Strenna_1982_it


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STRENNA 1982
Lavoro e temperanza
siano per noi alla scuola di don Bosco
testimonianza ascetica di caritó pastorale
contestatrice di un mondo
che promuove il dissidio tra amore e sacrificio

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CONTENUTO
I ntroduzione.
Un augurio alle Capitolari.
Lavoro e Temperanza: stemma della nostra « indole propria»
nella Chiesa.
Appello profetico nell'odierna svolta culturale.
Il lavoro: « estasi dell'azione ».
La temperanza: « uno stile di vita».
Rilettura teologale di questa nostra spiritualita.
Commento del Rettor Maggiore, don Egidio Viganó,
secondo fedele registrazione e una sua revisione.
Roma, Casa Generalizia FMA - 31 dicembre 1981

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Incominciamo leggendo il testo della Strenna:
« Lavoro e temperanza siano per noi alla scuola di don
Bosco testimonianza ascetica di carita pastorale con-
testatrice di un mondo che promuove il dissidio tra
amore e sacrificio ».
INTRODUZIONE
Per un commento a questa Strenna sorge per me una dif-
ficolta: sul tema « lavoro e temperanza » ho gia parlato in
settembre alle Capitolari almeno per un paio d'ore... e non
vorrei ripetermi. Se no, si puo pensare: « Ma sano quelle li
le riflessioni che sa fare su quel tema? Nient'altro? ». Potreb-
be derivarne una delusione.
Cerchero, dunque, altri aspetti, che suppongono quanta
gia detto allora. Offro <legli spunti intorno a quattro « temi
generatori » di idee (come si dice adesso). Il resto le mette-
rete insieme voi pensandoci su.
Prima, pero, sento la necessita di dare una lode e un plau-
so alle infaticabili e ingegnose Capitolari.
UN AUGURIO ALLE CAPITOLARI
Io sano ancora, e anche voi, sotto la grata impressione del-
l'atto musicale teste realizzato, la « Cantata » cilena che avete
eseguito in onore di madre Mazzarello alla chiusura (proprio
l'ultimo giorno!) di quest'Anno Centenario. Una musica ma-
gnifica, con un caratteristico sapore latino-americano... con
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parole poetiche, penetranti, espressive; con soliste e voci...
da «opera»; con un coro impeccabile! Abbiamo gioito e pen-
sato insieme con profonda gratitudine a madre Mazzarello e
alle origini.
A me, poi, la « Cantata » ha fatto venire in mente anche un
altro bel pensiero, che si traduce in un voto cordiale: Ma
guarda un po' - mi sono detto - queste Capitolari come si
sanno mettere d'accordo! e fare armonia! e cantare insieme
tanto bene! e realizzare... uno spettacolo artistico per tutto
l' Istituto! Brave!! Auguri! !...
Ma torniamo alla Strenna.
LAVORO E TEMPERANZA:
STEMMA DELLA NOSTRA « INDOLE PROPRIA» NELLA CHIESA
Il primo « tema generatore » intorno a cui riflettere e l'af-
fermazione che Lavoro e Temperanza costituiscono una sin-
tesi pratica di tutto lo spirito salesiano.
Don Bosco ci ha lasciato proprio questa motto « LAVORO
E TEMPERANZA » come lo « stemma» della nostra spiritualita;
e il metro della nostra fedelta e anche della nostra crescita e
della nostra fecondita spirituale.
Il famoso sogno del « personaggio » <lai dieci diamanti,
cosl. come l'abbiamo meditato, ci presenta sulle spalle del
manto, quasi a sostenere tutti gli altri diamanti, appunto que-
sti due : il lavoro e la temperanza! In essi si deve vedere la
concretizzazione vissuta, la prassi quotidiana dei valori e del-
le esigenze degli altri diamanti. Quando ci si domanda come
vive il salesiano la fede, la speranza, la carita, come vive l'ob-
bedienza, la castita, la poverta, la mortificazione, ecc., ossia
tutti gli atteggiamenti spirituali simboleggiati dai diamanti,
ecco qual e la risposta: li realizza attraverso un vissuto quo-
tidiano di « lavoro e temperanza »; questo e, in compendia,
il nostro stile di santita.
~ una sintesi della nostra prassi, ossia della nostra vita
concreta, <love confluiscono e crescono tutte le virtu della
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spiritualita salesiana di don Bosco. E lo stemma della nostra
scuola di spiritualita. Scrivendo a voi FMA per il Centenario
della morte di madre Mazzarello, ho parlato della « scuola »
spirituale di don Bosco. Quando noi studiavamo teologia
- anni fa, quando eravamo un po' piu giovani di adesso... -
sentivamo dire che i « capiscuola » delle grandi correnti spi-
rituali sono assai pochi; dei santi straordinari; e gli studiosi
di allora non catalogavano don Bosco in quella importante
lista. Passati « alcuni » anni - mettiamo trenta o quaranta,
non di piu!... - noi vediamo invece con sempre maggior chia-
rezza che anche don Bosco e un caposcuola; certo, dentro la
vasta orbita salesiana di san Francesco di Sales, ma con una
originalita tutta propria e assai vasta. Don Bosco e davvero
l'iniziatore geniale di una corrente di spiritualita, il modello
qualificato di un tipo peculiare di sequela del Cristo. Cosl
c'e proprio da parlare dell'« indole propria» della sua scuola.
Un contrassegno per percepire !'indole propria di tale ori-
ginalita spirituale, che e genialita e fisionomia inconfondibi-
le, la troviamo appunto in questa motto, che non e una sem-
plice formula letteraria, o una frase piu o meno indovinata.
Nessuno di noi puo pensare che don Bosco si sia seduto a ta-
volino e abbia cercato due parole « belle » che potessero sug-
gerire un qualche programma occasionale di propositi asce-
tici: mai piu!... Il motto e il risultato di una lunga esperienza
vissuta, che non e neppure solo sua personale. Sl, e senz'al-
tro esperienza personale; ma e inoltre esperienza di famiglia,
di ambiente, di popolo cristiano, di tutta un'epoca o una cul-
tura popolare permeata dal Vangelo. Abbiamo rivissuto, poco
fa, con gioia e contemplazione, durante la « Cantata », le ori-
gini del vostro Istituto: Mornese, madre Mazzarello! Ebbene,
come descrivereste l'ambiente della sua famiglia, della sua
comunita parrocchiale, della spirito di Mornese? Abbiamo
ammirato con affetto le diapositive che in qualche modo lo
fotografavano: il babbo, la mamma, i compaesani, don Pe-
starino... Come riassumereste la m aniera pratica di vivere di
madre Mazzarello? di quei cristiani? di quel paese? Queste
due parole del motto vengono proprio giuste: lavoro e tem-
peranza!
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Le vediamo non come una formula moralistica per descri-
vere una condotta di osservanza legale, o per intensificare
una modalita di correzione dei difetti. Si presentano come
uno stile culturale di vivere il cristianesimo: che e molto di
piu! Perche tocca tutto, impregna tutta l'esistenza, tutto il
quotidiano, tutto cio che si fa, come un clima in cui si vive
spontaneamente, quasi senza accorgersi.
Ed e proprio questa il senso profondo del primo « tema
generatore ». Dobbiamo percepire, innanzitutto, che il motto
« lavoro e temperanza » ci concentra su una sintesi di vita
pratica in cui vibra tutta la nostra spiritualita. Noi facciamo
consistere la santita in questa maniera di vivere, in questo
stile di esistenza quotidiana: qui scopriamo la nostra « indo-
le propria».
E. doveroso aggiungere e sottolineare che lo stemma sale-
siano di lavoro e temperanza e ambientato in un clima spiri-
tuale che noi qui supponiamo. Per vedere la nostra « indole
propria» in esso, dobbiamo supporre che cosa? Innanzitutto,
che il lavoro e la temperanza del salesiano sono frutto di una
carita pastorale che ha fatto l'opzione preferenziale per la
gioventu bisognosa. Si tratta di un lavoro e di una temperan-
za non in astratto, ma vissuti storicamente da modelli « tipi-
ci », come sono stati don Bosco e madre Mazzarello che hanno
saputo incarnarli in una tradizione viva. E. in essi che si espri-
me !'amore di predilezione per la salvezza della gioventu bi-
sognosa. Un lavoro e una temperanza che procedono dal tron-
co della carita pastorale, inseriti in un « progetto educativo »
originale con una sua spiritualita, una sua criteriologia pasto-
rale e una sua metodologia di approccio e di dialogo, chia-
mato « Sistema Preventivo ».
Il salesiano vive i grandi dinamismi della fede e della
carita in una speranza che si traduce in « lavoro e temperan-
za »; il suo lavoro e tutto radicato nell'obbedienza; la sua tem-
peranza custodisce una castita tutta impastata di bonta per
creare la simpatia del « farsi amare »; predilige la gioventu
povera e vive per essa e tra essa attraverso il lavoro e la tem-
peranza. Tutto questo Io supponiamo!
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APPELLO PROFETICO NELL'ODIERNA SVOLTA CULTURALE
Un secondo « tema generatore »: vivere lo stemma lavoro
e temperanza come una profezia per la nostra ora culturale;
una profezia continuata, nutrita e difesa quotidianamente
dal vigore ascetico.
Che significa, « come una profezia »?
Vuol dire che si tratta di una testimonianza che interpella,
e anche inquieta, perche e contestatrice di un mondo che pro-
muove il dissidio tra amore e sacrificio. Noi viviamo un'ora
di creativita culturale. Bella!
Quando ci riuniamo per discutere sul rinnovamento, ci
costa metterci d'accordo! C'e chi vede piu novita e chi ne vede
di meno. Pero nessuno mette in discussione che viviamo un'
ora di novita.
Nella novita o nei valori emergenti appaiono, di fatto, sem-
pre due aspetti che si presentano uniti, ma che noi dobbiamo
saper distinguere.
Anzitutto c'e l'aspetto positivo dei valori che emergono e
crescono. E bella vivere quest'ora! Quanti valori si scoprono
oggi che prima non erano presi sufficientemente in conto!
Nei secoli scorsi, per mentalita verticista simile, in parte,
al prepotente abuso a cui si assiste ora in Polonia, certe mo-
dalita sociali di vita non promuovevano l'uomo, e meno an-
cora la donna. Adesso i popali fremono, perche c'e la coscien-
za del valore della dignita della persona, di un popolo, dei
diritti della liberta, del dialogo. C'e una novita! E cresce.
Mi e scappato fuori un esempio che non finisce in trionfo,
ma in calvario. Pero si possano addurre tanti altri esempi.
Noi stessi sentiamo, nel rinnovamento della vita religiosa, il
senso profondo del processo di personalizzazione, delle esi-
genze della liberta. Consideriamo un vantaggio il fatto che la
consacrazione religiosa possa oggi essere vissuta con mag-
gior coscienza e con piu genuina liberta. Cambiera magari la
maniera di parlare del voto di ubbidienza, di poverta e di
castita, ma cresce la fedelta a Cristo nella piu cosciente radi-
calita di uno stile di vita obbediente, pura e casta. Sto par-
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lando dei religiosi e delle religiose buoni, di quelli che guar-
dano alla novita dei tempi per applicarla alla vocazione che
amano. Dunque: quest'ora di novita e un tempo di valori che
emergono, che fanno crescere, e la cui saggia assunzione rin-
nova le vocazioni. C'e urgenza di una nuova ermeneutica per
percepire il linguaggio dei segni dei tempi!
Pero, di fatto, sono anche tempi in cui la novita, siccome
emerge di per se ancora pagana, non ancora battezzata, facil-
mente s'incammina per strade meno giuste e anche devianti,
che offrono il fianco a delle interpretazioni sbagliate con i
conseguenti pericolosi abusi. Possiamo osservarlo in un esem-
pio di facile comprensione: il processo di promozione della
donna, nella sua dignita personale, nella sua missione fami-
liare e nella sua funzione sociale. t:. uno dei segni dei tempi!
Meno małe che c'e! Pero se ne consideriamo certe interpreta-
zioni e certe applicazioni, per esempio nel movimento femmi-
nista, allora vediamo stranezze, mancanze di criterio, atteg-
giamenti contro natura, che accusano mancanza di capacita
di vivere i valori emergenti secondo il loro giusto significato,
nella verita e con uno sviluppo che favorisca la crescita in
umanita.
Quindi la novita e ambivalente: comporta dei valori posi-
tivi che devono crescere, ma anche va accompagnata, di fatto,
da disvalori e da interpretazioni e sviluppi erronei e squili-
brati.
Ebbene: la « Strenna » e stata proposta come un appello
alla nostra coscienza profetica in una svolta culturale dove
certe mode sociali esigono da noi di vivere « contro corrente »,
ossia con un coraggioso e intelligente atteggiamento di con-
tes tazione.
Un aspetto che caratterizza oggi la civilta delle citta e di
tante nazioni e un tipo di nuova cultura totalmente antropo-
centrica, emergente da una visione praticamente ateistica,
preoccupata solo del protagonismo dell'uomo in una interpre-
tazione immanente della storia, impegnato nella ricerca di
una liberazione sociale misurata dal benessere; una ricerca di
maggior potere economico, di comodita, di trionfo del ben
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vivere, di ideali terrestri e orizzontali, non piu in la di cio che
e un tipo di uomo riuscito socialmente, nell'economia, nella
tecnica e in una certa cultura del benessere, che non e certa-
mente la « civilta dell'amore » proclamata da Paolo VI.
In tale cultura antropocentrica l'amore si va identificando
con l'eros, come soddisfacimento <legli istinti e delle proprie
inclinazioni. Cio ha introdotto nella societa un disastroso di-
vorzio tra imparare ad amare ed accettare di soffrire. Quanto
e sofferenza e sacrificio, appare come una sconfitta o una
mancanza di realizzazione della persona. Se noi guardiamo
invece, negli orizzonti della fede, alle migliori testimonianze,
se scrutiamo il mistero di Cristo, se analizziamo la grandezza
di coloro che ci hanno preceduti in una autentica vita cri-
stiana, per esempio di don Bosco e di madre Mazzarello, ve-
diamo che hanno unito indissolubilmente l'amore e il sacri-
ficio, in una coesione esistenziale per cui !'amore piu alta si
dimostra attraverso il maggior sacrificio.
La Strenna, allora, lancia alla Famiglia Salesiana una spe-
cie di appello culturale. Noi siamo chiamati a testimoniare
oggi questa profezia evangelica, a dimostrare con la vita alcu-
ni aspetti fondanti una cultura alternativa. Precisamente per-
che siamo mossi dalla carita pastorale, ossia perche viviamo
di amore, proprio per questo assumiamo uno stile di vita sa-
crificata: una vita che riattualizza, in forma realista e stori-
camente la piu alta, la nuova qualita di esistenza contenuta
negli eventi pasquali di Cristo. Proprio ieri ascoltavamo all'
UPS che tali eventi sono « id quo maius fieri nequit », ossia
cio di cui non si puo fare nulla di piu grande in tutte le cultu-
re di qualsiasi secolo. In una storia intessuta di peccato il piu
grande amore si dimostra attraverso il clono totale di se nel
piu generoso sacrificio.
Dio, che e l'Amore sussistente, nel farsi uomo per salvarci
non ha potuto inventare niente di piu sublime che il sacrifi-
cio di se stesso fino alla morte (e una morte di croce!) come
dimostrazione di massimo amore.
La preoccupazione, quindi, di tradurre tutte le nostre vir-
tu in « lavoro e temperanza » dovrebbe apparire, anzi deve
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essere, il clamore di una « profezia contestatrice ». Non si con-
testano, piuttosto si assumono, i valori che sbocciano dall'
emergenza culturale; si contestano, invece, le deviazioni e le
made disumanizzanti. Noi che viviamo tra la gioventu sap-
piamo bene quali sano.
La nostra contestazione, pero, non si riveste della teatra-
lita della demagogia e del populismo: non siamo dei tribuni
che vanno sul podia nelle piazze con altoparlanti (e magari
con la pipa in bocca...) per lanciare discorsi infuocati contro
sistemi, progetti e persone. La nostra vita e « contestatrice »
perche si mostra palesemente, senza bisogno di pulpiti e di
microfoni, attraverso un'esistenza simpatica di tutti i giorni,
come una vita « contro corrente » nella fiumana del comodi-
smo che porta alla deriva. Quelli che vanno in giu con la cor-
rente devono vedere chiaramente che c'e qualcuno che va in su;
anche se e una barchetta piccolina: va in su, non va in giu!
In questa senso la Strenna serve a interpellare la gioventu
che ci guarda. La obbliga a pensare: « Come mai?... Questa
persona e felice... e contenta. Ha lasciato casa, famiglia e co-
modita... vive qui tra noi... e soprattutto per noi! Come mai?
Non ha tali e quali vantaggi, non cerca ne l'eros, ne il patere,
ne la fama, ne l'indipendenza, ne la tranquillita e vive piu
contenta di noi. Eppure e intelligente! Come mai?».
Ecco il valore profetico, penetrante, interpellante della
nostra maniera di vivere la Strenna: uno stile di vita - di-
ciamo cos1 - spartana o meglio cristiano, salesiano, che met-
te in vetrina nella societa un modo di realizzarsi nella propria
esistenza, di essere felici, allegri, soddisfatti, anche se sempre
in ricerca, perche mostra una originale qualita di vita in cui
l'amore non si esprime nella comodita e nella soddisfazione
dei propri piaceri, bensi nel sacrificio e nel servizio.
Una simile capacita profetica esige assai! Nella nostra,
come in ogni spiritualita, e indispensabile una pedagogia di
disciplina. L'impegno ascetico non e la santita, ma e assolu-
tamente inseparabile da essa. La croce non e il centro del mi-
stera di Cristo, ma e intrinseca ad esso. Il profeta non e una
persona molle, in balia <legli istinti e a merce delle concupi-
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scenze. La robustezza dell'impegno ascetico e segno di buona
salute nell'amore!
IL LAVORO: « ESTASI DELL'AZIONE »
Dopo aver considerato lo stemma della nostra « indole
propria» nella Chiesa e di averne sottolineato il « valore pro-
fetico », passiamo a considerare il lavoro del salesiano.
Dobbiamo subito metterci in sintonia con cio che significa
per noi il termine « lavoro ». Come dicevo poco fa, Io collo-
chiamo al di dentro di un progetto educativo-pastorale, il Si-
stema Preventivo; quindi ci situiamo piu in la di una pur im-
portante visione sociologica.
Inoltre, approfittando della distinzione che il Papa fa nel-
la sua ultima Enciclica tra il lavoro considerato « oggettiva-
mente », come elemento sociale di studio e di giustizia, e il
lavoro considerato « soggettivamente », come espressione di-
namica della persona del lavoratore, noi ci concentriamo in
questa secondo aspetto di azione personale. L' Enciclica in-
comincia appunto con la frase « Laborem exercens », quasi
ad indicare non un oggetto in se, ma un soggetto che realiz-
za qualcosa: pili che al lavoro in se, guardiamo alla persona
impegnata nel lavoro, al « lavoratore ». Noi riflettiamo qui
da tale angolatura: quella della persona che sta lavorando.
Parliamo del lavoro ma pensiamo al lavoratore, alla lavora-
trice: il salesiano, la FMA sono dei « lavoratori »! Ancora di
piu: anche in quest'ottica noi non ci fermiamo (perche non ci
compete, non perche non sia di per se assai importante stu-
diarlo), non ci fermiamo al lavoratore laborem exercens »)
nell'ambito delle preoccupazioni sindacali; ossia non ci fer-
miamo, anche dal punto di vista soggettivo del lavoro, nel
settore dei probierni sociali, ma andiamo subito molto piu in
la; consideriamo piuttosto e propriamente I'ambito della spi-
ritualita di don Bosco. Allora il lavoro proposto dalla Stren-
na che cos'e?
E una prassi apostolica! Un atteggiamento personale di
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dinamismo e di serv1z10, tessuto anche di competenza e di
professionalita, che incarna nell'azione, come dicevo prima,
le nostre virtu; in particolar modo la nostra CARITA PASTORALE.
Traduce nella pratica i dinamismi del « cuore oratoriano »!
:e. quell'« estasi dell'azione » di cui parła S. Francesco di Sales
nel suo famoso trattato sull'amore. Se qualcuno vuol sapere
da un salesiano, da una FMA, in che cosa consiste il suo lavo-
ro, deve pater scoprire che cos'e la carita pastorale con quel
suo originale clono di predilezione verso la gioventu. E la ri-
cerca di una risposta dovrebbe essere guidata dal seguente
consiglio: « Osservate bene il loro lavoro! Guardate quanta
lavorano e come lavorano ».
Il lavoro come « estasi dell'azione » scaturisce tutto dalla
carita apostolica. Essa ne e la sorgente, la scintilla prima che
spinge, che nutre, che anima, che da capacita di creativita, di
iniziativa, di costanza, di gioia, di donazione. Il lavoro quindi
non e tanto una virtu o uno strumento ascetico, ma la tradu-
zione in prassi vissuta di tante virtu della nostra spiritualita.
Vediamone alcune caratteristiche.
Innanzitutto e una donazione, un uscir fuori da se stessi
(= estasi!) con delle attivita, nella preoccupazione concreta
di offrire dei servizi; percio comporta: iniziativa, dinamismo,
fatica, costanza, coordinamento, tempo pieno - senza limiti
di ore perche non e un lavoro sindacale, non ci sono le qua-
rantadue o trentotto ore settimanali! - e « a tempo pieno e
a piena esistenza ».
Poi e un lavoro personale, gioioso e spontaneo perche mos-
so dall'amore che c'e nel cuore, ma ha dimensione comunita-
ria, serieta di esigenze e di programmazione, perche va rea-
lizzato in un progetto educativo comunitario.
:e. creativo: sprigiona degli sprazzi nell'intelligenza; fa ve-
nire in mente possibilita nuove, inventiva di servizio all'os-
servare cio che bisogna fare; sveglia l'immaginazione, fa sco-
prire, eppure e tutto radicato in una missione di ubbidienza.
Il diamante del lavoro nel sogno famoso e sulla spalla del
« personaggio », ma riassume la carita che e sul cuore e l'ob-
bedienza che e al centro del quadrilatero posteriore.
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E un lavoro pluriforme: va dal lavorare in cucina, al det-
tare lezioni magari anche da una cattedra universitaria, all'
animare un gruppo giovanile, all'organizzare un oratorio, al
fare teatro e sport e musica e comunicazione sociale e pas-
seggiate, a quello che volete... ma e complementare nell'am-
bito armonico della comunita salesiana che ne porta la re-
sponsabilita.
E un lavoro logorante, che stanca; ma e un lavoro che si
fa con allegria, con gioia, che e amato e ricercato. Anche se
stanca, non annoia mai. Perche e frutto di amore ed e voluto:
non e tedioso, qui e il punto!
E un lavoro utile: non e l'azione per l'azione, ma un'atti-
vita proficua. Pero la sua efficacia non si misura dal salario
e neppure dalle gocce di sudore, bensi dalla crescita cristia-
na della gioventll.
E un lavoro che ama la competenza, acquisita o da acqui-
sire giornalmente, interessato all'autodidassi. Sempre dobbia-
mo saper imparare. Esige una formazione continua per una
seria professionalita: abbiamo <legli impegni da affrontare
che esigono competenza... anche nei servizi casalinghi; chi di
noi non si rallegra per una cuoca che conosce bene la sua pro-
fessione?
E un lavoro basato sulla generosita quotidiana, quindi ri-
chiede uno spirito rinnovato ogni giorno.
E un lavoro che va accompagnato da disciplina e vzswne
d'insieme perche e involucrato in un progetto salesiano del-
l'ispettoria e della casa.
E un lavoro che esige coscienza del proprio dovere, per-
che, prima di ricercare altre possibilita, si dedica con tutte
le capacita a disimpegnare bene, con inventiva, il proprio do-
vere. Ascoltate il seguente pensiero di don Bosco: « Fa molto
chi fa poco, ma fa quello che deve fare; fa nulla chi fa molto,
ma non fa quello che deve fare » (MB I 401).
E un lavoro che cerca sempre un sovrappiit. Mi azzardo a
dirlo anche a voi, FMA, anche se poi quando parło con la Ma-
dre le confesso che mi sembra che lavoriate troppo! Pero, ve-
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dete, questa peculiare aspetto bisogna ricordarlo ugualmente.
C'e sempre una specie di « plus valore » nel lavoro salesiano,
un sovrappiu. Nel senso che non si esaurisce mai nel semplice
compimento del proprio dovere. Rimane sempre un po' di
posto per qualche altra cosa da fare in piu.
La sorgente del nostro lavoro, come dicevamo, e la carita
pastorale. Ma che cosa significa? « Carita pastorale » e una
gran bella parała; pero l'intenso lavoro quotidiano, cosi co-
me l'abbiamo descritto: pesa! Bisogna pur scoprire qual e
la fonte che ci somministra a getto continuo delle iniezioni
di energia e di capacita di costanza: e la carita pastorale! E
che cos'e? Care sorelle, la carita pastorale e l'amicizia perso-
na!e, profonda, quotidianamente rinnovata con Gesu Cristo
Salvatore (« da mihi animas »!).
Essa consiste, dunque, nell'avere un cuore come quello di
Cristo, che ci fa guardare al Padre per amarlo, lodarlo e ado-
rarlo come Lui: per vedere nel Padre Colui che arna tanto gli
uomini da mandare il suo Figlio nel mondo con una missione
che porta Gesu sino alla croce pur di salvarli.
Noi non ci fermiamo solo a contemplare in Dio il suo inef-
fabile mistera di vita nella Trinita: certamente anche questa!
Ci sano altre vocazioni chiamate appunto a tale sublimita.
Noi procediamo oltre, se cosi si puo dire; andiamo piu adden-
tro fino a scoprire il suo slancio indetenibile di donazione
salvifica all'uomo, sottolineandone la predilezione verso i gio-
vani. La carita pastorale comporta in noi una peculiare di-
mensione contemplativa del piano di salvezza del Padre in un
impegno fatto di sacrificio e di pedagogia. Vediamo Dio e il
suo Cristo sempre sotto questa angolatura, come fonte dei
dinamismi che ci portano all'« estasi dell'azione ». Quindi non
e, davvero, l'azione per l'azione, non e banale attivismo! E
una q ualificata espressione di carita che partecipa al mistera
di Dio nel suo progetto concreto di storia della salvezza; che
segue il Cristo divenuto il Salvatore <legli uomini; che imita
don Bosco e madre Mazzarello nella donazione di se con tut-
te le forze della loro esistenza per far del bene alla gioventu.
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• Se questa e la fonte del nostro lavoro, sara indispensa-
bile intensificare quotidianamente la potenza della nostra ca-
rita. Occorrera dare spazi di tempo, dar vita a iniziative per-
sonali per essere sicuri che funzioni il contatto diretto, per-
sonale e comunitario, con Cristo, fonte di carita pastorale.
Tale contatto va maturando, per propria natura, in un profon-
do atteggiamento caratterizzato da una sua « estasi » originale.
Si: questa incontro vivo con Dio e con il sua Cristo fa ve-
nir voglia di... andare in estasi: ma e l'« estasi dell'azione »,
l'estasi del lavoro! Il nostro contatto con Dio - ascoltate be-
ne questa espressione di don Bosco, che, fuori di questa con-
testo, potrebbe sembrare erronea - non si traduce tanto in
« pratiche di pieta» quanta in « pratiche di carita »!
Non dico che non ci debbano essere anche delle « prati-
che » di pieta, « quelle del buon cristiano »: affermo che don
Bosco ha insistito chiaramente nell'indicare che noi ci dob-
biamo caratterizzare per le « pratiche di carita ».
Ma certo; per fare tante pratiche di carita, bisogna avere
un cuore contemplativo come il suo, e per avere un cuore
« cosi » ci vuole la preghiera, ci vuole la meditazione, ci vo-
gliono gli spazi dedicati ad esse, ci vuole profondita, ci vuole
anche silenzio.
Pero tutto questa non e ordinato a fare della nostra co-
munita una casa di pratiche di pieta, anche se esige in essa
una vera « mistica ». Ma e la « mistica » della carita pastorale,
ordinata a farci divenire degli instancabili inventori di servi-
z1 di utilita spirituale alla gioventu.
Ci deve essere in casa un centro di flusso e di riflusso di
questa carita.
Sapete qual e? l'Eucaristia. L'Eucaristia di tutti i giorni;
l' Eucaristia come evento pasquale; l' Eucaristia come sacri-
ficio; l'Eucaristia come ecclesiogenesi; l'Eucaristia come fon-
te di grazia; l'Eucaristia come presenza reale. Don Bosco ha
voluto sempre l' Eucaristia come centro di tutta la nostra vi-
ta. Essa e inserimento di ognuno di noi, di ogni comunita, con
la sua esistenza, nella carita di Cristo che si offre al Padre.
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2.6 Page 16

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Essa e generatrice di una missione di carita che fruttifica nel
nostro lavoro.
Dobbiamo saper fare dell' Eucaristia quotidiana il cesello
divina che scolpisce in noi esistenzialmente la condizione sa-
crificale di « ostia pura e gradita », cos1 da r endere il liworo
quotidiano una liturgia di vita.
E questa il lavoro di cui parliamo. Piu ce n'e, meglio e.
Fino a morire? Fino a morire! Ma come frutto eucaristico
di carita pastorale!
LA TEMPERANZA: « UNO STILE Dl VITA»
Quarto tema generatore: la temperanza. L'altro polo del
nostro binomio salesiano e la temperanza.
E qui e importante ricordare quello che avevamo detto in
settembre alle Capitolari (voi novizie, che siete intuitive, ave-
te gia capito di che si tratta!): non dobbiamo confondere la
« temperanza » con la « mortificazione ».
La Strenna non parła esplicitamente e direttamente di
mortificazione; anche se la temperanza esige ed include senz'
altro molte mortificazioni, non si esaurisce in esse, ne e costi-
tuita propriamente da esse. Capito?
La temperanza di cui parliamo non si riduce a una formu-
letta moralistica per darsi dei ben meritati castighi. No! Ab-
biamo detto che il nostro motto e impegno profetico per un
trapasso culturale; comporta, perci<'>, tutto uno stile di vita.
Allora, per temperanza che cosa intendiamo? Ho cercato
un altro termine piu positivo per spiegarlo con chiarezza. Mi
sembra che la parała pit1 adatta per farci capire la temperan-
za di cui parliamo sia quella della « regalita » battesimale:
essere re o regine; sł, insieme con Cristal Riprendiamo in ma-
no la Lumen gentium e leggiamo la prima parte del n. 36,
<love si parła di questa tema. Si riferisce ai laici; ma in un cer-
to senso siamo tutti dei laici, per opera del sacramento del
Battesimo. Il primo aspetto della regalita indicato dal Conci-
lio e il seguente: sottomettere a Cristo tutte le realta create
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affinche, attraverso Lui, Iddio sia tutto in tutti. « Questo po-
tere Cristo l'ha comunicato ai discepoli, perche anch'essi sia-
no costituiti nella liberta regale e con l'abnegazione di se e
la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato (cf Rom
6, 12), anzi servendo a Cristo anche negli altri, con umilta e
pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire al quale e re-
gnare » (LG 36).
La temperanza consiste appunto in questa capacita di do-
minia di se stessi che rende possibile !'ideale del « Dio tutto
in tutta la mia persona» e cosł, a poco a poco e attraverso an-
che di me, in tutti. Impegnarmi a far che in me, nelle strut-
ture della mia persona, nella mia psicologia, nelle mie incli-
nazioni, nelle mie passioni Dio sia presente come Signore, in
tutte le mie realta costitutive e dinamiche. Per essere liberati
dalla schiavitu della corruzione, per partecipare alla gloriosa
liberta dei figli di Dio (cf Rom 8, 21).
E una regalita per cui, prima di sottomettere il mondo e di
offrirlo al Padre, attraverso Cristo, nella politica, nell'econo-
mia, nella cultura (sono i compiti assegnati ai laici) c'e da
sottomettere questa microcosmo che sono io (compito asse-
gnato a tutti!). Ci dev'essere qui dentro un re o una regina
che fa muovere convenientemente tutti gli elementi dinamici
che mi costituiscono. Tutto, senza disprezzarne nessuno. Si
combatte e si esclude solo il peccato. Le inclinazioni del cuo-
re, i desideri, le passioni, le concupiscenze, le sessualita, i gu-
sti che abbiamo: tutto, tutto; sottomettere questa a Dio.
Un tale patere regale fara che tutto sia nostro; che noi
siamo di Cristo; e che Cristo sia del Padre, come ci ricorda
S. Paolo (1 Cor 3, 23).
Ecco che cosa vogliamo indicare con la parola « tempe-
ranza ». E molto di piu che la mortificazione.
E proprio « uno stile di vita», un atteggiamento globale
e complesso (convergenza di tante virtu!) di non-comodita,
di moderazione, di signoria delle passioni, delle concupiscen-
ze, dei desideri, dei sentimenti, di equilibrio di convivenza,
di riservatezza, di sana furbizia, di disciplina pedagogica, di
educazione al dona di se, di capacita di vigilanza, di r evisione,
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di osservanza, ecc. La temperanza e il primo analogato di una
lunga lista di virtu moderatrici che assicurano un ragionevo-
le dominio di se.
Se il « lavoro » lancia la nostra persona all'azione e ne sti-
mola l'inventiva, la « temperanza » ci fa padroni di tutte le
nostre energie per abilitarci a donare noi stessi nell'amore.
E dunque una qualita assai bella, importante, indispensa-
bile, che deve implicare tutta la capacita di formazione e di
realizzazione della nostra esistenza. Non e facile! ... come ci
accorgiamo guardandoci in faccia. Qui si trova il segreto che
ci porta a una santita « simpatica »! Una persona che e signo-
ra di se stessa, delle sue passioni, dei suoi gusti, dei dinami-
smi della sua esistenza: e una « regina di bellezza »... spiri-
tuale!
Si tratta, con la temperanza, di far percepire in che cosa
consiste il famoso « uomo nuovo ». Oggi tanti sistemi politici
e le ideologie presentano l'uomo nuovo, no? Io ho vissuto nel-
l'ambiente della vittoria di un determinato progetto politico:
eh... tutto era cambiato: « el hombre nuevo! », come abbia-
mo sentito cantare in spagnolo poco fa.
Ma l'uomo nuovo non lo producono i sistemi politici, an-
che se le strutture sociali devono essere orientate a costruire
un nuovo tipo di cittadino e anche se noi siamo chiamati a
sentirci corresponsabili in tale compito. Il vero « uomo nuo-
vo » nasce solo dalla risurrezione di Cristo, nasce solo dal
battesimo e si realizza sviluppando il potere regale di cui ab-
biamo parłato. Questo e l'unico uomo veramente nuovo che
c'e nella storia.
La temperanza vuol mettere in luce la qualita di tale uomo
nuovo, con la sua signoria battesimale. L'energia della risur-
rezione trasforma la nostra realta umana, non la schiaccia,
non la nega: la eleva e la irrobustisce in cio che ha di positi-
vo. Tocca le nostre concupiscenze, nel senso positivo della pa-
rola; pero ne elimina le deviazioni. Tocca le nostre passioni.
Meno małe che abbiamo passioni! Di una persona umana sen-
za passioni che cosa ne facciamo? Passioni nel senso migliore
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della parola, <love non e solo il ragionamento dell'ultima cel-
lula del cervello che e convinta, ma e tutto il nostro essere.
Noi non siamo fatti solo di ragionamenti e di logica; siamo
fatti di sentimenti, di emotivita, di inclinazioni, di tanti ele-
menti... Meno małe! Voi credete che don Bosco sarebbe potu-
to divenire amico dei giovani, dei ragazzi, se non fosse stato
un uomo ricco di tutti questi elementi?
La temperanza tocca i nostri istinti e le nostre inclinazio-
ni. La forza della risurrezione trasforma i dinamismi che sen-
tiamo dentro verso tante cose buone, che possano pero farci
cadere in eccessi nella maniera di realizzarli e ci portano al-
1'egoismo e all'edonismo. Tocca ed esorcizza le esagerazioni,
gli squilibri; tocca e irrobustisce soprattutto i valori, come
quelli del buon senso, della bonta, della modestia, della sim-
patia, della semplicita. Per questo e « uno stile di vita ».
Vedete, dunque, vivere la temperanza e come avere in ma-
no le briglie di tutti i « cavalli » che corrono dentro di noi per
farli funzionare come noi vogliamo.
E allora vedete: la temperanza e certamente un elemento
di intensa e continua ascesi, che implica anche una costante
capacita di mortificazione.
• E ora, sapete qual e il vero trono di questa regalita? :e.
l'umilta.
L'umilta e l'espressione piu grande del regno di Dio in noi,
perche si disfa del nemico piu pericoloso della regalita di
Cristo che e il nostro « io ».
Vedete: quando noi, per esempio, invece di parlare in
astratto pensiamo ai nostri modelli concreti don Bosco e ma-
dre Mazzarello comprendiamo meglio. La temperanza di san-
ta Maria Mazzarello piu che nel mangiar poco, nel vestire mo-
desto, nel soffrire il freddo, nel fare silenzio, ecc. (cose che
senz'altro sono significative), si fonda sostanzialmente nella
sua umilta, quale radice della sua regalita. In lei, che aveva
voglia di essere la prima, di apparire (perche queste erano an-
che le inclinazioni del suo essere umano), brilla in forma ee-
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cezionale la capacita di signoria spirituale contro le tendenze
della superbia.
L'umilta non si rifugia nel disprezzo sciocco di se stessi.
Nessuno disprezza se stesso senza disprezzare Dio (e una fa-
masa frase di Bernanos).
L'umilta cristiana e cosciente dei doni ricevuti, perche e
una umilta che cerca il Re; e il Re e dentro in ognuno di noi.
Siamo oggetto dell'amore di Dio: dunque c'e qualcosa, anzi
molto, di Lui in noi. E come non lo scopriamo? Corriamo il
pericolo di appropriarci e fare sfoggio delle qualita ricevute,
pero esse sano doni che valgono oggettivamente, e sano in
noi da parte di Dio per costruire il sua Regno nel mondo.
L'umilta, inoltre, e magnanima. Il contrario di magnani-
ma e « pusillanime ». Sano parole latine. « Pusillus » = picco-
lo... testolina... mente piccola, senza orizzonti. No! L'umile
FMA deve essere magnanima: da « magnus » = grande! Ma-
dre Mazzarello e nata in un paesino sperduto, eppure ora
vengono a inneggiarla dal Cile... con una « Cantata » formida-
bile! Come sona arrivate le FMA dappertutto, giu nel Cile?
Eh, vedete... e frutto di umilta magnanima. E lo stesso don
Bosco ai Becchi... Una casetta da niente. Girate il mondo e la
sua Famiglia spirituale la trovate ovunque.
Cos1 fu appunto l'umilta della Madonna: « Grandi case ha
fatto in me l'Onnipotente, e santo e il sua nome ».
Un'umilta, quella salesiana - sentite questa! - esige in
noi di cercare di farsi amare. Capito? Quasi il contrario di
cio che indica di per se l'umilta: un vero paradosso. Un'umil-
ta che ci spinge a farci amare non per noi stessi, ma per Dio:
e meraviglioso, anche se difficile. Io credo che questa e l'e-
spressione piu pedagogica e piu alta dell'umilta. Il salesiano
<lice ai giovani: amatemi. Ma nel dire questa neppure pensa
a se perche lo fa per una carita pastorale, conoscitrice delle
strade del cuore dei giovani per la loro educazione. Si passa
dall'incontro personale, dal dialogo, dalla fiducia, dalla ami-
cizia con la propria persona, a Cristo e al Padre.
Quindi un'umilta che ci fa proporre noi stessi come og-
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getto di simpatia alla gioventu... Immaginarsi che temperan-
za bisogna avere per ottenere questo! Ce lo ricorda il famoso
sogno del pergolato delle rose.
• Anche questa caratteristica ha un centro speciale di re-
visione e di ricarica. Sapete qual e?
Il centro vivo, vitale, ricostruttore della temperanza sale-
siana e il sacramento della penitenza. La frequenza del sacra-
mento della Riconciliazione ci abilita a una intelligente auto-
critica; ci porta all'atteggiamento di conversione (perche non
saremo mai perfetti « re » o « regine » del nostro microcosmo
personale); ci ricarica con la grazia sacramentale della peni-
tenza che irrobustisce l'umilta contro i nostri difetti e peccati.
Care sorelle, non scoraggiamoci mai; fin che avremo vita
dovremo riconoscere che non e finita la costruzione del regno
di Dio in noi; anche se e microcosmico non si finisce mai di
completarne la rifinitura! Non saremo mai un orologio giap-
ponese... perfetto! Manca sempre qualche pezzettino da rifa-
re. Ma la Penitenza ci somministra energia, coraggio e co-
stanza.
RILETTURA TEOLOGALE Dl QUESTA NOSTRA SPIRITUALITA
Vi ho offerto alcune idee sulla nostra Strenna riunendole
intorno a quattro temi generatori. Ora vorrei concludere fa-
cendo una rilettura teologale della spiritualita del « lavoro e
temperanza ». Vi faro vedere brevemente in una sintesi inte-
ressante di che cosa abbiamo parlato.
Possiamo ricordare i quattro temi generatori allacciandoli
a un quadro di riferimento intensamente illuminante. I quat-
tro temi corrispondono a quattro grandi dimensioni teologali
della vita nello Spirito. Sono le seguenti:
1° L'indole propria della nostra dimensione ecclesiale sin-
tetizzata nello « stemma boschiano » del lavoro e tem-
peranza.
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2° La funzione profetka della nostra spiritualita esercita-
ta in una svolta culturale attraverso una testimonian-
za di carita pastorale vissuta nel « lavoro e temperanza ».
La funzione sacerdotale della nostra spiritualita che fa
del nostro « lavoro » di evangelizzatori della gioventu
una « liturgia della vita».
La funzione regale della nostra spiritualita espressa
nello stile di vita della « temperanza » che ci rende, nel-
l'umilta, simpatici « signori » e magnanimi « lavoratori ».
La Strenna, cioe, ci fa vedere che, se saremo fedeli salesia-
ni e buone FMA, potremo vivere in profondita e radicalmente
la consacrazione battesimale, riassunta e specificata dalla no-
stra Professione religiosa.
Portatori della dimensione sacramentale della Chiesa at-
traverso !'indole propria del nostro carisma; profeti evange-
lici in una svolta culturale; sacerdoti con Cristo in una litur-
gia di vita espressa nel lavoro; re e regine con Cristo nella
signoria della temperanza che ci fa simpatici dominatori di
tutti i nostri... « cavalli ». Che bella!
E adesso gli auguri a tutte di buon anno nuovo!
Un 1982 pieno di gioia, di speranza, soprattutto di carita
pastorale e di magnanima umilta proclamata quotidianamen-
te nel lavoro e nella temperanza.
Don Bosco e madre Mazzarello ci siano di modello e di
sprane.
Maria, Madre della Chiesa, ci aiuti e ci ottenga le luci e i
doni necessari!
Dunque: tanti fraterni, cordiali e gioiosi auguri alla Ma-
dre, alle Capitolari, alle direttrici, alle sorelle, alle novizie.
E ... forza!... per tutto il nuovo anno.
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