1. Che cosa sono le Memorie dell’Oratorio?


1. Che cosa sono le Memorie dell’Oratorio?



Presentazione delle Memorie dell’Oratorio.

Un manuale di pedagogia e di spiritualità raccontata



Aldo Giraudo

Le Memorie dell’Oratorio, uno degli scritti più personali e vivi di don Bosco, hanno contribuito in modo determinante a costruire l’immagine del Santo che continua a circolare. Composte tra 1873 e 1875, furono ricopiate dal segretario don G. Berto e corrette da don Bosco a più riprese, fino al 1879. Nel 1946 uscì la prima edizione a stampa voluta da don Pietro Ricaldone. Tuttavia in quegli anni i salesiani non si accorsero dell’importanza del documento: i 19 volumi delle Memorie biografiche apparivano più ricche di dati e di particolari. Solo in tempi recenti, nel clima postconciliare di ritorno alle fonti del carisma, l’attenzione è cresciuta. Lo testimoniano le varie traduzioni, soprattutto dopo l’edizione critica (1991) curata da Antonio da Silva Ferreira per conto dell’Istituto Storico Salesiano.

Non sono una raccolta semplice di ricordi e di dati storici. Don Bosco, attraverso il racconto dell’inizio e degli sviluppi della propria vocazione oratoriana, intende presentare il senso di un’esperienza globale, formulare un «programma di azione» e mettere in risalto le finalità volute da Dio. Egli fa una rilettura del passato in chiave religiosa e pedagogica. Le Memorie risultano così il suo libro più ricco di contenuti e orientamenti “preventivi”, un manuale di pedagogia e di spiritualità raccontata (Braido).

Perché don Bosco si accinge a questo lavoro in anni (1873-1875) così densi di impegni e di eventi? Egli fa riferimento al «comando di persona di somma autorità». Noi crediamo che egli sia stato spinto anche dalla convinzione che l’Oratorio era un’esperienza fondante, di cui bisognava presentare ai discepoli la genesi, le finalità, il metodo. Lo sviluppo dell’opera salesiana in quegli anni, infatti, avveniva attraverso l’apertura di collegi e scuole artigianali. Era necessario che si conoscessero le radici carismatiche e i percorsi attraverso i quali egli era giunto a realizzare l’Oratorio, per capire spirito e identità di quell’esperienza fontale, sulla quale dovevano essere modellate tutte le opere della Famiglia Salesiana.

Don Bosco ha scelto lo strumento più congegnale, quello della narrazione, che gli permette di tradurre i pensieri attraverso storie vive, di incarnarli negli atteggiamenti e nelle parole dei personaggi. Le Memorie dell’Oratorio sono dunque una presentazione narrativa della spiritualità, dell’identità e del metodo salesiano attraverso la lettura interpretativa di alcuni momenti cruciali dell’itinerario formativo personale e di alcune esperienze che lo hanno portato a strutturare in un certo modo l’Oratorio, a dargli una forma e uno stile inconfondibili. Leggendo questo scritto singolare noi possiamo: 1) entrare nei quadri mentali di don Bosco; 2) cogliere i tratti caratterizzanti del suo mondo interiore; 3) comprendere i valori che più gli stavano a cuore; 4) farci un’idea concreta del modello di educatore-pastore che egli aveva in mente; 5) conoscere finalità, stile relazionale e attività più originali e qualificanti del suo Oratorio.

1 2. Le Memorie dell’Oratorio come scritto autobiografico

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Le Memorie dell’Oratorio non sono un’autobiografia in senso stretto. Il centro focale non è la vita di don Bosco, ma il racconto della vocazione-missione oratoriana e della sua progressiva realizzazione. Per questo l’autore sceglie solo alcuni momenti della propria esistenza, quelli legati più direttamente con la storia dell’Oratorio: l’ispirazione iniziale, le tappe principali del cammino percorso, gli elementi distintivi caratteristici, le vicende che hanno favorito o ostacolato la sua realizzazione.

Per questo le Memorie si differenziano da scritti precedenti sull’Oratorio, che si concentravano sui motivi e le vicende che avevano fatto evolvere il catechismo iniziato al Convitto in una istituzione con iniziative e finalità articolate, ruoli e compiti ben definiti. Quegli scritti avevano lo scopo di informare autorità e sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’educazione giovanile, per suscitare sostegno e aiuto.

Invece nel racconto delle Memorie la storia dell’Oratorio è strettamente collegata con la storia interiore del narratore, col suo cammino spirituale e formativo. Inoltre i destinatari sono esclusivamente i «carissimi figli salesiani», cioè i discepoli-continuatori nella stessa vocazione-missione. Ad essi don Bosco trasmette un patrimonio familiare intimo per istruirli, formarli e animarli, indicando i passi del percorso che debbono seguire per assimilare la stessa identità carismatica, lo stesso “spirito”, lo stesso metodo educativo-pastorale. Dunque il racconto è mirato a collegare il passato con il futuro ed ha una funzione normativa per i lettori: «A che dunque potrà servire questo lavoro? — scrive don Bosco nell’introduzione — Servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre e le leggeranno assai più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra di loro».

Don Bosco vuol far capire ai discepoli che sono parte viva di quella storia: se fosse stata diversa, noi oggi non saremmo qui, le nostre vite avrebbero preso altre strade. Dio ci ha chiamati a far parte in quest’avventura salesiana, ci ha radicati in essa. Attraverso l’arte del racconto, don Bosco ci introduce nella sua intimità spirituale. Il vertice di questa strategia di trascinamento dei lettori nelle vicende narrate si raggiunge col sogno della Pastorella, collocato nel momento del passaggio dal Convitto alle opere Barolo, cioè nella transizione dalle esperienze iniziali, di indole prevalentemente personale, alla realizzazione dell’Oratorio di carattere comunitario (colla partecipazione di Borel, Pacchiotti e altri). La metafora usata nel sogno dei 9 anni della mutazione di animali schiamazzanti in agnelli, viene ripresa e arricchita. Ora alcuni degli agnelli si trasformano in pastorelli, che crescendo «in gran numero, si divisero e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili». In questi pastorelli siamo indotti a riconoscere noi stessi: infatti siamo frutto dell’azione educativa/trasformativa dell’Oratorio e continuatori della sua provvidenziale missione.

2 3. Procedimenti messi in atto dall’autore

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Don Bosco fa una ricostruzione dei fatti del passato interpretandoli nel loro significato profondo. Ripercorrendo la propria formazione, rivela a sé e a noi quanto sia stato aiutato o ostacolato dalle persone, dagli ambienti e dalle vicende storiche, e quanto queste relazioni ed esperienze siano entrate a far parte della sua coscienza e del suo "metodo". Così facendo trasforma l’esperienza rivisitata in una risorsa che gli permette di costruire un "sapere" spirituale e pedagogico per i propri lettori.

Per operare questa ricostruzione autobiografica don Bosco mette in atto complesse dinamiche di memoria, di selezione dei fatti e di organizzazione di essi in una trama, secondo un significato superiore unitario, ricollegandoli cioè alla "storia" dell’Oratorio, intorno alla quale costruisce il suo discorso. Questo è il filo conduttore gli permette di mostrare l’intima connessione tra vicende vissute in diversi piani temporali: infanzia, giovinezza, maturità e presente del narratore.

Alla conclusione del percorso narrativo avvertiamo che il testo delle Memorie si configura come una continua ricerca dei tratti caratteristici dell’Oratorio nel tessuto di una esistenza segnata da una vocazione divina. Lo vediamo nelle narrazioni di situazioni che preludono e anticipano l’Oratorio, come i Primi trattenimenti con i fanciulli all’età di dieci anni, nelle norme che regolavano le riunioni della Società dell’Allegria, nella cura dei giovanetti durante le vacanze precedenti alla vestizione. Ma anche nella descrizione dei catechismi nell’inverno 1841-1842, precocemente definiti "Oratorio".

Lo scopriamo soprattutto quando vengono messi in scena personaggi rappresentativi, in negativo o in positivo, di stile e metodo oratoriano, come — per citarne solo un paio — il prevosto di Castelnuovo col suo viceparroco nel loro atteggiamento distaccato verso il protagonista ragazzo («Se io fossi prete vorrei fare diversamente; vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli») e il professore di umanità don Banaudi («Era un vero modello degli insegnanti. Senza mai infliggere alcun castigo era riuscito a farsi amare da tutti i suoi allievi. Egli li amava tutti quai figli, ed essi l’amavano qual tenero padre»).

La lettura accurata del documento mostra, pressoché ad ogni capitolo, che il punto finale — l’articolata e vivace realtà dell’Oratorio di S. Francesco di Sales nei primi anni Cinquanta, con i suoi fini, il suo metodo educativo, le sue proposte formative, i suoi ritmi di vita e il suo tipico modello di pastore/educatore —, è stato di fatto il filtro attraverso il quale don Bosco ha operato la sua rivisitazione autobiografica a vantaggio dei discepoli

3 4. Struttura del racconto

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Le Memorie dell’Oratorio iniziano col racconto dei primi dieci anni di vita: la nascita del protagonista, la morte prematura del padre, il ruolo di mamma Margherita nell’affrontare e superare gravi difficoltà, il suo impegno educativo, l’istruzione primaria di Giovanni. Poi ci imbattiamo nel racconto del sogno fatto intorno ai 9 anni, ricostruito in modo accurato e drammatizzato. Questo evento si inserisce nel testo come il vero inizio della memoria oratoriana. Infatti determina l’organizzazione del testo successivo e la sua scansione in decadi. La prima decade (1825-1835) inizia con le attività del piccolo predicatore e saltimbanco tra i compagni ai Becchi e si conclude a Chieri col discernimento vocazionale e la decisione di entrare in seminario. La seconda decade (1835-1845) parte con il rito della vestizione clericale e l’entrata in Seminario e termina col trasferimento dell’Oratorio nella tettoia Pinardi. La terza decade (1845-1855) racconta gli sviluppi dell’Oratorio definitivamente insediato a Valdocco fino ai primi ampliamenti edilizi.

Oltre al sogno dei 9 anni ci sono agli eventi che assumono un valore particolare e danno al testo anche una struttura simbolica. Tra questi va ne emergono due: innanzitutto l’incontro con Bartolomeo Garelli (8 dicembre 1841), principio di quell’attività catechistica e assistenziale che porterà presto alla fondazione dell’Oratorio; poi l’accoglienza in casa Pinardi dell’orfanello della Valsesia, il primo giovane venuto ad abitare nell’Oratorio.

Ma la narrazione fa emergere anche una struttura spaziale. Don Bosco attribuisce un valore particolare alle località e agli ambienti in cui si è sviluppata la sua vocazione oratoriana. Essi si presentano quasi come punti di una mappa spirituale e pedagogica: il borgo nativo; la casa con l’aia e il prato; la cappella di Morialdo; il paese di Castelnuovo; la città di Chieri, le sue case, la scuola, il caffè Pianta, il viale di Porta Torinese, il Duomo e il seminario con le sue camerate e aule; Torino e le sue strade, piazze, chiese, carceri e istituzioni caritative, i sobborghi e i prati di periferia, i Molassi, i santuari dei dintorni. Infine l’Oratorio di Valdocco, la tettoia-cappella, le stanzette per le scuole e il cortile per la ricreazione. Tutta questa varietà di luoghi diventa principio organizzativo del racconto, accanto agli elementi cronologici, tematici e simbolici. Infatti agli spazi si collegano valori, esperienze educative e spirituali. Il cambiamento di luogo assume il significato di un pellegrinaggio verso la terra promessa dell’Oratorio, la sua missione e identità.

Così, la "struttura di superficie" del racconto si presenta disegnata nell’intersezione delle tre coordinate di tempo, di spazio e di nucleo tematico portante.

La ripartizione del testo delle Memorie dell’Oratorio è sostanziata di eventi, di personaggi, ma anche di osservazioni, commenti e annotazioni che sono frutto di una struttura più profonda, quella che coincide con la mentalità di don Bosco, la sua cultura e visione del mondo, le sue convinzioni religiose, educative e morali, la sua spiritualità.

In sintesi. Alla base dell’opera c’è “l’uomo don Bosco”, con tutto il suo universo che ad ogni pagina tende continuamente ad emergere. Ci è possibile così tentare una lettura delle Memorie dell’Oratorio che ci aiuta a penetrare un messaggio articolato, costituito non solo da quanto l’Autore intendeva dire, ma anche da quanto il testo di fatto ci dice in riferimento alla propria coerenza contestuale e ai sistemi di significato a cui si rifà.

4 5. Percorsi di lettura e livelli di interpretazione

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Le chiavi interpretative presentate nell’introduzione delle Memorie invitano sia a una lettura spirituale che a una interpretazione pedagogica del testo. Qui mi limito a segnalare due percorsi di lettura: quello delle dinamiche spirituali e quello del modello di educatore-pastore. Per il primo percorso scelgo la “confidenza in Dio”, come atteggiamento inclusivo di affidamento, obbedienza, distacco e dono generoso di sé.

4.1 5.1. Confidenza in Dio, fiducia nei formatori e consegna di sé

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Il padre Francesco morendo raccomanda la «confidenza in Dio». Questo atteggiamento è una delle chiavi interpretative più importanti delle Memorie. Viene evidenziato nel racconto di situazioni in cui la “confidenza” suscita abbandono fiducioso, ma anche coraggiosa intraprendenza.

Innanzitutto ci imbattiamo nell’episodio di Margherita che affronta la grave carestia senza perdere la calma, richiamando la raccomandazione del marito e traducendola in azione. Gli eventi successivi delineano un complesso di atteggiamenti che attuano la "confidenza", a partire dalla rappresentazione esemplare della madre, esempio di fiducia nella provvidenza, di operosità, di spirito di sacrificio, di frugalità e di dedizione educativa.

Anche la complessa costruzione del sogno dei nove anni richiama la fiducia in Dio che chiama e indica al protagonista la missione e i percorsi per rendersene idoneo. Confidenza, affidamento e dono di sé sono sfaccettature di un unico movimento di fede pervaso dal senso di corrispondenza alla chiamata del Signore, ma anche alle cure degli educatori. Molti sono gli indicatori dell’importanza attribuita da don Bosco a un tale movimento dello spirito. Per esempio, l’appello a «darsi per tempo» a una vita virtuosa, enunciato nel Giovane provveduto (1847), ripreso più volte negli scritti e nei discorsi ai giovani, soprattutto nelle vite di Domenico Savio, Michele Magone e Francesco Besucco, viene qui richiamato esplicitamente quando si narra il dialogo tra don Calosso e Giovanni Bosco ragazzo: «Ti ricordi di che cosa si trattò nella prima predica? — Nella prima predica si parlò della necessità di darsi a Dio per tempo e non differire la conversione». È un indizio testuale significativo che getta luce sugli sviluppi del fortunato incontro: «Io mi sono tosto messo nelle mani di D. Calosso [...]. Gli feci conoscere tutto me stesso. Ogni parola, ogni pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata [...]. Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell’anima [...]. Da quell’epoca ho cominciato a gustare che cosa sia vita spirituale». L’affidamento amoroso e incondizionato del discepolo induce l’anziano sacerdote ad andare oltre il semplice insegnamento del latino e a farsi guida spirituale, aiutando il ragazzo a tradurre in atto il dono di sé a Dio.

Il filo del racconto delinea anche le tappe e il punto di arrivo del cammino interiore di don Bosco per giungere ad una confidenza in Dio piena. Il colloquio con la marchesa di Barolo culmina nella rinuncia all’impiego di cappellano per obbedire alla missione giovanile in un più completo abbandono: «Ma come potrà vivere? — Dio mi ha sempre aiutato e mi aiuterà per l’avvenire [...]. La mia vita è consacrata al bene della gioventù. La ringrazio delle profferte che mi fa, ma non posso allontanarmi dalla via che la divina Provvidenza mi ha tracciato [...]. Accettai il diffidamento [della marchesa] abbandonandomi a quello che Dio avrebbe disposto di me».

Il contesto narrativo di quel dialogo restituisce una situazione sconfortante di isolamento, di incomprensione da parte dei parroci, dell’autorità civile, anche degli amici più intimi, unita all’esaurimento delle forze e alla totale incertezza sul futuro. Tutto ciò esalta il significato spirituale della sua scelta. Subito dopo c’è la descrizione drammatica dello smarrimento provato nel prato Filippi: «In sulla sera di quel giorno rimirai la moltitudine di fanciulli, che si trastullavano; e considerava la copiosa messe, che si andava preparando pel sacro ministero, per cui era solo di operai, sfinito di forze, di sanità male andata senza sapere dove avrei in avvenire potuto radunare i miei ragazzi. Mi sentii vivamente commosso […]. Passeggiando e alzando gli occhi al Cielo, mio Dio, esclamai, perché non mi fate palese il luogo in cui volete che io raccolga questi fanciulli? O fatemelo conoscere o ditemi quello che debbo fare?». Assistiamo all’epilogo del cammino di un uomo che, dopo aver testardamente battagliato contro tutti per fedeltà alla sua missione, è giunto, come Abramo, al punto di sentirsi chiamato a sacrificare anche l’attaccamento alla propria vocazione per una obbedienza più radicale, in una resa senza condizioni a Dio. Ed è proprio in quel momento che il racconto inserisce la risposta risolutiva ad ogni problema. L’intervento di Pancrazio Soave, l’equivoco tra oratorio/laboratorio e l’incertezza di don Bosco nell’accettare l’offerta della tettoia hanno l’effetto di esaltare l’intervento di Dio, al di là di ogni umana speranza, come risposta al gesto di affidamento incondizionato del protagonista.

Va notato che l’itinerario della confidenza in Dio si coniuga nel racconto con la confidenza nei formatori. Le relazioni con la madre e con don Calosso, i rapporti con Lucia Matta, col confessore Maloria, con l’amico Comollo e col direttore spirituale don Cafasso, vengono rappresentati con i tratti dell’affidamento «illimitato», della rivelazione del cuore e dei pensieri, dell’obbedienza docile e pronta. È un movimento di docilità che raggiunge il vertice nel dialogo con don Cafasso alla conclusione degli studi al Convitto: «La mia propensione è di occuparmi della gioventù. Ella poi faccia di me quel che vuole […]. Io voglio riconoscere la volontà di Dio nella sua deliberazione e voglio mettere niente del mio volere».

Il testo delle Memorie mostra come l’Oratorio trova la sua forma definitiva solo quando don Bosco, lasciato l’impiego presso l’Ospedaletto e presa dimora in casa Pinardi, privo di ogni risorsa economica, vivrà in uno stato di assoluto abbandono in Dio. La situazione di precarietà economica è affrontata insieme alla madre, che abbandonata la tranquillità dei Becchi per fare «piacere al Signore» si unisce alla missione del figlio. Si compie così l’arco narrativo aperto con la raccomandazione del padre morente. Ora la confidenza in Dio trova compimento pieno e diventa inizio di sviluppi insospettati.

4.2 5.2. Un modello di educatore-pastore

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L’intera dinamica delle Memorie è protesa soprattutto a definire una missione e un modello pastorale. Destinatari, metodo, contenuti formativi, spirito animatore e stile relazionale, tutto viene illustrato e connotato attraverso un racconto didattico-rappresentativo. Le idee di don Bosco sono rappresentate dai personaggi che egli mette in scena e dai ruoli loro affidati, al fine di abbozzare i tratti caratterizzanti di un unico personaggio, il pastore di Oratorio secondo la sua prospettiva e il suo metodo educativo. Il modello di pastore/educatore che man mano va emergendo lungo il racconto presenta sfaccettature e articolazioni interessanti che è possibile cogliere anche nei particolari.

1. Ci sono innanzitutto elementi che vengono attinti dalla pastorale tradizionale. Sul prato dei Becchi Giovannino, giocoliere e predicatore, ripete «gli esempi uditi nelle prediche o nei catechismi» e si comporta come un buon parroco di campagna tra i suoi amici.

2. C’è anche — molto enfatizzato — un approccio pastorale di tipo familiare. Personaggio emblematico è la madre, alla quale viene affidato un ruolo di grande rilievo per la formazione della sensibilità religiosa e dell’interiorità del figlio, in un intenso rapporto di intimità dialogica e affettuosa.

3. Tutti i sacerdoti che, anche solo fugacemente, compaiono nel racconto sono sempre connotati da atteggiamenti virtuosi in relazione alla loro missione pastorale. Ad esempio, il maestro di Capriglio don Lacqua («sacerdote di molta pietà […], il quale mi usò molti riguardi, occupandosi volentieri della mia istruzione e più ancora della mia educazione cristiana»), il parroco di Castelnuovo (raffigurato nell’atto di guidare «con molto zelo» la preparazione e il ringraziamento alla comunione), don Calosso («uomo assai pio», che avvicina il giovane Bosco e dialoga amorevole con lui), il teologo Borel («un santo sacerdote, un modello degno di ammirazione e di essere imitato», apostolo ardentissimo che «non di rado rubava le ore del sonno per recarsi a confessare i giovani; negava il ristoro allo stanco corpo per venire a predicare»).

4. Soprattutto, con la narrazione dell’incontro e dell’intenso rapporto con don Calosso, vengono presentati gli elementi più marcatamente salesiani, che stanno più a cuore a don Bosco. Il vecchio sacerdote individua il ragazzo in mezzo alla folla, si avvicina e gli parla con amore, intuisce il suo problema e dichiara la sua disponibilità. Il testo ricostruisce la relazione matura di affettuosa paternità dalla quale Giovanni si sente avvolto, che lo spinge alla corrispondenza generosa e docile. È un atteggiamento che provoca risonanze feconde nell’animo del giovane orfano, rendendolo capace di corrispondenza gioiosa. Si vengono così a creare condizioni ideali per un’azione formativa di più vasta portata.

5. Per quanto riguarda i tratti interiori e spirituali, che saranno sviluppati nel racconto del periodo trascorso al Convitto, notiamo che don Bosco ne anticipa la sostanza nell’incontro col chierico Giuseppe Cafasso, che mostrare un legame inscindibile tra atteggiamenti pastorali e vita interiore. Appoggiato alla porta della chiesa di Morialdo in occasione della festa patronale il giovane Cafasso rivela il suo spirito di raccoglimento, finezza di tratto, amorevole capacità di relazione. Le «memorande parole» rivolte all’adolescente Giovanni Bosco dichiarano come la risorsa più feconda per un educatore/pastore consista nella consegna amorosa ed esclusiva al servizio di Dio e dei fratelli.

6. Ulteriori tratti completano il profilo ideale dell’educatore secondo don Bosco. Sono incarnati nella persona dei suoi insegnanti di Chieri, tutti connotati positivamente, nei loro atteggiamenti: don Valimberti rappresenta l’accoglienza cordiale, la vicinanza e l’arte di facilitare l’inserimento del giovane nel nuovo ambiente; il teologo Valeriano Pugnetti incarna la cura personalizzata e affettuosa; il professor Cima è il ritratto dell’insegnante burbero ed esigente, ma competente, capace di stimolare l’impegno e la responsabilità degli allievi, di far scaturire energie e buona volontà; don Pietro Banaudi raffigura l’amorevolezza salesiana, la capacità di conquistare i giovani percorrendo le vie del cuore, l’arte di farsi amare; don Giuseppe Maloria, il confessore, è descritto come amico dell’anima, accogliente, incoraggiante e preveniente. Accanto a loro è dettagliata la figura dell’arciprete del duomo, il canonico Massimo Burzio, descritto nell’atto di un intervento “disciplinare” come esempio di prudenza e di tatto umano, che mette il giovane a proprio agio creando le condizioni per un colloquio serio e confidenziale.

7. Il racconto delle Memorie dell’Oratorio mette anche in rilievo alcuni pericoli che insidiano il modello proposto. Ad esempio, col racconto della festa dopo la vestizione, si stigmatizza la mondanità, la superficialità e il cattivo esempio. Nelle parole di Margherita al figlio prima dell’entrata in seminario, si mette in guardia contro la trascuratezza nei propri doveri. Con l’evocazione del disagio provato da Giovanni in seminario di fronte ai superiori si deplora un lo stile autoritario che genera diffidenza e lontananza. Nella descrizione delle predicazioni estive tenute a Capriglio e ad Alfiano si invita a vigilare contro la tendenza alla vanagloria e all’inutile ricercatezza stilistica, ad essere attenti alle capacità degli uditori. Con il racconto delle avventure estive nel periodo del seminario si mostra come sia facile cedere alla dissipazione senza continua vigilanza. Quando si mettono in campo le obiezioni dei parroci contro l’Oratorio, che allontanerebbe «i giovanetti dalle parrocchie», si condanna una visione rigidamente giurisdizionale e burocratica della missione educativa e pastorale, più centrata sul criterio territoriale che sui bisogni delle persone. Infine, narrando gli eventi che agitavano gli animi tra 1848 e 1849, viene messa in luce la confusione e lo squilibrio di idee e comportamenti indotti dalle passioni politiche a danno dell’impegno educativo e pastorale.

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In conclusione, il racconto delle Memorie dell’Oratorio traccia la storia degli sviluppi e le note caratterizzanti di un’istituzione educativa e pastorale strettamente legata alla vita del Fondatore. Nello stesso tempo istruisce i lettori sull’articolato carisma che anima tale istituzione. L’interpretazione provvidenziale fatta da don Bosco di una vocazione divina realizzata nella realtà storica concreta mette in luce due nuclei dinamici della vocazione salesiana: il dono incondizionato di sé a Dio in risposta ad una missione ricevuta, innestato su un nativo atteggiamento positivo, cordiale e affettuoso verso il mondo giovanile. Le due dinamiche, fecondandosi reciprocamente, danno vita ad una spiritualità, ad un’operosità intelligente e feconda, a un modo d’essere e operare in funzione promozionale e salvifica. Così i lettori di oggi possono trovare in queste Memorie elementi stimolanti per un’interpretazione attualizzante, ma anche spunti critici di verifica a livello personale e istituzionale.



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