RM BS 2012 10 it


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1 9.

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CONOSCERE DON BOSCO

PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA

2 L’IDEA DEL COOPERATORE

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3 NELLA MENTE DI DON BOSCO:

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4 LIVELLI DI APPARTENENZA E IMPEGNO DI UNA GENIALE INTUIZIONE

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«Io ebbi sempre bisogno di tutti»



Don Bosco non ha paura di chiedere. Per andare in seminario fa la prima questua della sua vita, la prima di una lunga serie.

«Restava a provvederlo degli abiti chiericali che la povera Margherita non avrebbe potuto comprargli. Don Cinzano ne parlò ad alcuni parrocchiani, e questi accettarono premurosamente di concorrere all'opera buona. Il signor Sartoris lo provvide della talare, il Cav. Pescarmona del cappello, Don Cinzano stesso gli diede il proprio mantello, altri gli comprò il colletto e la berretta, altri le calze, e una buona donna raccolse i denari necessari per fornirlo, a quanto pare, di un paio di scarpe. Questa è la maniera che la divina Provvidenza terrà poi in seguito col nostro Giovanni, servendosi cioè dell'aiuto di molti per sostenere il suo fedel servo e le opere tutte, cui egli darà mano. E noi udimmo D. Bosco più d'una volta ripetere: - Io ebbi sempre bisogno di tutti!» (Memorie Biografiche I, 367).

Don Bosco non si vergognò mai di chiedere l’elemosina.

A Tolone, nel 1881, dopo una conferenza, «Don Bosco in ferraiolo e con il piatto d'argento nelle mani fece il giro della chiesa questuando. Durante tale operazione accadde un incidente degno di rilievo. Un operaio, nell'atto che Don Bosco gli presentava il piatto, voltò la faccia dall'altra parte, alzando sgarbatamente le spalle. Don Bosco, passando oltre, gli disse con tutta amorevolezza: “Dio vi benedica”. L'operaio allora si mette la mano in tasca e depone un soldo nel piatto. Don Bosco, fissandolo in faccia, gli disse: “Dio vi ricompensi”. L'altro, rifatto il gesto, offre due soldi. E Don Bosco: “Oh mio caro, Dio vi rimeriti sempre di più”. Quell'uomo, ciò udito, cava fuori il portamonete e dona un franco. Don Bosco gli dà uno sguardo pieno di commozione e si avvia; ma, quel tale, quasi attratto da una forza magica, lo segue per la chiesa gli va appresso nella sacrestia, esce dietro di lui in città e non lascia di stargli alle spalle, finché non lo vede scomparire» (Memorie Biografiche XV, 63).

I cooperatori di don Bosco

Per designare i suoi aiutanti non religiosi, don Bosco tergiversò parec­chio prima di risolversi ad assumere la denominazione di «cooperatori salesiani», apparsa solamente al termine di una lunga catena di eventi.

L'introduzione del testo di regolamento, pubblicato ad Albenga nel 1876, si apriva con le parole: «Al lettore. Appena s'incominciò l'Opera degli Oratorii nel 1841 tosto alcuni pii e zelanti sacerdoti e laici vennero in aiu­to a coltivare la messe che fin d'allora si presentava copiosa nella classe de' giovanetti pericolanti. Questi Collaboratori o Cooperatori furono in ogni tempo il sostegno delle Opere Pie che la Divina Provvidenza ci po­neva tra mano».

Non solo Cooperatori con promessa, ma una vasta rete di cooperazione, sostegno, simpatie, beneficenza…, curatissima. Va recuperata questa geniale intuizione di don Bosco, potenziata da don Rua e successori, che ha reso possibile la diffusione mondiale dell’Opera salesiana.

Ultimamente si è cercato di dare più consistenza al Cooperatore, valorizzando una componente della visione di don Bosco (quella del salesiano “esterno”).

In don Bosco c’è l’idea che gli veniva dalla riorganizzazione dei cattolici per la ricristianizzazione della società; l’idea della beneficenza alle opere salesiane; l’idea del “volontariato” laicale cattolico, pastorale (fare catechismi, cooperare i parroci) o sociale (educare, assistere, formare, proteggere).

Fatti e conferenze di don Bosco integrano l’identità, le forme e i significati dell’azione della cooperazione. I destinatari sono cooperatori e benefattori, ma anche persone impegnate in diverse iniziative di apostolato (autonome o inserite in ambiti ecclesiali). La carità materiale occupa spazi estesi nei fatti e nelle parole, con appelli sempre più insistenti ed esigenti.

Nella solenne conferenza del 1° giugno 1885, don Bosco afferma: “Essere Cooperatore salesiano vuol dire concorrere insieme con altri in sostegno di un’opera, la quale ha per iscopo d’aiutare la S. Chiesa nei suoi più urgenti bisogni; vuol dire concorrere a promuovere un’opera tanto raccomandata dal Santo Padre, perché educa i giovanetti alla virtù, alla via del Santuario, perché ha per fine principale d’istruire la gioventù che oggidì è divenuta il bersaglio dei cattivi, perché promuove in mezzo al mondo, nei col­legi, negli ospizi, negli oratorii festivi, nel­le fa­miglie, promuove dico, l’amore al­la religione, il buon costume, le preghiere, la frequenza ai Sacramenti, e via dicendo” .


Nel secolo XXI


Appro­vato dalla Santa Sede il 9 maggio 1986, promulgato dal rettor maggiore don Egidio Viganò il successivo 24 maggio, il Nuovo regolamento delinea l'im­magine rinnovata del cooperatore salesiano all'alba del secolo XXI, in ri­ferimento alla sua identità, al suo spirito, alla sua missione e all'organiz­zazione della associazione.

«II Cooperatore è un cattolico che vive la sua fede ispirandosi, entro la propria realtà secolare, al progetto apostolico di Don Bosco: si impegna nella stessa missione giovanile e popolare, in forma fraterna e associata; sente viva la comunione con gli altri membri della Famiglia salesiana; opera per il bene della Chiesa e della società; in modo adatto alla propria condizione e alle sue concrete possibilità».

Gli estensori di questo arti­colo hanno voluto ricollegarsi alle primitive intenzioni di don Bosco, se­condo cui il cooperatore è un vero salesiano nel mondo, ossia un cristia­no, laico o prete, che senza legami di voti religiosi, realizza la propria vo­cazione alla santità al servizio della missione giovanile e popolare secondo lo spirito di don Bosco. L'identità del cooperatore così delineata, presen­ta tre tratti caratterizzanti: egli è un cristiano cattolico, è secolare ed è sa­lesiano.