Spirito_Salesiano_ACaviglia


Spirito_Salesiano_ACaviglia



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ALBERTO CAVIGLIA
CONFERENZE
SULLO
SPIRITO SALESIANO
CENTRO MARIANO SALESIANO - TORINO ISTITUTO
INTERNAZIONALE DON BOSCO TORINO (1985)
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L'Edizione è stata curata da DON
ALDO GIRAUDO
Per eventuali ordinazioni:
CENTRO MARIANO SALESIANO
Via Maria Ausiliatrice 32
10152 TORINO - Tel. 011/521.14.23
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PRESENTAZIONE
Don ALBERTO CAVIGLIA nacque a Torino il 10 gennaio 1868. All'età
di tredici anni venne accolto a Valdocco e vi frequentò il corso ginnasiale
(1881-1884). Furono come egli stesso affermerà ripetutamente in seguito
gli anni più belli della sua vita. Dotato di splendida voce da soprano partecipò
alla scuola di canto della Basilica di Maria Ausiliatrice, diretta dal Maestro
Dogliani, e si esibì più volte come solista. Ma i ricordi più cari sono quelli
legati all'amicizia con Don Bosco, che in quegli anni fu suo confessore. In lui
trovò un robusto appoggio ed una guida illuminata per superare le difficoltà,
che gli provenivano dal suo carattere vivacissimo, e per un corretto sviluppo
delle notevoli qualità di ingegno ed arguzia di cui era dotato.
Affascinato dalla personalità del Santo e dal clima di serenità e di
entusiasmo che regnava a Valdocco, decise di donare tutta la sua vita alla
missione salesiana.
Seguendolo nei suoi spostamenti, con l'aiuto dell'Elenco generale della
Società di San Francesco di Sales, lo troviamo a S. Benigno Canavese,
dapprima come novizio (1884-1885) e poi studente dì filosofia (1885-1888).
Dal 1888 al 1895 visse nel Collegio S. Filippo Neri di Lanzo Torinese, dove
studiò teologia svolgendo, contemporaneamente, l'attività di assistente e di
insegnante. Fu ordinato sacerdote il 17 dicembre 1892 per mano di mons.
Riccardi, a Torino, nella cappella privata dell'Arcivescovado. Due anni dopo
venne trasferito come insegnante nel Collegio Manf redini di Este (1895-1896)
e successivamente, in qualità di consigliere scolastico, lavorò prima a Parma
(1896-1900) poi a Borgo S. Martino (1900-1903). A Bronte (Catania) ebbe
l'incarico di catechista (1903-1905). Infine si stabilì a Torino, nella comunità
del S. Giovanni Evangelista, alla quale apparterrà fino alla morte (1943).
Nei primi vent'anni di attività salesiana e di impegno culturale e didattico
l'ambito al quale egli dedicò speciale cura fu quello degli studi di letteratura
italiana, latina e greca. Frutto di tale lavoro sono gli Appunti di prosodia e
metrica latina e un Trattato di metrica greca.
Con la venuta a Torino nel 1905, Don Caviglia, trentasettenne, potè
finalmente iscriversi all'Università e così completare, sul versante del metodo
scientifico, quella formazione culturale acquisita in lunghi anni di sudati studi
personali che lo abiliterà a produzioni di notevole e riconosciuto valore nel
settore storico. Nel 1906, in occasione di una seconda edizione dei suoi
Appunti di prosodia e metrica latina, ebbe la ventura di sentire ampiamente
lodato il suo lavoro da un docente universitario, ignaro di avere in classe, come
allievo, il citato autore. Tra i maestri ricorderà sempre, con particolare
riconoscenza per l'indirizzo metodologico e scientifico ricevuto, il Prof. Pietro
Fedele, divenuto poi Ministro della Pubblica Istruzione.
La sua tesi di laurea su Claudio di Seyssel (vescovo di Torino dal 1517 al
1520), ampiamente arricchita e pubblicata, è tuttora ritenuta dagli specialisti
opera definitiva e punto di riferimento obbligato. Questo lavoro, seguito dagli
studi su Emanuele Filiberto di Savoia (editi nel 1928), gli aprì le porte della
Deputazione di Storia Patria, che lo volle suo membro.
Talento e versatilità, uniti ad uno studio metodico e paziente e alla capacità
di utilizzare sapientemente ogni momento di tempo disponibile, gli permisero
di affiancare all'analisi dei problemi storici l'approfondimento appassionato
dell'Archeologia Cristiana e dell'Arte Sacra. In queste discipline raggiunse tale
competenza da vedersi assegnate cattedre all'Accademia Albertina, al
Seminario Torinese e al Pontificio Ateneo Salesiano.
La preparazione scientifica e una capacità di indagine seria e metodica,
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unite al sincero amore per colui che lo aveva affascinato nella giovinezza, gli
permisero di affrontare con entusiasmo ed esiti lusinghieri l'edizione critica
degli Scritti editi ed inediti di Don Bosco. Tra il 1929 e il 1943 videro la luce le
edizioni della Storia Sacra, della Storia ecclesiastica, delle Vite dei papi, della
Storia d'Italia e della Vita di Savio Domenico, accompagnate da poderosi ed
eruditissimi studi dai quali emerge tutta la sua statura di studioso. Il
voluminoso complesso di manoscritti, di appunti ordinati e minuziosi, lasciati
alla morte, permetterà di completare l'opera con l'aggiunta postuma delle
edizioni critiche del Comollo, del Michele Magone e del Besucco Francesco.
All'impegno di studioso e di docente D. Alberto Caviglia affiancò l'attività
di oratore, conferenziere e predicatore. «Chi ha avuto la sorte di udirlo
commenta il suo Direttore nel Necrologio non dimenticherà facilmente la
profondità e la genialità di quelle conferenze sempre intese a riprodurre il
genuino pensiero di Don Bosco e il puro spirito salesiano(G. Zandonella). È
appunto in quest'ambito che si collocano le presenti Conferenze sullo Spirito
salesiano.
Come sacerdote si impegnò sul versante, tipicamente salesiano, del-
l'educazione morale e culturale dei giovani (nonostante i molteplici incarichi
continuerà ad insegnare nel ginnasio S. Giovanni Evangelista), mantenne
profondi legami spirituali con l'ambiente degli artisti e degli studiosi e dedicò
parte delle sue giornate al ministero delle confessioni nella chiesa di S.
Giovanni. Chi gli visse accanto per lunghi anni testimonia come la vasta
cultura ascetica che traspare dai suoi studi andava ben oltre l'ambito
accademico e si rivelava, attraverso la direzione spirituale e la predicazione,
profonda vita interiore, «che egli assimilava con un lavoro tanto metodico,
quanto nascosto, di meditazione e di preghiera (...). Sotto le apparenze di quel
carattere chiassoso, perennemente pronto all'arguzia, alla spiritualità, a mille
forme di originale gaiezza, si celava uno spirito che alla scuola di Don Bosco
aveva appreso la scienza difficile della vita interiore (...)• Quello che invece
non riusciva a celare era la sua fisionomia spiccatamente e tipicamente
salesiana. Lavoratore ignaro di tregua o di vacanza, cuore aperto alla
generosità, alla gentilezza con tutti, visione ottimistica della vita, animo pronto
e aperto a qualunque sacrificio, coscienza delle proprie responsabilità, alto con-
cetto della missione educatrice salesiana (...). Delicatezza, riserbo, rigidezza
nella pratica della povertà religiosa, attaccamento alle Regole, semplicità
ammirabile nelle sue confidenze; il caro Don Caviglia viveva veramente quella
salesianità che agli esercizi soleva predicare con tanta efficacia e competenza
(G. Zandonella).
Mentre si trovava a Bagnolo Piemonte (dove professori e studenti del
Pontificio Ateneo Salesiano erano sfollati nel periodo bellico) per tenere un
corso accelerato di Archeologia Cristiana, la sera del 25 ottobre 1943, venne
colto da ictus cerebrale e perse l'uso della parola. La crisi si protrasse per
alcuni giorni, ma sopravvenute complicazioni bronchiali gli impedirono di
superarla. Si spense all'alba del 3 novembre. Aveva settantacinque anni.
Le CONFERENZE SULLO SPIRITO SALESIANO sono un frammento
molto modesto, che ci presenta efficacemente, accanto all'opera dello studioso
e dell'erudito, il versante non secondario, ma diffìcilmente documentabile
dell'attività di un Don Caviglia predicatore.
Si tratta di una serie di conferenze dettate durante gli Esercizi Spirituali dei
confratelli salesiani. Furono trascritte stenograficamente da qualcuno degli
uditori e mai riviste dall'Autore. Conservano quindi la vivacità e la spontaneità
tutta bonaria del suo stile oratorio immediato, condito di espressioni argute e
frasi dialettali.
Le prime dodici conferenze furono tenute ai giovani salesiani dello
Studentato teologico di Chieri durante un corso di esercizi spirituali (25 giugno
- 2 luglio 1938) che terminò con le professioni religiose e l'ordinazione di
ventuno sacerdoti e ventiquattro suddiaconi. Secondo lo schema del tempo i
predicatori furono due: Don Caviglia per le istruzioni e Don Casale per le
meditazioni. In questo contesto comprendiamo anche il motivo delle tematiche
scelte e il tono dell'esposizione (le istruzioni avevano in genere un carattere più
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discorsivo e sereno rispetto alle meditazioni).
Dagli argomenti e dalla successione delle idee espresse nelle altre sette
conferenze deduciamo che gli appunti e lo schema di riferimento utilizzati da
Don Caviglia furono gli stessi. Tuttavia l'emergere di una serie di spunti
originali determinò i curatori della prima edizione a riportarle per disteso. Le
conferenze XIII-XVI sono tratte dalle istruzioni tenute agli esercizi di Gualdo
Tadino (agosto 1937), mentre le ultime tre furono predicate durante gli esercizi
di Roma (marzo 1938).
Ci troviamo di fronte ad un documento di indubbio valore e notevole
interesse che riporta, in tutta la sua freschezza, lo spirito vivace e profondo di
un testimone della prima generazione salesiana. È, inoltre, la testimonianza di
chi all'esperienza delle origini e alla conoscenza personale di Don Bosco
affiancò lunghi anni di studio appassionato e competente sulla figura e le opere
del Santo.
Le Conferenze di Don Caviglia, dattiloscritte e litografate negli Studentati
teologici della Crocetta (la ed. 1949; 2a ed. 1953) e di Bollengo (1949),
alimentarono la riflessione e la meditazione di tanti giovani salesiani, che ne
fecero un punto di riferimento per la loro identità spirituale. La presenza in tali
Studentati di un numero considerevole di confratelli provenienti da varie
nazioni favorì una diffusione internazionale delle Conferenze, specialmente
nelle case di formazione. Possiamo quindi supporre che esse abbiano avuto un
ruolo non trascurabile nel consolidamento del senso di appartenenza e nella
diffusione e focalizzazione di valori fisionomici comuni nella Congregazione
salesiana.
La consapevolezza di trovarsi di fronte ad uno dei primi e più singolari
tentativi di sistemazione degli elementi caratterizzanti dello Spirito salesiano e
la difficoltà a reperire le antiche edizioni litografate ha determinato il Centro
Mariano Salesiano di Valdocco e l'Istituto Internazionale Don Bosco - Crocetta
a curare questa nuova edizione e stampa. Il documento è rispettato nella sua
originalità con la semplice aggiunta, dove lo si è ritenuto necessario, della
traduzione di citazioni latine.
Ci auguriamo che una più ampia diffusione delle Conferenze favorisca,
presso le nuove generazioni salesiane, un maggior interesse per i valori
irrinunciabili del nostro spirito, un crescente entusiasmo operativo e una
sempre fresca creatività al servizio della missione educativa e pastorale, sulla
scia di Don Bosco e dei suoi migliori discepoli.
Torino, 24 maggio 1985.
ALDO GIRAUDO
Bibliografia
- Bollettino Salesiano 67 (1943) 11, p. 182.
- Salesianum 6 (1944) 1-2, pp. 5-6.
- E. VALENTINI, Caviglia sac. Alberto, scrittore, in Dizionario biografico dei salesiani,
Torino, Ufficio Stampa Salesiano, 1969, pp. 76-78.
- G. ZANDONELLA, Sac. Alberto Caviglia. Necrologio, Torino, Collegio S. Giovanni
Evangelista, 10 novembre 1943.
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PARTE PRIMA
CONFERENZE I-XII
(Chieri, 25 giugno - 2 luglio 1938)
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I. SPIRITO SALESIANO
Quapropter magis satagite, ut per bona opera certam
vestram vocationem et electionem faciatis. (Quindi, fra-
telli, cercate di rendere sempre più sicura la vostra voca-
zione e la vostra elezione con le buone opere. 2 Pt 1,10).
È il testo citato da Don Bosco come fondamento alle sue istruzioni tenute
ai chierici ordinandi ed ordinati negli Esercizi di Trofarello del 1868 e ripetute
ancora altra volta a Trofarello nel settembre dell'anno successivo; un'altra volta
ancora nella sua circolare latina dell'8-XI 1-1880; e questa medesima idea
completava con un altro testo: «Maneamus in vocatione in qua vocati sumus»
(Restiamo saldi nella vocazione nella quale siamo stati chiamati), che è un
adattamento del testo preso dalla prima lettera ai Corinzi 7,20: «Unusquisque
in qua vocatione vocatus est, in ea permaneat» (Ciascuno rimanga nella
situazione in cui era quando è stato chiamato).
Testo scritturistico quindi caro a Don Bosco e da lui più volte citato... Io,
che sono un povero salesiano e che parlo da salesiano, rivolgo a voi queste
parole perché costituiscono la direttiva spirituale che vi deve guidare come
salesiani e come chierici studenti aspiranti al Sacerdozio. La materia che
tratterò sarà adattata per voi e studiata solo per voi, studiata per i chierici
religiosi, salesiani, prossimi al Sacerdozio, assommando ogni cosa nel concetto
unico della salesianità.
Noi dobbiamo vedere tutte le cose secondo Don Bosco. Nella mia lunga
vita di salesiano e nei miei studi personali mi sono convinto che per noi
salesiani non deve esserci altra direzione nel lavoro spirituale, altro testo sul
quale fondarci per dirigere le nostre idee, se non la figura, le parole, le
tradizioni di Don Bosco. Don Bosco non è solo un esempio da citare, ma il
nostro modello, il nostro maestro, il nostro tipo; dev'essere il nostro testo, non
perché semplicemente, essendo salesiani, abbiamo come Fondatore S.
Giovanni Bosco, ma perché la Chiesa, canonizzando Don Bosco, ha inteso
canonizzare lo spirito con il quale si è fatto santo: questa forma di vita è
precisamente quella che ci ha lasciato come esempio e tradizione e che forma
la nostra eredità, la nostra direttiva. Noi non dobbiamo andare a cercare nelle
biblioteche nessun altro tipo: la nostra serie di volumi ha un solo nome: Don
Bosco! Questo non è feticismo, ma dovere; c'è la parola infallibile della
Chiesa; l'autore dell'«Ami du Clergé» dice che quando si fanno beati, si può
discutere se entra la infallibilità, ma quando si tratta di canonizzazione, più
cattedra di quella di S. Pietro non c'è; è una infallibilità categorica, c'è di
mezzo l'infallibilità della Chiesa stessa che dice Don Bosco santo, il nostro
santo, perché è vissuto così, e noi dobbiamo vivere come è vissuto lui, vivere
la sua tradizione, la sua vita stessa, facendo come egli ci ha insegnato. Secondo
questo testo viviamo la nostra vocazione e saremo sicuri di farci santi.
Ho detto questo perché tutto il mio parlare avrà una specie di monotonia
facendo sempre capo ad uno stesso nome; tutto il nostro lavoro deve essere in
noi la costruzione, il perfezionamento o finitura della salesianità, che consiste
in questa semplice teoria: Don Bosco ha voluto così, ha fatto così, ha
insegnato così, è vissuto così; ed io per essere salesiano di Don Bosco, devo
essere così; e tutte le nostre considerazioni termineranno con altrettanti «così»,
i miei discorsi devono essere 12 «così» di Don Bosco ed ultimo sarà: «eja,
eja... così!».
«Quapropter magis satagite, ut per bona opera certam vestram
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vocationem et electionem faciatis» (Quindi cercate di rendere sempre più
sicura la vostra vocazione e la vostra elezione con le buone opere). Se Don
Bosco fosse qui al mio posto, si toglierebbe la berretta, se la rimetterebbe e
comincerebbe così: «Quindi...» perché questo è il pensiero suo per i chierici
ordinandi, perché l'idea di Don Bosco è che la direzione del lavoro spirituale
dev'essere rivolto ad assicurare la nostra vocazione e la nostra elezione
mediante le buone opere, mediante un giusto e santo tenore di vita. Ecco il
concetto di Don Bosco: «Noi salesiani abbiamo una vocazione ed una
elezione»; ossia, tutti diciamo di avere una vocazione, e noi salesiani, chiamati
alla vita chiericale, abbiamo una vocazione speciale, oltre quella comune a
tutti, quindi il testo scritturistico può essere compreso in quanto si allude alla
nostra vocazione generica e specifica che è vocazione superiore ed una scelta;
siamo dei salesiani scelti, abbiamo una distinzione; il lavoro d'imboscamento
che intendo fare durante questi esercizi s'incomincia quindi anche a sentire
nell'uso dei testi. Le nostre non sono due vocazioni, ma una nell'altra, una è
appoggio dell'altra: essere sacerdoti è culmine della salesianità, essere salesiani
è mezzo pratico per essere buoni sacerdoti. Non si può essere buoni salesiani e
cattivi preti, né buoni preti e cattivi salesiani. Non si può, perché la nostra vita
non è una qualunque vita, ma è vita del buon salesiano; il nostro destino è stato
ordinato al destino dei sacerdoti. Don Bosco è uno solo, tutto d'un pezzo: è un
santo salesiano e sacerdote, è un sacerdote e salesiano.
È indispensabile essere buoni salesiani quali ci pensò e volle Don Bosco
per essere e riuscire buoni sacerdoti come fu Don Bosco e come ci avrebbe
voluto, come d'altronde nel mondo un sacerdote non può dispensarsi di essere
un galantuomo ed un buon cristiano.
Il decalogo salesiano
Come Don Bosco voleva i suoi salesiani? Ecco:
Chi non vuol lavorare, non è salesiano.
Chi non è temperante, non è salesiano.
Chi non è povero in pratica, non è salesiano.
Chi non ha cuore, non è salesiano.
Chi non ha purezza, non è salesiano.
Chi è indocile e libertino, non è salesiano.
Chi non è mortificato, non è salesiano.
Chi non ha retta intenzione, non è salesiano.
Chi non ha un'anima eucaristica, non è salesiano.
Chi non ha divozione mariana, non è salesiano.
Voltate la formula al positivo e voi avrete il Decalogo del salesiano.
Il buono spirito salesiano
Chi è il salesiano di buono spirito? La parola: «buono spirito» serve per
distinguere i veri religiosi dai mestieranti di convento e della vita religiosa. Il
vero religioso ha buono spirito, il mestierante di dozzina è quello contro cui
combattono il Gasquet ed il Maurin, benedettino. Il buono spirito distingue il
buon religioso che penetra a fondo lo spirito e la tradizione del proprio istituto
e non guarda solamente al meccanismo esteriore del mestierante, che non ti
sbaglia una regola ma ti lascia bruciare la casa!
Il buono spirito è dato dalla tradizione del proprio istituto: spirito nel
senso di tradizione è vivere le opere secondo lo spirito e la tradizione.
Come si mostra nella nostra pratica di poveri salesiani? Si mostra nel-
l'affezione, nell'interesse alle cose della Congregazione, interesse anche per le
cose esteriori e materiali. Ci s'interessa delle cose della casa, ci si sente tutti
salesiani in questo spirito di solidarietà così prezioso per cui Don Bosco
scrive la sua lettera inedita del 1885. Si mostra con la dirittura dell'intenzione,
che ricerca il bene per il bene e non per egoismo e per sete di onore. Cerca
unicamente la gloria di Dio (questo costituisce il primo punto di quella
famosa circolare).
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Dimostra disinteresse e sacrificio personale, che è contro al quaerunt
quae sua sunt(Cercano il proprio interesse). Non si mette in vista né cerca di
piacere, non lavora per la carriera, non cerca di tenersi indietro o scusarsi per
non far niente, ma lavora con zelo. Il Papa dice: spirito di nobile precisione,
impegno nel lavoro, spirito di lavoro, cura del lavoro, ricerca del lavoro. Non
rifiuta nulla, non si lagna continuamente: il giovane professore che dopo due
ore di scuola si mostra vittima del lavoro, non ha buono spirito. Il lamentarsi
troppo non è spirito salesiano, mentre invece è buono spirito l'osservanza
semplice, cordiale e non paurosa, sincera e volonterosa del Regolamento. È
buono spirito di semplicità dei costumi, la pratica della povertà nel tenore di
vita, il contentarsi di tutto, specie negli apprestamenti di tavola. È bontà e
tolleranza; è l'obsecro vos ut digne ambuletis vocationem, in qua vocati estis,
cum omni humilitate et mansuetudine, cum patientia, supportantes invicem in
cantate, solliciti servare unitatem spiritus in v'inculo pacis(Vi esorto a
comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni
umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore,
cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace
Ef 4,1-3).
Spirito di bontà, di tolleranza ed unione, come scrive Don Bosco nella
seconda parte della sua lettera. D. Cagherò insisteva sempre su questo tasto;
docilità che è contraria alla mormorazione, che è ubbidienza, mortificazione,
temperanza, è il saper vivere senza tante cose. Tutto il contrario è la mancanza
del buono spirito: regno dell'ozio, della gola, della mormorazione, dell'egoismo
personale, dell'apatia, del disfattismo, che vede male ovunque;
dell'inosservanza, della discordia, della mondanità, della perdita di tempo;
soprattutto del bisogno di eccezioni; quando un salesiano ha continuamente
bisogno di eccezioni (e si potrebbe chiamare il «signor Ma Lui…») non ha
buono spirito. Il Card. Cagherò aveva questa formula: «Il buon salesiano esce
di rado, vive ritirato, mangia poco, lavora molto, s'alza presto, osserva la
regola, vuole bene a tutti, prega spesso, è sincero». Il profilo salesiano
presentato mediante antitesi, è tale che nessun ordine religioso lo può attribuire
a se stesso. Il salesiano è austero ed allegro; è divoto e disinvolto; è esatto e
libero di spirito; laborioso e disinteressato; modesto e intraprendente; casto e
sa trattare; prudente e schietto; umile e coraggioso; bonario e sa essere eroico;
povero e fa la carità; amorevole con tutti e dignitoso; temperante e discreto;
docile e zelante; schietto e rispettoso; studioso e versatile. 15 antinomie che
fanno del salesiano un tipo tutto caratteristico e invidiato dagli altri. Il
salesiano è la negazione di ciò che è posa, doppiezza, ricercatezza, egoismo,
bene stare, comodità, gola, accidia. Don Bosco è nato con 4 cose in testa che
gli ripugnavano: l'aveva con l'ozio, l'intemperanza, l'immodestia, la
mormorazione. Tre per natura e una gli si era aggiunta per esperienza. Molto
caratteristico è un motto del card. Cagherò: Poltroni, mangioni, testoni e
sornioni non fanno per Don Bosco e Don Bosco non li vuole.
Ho trattato così l'argomento, perché il chierico studente rischia di
dimenticare la vita essenziale, pratica e di vivere solo per i suoi studi e la
disciplina, trasportando tutto nel mondo dei suoi libri e dimenticando il resto,
in modo che quando dovrà tornare al lavoro, bisognerà che si rifaccia da capo:
allora, rifacciamoci subito!
Ut per bona opera certam vestram vocationem ed electìonem faciatis
(Cercate di rendere sempre più sicura la vostra vocazione e la vostra elezione
con le opere buone). Per essere sacerdoti come Don Bosco, studiamo di essere
buoni salesiani come Don Bosco ci ha voluti, ed allora faremo certa la nostra
vocazione e ci renderemo degni di elezione.
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II. DON BOSCO CHIERICO
Emitte lucem tuam et veritatem tuam, ipsa me
deduxerunt et adduxerunt in tabernacula tua. Et introibo
ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam.
(Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi,
mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore. Verrò
all'altare di Dio, al Dio che rallegra la mia giovinezza. Sai
42,3-4).
È questa la preghiera pel giovane chiamato al monte santo del sacerdozio.
La sua giovinezza s'illumina di questa visione radiosa, di questa aspirazione e
protezione dello spirito: accostarsi al monte santo, al Dio che letifica la sua
giovinezza.
Per noi anziani è caparra di giovinezza nello spirito, ove non si deve mai
invecchiare; per voi giovani quest'idea è meravigliosamente adattata e deve
illuminare tutta la vostra gioventù; specialmente nel giorno del dubbio e della
tristezza dite: Emitte lucem tuam...(Manda la tua luce...).
Il giovane salesiano che da vicino o da lontano si prepara a divenire
sacerdote, non può stare incerto sulla via da seguire. Questa luce, questa fedeltà
ci è già assegnata perché siamo salesiani ed abbiamo per modello un santo, il
santo destinato proprio per lui dalla divina Provvidenza come guida e modello.
Se per tutti i salesiani Don Bosco è guida, modello, Maestro nella vita dello
spirito, tanto più è a dirsi per questo giovane e per questo periodo della vita.
Qui a Chieri si deve avere la sensazione della vita di Don Bosco, perché
egli è vissuto in questo clima, ha percorso queste vie, e noi dobbiamo vedere il
chierico Bosco coi capelli ricciuti che cammina coi suoi amici: Comollo,
Garigliano, Giacomelli. Ogni giovane salesiano non può essere incerto sulla sua
vita, avendo avanti Don Bosco. Noi dobbiamo avere un'unica aspirazione:
divenire preti come era prete Don Bosco, quindi essere chierici come era
chierico Don Bosco.
Don Bosco prete non è un sacerdote dell'ultima ora, che si dà al sacerdozio
dopo aver avuto un'altra vita, come avvenne per tanti altri; Don Bosco ancora
giovinetto sentì ed espresse la sua vocazione chiaramente: divenire sacerdote
per darsi cura della gioventù: Voglio studiare per farmi prete e mettermi a far
del bene a questi miei compagni, che non sono cattivi, ma stanno per
diventarlo, perché nessuno ha cura di loro(MB, I). Prepararsi per essere buon
sacerdote è dovere di qualunque chierico; essere sacerdoti come Don Bosco è
dovere dei chierici salesiani.
Tutta la gioventù di Don Bosco è una preparazione assidua, consapevole,
voluta al sacerdozio. Questo ragazzo ha sentito dai primi momenti l'aspirazione
ad essere sacerdote ed ha ordinato tutta la sua sistemazione morale all'idea di
divenire prete e di dedicarsi alla gioventù. A 9 anni ha un sogno dove è
implicitamente inclusa l'idea che ha bisogno di un ministero per far del bene a
quei giovani, per quanto non sia ancora adombrata l'idea del sacerdozio.
Da quando si diede allo studio del latino, per tutto il tempo di ginnasio, ove
fece gli studi pubblici regolari, dal 3 novembre 1835, in cui entrò nel seminario,
sino al 25 maggio 1841, quando partì per Torino per fare gli Esercizi spirituali
ed essere consacrato sacerdote il 6 giugno, fino a questo momento ha sempre
vissuto l'idea concentrata in un unico punto: prepararsi per essere sacerdote, per
essere un vero e buon sacerdote. La vita del chierico che deve essere vita di
santità, può e deve prendere come modello colui il quale ha pensato ad essere
un sacerdote, ma il sacerdote salesiano che ha già in germe la salesianità
integrale della sua vita.
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2.1 Page 11

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La santità di Don Bosco nel periodo del suo chiericato fu quella del
chierico santo con alcuni sintomi della sua futura vocazione, perché fin d'allora
si vedeva che inclinava verso la gioventù e passava per chierico santo. Alla fine
dei 6 anni di seminario (fu dispensato dal 7° per l'età), nello scrutinio finale ove
si registrano le qualità dei singoli e il cui verdetto è scritto nel registro che
esiste ancora, è detto: Chierico zelante e di buona riuscita. La santità non è
materia da registro, quindi non c'è di più. Parleranno di lui chierico santo i
compagni ed i superiori.
Nel voi. I (pagg. 516-517) su undici testimonianze, quattro parlano della
santità e della perfezione di Don Bosco. A pag. 504 sono riportate le parole del
Padre Felice Giordano, che scrisse la vita del chierico Burzio, e parlando del
piissimo sacerdote Bosco Giovanni, che gli aveva scritto una lettera sul
chierico Burzio, dice: Sembra che descriva se stesso.
Don Bosco riconosceva il bene che aveva ricevuto in seminario; ed egli
insisteva che il senso della riconoscenza e gratitudine è il sintomo migliore per
conoscere l'anima dei giovani; ed egli, vissuto 6 anni in seminario, quando
esce, dice: Io mi separai con dolore da quel luogo... dolorosa quella
separazione da un luogo ove ebbi la educazione alle scienze, allo spirito
ecclesiastico, ove ebbi tutte le prove di bontà e di affetto che si possono
desiderare; per questo quella separazione mi fu dolorosissima(MB. I, 68-69).
Quindi riconosceva che la vita di seminario gli aveva dato qualche cosa:
l'educazione del prete alle scienze, o quel qualche cosa che si chiama spirito
ecclesiastico. Ora l'averlo riconosciuto vuol dire che egli lo ha posseduto.
Tengo per certo che tutti coloro che mi ascoltano non lasceranno passare l'anno
senza fare assidua lettura sul chiericato di Don Bosco (pagg. 359-363). Leggete
ogni mese e ritenete quello che vi dice un umile salesiano: quella lettura vi
servirà di più che tutti gli esercizi spirituali; imparerete che cosa era il chierico
Bosco.
Il programma del chierico salesiano studente è di divenire un Don Bosco
prete, preparandosi con l'essere un Don Bosco chierico. Ora sentite che cosa
fece Don Bosco.
Il giorno della vestizione, fatta al paese, mamma Margherita, che non
sapeva leggere, chiama il suo figliuolo e gli dà due ammonimenti: 1°: Non è
l'abito che onora il tuo stato, ma la virtù. Guarda di non disonorarlo: piuttosto
lascialo stare. 2°: Abbi sempre divozione alla Madonna, sii tutto della
Madonna!.
Quando mette la veste formula due propositi: Abbandonare ogni di-
vertimento e dissipazione. Fuga e aborrimento di tutto ciò che può essere
pericoloso per la castità.
Entra in seminario, trova il Direttore spirituale, canonico Ternavasio, e gli
domanda: Come mi debbo regolare?” — Una cosa sola: l'esatto adempimento
dei vostri doveri . E Don Bosco se lo scrive e ricorda ancora dopo 50 anni.
Don Bosco aveva un altro modello: l'imitazione di Don Cafasso, che aveva
preso messa un anno prima (MB. I, 374-5).
Di Don Cafasso ha detto: Suo contrassegno era questo: le doti ordinarie
trafficate in grado eroico. E il 28 giugno 1860 nel panegirico del Cafasso, che
poi pubblicò, disse: Virtù straordinaria del Cafasso fu il praticare
costantemente e con fedeltà meravigliosa le virtù ordinarie.
Questo è il programma di tutta l'ascetica di S. Francesco di Sales e dei
grandi asceti. Questo è ciò che il Papa, il 9-VI-1933, disse parlando delle virtù
di Savio Domenico: Vivere la vita cristiana con spirito di nobile precisione.
Questo non è altro che il tema spirituale di Don Bosco nell'imitare il Cafasso.
Nella vita pratica di seminarista fa una scelta nelle amicizie; si costituisce
una quadruplice di santa politica di virtù fra Garigliano, Giacomelli, Comollo e
Bosco. Parlando sempre della Madonna e di Dio e gareggiando nell'essere i
migliori nello zelo, nello studio, nell'economia del tempo. Don Bosco è
conosciuto per l'economia del tempo (ritenete bene a mente che il sapere di
Don Bosco è tutto sapere rubato, acquistato a tempo perso. Il sapere salesiano è
tutto sapere rubato. Anche Don Bosco aveva la sua scuola regolare, eppure
quanto ha studiato! Tutti si meravigliano che Don Bosco avesse facilità nel
raccontare fatti e aneddoti, ma Don Bosco s'era letti i 30 volumi del Bercastel e
11

2.2 Page 12

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la storia del Cristianesimo).
Programma della quadruplice era: socievolezza, allegria, bonarietà, essere
compiacenti con tutti! E Don Bosco cuciva le scarpe, attaccava bottoni, faceva
la barba... e tutti lo cercavano per questo.
Nello studio non aspettava tutto dalla scuola e non era passivo (chi dice
basta non capisce: Don Bosco andava a fondo e cercava di assimilare le
cose).
Nota caratteristica della quadruplice era il bisogno della Comunione. Lotta
allora sostenuta nei seminari secondo l'uso gesuitico; al capo 32° del
Regolamento di S. Ignazio, si dice che gli scolastici devono andare una volta
sola alla settimana alla Comunione per non perdere tempo negli studi.
Altra caratteristica era l'amore ai giovani: nelle processioni Giovanni
Bosco era guardato dalla gente come il chierico ricciutoche voleva bene ai
loro ragazzi.
Tra il Comollo e il Bosco, vissuti tre anni insieme, vi era una gara di virtù.
Don Bosco ha detto di Comollo che gareggiavano nella mortificazione, ma
dice che pure egli non osava seguirlo. Numerose sono le massime che Don
Bosco ha imparato dal Comollo e che sono passate nell'uso della vita salesiana:
Fa molto chi fa poco, ma fa quel che deve fare” — “O parlare bene della
gente o tacere affatto.
Compostezza esterna: Comollo più grave insegnava a Don Bosco come
comportarsi; ed egli il 3-XII-1860 faceva ai chierici una conferenza sul modo
di diportarsi esternamente per mostrare la dignità della propria vocazione.
L'origine prima di questo insegnamento è l'amicizia con Comollo.
Il sentimento della Comunione era eccitato insieme correndo: il Comollo
era più agitato e faceva tremare il banco per la commozione; Don Bosco stava
composto, equilibrato, meditando in se stesso; fra loro si aiutavano nel lavoro
di autocorrezione e di reciproca correzione con l'indicarsi i difetti. Don Bosco
aveva il sangue che bolliva. Io ho conosciuto Don Bosco vecchio e santo,
eppure ricordo che nel 1886, mentre teneva un discorso per la professione
religiosa a San Benigno, ebbe uno scatto tale che se in via ordinaria si
mostrava calmo, era perché aveva della virtù. Fu il Comollo che gli insegnò a
frenare l'ira.
Nella Congregazione sono proibite le amicizie particolari, ma i superiori
permetteranno l'unione di due anime solo intese a progredire nel bene.
Tra gli altri compagni di Don Bosco vi era il Giacomelli, più tardi suo
confessore. Era entrato in seminario un anno dopo Don Bosco. Gli si avvicinò,
gli chiese come comportarsi: il nome di Gesù e della Madonna salva tutto. Tra
loro si forma il gruppo che parla di Dio e di Maria.
Così Don Bosco finisce gli anni di filosofia e di teologia; durante le
vacanze va a casa, frequenta la parrocchia del paese; e di quel tempo il
Teologo Cinzano, suo parroco, scrive: In questo chierico vedevo qualcosa di
straordinario. Notò la diligenza nelle funzioni, nella pietà, e quello che S.
Tommaso nella IIa-IIae, 166, VII chiama studiositas, ossia il bisogno di
studiare, la insaziabilità di imparare pensando al futuro.
; Don Bosco ha coltivato anche la cultura profana: conosceva tutti i classici
latini e italiani. Dopo il 2° anno di filosofia legge l'Imitazione di Cristo e
capisce la bellezza degli scrittori ecclesiastici.
Entra in teologia, che va dal 1837 al 1841, maturo di mente, carattere
arrotondato, affronta gli studi teologici con profondo desiderio di assimilarli.
Ai teologi della Crocetta il 6 giugno 1929 il Papa diceva: Niente teologia
senza ascetica, niente ascetica senza teologia. Don Bosco era ripugnante al
letteralismo.
In questo periodo Don Bosco impara da Comollo il segreto di pregare
senza distrazione: Come fai?” — “Colui che prega è come chi va dal re” —.
Don Bosco se lo scrive in un segnacolo nel Breviario e lo mantiene per tutta la
vita.
Durante lo studentato avviene una rivoluzione interna: nel 1839 predica a
Pasqua il Teologo Borei. Elettrizza i chierici; Don Bosco gli parla: Come fare
per conservare lo spirito della vocazione?. Il Teologo risponde: Con la
12

2.3 Page 13

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ritiratezza e la frequente Comunione si perfeziona e si conserva la vocazione e
si forma un vero ecclesiastico. Perfetto programma per chi deve ricevere gli
ordini.
Muore il Comollo nelle braccia di Don Bosco. E rimane a Don Bosco il
terrore del giudizio, tanto che è preso da una crisi di spavento e per 15 volte lo
devono sostenere e confortare. Dopo, una visione della Madonna, lo rassicura:
Sta' tranquillo, hai lavorato per il mio onore e sarai salvo. Ancora nell'ultimo
testamento a Don Bosco si presenta l'idea del giudizio di Dio.
Nell'ultimo anno domanda di essere dispensato dal 4° col permesso di dare
gli esami; durante le vacanze studia e si prepara, ed è sempre pronto a sostituire
chiunque nella predicazione: ed era ancora suddiacono!
Tornato in seminario lo fanno prefetto. Qui incontra il chierico Burzio, che
s'era posto per programma la pratica del dovere. Era definito da Don Bosco il
perfetto modello chiericale.
Ogni cosa era fatta con prontezza, con grazia, con ilarità, proprio come
dice il Papa: Spirito di nobile precisione. E Don Bosco dice che faceva tutto
bene, perché operava per coscienza non per costumanza, ma tutto con costanza
e desiderio, contento di andare in chiesa. Due oggetti della sua pietà: Gesù
Sacramentato e Maria Santissima.
13

2.4 Page 14

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III. SPIRITUALITÀ SALESIANA
Huius rei gratia flecto genua mea ad Patrem Domini
Nostri Iesu Christi, ex quo omnis paternitas in caelis et
in terra nominatur, ut det vobis secundum divitias
gloriae suae, virtute corroborari per spiritum eius in
interiorem hominem; Christum habitare per fidem in
cordibus vestris, in caritate radicati et fundati. (Per
questo io piego le ginocchia davanti al Padre del Signore
nostro Gesù Cristo, dal quale ogni paternità nei cieli e
sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la
ricchezza della sua gloria, di essere potentemente raf-
forzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo
abiti per la fede nei vostri cuori e così siate radicati e
fondati nella carità. Ef 3,14-17).
Tratto che si può dire preambolo di ogni studio di mistica; tratto il più
meraviglioso del Nuovo Testamento per le anime che aspirano a trovare la
sopraeminente scienza della carità di Cristo, come si legge nella Messa di s.
Francesco di Sales.
Riprendiamo il pensiero di ieri sera, affinché tutto sia collegato e perché
abbiamo sempre Don Bosco presente, perché, come diceva la B. Mazzarello:
«Possiamo vivere alla presenza di Dio e di Don Bosco».
Don Bosco, scrivendo la lettera per la vita del chierico Burzio, scrisse che
in questo chierico non si sarebbe potuto desiderare di più. Programma ottimo
per qualunque chierico. Questo giovane, dal quale non si poteva desiderare di
più si esprime con Don Bosco così: Desidero moltissimo di farmi sacerdote,
ma l'imbroglio sta che prima di essere prete bisogna che io diventi santo,
diventi santo, santo, santo!. Ecco il vostro programma, il vostro stemma,
l'ideale della vostra preparazione; la vita che conducete adesso è vita di
preparazione intellettuale, scientifica, preparazione morale di volontà, di virtù,
di allenamento dello spirito, perché arriviate al sacerdozio preparati. Essere
sacerdoti, sì, ma come? Diventando santi.
Lasciatemi giocare su questo termine: preparazione è il tema del discorso
che Pio XI il 17-6-1932 teneva ai suoi seminaristi di Roma insegnando loro
che la vita dev'essere preparazione: d'intelligenza, di sapere, di cognizione, di
preparazione morale e spirituale, di volontà e di santità. Perché cito questo nel
discorrere della preparazione? Perche in quel discorso, per mostrare ai suoi
giovani chierici in che modo dovevan prepararsi alla vita chiericale, per essere
un giorno dei sacerdoti ed apostoli d'azione, il Papa non ha voluto altro
esempio da portare che il nostro Don Bosco. I due terzi del suo discorso sono
dedicati a mostrare in che modo Don Bosco ha operato in sé la preparazione
intellettuale, scientifica, la preparazione dell'intelligenza e del sapere, e
soprattutto la preparazione della volontà e dello spirito. Ed allora ha
pronunciato delle parole classiche, epigrafiche, che vanno incise nel bronzo e
non mai dimenticate. Il Papa ha mostrato ai chierici suoi che per riuscire buoni
sacerdoti bisogna imparare da Don Bosco la vita interiore, bisogna copiare da
Don Bosco quello che fu più stupendo e meraviglioso nell'anima sua, l'abito
d'interiore e continua unione con Dio, l'assidua preghiera, l'essere
continuamente con Dio anche in mezzo al turbinio degli affari.
Il Santo Padre aveva potuto vedere Don Bosco da vicino, e vedere tutto
quello che non tutti avevano il piacere di vedere, anche tra i suoi figli (già
allora molti salesiani non capivano D. Bosco, ed era ancora vivo!). Aveva
visto la sua preparazione di santità, di virtù, di pietà, la sua vita di tutti i
momenti che era una immolazione continua di carità, un continuo
raccoglimento in preghiera. Ma ciò che si impresse più vivamente in lui era il
14

2.5 Page 15

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vedere un uomo che era attento a tutto quello che accadeva attorno a lui: c'era
gente che veniva da tutte le parti d'Europa, della Cina, dell'India, ed egli in
piedi, su due piedi, come fosse cosa d'un momento, sentiva tutti, afferrava
tutto, rispondeva a tutti e sempre in alto raccoglimento; si sarebbe detto che
non attendeva a niente di quello che gli stava attorno, si sarebbe detto che il
suo pensiero era altrove: era con Dio, nello spirito d'unione; ma poi, eccolo
rispondere a tutti: cosa che dapprima sorprendeva e poi meravigliava, era
questa vita di raccoglimento che il santo menava nelle ore notturne e diurne.
Avete sentito la parola del Papa su Don Bosco, quale lo ha capito lui. Don
Bosco aveva lo spirito altrove; è questa la meraviglia più grande che hanno
avuto coloro che studiarono Don Bosco per il processo di canonizzazione. Ciò
che fece meravigliare di più, fu la scoperta dell'incredibile lavoro di
costruzione dell'uomo interiore. Il Card. Salotti, il 20-VI-1914, riferendosi agli
studi che andava facendo, diceva al S. Padre che nello studiare i voluminosi
processi di Torino, più che la grandezza esteriore dell'opera sua colossale, lo
ha colpito la vita interiore dello spirito, da cui nacque e si alimentò tutto il
prodigioso apostolato del Ven. Don Bosco. Molti conoscono soltanto l'opera
esterna che sembra così rumorosa, ma ignorano in gran parte quell'edificio
sapiente, sublime di perfezione cristiana che egli aveva eretto pazientemente
nell'anima sua coll'esercitarsi ogni giorno, ogni ora nella virtù propria del suo
stato.
Ci occupiamo di spiritualità, di vita interiore: ora il lavorio esterno esiste
solo perché entro si lavora. Vi dico altre parole del Papa che se noi riuscissimo
a metterle in pratica saremmo dei buoni cristiani, salesiani e dei buoni preti:
La spiritualità, la visione ideale della vita nella continua unione con Dio,
apparve come il momento segreto di tutta la prodigiosa operosità di apostolato
operato da Don Bosco. Dal primo all'ultimo discorso, Pio XI sempre ha
insistito su questa sovrana caratteristica della sua santità. Sono le parole del
Papa: Il segreto di tutto quel meraviglioso lavoro, della straordinaria
esplosione, del grandioso successo che è nell'opera sua, si contiene appunto in
quella continua unione con Dio, non mai cessata, che faceva della vita sua una
continua preghiera(13-XI-1933).
Il 20-11-1927 tenne il primo discorso rivelatore che ha allargato il cuore a
noi salesiani che sapevamo esserci molta gente che non ci voleva bene. In quel
discorso diceva Don Bosco aver avuto lo spirito sempre altrove, sempre in
alto, ove era il sereno, l'imperturbabilità, la calma sempre dominatrice, sempre
sovrana, cosicché si avverava veramente in lui il grande principio della vita
cristiana: qui laborat orat(Chi lavora prega). Per questa specie di
coesistenza di due anime, il 17-VI-1932 il Papa pronuncia le parole che vi
sono citate e nello stesso tempo nel 1935, quando sanzionò i miracoli, dopo
aver tratteggiato tutta la grandiosità dell'opera e mostrato in sintesi oggettiva il
grandioso successo e il lavoro straordinario, passò a cercare le cause: donde
tutto questo?, e risponde: La chiave di questo magnifico mistero sta in
quell'incessante aspirazione a Dio, in quella continua preghiera, perché egli
identificò a pieno il lavoro e la preghiera.
Noi non dobbiamo pensare che Don Bosco attraversando il cortile recitasse
dei Pater e dei Rosari: io l'ho visto, gli ho baciato più volte la mano, ho avuto
più volte la sua mano sul capo, ho passeggiato con lui in cortile, e non diceva
sempre il Rosario con quel centinaio di ragazzi attorno! Eppure la sua anima
era lassù. Io l'ho conosciuto in quegli anni in cui l'ha visto anche don Achille
Ratti, eppure vedete cosa dice il Papa: L'unione con Dio non è bigotteria né
colletto tirato in su; era invece incessante aspirazione a Dio, era la continua
preghiera, perché egli identificava la preghiera con il lavoro. Tutto il segreto,
tutto il perché dell'azione, la caratteristica della santità di Don Bosco, sta nella
sua vita interiore, nella sua spiritualità. Noi pure impariamo questo COSÌ, e
l'averlo il Papa proposto a modello dei suoi seminaristi, dimostra che questo è
il requisito, l'elementare fattore indispensabile per ogni sacerdote; per essere
buoni sacerdoti bisogna avere questa vita interiore. Per noi poi ha un doppio
valore: come sacerdoti e come salesiani, perché noi dobbiamo dare alla nostra
vita il tono e la forma di Don Bosco.
Senza vera spiritualità di buona lega, senza vera vita interiore, non
15

2.6 Page 16

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saremmo mai quello che vogliamo essere né come salesiani né come sacerdoti.
Purtroppo forse molti si fanno la persuasione che la vita religiosa consista in
una superficialità o in una praticona come di una macchina automatica, che
produce da sola gli effetti esterni. Il superiore deve vigilare scrupolosamente
che si faccia l'esterno: la visita, l'esame di coscienza, il Rosario... La maggior
parte di noi pensa che è sufficiente questo meccanismo. Questo è la condotta
del soldato sempre sull'attenti; è un'idea troppo pericolosa e superficiale della
vita religiosa; invece S. Paolo dice: Flecto genua mea(piego le mie
ginocchia...). Convinciamoci che non può esservi nessun vero apostolato,
nessun uomo d'azione senza ricercare Gesù. Lacordaire cento anni fa
considerando che il clero francese faceva tanto e combinava poco, diceva: Il
nostro clero manca piuttosto di risorse interiori che non di sapere di dottrina
teologica e sociale, e per questo non combina niente. Lo Chautard dice di
peggio. Il Papa vi ha sempre insistito nei suoi discorsi del 9-VII-1933 e del 18-
11-1934. Don Bosco che combina col pensiero del Papa e degli asceti, dice
nella sua umiltà: Per essere utili alle anime dobbiamo prima di tutto lavorar
per farci santi noi. Altrimenti non può esistere la vita del religioso sia pure
laico. Ti sei fatto religioso per salvare l'anima tua: ora come lavori? Sei tu che
devi lavorare dentro, vivere con Dio. Scopo della nostra vita deve essere
appunto questa vita interiore. Ora la causa di insuccesso di tanti religiosi, come
si vede dalla loro grossolanità, sia di spirito che d'azione, sia dall'assenza dello
spirito del sacrifìcio, dal disamore di tutto, dall'istinto di ribellione e di
vendetta, dal poco frutto di tante pratiche religiose, tutto è qui: mancanza di
vita interiore.
Che cosa è vita interiore
Quale autore dà la definizione della vita interiore? Nessuno. Tutti la
suppongono. Noi possiamo dire che sia la vita di fede riflessa nella coscienza.
Oppure, con una definizione più facile, vivere ed agire consapevolmente per
motivo di fede, vivere perché l'anima vive con Dio, sentire Dio nell'anima,
continuamente avere il pensiero e la sensazione della presenza di Dio.
La vita interiore è possibile e necessaria a tutti
Qualcuno potrebbe esclamare: ma questa è roba da monaci! Il giorno
prima di venire a dettare gli esercizi ho chiuso la busta in cui avevo terminato
una parte del mio lavoro ch'è la ricostruzione della vita spirituale del pastorello
di Argenterà: Besucco Francesco, venuto da Don Bosco a soli tredici anni e
mezzo.
Questo povero fanciullo, guidato da un buon prete, ha delle manifestazioni
di vita interiore altissima: Io prego sempre, perché quando prego vedo il
Signore... Quando faccio la Comunione, dico: Parla TUl Quindi la interiorità
è possibile a tutti. È il santo dono entro di noi; che ci anima tutti, che ci fa
vivere per il Signore, ci fa sentire la sua presenza continuamente, come in Don
Bosco: Vedeva tutto, faceva tutto, ma il suo spirito era altrove. Ecco il
segreto dello sdoppiamento dell'anima di Don Bosco! Se riuscirai a praticare
questo, riuscirai santo anche tu. Non è mistica, ma vita che S, Paolo dà per tutti
i cristiani, che non vivono secondo la carne (2 Cor 2,12-15).
Mezzi pratici
Portiamo il generico al positivo. Due sono i grandi santi nel corso della
storia e che raccomando di leggere sempre: S. Paolo e S. Benedetto. Paolo
vuole dimostrare che dobbiamo santificare tutte le azioni della vita: Omne
quodcumque factiis in verbo, aut in opere, omnia in nomine Domini Iesu
Christi, gratias agentes Deo et Patri per ipsum(Tutto quello che fate in
parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per
mezzo di lui grazie a Dio Padre Col 3,17). E Don Bosco nella circolare inedita
del 1885 dice: L'unione tra di noi dev'essere l'unione degli spiriti, come deve
essere anche unione meccanica dell'amministrazione. Cerchiamo in tutto la
16

2.7 Page 17

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gloria di Dio... anche le cose comandate si facciano non perché comandate, ma
sempre per il principio della gloria di Dio. So benissimo che tutte queste cose
sono raccomandate dal Regolamento ma se non ci sforziamo ed accettiamo di
farle per un motivo soprannaturale, tutte queste cose vanno perdute.
Il Faber nel Progresso dell'anima (Torino, SEI, 1926; p. 24) ci dice che la
vita spirituale non consiste nel radunare un certo numero di divozioni, ma
consiste nell'elevare all'ordine soprannaturale ciò che ci tocca fare nella vita
comune. La lode che Don Bosco fa del Cafasso coincide appunto con questo
passo.
Come Don Bosco concepì la vita interiore
Don Bosco concepì la vita interiore in modo semplice: lavorare, fare tutto
per il Signore... pensare a salvare l'anima propria... Pensa che sei salesiano per
salvare l'anima tua (a d. Tomatis). Non è per lui una vita isolata, vita fatta tutta
all'ombra, non è vita scontrosa, non falsa pietà e bigotteria: Poltroni,
mangioni, testoni e sornioni Don Bosco non li vuole.
La vita spirituale non è un egoismo che vuole pensare solo a se stesso non
lavorando. La spiritualità salesiana non è quella che il Gasquet e il Faber
dicono l'errore più fatale della vita interiore: volere una vita tutta interiore. No,
la vita è un dovere esterno e perciò la spiritualità non consiste in certe
divozioni, ma nell'elevare all'ordine soprannaturale la vita comune. Quindi non
tanto fare le cose, ma nel modo di farle.
I nemici della vita interiore
Opposta alla vita interiore è la dissipazione spirituale, la profanità
mondana, il modo di parlare, di concepire, di diportarsi che sono laici. Gente
che ragiona con la mentalità del giornale; il punto di onore il risentimento... la
profanità mondana è diametralmente opposta alla spiritualità. Di più Don
Bosco vede un nemico anche nell'ozio e nella perdita di tempo, che egli
combatte perché portano la dissipazione del pensiero, allontanano dalla
presenza di Dio. Certi preti dissipati, gaudenti, prepotenti, egoisti, mangioni,
criticoni, petulanti non hanno spirito interiore, per non dir peggio.
Vi sono delle tentazioni specificatamente salesiane, derivanti dalla nostra
stessa vita di azione. Dobbiamo difenderci da 4 preconcetti contrastanti tra
loro e con la spiritualità della nostra vita.
1) La falsa libertà di spirito, la falsa disinvoltura che trascura le piccole
azioni non badando all'intenzione, e vivendo senza baciare a Dio; ha come
motto: Ma noi andiamo alla buona!.
2) Il conventualismo della falsa vita regolamentare abitudinaria propria
dei frati mestieranti, degli ordini stanchi; il frate è regolare e l'uomo non vale
niente. Quante volte si confessa il frate e non l'uomo! Costoro hanno per
formula: La regola e basta!. Sono figura di quelli che hanno avuto un talento
e lo hanno restituito.
3) Il faccendarismo. Faccendarismo che mira alla riuscita. Costoro hanno
per motto: Basta che vada, basta che si faccia!. Basta aver dei ragazzi, basta
che siano promossi, basta che vadano alla Comunione. Lo Chautard ha come
causa della mancaza della formazione cristiana il fatto che nei preti e negli
educatori manca la retta intenzione, la vita interiore, quindi non potranno
generare che delle forme di pietà superficiali senza potenti ideali, senza forti
convinzioni. All'esame non devi render conto solo degli esami dei ragazzi, ma
anche del tuo.
4) Il laicismo, l'attivismo, l'americanismo, la ricerca delle virtù esterne,
l'essere correttissimi esternamente e poi trascurare le virtù passive dell'umiltà,
della mortificazione, dell'ubbidienza. È vivere il commercialismo dell'azione
cristiana.
Conclusione
17

2.8 Page 18

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Ciò che disgusta di più S. Francesco e Don Bosco è il pietismo,
l'abitudinarismo, il ritualismo nella pratica delle virtù della religione. Don
Bosco controlla la pietà con l'azione; domanda se si accontentano degli
apprestamenti di tavola. Gli insinuanti, i maligni, i ghiottoni non li vuole.
Postulato della vita interiore è la preghiera. Il lavoro-preghiera. La preghiera è
un bisogno, sia preghiera mentale o orale, secondo le occasioni. È il cuore che
vibra continuamente in preghiera. Sono le vibrazioni molecolari del cuore che
manifestano il bisogno dell'anima. Quando c'è vita interiore, si sente il bisogno
del raccoglimento, si parla di Dio. Quante volte si parla ai ragazzi di sport e non
di Dio, perché non c'è nel cuore.
Don Bosco è un gran santo, immenso nel suo apostolato, ma il suo segreto
sta nell'assidua unione con Dio, perché accomunava il lavoro e la preghiera.
Questo agire di Don Bosco è quello che darà il senso alla nostra vita di
sacerdoti salesiani.
18

2.9 Page 19

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IV. AUSTERITÀ
Nos autem... sed in doctrina spiritus spiritualibus
spiritualia comparantes. (Di queste cose noi parliamo...
con un linguaggio insegnato dallo Spirito, esprimendo
cose spirituali in termini spirituali. 1 Cor 2,13).
Introduzione
Abbiamo parlato a lungo della spiritualità e della necessità di essere
spirituali, della nostra volontà di vivere spiritualmente coltivando la vita
interiore. In noi, tutto dev'essere condotto dallo spirito di fede; dobbiamo vivere
in modo che chi ci vede e vede le nostre opere deve riconoscere lo stampo di
Cristo. Facendo diversamente saremo degli uomini animali che non
percepiscono le cose celesti. È chiaro che l'uomo spirituale non può essere con
il mondo. Non dobbiamo nella nostra autoeducazione formarci e conformarci
con il mondo. Papini ha chiamato Cristo il capovolgitore, quando annunciò le 8
Beatitudini. Tutta la nostra vita è una rinuncia al mondo e alle cose che sono
nel mondo, poiché, dice S. Giovanni, tutto il mondo è appoggiato sul maligno,
è concupiscenza degli occhi, è concupiscenza della carne e superbia della vita.
Noi non dobbiamo amare il mondo, vi abbiamo rinunziato radicalmente nel
Battesimo. Quante cose bisogna togliere e distruggere di ciò che si ha nel
mondo! Il Faber ad una signora disse: Bisogna fare di voi come di una
macchina: smontarla pezzo a pezzo e poi rimontarla di nuovo. Oltre alla
rinunzia radicale del S. Battesimo, abbiamo fatto la rinunzia giuridicamente
riconosciuta dei santi Voti; quindi non apparteniamo più al mondo. La parola
mondosi trova 40 volte nel Nuovo Testamento; è una creazione di Cristo, ed
è sempre intesa come un sistema di idee, di passioni, di giudizi che sono fuori
di Dio, senza Dio, contro Dio, e servono a contentare la carnalità.
Ascetica salesiana
Il nostro tema è un tema forte, il tema dell'austerità. L'ascetica ha per suo
soggetto la rinuncia al mondo, la antimondanità, e strumento di questa
antimondanità è la mortificazione.
Non si può separarsi dal mondo senza fare un gesto che lo respinga, e
questo è appunto la mortificazione. Quindi la mortificazione è la ragione, lo
strumento dell'ascetica.
Ma noi siamo salesiani! Abbiamo da lavorare, abbiamo gli oratori festivi,
abbiamo da lavorare in mezzo ai ragazzi, assistere, studiare per conto nostro e
quindi, quindi non veniteci a parlare di ascetica. Hai fatto i tre voti e quindi
è impossibile non parlare di ascetica. Ma noi siamo gente alla buona, Don
Bosco non ha scritto nessun libro di ascetica, non ha tenuto nessun discorso di
questo genere . No, Don Bosco aveva un'ascetica; altrimenti non saremmo
religiosi. Solo che la ascetica sua è speciale per la vita religiosa del salesiano.
Gli altri religiosi vedendo il nostro modo di vivere, hanno sempre detto che non
si sentirebbero di vivere la nostra vita nonostante tutti i nostri sorrisi. In molti
conventi si sta meglio. Don Bosco è realista, semplificatore dell'ascetica:
Poche cose elementari, fatti sostanziosi e fatti sostanziali. Volete sentire una
sentenza ascetica che nessuno ha mai conosciuto e in cui si contiene tutta
l'ascetica di Don Bosco? Nel capo settimo della vita di Magone scrive:
Teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza. Fate la prova:
mettete un sassolino nella scarpa; è cosa da poco, ma portatela sempre e voi ve
19

2.10 Page 20

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ne accorgerete.
Ascetica alfcnsiana
Bisogna che facciamo una parentesi indispensabile per voi teologi che
presto dovrete dirigere gli altri. Don Bosco in tutte queste cose di ascetica
austera è discepolo di S. Alfonso. Non esce d'un dito dalla linea da lui tracciata
nella sua Prassi dei confessori. Cercate il paragrafo terzo della direzione
spirituale e nei numeri 145-147 che trattano della mortificazione, troverete alla
lettera le parole ed i concetti che Don Bosco ha pronunciato e seguito. Così
pure lo Scavini nella parte Ì/II ove tratta dei peccati in specie (ed. 1847) e vi
troverete la pagina che corrisponde alla lettera a ciò che Don Bosco ha detto e
fatto. Ora lo Scavini ha appunto scritto la Teologia Universale secondo la
mente di S. Alfonso.
L'ascetica Alfonsiana è appoggiata su tre punti fondamentali, riconosciuti
come sua scoperta.
1) La teoria del distacco: non mortificazione, ma distacco; di questo
mondo servirsene come se non se ne usasse.
2) Temperanza. Nel senso più largo della parola; non comodità, mo-
derazione, limitazione dei desideri, moderazione dei nostri sentimenti.
3) Pietà attiva. Ossia vita interiore, autocorrezione, presenza ed unione con
Dio nel lavoro e nell'esecuzione dei doveri del proprio stato.
L'ascetica Alfonsiana è dunque l'ascetica Boschiana o, meglio, l'ascetica
salesiana nel senso di Don Bosco.
Origine dell'ascetica salesiana
L'idea del prete e del religioso, quale lo vuole Don Bosco, è primieramente
un'idea di austerità e di mortificazione; idea di riservatezza, di ritiratezza, di
temperanza, di lavoro e di pazienza. Ora questa idea Don Bosco l'ha appresa
ancora ragazzo alla vista del Cafasso. L'ha perfezionata nel seminario
accomunando le idee con Luigi Comollo, solo che Don Bosco vi gettò dentro
l'elemento suo personale, vi inserì la letizia e la bontà verso i giovanetti.
Bisogna levarsi dalla mente che Don Bosco sia facilone, un uomo andante
che lascia correre, che si contenta del più grosso, che si eviti il peccato mortale,
che per lui generalmente si riduce al peccato di impurità. Don Bosco è buono,
indulgente, caritativo, ma è austero, altrimenti non sarebbe stato un fondatore.
Vi sono 12.800 pagine delle Memorie Biografiche che lo provano.
Mortificazione salesiana
Il principio della mortificazione in Don Bosco ha di mira due fini: 1°, la
difesa e la conservazione della castità. A questo si riducono tutti i mezzi
negativi che propone e che sono tutti mezzi di mortificazione. 2°, ha di mira
l'austerità nel tenor di vita, la mortificazione di fatto nella temperanza,
astinenza, sobrietà, la povertà individuale e collettiva, la antimondanità.
Tutta la vita del salesiano deve essere vita di mortificazione. Nel 1847 Don
Bosco ha un sogno in cui vede una torma di ragazzi da educare ed egli è
separato da essi da un campo di rose, fa la prova di passare senza scarpe ma
non vi riesce; deve subito calzarsi perché ci sono le spine, ossia i pericoli delle
affezioni sensibili, simpatie, antipatie, tutte cose che distolgono l'educatore dai
suoi fini.
Il pensiero di Don Bosco
Nell'agosto del 1846, durante la convalescenza, discute col Teologo
Cinzano su alcuni passi del Vangelo. Il teologo dice: Qui vult venire post me
abneget... tollat crucem suam et sequatur me(Chi vuole venire dietro di me
20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua). Invece Don Bosco
insiste: Tollat crucem suam quotidie et sequatur me (Prenda la sua croce
ogni giornoe mi segua Le 9,23). Vanno a vedere ed il Teologo deve dar
ragione a Don Bosco. Si tratta di mortificazione quotidiana e permanente.
Agli esercizi di Trofarello 1868 tiene una conferenza sulla mortificazione ai
suoi chierici ordinandi e ripete le parole dello Scavini. Negli esercizi di Lanzo
del 1875 viene fuori con 5 fughe, necessarie per osservare la castità. Nella
novena di Natale nella conferenza ai chierici per la difesa della vocazione,
parla di mezzi di mortificazione e tira fuori il famoso detto del Foresti:
Subtrahe ligna foco, si vis extinguere flammam(Togli la legna dal fuoco se
vuoi spegnere la fiamma). E nei celebri esercizi di Lanzo del 1876 tiene la
conferenza sulle vacanze in famiglia e altrettanto fa il 30-X. Le vacanze sono
per lui un terrore, l'officina di ogni male.
Negli esercizi di Lanzo del 1876 insiste perché si conservi il tenore di vita
tradizionale: Nulla si cambi! Qual era questa tradizione? Il Conte Cays stava in
una soffitta e mentre fuori c'era la neve, egli si scaldava con una coperta da
letto. Don Bosco era solito insistere: Quel giorno in cui fra noi saranno entrate
le comodità, le agiatezze, la Congregazione avrà compiuto il suo corso. Ed
ecco cosa erano queste comodità e agiatezze:
Don Bosco va a S. Benigno e vede alle finestre delle tendine: È un lusso.
Ma non sono necessarie per il dovuto decoro della casa? — “Il decoro del
salesiano è la povertà!.
Don Rua era ancora più rigoroso. Quando vedo certi preti i quali vengono
professori novelli ed hanno bisogno di chi scopi loro la stanza e faccia loro il
letto, che non sono mai contenti di nulla, né della mobilia né della tavola,
penso che se la Congregazione fosse formata solo da costoro, certo avrebbe già
finito il suo corso.
Saper star senza
In tutto quanto ci rimane dei discorsi di Don Bosco, si vede che il suo
pensiero dominante era la mortificazione, esattamente come in S. Alfonso. Non
prescrive mai né ai giovani né ai confratelli delle mortificazioni attive o
passive, afflittive o penitenziali; invece dappertutto essenzialmente inculca la
mortificazione estensiva, passiva, negativa; non mettersi nell'occasione, darsi
dei pugni, ma insegna a saper stare senza. Mortificazione dei sensi, pazienza,
temperanza, sopportarsi a vicenda, povertà. Nel volume IV delle M.B. dice che
domandato di poter fare delle penitenze, rispose: Vede, dei mezzi non le
mancano: il caldo, il freddo, le malattie, le persone, le cose, gli avvenimenti...
ce ne sono dei mezzi per vivere mortificati!.
Ai giovani non permette penitenza positiva; solo a Savio, Magone,
Besucco permette alcune volte di stare senza pietanza, merenda, di limitarsi
nella colazione e solo in certe circostanze.
Ai suoi figli non comanda penitenze disciplinari, ma lavoro, lavoro, lavoro:
ecco la mortificazione salesiana!
Mortificazione e temperanza
La temperanza o questione della gola è il punto fondamentale. Il nostro
stemma è: Lavoro e temperanza fanno fiorire la Congregazione. È questa
un'idiosincrasia di Don Bosco, l'odio contro l'immortificazione della gola. Non
parla né scrive mai sulla vita salesiana, sulla sorte futura della Congregazione,
sulla questione della castità, senza insistere sulla gola. Le citazioni sarebbero
infinite. Nel 1868 scrive: Quando sento di alcuno che cerca di fare
merenduole, che si esalta al pensiero di una buona bottiglia, ecco che io
mastico subito e prevedo grave rovina per quell'anima. Don Barberis il 3-IV-
1877 lasciò scritto: Tutte le volte che Don Bosco parla di questo argomento si
mette sopra pensiero e dice: Stai attento, quando uno si lascia dominare da
questo vizio, non c'è risoluzione o proponimento che tenga, è troppo difficile
emendarsi e con questo verranno delle miserie. S. Girolamo dice chiaro: Vino
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3.2 Page 22

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e castità non stanno insieme. Da Don Cafasso e da Don Guala ho imparato che
di quelli che si lasciano dominare dal vino, facessero anche miracoli, non
dobbiamo sperare alcun bene.
A questo si collega tutta la questione della castità. Discutendo sul
Regolamento Don Bosco fa grande insistenza sul mangiar carne e ber vino. Ed
insiste: Una delle prime cose, cosa più essenziale, è accontentarsi degli
apprestamenti di tavola. Così scrive del chierico Burzio, di Comollo, di Savio,
di Magone, di Besucco. E nel voi. I, 381, leggiamo: Don Bosco in seminario
era notato per questa stessa virtù.
Mortificazione dei sensi
Bisogna leggere il Giovane Provveduto per vedere quanto Don Bosco
scrive sulla curiosità, sulla riserva nel guardare, combatte la mortificazione dei
sentimenti, la comodità nel vivere, il piccolo lusso, la ricerca del bene stare, il
far bella figura nella capigliatura... questa è agiatezza, comodità, lusso e Don
Bosco è feroce. Nella Circolare inedita ha una sentenza terribile: Una veste,
un tozzo di pane devono bastare ad un religioso, il resto è agiatezza; quando
entreranno le agiatezze nella Congregazione, questa avrà finito il suo corso.
Nel sogno del 1876 vede il carro dei quattro chiodi che uccideranno lo
spirito della Congregazione. Il 14-VIII dello stesso anno parla in conversazione
di tre cose che gettano giù la Congregazione: l'ozio, il lavorare poco; la
ricercatezza ed abbondanza dei cibi, l'egoismo o la mormorazione, che per lui
erano la stessa cosa. A questo proposito conviene ricordare una sentenza del
Faber ne il Progresso dell'anima: Un'ultima debolezza che abbandona chi si
dà alla vita spirituale è la non mortificazione nel piacere del mangiare e di bere.
Quattro sorte di persone sono dedite alla ghiottoneria: i capitalisti perché hanno
soldi; i medici per influsso; i letterati per distrazione; i devoti ed i bigotti per
compenso.
S. Teresina nella sua semplicità santa dice che solo il cuoco può
distinguere i santi veri dai santi falsi. E S. Gregorio M. nei suoi Morali II, 27:
Il diavolo insorge più violentemente quando conosce che i custodi della
disciplina servono al ventre.
Il segno della croce salesiana
Vi voglio far un regalo: un nuovo segno di croce. Fate così: lavoro (porta la
mano alla fronte), temperanza (al petto), povertà, bontà, sacramenti e Maria. È
un segreto che nessuno conosce e che nessuno vi darà mai e che io non vi potrò
più dare perché un altro anno non ci sarò più.
L'esempio dei primi salesiani
Il capo che va da pagina 205-219 del volume IV delle M.B. è il capo della
mortificazione. È una cosa che sbalordisce quando là si legge: Mortificazione
nel vitto, nella camera, nel vestire, fame, sete; caldo, freddo; modo di
ingegnarsi per non farsi aiutare. Vorrei avere il tempo per commentare la
quantità e la incredibilità delle mortificazioni, dei sacrifici nascosti che si
praticano da tanti buoni salesiani, da buoni coadiutori, che sanno dissimulare
abitualmente le loro mortificazioni. Morto Don Fascie, gli trovarono un cilicio
di ferro, una bella fascia di maglie di acciaio cromato alta 16 centimetri, ove ad
ogni punto di maglia corrispondeva una puntina ben aguzza e sporgente e lo
aveva portato per due mesi consecutivi.
Ho ragione quando vorrei commentare le mortificazioni che ognuno sa
fare. Per me non concepisco la vita di un chierico che non ha la sua
mortificazione; ogni buon salesiano deve avere la sua mortificazione, il suo
libro, la sua devozione, altrimenti non potrà riuscire nel perfezionamento
dell'anima sua. Se nella Congregazione si conserva lo spirito di Don Bosco, se
la vediamo progredire meravigliosamente, si deve dire che l'ascetica di Don
Bosco è in pieno fiore. E di questo andiamone fieri.
22

3.3 Page 23

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V. L'OSSERVANZA
Il piano delle conferenze
Questi due giorni sono dedicati allo studio diretto della salesianità pratica,
della nostra vita di salesiani come religiosi. Nei primi due giorni abbiamo visto
la preparazione spirituale, negli ultimi due studieremo ciò che ci riguarda nel
meccanismo della nostra vita.
La regola - sua origine
«Regula dicitur ad hoc quod oboedientium dirigit mores» (È detta
«regola» per il motivo che dirige i costumi di coloro che obbediscono). Questo
è il motto scritto da S. Benedetto sotto la intestazione delle sue Regole. Egli
che ha creato la vita religiosa occidentale ed ha dato il concetto della vita
comune, ha creato il significato di questa parola. Regola presso i latini vuol
dire Riga; e il corpo delle sue norme le ha chiamate Regole appunto perché
devono essere come la riga che dirige i costumi di quelli che vi obbediscono.
Questa conferenza dev'essere chiamata dell'osservanza, appunto perché si
parlerà in modo speciale della regola. Parlo da salesiano a confratelli provetti e
non da canonista. Lascio quindi la catechesi solita a farsi sull'indole dei voti,
sul valore della Regola, perché tutti sapete ciò che ad ogni momento vi sentite
ripetere.
Don Bosco ha insegnato ad essere uomini di cose, e noi lasciamo la
catechesi per trattare subito ciò che a noi importa: l'aspetto spirituale, la
volontà di praticare ciò che dice la Regola.
Ciò che realmente importa quindi è l'osservanza. Non crediate che questa
sia una parola presa dai libri dei frati; no, è Don Bosco che la usa nei suoi
discorsi e nei suoi scritti. Nel 1879 chiudendo gli esercizi: Non voglio dirvi
tante cose, ma una sola: finché la Congregazione si terrà nell'osservanza delle
Regole, essa fiorirà: decadrà quando incomincerà a indebolirsi l'osservanza.
Utile digressione
Perdonate se insisto su Don Bosco, ma è perché anche a voi accadrà che
quando predicherete vi dimenticherete di essere salesiani, cercherete tutti i libri
di questo mondo e dimenticherete Don Bosco.
Nella musica si dà un tema, si svolge, vengono fuori i soggetti, i di-
vertimenti, la stretta finale, ma tutto nella tonalità nonostante le modulazioni e
le gradazioni. Se un passo è perfetto e fatto a dovere finisce con perorazione
finale e colla cadenza propria di questo tono. Or tutta la nostra predicazione,
tutte le nostre considerazioni girano tutte su un tema: Don Bosco. Questa è la
nostra tonalità: il pensiero e la pratica di Don Bosco. Le modulazioni e
divertimenti sono le cose che si dicono, ma anche queste, come la stretta finale,
si risolvono sempre nella stessa tonalità.
Le nostre prime regole
Don Bosco non aveva dato molte regole. Io ed i primi salesiani abbiamo
professato una regola molto più semplice e più corta; se vedeste i suoi abbozzi,
quelli dettati per presentare a Roma nel 1864 e 1868, sono una cosa molto
semplice; ma Don Bosco caldeggia sempre con raccomandazioni vivissime ed
anche con sogni l'osservanza delle Regole. Per virtù propria e per volontà di
mortificazione praticò egli stesso la povertà e la volle praticata dai suoi; così
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3.4 Page 24

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Don Bosco volle un'obbedienza cordiale, volonterosa, senza imperi dispotici,
assolutismi prepotenti... Vuole l'obbedienza come frutto d'una convinzione, di
persuasione, frutto di buona volontà. Leggete a questo proposito i suoi ricordi
confidenziali ai direttori ed il discorso di presentazione delle Regole; tutto ha
un'unica impronta: disciplina familiare. Le Regole stampate contengono
sempre appena il pensiero necessario, ma la materia non la si può codificare
tutta, quindi le Regole danno solo un'idea sommaria; l'applicazione, il com-
mento, le ingiunzioni del superiore sorpassano la lettera delle Regole, per cui
accanto alla materialità delle Regole dobbiamo stare anche alla tradizione.
Bisogna levarsi dalla mente un pensiero troppo benigno e pericoloso; che
cioè al tempo di Don Bosco non essendovi ancora tutto codificato, non
essendovi tutto questo sistema di ispettorie di gerarchie, tutti quei 501 e 502
del Codice ci fosse una disciplina dalla manica larga, di molta disinvoltura,
come se le cose andassero alla buona. No: Don Bosco è bonario, è santo, dolce,
amabile, ma la sua bontà e bonarietà, costituita una volta la Congregazione con
l'approvazione del 1869, diventano severe nell'esigere, rigide nella teoria; è
documentato. Don Bosco è poco conosciuto in questo campo, nonostante i 18
volumi che ce ne parlano.
Il 4.VI. 1879 un chierico gli scrive per chiedergli dei consigli e Don Bosco
gli risponde: Io non so come con un'obbedienza di questo genere, tenendo
alcune Lire in tasca, si possa fare la Comunione. È questa la storia!
L'idea di Don Bosco
Su questo punto Don Bosco ha le idee chiare di teologo e canonista. Nel
1869 tiene gli Esercizi ai chierici e a pochi confratelli ed aspiranti in
Trofarello. Siccome ai primi di marzo era uscito il decreto di approvazione
della Congregazione, ci tiene a dimostrare l'obbligo grave che riguarda i voti:
spiega chi può comandare in virtù del voto di obbedienza, chi non può; e le sue
parole coincidono perfettamente con quelle dell'odierno canone 501, 502. In
fine aggiunge che le Regole non obbligano sub gravi: Se qualcuno, dice, non
facesse la meditazione, la lettura spirituale, l'esame di coscienza, non recitasse
il Rosario, non facesse la visita, non osservasse il digiuno del venerdì... ne
sarebbe privato del merito, ma non commetterebbe peccato grave. Eppure
nonostante questo lo sentiamo ripetere con insistenza, quindi fulminare contro
l'inosservanza delle Regole e dei Regolamenti, perché l'obbedienza per lui era
una cosa sola, tutto per lui entrava nel IV comandamento.
Dovere sacrosanto
Non dobbiamo pensare che Don Bosco confonda la teologia e l'ascetica, o
parli per necessità opportunistiche; no, Don Bosco aveva un'idea chiara, ma se
insiste e fulmina nelle conferenze morali, è per la responsabilità di tutto un
edificio educativo. La cagione dello scandalo, del disordine, della
disorganizzazione, dell'indisciplina comune è tutta qui: nell'inosservanza.
Anche se in casi particolari non si riesce a vedere un'entità superiore al peccato
veniale, non dobbiamo credere che per questo non debba insistere.
Può un santo fondatore autorizzare un regime di peccato veniale?
Dell'inosservanza della Regola che porta alla rovina la Congregazione? Don
Bosco deve insistere e insistere per dovere di coscienza. E quindi quando
vedete che il vostro direttore vi piglia in disparte e vi dice parole sensibili per
una mancanza, quando i superiori vi richiamano all'ordine, non dovete mai
credere che abbiano qualche cosa contro di voi o che siano rigoristi, no; ma si
fanno scrupolo teologico di fare tutto il loro dovere, tanto che dopo non hanno
più niente contro di voi e sono buoni come prima. Voi mi insegnate col
Tanquerey alla mano e con tutti i teologi, dagli antichi sino a S. Alfonso, che
un superiore trascurerebbe il proprio dovere se mancasse di fare osservare le
Regole, di reprimere le trasgressioni leggere, quando tentano di diventare
frequenti; e cito le parole dello Schram, citato a sua volta dal Lugo: «È comune
sentenza dei teologi che il prelato pecca gravemente trascurando di correggere
i trasgressori del Regolamento quando per questo difetto l'osservanza regolare
si rilassasse».
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3.5 Page 25

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Don Bosco quindi per sua coscienza doveva insistere, fulminare, colpire
l'inosservanza in quanto poteva diventare seme di disordine e rovina.
Documenti eloquenti
Nelle conferenze dell'I 1-III-1869, il giorno dopo il decreto dell'ap-
provazione della Congregazione, radunò i confratelli dell'Oratorio e disse:
Adesso siamo approvati; tocca a noi essere buoni religiosi; dopo
l'approvazione delle Regole è necessaria la regolarità della vita comune. Pochi
giorni dopo tiene un'altra conferenza sull'umiltà dei fini e sull'osservanza
regolare.
Mentre nel 1874 si prepara a Roma l'approvazione delle Regole, Don
Bosco già fin dal 4-VI e dal 15-XI-1873 e febbraio 1874 promulga tre circolari
per preparare i confratelli. Nella prima circolare spiega le Regole in quanto
hanno valore spirituale e religioso. Nella seconda, minuziosamente pratica,
parla della disciplina e del modo di vivere conforme alle Regole e costumanze
dell'istituto. Disciplina che non deve essere sostenuta presso di noi mediante
castighi, ma insiste sul concetto che le Regole devono essere osservate da tutti
tanto dai superiori come dagli inferiori senza privilegiati; l'osservanza di questo
precetto è tale che da esso dipende il profitto morale e scientifico degli allievi o
la loro rovina.
Non osservanza della Regola per la Regola, ma per lo scopo, perché la sola
Regola fa il frate e non il religioso; ciò che fa il salesiano è il lavoro. Nella
terza parte parla del modo pratico di osservare le Regole e di conservare la
bella virtù. Nel 1876, ai direttori riuniti in capitolo, il 3 febbraio dice: Per
corrispondere bene alla Provvidenza bisogna eseguire bene le Regole, tenerci
fissi al codice che ci ha dato la Chiesa; non andare più alla patriarcale. Se
vogliamo diffondere il nostro spirito nel mondo teniamoci ben fissi alle
Regole». Orestano dice appunto che il più grande fenomeno spirituale del
secolo è la permeazione della salesianità nel mondo, e Don Bosco lo aveva
detto nel 1876. Il nostro Padre conclude appunto la sua conferenza coll'asserire
che l'osservanza delle Regole è l'unico mezzo perché possa perdurare la
Congregazione.
Nel 1884 emanava un'altra circolare sull'osservanza e raccomandava di
mirare in tutto lo scopo per il quale siamo religiosi: il bene della gioventù.
Quando poi sentirà fare dei ragionamenti puramente claustrali esclamerà: I
salesiani sono religiosi destinati al lavoro; il lavoro farà i salesiani. E
conclude: Recedendo dalla osservanza dei nostri Regolamenti noi facciamo
un furto al Signore, perché profaniamo, calpestiamo ciò che abbiamo messo
nelle sue mani. Ma costa fatica! Sì, costa fatica se si fa malvolentieri, ma noi ci
siamo fatti religiosi per godere o per patire e farci dei meriti? Non certo per
comandare, ma per obbedire, non per affezione delle persone, ma per esercitare
la carità; non per vivere agiatamente, ma per praticare la povertà di N.S.G.C..
Don Bosco parla chiaro.
Ostacolo: la mormorazione
Ora interessa a noi il controsoggetto; pur mantenendo il pedale costante su
Don Bosco, dobbiamo considerare il lato negativo, l'ostacolo da combattere.
Don Bosco vede nell'inosservanza, nello spirito di indipendenza, nella
indisciplina, nello spirito di insubordinazione la causa principale della rovina
della Congregazione. Di tutto questo egli trova origine in quella che chiama
spirito di riforma, ossia nella mormorazione, che s'identifica coll'egoismo
personale.
Quando dice mormorazione non intende le piccole lamentele o maldicenze
ma la critica alle disposizioni dei superiori, il disprezzo all'autorità, il criticare
continuamente ciò che i superiori fanno. Questa è mormorazione, lo spirito di
riforma che Don Bosco flagella e vede come uno spauracchio per la vita della
Congregazione.
In una conversazione del 14-VIII-1876, riferisce Don Vespignani, Don
Bosco dice che tre cose gettano giù la Congregazione: l'ozio, la ricercatezza ed
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3.6 Page 26

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abbondanza dei cibi e lo spirito di riforma o egoismo individuale o
mormorazione.
Il sogno del carro
Negli Esercizi di Lanzo del 1873 ebbe il famoso sogno del carro che durò
quattro notti diviso in quattro parti. Don Bosco vide un carrettone condotto da
bestie bruttissime che hanno scritto sui denti: Ozio, Gola. Il carro che trasporta
robaccia ha infìsso quattro chiodi con altrettanti cartelli recanti delle sentenze:
sono i quattro chiodi che affliggono o uccidono lo spirito della Congregazione.
1° chiodo: Quorum Deus venter est (Coloro che hanno per Dio il loro
stomaco).
2° chiodo: Quaerunt quae sua sunt (Cercano i propri comodi).
3° chiodo: Venenum aspidis (Veleno di vipera): Mormorazione, in-
sinuazione maligna.
4° chiodo: Cubiculum otiositatis (Stanza dell'ozio): la stanza del prete che
ha tanto da fare per poi far nulla; ha di tutto eccetto che i libri; fa di tutto ma
non fa niente perché non fa quel che deve fare.
Nel mezzo del carro in mezzo alla robaccia si trova un 5° cartello: Latet
anguis in herba (la serpe si nasconde nell'erba): vera peste della
Congregazione è il sornionismo, l'essere eternamente malcontento, mettimale,
gente coperta che manda tutto per l'aria.
La maledizione del padre
L'ultima circolare pubblicata dal lui nel 1886 era sulla mormorazione
contraria alla carità, odiosa a Dio, dannosa alla Congregazione.
Il 3-X-1886 Don Bosco ammalato e disfatto dalla malattia, aveva voluto
venire a S. Benigno per la professione e volle dare lui i ricordi.
10 gli ero vicino perché servivo da accolito e ricordo ancora oggi
quell'ora angosciosa, terribile. Don Bosco scatta, ha un incubo, è la
quasi maledizione di quel povero ammalato che si leva a stento a sedere
con uno sforzo della volontà che si protende nella persona e con mano
tremante inveisce contro lo spirito di critica che rovina la Congrega
zione... Non ha più potuto andare avanti perché il pianto gli ha troncato
la parola ed io ho sentito il vibrare del suo essere e le lacrime che gli
hanno troncato le parole.
Scena che abbiamo visto noi e della quale abbiamo riportato un'im-
pressione dolorosa. Mai avremmo potuto credere che il santo, il dolcissimo
Don Bosco, avesse avuto la forza di uno scatto simile.
11 sogno della filossera
Solo così noi comprenderemo quel famoso sogno della filossera fatto tra il
1/10-X-1876 durante la terza muta degli Esercizi di Lanzo.
Che cosa è la filossera? È una bestia che portata dal vento dove arriva
distrugge ogni cosa. Il vento della mormorazione porta lontano la filossera
della disobbedienza. Don Bosco domanda al suo mentore: Non c'è modo di
porvi rimedio?. La risposta della sua guida è tremenda: Le mezze misure non
bastano. Quando in una casa si manifesta la filossera della opposizione alle
disposizioni dei superiori, della non curanza superba delle Regole, del
disprezzo della obbligazione della vita comune, non bisogna temporeggiare.
Rigettala senza lasciarti vincere da perniciosa tolleranza. Persone di tale fatta
non cambiano, quindi è inutile ogni indulgenza, ogni speranza. È un sogno
che rispecchia completamente i suoi sentimenti.
Dalla cronaca di Don Barberis
Il 3-IV dell'anno dopo, Don Bosco fa a Don Barberis un ragionamento
consimile. La mormorazione una volta che sia entrata nella casa, manda tutto
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3.7 Page 27

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all'aria, manda tutto in rovina né c'è quasi a sperare più in bene. Unico mezzo è
di stroncare recisamente, bruscamente il ramo infetto. Bisogna che ci mettiamo
a poco a poco a imitare gli altri ordini religiosi allontanando chi ha magagne di
questo genere, senza aspettare ulteriormente che si corregga.
Conforto e monito
Consolatevi che casi da sradicare non ve ne sono. Ve lo garantisco io che
ho girato tutta l'Italia in questi ultimi anni. Noi davanti alla Chiesa siamo uno
degli ordini più disciplinati e più osservanti. La Chiesa ha dei salesiani questo
concetto. E noi vecchi sappiamo che è così. Ci può essere qualche membro da
rigettare. Troverete di quei tipacci che quando capitano in una casa, dopo due
mesi nulla va più bene; sono essi che hanno lavorato, che hanno messa la
discordia in mezzo agli altri insinuando la non curanza superba della Regola, il
disprezzo delle obbligazioni della vita comune, l'inosservanza e la ribellione
alla volontà del superiore.
Mi è accaduto che predicando in questo senso, essendo presente un
superiore del Capitolo, questi venne a dirmi: Bravo, ha toccato proprio un
punto vitale; in questa casa di filossera ce n'è non solo una ma due, ma la
filossera la manderemo a spasso.
Concludiamo con un respiro più alto. Abbiamo fede nella nostra Con-
gregazione, dato che passiamo per una delle Congregazioni più osservanti e
disciplinate.
Noi abbiamo visto lo sviluppo della Congregazione e possiamo dire che le
cose vanno bene, poiché Don Bosco nel 1869 aveva detto: La nostra
Congregazione fiorirà finché regnerà la disciplina, l'osservanza delle Regole.
Allora erano 3 case. Nel 1876 erano già 10, nel 1886 quasi 100 ed ora 1273. Se
andiamo avanti fra 50 anni saremo a 10.000. Allora erano 1040 confratelli, ora
siamo 12.000. Quindi la disciplina è fiorente, altrimenti l'Istituto sarebbe
decaduto. Appellatevi al vostro professore di storia: i fiorentissimi monasteri
sono caduti per terra proprio nelle province attorno al Papa per l'inosservanza
delle Regole; ricordate l'apologia di S. Bernardo contro il monastero di Cluny.
Nessuna eccezione
L'osservanza religiosa dev'estendersi a tutte le case. Il Card. Lépicier,
dell'Ordine dei Serviti, che è Decano della Congregazione dei Regolari, il 31-
XII-1931, emanava una disposizione con la quale ordinava ai religiosi che i
chierici e i preti giovani fossero assegnati alla casa ove vigesse la perfetta
osservanza, specie quanto alla vita comune ed alla povertà. Se noi salesiani
avessimo di queste case, staremmo freschi! Le Regole vanno osservate tutte e
da tutti; non vi siano eccezioni né privilegiati, altrimenti guai. Se il direttore
non fa il suo dovere, manca alla regola, non deve meravigliarsi se poi tutti gli
altri fanno lo stesso.
Osservanza volonterosa
Don Bosco voleva un motivo soprannaturale nell'osservanza della vita
religiosa. Voleva il nostro slancio; noi dobbiamo vivere divinamente. Via da
noi lo spirito farisaico, servile del religioso di mestiere, che osserverebbe una
tonnellata di regole per non avere un'oncia di lavoro da fare. Il nostro spirito
non è questo.
Guai a chi si volesse solo attenere alla teologia, perché finirebbe per non
far nulla. A forza di punti di teologia i Benedettini di Chatenaux con un
convento magnifico e un'osservanza esattissima uscivano i frati semplici con
tiro da due e l'abate da quattro. Vale la spesa farsi religiosi a questo modo?
Togliamo quindi l'idea che basta la regola. La regola va osservata perché
strumento di perfezione e quindi non è fine a se stessa. La regola ci fa religiosi,
ma non religiosi salesiani; non siamo salesiani per essere religiosi, ma siamo
religiosi per essere salesiani e ciò che ci fa salesiani è il lavoro. La regola ci fa
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3.8 Page 28

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frati, ma il lavoro ci fa salesiani. Il Papa non sa concepire i salesiani e le Figlie
di M.A. se non lavorano e lavorano molto.
Soprattutto dev'essere lo spirito di carità che ci unisce nel vincolo della
perfezione e ci slancia nelle vie dell'apostolato, e noi siamo religiosi appunto
per la conquista delle anime.
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3.9 Page 29

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VI. POVERTÀ
«Beati pauperes spiritu...» (Beati i poveri in spirito... Mt
5,3).
Lo spirito di povertà è quello che ci assicura il cielo. Il tema che ci pro-
poniamo è quello della nostra povertà, della povertà salesiana. A noi non
interessa la catechesi del voto o la infrazione del voto in senso teologico, ma ci
interessa la volontà di praticarla; dobbiamo ridestarne lo spirito non solo per
evitare il peccato, che non sempre è grave, ma per accendere in noi un
desiderio di essere poveri nello stretto senso canonico della parola, secondo lo
spirito della nostra Congregazione. Questa povertà si esplica non solo nel non
possedere e nel non amministrare, ma soprattutto nella volontà di essere
povero ossia voler vivere e diportarsi da povero. Povero personalmente,
accettando, cercando ciò che è effetto di povertà e non amandola in astratto,
ma in concreto.
Don Bosco a pag. 16 dei ricordi confidenziali ai direttori: Amiamo la
povertà ed i compagni della povertà, perché ciò che ci fa più danno sono gli
astratti. Tutti amano la gioventù, ma quando hanno 50 pulci tra i piedi li
manderebbero... a chi li ama di più. Il Vangelo non ha insegnato ad amare
l'umiltà, ma il prossimo, il singolo, individuo, particolare.
Così ci ha voluti Don Bosco. Poveri personalmente, accettando e
ricercando ciò che è effetto della povertà, amando il tenore della vita povera,
semplificando tutto quello che ci deve servire. Così deve essere povero chi
vuole vivere salesianamente la sua salesianità, ossia come è vissuto Don
Bosco.
L'idea classica di Don Bosco
La povertà in se stessa non ha valore intrinseco; il Signore la inculca solo
in quanto porta con sé un distacco dalla ricchezza. La povertà ha dunque solo
valore per il suo contenuto spirituale della mortificazione, del distacco. Tutta
l'ascetica di Don Bosco sulle tracce di quella Alfonsiana è ascetica del
distacco.
Per Don Bosco la povertà è una perfezione spirituale. Egli ha cominciato
dal niente, ha continuato tutta la vita nella povertà, è vissuto in maniera
esemplare ed eroica nella sua povertà personale. Mamma Margherita (proprio
da lei aveva attinto la sua perfezione) prima di morire gli faceva ancora delle
raccomandazioni su questo punto: Guarda di mostrare semplicità e povertà
nell'opera tua... nelle cose che farai cerca la gloria di Dio, ma bada che attorno
a te vi sono di quelli che vogliono la povertà solo per gli altri e non per se
stessi».
Averla nel cuore
C'è una massima di Don Bosco del 1858 che da sola vale un discorso: La
povertà bisogna averla nel cuore per praticarla. Magnifico è il libro che ha
scritto quest'anno il sig. Don Ricaldone, ma nonostante tutto quello che dice e
proibisce non otterrà nulla, se non l'avremo nel cuore.
Nel 1859 Don Bosco dice ad alcuni confratelli: Essere pochi e poveri non
è un impedimento: anzi grande impresa è la povertà: essa è la nostra fortuna,
una benedizione di Dio e noi dobbiamo pregare il Signore a volerci mantenere
sempre nella povertà volontaria. Dopo queste parole, ricorda come molti
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3.10 Page 30

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ordini religiosi decaddero, perché non seppero conservare il primitivo spirito
di povertà, mentre quelli che lo mantennero fiorirono meravigliosamente, per
es. i Cappuccini. Chi è povero pensa a Dio, quasi costretto dalla necessità.
Non è bella cosa essere obbligati a pensare a Dio?
La raccomandazione di Pio IX
La sera del 19-11-1863, giorno in cui le Congregazioni Romane ap-
provarono la nostra Congregazione, Don Bosco si trovò a colloquio con Pio
IX. Tra le altre cose il Papa disse: Badate di non accogliere nella vostra
Congregazione né ricchi né nobili e tenetevi sempre alla gioventù povera e
abbandonata, alle classi diseredate.
Agiatezze
In una conversazione del 14-VIII-1876, già ricordata, Don Bosco ricorda
tre cose che gettano giù lo spirito della Congregazione: l'ozio, la ricercatezza e
l'abbondanza dei cibi, l'egoismo e lo spirito di riforma o mormorazione, ed
aggiunge: Ma io vedo già entrare tra di noi una agiatezza che spaventa.
Forse alcuno aveva messo un tappeto sul tavolino e due sedie invece di una,
uno straccio alla finestra della soffitta, un paio di scarpe nuove un mese prima
di gettar via le vecchie... E l'anno prima aveva detto: In casa già si tende
all'agiatezza e per poco che si trascuri verrà subito qualche grave
inconveniente o qualche caso deplorevole. Santa esagerazione! Eppure tutti i
santi fondatori sono stati così.
Nell'inverno del 1880 va a S. Benigno, tiene una conferenza al personale
della casa e proibisce di fare i pastrani ai chierici: Costa troppo, il chierico
deve darsi da sé il calore. Con quel freddo, senza riscaldamento e senza
pastrano, eppure si stava bene! Quella volta alcuni gli dissero: Mettiamo
qualche cosa alle finestre” — “Questo è fare il signore. — “Ma un po' di
decoro... !». — “Il decoro dei salesiani è la povertà, ha risposto secco e
quando rispondeva secco era secco realmente, perché aveva una voce
squillante e parlava a denti stretti.
Carità e povertà
Don Bosco in questa materia è quasi feroce, eppure nel suo ultimo ha due
pagine meravigliose sul modo di trattare gli indisposti, gli ammalati, chi ha già
lavorato molto. Raccomanda di essere larghi con loro, purché non si faccia la
seconda tavola. Invece nel 1885 quando scrive la circolare, ha espressioni
come questa: Una veste, un tozzo di pane devono bastare per un religioso.
La povertà e la Provvidenza
Don Bosco sempre inculca di lavorare come fanno i poveri, lavorare per
renderci degni della Provvidenza, usare bene della carità che il mondo viene
facendoci. Questa è per lui un'idea costante, e nel 1885 inculca la povertà con
questa sentenza: Ricordiamoci che da questa osservanza dipende in massima
parte il benessere della Congregazione e dell'anima nostra. La Divina
Provvidenza ci ha finora aiutati e speriamo che seguiti ancora ad assisterci per
intercessione di Maria SS. che fu sempre nostra buona Madre; ma noi
dobbiamo avere ogni diligenza per fare buon uso ed economia di tutto quello
che non è strettamente necessario.
La suppellettile
Soprattutto aveva Don Bosco un timore speciale: che alcuno potesse dire:
Questa suppellettile non ha segno di povertà; questa mensa, questa abitazione
non è da povero. Nell'ultimo suo testamento del 1886 scrive: Chi porge
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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motivo ragionevole di fare questi discorsi cagiona un disastro alla
Congregazione. Sia sempre la nostra gloria la povertà. Guai a noi se coloro che
ci fanno la carità potranno dire che noi teniamo una vita più agiata della loro!».
Eppure alcune volte avrebbero ragione se entrassero nella camera di qualche
confratello.
Don Rua fu l'incarnazione della povertà salesiana, perché presentava Don
Bosco alla lettera. Nella sua circolare del 1885 conforme a quella del 1886
insiste anch'egli sulla mobilia e abitazione che non sono conformi allo spirito
di povertà.
Morto Don Bosco, un prete preso dalla giovinezza, si mise a fare il
signorino, la sua camera diventò un piccolo salotto. Don Rua avvisato, va a
trovarlo, guarda, riguarda, poi tentennando il capo: Non è mica da povero, è
roba da ricchi, la tua camera non è da povero. Dopo alcuni giorni vede un
carretto che trasporta un pianoforte: Dove lo portate?. — “Nella camera del
tale. — “Per adesso portatelo là, servirà nelle feste grandi quando si dovrà
cantare la romanza. E cambia casa all'individuo. Passato un certo tempo va a
fare visita a quella casa, e appena giunto: Conducimi nella tua stanza, voglio
vederla... Già, già, anche trasportarti non basta; guarda, questa roba non è da
povero: metti via questo tavolino...ed a forza di noe di metti viagli ha
spogliato la stanza.
Il testimonio di Don Bosco
Nel suo testamento l'ultima raccomandazione è: Amate la povertà se
volete far fiorire la Congregazione(M.B. XVIII, 271). Nella stessa pagina ha
ancora un'altra sentenza: Quando incominceranno tra noi le comodità e le
agiatezze la Congregazione avrà finito il suo tempo. Il mondo ci riceverà
sempre con piacere finché ci cureremo della salvezza della gioventù più
povera e più pericolante. Questa è la vera agiatezza che nessuno verrà mai a
rapirci. È il suo testamento! Possiamo dimenticarlo?
Saper star senza
Grande è la parola detta da Don Bosco nel 1858: La povertà bisogna
averla nel cuore per praticarla, bisogna tenerla davanti per comprenderne tutto
il segreto della pratica.
In pratica abbiamo bisogno di molte cose per l'esercizio della perfezione
propria del nostro Istituto; non apparteniamo all'Ordine mendicante e quindi
abbiamo edifizi e attrezzatura differenti. Ciò che è necessario od utile per
l'esercizio della nostra perfezione rientra nel riguardo della povertà; anzi Don
Bosco lo estende anche nel riguardo dell'età, del lavoro, della malattia; e
questo è già compreso nell'Epistola 2a di S. Pietro: Maxime qui laborat in
verbo Domini...(Specialmente colui che fatica nella parola del Signore...),
ma in qualunque posizione noi ci troviamo, per noi rimane sempre il principio
che è il segreto della nostra vita: L'amore alla semplicità, al tenore di vita
povera: saper star senza. Basterebbe questa frase per farci capire in pieno lo
spirito della nostra povertà.
Vari aspetti della povertà
Ci sono sei qualità di povertà: tre buone, tre non buone:
1) La povertà inculcata da N.S.G.C.;
2) La povertà di consiglio: Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che
hai;
3) La povertà di professione: non è altro che quella di consiglio praticata
nello stato religioso.
Ci sono poi tre aspetti non buoni, antireligiosi, rovinosi:
1) La povertà forzata di chi non è mai contento, piagnucola, si lamenta
sempre, non ne ha mai abbastanza; vogliono essere poveri a patto che non
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4.2 Page 32

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manchi loro mai nulla.
2) La povertà smentita con la immortificazione, colla mondanità, colla
ricerca delle delicatezze, l'abbondanza dei cibi. Povertà, ma con una casa ben
distinta e di lusso, tutto nuovo e della migliore qualità.
3) La povertà schernita, la beffa della povertà; la povertà di coloro che
vivono nella Congregazione ed applicano quello che dice S. Paolo:
Unusquisque habet suum(Ad ognuno il proprio), ossia han soldi in tasca;
prendono quello che dà la Congregazione e poi si arrotondano la vita con tutti i
conforti; hanno il denaro, lo spendono e poi lo dicono ancora in faccia:
Questo me lo pago io; questo alla Congregazione non costa niente perché me
lo hanno regalato. Bastano pochi di costoro per rovinare non solo una casa ma
tutta la Congregazione: sono schiaffi agli altri e invito a fare altrettanto e
purtroppo questi cattivi esempi vengono soprattutto dai preti. Attenzione!
La povertà salesiana
Prima di tutto rifugge dall’epicheia, dalla casistica colla quale rimane la
regola e se ne va il resto. Dobbiamo fuggire questo modo di agire, perché
altrimenti il coadiutore si ritiene quanto gli danno, il chierico quanto gli
viene dai parenti, il prete… Senza virtù non c’è povertà e Don Bosco non
distingue tra voto e virtù: la virtù della povertà bisogna averla nel cuore;
con un unico colpo comprende tutto. La povertà salesiana è tale che se uno
ha bisogno di qualche cosa prende la meno bella, il mobilio della materia
più comune… tra due cose sceglie sempre la più povera, quella che costa
di meno e che serve lo stesso senza avere aria di signorilità.
La vita del salesiano è una vita di terza classe; non solo sul treno, ma in
tutte le manifestazioni della vita. Una volta la terza classe era una stalla
ambulante, adesso è assai migliore, così esige la vita di oggi. Non
possiamo noi vivere nella uniformità conventuale dei religiosi della vita
penitente, ma dobbiamo vivere sempre in terza classe in modo che anche
gli altri lo capiscano; quindi via il lusso, via la ricercatezza, mondanità, via
la signorilità, la bellezza, l‘apparenza: queste cose vanno bene solo in
chiesa o nella camera degli ospiti.
Le eccezioni
Dobbiamo togliere da noi ogni particolarità: vi sono di quelli che non
vogliono assoggettarsi ad essere come gli altri. Sono generalmente dei bifolchi
arricchiti, dei paesani che vogliono far i signori, i pescecani: è gente che vive
di egoismo: quaerunt quae sua sunt (cercano il proprio interesse). Ce n'è
almeno uno per casa. Io domando se sia lecito che vi siano dei salesiani poveri
e dei poveri salesiani. Alcuni non vogliono essere poveri e così abbiamo dei
salesiani di prima, di seconda e di terza classe. No, tutti di terza e non avvenga
che dopo un mese dalla messa esploda l'uomo latente, l'uomo vero che non si
adatta alla vita comune, ricercato negli abiti e nel vestiario, nel mobilio e nella
camera, ed ha bisogno di farsi servire; in una parola vuol passare in seconda
classe. Come è brutto! Non lo dico più.
Non tenere danari
A pag. 13-14 dei suoi ricordi confidenziali Don Bosco parla del tenere
danaro presso di sé: «L'osservanza di questo articolo terrà lontano da noi la
peste più fatale per la Congregazione». Qui ci sono dei testimoni: Don
Olivazzo che ha vissuto ai miei tempi ed allora non si faceva questione se era
lecito o no andare alla Comunione con più che mezza Lira in tasca. Noi fummo
creati nel periodo della mezza lira. A quel chierico che richiedeva se poteva
tener qualche lira, Don Bosco rispose che non sapeva come si potesse andare
alla Comunione con una disubbidienza simile. Don Ubaldi che riceveva 40.000
Lire all'anno non teneva in tasca neppure i soldi per il tram; anche egli era stato
fabbricato ai tempi dei 10 soldi. Adesso purtroppo entrano di più i danari e coi
danari la mondanità, la ricerca del piacere; l'egoismo, la gelosia, si ricerca la
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4.3 Page 33

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roba da mangiare e da bere, nasce la disuguaglianza, entra la venalità: questi
ottiene tutti i servizi che vuole perché paga; entra... l'uscita di casa; l'andare a
divertirsi, speriamo... solo a bere la birra.
Don Bosco l'ha detto ben chiaro: è la rovina della Congregazione.
Conclusione
Il nostro stemma «Lavoro e Temperanza» include la povertà, perché il
povero necessariamente lavora ed è temperante. Ecco quindi che nel nostro
segno di croce abbiamo messo: lavoro, temperanza; povertà, bontà, sacramenti
e Maria.
Il nostro principio deve essere quello della semplicità, della antimondanità;
tutto ciò che è ricercato, lussuoso, particolare, deve essere escluso. Nel resto
andiamo avanti come insegnano i nostri superiori, come possiamo,
ricordandoci sempre che quando si viaggia in terza classe si arriva sempre
prima che non quelli di seconda e di prima, perché i carrozzoni sono più vicini
alla locomotiva, poiché Gesù ha detto: «Beati pauperes spiritu» (Beati i poveri
in spirito).
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4.4 Page 34

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VII. CASTITÀ
Conservarci casti e puri al cospetto di Dio (S.G. Cafasso).
«Conservarci casti e puri al cospetto di Dio» sono le parole costantemente
usate dal Santo Cafasso in questa materia, ed ereditate da Don Bosco, che
sempre si valse di questa espressione per indicare la direzione dello spirito su
questo tema. Tema delicatissimo per la nostra vita interna ed individuale; come
per la vita esterna per i nostri rapporti con il prossimo ed in particolare con ciò
che deve essere la materia del nostro lavoro, il materiale educativo nei rapporti
con la gioventù. Tema delicatissimo ed arduo e non sempre definibile nei
riguardi dell'individuo e della coscienza. Lascio a parte tutta la delicatissima
questione dell'ordinando di fronte a questa materia e ciò che è disposto per i
chierici nelle disposizioni della Santa Sede e delle Curie.
Chiaroveggenza di Don Bosco
Ho detto tema arduo e non sempre definibile, perché nella coscienza
umana c'è una parte inconoscibile anche all'individuo stesso. Alcuni poi
parlano dell'uomo senza considerare che ha i piedi in terra; altri invece lo
trattano come non avesse la testa in cielo.
Interessante sarebbe lo studio della psicofisiologia scientifica, ma noi
dobbiamo attenerci all'aspetto salesiano della materia, perché, se guardiamo
bene, questo è il tema primordiale della salesianità. Don Bosco ha lavorato per
tener indietro la gioventù in ciò che riguarda questa materia. Questo è il punto
centrale della pedagogia pratica di Don Bosco, che ridotta nella formula più
semplice consiste nel preservare dal peccato l'anima dei giovanetti e coltivare
in essi la grazia di Dio (ecco i Sacramenti). Per i giovanetti Don Bosco non
teme quasi altro che il peccato brutto. Il nostro lavoro per impedire il peccato
deve essere ridotto quasi ad impedire questo genere di peccati. Benché Don
Bosco non sia un manoveggente o un esagerato, tuttavia in questo consiste la
quintessenza del suo valore storico ed educativo.
È giusto scientificamente e moralmente pensare così. Infatti la Chiesa
definisce Don Bosco: «Padre degli adolescenti, dedicato all'educazione della
gioventù». Ora da più di 40 anni la scienza si è volta a studiare per
l'adolescenza il tremendo problema psicofisiologico, naturale, spirituale della
pubertà, vale a dire come si svolge, quali effetti produce nei caratteri e nei
temperamenti, nell'abitudine, nella volontà, nella psiche del giovane questo
fenomeno di rinascita dell'organismo umano. Potrei citarvi più di duemila
autori, di studiosi di questo problema, tra cui i cattolici sono molto pochi.
Il classico libro del Mendousse: «L'anima dell'adolescente» riduce tutta la
questione della moralità nell'adolescenza a questo problema della pubertà, del
fatto e del fattore psicofisiologico.
Don Bosco lo aveva capito 50 anni prima: per lavorare tra gli adolescenti
bisogna tener presente lo stato in cui si trovano: la pubertà. E siccome la
rinascita fisica porta con sé alcuni fatti, ecco che Don Bosco dirige tutto il suo
studio e lavoro a preservare l'anima dei giovanetti dal peccato, e per peccato
non ritiene altro che questo. Non è esagerazione, perché dopo 50 anni la
scienza viene a dargli ragione. Neh, che Don Bosco se si studia incomincia a
diventare grande?!
Anche nell'ambiente della vita religiosa salesiana ed educativa cioè uno dei
tre perni su cui si aggira tutto il sistema spirituale. È una delle tre idiosincrasie
naturali di Don Bosco: ozio, intemperanza, immodestia, a cui per esperienza ne
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4.5 Page 35

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aggiunge una quarta: la mormorazione; proprio come dicono i Proverbi: «Tre
cose non tollero ed una non posso sopportare...» (Pr 30,21-23).
Interpretazione errata
Per l'immodestia Don Bosco ebbe fin da fanciullo, come ho già detto, una
ripugnanza naturale, tanto è vero che noi salesianetti suoi divoti seguaci
abbiamo inteso inesattamente e frainteso la sua tradizione; da noi quasi non si
considera peccato se non quello, e non solo nei giovanetti dove c'è tanto da
discutere sulla responsabilità e gravità, ma anche per noi stessi. Quando si è
superata quella faccenda, non si bada più ad altro, non si ha sensibilità morale
per la giustizia, l'onestà, la sincerità, la carità, la responsabilità per noi queste
sono tutte cosette qualunque. No, abbiamo frainteso una tradizione e quindi
guastato il senso morale; siamo freddi in certa materia, ma amorali in tutto il
resto.
Condizione essenziale
Don Bosco sapeva la teologia un po' meglio, e se noi vediamo che egli
insiste molto su questo punto è perché è il punto centrale della vita
dell'adolescente e per la condizione tutta speciale della vita educativa a cui
deve formare i suoi figli, poiché essi non sono per fare il prete ma per lavorare
per la gioventù. Dato questo, deve formarli secondo la sua idea centrale, e
quindi insiste maggiormente su tale argomento e noi lo rileviamo dal testo
delle Regole: «Chi non ha fondata speranza.., ed altrove: Chi non ha
fondata speranza di potersi moralmente salvare da questi peccati è meglio che
non si faccia né prete né chierico. E Don Bosco nel trattare questa materia
non fa questioni teologiche né questioni di coscienza. I teologi discutono fin
dove si può giungere senza peccato grave...; povero Cuore di Gesù:
appendiamo tanti quadri e poi misuriamo col millimetro fin dove possiamo
arrivare senza ammazzarti!
Terminologia
Don Bosco rifugge totalmente dal rimescolare questa materia, rifugge
persino dall'usare i termini usuali, per lui non esistono termini specifici, ma
solo i comuni, virtù, modestia, innocenza e virtù per eccellenza; così dice Don
Bosco: Chi può capire capisce, e chi non sa, non capisce e tanto meglio.
Così per il contrario usa i termini: peccato, caduta, disgrazia, disonestà, parole
tutte che non turbano e fanno capire coloro che hanno bisogno.
Aspetto pratico
Invece di fare questioni di teologia e di coscienza, Don Bosco ne fa sempre
una questione di grazia di Dio: avere la grazia di Dio e non offendere Dio, non
cadere in peccato. Mentre invece non fa questioni teoriche di pedagogia di
costume, di educazione del costume. Il sistema di Don Bosco su questo punto
è tutto qui: impedire il peccato; ecco la vera pedagogia del costume! Per
questo Don Bosco è definito: «Padre degli adolescenti», e ricordiamolo
sempre: centro dell'adolescenza è quello che si chiama pubertà.
La grandezza di Don Bosco
Vediamo come Don Bosco considerava l'individuo e l'ambiente. Per lui il
chierico è ancora adolescente, anzi dice che questo stato dura sino ai 30 anni;
ora per il fattore oggettivo del salesiano che vive tra i giovani, e può avere
delle impressioni individuali, soggettive, ed ha delle responsabilità particolari,
Don Bosco dà delle norme speciali sul modo di trattare i giovani, di preservarli
dal male ossia di educarli al costume. Ecco ciò che non posso sviluppare nelle
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4.6 Page 36

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conferenze di pedagogia salesiana, perché mi manca ordinariamente un
ambiente che capisca.
Questa è la vera grandezza di Don Bosco, la sua concezione di moralità,
della pedagogia del costume: noi lavoriamo in mezzo ai giovani per impedire
il peccato. Teniamolo bene a mente: sopra e prima, in ordine di idee e di
tempo, della «pedagogia della castità» anzi come mezzo supremo di questa
pedagogia, Don Bosco mette la «castità della pedagogia», ossia la castità
dell'individuo che educa, sia nel linguaggio, sia nei modi, sia nella persona.
Inutile parlare di gigli all'altare se tu sei un carciofo. «Nemo dat quod non
habet» (Nessuno dà ciò che non ha). Ecco una delle grandezze di Don Bosco!
Tutto quel mondo lubrico di produzioni sulla purezza che è uscito in questi
ultimi 30 anni, anche dei cattolici, pretende di insegnare ai giovani come
devono stare a posto: ma non osservano la regola nostra, hanno un linguaggio
tale, che se uno non sa, impara quella volta: si dimenticano della castità della
pedagogia. Questi sono tutti libri sbagliati, e in tutti questi libri... non tutte le
verità si possono dire!
Per essere salesiani più vicini a Don Bosco, per essere imboscati com-
pletamente, teniamolo ben presente!
Conservarsi - difendersi
Veniamo agli elementi specifici della materia. A un totale traviato, dice
Don Bosco nel 1876: Guardi, lasciamo a parte la teologia, la morale, la
mistica, l'ascetica; tutto si riduce a questo: conservarsi puri e santi al cospetto
di Dio. Sono precisamente le parole del S. Cafasso e di Don Bosco sulle orme
del Maestro; insegna sempre come si fa per conservarsi casti. Conservarsi e
conservare la castità è sempre la sua parola, che viene completata dal concetto
della difesa: conservarsi e difendersi. È classico nel capitolo di Magone in cui
mette in fila i sette carabinieri che si pongono ai piedi della Madonna per
difendere e conservare castità. Non è altro che una idea popolare dei sette
mezzi per conservarsi casti.
Troverete dei santi che hanno scritto su questa materia molti pensieri; i più
portano in alto teologicamente e misticamente parlando dell'amore di Dio: chi
ama Dio, non ama le creature, si distacca da esse; ora tutta la purezza è amor
di Dio, è non andare dietro alle creature; chi ama Dio non ama se stesso, non
ama, non segue le proprie tendenze.
Don Bosco ha molto più pratica; realista, positivo, egli sapeva che pur
parlando dell'amor di Dio si poteva rimanere come prima, quindi si limitò ad
indicare i mezzi negativi a preferenza dei positivi, per difendersi, per
conservarsi. Tutti gli altri ragionamenti li conosceva, eppure ai suoi giovani, ai
chierici, ai preti ragionava così!
I suoi mezzi
Negli Esercizi del 1868 a Trofarello fa una predica esclusivamente sulla
mortificazione ed ha per tema: Il corpo che si corrompe aggrava l'anima, e
parla della mortificazione degli occhi e del gusto. L'anno dopo tiene una
conferenza per la conservazione della castità e svolge quel: «Subtrahe ligna
foco si vis extinguere flammam» (Togli la legna dal fuoco se vuoi spegnere la
fiamma). Ancora negli Esercizi di Trofarello del 1869 trattando dei tre voti
delineava i mezzi positivi e negativi per conservarsi casti. Questa conferenza
fu riassunta male, ma l'anno dopo per fortuna, la ripetè tale quale negli
Esercizi di Lanzo a cui era presente Don Barberis che prese nota
diligentemente di tutto e così sappiamo cosa intendeva Don Bosco quando
parlava della difesa della virtù.
Negli Esercizi di Lanzo nel 1870 discorrendo disse questa sentenza che
non va dimenticata: «La gioventù è un'arma pericolosissima del demonio
contro le persone consacrate al Signore». È il pericolo professionale per noi
che lavoriamo in questa materia. Finalmente negli Esercizi di Lanzo del 1875
spiegava i mezzi negativi: «Accipe fugam si vis parare victoriam(Fuggi se
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4.7 Page 37

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vuoi preparare la vittoria). Ed enumera le 5 fughe che si trovano nello Scavini
(I, 1 cap. 2: «Dei peccati in specie»).
Le cinque fughe
1) Fuga dalle persone dell'altro sesso. Trattenersi poco con esse, non
usare familiarità, facezie. Un ecclesiastico non deve faceziare con loro; non
essere orsi, ma neppure permettersi scherzi: col fuoco non si scherza! Uscendo
di casa frenare la libertà degli occhi, non guardare per istrada... se le rondini
hanno il becco. Già anni prima parlando ai giovani Don Bosco il 5-VII-1867
aveva avvertito che non bisognava trattenersi tanto in parlatorio, ma fare in
modo che le persone di altro sesso andassero via al più presto, anche se parenti.
Ai chierici disse: Ecco che un chierico a casa trova la cognata, la sorella, la
cugina, e il demonio che sa fare la logica e sa fare le astrazioni toglie la parola:
cognata, sorella, cugina, e lascia solo la parola: donna; toglie la parola:
religiosa e lascia zitella, signorina... E che cosa succede?.
2) Fuga dalle conversazioni secolaresche, e andare in mezzo alla gente
del secolo. Adesso c'è la cattolica, cioè i secolari che vengono da noi per essere
formati, quindi il problema cambia aspetto, ma rimane.
3) Fuga dalle visite Se vengono a trovarvi, sbrigatevi, dice Don Bosco,
e siate prudenti e vigilanti, perché le visite in parlatorio sono uno dei maggiori
pericoli; non è raro il caso che il parlatorio è diventato anticamera del
Municipio.
4) Fuga dalle amicizie Tra noi e i giovani, tra confratelli; fuggire le
amicizie troppo intime e tenere. Non mai grossolanità, familiarità, mettere le
mani addosso. Non è raro che possa avvenire tra laici e i chierici, tra chierici e
laici, tra chi non è più soltanto chierico e i chierici. Tra chierici giovani e
persone anziane. Non c'è da stupirsi che delle volte accade: siamo 15 mila e
quindi 15 mila uomini. Può avvenire che tu chierico ti trovi nella tua strada
persona già di età, di elevata condizione, che perda la testa attorno a te e tu
incominci a perderla con farti la spartita profondamente tale da far scappare la
vocazione. Cominci a fare il beccuccio, il ricciolo tira basin; ricordatevi il
proverbio: «Omo porsei semper son bei» (uomini sporcaccioni sempre sono
belli). Guarda mio caro prete giovane, puoi trovare degli inciampi in chi ti vuol
bene come non si deve voler bene tra gli uomini, tra maschi su questa terra.
Quando ho visto certe conciature, io ho detto: «Vedo che lei farà il farmaci-
sta...». Vidi curarsi di più, avvisai ancora; continuarono, e non parlai più
perché era troppo tardi.
5) Fuga dai giovani Prevedo subito la obiezione: ma se dobbiamo stare
in mezzo ai giovani? Rispondo: stare in mezzo ai giovani, sì; ma non da solo a
solo, non con uno più che con un altro, non a porte chiuse. Don Bosco a questo
proposito esce in una sentenza angosciosa: «La rovina di certe Congregazioni
dedite all'educazione della gioventù deve attribuirsi a ciò: a non aver fuggito
giovani. Ci sono delle esagerazioni dei cattivi ed anche delle calunnie, ma
senza sospetto fondatissimo, e in molti casi successi non avrebbero osato i
nemici ad insinuare esagerazioni e calunnie» ed aggiungeva illustrando
questa idea: «Io sono venuto sino all'età (1865) senza conoscere questo
pericolo, ma dopo di allora ho dovuto vedere e purtroppo convincermi che
questo pericolo gravissimo c'è, e non solo c'è, ma c'è instante e tale da metterci
bene in guardia».
Doveva essere successo qualche scandalo rumoroso e tale da buttar in aria
una istituzione e degli accreditati religiosi; da questo Don Bosco capisce il
pericolo, lo dice instante e tale da metterci bene in guardia. Don Barberis ha
registrato anche la conclusione: «Non mai baci, carezze, mani sulla faccia»,
tanto più adesso che sono vestiti... come nel paradiso terrestre. Non amicizie
particolari coi giovani, specialmente se avvenenti, perché si fa parlar male e si
finisce peggio; non scrivere lettere troppo sdolcinate, non occhi troppo
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4.8 Page 38

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espressivi, non regalucci particolari pericolosissimi, non condurre anche per
motivo buono i ragazzi in camera e parlare in confidenza a porte chiuse.
Altri documenti
Sono precetti che Don Bosco ripetè sempre. Nel 1876 parla ai chierici
dell'Oratorio sulla castità e sul conservare la vocazione raccomanda per loro:
1) Esatta osservanza dei propri doveri secondo le Regole;
2) Puntualità nel trovarsi in ricreazione ed avere gli occhi ai musoni che
stanno nei cantucci, perché ozio in ricreazione è la sorgente di ogni male. Don
Bosco insisteva che i salesiani devono essere tutti in cortile; che non pensino a
divertire se stessi, ma giochino con i ragazzi, abbiano gli occhi di qua e di là:
vigilare tutto. Nel 1868 diceva che «è immenso il bene che può fare un
chierico, salendo una scala, guardando un luogo nascosto, facendo una
scappata di sorpresa durante la ricreazione».
3) Osservanza dell'orario di sera; non fare conversazioni.
4) Puntualità nel balzare dal letto... «Sono stato mezz'ora di più a letto e
non mi è accaduto niente». «Di' pure che il Signore ha operato un grande
miracolo per tenerti salvo».
5) Mortificazione: «Hoc genus daemoniorum non eicitur misi per
orationem et ieiunium» (Questo genere di demoni non può essere scacciato se
non con la preghiera e il digiuno), e Don Bosco batte sulla tendenza dei
chierici a fare merenduole, bicchierate, ribotte, ecc.
6) Addormentarsi subito, pregando.
7) Sveltezza nel fare le proprie cose quando si è agli adagiamenti per le
necessità corporali.
8) Non trascurare le pratiche di pietà. E conclude: «La castità e la purezza
sono virtù così belle che senza di esse un chierico, un sacerdote è nulla. Se le
possiede è tutto».
Incontaminati
Nella relazione fatta al Papa nel 1879 Don Bosco potè dire: «Finora posso
attestare che non si è avverato il caso che un salesiano, dimenticando se stesso,
abbia dato ragione di scandalo». E dopo?... Veramente già due anni prima, 18-
11-1877, ai direttori riuniti aveva detto una sentenza molto grave e poi aveva
aggiunto: «Mi vengono dicendo: ma non faccia lavorare tanto i suoi preti!».
Ed egli risponde: «Il prete o muore per il lavoro, o muore per il vizio».
Guardate in che stato doveva essere il suo sentimento in quella sera.
Vegliare bene
Don Bosco intravedeva che col moltiplicarsi della Congregazione po-
tevano nascere degli inconvenienti, perciò insiste sull'accettazione e dopo
quell'anno, in capitolo ancor più insistette. Inculca sette norme per l'ac-
cettazione al Noviziato, per l'ammissione ai voti e agli ordini. Non le enumero
tutte, ma ne ha parecchie che sono singolari.
Norme per ammettere alla prima prova. «Chi ha precedenti di moralità
dubbia o una catena di miserie, non sia ammesso alla prima prova, eccetto
fossero cose isolate. I giovani che fanno pasticci al loro paese, fino all'ultimo
non si ammettano, perché questi si freneranno al noviziato e poi
riprenderanno».
Fissando la norma per l'ammissione ai voti: Se si tratta di pensieri, letture,
parole, fatali inclinazioni, si può sospendere il giudizio; se invece sono atti
contrari e fatti per abitudine, ci vuol maggior severità, eccetto che siano cadute
di pura fragilità. Se si tratta di mancanze fatte con altri, allora è difficilissimo
che uno cambi; la caduta si verifica anche quando l'individuo sia consacrato al
Signore.
In totale egli deve mostrarsi rigoroso per l'ammissione al noviziato e
rigorosissimo per l'ammissione ai voti.
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4.9 Page 39

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Degenerazione
Guardate che fenomeno: il degenerato non si corregge. La sensibilità, la
fragilità si spiega e si corregge con la volontà, col tempo, con l'aiuto di Dio,
ma il degenerato che cerca il suo simile non si corregge; vestitelo come volete,
ungetelo anche con l'olio di peperone. Di questi individui ne troverete
ovunque; è il peggior pericolo della vita chiusa di collegio, di seminario, di
quartiere, di prigione, di bastimento; e questa sorte di peccati è quasi
incorreggibile nonostante tutti i pietismi, le lacrime, i misticismi e scuotimenti
che si fanno nelle preghiere; anzi è proprio caratteristica dei pietisti, dei
mistici, dei bigotti l'aver tendenza a questo genere di cose. Questo è non solo
storia dolorosa, ma scienza psicologica.
Dovere dell'esempio
Dovrei trattare del nostro contegno in mezzo ai giovani, ma è tardi.
Ricordate solo cosa dice Don Bosco: «Uno sguardo, un sorriso, una parola
imprudente possono essere malinterpretate dai giovani i quali furono già
vittima delle umane passioni». Noi figli di Don Bosco nel nostro modo di
vivere, nel contegno esterno, nel parlare, sorridere, guardare, camminare
dobbiamo avere quel non so che di indefinibile che si chiama riserbo; insomma
avere un contegno che impone ai giovani la pedagogia della castità. Noi
educhiamo i ragazzi soprattutto con il nostro esempio.
È Don Bosco che ce lo ricorda nella Circolare del 5-11-74: «La moralità
degli allievi dipende da chi li ammaestra, da chi li dirige. Se pertanto vogliamo
promuovere la morale e la virtù tra loro, dobbiamo possederla noi e farla
risplendere nelle nostre opere, discorsi, in tutta la nostra
vita». Ed ancora nella stessa Circolare termina con queste parole che devono
formare il ricordo dei nostri Esercizi: «Il salesiano deve accoppiare alla povertà
del vivere una esemplare osservanza delle Costituzioni e lo splendore della sua
purezza».
È tutta un programma di vita: Se avremo la purezza nel cuore, la co-
municheremo ai nostri giovani, come Don Bosco istillò a tutti la sua virtù
angelica.
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4.10 Page 40

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VIII. OBBEDIENZA
Prima di parlare di obbedienza vi suggerisco di leggere le Regole di S.
Benedetto; vi troverete la vera vita e la vera personalità spirituale. Conviene
che leggiate non solo perché un buon salesiano deve sapere 14 parole per ogni
ramo e poi spenderle bene, ma soprattutto perché l'ultimo benedettino è Don
Bosco, e S. Benedetto è il primo Don Bosco. E prima ancora di imboscarvi in
obbedienza, ossia di dirvi come Don Bosco ci vuole, premetto tre consolazioni:
1) In fatto di morale è raro che la mancanza di obbedienza giunga alla
gravità del peccato mortale; per questo ci vuole o una disobbedienza in forma
canonica o di categorica infrazione al voto. Tutte le nostre scappatelle sono
scappatelle da collegiale, tutte birichinate anche se abbiamo i capelli bianchi.
2) S. Anselmo dice chiaramente che non c'è da disperare di un religioso
finché non infrange i voti; egli poi ragiona secondo la mentalità benedettina:
per cui l'unico voto è quello dell'obbedienza che lega al convento; quindi basta
non scappare...
3) In via di fatto consoliamoci: tra tutte le Congregazioni attive che
brillano nella Chiesa per la loro disciplina, la Congregazione salesiana sta alla
pari dei Gesuiti, cioè in primo piano. (Mettiamo Gesuiti, perché bisogna dir
così). L'esperienza che ho della vita mi fa nutrire questi sentimenti: non c'è
nessun'altra Congregazione che abbia tanta pazienza, disciplina, soggezione,
tanto spirito di obbedienza, quanto la Congregazione salesiana. Noi siamo
addirittura miracolosi, perché gli altri Ordini hanno un'obbedienza da cui non si
scappa, perché hanno insegnato ogni passo ed il superiore non può comandare
più di quello che è nel libro. Chi entra deve praticare la Regola, un binario ed
uno solo. Noi invece dipendiamo sempre dal superiore locale, cambiare
direttore vuol dire cambiare tutto quanto. Eppure noi ci stiamo e sopportiamo.
Don Rua nel processo apostolico di Don Bosco ha potuto deporre che tanto
prima quanto dopo la sua morte, mai si erano avverate scissure fra le case, mai
ribellioni, mai tentativi di riforma. E questa deposizione è del 1908, ossia di
vent'anni dopo la morte di Don Bosco, ossia dopo il decennio nero profetato
nel sogno del 1871.
E dite se non siamo quel che siamo. Vedete che sono salesiano a 150%?
Un solo peccato all'anno
Una vera disubbidienza canonica, cioè che al superiore rivestito dalla
potestà del can. 501 si risponda «no», su 12.800 salesiani, non credo che ne
capiti uno all'anno in tutta la Congregazione.
Degli autonomi ve ne sono dappertutto, anche tra quelli che hanno i galloni
sulle braccia. Momenti cattivi, momenti di nervi ce ne sono, ne abbiamo
provato un po' tutti. Vi sono anche sbagli dei superiori, e non è ribellione dire
che ci sono dei superiori sbagliati: sono 1200 persone che hanno potestà
dominativa in Congregazione, tante case altrettanti direttori, sarebbe divino se
non se ne sbagliasse uno...
Anche S. Romana Chiesa sbaglia qualche volta nello scegliere i suoi
vescovi, e poi deve ritirarli e sopportarli. Ora nella quasi totalità siamo
disciplinatissimi: lasciate che i superiori gridino, che facciano prediche dotte e
vi scaraventino addosso tutto S. Tommaso e ascetica, lasciateli dire, devono
farlo. La pratica però è questa, che siamo della gran brava gente.
Pericolo della legalità
Vengo alla pratica della nostra vita. Tutti sanno il canone 501 della potestà
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5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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dominativa e delle persone in cui risiede. Tutti gli altri invece, prefetto,
catechista, consigliere, comandano solo rappresentativamente, ma non hanno
potestà dominativa. Gli stessi superiori del Capitolo, eccetto il Rettor
Maggiore, comandano solo collegialmente. (Don Bosco nel 1869 ha spiegato
tutto questo ai chierici aspiranti e novizi e quindi credo di poterlo dire ai
teologi). Ragionando a forza dei canoni sembra che si debba obbedire solo
quando entra la forza del voto ed allora anche facendo il testone, il ribelle, il
capriccioso, «come voglio io», si continua a fare la Comunione tutti i giorni
perché non si cade in peccato mortale e così si ha lo spettacolo di testoni
permanenti che fanno imperturbabili la loro Comunione quotidiana.
Don Bosco non aveva questa idea. Se qualcuno faceva così lo chiamava a
parte e: «Come vai alla Comunione con questa condotta?». Ed aveva ragione
perché il Signore lascia entrare tutti, ma poi guarda se hanno la veste nuziale.
Se fossimo andati a punta di canoni o di Costituzioni, la Congregazione
sarebbe ancora in Via Cottolengo 32, non sarebbe una città nei limiti di Torino,
ma sarebbe ancora alla casa Pinardi.
Vado io
Vi sono dei concetti di obbedienza che annullano la spiritualità. Prendete il
cap. VI, 1, 36 delle Regole di S. Ignazio: «Perinde ac cadaver, ac baculus»
(Come un cadavere e un bastone). Questa è obbedienza rigida, fredda, che
annulla la personalità, non è fatta per noi: noi siamo salesiani e facciamo i voti
secondo le Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales e non secondo le
Regole e le Costituzioni della Compagnia di Gesù. Questo principio riportato e
magnificato da tutti i libri d'ascetica non è il nostro. Noi non dobbiamo essere
delle marionette senz'anima. C'è pure una teoria paralizzante, disfattista,
conventualista, che serpeggia e s'inculca senza saperlo e conduce a gravi
conseguenze. Stiamo attenti, noi abbiamo un altro spirito che si riassume nel
motto salesiano: «Vado io». Non so quanti giorni di indulgenza abbia, ma certo
un maggior trionfo per la Congregazione che è cresciuta tutta col «vado io»,
così, in forza di sacrifici: solo così si spiegano le missioni; perché S. Madre
Chiesa arriva poi solo dopo a organizzare, a reggimentare ciò che è frutto dei
sacrifici di coloro che hanno detto: «vado io».
L'eresia e la bestemmia salesiana
C'è però anche il contrario della medaglia che è una eresia salesiana
espressa nella forma: «la regola e basta». Ce n'è uno per casa di questi
batticolpo e posapiano: c'è del lavoro enorme da fare ed essi si scusano
sempre: «Nessuno me l'ha detto». Io li prenderei a...!
Simile all'eresia, anzi peggiore ancora è la bestemmia salesiana: non
tocca a me. Brucia la casa: Non tocca a me; un rubinetto perde acqua:
Non tocca a me... e andate avanti di questo passo. Povera Congregazione,
starebbe fresca se avesse un certo numero di questa gente!
Per delineare bene il nostro spirito possiamo definirci così: Una
Congregazione in cui tutte le azioni, attività, iniziative personali sono in-
quadrate in una organizzazione disciplinata dall'obbedienza. È quindi il nostro
concetto affatto differente da quello degli altri Ordini.
L'esempio
Permettetemi una parentesi: bisogna che noi abbiamo consapevolezza del
nostro stato di preti. Il prete è sempre prete. I coadiutori, i chierici guardano a
lui, e quindi in grazia della pretura siamo tenuti a dare buon esempio; alcune
volte costa un po' caro, ma pure tocca a noi dirigere la macchina, perché siamo
noi la ruota principale del meccanismo che si chiamerà Lanzo, Cuorgnè,
Chieri... Per gli altri le disubbidienze sono scappatelle da collegiali, per noi
invece sono consapevoli, premeditate; e questo intacca la compattezza della
disciplina comune: dobbiamo ricordarci che abbiamo obbligo sacrosanto di
mostrarci agli altri più solleciti nell'obbedire: è un obbligo inerente alla nostra
condizione.
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5.2 Page 42

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La nostra obbedienza
Anche nell'obbedienza bisogna fare delle distinzioni: c'è la questione del
principio e quella della forma.
Il principio incrollabile è questo: necessità e dovere di obbedire. La forma
invece consiste nello speciale concetto dell'obbedienza nel regime salesiano,
ossia nel modo di attuare il principio.
Vediamo quindi questa forma. L'idea di Don Bosco su questo punto è
quella di un'obbedienza, di una disciplina di famiglia. Nella celebre lettera del
10.V.1884 colpisce superiori che vogliono essere considerati come superiori e
non più come padri ed amici: sono temuti e non amati. Ma perché sostituire la
freddezza rigida di un regolamento al principio della carità, dell'obbedienza
amorosa ed amorevole? Amorosa nel principio, amorevole nella forma?
Il regime di comunità interessa solo quando si sente di essere in famiglia;
solo in simile ambiente tutti sono interessati per il bene comune. Tutti
obbediscono al capo e padre, ma il padre deve essere padre ed amico. Per gli
altri interessi comuni deve tenerci uniti un fine, un motivo superiore e non
quello di guadagnare i soldi, ma il bene, la conquista delle anime, la salvezza
della gioventù che abbiamo in casa.
Quindi non solo disciplina legalitaria, che scansa la sanzione canonica, ma
cooperazione volonterosa di tutti per il lavoro: per questo abbiamo come
stemma: Lavoro e Temperanza; per questo Don Bosco volle che ogni casa
fosse una famiglia sotto un padre comune, e benché i papà non siano tutti
uguali, pure si vuole sempre loro bene.
Insisto su questa idea, perché se entrerà nelle case, i superiori non ne
avranno dispiacere e la Congregazione andrà avanti meglio.
Padre e non capo ufficio
Don Bosco volle obbedienza in vista dell'unione, quindi obbedire a uno per
essere uniti. Ai direttori riuniti 3.II. 1876 dice: Se un prete solo ha fatto tante
cose con niente, che cosa non faranno 330 persone riunite e forti?(Allora i
salesiani erano 330).
Unione sì; ma unione di figli e di fratelli col padre e non unione di
impiegati che si uniscono al capo ufficio; quindi il padre sia padre e non il
cavaliere, commendatore che comanda a tutti gli impiegati. Se il padre
considera i dipendenti come gli impiegati, allora anche i sudditi lo considerano
come capo e non come padre di famiglia.
Nei ricordi confidenziali ai direttori per ben 16 pagine Don Bosco insegna
ai direttori come si fa a fare il padre.
II colpo d'ala
Nella Circolare inedita nella fine di aprile 1885 in cui ci convince che tutto
va fatto per la gloria di Dio, aggiunge: Dobbiamo obbedire non perché è
comandato, ma per una ragione superiore, per la gloria di Dio. Sul medesimo
concetto insiste nelle norme ai direttori del 1884 manoscritte. Unione
nell'obbedienza per la gloria di Dio è un motto di Don Bosco. Ecco quindi il
principio fondamentale della vita salesiana: Lavorare tutti con disciplina di
famiglia nell'unione per la maggior gloria di Dio e per poter ottenere il fine
collettivo che è la salvezza delle anime. Questo è il concetto di Don Bosco
diffuso in tutti i suoi scritti e discorsi: ricordate il grido d'angoscia: Ma ora i
superiori vogliono essere superiori e non sono più padri, fratelli, amici; sono
temuti e non amati. E lo scatto che ha: Ma perché si vuole sostituire la
freddezza di un regolamento al principio della carità?.
Imboschiamoci
Studiamo Don Bosco, altrimenti andiamo canonizzandoci e dimentichiamo
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5.3 Page 43

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il principio fondamentale della Congregazione che è la bontà. Questo
dev'essere il principio direttivo del sistema preventivo anche nei superiori. Si
pubblichino dei libri di lettura spirituale apposta per noi, dettati per il nostro
spirito, come si era prescritto nel Capitolo Generale di 35 anni fa, altrimenti
andiamo leggendo altri libri e perdiamo il nostro spirito. Il nostro testo è Don
Bosco e non altri... e non la vogliono capire.
La questione di principio
Don Bosco ci si presenta come per l'osservanza e la austerità piuttosto
severo, rigido, direi intransigente. Infatti nel 1885 ai direttori dice cose molto
forti: Finora l'obbedienza da noi fu più personale che religiosa. Evitiamo
questo inconveniente. Non obbediamo perché il tale comanda, ma obbediamo
per motivo superiore, perché chi comanda è Dio, comandi poi per mezzo di chi
vuole. Nel 1886 il 3-X me presente, in quel famoso giorno in cui saltò su
contro la mormorazione, contro lo spirito di critica, proprio in quella
circostanza, pronunciò questa sentenza: È un sacrilegio fare il voto di
obbedienza e poi regolarsi come fanno taluni che obbediscono solo quando
loro piace. Ed in altra circostanza: Recedendo dai nostri voti facciamo un
furto al Signore, perché ritogliamo ciò che abbiamo messo nelle sue mani.
Una volta Don Bosco mandò un ordine ad un tale che era stimato e
chiamato santo e che ci teneva a tale appellativo e questi non si piegò. Ne
mandò un secondo ed ottenne il medesimo risultato. Mandò per la terza volta
lo stesso ordine mediante una persona e l'individuo non si piegò. Allora Don
Bosco: Il tale fa il santo ma non obbedisce nemmeno a Don Bosco...
Consultate tutto il Martirologio e vedrete che San Testone non c'è ancora.
Catena... d'oro
La vita sotto obbedienza la conosco da 54 anni e vi posso dire tanto
biograficamente come storicamente per altri che è vita di sacrificio, ma l'atto
più meritorio di tutta la vita perché comprende il sacrificio della nostra
personalità; è sacrificio della nostra volontà e quindi è più duro di tutti per chi
non è abulico e incosciente. È meritoria quando uno deve operare su un binario
che va in un punto morto o peggio ancora. È sacrificio quando bisogna stare
con uno che comanda senza esserne degno, o in modo indegno o con passione
personale contro di te; è sacrificio quando chi comanda non ha di buono che la
veste che ha indosso, ma anche e soprattutto in questi casi tu devi vedere Dio.
Troverai persone che sono incapaci, superiori sbagliati ce ne sono, troverai
alcuni che il Leopardi dice: Discepoli di tale di cui mi sarà vergogna essere
maestro. Gente che ha raggiunto il posto con mezzi subdoli..., potrai trovare le
persone più sante messe su da un intrigante che l'ha con te, e non ne imbrocchi
una. L'aveva già previsto S. Benedetto al capo settimo delle Regole parlando
dell'umiltà: Il quarto grado dell'umiltà, egli dice, è il sapersi dirigere in questa
posizione. E ce ne sono di questi. Un salesiano illustre che portava il cilicio
(Don Fascie) è stato 5 anni con un superiore di questo genere.
Concludendo
La materia dell'obbedienza per noi figli di Don Bosco non è questione
casuistica e di canoni, ma è umiltà nei sentimenti, sacrificio interno della
volontà, di giudizio e qualche volta anche sacrificio esterno, è carità verso il
superiore.
Con questo spirito che ha fatto trionfare la Congregazione nel mondo,
ricordiamolo bene: i raggi della nostra aureola, i 4 princìpi che ci rendono
gloriosi davanti alla Chiesa e alla storia sono: Lavoro, Temperanza, Povertà e
Disciplina.
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5.4 Page 44

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IX. PIETÀ
Exerce autem te ipsum ad pietatem. Pietas autem ad
omnia utilis est, promissionem habens vitae quae nunc
est et futurae. (Esercitati nella pietà, perché l'esercizio
fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, por-
tando con sé la promessa della vita presente come quella
della vita futura. 1 Tim 4,8).
Habentes speciem quidem pietatis, virtutem autem eius
abnegantes. (... con la parvenza della pietà mentre ne
hanno rinnegata la forza interiore. 2 Tim 3,5).
La nostra vita d'azione e di apostolato, come sacerdoti ed educatori
salesiani poggia su due fondamenti che sono i fattori principali della stessa
formazione nostra, l'anima e movente della stessa azione, cioè la preghiera
ispirata alla pietà ed il sacrificio personale. Azione, preghiera, sacrificio; siamo
perfetti cattolici: ricordiamoci che l'azione è estrinsecazione esterna, ma i fattori
devono essere la preghiera ispirata alla pietà ed il sacrificio personale secondo
le parole di Pio XI il 9-VI-1933 nel discorso tenuto per la causa di Savio
Domenico.
Raccolgo questo concetto per l'autorità di chi lo esprime e per la verità
profonda che contiene, lo raccolgo ancora per la singolare espressione:
preghiera ispirata alla pietà; e la faccio tema di quelle poche parole che intendo
rivolgervi questa mattina.
Pietà e preghiera
L'atto formale della preghiera suppone degli elementi che lo ispirano: la
pietà. In questo senso la pietà è qualcosa di più intimo e profondo della
semplice idea della preghiera: ne è l'anima che la permea. Non è atto
passeggero, non è un gesto liturgico o extraliturgico, ma è una organica
ininterrotta unione con Dio. È la vita stessa che si esplica ed estrinseca
mediante un'azione particolare. Altro è il gesto e altro è la vita senza della quale
non si opererebbe. Altro è la preghiera, per quanto ben fatta, altra è la vita che
deve permeare tutta la persona e che precede l'atto formale esterno della
preghiera.
In questo senso si deve intendere il tema. Noi non guardiamo alle pratiche
obbligatorie e particolari, ma badiamo ad essere pii, religiosi, devoti.
Che cosa è questa pietà senza cui la preghiera non ha quell'efficacia
impetrativa tale da essere il propulsore dell'apostolato? Meditando sulle cose
senza spartirle, guardando l'orologio senza scomporlo, altrimenti non si vede
l'ora, possiamo dire che la pietà è quel sentimento che ci porta verso Dio, è la
presenza di Dio sentita nell'anima. Se non si sente così la presenza di Dio, tutto
è meccanicità esteriore e vale poco.
Preghiera senza pietà
Ricordiamo bene che finché noi preghiamo con tutto l'apparato esterno a
dimostrazione fisica di raccoglimento senza parlare a Dio, noi recitiamo delle
formule, diciamo delle parole, ma non tutto consiste nel moltiplicare le
preghiere, se queste ti lasciano poi spiritualmente vuoto. Le preghiere avranno
un valore per l'intenzione messa e non altro. S. Francesco di Sales nella seconda
parte della Filotea, ove tratta della orazione mentale e orale, sostiene appunto
questa orazione mentale: ossia il senso pio di S. Bernardo. Don Bosco anch'egli
nella sua circolare inedita accenna a questo pensiero: Tutte queste cose sono
prescritte dalla Regola. Ma se non si procura di farle per motivo superiore,
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5.5 Page 45

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vanno in disuso e non servono più. Tante volte quelli che dicono tante
preghiere esternamente non sono poi le persone più virtuose, perché mancano
di vita interiore. Ce lo dice molto bene il Faber nella parte seconda del
Progresso dell'anima. Don Bosco che la sapeva lunga, avendo intorno a sé i
seminaristi di Torino, disse loro: Acquistate lo spirito di preghiera. Per un
chierico che deve diventar prete e lavorare per le anime è come per un soldato
acquistare la spada.
La nostra pietà
Vediamo come va intesa la pietà salesiana. Noi abbiamo la nostra formula
che non è Lavoro e preghiera, come adottarono per fare della poesia e come
ovunque si è cantato e si è detto. Ma Lavoro e Temperanza. Don Bosco ce
l'ha lasciata in dieci documenti. Ora in questo motto nessuno pensa alla
religiosità della formula. Invece il Papa ce l'ha spiegata: In Don Bosco s'avvera
il principio della vita cristiana: Qui laborat, orai (Chi lavora, prega), purché
inteso spiritualmente. Ecco il motto della Società operaia salesiana: lavoro e
temperanza, perché siamo gli operai del Signore e non dei signorini che stanno
a gustarsi i biscotti e i cioccolatini della pietà. Noi siamo dei santi, dalle
maniche rimboccate, siamo gli operai di Dio come dice s. Paolo: Dei enim
sumus adiutores(Siamo infatti collaboratori di Dio, 1 Cor 3,9). Ed allora man-
diamo il diploma di cooperatore anche a S. Paolo che dice appunto: Exerce
teipsum ad pietatem... Pietas enim ad omnia utilis est(Esercitati nella pietà...
la pietà infatti è utile a tutto). Ossia ciò che veramente serve è la pietà, mentre il
solo affaccendarsi conclude ben poco.
Perché il successo di tanto nostro lavoro? Perché fatto in tutto con spirito
interiore, in questa vita di santità, di religiosità dell'anima che si rivolge verso
Dio. Come si esprimeva il Papa parlando il 13 marzo 1934 ai rappresentanti
della stampa cattolica: Tutta questa azione e stampa cattolica non cambierà il
mondo se quelli che scrivono non sono santi e pii. Il lavorare molto senza
possedere questo spirito interiore ci cambia di categoria; siccome siamo una
cooperativa di lavoratori, se non si rende da produttori, si passa da manovali e si
tira la carretta; la pietà invece, anzi che manovali ci rende produttori di bene.
Ecco la necessità di coltivare questo punto.
La nostra pietà - le preghiere del buon cristiano
Don Bosco come al solito realista e pratico ha insegnata l'ascetica senza
scriverla. A differenza di santi fondatori di istituti ecclesiastici ed educativi,
egli non ha lasciato formula speciale di pietà, non ha inventato nessuna
divozione caratteristica, né Rosari, né Via Crucis, 40 ore, Sacro Cuore... ha solo
la devozione a Maria Ausiliatrice che non è altro se non uno di tanti titoli sotto
cui si onora la Madonna, quindi solo un orientamento della pietà e nulla più.
Quindi per noi non esistono formule speciali, ma solo le preghiere del buon
cristiano, del buon prete. Eppure Don Bosco l'ha voluta la pietà.
Aspetti pratici
La concezione di Don Bosco su questo punto come in tutta la sua ascetica è
concezione pratica e realistica. Prima di tutto inculca l'orrore al peccato mortale
e persino l'esclusione della mancanza volontaria. Quindi inculca il retto uso dei
sacramenti, come mezzo di autocorrezione, di autoeducazione. Quindi uso non
ritualistico, ma spirituale ed operativo. La vita eucaristica e la divozione alla
Madonna sono due poli su cui poggia l'asse devozionale salesiano, che
comprende le pratiche del buon cristiano, del buon sacerdote e le virtù
vissute, come disse il Papa il 9-VII-1933, con spirito di nobile precisione,
ossia nell'esattezza scrupolosa, cosciente ed amorevole dei propri doveri.
Tutta l'ascetica di Don Bosco sta qui: teniamoci alle cose facili, ma si
facciano con perseveranza, come dice al capo settimo della vita di Magone. E
questo lo ha detto tanto della mortificazione che della pietà e con questa
formula ha fatto dei santi. Leggete il capo ventesimo della vita di Savio ed
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5.6 Page 46

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avrete questo concetto sviluppato al primo capoverso.
Tutto questo è la pietà secondo Don Bosco. Infatti per indicare la vita
spirituale, l'ascetica, il progresso dell'anima nella perfezione non ha adoperato
altra parola che questa: la pietà. Combina quindi perfettamente con il Papa e
con S. Paolo.
Spirito animatore
Le pratiche regolamentari si potranno cambiare, dato che non ci fu Ordine
che dopo 100 anni non abbia raddoppiato le pratiche di pietà. Quindi anche le
nostre diverranno più lunghe, ma ricordiamolo bene, tutte le preghiere anche
moltiplicate non serviranno a nulla senza pietà, se non si parlerà con Lui con
sentimento e con amore. L'essere pio non è in contrasto con la vita operosa
richiesta e comandata dalle necessità dell'istituto e dall'obbedienza; anzi non
solo non impedisce ma è un sollievo come ben ricorda il Gasquet.
Lavoro - Lavoro - Lavoro
Alcuni fanno consistere la pietà nel pregar molto; invece Don Bosco ci pare
proprio al polo opposto; egli ha un'idea quasi strana, eppure è quella di Pio IX e
di Pio XI, e quella stessa di S. Paolo. Don Bosco nel 1874 va a Roma e parla
con Pio IX sul Noviziato. Pio IX gli risponde: Andate avanti. Il demonio ha
più paura delle case in cui si lavora che di quelle in cui si prega. Già nel 1859
aveva espresso un concetto uguale: Stimo che sia in condizioni migliori una
casa religiosa dove si prega poco e si lavora molto che non un'altra, in cui si
fanno molte preghiere e si lavora poco. Non per niente quindi Don Bosco ci ha
lasciato per motto: Lavoro e Temperanza.
La pietra di paragone
Nel 1876 il 2-II raduna il capitolo dei direttori ed esprime i suoi sentimenti:
Io vedo che i nuovi salesiani vengono ad acquistare uno spirito estremamente
buono, un amore, anzi un ardore per il lavoro e per il sacrifìcio, che non so se
possa da altri superarsi. Io ne sono sbalordito. Quindi Don Bosco si consola
non perché si prega molto ma perché si lavora molto. E il giorno dopo: Io
vedo realizzata finalmente quell'idea che mi proponevo quando cercavo degli
individui che mi aiutassero a lavorare per le anime; vedo i nostri confratelli
avere uno spirito talmente buono, un tale spirito di abnegazione, di sacrificio e
di obbedienza che a pensarvi mi commuovo. Non dice che i confratelli pre-
gano ma che il loro lavoro lo commuove; eppure Don Bosco ha sempre detto di
pregare.
Nel 1878 Don Bosco così si esprime: La vera pietà religiosa consta nel
compiere tutti i doveri a tempo e luogo e solo per amor di Dio. Non dice nello
star volentieri in chiesa a pregare tutto il giorno, ma dice nel compier tutti i
doveri per amor di Dio. Il verbalismo, il formalismo, il pietismo,
l'atteggiamento esteriore non fanno per Don Bosco.
Egli vuole che la pietà sia accompagnata dalla pratica del dovere e buon
comportamento. Ecco il criterio per giudicare la vera virtù.
Comunione frequente
Nel 1875 Don Barberis consulta Don Bosco su un chierico dell'Oratorio che
non tiene molto buona condotta, ma si mostra divoto e si accosta con frequenza
alla Comunione. (Allora non c'era l'usanza della Comunione quotidiana
permanente, perché non esisteva nella prassi di Don Bosco; egli non la
inculcava, ma la desiderava solo per chi era capace di farla; i chierici erano
liberi di andare o di non andare e Don Bosco insisteva anche negli ultimi anni;
parlava quindi solo di frequenza). Ritorniamo al chierico che non teneva buona
condotta, ma si accostava molto frequentemente alla Comunione più che non lo
richiedessero i Regolamenti perché le Regole richiedevano solo nei giorni
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5.7 Page 47

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festivi e possibilmente alcune volte alla settimana che in via ordinaria era il gio-
vedì; così erano le Regole d'una volta. Ora Don Bosco disse a Don Barberis:
Guarda, solo la frequenza dei sacramenti non è indizio di bontà; ci sono di
quelli che sebbene non facciano sacrilegi vanno con molta tiepidezza e
leggerezza, anzi la loro mollezza non lascia che capiscano tutta l'importanza del
Sacramento che ricevono. Chi va alla Comunione con il cuore vuoto e non si
getta generosamente nelle braccia di Gesù non riceve i frutti che
teologicamente sono riconosciuti come effetto della s. Comunione.
Necessità delle pratiche esterne
Nonostante tutto ciò che fu detto, Don Bosco non escluse le pratiche
positive e regolamentari, anzi volle che si praticassero fedelmente e sappiamo
come insista sull'osservanza, sull'obbedienza. Insisteva perché queste pratiche
si facessero anche da soli, se non era possibile farle in comune; ma ricordava
pure di farle in modo che si sentissero necessarie per la nostra vita spirituale.
Frequenza ai sacramenti
Praticamente insistette su parecchie pratiche: la frequenza ai sacramenti era
raccomandata ai giovani, ma più ancora ai chierici e ai confratelli. Tutte le sue
circolari, il suo testamento e tutte le sentenze riguardanti la vocazione, la
conservazione della castità e del costume; proprio ai chierici, agli ecclesiastici
ed ai religiosi laici inculcava la frequenza dei Sacramenti.
Oggi non c'è più questa libertà; un povero chierico assistente in un collegio
ove i ragazzi vanno quasi quotidianamente alla Comunione ha veramente la
libertà morale di sottrarsi dall'andare alla Comunione? C'è una specie di
coazione morale dell'ambiente: che cosa direbbero i ragazzi? A me è capitato a
Lanzo che essendo già diacono, i giovani mi vedevano andare con una certa
frequenza... da buon cristiano; poi venni ordinato sacerdote e celebravo messa
dove potevo, non quella della comunità e i giovani: Come è diventato
cattivo Don Caviglia, non va più neppure alla Comunione! Don Bosco nel
raccomandare i Sacramenti insisteva sul retto uso: Confessione con
proponimento; Comunione frequente, ma ponderata; poi raccomandava
l'Esercizio della buona morte e vi assicuro che allora si faceva con attenzione e
regolarmente perché sapevamo come stesse a cuore a Don Bosco. Infatti scrive
in America: Fammi sapere se nelle case si fa regolarmente l'Esercizio della
buona morte. Inculcava spesso la pietà di fiducia che porta con sé la ferma
speranza di ottenere ai piedi di Gesù e di Maria quanto si chiede. Altro aspetto
della pietà inculcato da Don Bosco è la pietà impetrativa e caritativa: Hai da
ottenere una grazia? Fa' qualche mortificazione; hai alcuni difetti da
correggere? Fa' qualche preghiera particolare.
Da ultimo ricordiamo che Don Bosco ha sempre mirato ad una pietà
individuale. Don Bosco raccomanda l'uso delle giaculatorie (che voi mi
insegnate essere una novità ascetica importata da s. Francesco di Sales: il
valore delle giaculatorie leggetelo nella vita di Magone), raccomanda la visita
individuale e non in senso regolamentare: visita frequente, ma personale, ossia
che tutti abbiamo il desiderio e sappiamo stare almeno un minuto al giorno da
soli con Dio. Non lasciar quindi passare un giorno senza entrare in cappella per
conto tuo, perché possa dire una parola tua, che sia vera preghiera fatta con
pietà. Un minuto solo con Gesù e passano subito tutti i dispiaceri e capricci.
Conclusione
La pietà o preghiera ispirata alla pietà è una conquista personale che viene
dalla costruzione della vita interiore. Don Bosco lavora a costruire dentro il suo
edificio di vita interiore ogni giorno, ogni ora, ogni momento. Per noi che
siamo indirizzati al lavoro, la pietà è tutto: Pietas ad omnia utilis est, perché
contiene la risorsa necessaria al momento. Don Bosco l'ha compreso tanto da
dire ai chierici: Per un chierico l'acquistare lo spirito di preghiera è come per il
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5.8 Page 48

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soldato avere la spada.
La nostra vita che è lavoro e temperanza deve essere intesa come Don
Bosco la intese e come la interpretò Pio XI: La vita di Don Bosco consiste
nell'identificare il lavoro con la preghiera mediante l'unione con Dio, mediante
l'attuazione del grande principio di vita cristiana: Qui laborat orat.
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5.9 Page 49

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X. CONFESSIONE
Benedicam Domino in omni tempore qui tribuit mihi
intellectum. (Benedirò il Signore in ogni tempo poiché
mi ha dato consiglio. Sai 15,7).
Noi dobbiamo trattare appunto ciò che è la comprensione e la luce della
coscienza. Si può parlare di confessione ai teologi? Qualunque persona se ne
preoccuperebbe; io no perché il mio tema non è soltanto teologico, anzi non lo
è affatto, perché è tema pedagogico nel senso spirituale della vita educativa,
del lavoro personale della nostra formazione spirituale e interiore.
È il tema più salesiano di tutti, considerato in questo senso: sia eti-
mologicamente, ossia derivante da S. Francesco di Sales, sia nel senso da noi
convenuto di appartenente a Don Bosco. Bisogna che premettiamo una
spiegazione: in questo ordine di idee Don Bosco deriva nettamente da S.
Francesco di Sales, perché ne trasporta il concetto nel suo campo pedagogico
come strumento di autoformazione. Invece nella prassi del ministero, ossia
nell'esercizio della Confessione, Don Bosco si tiene strettamente alla prassi
Alfonsiana.
Possiamo quindi dire che l'idea è presa da S. Francesco di Sales e la prassi
da S. Alfonso. Come salesiani, riguardo alla prassi, possiamo avere qualche
piccolo cambiamento, dato lo svolgersi della teologia, quanto invece al
fondamento dell'idea dobbiamo attenerci strettamente al concetto di Don
Bosco.
L'idea di S. Francesco di Sales
S. Francesco nella pratica dei Sacramenti ed in specie della Confessione è
nemico del ritualismo e del praticantismo, ossia dei divoti che considerano il
Sacramento come una semplice cerimonia, un distributore automatico della
grazia, come un gesto avente valore magico: fatto il gesto è ottenuto l'effetto;
come un anestetico dell'anima che opera da sé. No, S. Francesco non ammette
questo modo di pensare e considerare la Confessione come un colpo di spugna
che cancella via tutto. La sua dottrina è contenuta nelle lettere ed in parte nella
Filotea.
Naturalmente S. Francesco che sa il catechismo meglio di noi, conosce
benissimo il valore dei Sacramenti ex opere operato, come causa efficiente
della grazia e quando ne discorre, fa sentire come ricevendo i Sacramenti dei
morti senza attacco al peccato, al peccato mortale, si riceve infallibilmente la
grazia santificante; ma siccome egli non ha lavorato per formulare una dottrina
teologica, ma per dirigere delle anime, ecco che ha fatto dell'ascetica e perciò
ha questa idea che i Sacramenti, e particolarmente la Confessione, devono
essere movimenti psicologici educativi della volontà, coltivatori della volontà e
lavoratori della coscienza, moltiplicatori delle energie personali.
Considera quindi i Sacramenti in quanto agiscono ex opere operantis.
L'idea è chiaramente espressa nella Filotea (2,19).
Don Bosco sull'orma di S. Francesco di Sales vede nei Sacramenti una
forza di inibizione, di luce, di studio su se stessi, e ne ha fatto il fulcro del suo
lavoro pedagogico, tanto nel senso spirituale che educativo, perché tutto il
segreto della pedagogia di Don Bosco sta nell'efficacia pedagogica dei due
Sacramenti: della Confessione e della Comunione.
Nel capo XIX della vita di Besucco dice espressamente: È impossibile
l'educazione di un giovane se non c'è l'uso della Confessione e della
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5.10 Page 50

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Comunione senza i quali non si può nemmeno essere sicuri della moralità.
Come S. Francesco volle la Confessione periodica per educarsi e con-
trollarsi, così Don Bosco inculca la frequenza regolare e l'Esercizio della
buona morte per poter controllare la propria anima.
La prassi alfonsiana
La pratica di Don Bosco in quanto confessore è invece Alfonsiana nel
senso stretto della parola, non solo sulla frequenza dei Sacramenti ma anche su
tutto il resto; basta leggere: La prassi dei confessori (cap. VI 71-75): De
recidivis in venialibus(I recidivi nei peccati veniali). E per la Comunione
frequente capo IX, 149-155 famosissimo. Così lo Scavini, il Frassinetti, nel suo
Compendio di Teologia Alfonsiana; l'Alalia e lo Stuardi che Don Bosco studiò
nelle vacanze di quell'anno in cui guadagnò un anno di studio. Tutti questi
autori e Don Bosco sono lo stesso e quindi per comprendere Don Bosco
dobbiamo tener presente questi ordini di idee.
Nel confessarsi e confessare Don Bosco ha due capisaldi: il proponimento
e la valutazione delle mancanze.
Proponimento
Con Don Bosco non si poteva confessare tre volte una medesima
mancanza senza che ci richiamasse all'ordine: Fai il proponimento? Perché è
già parecchie volte che mi dici la stessa cosa. Egli vuole che colui che si
confessa abbia la volontà di emendarsi ed il confessore lo educhi ad avere
questa volontà pratica con proponimenti concreti, positivi nei mezzi. Egli non
vuole che si vada avanti così alla carlona; infatti nella circolare del 1884 a chi
faceva osservare: Non vede quanta frequenza di Sacramenti?rispondeva: È
vero, c'è grande frequenza alle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in
tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti; si confessano
eppure sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitu-
dini cattive, le stesse disubbidienze, la stessa trascuranza nei doveri; così si va
avanti per mesi e mesi ed anche per anni.
Ad Alassio dice: Quando uno si confessa ogni settimana delle medesime
piccole cose, c'è poco da fidarsi. Notate che egli lo disse ai direttori e adagio
affinché la cosa si scrivesse. Non è una frase scappata di bocca. Nel 1884 va a
confessarsi da Don Bosco un giovane di 5a ginnasiale che si chiama Alberto
Caviglia; Don Bosco dopo averlo ascoltato disse: E lo fai il proponimento? È
la terza volta che mi dici questa cosa. Io l'ho attaccato qui (indicando
l'orecchio).
Nel 1876 dice: Il tempo che impiegheresti a confessarti due o tre volte
alla settimana impiegalo a fare il proponimento e così saresti più sicuro che
valga il Sacramento.
Altrove: Se uno non è capace mantenere la sua coscienza in tale stato da
poter fare la Comunione ogni giorno, non posso permettergli tale frequenza. E
nel 1879: Quelli i quali si confessano tutte le settimane e ripetono nell'accusa
sempre le stesse cose, sono da tenersi ben d'occhio e non c'è da fidarsi.
Non è questa la nostra prassi solita? Eppure Don Bosco non lo ammetteva.
Le mancanze leggere
L'altro caposaldo di Don Bosco oltre al proponimento è quello delle
mancanze, non solo quelle dei comandamenti e peccati mortali, ma anche le
mancanze usuali ai doveri, la maldicenza, la poltroneria, la critica, la ribellione
ed anche le mancanze nelle piccole cose; il 30-V-1865 la visione dei fiori
portati a Maria e tra questi ci sono le spine ossia le mancanze leggere. A chi gli
domanda se è peccato mancare alle Regole della casa, gli risponde: Non dico
se è peccato grave o leggero, dico che un bene non è.
Così per la storia dei soldi in tasca: Non so come una tale disobbedienza
possa permettere d'accostarsi alla Comunione. Tutte le invettive contro la
filossera; tutte le quasi maledizioni contro i mormoratori sono una conferma di
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6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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questo principio. Così: Latet anguis in nerba(Il serpe si nasconde nell'erba),
i famosi 4 chiodi! Dunque Don Bosco era rigoroso? Era un Alfonsiano.
Ora perciò noi possiamo agire diversamente da lui in quanto nella prassi
dobbiamo seguire il Decreto del 1905 per il quale è possibile fare la
Comunione anche con il peccato veniale, mentre prima si dosava la frequenza
alla Comunione secondo il progresso o regresso che si faceva nella virtù.
A che serve
A questo punto ci si presentano tre questioni ed essenziali:
1) A che cosa serve la Confessione?
2) Come ce ne serviamo noi?
3) Come far agire la Confessione per la nostra direzione spirituale?
Quanto al primo quesito possiamo rispondere che la Confessione serve
essenzialmente per conoscerci, per correggerci, per educarci.
Serve per conoscerci e studiarci mediante l'esame di coscienza, sia
teologico quanto alla gravità maggiore o minore del fallo, sia morale se
riguarda la nostra volontà pratica nel seguire il proponimento e se considera il
frutto che abbiamo ricavato dalle Confessioni precedenti; sia psicologico circa
il nostro carattere e si domanda: perché ho fatto così? S. Francesco di Sales
vuole che non soltanto si dicano i peccati ma che si studino i motivi per cui
furono commessi.
Serve a correggerci e per questo vale il proponimento concreto, pratico,
ossia serio e volitivo. Per questo soprattutto è necessario il controllo del
confessore; è questo uno dei punti forti di Don Bosco. Infatti egli insiste molto
sull'avere un confessore stabile; ed anche negli scritti sottolinea l'idea del
confessore stabile, perché solo questo può controllare il lavoro suo personale
della volontà.
Infine la Confessione serve ad educarci all'orrorre del peccato, alla fuga
dalle mancanze, rafforza la volontà con la direzione spirituale del confessore.
Come ci confessiamo
Vediamo la seconda questione. Il Faber nelle sue conferenze si pone il
quesito: Perché il confessarci spesso frutta così poco?. In verità ci
confessiamo 52 volte all'anno e come per quasi tutta la gente devota e
spirituale non ne ricaviamo quasi nessun frutto; quale la causa? La causa è il
ritualismo con cui trattiamo la Confessione quasi fosse un gesto automatico.
Una delle cause principalissime è il confessare solo le deficienze nelle pratiche
devote, i piccoli accidenti esteriori, anziché badare alla pratica morale
dell'azione.
Noi religiosi confessiamo il frate e dimentichiamo l'uomo, confessiamo le
mancanze della Regola, le deficienze della pietà, gli sbagli e le mancanze della
vita comune; farisaicamente perché sono tutte cose che si possono dire anche
in foro esterno nei rendiconti, e invece non confessiamo l'uomo, non abbiamo
delicatezza di coscienza, non confessiamo il carattere. L'ipocrisia non si
confessa mai: è impossibile che un ipocrita confessi di essere, tale, perché dal
momento che lo dice non lo è più.
Non si confessa la cattiva volontà; le ingiustizie del non aver praticato il
dovere tassativo, non si confessa la insincerità di parole e di fatti, l'invidia,
l'ambizione; le azioni basse dettate dalla gelosia, certe simpatie storte, certe
antipatie ed inimicizie che salgono fino all'odio, al maltrattamento, in una
parola all'odio che cerca tutte le occasioni per demolire gli altri. Vi sono degli
individui che lavorano solo per far del male a tutti; dove vanno portano il
germe del male. Tutto questo non si confessa.
Il falso zelo contro chi ci ostacola, perché non hai buono spirito, che tu
abbia rovinato una classe, che tu abbia mandato all'aria tutto il tuo dovere di
prefetto, catechista, consigliere per i tuoi puntigli e per i tuoi punti di vista, non
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si confessano! Tutti questi doveri non esistono quando si tratta di applicarli a
te: così non esiste la carità che è il primo precetto, non la giustizia, non le altre
virtù; e dopo 52 Confessioni e 350 Comunioni fatte all'anno siamo sempre gli
stessi perché non confessiamo il principale. Capitano disastri nei nostri
collegi... Eppure quel tale andava regolarmente a confessarsi. Una Comunione
fa un santo. 350 Comunioni non muovono di un dito se manca l'adesione dello
spirito. Aveva ben ragione San Francesco ad esigere che si andasse alle fonti.
Per noi c'è il grave pericolo dell'illusione di coscienza. Ci consideriamo
esclusivamente autori di peccati veniali; fuori del sesto comandamento tutto è
peccato veniale. È sbagliato! Possiamo dire che siano solo peccati veniali le
mancanze contro la carità? Don Bosco nel 1861 salendo le scale col chierico
Albera dice: Caro Paolino, ne vedrai delle belle col tempo; ti toccherà vedere
che sono assieme alla stessa balaustra perla Comunione, vicini di banco nella
meditazione, dicono assieme il Rosario, e mettono assieme odio, Sacramenti,
preghiere e peccati: tutto una cosa sola!.
Vi pare che tutto ciò possa essere considerato solo come peccato veniale?
Quando c'è un lavoro di lunga preparazione contro un individuo, quando c'è un
odio che dura da anni dico che è peccato, e peccato grave, perché odio è odio
ed è sempre peccato.
Esaminiamo meglio la nostra coscienza. Lascio stare per mancanza del
tempo ciò che riguarda il resto... Bisogna fare la Confessione tutti i giorni e
intanto bisogna chiudere il collegio!
Confessione e direzione
Ora dobbiamo considerare la Confessione anche come organo di direzione
spirituale. È vero che c'è il rendiconto e nel periodo chiericale è abbastanza
curato, ma nelle case i direttori talora hanno altro per la testa. Quindi qualche
volta l'unico vostro rimedio sarà la Confessione; le circostanze purtroppo
portano così.
Prima di tutto consideriamo la figura del confessore non come di un prete
comune che dà l'assoluzione come qualsiasi altro in punto di morte, ma
consideriamolo come l'uomo di fiducia a cui rimettiamo tutta la nostra anima
affinché la guidi e la conduca avanti, la educhi.
Se consideriamo il confessore come una lavandaia, non avremo mai una
educazione spirituale, eppure nella pratica è così. Ricordiamoci bene che Don
Bosco volle il confessore stabile appunto per la direzione. Perciò quando
dovrai cambiare casa guarda il confessore con questo occhio, fa prima una
confessione generale o un discorso a quattro occhi e così troverai la tua guida.
Don Bosco ha insistito nella Confessione settimanale e mensile di
ricapitolazione appunto per questo controllo.
Non meno essenziale della direzione è la sudditanza, l'ubbidienza al
confessore. Sei tu che gli devi dare l'autorità, altrimenti non combini nulla.
Benedico i tempi della mia giovinezza in cui il confessore doveva essere il
direttore della casa. Santa Chiesa lo ha proibito per motivi praticamente utili,
ma sta il fatto che adesso il confessore non ha più da parte dei penitenti
salesiani quell'autorità che dovrebbe avere. Sei tu che devi lasciarti guidare e
non fare il testone. Solo se fai come egli ti dice, la Confessione diventa
illuminata e correttiva, diventa educativa nel senso voluto da S. Francesco e
rilevato da Don Bosco, facendone il fulcro tutto intero del suo sistema
pedagogico. Tutto questo è detto per chi non si sente di aprire interamente la
sua coscienza al direttore nel rendiconto. Che se egli si sente di far questo
allora può tornare alla pratica integrale del sistema di Don Bosco, avendo
un'unica guida che gli è Padre e Maestro, anche se per la decisione della Chiesa
cessa di essergli giudice nel tribunale di Penitenza.
52

6.3 Page 53

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XI. SPIRITO ECCLESIASTICO
Quis ascendit in montem Domini aut quis stabit in loco
sancto eius? (Chi salirà il monte del Signore, chi starà
sul suo luogo santo? Sai 23,3).
Sollicite cura teipsum probabilem exhibere Deo,
operarium inconfusibilem, recte tractantem verbum
veritatis: profana autem et vaniloquia devita: multum
enim proficiunt ad impietatem. (Sforzati di presentarti di
fronte a Dio come un uomo degno di approvazione, un
lavoratore, che non ha di che vergognarsi, uno
scrupoloso dispensatore della parola della verità. Evita
le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere
sempre più nell'empietà. 2 Tini 2,15-16).
Tutte le lettere a Timoteo e a Tito sono un Vade mecum del buon
sacerdote, dice Don Bosco a Don Cagliero; ed egli parlando ai preti ha
sempre portato in campo i versetti di San Paolo.
Ora noi pure dobbiamo ispirarci a questi testi per trattare il nostro tema
strettamente sacerdotale, dello spirito ecclesiastico, ossia dell'idea del vero
sacerdote; la linea di condotta del buon prete. Noi tutti non dobbiamo avere
altra missione che quella di Don Bosco: riuscire buoni preti. Per giungere a
tanto è necessario a tutti un lungo lavoro, perché al giorno della consacrazione
non si fa altro che ritirare i titoli depositati nella Banca di Dio col lavoro della
nostra formazione. E il Signore non fa che tagliare i tagliandi.
Tutta la nostra vita dev'essere preparazione al sacerdozio. E guai colui che
non avesse di mira di diventare un degno sacerdote. E per questo è necessaria
una preparazione non solo automatica, che lascia trascorrere gli anni, ma una
preparazione di un uomo pneumatico, ossia spirituale, quindi preparazione
cosciente, razionale, sistematica, come dice S. Paolo: Sollicite cura teipsum...
ut perfectus sis homo Dei, ad omne opus bonum instructus(Sii sollecito di te
stesso... perché tu sia uomo di Dio perfetto e ben preparato per ogni opera
buona, 2 Tm 2,15-3,17).
Il nostro modello
Il Pontefice nell'Enciclica del 23-XII-1937 Ad catholici sacerdotiie
nella allocuzione ai seminaristi Romani del 17-VI-1932, presenta a tutti quale
modello Don Bosco. Quindi possiamo e dobbiamo noi pure cercare di
riprodurre in noi la sua virtù. Sarà questo il miglior mezzo per un salesiano di
essere un buon sacerdote e per un sacerdote di essere un buon salesiano.
Necessità dello spirito ecclesiastico
Vi ho già ricordate le parole di Don Bosco riguardo alla sua uscita dal
seminario: Separazione dolorosissima da quel luogo ove ebbi educazione alla
scienza, allo spirito ecclesiastico e dove ricevetti tutte le prove di bontà e di
affetto che si possono desiderare. Ora queste parole di Don Bosco riportate
dalle Memorie Biografiche ci indicano che egli capì d'avere imparato lo spirito
del prete ad essere un vero buon prete. Ed io benedico la circostanza che
costrinse la Congregazione a tenere i suoi chierici per 4 anni in un regime
seminaristico, perché imparino ad essere un po' più preti. Questo spirito cercò
Don Bosco di inculcarlo nei suoi primi preti e realmente i primi riuscirono più
preti che non i secondi. Purtroppo in un secondo periodo non ci fu formazione,
ma fu un periodo di crisi, eppure Don Bosco affinché si facesse qualche cosa
per un po' di formazione, voleva almeno un anno passato in un istituto.
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6.4 Page 54

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Il prete è sempre prete. Dobbiamo ricordarci che la nostra professione non
è di essere professori, ingegneri, direttori di laboratorio, capi d'azienda, ma
essere preti, e quindi in qualunque ufficio bisogna essere tali. Don Bosco ha
fatto un po' di tutto, persino l'industriale, avendo messo una cartiera
all'esposizione internazionale del libro, eppure fu sempre prete. E questo fu
ben notato dalPOrestano nel suo discorso: Don Bosco volle essere un perfetto
cristiano, egli ha detto, ed un perfetto sacerdote, null'altro e nulla più. Ecco la
vera idea di Don Bosco e dello spirito ecclesiastico formulato da un uomo che
non era prete, ma che aveva letto tutto quanto su Don Bosco era stato scritto.
Ed aveva aggiunto: Per tutta la vita visse in lui una coscienza acuta e
mordente di una indefettibile responsabilità sacerdotale. Cercate tutti i libri e
non troverete una definizione simile, eppure corrispondente all'idea di Don
Bosco: Un prete è sempre prete e deve manifestarsi tale in ogni sua parola.
Essere prete vuol dire avere un obbligo di mirare continuamente ai grandi
interessi di Dio, alla salvezza delle anime. Un sacerdote non dovrà permettere
che chiunque si avvicini a lui, si parta senza aver sentito un pensiero della sua
salvezza eterna. Espressione che ripete nel 1880 ad un prete fuori strada: nel
1881 ai chierici di S. Sulpizio; nel 1882 a Pinerolo; nel 1885 ad un gruppo di
preti ripete: Un prete non andrà solo in Paradiso o all'Inferno, ma saranno con
lui le anime salvate o scandalizzate.
Il 3-IX-1886 al ministro Ricasoli: Eccellenza, sappia che Don Bosco è
prete all'altare, in confessionale, in mezzo ai giovani, è prete a Torino come a
Firenze; prete nelle case del povero, prete nelle case del Re e dei Ministri.
Idea quindi totalitaria che abbraccia tutto l'essere di Don Bosco: essere prete e
un santo prete. Non dimenticate le parole che egli stampò sul chierico Burzio
Giuseppe: Desidero di essere prete, ma l'imbroglio è che prima di essere prete
bisogna diventare santo, santo, santo.
Questo è appunto lo spirito ecclesiastico, il concetto totalitario della vita
del prete, vita dedicata alla propria responsabilità. Ricordate però che dicendo
spirito ecclesiastico non diciamo spirito monastico, conventuale da anacoreta.
No. Il prete ha un proprio ufficio, una figura morale e giuridica troppo
differente. S. Tommaso dice: Il prete non è fatto per sé, ma per la Chiesa.
Essere prete in tutto
Essere prete significa vivere, pensare, ragionare da preti, mostrarsi prete
dappertutto e sempre, perciò l'idea del prete è molto differente da quella del
negoziante e del contadino, mentre purtroppo molti confondono.
Anche nelle opere ci si deve mostrare preti, sentirsi ministri di Dio e
quindi anche nella vita privata tenere un contegno che rivela la coscienza di
ciò che si è. Noi siamo di Cristo e per Cristo e quindi un po' di dignità. È
necessario su questo insistere anche con i salesiani, perché sembra che anche
tra noi non siano pochi i preti a tempo perso: ottimi professori, prefetti, ma del
prete ne hanno ben poco, perché non esercitano il ministero, non hanno fatto
mai una predica, non hanno mai dato una assoluzione. Ed allora perché ti sei
fatto prete? Quell'olio che ti hanno messo sulle mani è per condire i peperoni?
Fin da principio ho dovuto reagire contro la tendenza di voler fare tutto il
resto eccetto il prete. Domani saremo incaricati dalla Chiesa, e dall'obbedienza
anche di molte altre cose, ma ricordiamoci di essere sempre preti. S. Callisto,
S. Lorenzo erano degli amministratori, il Card. Rampolla era un abile politico,
eppure furono santi. Al contrario ci sono dei preti grossolani, goffi, che fanno
delle scuole da pagani; vi sono di quelli che hanno una cattiva condotta
sociale, dei villani che trattano male tutti, della gente senza cuore, preti
ismaeliti ribelli contro tutti, che hanno il veleno del serpente. Guardiamocene e
non imitiamoli.
Due prediche di Don Bosco
Terminiamo il ciclo delle nostre conferenze spirituali come le abbiamo
incominciate: Se Don Bosco fosse qui, farebbe questa predica. E noi
terminiamo appunto con due sue prediche, solo che a noi manca quell'aureola
di santità che dove non arriva con la parola, arriva con la sua efficacia.
54

6.5 Page 55

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Sull'idea di Don Bosco riguardo alla condotta del prete noi abbiamo appunto
due documenti, due discorsi. Il primo tenuto negli Esercizi di Trofarello nel
settembre 1868 proprio ai chierici ordinandi in cui prese il tema del passo che
tutti sanno: 1 Tm 4,16: Attende Ubi et doctrinae, insta in illis. Hoc enim
faciens et teipsum salvum facies et eos qui te audiunt(Vigila su te stesso e sul
tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro
che ti ascoltano). E su questo svolse la parte morale-dogmatica, ma poi
insistette soprattutto sull'esemplarità nella condotta svolgendo 1 Tm 4,12:
Exemplum esto fidelium in verbo, in conversatione, in caritate, in fide, in
castitate(Sii di esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella
carità, nella fede, nella purezza). Completava poi questa spiegazione con l'Epi-
stola a Tito 2,7 che svolge gli stessi pensieri: In omnibus teipsum praebe
exemplum bonorum operum, in doctrina, in integritate, in gravitate
(Offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di
dottrina, integrità e dignità). Ecco come Don Bosco in una sola predica fa
passare tutte le virtù di un buon prete.
Meglio ancora nella predica analoga del 1869 annuncia più chiaramente il
suo concetto e lo espone più compiutamente prendendo dalla 2 Cor 6,3-10, che
è la più esauriente definizione dello spirito ecclesiastico, la miglior tipologia
del sacerdote: Nemini dantes ullam offensionem ut non vituperetur
ministerium nostrum: sed in omnibus exhibeamus nosmetipsos sicut Dei
ministros, in angustiis, in plagis, in carceribus, in ieiuniis, in castitate, in
scientia, in longanimitate, in Spiritu Sancto, in caritate non ficta, in verbo
veritatis, in virtute Dei, per arma justitiae a dextris et a sinistris per gloriam et
ignobilitatem, per infamiam et bonam famam: ut seductores et veraces, sicut
qui ignoti et cogniti: quasi morientes et ecce vivimus; ut castigati et non
mortificati; quasi tristes semper autem gaudentes; sicut egentes multos autem
locupletantes; tamquam nihil habentes et omnia possidentes(Da parte nostra
non diamo motivo di scandalo a nessuno perché non venga biasimato il nostro
ministero; ma in ogni cosa presentiamoci come ministri di Dio, con molta
fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle
prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni, con purezza,
sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di
verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia alla destra e alla
sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo
ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi;
moribondi ed ecco viviamo; puniti ma non messi a morte; afflitti, ma sempre
lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece
possediamo tutto).
Questo passo nel testo originale si presenta tale da essere un tratto
autobiografico, ma la Volgata cambiando valore grammaticale ad alcune
parole, lo ha fatto diventare una esortazione e Don Bosco lo usa secondo il
senso datogli dalla Chiesa. Continuando nella sua predica Don Bosco ricorda
che il sacerdote è chiamato a cooperare ed imitare Cristo: Dei enim adiutores
sumus(Infatti siamo cooperatori di Dio, 1 Cor 2,9). E perciò gli è data una
grazia speciale che deve tesoreggiare: Noli negligere gratiam, quae in te est,
quae data est tibi per prophetiam cum impositione manuum presbyterii(Non
trascurare il dono spirituale che è in te, che ti è stato conferito, per indicazione
dei profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri, 1
Tm 4,14); e lo invita a corrispondere alla vocazione citando Isaia 49,8: Ecce
mine tempus acceptabile(Ecco ora il tempo favorevole) e dicendo ecco
adesso è il tempo di farci santi e divenire buoni preti.
Termina poi ritornando sul concetto e sulla responsabilità dell'esempio,
necessario al sacerdote per conservare la sua dignità. Ora se noi esaminiamo
passo per passo queste note autobiografiche di S. Paolo vediamo che si
adattano meravigliosamente a Don Bosco; solo in carcere non è stato, ma ci
mancava poco; ecco quindi il modello di lui presentato ai suoi preti futuri: il
tipo di S. Paolo passato attraverso Don Bosco.
È questo il modo migliore per essere salesiani e sacerdoti. Egli ci ha dato
l'esempio: Permane in his quae didicisti et credita sunt tibi: sciens a quo
didiceris (Rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto,
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sapendo da chi l'hai appreso. 2 Tm 3,14); rimanete nella santità di Don Bosco.
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XII. LA PEDAGOGIA DI DON BOSCO
Da mihi animas, coetera tolle... (Dammi le anime, tieniti
tutto il resto...).
Nel 1884 fu messo sotto lo stemma salesiano nella basilica del S. Cuore a
Roma. Alcuni avrebbero voluto: Lavoro e temperanza; ma Don Bosco non lo
volle perché disse: Da quando sono entrato nell'Oratorio sulla mia stanza c'è
un cartello: "Da mihi animas, coetera tolle!" E questo voglio sia
tramandato.
Se non teniamo presente questo testo non capiremo mai sostanzialmente
l'opera di Don Bosco. Qui è compendiato tutto lo spirito, la ragione della sua
opera. Il Papa il 3-VI-1929 nel cortile di S. Damaso, parlando a tutti i salesiani
ivi radunati, ai superiori, ai missionari, alle suore, ai giovani ed allievi e
cooperatori, facendo sentire la grandezza di Don Bosco disse: Voi avete una
grande responsabilità: la gloria terrena di Don Bosco è nelle vostre mani, ed
essa diventerà tanto maggiore, quanto più e quanto meglio saprete intenderne
lo spirito, quanto più e quanto meglio saprete continuarne l'opera, così come
egli la volle.
Ora riteniamo bene che egli non ci ha mai pensati come lavoratori
qualunque, ma lavoratori di anime tra la gioventù. Ecco perché il suo motto:
Da mihi...Egli ha vissuto questa idea, egli è vissuto per completarla nelle
sue opere; il perché della sua esistenza è questo apostolato delle anime. E Don
Bosco come ci ha voluti? Come fu egli stesso: apostoli delle anime della
gioventù.
La santità di Don Bosco
La santità di Don Bosco fu nettamente stabilita dalla Provvidenza come
santità educatrice e se ne ha prova nel sogno dei nove anni, poiché quando il
Signore pensa di prender un santo e lanciarlo nel mondo, gli si rivela, gli
delinea la sua missione e gli concede la santità in rapporto a quella missione. E
la santità di Don Bosco è forgiata come santità educatrice. Don Bosco non sta
nel bilancio della storia come missionario organizzatore, ma come scopritore
del sistema preventivo. Questo sistema fu nelle sue mani e deve essere per noi
un mezzo insegnato dalla Provvidenza per salvare le anime dei giovani.
Il vero aspetto del sistema preventivo
Trattando del sistema di Don Bosco non si deve ragionare come si fa col
pubblico al quale bisogna presentare l'aspetto umano del sistema. Per noi che
dobbiamo sapere che cosa è l'opera di Don Bosco, se non comprendiamo che
tutta l'opera educativa deve tendere a salvare le anime, non abbiamo capito chi
sia Don Bosco. Ciò che non possiamo dire al mondo è veramente il segreto
della penetrazione universale, la verità, l'originalità, la santità del suo sistema.
Savio Domenico ha praticato in grado eroico la virtù. La proclamazione
dell'eroicità delle sue virtù fu la sanzione suprema venuta dalla S. Sede della
pedagogia di Don Bosco capace di ottenere tali frutti.
In questo senso dobbiamo intendere il nostro sistema come costruttore di
anime veramente cristiane, adatto a tutti e capace a formare dei santi.
Ragione di essere
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Noi dobbiamo praticare la stessa pedagogia ed è appunto questo che il
mondo aspetta da noi. Quando ci chiamano intendono chiamare Don Bosco.
Non ci aspettano come professori o come religiosi ma come salesiani, perché
abbiamo uno speciale sistema educativo. Per questo è nata la Congregazione, e
noi abbiamo il pericolo di dimenticare il perché esistiamo: Don Bosco ha il suo
Oratorio: ha bisogno di assistenti che lavorino col suo sistema ed ecco sorgere
la Congregazione: quindi storicamente dal sistema viene l'opera e dall'opera la
Congregazione. Noi quindi esistiamo per questo motivo la nostra personalità
storica e sociale davanti al mondo sta tutta qui: costoro sono gli educatori di
uno speciale sistema educativo provato da Don Bosco e che si chiama sistema
preventivo. Tutto il resto del colossale lavoro della Congregazione salesiana
non è nostra specialità. Per il resto possono chiamarsi anche altri religiosi,
perché di predicatori, di missionari ce ne sono molti altri, ma il sistema
educativo è cosa nostra, esclusivamente nostra. Sono parole di Don Bosco
nella lettera del 10-VIII-1885 a Don Giacomo Costamagna in America: È
cosa tutta di noi, il resto tutto non è nostro.
Dobbiamo diventare talmente compresi e particolaristi nel senso buono
delle cose nostre da sentirne ed apprezzarne tutto il valore. Ho speso tutto il
mio tempo per studiare queste cose e vengo a constatare che non fu cosa
inutile, perché possiamo asserire che tutto Don Bosco è nel ricercare,
difendere, premunire le anime; egli visse solo per impedire il peccato, per
prevenirlo.
Questo è tutto il suo sistema: mettere il fanciullo nell'impossibilità di
commettere il peccato. Lo ha detto egli stesso: ll-XI-1869: Noi lavoriamo tra i
giovani per impedire il peccato. L'esistenza nostra e delle nostre case è solo
per questo e non perché vadano bene le file, perché battano il tacco. Se noi
comprendiamo questo, noi cambieremo tenore di vita.
La scuola è solo il tamburo del ciarlatano per attirare la gente: questo è il
segreto della nostra massoneria salesiana. Facciamo la scuola per attirare gli
uccelli, e una volta che ci sono dentro, dar loro da mangiare, salvare le loro
anime.
Ripeto: i collegi non esistono perché i ragazzi obbediscano a suon di
campanello, perché si facciano delle scuole brillanti per mettere 24 presentati,
27 promossi; neppure, e tanto meno per fare molti soldi da mandare
all'ispettore. Le nostre case qualunque indirizzo abbiano, devono esistere
esclusivamente per salvare le anime; se dimentichiamo questo non sappiamo
chi sia stato Don Bosco.
Le basi del sistema
Nell'idea di Don Bosco, quale esce dai documenti, il sistema ha pra-
ticamente tre punti che sono come tre centri di altrettanti circoli interferenti in
cui le circonferenze toccano il centro delle altre due: disciplina, frequenza ai
Sacramenti, vita del cortile.
Disciplina
In generale nel concetto di Don Bosco la disciplina è quella che vuole per
noi salesiani che abbiamo il voto: la disciplina di famiglia, l'ordinamento
familiare e soprattutto l'uso della bontà, della persuasione, il respingere i
castighi e soprattutto vigilanza, vigilanza. Il 18-VI1-1883 dice a Don Pro vera:
Lavoro e vigilanza, vigilanza e lavoro... la disciplina deve venire da sé,
quando si sa farsi amare per farsi obbedire, quando esiste confidenza tra
superiori ed allievi, quando tanto nell'educatore che nell'educando regna il
senso religioso del dovere. Ecco il punto nevralgico della nostra deviazione,
della nostra allontanazione da Don Bosco.
Se vi è cosa di cui i superiori mi abbiano fatta espressa raccomandazione
da qualche anno in qua, è perché insistessi negli Esercizi su queste cose; nel
giugno 1933 mi fu detto: Insista, caro Don Alberto, insista sul sistema
preventivo perché certuni per far andar bene il collegio sacrificano il sistema
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preventivo e trascurano le tradizioni salesiane. È già quello che lamenta Don
Bosco nella lettera del 10-V-1884 da Roma: Ma perché sostituire la freddezza
di un regolamento alla fiamma della carità, perché i superiori si allontanano
dall'osservanza delle Regole di educazione che Don Bosco ha dato loro?
Perché invece di prevenire con la vigilanza si va sostituendo un sistema meno
pesante e più spiccio di bandire leggi che si sostengono coi castighi, accendono
l'odio e trascurate che siano instillano il disprezzo verso i superiori?».
Purtroppo a questa maniera si foggiano alcuni collegi: chi non fa così
riceva cosà... è un codice penale che Don Bosco non vuole e ciò che vi è di più
antisalesiano, e se Don Bosco ci fosse salterebbe in bestia, perché quando era
toccato, ritrovava i suoi merli.
In America capitò che chi comandava, Don Costamagna, era un tipo
piuttosto rigido e legnoso, era già famoso da chierico, figuratevi dopo. (Fra
parentesi: se durante gli Esercizi dovete far silenzio, dite grazie a lui). Egli
dunque aveva regolate le case con rigidità; or venne a trovarsi lassù Don
Vespignani che era stato conquistato dal nostro sistema e scrisse a Don Bosco:
Il superiore fa così e così; a Torino vedeva far ben altrimenti. E Don Bosco
risponde con tre lettere: una a Don Cagherò il 5-VIII per dirgli che scrive a
Don Costamagna: Preparo una lettera per Don Costamagna e per tua norma,
toccherà in particolare lo spirito salesiano, che vogliamo introdurre nelle case
di America: vi dirò Carità, dolcezza, pazienza; non mai rimproveri
umilianti, non mai castighi; fare del bene a chi si può e del male a nessuno.
E ciò valga per i salesiani tra loro e per gli allievi sia interni che esterni.
Il 10-VIII scrive la seconda a Don Costamagna: ..., di poi vorrei a tutti
fare io stesso una predica se fossi agli Esercizi, o meglio ancora una
conferenza sullo spirito salesiano che deve animare le nostre azioni, ogni
nostro discorso. Il sistema preventivo sia proprio di noi; non mai castighi
umilianti, non mai castighi penali, non rimproveri severi in presenza di altri,
ma solo parole di dolcezza, di carità e di pazienza. Non mai parole mordaci,
umilianti, non mai schiaffi, gravi o leggeri; ma usa castighi negativi, in modo
che chi è avvisato divenga amico più di prima... mai mormorazioni contro le
disposizioni dei superiori... ogni salesiano sia amico di tutti; non richiamare
mai una cosa già perdonata... dolcezza nelle parole, nel richiamare,
nell'avvisare. Questa sarebbe una traccia tua e per gli altri nella prossima
predicazione.
Questa lettera fece tale effetto, che Don Costamagna rispose ringraziando
e, testimonianza dello stesso Don Vespignani al quale Don Bosco aveva scritto
la terza lettera il 14.VIII, molti scrissero promettendo di praticare
scrupolosamente il sistema preventivo, sentendosene in difetto e sentendo
maggior difficoltà ad essere caritativi alcuni vi si obbligarono con voto: il
quarto voto salesiano.
Sacramenti
La disciplina di famiglia è necessaria, ma tutto il sistema è appoggiato
sulla Confessione e Comunione. Tutto il nostro lavoro andrebbe fallito, se non
avesse la sua base, il suo principio vitale nell'azione interna che è la funzione
dei Sacramenti. Senza questi non esiste neppure la moralità. Tutti gli scritti di
Don Bosco portano questo concetto: Si lavorano gli animi coi Sacramenti della
Confessione e Comunione, ma non inteso in senso di scaraventare i ragazzi ai
Sacramenti; questo non è dirigere un'anima.
I Sacramenti operano ex opere operato, se noi non vi mettiamo impe-
dimento, ma educativamente e psicologicamente no. Bisogna quindi ricordare
di prendere le cose con certo buon senso. Tutto quello che ha scritto e detto
Don Bosco nelle buone notti, nel dirigere, tutto confluisce qui: essere seri
nell'uso dei Sacramenti, nell'averne presente il concetto educativo, quindi il
proponimento, la correzione quanto alla Confessione, Comunione frequente,
ma libera e ben preparata.
Don Bosco non amava certe Comunioni di parata. Il 19-1-1876, nella
novena di S. Francesco dice: Spero che tutti facciate la vostra Comunione nel
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6.10 Page 60

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giorno di S. Francesco. Non dice che tutti devono comunicarsi, ma spera che
tutti si comunichino e così nella novena di S. Luigi e dell'Immacolata.
Col Belasio si compiaceva di aver nell'Oratorio un numero notevole di
ragazzi che potevano fare la Comunione quotidiana. Don Bosco fu onnipotente
nel trasformare i suoi giovani pur mancando di tutto, di gente, di scuole, pur
avendo dei ragazzi messi dalla Questura, gente da coltello, grossolana... eppure
ne ha fatto qualche cosa, li ha formati. Ma come li ha educati? Colla bontà,
colla gentilezza, coll'amorevolezza: li fabbricava confessandoli ed
interessandosi sempre e soprattutto delle loro anime.
Cortile
Veniamo al terzo centro così importante ed indispensabile: la vita del
cortile. Termine che ho creato e messo in uso io. Se non intendiamo questa
idea, tutto il sistema di Don Bosco cade, tutto il sistema salesiano diventa una
chiacchiera, una vanteria.
Prendiamo la lettera del 10-V-1884, non si occupa di altro che della vita
dei salesiani nella ricreazione. C'era corruzione nei giovani, disordini nei
confratelli, tutto dipendeva dalla vita del cortile. Questa vita come è negli
Oratori festivi, ove costituisce l'essenza esteriore dell'opera è quella che ha dato
in mano di Don Bosco il cuore dei giovani. Tutto è nato dalla vita del cortile,
ossia dove il giovane è sciolto dalle restrizioni regolamentari. Quindi Don
Bosco ed i salesiani autentici vanno veduti non inquadrati negli angoli, con
l'aria del consigliere scolastico, ma coi ragazzi in mezzo al cortile. È questo il
gran segreto, perché il ragazzo dimenticherà tutto, la scuola, le spiegazioni, ma
non dimenticherà quanto ha detto e fatto nel cortile, la bontà, la fratellanza,
quel cuore a cuore. Dei professori ce ne sono tanti nel mondo, ma di superiori
che stiano in mezzo ai giovani ce ne sono pochi in questo mondo ed i giovani
non li dimenticano più.
Don Bosco vuole che noi viviamo coi giovani e non può concepire dei
salesiani che mentre i giovani sono in libertà se ne stiano altrove. Tutto il
personale, cominciando dal direttore deve trovarsi tra i giovani;
10 dice in una annotazione sul sistema preventivo: Il direttore si trovi
in mezzo ai suoi giovani....
Vuole che si viva in cortile coi giovani, ma non come bidelli, come guardie
carcerarie, ma come fratelli, usando familiarità, perché solo questa porta affetto
e confidenza; egli vuole che i giovani non solamente siano amati, ma
conoscano che sono veramente amati.
Nel 1875 scrive: Il nostro occhio sia come quello di certi animali che
vedono ovunque: il salesiano non deve giuocare solo per sé; vi sono taluni che
nel cortile pensano divertire se stessi e non badano agli altri... Aver occhio
dappertutto, ai musoni, ai crocchi. Vuole che non si abbia da dire guardando
una ricreazione: Dove sono i salesiani?ed altrove: Il direttore, il catechista,
il consigliere, i preti, i maestri, i chierici, dove sono?. Il superiori ci devono
essere tutti in cortile, anche quelli che non hanno gradi: le vesti nere non
passeggino da sole in cortile.
Purtroppo che uno ha la cattolica per la testa, un altro ha delle conoscenze,
il professore ha da correggere le pagine... e tutta la ricreazione è affidata a due
o tre giovani chierici.
E ancora Don Bosco: Si sorvegliano così alla lontana avvertendo
minacciosamente chi manca; invece Don Bosco vuole che stiano in mezzo ai
giovani come padri, fratelli, amici, vuole che superiori non siano considerati
come superiori. Il maestro in cattedra è maestro e niente più; se viene in
ricreazione coi giovani diventa fratello, si guadagna quella confidenza che
mette una corrente elettrica tra i giovani ed i superiori.
Faceva bene quel direttore che quando vedeva due confratelli fermi
insieme, li sgridava. Bisogna che cada quella barriera di indifferenza che il
demonio ha innalzato tra i giovani ed i confratelli; deve sorgere il giorno della
sopportazione e dell'amore per Gesù, il giorno dei cuori aperti alla vera
corrispondenza, il giorno in cui tutti i salesiani facciano come Don Bosco che,
come ha fatto rilevare il Papa, in mezzo a tutto il suo da fare trovava il tempo
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7.1 Page 61

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per scendere in cortile per novellare, scherzare coi più piccoli e coi più piccoli
tra i piccoli.
Termino con una raccomandazione: sarebbe doloroso che mentre tutti
vogliono i salesiani per il loro sistema, fossimo proprio noi i primi ad
abbandonarlo.
Per i veri salesiani il sistema preventivo deve essere il quarto voto!
11 cosìdel sistema preventivo si può definire il cosìpiù vero e
maggiormente di Don Bosco perché è la sua personalità davanti alla
storia e davanti alla Chiesa.
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7.3 Page 63

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PARTE SECONDA
CONFERENZE XIII-XVI
(Gualdo Tadino, agosto 1937)
CONFERENZE XVII-XIX
(Roma, marzo 1938)
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7.5 Page 65

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XIII. BUONO SPIRITO
Sono solito a presentarmi con un saluto: un tempo per complimento, ora in
nome di Don Bosco. Lo conobbi e per tre anni; a S. Benigno Canavese feci
Esercizi con lui. Era presente, conosceva tutti, e quella mezza parola che ci
diceva, mettendoci la sua mano sul capo, valeva tutti gli Esercizi.
Mi rivolgo specialmente ai sacerdoti ed ai coadiutori: i chierici sono nel
purgatorio della vita per passare al paradiso del sacerdozio.
Suor Maria Mazzarello diceva: Viviamo alla presenza di Dio e di Don
Bosco. Parole di una povera donna che ha imparato a scrivere a 34 anni, ma
che aveva compreso lo spirito di Don Bosco. Così noi in questi Esercizi. Sono
qui con un programma e per svolgere un programma: Vivere alla presenza di
Don Bosco e vedere come Don Bosco vuole la vita salesiana.
Questo svolgerò in queste conferenze. Gli studi e principalmente gli anni
mi hanno convinto che per il salesiano non vi deve essere altro tema di
Esercizi, se non la SALESIANITÀ, seguire Don Bosco, studiare Don Bosco
per la nostra vita. Dobbiamo convincerci che il testo della nostra salesianità
non può essere che Don Bosco come per ogni cristiano il testo è Gesù Cristo.
Domando permesso di spiegare i termini. Di Don Bosco non si può fare
l'aggettivo boschiano, boschianità, boschianamente; per questo
salesianità, salesianamente, salesiano vuol dire di Don Bosco: lo spirito,
l'esempio, la tradizione di Don Bosco.
Quando sentite questi termini fate voi la traslazione.
Vi è una ragione quasi infallibile per seguire la salesianità, perché discende
dal magistero della Chiesa. Canonizzando Don Bosco si è canonizzata la sua
salesianità, non solo la sua santità personale. Noi siamo sicuri che possiamo
farci santi facendo come fece Don Bosco, anzi dobbiamo farci santi così, se la
vocazione non fu una appiccicatura. Non è penisero mio, sono parole
fondatissime, parole di Pio XI: Filii sanctorum estis et heredes sanctorum
(Siete figli di santi ed eredi di santi). È una magnifica lode che importa una
grande responsabilità.
Disse pure Pio XI: La gloria più bella di Don Bosco in questa terra è nelle
vostre mani, dipende da voi se saprete continuare l'opera sua precisamente
come egli la voleva. Non si può immaginare un salesiano o una Figlia di Maria
Ausiliatrice che non lavori(Giugno 1929, cortile di S. Damaso).
Nel 1927 Pio XI in uno dei 5 grandi discorsi che fece su Don Bosco, disse:
Don Bosco continua ad essere il vero direttore di tutto, non il padre lontano.
Don Bosco è qui presente. È una lode stragrande. Il Papa ci ha detto che Don
Bosco continua ad essere nella Congregazione, la quale è ancora nella buona
strada, nonostante che un profondo storico francese abbia detto che nessuna
Congregazione dopo 50 anni segue ancora in tutto gli indirizzi del fondatore.
Noi abbiamo il nostro indirizzo; non guardiamo gli altri! Ci sono alcuni
che non conoscono Don Bosco. Vorrei che quello storico qui presente,
quell'angelo di Don Castano facesse una vita di Don Bosco proprio per noi
(salesiani). Chi vive da 53 anni in Congregazione, può dire che alcuni non
ricordano, non conoscono Don Bosco. Il Santo Padre non vuole che il poema
di Don Bosco si restringa alla sola educazione; per questo pose lui il
Communiodella Messa: Contra, spem in spem credidit ut fieret pater
multarum gentium, secundum quod dictum est ei(Ha creduto, sperando
contro ogni speranza, che sarebbe diventato padre di molti popoli, secondo
quanto gli era stato detto). Pensiero degno e proprio di un Papa!
Da Don Bosco impareremo il suo spirito e la sua tradizione. Le Regolava
interpretata secondo la tradizione, perché una Regola può servire per tutte le
Congregazioni, salvo poche parole. Così diceva Leone XIII a Don Bosco e lo
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invitava a far raccogliere da qualcuno tante cose che non si scrivono o se si
scrivono non si intenderebbero come si deve. E Don Bosco tempo dopo diceva
ai suoi figli: Le tradizioni si distinguono dalle Regole in quanto insegnano a
praticare le Regole stesse. Don Bosco incaricò Don Rua di raccogliere le
Tradizioni.
Non consiste la salesianità nella lettera, ma nello spirito della tradizione;
non nel canonismo delle Regole: l'anima salesiana può mancare, compiendo
ciò che impongono le Regole. La frase per essere salesiano bastano le
Regoledeve essere interpretata secondo la tradizione di Don Bosco,
altrimenti siamo una macchina, materia... Sono solito portare un esempio
ameno. In una casa venne a mancare il pane per la colazione, e delle volte
avevano quattro sardine da dividere in cinque, e ciò nonostante erano allegri, e
si rassegnavano dicendo che avrebbero mangiato l'altro giorno... Il salesiano
della tradizione quando ce n'è, mangia, se non ce n'è, non mangia: mentre un
salesiano della lettera direbbe che non si osservano le Regole. Si può tutto
riassumere in questa frase: Don Bosco vuole così. Ne dirò dieci di così,
tanti quante le conferenze che faremo.
La salesianità è difficile a definirsi, essendo tradizione, somma di fatti,
indirizzi che non sono stati formulati da un filosofo o un pedagogo, ma sono
fatti vissuti. Ho conosciuto dei coadiutori e dei preti così fatti che vivevano
proprio come Don Bosco insegnò. Don Bosco ne era entusiasta di questo
nucleo di figli ch'aveva educato lui. Il 1° gennaio 1886 in una conversazione
esclamava: I nostri soci vengono acquistando uno spirito straordinariamente
buono che io ne sono sbalordito, e Don Bosco ne aveva visto delle cose
grosse! Un mese dopo (febbraio 1876) soggiungeva: Io vedo in essi uno
spirito di disinteresse che mi commuove. (Io li ho visti come erano, furono
miei maestri e superiori).
E continuava Don Bosco: Io vedo realizzato l'ideale della gente che io
cercavo per la mia opera. Finora abbiamo fatto passi da gigante e più ne
faremo se ci terremo al passato. Tra 50 anni se noi andremo avanti così saremo
10.000 e sparsi in tutto il mondo. Infatti: dopo 50 anni, nel 1932, eravamo
10.123, ed adesso 13.000.
La salesianità che ha permeato il mondo si deve a questo così, se
andremo avanti così. Diceva Orestano (filosofo, accademico d'Italia) nel suo
discorso di Cagliari: Non vi è in tutta l'età moderna un fenomeno spirituale
così imponente, quanto è la penetrazione salesiana accettata dal mondo. La
società contemporanea è permeata dallo spirito di Don Bosco. Notate che
Orestano è uno studioso e non sciupa le parole. Abbiamo bisogno negli
Esercizi di fare dilatare il cuore, giacché i sassolini durante l'anno ci fanno
dimenticare. Non c'è Congregazione così sicura di essere voluta da Dio come
la nostra, così Don Bosco (Ceria, voi. XII, 69 che contiene i maggiori
insegnamenti di Don Bosco). Continua Don Bosco: Le altre Congregazioni
hanno avuto qualche fatto all'inizio, mentre tra noi non si è avuta una
modificazione senza l'ordine di Dio. Mons. Costamagna ripeteva che forse
nessuna Congregazione ha avuto tanta parola di Dio come la nostra (voi. XVII,
305). Sappiano d'essere uno per uno niente, ma tutti insieme qualche cosa nella
Chiesa. Fra 100 o 500 anni, oh se potessi conservare una cinquantina di
salesiani che ho adesso! Noi saremo padroni di tutto il mondo, se saremo
fedeli.
Nel nostro impero non tramonta il sole.
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XIV. LA VITA INTERIORE
Il nostro programma si propone di attuare la salesianità secondo gli
indirizzi di Don Bosco. Ci siamo proposti di vedere i cosìdi Don Bosco ed
il primo e più importante è la vita interiore.
Il Card. Salotti riferendo nel 1910 a Pio XI i passi della causa di Don
Bosco confessava di aver ammirato l'interiorità della vita di Don Bosco che
purtroppo il mondo non conosce. Procedendo il processo di di Don Bosco
constatarono sempre più che la vita interiore era il segreto, il movente di tutto
quello che egli fece. Pio XI in ogni discorso su Don Bosco ne fa risaltare la
vita interiore. Il 20-11-1927 aveva detto che lo spirito di Don Bosco era
sempre altrove, là dove la calma era sempre sovrana; così si realizzò la
formula salesiana: Chi lavora, ora.
Lo stesso Pio XI nel dicembre del 1932, parlando ai seminaristi Romani
diceva: Si sarebbe detto che Don Bosco fosse altrove. E ancora lo stesso
Santo Padre nel capolavoro che fece su Don Bosco nel discorso del 1933 che
prorompe in queste parole: La causa di questo mistero sta nell'unione con
Dio. Pertanto la causa suprema della santità di Don Bosco è la vita interiore.
Dentro di lui, nonostante il lavoro, mediante il lavoro era sempre con Dio.
Questo è il primo, il più profondo dei così. Queste cose così come le sentite
adesso, non ve le hanno dette nel noviziato. I poveri maestri dei novizi hanno
un anno appena a loro disposizione, e devono conoscere il carattere, insegnare
ed infondere il nostro spirito, in così poco tempo. Quando incominciano a
vedere i primi frutti, già glieli tolgono, perché il noviziato è finito.
Senza una vera vita interiore non saremo mai quello che dobbiamo essere
né come religiosi né come sacerdoti; saremo al più dei sacristi che sanno
qualche cerimonia più degli altri.
Forse ci siamo fatti della vita interiore l'idea più sbagliata, come se fosse
qualcosa di meccanico, come prendere una pillola o un'aspirina. Don Bosco
non la pensava così. Se vogliamo fare qualcosa per noi e per gli altri non
concluderemo niente se non avremo Dio con noi, se non ci convinceremo che
chi lavora prega. Ora senza di questo non siamo veri religiosi, ma mestieranti
della vita, poltroni conventuali, come può talora accadere in certi Ordini vecchi
alla vigilia della soppressione.
La causa vera di tante perdite nei salesiani, il poco frutto di tanti
sacramenti, sta nella mancanza o nel difetto di vita interiore. Se noi dopo il
noviziato avessimo bene vissuto la vita interiore, in pochi anni avremmo fatto
enormi progressi; vita interiore, la cui definizione non troverete mai nei libri di
ascetica, benché ne parlino sempre. Vita interiore: vivere di fede per motivi
superiori. Nella prima ai Corinti 2,12-15 San Paolo scrisse: Non spiritum
huius mundi accepimus, sed spiritum qui ex Deo est... animalis autem homo
non percipit ea quae sunt spiritus Dei, spirtualis autem iudicat omnia et ipse a
nemine iudicatur(Non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo
Spirito di Dio... L'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di
Dio... L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato
da nessuno. 1 Cor 12-15). Sappiamo vedere le cose nello spirito. L'uomo
spirituale mette ogni cosa nella sua casella.
Altrove S. Paolo invita a fare tutto coll'ubbidienza, uniti per il bene
comune. Don Bosco conviene mirabilmente con S. Paolo. Spediamo subito un
diploma di cooperatore salesiano a S. Paolo. Non sono cose alte di mistica, son
cose pratiche che hanno meritato a Don Bosco la canonizzazione. Non per
ambizione, non per utilità umana lavoro continuo deve renderci migliori e
santificare le nostre azioni. La vita interiore non consiste in determinate
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7.8 Page 68

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pratiche, ma nell'elevazione delle opere ordinarie ad un grado straordinario di
amor di Dio. Non c'è bisogno di picchiarsi o mettersi sassolini nelle scarpe,
non è necessario fare miracoli. L'esterno, il faccendarismo vale fino a un certo
punto; ciò che vale è la vita interiore, la precisione. Don Bosco la vita interiore
non l'ha mai nominata con questa parola, né ha scritto su questa materia.
Egli loda sempre la devozione, la vera pietà. Comprendiamo una ma-
gnifica frase di Pio XI nel discorso su Domenico Savio: La preghiera ispirata
alla pietà. Con tutto il cumulo delle preghiere, se non c'è la corroborazione
della pietà, tutto resta parola. Vera pietà non consiste nel cumulo delle
preghiere. Lo spirito di preghiera è lo spirito di pietà; e quando Don Bosco
parla di pietà non intende le preghiere meccaniche. Egli ci ha pensati come
operai di bene: ut sint lumbi vestri praecincti et lucernae ardentes in manibus
vestris(Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese nelle vostre
mani. Le 12,35), vale a dire: tira su le maniche e tieni il lume nelle mani.
Ciascuno ha la sua parte nella Congregazione, non siamo pezzi di
macchina, ma cellule attive e viventi. Lavoro e temperanza pare quasi un
motto americano: Don Bosco non ha inventato nessuna divozione, né il
Rosario né le 40 ore né la divozione alla Madonna (non fece altro che
propagarla sotto un altro nome).
La sua figlia spirituale, che ha tradotto al femminile lo spirito di Don
Bosco, dice molto bene che la pietà consiste nel far bene ciò che si deve fare.
Addio Pater noster e preghiere! Non c'è bisogno di paternostrare come certe
vecchie, che poi diventano bisbetiche al primo contrattempo.
Disse Pio IX: Preferisco una casa religiosa in cui si lavora di più e si
prega di meno, ad un'altra in cui solo si prega. I curiali di Roma non
capivano Don Bosco quando non voleva che il noviziato si riducesse ad
una poltroneria con la scusa dello spirituale. Don Bosco vuole:
1) Orrore al peccato;
2) Distacco dalle venialità;
3) Retto uso dei Sacramenti;
4) Retti doveri del cristiano e del religioso.
Don Bosco era furbo che non si lasciava ingannare.
Don Bosco non credeva alla pietà dei testoni, mangioni e poltroni.
Don Bosco credeva alla pietà degli obbedienti, dei temperanti e dei
lavoratori: non vi può essere in questi casi falsa pietà. Don Bosco misurava
tutti in questi tre punti: va bene? Allora c'è pietà.
Dice Don Bosco nel capo VI della vita di Michele Magone: Seguiamo le
cose facili, ma si facciano con perseveranza. Don Bosco desiderava che si
facessero le cose imposte dalle Regole, ma quello che avrebbe voluto che
facessimo sempre, anche lontani e da noi soli, è la meditazione, la visita al
Santissimo Sacramento e la recita del Rosario. Aveva un terrore della
falsificazione della pietà. Pare pietà, ne ha le apparenze, ma la pietà non c'è:
proprio come diceva S. Paolo, che è salesiano. Don Bosco voleva:
1) Frequenza e retto uso dei Sacramenti;
2) Esercizio di buona morte.
Scriveva nel 1885 in America a Don Tomatis: Sappimi dire se si
osservano le Regole; secondo, come si fa l'Esercizio della buona morte.
In quanto alla Comunione Don Bosco ammetteva secondo il desiderio che
si aveva di farsi migliori. Quello a cui voglio richiamare i miei cari confratelli
brevemente, ma nervosamente, è che noi facciamo 363 Comunioni all'anno e
54 Confessioni: e chi di noi è santo? Perché siamo ancora così? Eppure delle
volte ne succedono delle grosse: e fino al giorno prima si era fatta la
Comunione tranquillamente. Succede il formalismo e la Confessione e la
Comunione sono formalità. Generalmente si riducono tutti i comandamenti al
sesto: non c'è questo? Tutto va bene.
Sei sicuro che quello non è peccato grave? Quegli odi, quelle ripetizioni
(ricadute)? Diceva Don Bosco a Don Albera che lo aiutava togliersi il
pastrano: Ne vedrai delle grosse: due fanno la meditazione insieme, la
Comunione insieme e pregano vicini... e non si possono vedere, e si odiano!.
A Don Barberis faceva notare che la maggior frequenza ai Sacramenti non
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è indice di maggior bontà. Se Don Bosco vedeva che un tale dopo tanto tempo
(dalla la alla 5a ginnasiale) non si correggeva ed era sempre lo stesso,
affermava che quel tale non si confessava bene, perché davanti a Dio non si
trovava bene. Al giovane Alberto Caviglia (della 5a ginnasiale), andatosi a
confessare dal sig. Don Bosco questi disse: «E lo fai il proposito?» — “Sì, dico
l'atto di dolore...” — “Ma lo fai proprio il proponimento?... Perché è già la
terza volta che mi dici la stessa cosa.
Cosìci educava Don Bosco. E questa me la sono attaccata qui
(accennando l'orecchio destro). La Confessione non deve essere un abito, come
il cambiarsi la camicia il sabato.
Don Bosco era severo e sembrerebbe perfino burbero: invece era così
buono..., ma austero ed esigente: voleva la santità.
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7.10 Page 70

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XV. LA BONTÀ
Si dice che i Gesuiti, oltre ai voti ordinari fanno la maggior parte un quarto
voto: tra questi si sceglie il personale dirigente: gli Ignaziani. Noi salesianetti,
più umili, l'abbiamo pure. Ma non per essere superiori. Anzi abbiamo tre quarti
voti. Secondo i vari aspetti: la bontà, il lavoro, il sistema preventivo. Ecco il
programma che ci rimane. Trattiamo dunque il primo quarto voto, ossia la
bontà.
Vi do due testi: Gal 6,2: Alter alterius onera portate et sic adimplebitis
legem Christi(Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di
Cristo).
Ef 4,1-4: Obsecro itaque vos ut d'igne ambuletis vocatione qua vocati
estis, cum omni humilitate ed mansuetudine, cum patientia, supportantes
invicem in caritate, solliciti servare unitatem spiritus, in vinculo pacis. Unum
corpus et unus spiritus, sicut vocati estis in una spe vocationis vestrae(Vi
esorto dunque a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete
ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda
con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito, per mezzo del vincolo
della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla
quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione).
Avete sentito le solenni parole? Questo è il testo più salesiano. Si parla di
unità, di carità, di pazienza col fine dell'unione. Voglio sottolineare questo
passo, perché in questa materia Don Bosco e il suo interprete alla mano Mons.
Cagherò, non hanno mai usato altre parole. Il codice della carità fraterna è
questo, insieme col capitolo XII della lettera ai Romani.
Veniamo al prezioso argomento indicatoci dal magnifico testo salesiano di
S. Paolo. Il nostro tema della bontà contiene un principio non meno vitale degli
altri, che forma il principalissimo lineamento della figura storica e morale di
Don Bosco. Don Bosco ha fasciato e permeato il mondo di bontà: egli ha
lanciato nel mondo l'educazione fatta colla bontà. La bontà è un tratto
caratteristico. La bontà si vedeva, traspariva in Don Bosco, era la prima
impressione. Don Bosco è grande nella storia e nella Chiesa, perché fu uomo di
fede {Communio della messa), ma Don Bosco è pure grande nella riconoscenza
di Dio e degli uomini perché ebbe cuore, ebbe bontà per tutti, specialmente per
i poveri. Il processo di canonizzazione di Don Bosco ha tirato fuori dei fatti,
dei doni, dei carismi, che hanno fatto sbalordire il mondo.
Ma questo non sarebbe servito a niente se non avesse avuto la bontà; ciò
dice la rivelazione in S. Paolo: Si linguis hominum loquar et angelorum,
caritatem autem non habuero, factus sum tamquam cymbalus tiniens... nihil
sum(Se parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho la carità, sono
un cembalo che tintinna... nulla sono).
Don Bosco ebbe la bontà, ed allora tutto ciò che fece vale qualche cosa. Il
mondo nutre simpatia per Don Bosco, perché il nostro stile, il nostro modo di
fare dimostra la bontà. Ci chiamano dappertutto perché abbiamo la bontà,
benché alle volte le pianelle non siano pulite, i mobili siano mal tenuti: i
Fratelli delle scuole cristiane ci sorpassano nella presentazione.
Dobbiamo dunque fare questo quarto voto: il salesiano senza bontà non è
salesiano, benché osservi le Regole. Il Signore nell'ultimo giudizio dividerà gli
uomini in due categorie, non guardando se ci mancano i bottoni nella veste e
se abbiamo le scarpe sporche: uomini di cuore gli eletti; uomini senza cuore i
dannati. Si è provato a definire la bontà, ma non ci si è riusciti: la bontà è un
sentimento, non un'idea e i sentimenti sono difficili a definirsi. La bontà si
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sente quando manca, come sentiamo che c'è l'aria quando ci viene a mancare: è
un concreto negativo. L'importante è che sappiamo cosa sia, lasciando la
definizione.
Vedete: io faccio uso di bontà e non adopero la parola divina carità: e
ciò faccio perché si capisce meglio. È che gli uomini usando questo concetto
l'hanno storpiato, e carità oggi è un'idea cerebrale scevra di sentimento.
Veniamo alla pratica che ci suggerisce Don Bosco. Don Bosco ha voluto
intendere la vita nelle sue case su questo fondamento della bontà e
dell'amorevolezza. Ogni casa deve formare una famiglia, ed ogni famiglia
procede da un unico ceppo. Don Bosco si affliggeva vedendo dei cuori piccini
con dei risentimenti: nel mondo salesiano, non dappertutto c'è la stessa
familiarità. Il senso di famiglia non è di criccae di camorra. La cosa a cui
Don Bosco teneva maggiormente è l'unione: Unum corpus et unus spiritus
(Un solo corpo, un solo spirito). La nostra preoccupazione deve essere questa.
Infatti Don Bosco il 27-111-1870 diceva: Nelle case preferiscono lavorare di
più in pochi che essere in più e non andar d'accordo.
Pio XI insisteva affinché fossimo uno per tutti e tutti per uno(M.B. IX,
565). E additava come esempio i Gesuiti. Guai a toccare un gesuita! Tutti i
Gesuiti ci andrebbero contro! Noi Salesiani siamo così? Siamo dei famosi
fabbricatori di forbici; nell'esposizione di Parigi prenderemmo il primo
premio.
Don Bosco l'aveva contro i gruppi (5 o 6, sempre loro - M.B. IX, 576). Già
nel 1870 deplorava che nell'Oratorio si notavano due partiti, e questo non
piaceva a Don Bosco.
Ma purtroppo nelle case grandi vi possono essere dei partiti. È cotesto il
secondo chiodo: Quaerunt quae sua sunt(Cercano il proprio interesse), è
egoismo. E tanti egoismi non fanno unione, come neppure molte pietre messe
insieme non fanno una casa, perché manca la calce. Ciò origina il terzo chiodo:
la mormorazione (Veleno di vipera), e il quinto chiodo, ossia i sornioni (17
serpe si nasconde nell'erba); e intanto un confratello si trova rovinato, un
povero prefetto non può più comandare. Che cosa è questo? Che cosa è
successo? Sono questi i serpenti che rovinano tutto. Don Bosco ricordava
sempre il detto di Comollo: Del prossimo o si parla bene o si tace affatto.
Questo per ottenere l'unione e la carità.
Piantiamoci bene questi chiodi nella mente, non i nostri chiodini. Don
Bosco nel testamento ai salesiani insiste sull'intesa reciproca e sul perdono:
«responsio mollis frangit iram» (Una risposta amabile smorza l'ira). Charitas
benigna est...(La carità è benigna...). Parlatevi, spiegatevi e vi intenderete
senza rompere la carità cristiana, a detrimento della Congregazione. Non fate il
muso troppo lungo, se no vi viene la proboscide. Non mai tramonti il sole
sopra la vostra iracondiae non ricordate mai le offese perdonate. Diciamo
sempre di cuore il Rimetti a noi i nostri debiticon dimenticanza definitiva di
tutto ciò che in passato ci ha cagionato qualche oltraggio. E appunto come dice
S. Paolo, coronava con questa raccomandazione: Amiamoci di amore fra-
terno. E questo è detto per coloro che hanno qualche autorità. Anche coi
giovani, una volta che è passata la mancanza ed è stata riconosciuta, basta e
piantatela lì. Non tornarci sopra. In altri tempi, quando ero più impaolinato e
non così imboscato come adesso, che voglio imboscare tutti i miei confratelli,
allora citavo di più i testi di S. Paolo: Amore di fratellidico, e non amore di
frati, perché i frati non sempre si vogliono bene, ma si rispettano.
Ricordiamoci che Don Bosco citava i passi di S. Paolo per descrivere la
confidenza dei confratelli, che deve essere quella dei primi cristiani di San
Paolo.
S. Paolo capiva che ci poteva essere anche una carità insincera (Una carità
che non sia finzione... un amore senza falsità): non far commedia nel volerci
bene. Alle volte bisogna vivere con gente che ti tratta con i guanti e non ti
vuole bene. Carità sincera! Lasciatemi insistere su questa prerogativa
salesiana: anche tra i bigotti e tra i religiosi si possono trovare delle persone
che sono povere e che sono obbedienti, perché sono abulici; che sono casti,
perché non hanno sangue nelle vene, ma poi sono senza cuore! Questo, dice il
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Faber, rende odiosa la devozione: gente impeccabile, ma non amata, perché
non ama nessuno. Sono i giansenisti del sentimento.
Vedete che non basta la Regola? Che bisogna interpretarla secondo la
tradizione?
C'è anche l'anticarità: due disgregatori della fratellanza e della bontà sono:
1) Ambizione ed arrivismo (carriera);
2) Istinto di vendetta.
Sono entrati tra noi pochi anni fa (20 o 30). La voglia di comparire e di
figurare ci rendono invidiosi, gelosi, detrattori del male e taciturni del bene
altrui.
L'arrivismo: la voglia di avere classi alte e di non essere un prete
qualunque, e l'ambizione si sono diffuse tra noi. Già S. Paolo raccomandava di
non farsi del male per ottenere delle piccole cariche. Si critica colui che ci fa
ombra, gli si fa la forca: si fa la corte ai superiori coi favori... per quella
carica... si ha rancore e poi... si fa la Comunione tranquillamente.
I vecchi salesiani erano più rudi. Potevano turbarsi, ma non avevano
rancore, non si vendicavano. Io li ho conosciuti tutti. Le nuove generazioni
conosco meno la legge del perdono e del condono. Non ci si parla, si danno
voti bassi o si bocciano gli scolari di colui a cui non vogliamo bene, si fanno
dispetti. Chi è vissuto 40 anni fa fra gli scolari può dirvi qualche cosa.
Sant'Alberto ha parole meravigliose: Alcuni dicono di non odiarsi ma hanno i
segni dell'odio nelle azioni e nei sentimenti. Credono di fare una grande cosa
desiderando che il loro avversario non vada all'inferno.
Guardiamo la fotografia bonaria di Don Bosco che trapela bontà: Don
Bosco, come S. Paolo, può dire: Imitatores mei estote sicut et ego Christi
(Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo).
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8.3 Page 73

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XVI. IL LAVORO
Sint lumbi vestri praecincti et lucernae ardentes in
manibus vestris. (Siate pronti, con la cintura ai fianchi
e le lucerne accese nelle vostre mani. Le 12,35). Qui
laborat orat(Chi lavora prega). «Il lavoro e la
temperanza faranno fiorire la società salesiana(Sogno
di Don Bosco).
I sogni sono molti ma dicono tutti lo stesso parlando del lavoro salesiano.
Il lavoro non è stato messo nel nostro stemma che fu creato per metterlo nella
Basilica del Sacro Cuore a Roma. Non è il motto, ma è lo stesso stemma,
l'eredità di Don Bosco. Gli venne insegnato nel sogno del 1876: Questa è la
condizione per la conservazione e propagazione della Congregazione: farai
stampare un manuale che lo spieghi (Il lavoro e la temperanza faranno fiorire
la Congregazione salesiana). Finché i tuoi figli le osserveranno, avranno
seguaci in occidente, in oriente, al sud ed al nord(M.B. XII, 446).
Lascio stare quello che disse Pio IX: Preferisco una casa dove si lavora
molto, che una casa in cui si prega solo, perché vi può regnare l'ozio(X, 799;
IX, 566).
Ciò che scrisse Don Bosco nel 1879 nella relazione della Società salesiana,
che fece a Roma, ci allarga il cuore: e son sicuro che se Don Bosco dovesse
scrivere adesso, non cambierebbe una sillaba. Il lavoro supera le forze e il
numero degli individui: ma niuno si sgomenta, e pare che la fatica sia un
secondo nutrimento(XIV. 218). in quella relazione Don Bosco con piena
coscienza e fedeltà storica, fa il più bell'elogio della Congregazione salesiana.
Orestano, che è uno di quelli che meglio dissero di Don Bosco, perché non fa
della retorica, ma pensa e studia, afferma che necessità educative e sociali
intuite nello spirito dei tempi, gli fecero scoprire lo spirito di educare con il
lavoro e per il lavoro; questa è la vera originalità di Don Bosco.
Don Bosco fin agli ultimi istanti ripete sempre: L'ardore del lavoro. A
quelli che, vicino alla morte, gli andavano a baciar la mano in silenzio, come
Settimio Severo, l'infaticabile imperatore di Leptis Magna, ripeteva:
Laboremus!(Lavoriamo!). Noi siamo veri proletari della Chiesa, i lavoratori
nel senso nobile della parola: Chi non sa lavorare non è salesiano(XIX,
157). Parole citate dal Papa Pio XI il 3 giugno 1929. Nel 1933 diceva ancora:
Non appare bene nelle file salesiane chi non è un lavoratore: il lavoro è il
distintivo, la tessera di questo provvidenziale esercito(XIX, 235). E già nel
1922 ci aveva concessa la Porziuncola salesiana, l'indulgenza del lavoro (La
guadagniamo? detto questo tra parentesi). Ecco lo scandalo di un santo, di un
santo, possiamo dire, americano: dice molte più volte lavoriamo che non
preghiamo (Si fa presto a dire: preghiamo quando c'è la tavola pronta, ma è più
difficile prepararsela).
Don Bosco raccomanda il lavoro; ma suppone la nostra spiritualità del
lavoro, che il lavoro è preghiera! Non faccio una conferenza di accademia,
quindi bisogna che noi vediamo il lato spirituale del lavoro.
Il lavoro salesiano è lavoro di anima, la nostra anima, è la spiritualità che
noi ci mettiamo nel lavoro. Ecco la seconda definizione che vi do: II
salesiano esce dal mondo per associarsi religiosamente ad una collettività
organizzata sotto una guida per un lavoro profittevole alla società cristiana
ed alla gloria di Dio. Insomma noi siamo santi dalle maniche rimboccate:
questo è il tipo del salesiano. Se io dovessi dipingere Don Bosco tra noi
salesiani, li farei tutti con le maniche tirate su. Non bisogna più dire nelle
lettere mortuarie: Nonostante il molto lavoro si faceva santo. Come? Non
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capiscono niente costoro? Mediante il tuo lavoro tu ti fai santo, non
nonostanteil lavoro...
Quando sentite leggere in refettorio, date un pugno sulla tavola e se si
rompe il bicchiere, sarà in onore di Don Bosco, il quale non ha fatto libri di
ascetica, ma ha raccomandato il lavoro. Non libri dotti, non collezioni
magnifiche; noi nel mondo siamo considerati come lavoratori, gente che
produce, non succhioni della società. Il lavoro di colui che vuol essere buon
lavoratore di Don Bosco ha qualità proprie: Alacrità, voglia di lavorare. Il
vero salesiano non cerca riposo, sempre dice: datemi qualche lavoro. La vera
vacanza consiste nel cambiare il lavoro. Il vero salesiano ha bisogno di
lavorare. Voi non lo vedete mai fermo... Noi dobbiamo essere come i bambini
che non sanno mai stare fermi. Spontaneità. È il vado io, il contrario del
non tocca a me. Non farsi dire le cose, ma anche trovarsene del lavoro. Guai
a coloro che dicono: io faccio la mia scuola e basta. Tu non sei salesiano, sei
un poltrone.
Senza misurare il lavoro, dice il Papa Pio XI (M.B. XIX, 157).
Guardate Don Bosco. È una personalità unica nella storia. Il lavoro se lo
cercava lui in tutti i campi. Ed era un genio di attività e di organizzazione
nell'attività salesiana. Don Bosco faceva notare il bene che può fare un
chierico facendo un giro per i corridoi e per i luoghi nascosti. Tra tutti si fa
tutto. Aiutare gli altri, lavorare d'accordo. Don Bosco va per una strada, vede
un carrettiere che spinge inutilmente il suo carretto e senza fare tante
distinzioni e senza temere di ribassarsi, l'aiuta a spingere insieme. Coscienza
collettiva, che bisogna lavorare e lavoro che bisogna. Così si fa in molte case.
Quando si lavora, dei peccati non se ne fanno, ed il diavolo se ne scappa.
Coscienza interna, che ci porta a far bene il nostro lavoro; correggere il
compito, e non lasciar scappare i maccheroni. Studiarsi le prediche...
Il salesiano vero non misura il lavoro. Che bella parola ha detto Pio XI!
Per carità, non ascoltate mai i sonniferi, che ci sono in ogni casa. Non si
stanchi troppo, mangi di più, lavori di meno, ecc.. Ma piantatela lì, che
bisogna lavorare. Non lavorare per far carriera, ma per piacere a Dio. Il
salesiano bisogna che si renda atto al lavoro, perché noi formiamo un'azienda
cooperativa. La nostra rendita si vende nel cielo ed il guadagno si divide fra
noi.
Con amore: lavorare con amore è il segreto della nostra riuscita
pedagogica e professionale, è la gloria del passato artigianato italiano (os-
servate i musei...), far bene il proprio mestiere.
Coraggio e ardimento: è una qualità che non dobbiamo dimenticare.
Così si sono formati i vecchi salesiani; la scuola non insegna tutto ciò che
bisogna sapere. Se non sai, aggiustati, cerca, ardisci. Ti danno una scuola. Ma
io non so... Ardisci, fai quel che puoi, studia. Non fate caso ai disfattisti: ma la
salute? Iddio aiuta.
Saper far più di un mestiere: la preziosità di un coadiutore è che non sa
fare una sola cosa. Nelle nostre case siamo fortunati, quando abbiamo dei
coadiutori che sanno fare di tutto, e che se non sanno, si danno al lavoro per
imparare. Un direttore disse a Don Rua: C'è Guaschino (un coadiutore) che
lavora da mane a sera e non ha tempo di prendere fiato. Ha bisogno di aiuto.
Faccia il favore di mandare un altro. E Don Rua: Lavora molto? Tenete
conto per la biografia.
Per il sacerdote è dovere di coscienza la scienza: ma già nella vita moderna
non basta più quel poco di teologia, ma bisogna formarsi della cultura.
Nessuno al mondo conosce la cultura di Don Bosco come me; in un libro in
cui non c'è nessuna citazione — “La Storia d'Italia” — ne ho scoperte
moltissime provenienti da 80 libri diversi. C'è il Muratori, i Bollandisti, ecc.
Questa cultura Don Bosco se l'è raggranellata poco a poco.
I primi coadiutori di Don Bosco, nei momenti liberi, avevano sempre un
libro in mano; perfezionarsi nel proprio mestiere... Ci sono state delle
rivelazioni, nessuno si sarebbe aspettata tanta scienza da quel salesiano.
(Don Caviglia diventò storico di erudizione; professore d'arte sacra, tanto
che meravigliò le autorità ecclesiastiche e per lui fu fondata una cattedra di arte
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sacra al Politecnico di Torino, l'unica in tutto il Regno! E questo fu il frutto
della formazione, procuratasi da se stesso, con lo studio e con la iniziativa
personale. In S. Giovanni Evangelista di Torino si ammira l'altare di Don
Bosco, se non erro detto un gioiello d'arte, e un grande ed artistico lampadario
di puro stile, pure da lui ideato e disegnato; n.d.r. ed. 1949).
Adesso una gloria: Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di
vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha
riportato un grande trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni
del cielo(M.B. XII, 381-383).
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XVII. IL CARATTERE
«Donec occurramus omnes in unitatem fidei et
agnitionem Filii Dei, in virum perfectum, in mensuram
aetatis plenitudinis Christi; ut iam non simus parvuli
fluctuantes et circumferentes omni vento doctrinae in
nequitia hominum, in astutia ad circumventionem
erroris». (Finché arriviamo tutti all'unità della fede e
della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo
perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di
Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli
sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento
di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella
loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Ef 4,13-14).
L'idea di S. Paolo era che il cristiano fosse l'uomo completo, ragionato
nella volontà e nelle idee.
Il tema è il carattere. Non è questo un tema umano? Forse direte che
questo non è tema da Esercizi. Dico semplicemente che il tema del carattere è
necessario a noi religiosi, come fattore indispensabile per il perfezionamento
della nostra vita: è l'indice della nostra formazione; per questo noi ci
distinguiamo dai fanciulli, per questo siamo uomini.
Il cristiano è l'uomo completo, perfezionato, è il perfezionamento
dell'essere umano; e il religioso è apice dell'essere umano. Il Signore non
distrugge la natura, ma perfeziona. Dobbiamo raggiungere la statura dell'essere
umano ch'è la statura di Cristo; crescendo dobbiamo diventare misurati,
imitatori della statura di Gesù. Ogni parola di S. Paolo è meravigliosa;
sentiamo la magnificenza morale dell'uomo.
Quando si dice carattere si dice l'attuazione delle virtù umane e naturali.
Non sempre dobbiamo intendere soltanto le virtù della mistica: è una cosa
indispensabile anche l'attuazione delle virtù naturali. Il cristiano è l'uomo, è
l'uomo perfezionato e finito, e il religioso è il perfezionamento del cristiano:
non si può essere buoni religiosi senza il perfezionamento dell'essere umano.
Non è pensare da laici. Prendiamo il meno laico dei santi, S. Benedetto, nel
Prologo della sua Regola: (vorrei che ognuno avesse il testo della Regola di S.
Benedetto: è il testo più salesiano, perché 1500 anni fa Don Bosco si chiamava
S. Benedetto e S. Benedetto nel 1854 si chiamava Don Bosco): «Discat abbas
prius amari quam timeri» (Si studi l'abate di farsi amare prima che temere). E
nella terza Pericope vuol dimostrare che senza possedere la vita naturale non si
va in Paradiso, e recita intero il Salmo 14: «... Domine, quis habitabit in
tabernaculo tuo et requievit in monte sancto tuo?» (Signore, chi abiterà nella
tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte?). Ivi sono enumerate le virtù
naturali (la giustizia, il non aver odio, ecc.): con questo si va in Paradiso. E
Don Bosco alla vigilia della sua ordinazione ricorre al Salmo 23, che dice lo
stesso: Hic accipiet misericordiam a Domino...(Ottiene misericordia dal
Signore...). Vedete dunque che non è un discorso laico, ma Scritturale e perciò
è parola di Dio.
La stessa Regola di S. Benedetto precisa il concetto di ciò che deve essere
il cammino della vita religiosa (e. 4).
Con quali mezzi riusciamo a produrre la vita della nostra perfezione? Capo
primo: i dieci Comandamenti che sono dati da Dio e sono la legge naturale.
Prendiamo un asceta, il nostro maestro, il nostro titolare. Proprio nella pagina
prima della Filotea dove vuol dare la descrizione della vera divozione mostra
che è inutile parlare di questa quando si manca alle più elementari virtù
naturali, e personifica la sua idea in un suo personaggio che si chiama Aurelio,
il quale vuol fare il divoto e ne fa da pensare.
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Noi quando si parla di perfezionamento non diciamo di far tremare i
banchi per la devozione, come facevano certi miei compagni che poi uscivano
di Congregazione. È una vita di lavoro morale per l'acquisto delle virtù
ordinarie della vita cristiana, un lavoro lento, un lavoro di formazione degli
abiti morali. Così pensa S. Francesco di Sales, S. Alfonso, S. Benedetto, Don
Bosco. Lacordaire dice che un vero cristiano deve essere un uomo completo,
seguace scrupoloso delle virtù naturali: onestà naturale senza di che la pietà è
tutta una maschera destinata a coprire le più orribili deformità dell'anima.
Vedete che non faccio laicismo. Prima bisogna essere uomini e ragionare da
uomini cristiani.
Il carattere è un fattore primordiale della nostra vita pratica quotidiana.
Probatur a contrariis(Lo si dimostra dalle contrarietà). L'assenza di
carattere o un carattere sbagliato rovina le più nobili imprese, rende vane le più
nobili intenzioni, rovina l'apostolato. Un prete di carattere bizzarro ti rovina la
parrocchia, un maestro di carattere impossibile rovina i ragazzi. Ho visto dei
missionari che avevano buona volontà, ma possedevano un carattere cattivo, e
non conclusero nulla. Ciò che rende diffìcile l'obbedienza non è l'ubbidire ma
il dover sopportare dei caratteri diffìcili. Un direttore di cattivo carattere è una
rovina. Il buon andamento della comunità è adempimento delle virtù ordinarie,
così dice un benedettino che poi fu cardinale. Il sistema preventivo non è se
non una pratica del dominio di sé e l'esercizio delie virtù naturali. È necessario
che ci facciamo un carattere, che comprendiamo la nostra struttura morale. La
definizione del carattere non la so. Gli scienziati si sono arrovellati a dare la
definizione vera. Vediamo di costruire la stabilizzazione, il conseguimento
delle abitudini volitive che formano l'anima morale, qualche cosa di opposto al
temperamento ossia al carattere empirico che ci trascina in direzione contraria.
Il senso di carattere è la costante volontà di bene operare.
Don Bosco non ha dimenticato questo elemento. Questo discorrere non ha
niente a che fare con quello che è la pietà esterna, perché questo può essere una
maschera. E ci può essere un frate puntuale e bigotto e poi è un tipaccio. Il tipo
salesiano è un tipo aperto, retto, semplice; le virtù che rendono simpatico un
salesiano sono le virtù naturali che ci conciliano la simpatia del mondo. Non
nego che bisogna ricorrere a Dio e Maria ed ai benefattori. Come si spiega la
permeazione salesiana nel mondo? (Orestano): Sono le virtù salesiane.
I salesiani che hanno fatto più bene sono quelli che hanno avuto un
carattere, coloro dei quali la gente diceva: Fa piacere trattare con costui.
Vi sono caratteri buoni, caratteri infelici e caratteri perversi. Comincio dai
cattivi e perversi: ci sono dei caratteri disastrosi ed è disastro non aver nessun
carattere: la leggerezza, la volubilità, la grossolanità, la scioperatezza: non
bisogna dire perché siamo popolari che dobbiamo essere grossolani: no. Vi
sono caratteri bisbetici, intrattabili, zolfanelli che non l'hai toccati e sono già
accesi. Vi sono caratteri duri, senza cuore, apatici, testardi, tipi chiusi,
scontrosi, non si sa che cosa pensino, non hanno un momento di espansione,
non sono capaci di dare una mano a una persona. Vi sono dei caratteri
pericolosi (non parlo di vizio), caratteri superbi, ambiziosi, vanitosi, egoistici
che vogliono sempre mettere accanto se stessi; vi sono dei caratteri maligni,
tipi amorali (non moralità nel senso di 6° comandamento, ma colui che non ha
amor proprio di esser onesto) che fanno il bene e poi il male con la stessa
tranquillità, fanno una cosa senza avere coscienza di far bene o male; coloro
che ti vogliono bene e poi sotto sotto ti mandano in rovina. Il Gasquet parla
della bassezza di carattere di coloro che sono capaci di strisciare per ottenere i
propri intenti: assenza di dignità, di umiltà, caratteri incompatibili, che pensano
a godere e niente più.
Può influire in ciò il venire da certi ceti, ma dobbiamo reagire e supplire
l'assenza di educazione. Il vero carattere è l'onestà, è l'essere galantuomini, da
frati coi frati e da uomini cogli uomini: i santi prima di tutto furono
galantuomini.
Vengo ad un altro aspetto: noi dobbiamo formarci al carattere e correggere
i caratteri. Udite una parola da un salesiano che è tale da più di mezzo secolo.
Guardate che voi siete destinati ad operare un apostolato alto e penetrativo. Se
voi, fatti preti, usciti di qui, non vi sarete formato un carattere, se avrete un
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carattere storto e non vi sarete corretti, sarete cattivi confratelli, e sarete preti
senza seguito, farete un apostolato nullo. È un lavoro di autoeducazione e di
volontà, lavoro lento ma costante.
Don Bosco nel 1850 prese con sé i primi chierici del seminario che era
stato chiuso: Don Bosco fomenta in essi il carattere ed insisteva che
guardassero ed attendessero alle manifestazioni del proprio carattere. Non si
può diventare santi in quattro giorni, ma volere, sempre: insisteva su questo
punto pure nei bigliettini che dava. In uno diceva: Semper dico vigila(Te lo
ripeto sempre: sii vigilante!). Non si tratta della bella virtù, ma del carattere;
lavoro universale che riguarda tutti. Il Faber, il grande asceta del secolo XIX,
definisce questo lavoro come un operar di pazienza su se stessi.
È saper volere. I santi non nascono santi, ma ci si fanno santi: tutti nascono
col peccato originale. I santi si fanno con la volontà: senza di questa non si fa
niente. Non parlo di Schopenhauer, dei pelagiani e neo-pelagiani. È la volontà
che fa, non tanto la vita ritirata; ci vuole esercizio; non si deve mai dire che
questo è più forte di me e non ci riesco: questa è una eresia psicologica e
spirituale.
Don Lemoyne, voi. I, 94-95, afferma: Giovanni aveva assortito un
naturale facilmente accendibile e insieme poco pieghevole e duro...; di
carattere piuttosto serio, parlava poco, osservava tutto...; dotato di cuore grande
e di vivace ingegno. E a pag. 365: Egli, di una attività continua ed
intraprendente, era lento e posato nell'operare: di una ricchezza meravigliosa di
idee e di grande facilità nel comunicarle a tempo opportuno, era parco di
parole, specialmente con quelli ch'erano a lui superiori. Era allegro, brioso, e
noi l'abbiamo visto misurato e ponderato: Don Bosco ha voluto efficacemente.
Ora prendiamo le cose sotto un altro aspetto. Come conosciamo il nostro
carattere? Il 99% non lo conosciamo da noi, ma ce lo dicono gli altri.
L'Imitazione di Cristo, I, 3, così ci istruisce: Guarda ciò che ti irrita di più
negli altri e questo l'hai tu.
Voi così vedete l'importanza capitale del rendiconto per noi religiosi: il
quale ci deve svelare i nostri difetti. S. Benedetto ha un capitolo speciale per la
confessione davanti all'abbate ed agli altri confratelli: è il rendiconto. Quando
c'è la volontà del bene, i mezzi spirituali sono due:
1) La meditazione pratica: non la formalità, ma lo studio di se stesso che
si fa nell'esame di coscienza;
2) La Confessione usata pedagogicamente per la pedagogia di se stesso:
Don Bosco se n'è servito come di un segreto del suo sistema. L'esercizio del
proponimento; tutto il segreto del sistema di Don Bosco è la pedagogia della
Confessione: il sistema di Don Bosco è tutto qui.
Noi siamo disorientati per quello che riguarda la Confessione e la
meditazione. La pietà regolamentare, il meccanismo ci fa credere di essere
gente buona e invece... non si è concluso nulla. Le cose del carattere noi non le
confessiamo mai: ecco perché noi siamo disorientati nella pedagogia della
Confessione. È nostro dovere il correggere il nostro carattere: alla volontà
tutto è possibile.
Il più gran birbante del mondo può divenire santo: una cosa sola non si
corregge, perché non è carattere, ma malizia congenita: l'ipocrisia e finzione.
L'unica cosa che Gesù non ha mai voluto perdonare: questo vizio non si
corregge.
Noi, figli di Don Bosco, abbiamo una fisionomia aperta: Don Bosco fu
santo perché si formò un carattere perfetto di uomo, di cristiano, di santo.
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XVIII. LO STUDIO
«Ut perfectus sit homo Dei, ad omne opus bonum instructus». (Affinché
l'uomo di Dio sia attrezzato ad ogni
sorta di bene).
«Attende tibi et doctrinae». (Curati di te stesso e della
dottrina).
L'opera a cui attendono i chierici studenti dev'essere secondo il pensiero
del Papa. Pio XI parlando ai suoi seminaristi a questo riguardo diceva: Questa
opera è duplicata: a) Preparazione di intelligenza, b) e preparazione della
volontà. Due cose inscindibili e indispensabili sotto pena di nullità di
preparazione e di azione(Oss. Rom., 17-VI-1933).
Don Rua nella circolare delF8-X-1893 cita il detto di S. Francesco di Sales
che la scienza sacra è l'ottavo sacramento della gerarchia ecclesiastica.
Pio XI insisteva sulla necessità essenziale e sulla reciproca interferenza dei
due fattori: scienza e pietà. Lo studio senza pietà è una vana e pericolosa, per
quanto lodevole attività. Si sente che il Papa vuole parlare di scienza, ma non
vuole far scappare la pietà. La virtù sacerdotale ha bisogno della scienza
perché sia virtù cosciente, che sa che cosa deve essere; perché la pietà senza lo
studio ben presto si riduce a poca cosa insufficiente a tutto: pietà e studio
devono formare una figura sola. S. Gregorio Magno nei Morali, libro 1 pag.
32, dice: Nulla est scientia si utilitatem pietatis non habeat, et valde inutilis
est pietas si scientiae discretione careat(Non è scienza quella che non si
avvantaggia colla pietà, e perfettamente inutile è la pietà se manca del discer-
nimento della scienza).
Allora il Papa in quel discorso, dando ai suoi seminaristi una medaglia di
Don Bosco, commentava le sue parole coll'esempio del nostro Santo. Lo
presentava come modello di preparazione, di vita e d'attività sacerdotale. Qui
dopo solenni sentenze, profonde, che si possono citare intorno alla sua vita
interiore, viene a rilevare la vita intellettuale di Don Bosco. Sfuggì purtroppo
a molti quella che fu la preparazione di studio di quest'uomo, e sono moltissimi
coloro i quali non hanno l'idea di quello che Don Bosco diede allo studio:
continuò per molto tempo a studiare intensamente. Porto le parole del Papa
per dare autorità a ciò che dirò. Potrei riferire mezza Enciclica Ad catholici
sacerdotii.
Noi ci domandiamo e proponiamo questo quesito:
1) Quali sono le direzioni di Don Bosco in materia di studio?
2) Che cosa ha fatto Don Bosco nella materia di studio?
3) Come regolarci noi?
È un tema fatto proprio per studenti salesiani. Don Bosco amò e coltivò gli
studi e lo studio. Bisogna distinguere perché corre differenza tra studio e studi.
Amò lo studio, vuol dire che ebbe piacere di studiare; amò gli studi, invece,
significa l'amore per questo o per quell'altro studio.
Egli volle che lo amassero anche i suoi chierici. Se vi è cosa cara che Don
Bosco ha raccomandato accanto alla formazione spirituale, è l'amore allo studio.
Nel 1849-1850, ricevette e stipò nelle stanze dell'Oratorio un buon numero di
chierici del seminario che in quell'anno di rivoluzione era stato chiuso, e li educò
come fossero suoi. E li incoraggiava agli studi. Ascanio Savio (voi. Ili, 614-616)
dice che Don Bosco raccomandava di mettersi in grado con una santa vita e una
buona scienza teologica di salvare le anime più che si può. Ed è lo stesso
pensiero di Pio XI.
E non solo pensava alla scienza sacra, ma anche alle altre discipline. Don
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Bosco voleva che i suoi salesiani per potere essere educatori più completi ed i
sacerdoti più buoni sapessero di tutto. Fu Don Bosco il primo che mandò i suoi
preti all'Università dello stato, benché i suoi coetanei, che non capivano i tempi,
lo criticassero (voi. VI, 346). Il primo che lo imitò fu Mons. Moreno, Vescovo di
Ivrea, di modo che i suoi preti coi rispettivi titoli poterono fare scuola ed avere
in mano la gioventù. Purtroppo per molto tempo fu l'unico imitatore di Don
Bosco in questo campo.
Pio XI a questo proposito, tanto in quel discorso quanto nella sua Enciclica
Ad catholici sacerdotii, ha una intimazione minacciosa. Quia tu scientiam
repulisti, repellam te ne sacerdozio fungaris mihi(Poiché tu rifiuti la
conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote. Os 4,6). Il Papa faceva tale
intimazione ai suoi chierici perché sapessero il valore dello studio per il sacerdote.
Vedete la intensità di pensiero di Don Bosco e di Pio XI, che corrisponde a
quello di S. Gregorio.
A quelli della Crocetta il 6-VI-1929 il Papa fece un discorso intorno allo
studio della teologia e all'indirizzo dello studio salesiano: Niente teologia senza
ascetica, e niente ascetica senza teologia(M.B. XIX, 161). Non devi darti ad
una pietà così vaporosa che non abbia fondamento nella teologia.
Che cosa si deve studiare dal prete e dal salesiano? Rispondono tutti e due,
il Papa e Don Bosco: Le scienze sacre e la cultura umana. Parole del Papa
nella Enciclica Ad catholici sacerdotii: insiste che il prete sia rivestito di
quel patrimonio di dottrina che è comune ai dotti del suo tempo. Insiste che i
chierici non si contentino di quel lavoro che forse bastava in altri tempi. Il Papa
non vuole che il sacerdote faccia la figura di un ignorante. Il sacerdote deve
avere un insieme dì cultura generale (quella del liceo può essere sufficiente)
che gli permetta di dedicarsi poi ad un ramo particolare. Il Papa avrebbe voluto
che nei seminari non si desse solo la scolastica, ma anche lo studio scientifico,
la cultura del professionista. Questa è l'idea del Papa. La scolastica non serve
per andare in treno. E così Pio XI ha voluto elevare agli onori degli altari
l'enciclopedico del secolo XIII, Alberto Magno. Nelle mie lezioni di arte ho
dimostrato che nel secolo XIII e XIV l'arte fu in corrispondenza con
l'enciclopedia del tempo; ed abbiamo i pregevolissimi bassorilievi delle
cattedrali di Francia. E Dante nella Comedia riporta tutto lo scibile del suo
tempo; neppure possiamo dimenticare Giotto.
Don Bosco è umile e sorridente, ma quando lo guardate bene è un colosso.
Quando scrutando i suoi scritti in una sola opera trovate 80 libri di bibliografìa
e libri grossi, c'è da strabiliare. La Chiesa ha attribuito a lui l'esortazione di San
Paolo: De cetero, fratres, quaecumque sunt vera, quaecumque pudica,
quaecumque iusta, quaecumque sancta, quaecumque amabilia, quaecumque
bonae famae, si qua virtus, si qua laus disciplinae, haec cogitate(In
conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,
onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri. FU 4,8).
La Chiesa nella sua liturgia consacra la universalità di Don Bosco.
Secondo Don Bosco il salesiano deve sapere ogni ramo. Il nostro lavoro
specifico di educatori fa sì che lo studio abbia per noi uno scopo pratico ed
utilitario. Nessuno di noi dovrebbe studiare nulla che non serva per qualche
scopo. Don Bosco lo vuole, lo raccomanda ai suoi chierici: per salvare anime
più che si può. Noi dobbiamo studiare per essere attrezzati ad ogni sorta di
bene.
E Don Bosco come ha fatto? Se dobbiamo autoeducarci al tipo di Don
Bosco, prendiamolo come esempio. In questo egli ci ha dato l'esempio più
luminoso. Potrei portarvi cinque passi di Pio XI per mostrarvi come il Papa ha
capito la scienza di Don Bosco. Se c'è una simpatia umana in Pio XI per Don
Bosco è per questo: per lo studio. Il Papa, topo di biblioteca, capì che Don
Bosco aveva buona stoffa di bibliotecario. Una gran parte della cultura di Don
Bosco è addirittura sconosciuta. Bisogna esaminare la Storia ecclesiastica, la
Storia sacra, la Vita dei Papi, la Storia d'Italia. Don Bosco fu il precursore di
quella cultura generale e in qualche ramo specializzata, di cui non tutti i
sacerdoti hanno capito la necessità. 15 giorni fa, discutendo amabilmente con
uno, e trattandosi di vedere come ordinare nei nostri studentati la Storia sacra e
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9.1 Page 81

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la Bibbia, dissi: leggete il tale volume della vita di Don Bosco, vedrete come
egli pensava; non c'era bisogno di decidere: Don Bosco ci aveva già pensato.
Vi dico anche tutti gli studi che ha fatto Don Bosco. La teologia dogmatica
la dovette studiare con testi di seminario dove dal 1720 per legge del principe
Amedeo II s'imponeva lo studio di S. Tommaso. Il Piemonte era Tomista. La
Scrittura la studiò da sé: lesse il Calmet. La Storia sacra l'ha imparata sulla
Bibbia, e lesse da sé le Antiquitates Iudaicae di Giuseppe Flavio. Di Patristica
in seminario non c'era un corso speciale; egli però fece studi speciali su S.
Agostino e su S. Gerolamo. La Agiografia la imparò sul Croiset, e sui
Bollandisti, di cui da giovane prete lesse un volume al mese, e così tutti i 45
volumi. L'Apologetica sul Bergier, il miglior apologista d'allora (alcuni passi
sono riportati nella Storia d'Italia). Per la storia ecclesiastica ch'è il suo tema
preferito, lesse il Fleury che è antiromano e per reazione concepì un maggior
attaccamento a Roma. Solo per la Storia ecclesiastica gli ho scoperte 80 fonti
diverse. Così pure per la Storia d'Italia, la quale è un libro popolare...: eppure
quell'uomo ha maneggiato 80 volumi! Il Muratori lo percorse tutto.
Tutti si stupiscono al sapere questo e mi domandano: Come ha fatto a
scoprire tante cose?... Don Bosco conobbe il latino, il greco, l'ebraico; sapeva
Orazio e Virgilio a memoria; conobbe tutti i classici d'Italia in piccoli volumi
della collezione Silvestrini di Milano, che prendeva in affitto per pochi soldi.
Sapeva a memoria Dante, Petrarca e Tasso. Conosceva la geografia e ne fece
un appoggio per la storia. In questo fu innovatore.
Sentiva potentemente la necessità della cultura umana. Ciò che è più
sbalorditivo in Don Bosco si è che la massima parte della sua scienza è frutto
del suo lavoro personale. La facilità con cui parlava con ogni ceto di persone
veniva dalla sua enorme cultura. Don Bosco faceva sempre ed in ogni ramo
bella figura.
Adesso veniamo a noi. Con quale spirito dobbiamo studiare? Don Bosco
dovette studiare da sé per le circostanze dell'epoca e per la sua passione del
sapere, per poter poi agire. Questo si concilia con la santità. Non dovete
lasciare queste cose alla storia, ma dovete farle vostre, dovete imparare da Don
Bosco la passione del sapere, l'indirizzo del sapere salesiano. Vorrei che
sapeste quante notti ho passato in bianco fino a 35 anni, dimodoché con la mia
industria personale ho potuto dare scuola d'arte all'Università. E non mi aveva
insegnato nessuno. Così deve essere il salesiano. Ogni salesiano di razza deve
moltiplicare le sue cognizioni per moltiplicare il bene che può fare. L'arte mi ha
servito per portare la parola di Dio anche nell'Accademia delle Belle Arti. Bi-
sogna come Don Bosco occupare il tempo, e come lui ingegnarsi da sé. Non
bisogna confidarsi nel manualismo, perché questo è l'etisia della cultura, ma
dobbiamo consultare le fonti. Bisogna che studiamo da noi, che siamo
autodidatti. Bisogna che con S. Tommaso (II.II, 166-167) abbiamo la virtù
della studiositas, soprattutto lo spirito dello studio che è quello che ci
interessa.
Con quale spirito ed intenzione si deve studiare? Prima di tutto con lo
spirito della scienza; questa e la pietà vogliono essere unite; e poi con lo spirito
utilitario. Ma soprattutto ut perfectus sit homo Dei(Affinché l'uomo di Dio
sia perfetto), non dilettantismo.
Permettete che richiami il pensiero di Don Bosco per una sua paura e per
una sua disillusione.
La paura. Nel sogno dell'l-XII-1884, quando Don Bosco vide la
riunione dei diavoli per distrugger la Congregazione salesiana non fu approvata
l'insidia né con l'intemperanza né con le ricchezze, ma con la trovata sottile di
un diavoletto che disse: Persuadiamoli che l'essere dotto è quello che deve
formare la loro gloria principale(M.B. XVII, 387). Studiare per far figura!
Quando si vuole essere tutti dotti, addio oratorio festivo, addio scuole basse,
istruire giovani poveri; non più le ore passate in confessionale; ma solo la
predicazione rara, sfoggio della loro superbia. Evangelizare pauperibus
(Evangelizzare i poveri) e non le signore e signorine della cattolica, ma coloro
che puzzano di cipolle. Ebbene quel diavoletto ebbe il plauso generale.
Don Bosco tremava pensando che un giorno potrebbe darsi che i salesiani
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facciano consistere il bene della Congregazione nella scienza. Lo dico a voi
che frequentate l'Università, affinché a suo tempo e luogo possiate discendere.
Disillusione. Nel 1885 a Marsiglia Don Bosco diceva ad un suo amico e
benefattore che aveva fatto tutto il suo possibile per formare le scuole cristiane
e che moriva non abbastanza compreso. Don Bosco vide che i suoi vicini non
lo capivano: Quanto ha fatto Don Bosco per riformar la scuola su basi
schiettamente cristiane! Ora vecchio cadente me ne muoio col dolore di non
essere stato abbastanza compreso(M.B. XVII, 442). E non diceva questo ad
un salesiano, ma ad un laico.
Noi abbiamo imparato da Don Bosco che dobbiamo studiare di tutto per
fare del bene alle anime, per una scienza pratica. Dobbiam essere pronti
all'apostolato cristiano, abbracciando tutto ciò che si può abbracciare nella
scienza e a cui la Chiesa con le parole dell'Epistola ai Filippesi ci anima.
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9.3 Page 83

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XIX. DON BOSCO NELLA L ITURGIA DELLA
SUA FESTA
«Sapientiam eius enarrant gentes et laudem eius
annuntiavit Ecclesia». (I popoli parlano della sua
sapienza e l'assemblea ne proclamò le lodi. Eccles
39,14).
Tutte le nostre considerazioni che siamo venuti facendo di spiritualità
salesiana devono avere per norma e modello le parole e gli esempi di Don
Bosco. Don Bosco è il santo della santità e della vita a cui ci chiama la nostra
vocazione: Don Bosco è il testo.
So che a qualcuno fu chiesto quale indirizzo seguiamo noi, e non seppe
rispondere. Io rispondo: Don Bosco è il nostro testo; dobbiamo vedere Don
Bosco in tutto. Seguendo Don Bosco noi corrispondiamo agli intenti della
Chiesa, perché nella formulazione ufficiale del magistero apostolico della
liturgia che è la preghiera ufficiale della Chiesa la Chiesa ha canonizzato
la nostra salesianità. Noi oggi consideriamo in special modo le parole della
Chiesa nella liturgia, come conferma della salesianità.
Voi sapete che la liturgia di Don Bosco, nella ufficiatura, ha la parte
comune, quella dei Confessori non Pontefici; ma ha di proprio varie parti.
Quella del secondo notturno nel giorno quarto ed ottava sono prese
dall'omelia di Pio XI per la canonizzazione di Don Bosco.
Concetti dominanti nell'ufficio di S. Giovanni Bosco: LA FIGURA DEL
SANTO EDUCATORE E LA MISSIONE SUA EDUCATRICE TRA LA
GIOVENTÙ POVERA ED ABBANDONATA.
Il Vangelo di S. Matteo (18,1-5) le suggerisce il pensiero che è svolto
meravigliosamente dall'omelia LX di S. Giovanni Crisostomo. Il testo
differisce in parecchi punti perché Don Ubaldi ne compilò l'edizione critica dal
greco. Ciò che ci interessa, la figura del santo educatore e la cura della
gioventù povera e abbandonata, è pure espresso nella lezione di S. Giovanni
Crisostomo, III notturno della festa: Ne itaque dixeris: Aerarius est Me, aut
calceorum sutor, agricola, insipiens, ut ideo despicias illum(Non dire: costui
è un calderaio, un calzolaio, un contadino, uno sciocco e così lo puoi
disprezzare). Qui suscèperit unum parvulum in nomine meo...(Colui che
accoglie un fanciullo in nome mio...), ci indica la sollecitudine di Nostro
Signore Gesù Cristo per quelli che S. Giovanni Crisostomo dice parvula qui
repertus est, per i chiunque della città, per i piccoli, i dimenticati. Ecco il
concetto della lezione VII che mostra come bisogna trattare gli umili. Questa
sollecitudine deve essere intesa per salvare le anime dai pericoli ed è preci-
samente l'animas quaerere(cercare le anime).
Non loquor hic de sensibili periculo: hoc parat diabolus(Non parlo qui
di un pericolo sensibile: questo lo prepara il diavolo). Il trattato di S. G.
Crisostomo è un vero profilo della sollecitudine che Don Bosco ebbe per la
gioventù abbandonata e pericolante. Quare, obsecro, primo dilucido cum a
domo exierimus, hunc unum scopum habeamus et hanc praecipuam
sollicitudinem, ut periclitantem eripiamus(Per questo motivo, vi prego,
all'aurora quando usciamo di casa cerchiamo di avere quest'unico scopo e
questa speciale sollecitudine di salvare colui che è in pericolo). Qui sentiamo
Don Bosco: lo vediamo uscire di mattina per provvedere, cercare, consolare i
suoi poveri ragazzi pericolanti. Sentite come la Chiesa ha preso questo
pensiero per riferirlo a Don Bosco.
La lezione VIII ci espone la pedagogia della redenzione morale dei traviati:
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9.4 Page 84

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Improbus, inquis, difficile tolleratur. Atque ideo debes amore jungi, ut eum a
vitio emoveas, ut convertas et ad virtutem reducas(Tu mi dirai: un cattivo
difficilmente lo si tollera. Anzi, proprio per questo ti devi avvicinare a lui con
amore per rimuoverlo dal vizio, per convertirlo e ricondurlo alla virtù). I
giovani sono cattivi, qualche volta, ma si riducono con la bontà paziente, con
l'amore. Questo è il segreto della pedagogia di Don Bosco: quello di aspettare
con bontà, quello di maneggiare la persuasione Don Bosco, nella liturgia, si
ricostruisce nella sua completezza morale.
At non obtemperat, inquis, nec consilium admittit. Unde hoc nosti? An
exortatus es et emendare studiasti? Hortatus saepe sum, inquies. Quoties?
Saepius: semel et iterum. Inde saepius vocas? etiamsi per totam vitam hic
fecisses, nec deficere nec desperare oportebat(Ma non ubbidisce, tu dirai, né
accetta consiglio. Come lo sai questo? Hai cercato di correggerlo? L'ho
esortato spesso, risponderai. Quante volte? Abbastanza spesso: una o due volte.
E questo lo chiami abbastanza spesso? Anche se lo avessi fatto per tutta la vita,
non bisognava né smettere, né disperare). Sembra un discorso di Don Bosco, e
risaliamo ai tempi di S. Giovanni Crisostomo: nec deficere, nec desperare
oportebat!(Non bisognava né smettere, né disperare!).
La lezione IX ci porta dinnanzi un altro aspetto di ciò che è il magistero e
il ministero di Don Bosco. Egli è il più grande maestro moderno della
pedagogia cristiana. S. Giovanni Crisostomo parla della necessità
dell'educazione dello spirito per il valore e per la sua abilità.
Contrappone i danni del calcolo, dell'avarizia in detrimento e noncuranza
della scienza e della educazione. «Verum omnia pervertit et deiecit pecuniarum
amor... idcirco et filiorum et nostram negligimus salutem(In verità tutto ha
pervertito e distrutto l'amore del denaro... per questo trascuriamo la salvezza
dei figli e la nostra). Egli allora sorge ed ha quella magnifica espressione che
dovrebbe essere insegnata in tutte le scuole normali: «Quid per illi arti, quae
dirigendae animae et efformandae juvenis menti et indoli incubit? Qui tali
instructus est facultate, plus diligentiae exhibeat oportet, quam quivis pictor
aut statuarius(Che cosa può stare a pari di quell'arte che si dedica a dirigere
un'anima e a formare la mente e l'indole del giovane? Chi è ben istruito in
questa abilità deve mostrare maggior diligenza di qualsiasi pittore o scultore).
Il lavoro di educazione è più nobile dell'ufficio di pittore e di scultore.
Nella lezione VII ed VIII del quarto giorno dell'ottava si parla della carità e
maniera con cui dobbiamo essere piccoli ed umili per fare del bene ai fanciulli.
Est quicumque susceperit unum parvulum talem in nomine meo me suscipit.
Non solum enim, inquit, si tales fueritis, mercedem magnani recipietis, sed
etiam si alios similes propter me onoraveritis, regnum vobis in mercedem
tribuo(Chiunque accoglierà un bambino in nome mio accoglie me. Infatti,
non dice solo: se sarete tali riceverete una grande ricompensa, ma anche: se
onorerete quelli simili a lui a causa mia, vi darò in premio il regno).
Pio XI, nel II notturno del IV e VIII giorno dell'ottava, con l'omelia della
canonizzazione ha fatto il commento morale della figura di Don Bosco.
L'antifona del Benedictusci dimostra la carità di Don Bosco per i
fanciulli; ci ricorda le tre virtù che sono il perno sul quale si deve basare il
nostro sistema:
1) MITEZZA: «Beati mites(Beati i miti);
2) INDULGENZA: Beati misericordes(Beati i misericordiosi);
3) PURITÀ: Beati mundo corde(Beati i puri di cuore).
La MESSA è un vero capolavoro che ci fa comprendere la figura di Don
Bosco. La Messa è tutta propria e contiene due concetti: 1) l'esaltazione della
grandezza di Don Bosco; 2) il carattere tipico della missione di Don Bosco.
Mi spiego adducendo i vari testi.
Il preludio annunciatore di questa doppia concezione, voluto dallo stesso
Pontefice, è l'esaltazione della Sapienza, della Prudenza, dell'immensità di
cuore di Don Bosco. So benissimo che la parola cordella S. Scrittura
significa il pensiero, e non il sentimento. Per il sentimento gli ebrei pensavano
ai reni. Ma noi latini prendiamo le parole come sono. Dedit illi Deus
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9.5 Page 85

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sapientiam et prudentiam multam nimis et latitudinem cordis quasi arenam
quae est in litore maris(Dio gli ha dato prudenza e sapienza grande e un
cuore ampio come la sabbia sulla spiaggia del mare).
È un concetto elevatissimo e vastissimo. Allora il nostro pensiero vede
naturalmente il campo del suo lavoro: la gioventù. Laudate pueri Dominimi,
laudate nomen Domini(Lodate, fanciulli, il Signore; lodate il nome del
Signore). Ecco l'accordo con il versetto.
L'epistola è il trattato più salesiano di S. Paolo che c'è nella lettera ai
Filippesi (4,8). Se in altri momenti abbiamo altri testi, qui troviamo l'impronta,
lo spirito, lo stile del salesiano.
Ci è proposta quella che è la contentezza amabile del dono della vita
salesiana. Orestano ha scritto che Don Bosco ha santificato la gioia del vivere e
S. Paolo dice: Gaudete in Domino semper, iterum dico gaudete(Rallegratevi
sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi). È salesiano il testo perché
esprime amabilità, che è la fisionomia del salesiano. È per questo tratto del
carattere che il mondo ci ama, ci accosta. Nihil solliciti estis: sed in omni
oratione et obsecratione, cum gratiarum actione petitiones vestrae innotescant
apud Deum(Non angustiatevi di nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le
vostre richieste, con preghiere suppliche e ringraziamenti). Così dev'essere
l'abbandono completo nelle mani della Provvidenza.
Don Bosco visse di fiducia in Dio. Non aveva un soldo in tasca ed ha
creato un mondo nel mondo. Don Bosco ci ha insegnato a fare non secondo i
calcoli dell'economia politica, ma secondo i calcoli della preghiera. Poi si tratta
della pace serena che viene dalla fiducia in Dio: Et pax Dei quae exuperat
omnem sensum custodiat corda vestra et intelligentias vestra in corde Iesu(E
la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri
pensieri nel cuore di Gesù).
Poi un'altra nota dell'attività salesiana è l'universalità, la modernità della
comprensione del lavoro, la modernità di tutto ciò che noi dobbiamo
abbracciare. Noi non respingiamo nessuna impresa, nessuna iniziativa ed in
questo noi vogliamo essere all'avanguardia del progresso, come dice Don
Bosco al giovane sacerdote Achille Ratti. E S. Paolo ci dice: «de coetero
fratres quaecumque sunt vera, quaecumque pudica, quaecumque iusta,
quaecumque sancta, quaecumque amabilis, quaecumque bonae famae, si qua
virtus si qua laus disciplinae, haec cogitate(per il resto, fratelli, tutto ciò che
è vero, puro, giusto, santo, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode,
tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri).
Tutto ciò che c'è di buono, purché non sia cattivo, prendete tutto. Ecco
come S. Paolo è salesiano. S. Paolo dice: Tutto ciò che ho inculcato, insegnato
imitatelo. Lo stile della salesianità è avere per maestro Don Bosco; fare come
insegnò, fare come Don Bosco: dev'essere norma della salesianità. Ebbene, S.
Paolo ci dice: Quae didicistis et accepistis et audistis in me, haec agite(Ciò
che avete imparato, ricevuto e ascoltato da me, è quello che dovete fare).
Questo tratto è la pagina del Nuovo Testamento che ripete tutt'intero lo spirito
della vita salesiana. Don Bosco era così e così dobbiamo essere noi.
La scelta dei passi nel graduale, alleluia e tratto sottolineano l'attività,
l'ampliezza della vita salesiana e l'opera di Dio nel suo sviluppo. Illustrano la
fioritura salesiana. Le parole del tempo pasquale ci ricordano la fiducia in Dio,
ricordando che tutto è opera di Dio. Così ripeteva Don Bosco, il quale tutto
attendeva da Dio. Il 3 febbraio 1869, ai direttori congregati a Torino, diceva
che nessuna congregazione ha avuto tanta parola di Dio come la nostra. Non si
è fatto un passo senza l'ordine di Dio. Don Bosco voleva che la storia dei suoi
principi venisse sempre inculcata. Filii qui nascentur et exurgent et narrabunt
filiis suis ut ponant in Deo spem suam et non obliviscantur operam Dei et
mandata eius exquirant(I figli die nasceranno e verranno, lo racconteranno ai
loro figli, perché ripongano la speranza di Dio e non dimentichino l'opera di
Dio e ricerchino le sue leggi).
Il graduale e versetto del tempo fuori di pasqua significano che tutto ciò
che è Don Bosco, tutto ciò che egli ha fatto, fu ispirato da Dio. Altri ordini
religiosi hanno avuto un miracolo, al più due, ma da noi non si è creato nulla
che non sia stato ispirato da Dio. Le parole dette da Don Bosco nel primo
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sogno sono le stesse del graduale: Intellectum tibi dabo et instruam te in via
hac, qua gradieris: firmabo super te oculos meos. Laetamini in Domini et
exultate iusti, et gloriamini omnes recti corde(Ti darò intelligenza e ti
istruirò nella via in cui camminerai: fisserò su di te i miei occhi. Rallegriamoci
nel Signore, esultate o giusti e glorifichiamolo noi tutti retti di cuore). Davanti
ad una rivelazione simile sentiamo la bellezza e la grandezza della nostra vita.
Le parole del Tratto del tempo di Settuagesima sono meravigliose. Sono un
giochetto scritturale del nome di Don Bosco. Ci ricordano che la santità è come
la sintesi, il principio vitale dell'espressione salesiana. È il bosco che fiorisce,
che non può avere inverno. Noi ricordiamo il bosconello stemma salesiano.
In lege Domini, fuit voluntas eius, et in lege eius meditabitur die ac nocte.
Tamquam lignum quod plantatum est secus decursus aquarum: quod fructum
suum dabit in tempore suo. Et folium eius non defluet et omnia quaecumque
faciet semper prosperabuntur(La sua volontà fu la legge del Signore e nei
suoi precetti mediterà giorno e notte. Come un albero piantato lungo un corso
d'acqua che darà frutto a suo tempo. E le sue foglie non appassiranno mai ed
avrà successo tutto ciò che farà).
Egli innaffia le radici della sua pianta colla giustizia e colla santità.
Don Bosco è fotografato nella liturgia: è tutta un'idea; le stimmate della sua
fisionomia, il programma che dobbiamo seguire nella pratica e nello stile
dell'azione... È tutto raffigurato. Questa nostra opera deve farsi piccola coi
piccoli: sapersi abbassare per fare della carità. Così si è scelto il tratto di S.
Matteo, il vangelo della bontà. Gesù dice chiaro:
Nisi conversi fueritis et efficiamini sicut parvuli, non intrabitis in regnum
Caelorum(Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non
entrerete nel regno dei cieli). L'impiccolirsi per fare del bene. Passiamo
all'umiltà e alla virtù per andare in Cielo. Ma il Regno dei Cieli Gesù prima
l'ha fondato in terra. Quicumque ergo humiliaverit se sicut parvulus iste, hic
est maior in regno Coelorum. Et qui susceperit unum parvulum talem in
nomine meo me suscipit(Chiunque si farà piccolo come questo bambino, sarà
il più grande nel regno dei Cieli. E chi accoglie questo bambino in nome mio,
accoglie me. Mt 18,15).
Pensiamo alla pedagogia delle missioni: un concetto che ho sviluppato nel
1932. Tutto è basato su questo: farsi piccoli coi piccoli. L'estendere il regno di
Dio è tutto basato sul sacrificio. Lo stile della nostra vita, l'indirizzo dei nostri
programmi richiede la completa dedicazione di tutte le nostre facoltà. Il
programma nostro è d'insegnare il timor di Dio. Ebbene, l'offertorio ce lo
ricorda: Venite filii, audite me: timorem Domini docebo vos(Venite, figli,
ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore). Ecco il nostro scopo. Tutta
l'opera di Don Bosco si riduce ad insegnare il timore di Dio alla gioventù, ossia
come dice Don Bosco, a far dei buoni cristiani. Questo lavoro richiede
sacrificio, generosità, disinteresse personale radicale, per ciò che riguarda noi
(Col 3,17). Questo è lo spirito della secreta: Suscipe, Domine, oblationem, in
gloriae tuae laudem vivere mereamur(Accogli, Signore, l'offerta, affinché
meritiamo di vivere nella lode della tua gloria). In ogni nostra opera dobbiamo
tener presente la gloria di Dio. Questa parola della liturgia, la preghiera della
Chiesa, è ripetuta in Cielo dai beati, perché tutto ciò che fa la Chiesa è
confermato in Cielo. La permeazione salesiana del mondo, come dice
Orestano, che è riuscito a scoprire tanti aspetti della figura di Don Bosco, la
filiale filiazione operata da Don Bosco è avvenuta perché Don Bosco è un
uomo di fede.
Il Papa che ha voluto dare il preludio, volle dare la fine con il Communio:
Contra spem in spem credidit ut fìeret pater multarum gentium secundum
quod dictum est ei(Credette sperando contro ogni speranza che sarebbe
diventato padre di molte genti, secondo quanto gli era stato detto). Lo prende
dall'epistola ai Romani, ma ricorda l'altare di Abramo. Credette, ebbe fiducia
in Dio e, perché credette nella parola di Dio, è divenuto padre spirituale di
anime infinite.
Rendiamo grazie perciò al Signore per l'efficacia della propagazione di
Don Bosco nel mondo; è la preghiera del Postcommunio: Corporis et
sanguinis tui, Domine, mysterium satiati, concede quaesumus, ut intercedente
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Beato Ioanne confessore tuo in gratiarum semper actione maneamus(Saziati
col mistero del tuo corpo e del tuo sangue, Signore, concedici, ti preghiamo,
per l'intercessione del beato Giovanni tuo testimone, rimaniamo sempre in
stato di ringraziamento).
Ho lasciato da parte l'Oremus principale, che fu composto per pregare Iddio
mediante l'intercessione di Don Bosco. Compendia ed innalza davanti a Dio, colla
preghiera rogatoria, il nostro sentimento: ci dice chi è Don Bosco nella vita e
nella storia della Chiesa. Chi è Don Bosco davanti a Dio, chi deve essere davanti
a noi. Egli, coll'ausilio di Maria, ha creato istituzioni immense, è ricordato
come infiammato di carità ed è chiamato cercatore di anime.
La preghiera è fatta specialmente per noi: Ut eodem charitatis igne succensi,
animus quaerere tibique soli servire valeamus...(Affinché, accesi dello stesso
fuoco di carità, possiamo cercare le anime e servire solo te). Questa preghiera
riporta al concetto da cui siamo partiti... È il pensiero col quale io ho sempre
unicamente parlato e con cui voglio terminare, augurando a voi ed alla
Congregazione di servirlo in tutto. La Salesianità della vita condotta colPunione
con Dio: è la via che conduce al cielo.
Et Deus pacis erit vobiscum(E il Dio della pace sarà con voi). Desiderio ed
augurio che spendiate tutta la vostra vita a seguire i COSIdi Don Bosco.
Indice
PRESENTAZIONE ..........................................................................................3
PARTE PRIMA ................................................................................................6
I. SPIRITO SALESIANO...............................................................................7
II DON BOSCO CHIERICO........................................................................10
III. SPIRITUALITÀ SALESIANA ..............................................................14
IV. AUSTERITÀ..........................................................................................19
V. L'OSSERVANZA....................................................................................23
VI. POVERTÀ..............................................................................................29
VII. CASTITÀ..............................................................................................34
VIII. OBBEDIENZA....................................................................................40
IX. PIETÀ.....................................................................................................44
X. CONFESSIONE ......................................................................................49
XI. SPIRITO ECCLESIASTICO .................................................................53
XII. LA PEDAGOGIA DI DON BOSCO ....................................................57
PARTE SECONDA ........................................................................................63
XIII. BUONO SPIRITO ...............................................................................65
XIV. LA VITA INTERIORE .......................................................................67
XV. LA BONTÀ ..........................................................................................70
XVI. IL LAVORO........................................................................................73
XVII. IL CARATTERE................................................................................76
XVIII. LO STUDIO .....................................................................................79
XIX. DON BOSCO NELLA L ITURGIA DELLA SUA FESTA ...............83
Indice ............................................................................................................87
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Scuola Grafica Salesiana - Torino 1985
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