impostare
la propria vita secondo una linea di ricerca e di disponibilità vocazionale.
Notiamo come tra i gruppi del MGS si stanno sviluppando in modo mirabile i gruppi del
Volontariato. Questi costituiscono un primo sbocco del cammino formativo precedentemente
compiuto nei gruppi. I giovani, nell'opzione per il volontariato, scoprono uno spazio d'iniziativa e di
servizio che diventa contestazione coraggiosa della mentalità individualista e consumista che insidia

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molte realtà sociali. Allo stesso tempo, li aiuta a maturare una visione vocazionale della vita come
dono e come servizio.
Si deve cogliere questo « segno dei tempi » esplicitandone le molteplici valenze, specie
nell'educazione alla solidarietà e nella ricchezza vocazionale che include.
Don Bosco sapeva impegnare i suoi ragazzi, spesso giovanissimi, in compiti di volontariato quasi
eroici. Basta ricordare i giovani « volontari » all'epoca del colera a Torino. Attraverso questi
impegni di servizio li aiutava a maturare un'opzione vocazionale della vita. Il coinvolgimento
diretto degli stessi giovani nella propria educazione e nella trasformazione dell'ambiente fu per Don
Bosco una delle chiavi fondamentali del suo sistema educativo, oltre ad essere una vera scuola di
cittadinanza e di santità.
Anche noi oggi, attraverso il volontariato, vogliamo riproporre una visione vocazionale della vita,
ispirata al Vangelo vissuto secondo la Spiritualità Giovanile Salesiana. 11/1a volontario/a traduce in
realtà quei valori ed atteggiamenti caratterizzanti una « cultura vocazionale » precedentemente
sottolineati, quali la difesa e la promozione della vita umana, la fiducia in sé e nel prossimo,
l'interiorità che fa scoprire in sé e negli altri la presenza e l'azione di Dio, la disponibilità a sentirsi
responsabile ed a lasciarsi coinvolgere per il bene degli altri in atteggiamento di servizio e di
gratuità. Tali valori vanno coltivati durante la formazione dei volontari e devono ispirare i loro
progetti e il loro modo di servire, in maniera tale che l'esperienza di volontariato conformi la loro
vita come cittadini e come cristiani impegnati e non si riduca ad una esperienza tra le tante vissute
nel tempo della giovinezza.
In questo modo il volontariato diventa una vera scuola di vita; contribuisce ad educare i giovani a
una cultura di solidarietà nei confronti degli altri, soprattutto dei più bisognosi. Fa crescere in loro
lo spirito di accoglienza, l'apertura verso l'altro, e invita quasi naturalmente all'apertura del dono
totale e gratuito di se stessi.
È importante, dunque, promuovere il volontariato nella Famiglia Salesiana. È una proposta che va
conosciuta, valorizzata, accompagnata. Costituisce per se stessa un'esperienza tipica nella quale si
può coltivare adeguatamente una cultura vocazionale.
4. Conclusione. Bellezza e attualità della vocazione salesiana
Nelle mie visite alla Congregazione e ad altri gruppi della Famiglia Salesiana presenti sul territorio
ho potuto constatare l'enorme forza di attrazione e l'entusiasmo che suscita la persona di Don
Bosco, tanto tra i giovani come tra gli adulti, tra la gente semplice, come anche tra autorità, politici,
operatori sociali, nelle differenti culture e anche tra persone di altre religioni. Parlando con molti di
loro, ho potuto cogliere il riconoscimento che manifestano per la presenza e l'opera salesiana. Tutti
si sentono orgogliosi di essere exallievi/e e di aver sperimentato la pedagogia salesiana. Sovente il
ricordo di Don Bosco suscita un grande entusiasmo popolare e mobilita popolazioni intere. Così
accade, per esempio, a Panamà durante la novena e nella festa di Don Bosco. Lo stesso fenomeno lo
stiamo percependo durante il passaggio dell'urna di Don Bosco, che sta viaggiando attraverso i vari
continenti. La sua pedagogia e il suo stile educativo, soprattutto quando è conosciuto e
approfondito, è considerato un tesoro che si deve al tempo stesso far conoscere e conservare. Esso
infatti rappresenta una risposta adeguata alle sfide e alle attese dei giovani di oggi.
Tutto ciò ci incoraggia a vivere con degna fierezza e grata riconoscenza la nostra vocazione,
sentendoci eredi e continuatori di un carisma speciale che Dio ha suscitato per i giovani, soprattutto
i più poveri e a rischio. In questi 150 anni di storia salesiana, a partire dalla fondazione della
Congregazione e della Famiglia Salesiana, vediamo realizzarsi il sogno di Don Bosco, di
coinvolgere un vasto movimento di persone che, condividendo il suo spirito, s'impegnano nella
missione giovanile. Noi tutti siamo parte e prova questo sogno in atto.
Dobbiamo vivere dunque la nostra vocazione salesiana con un grande senso di ringraziamento; e il
primo segno di riconoscenza è la nostra propria fedeltà, vissuta con gioia e luminosa testimonianza.
Dobbiamo parlare della nostra vocazione. Dobbiamo parlare di Don Bosco e della sua missione.
Dobbiamo evidenziare ciò che la Famiglia Salesiana, attraverso i suoi gruppi, ha realizzato e

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realizza nel mondo e incoraggiare tante persone di buona volontà ad offrire non solo la loro
collaborazione ma la loro stessa vita perché la missione salesiana possa continuare nel mondo a
favore dei giovani tanto amati da Dio.
Tutti noi possiamo conoscere e ricordare fratelli e sorelle, comunità e gruppi che hanno vissuto e
vivono la loro vocazione in modo ammirevole e attirante. Le loro vite suscitano la stima ed il
coinvolgimento di molte persone. Penso in questo momento alla figura di Don Cimatti che con la
sua simpatia, amabilità e il suo talento musicale fece conoscere e apprezzare Don Bosco e la sua
opera nel Giappone, suscitando numerose vocazioni; o la figura di Don Carrefio che nell'India,
insieme ad altri grandi missionari, ha fatto conoscere ed amare la vocazione salesiana, coinvolgendo
moltissimi giovani e attivando un movimento vocazionale di cui ancor oggi raccogliamo frutti
abbondanti. Ricordo anche la Beata Suor Maria Romero, instancabile donna apostolica in Costa
Rica, o la irradiante figura di Suor Eusebia Palomino, o quella del Cooperatore Salesiano Attilio
Giordani, o quella dell'exallievo Alberto Marvelli, o quella di Alessandrina da Costa, o quella di
Nino Baglieri.
Anche in situazioni molto difficili, come quelle dei paesi comunisti, i membri della Famiglia
Salesiana non si sono lasciati spaventare e scoraggiare dagli ostacoli e non si sono ritirati,
aspettando tempi migliori, ma hanno cercato di vivere fedelmente la loro vocazione, aiutandosi
vicendevolmente ad essere perseveranti in situazioni pressoché impossibili e dando luogo a forme
originali e creative per attuare, nella clandestinità, un lavoro pastorale secondo lo spirito salesiano.
In questo modo anche in quelle circostanze tanto avverse, sono stati in grado di suscitare numerose
vocazioni alla vita religiosa e alla Famiglia Salesiana.
Sono sicuro che ognuno di voi, nei diversi gruppi e nelle congregazioni e istituti della Famiglia
Salesiana, ha conosciuto fratelli o sorelle attorno ai quali si sono sviluppate numerose vocazioni alla
vita religiosa. Altri avranno promosso l'impegno per la missione di Don Bosco di numerosi laici.
Tale forza di animazione ha una sua sorgente nella persona del nostro grande Padre Don Bosco.
Ancor oggi, ogni volta che i laici nostri collaboratori conoscono bene la figura di Don Bosco e il
suo Sistema Educativo e la sua Spiritualità, ne restano profondamente entusiasmati e sentono il
desiderio di farlo conoscere ad altri.
Dobbiamo dunque essere fieri della nostra vocazione salesiana; conoscere sempre più Don Bosco e,
soprattutto, vivere e comunicare con entusiasmo il suo spirito e la missione salesiana. Come segno
di gratitudine per il dono della vocazione salesiana ricevuta, ci impegniamo a farla conoscere a tutti,
soprattutto ai giovani. Ne parleremo, ogni volta che sia possibile, ai nostri collaboratori e agli amici
che entrano in contatto con noi. La nostra vita, il nostro entusiasmo, la nostra fedeltà
manifesteranno pienamente che crediamo nella bellezza e nel valore della vocazione che abbiamo
ricevuta. Crediamo nella sua attualità e la viviamo intensamente per rispondere con gioia ai bisogni
e alle attese dei giovani e della società di oggi.
Il Signore Gesù e Maria Ausiliatrice ci hanno affidato questo dono prezioso per la salvezza dei
giovani. È un dono che custodiamo con amore, che viviamo con intensità, che comunichiamo con
gioia.
Concludo, come al solito, con una favola che mi sembra molto stimolante per la riflessione che ci
propone sul tema della sequela, del cammino, della opzione fondamentale della vita e del Signore,
come unico sommo bene e vera perla preziosa, per la quale vale la pena di vendere ogni cosa. Sono
elementi tutti che hanno a che vedere con la concezione della vita come vocazione.
LA CAROVANA NEL DESERTO
Nel lontano Oriente, viveva un imperatore ricco e potente. In tutte le corti del mondo si tessevano le
lodi del suo regno, dei suoi palazzi, della sua saggezza. Ma i giullari e i cantastorie che
peregrinavano di castello in castello decantavano soprattutto le sue immense ricchezze.
«Solo i gioielli del suo diadema farebbero vivere una città!», declamavano.
Come sempre succede, tutto questo fomentò l'invidia e la cupidigia di altri re e di altri popoli.
Alcune tribù di barbari feroci e violenti si ammassarono ai confini e invasero il regno.

2.10 Page 20

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Nessuno riusciva a fermarli.
L'imperatore decise di rifugiarsi tra le fedeli tribù che vivevano tra le montagne, al di là del terribile
deserto.
Una notte, lasciò il palazzo imperiale seguito da un'agile carovana che trasportava il suo favoloso
tesoro di piastre d'oro, gioielli e pietre preziose. Per rendere la marcia più spedita, lo
accompagnavano soltanto le sue guardie scelte e i paggi, che gli avevano giurato fedeltà assoluta
fino alla morte.
La pista attraverso il deserto serpeggiava tra dune di sabbia bruciate dal sole, strettoie anguste e
valichi scoscesi. Una pista conosciuta da pochi. A metà del cammino, mentre si arrampicavano per
un pendio ghiaioso, sfiniti dalla fatica e dall'infuocato riverbero delle rocce, alcuni cammelli della
carovana crollarono boccheggianti e non si rialzarono più. I forzieri che trasportavano rotolarono
per i fianchi della duna, si sfasciarono e sparsero tutto il loro contenuto di monete, monili e pietre
preziose, che si infilarono tra i sassi e nella sabbia.
Il sovrano non poteva rallentare la marcia. I nemici si erano probabilmente già accorti della sua
fuga.
Con un gesto tra il dispiaciuto e il generoso, invitò i suoi paggi e le guardie a tenersi le pietre
preziose che riuscivano a raccogliere e portare con sé. Una manciata di quei preziosi oggetti
assicurava la ricchezza per il resto della vita.
Mentre i giovani si buttavano avidamente sul ricco bottino e frugavano affannosamente nella sabbia
e tra le pietre, il sovrano continuò il suo viaggio nel deserto.
Si accorse però che qualcuno continuava a camminare dietro di lui.
Si voltò e vide che era uno dei suoi paggi, che lo seguiva ansimante e sudato.
«E tu» gli chiese «non ti sei fermato a raccogliere niente?».
Il giovane lo fissò con uno sguardo sereno, colmo di dignità e di fierezza, e rispose:
«No, signore. Io seguo il mio re».
Il racconto ci porta alla memoria quel brano decisivo del Vangelo di Giovanni, che è uno
spartiacque nella storia di Gesù:
«Molti discepoli di Gesù tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai
Dodici: « Volete andarvene anche voi? ».
Gli rispose Simon Pietro: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole che di vita eterna, e noi
abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6,66-69).
Una scelta così impegnativa di consegnare la propria vita nelle mani di Dio è solo possibile se,
come scrive Madeleine Delbrél, siamo capaci di ballare lasciandoci guidare dallo Spirito Santo.
45
La Danza della Vita
«Per essere un buon danzatore, con Te come con gli altri, non occorre sapere dove conduca la
danza. Basta seguire il passo, essere contento, essere leggero, e soprattutto non essere rigido. Non
occorre chiederti spiegazioni sui passi che ti piace fare. Bisogna essere come il prolungamento,
agile e vivo, di Te. E ricevere da Te la trasmissione del ritmo dell'orchestra.
Bisogna non volere avanzare ad ogni costo, ma accettare di voltarsi indietro, di procedere di
fianco. Bisogna sapersi fermare e saper scivolare, anziché camminare. E questi sarebbero soltanto
passi da stupidi, se la musica non ne facesse un'armonia. Noi però dimentichiamo la musica del
Tuo Spirito, e facciamo della vita un esercizio di ginnastica; dimentichiamo che fra le Tue braccia
la vita è danza e che la Tua santa volontà è di un'inconcepibile fantasia.
Se fossimo contenti di Te, Signore, non potremmo resistere al bisogno di danza che dilaga nel
mondo, e arriveremmo a indovinare quale danza Ti piace farci danzare, sposando í passi della Tua
Provvidenza ».
Cari fratelli e sorelle, auguro a tutti voi questa esaltante esperienza di lasciarvi condurre dallo
Spirito. La nostra vita si riempierà di gioia e di entusiasmo e allora potremo diventare, come

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3.1 Page 21

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Giovanni il Battista, maestri che sanno aiutare i propri discepoli a diventare discepoli e apostoli del
Signore Gesù.
Un abbraccio forte ed un anno 2011 sereno e abbondante di vocazioni per tutta la Famiglia
Salesiana.
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA
Rettor Maggiore