RM BS 2012 02 it


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CONOSCERE DON BOSCO

PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA

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UNA CASA, UNA FAMIGLIA, UN PADRE



2 L’importanza degli ambienti di vita e delle persone nella formazione del giovane don Bosco

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«Mi ricordo ed è il primo fatto della vita di cui tengo memoria, che tutti uscivano dalla camera del defunto, ed io ci voleva assolutamente rimanere.

«Vieni, Giovanni, vieni meco», ripeteva l'addolorata genitrice.

«Se non viene papà, non ci voglio andare», risposi.

«Povero figlio, ripigliò mia madre, vieni meco, tu non hai più padre».

Ciò detto ruppe in forte pianto, mi prese per mano e mi trasse altrove, mentre io piangeva perché Ella piangeva».

Il primo ricordo di don Bosco è la mano di sua madre. Quando conoscerà i giovani delle prigioni di Torino dirà: «Se trovano una mano benevola che di loro si prenda cura… si davano ad una vita onorata, dimenticavano il passato, divenivano buoni cristiani ed onesti cittadini. Questo è il primordio del nostro Oratorio».

Rileggendo la propria esperienza giovanile e il percorso che lo portò a realizzare la sua Opera, don Bosco, nelle Memorie dell’Oratorio, ha messo in luce il ruolo determinante degli educatori e degli ambienti in cui si è svolta la sua formazione: la famiglia, la comunità religiosa di Morialdo, la scuola di Chieri, il Seminario, il Convitto; le cure di mamma Margherita e di don Calosso, le attenzioni dei suoi insegnanti a Chieri, l’accoglienza e i consigli del confessore, i buoni amici, l’esempio stimolante di Luigi Comollo, l’impostazione disciplinare data dai superiori del seminario, l’esemplarità pastorale e spirituale e gli insegnamenti di don Cafasso e del teol. Guala.


Le radici della forza


Anche il contesto di povertà e la durezza del mondo contadino in cui è cresciuto ha avuto un ruolo importante per stimolare in lui atteggiamenti di confidenza in Dio, di laboriosità e tenacia, di sobrietà e di creatività. La contrapposizione con Antonio, poi, non è stata del tutto negativa, perché ha fatto crescere il desiderio e ha stuzzicato la sua inventiva per trovare, in situazioni poco favorevoli, vie possibili, percorsi alternativi utili a tradurre il sogno in realtà. Così anche le resistenze incontrate nei primi anni dell’Oratorio da parte del Vicario di Città, dei parroci, della marchesa di Barolo, oppure la mancanza di risorse economiche, di spazi e di collaboratori non sono stati solo degli ostacoli, ma sfide che hanno stimolato la sua carità creativa e lo hanno portato a mettere in atto una strategia di azione tutta sua. Si era creata in lui una mentalità di adattamento proattivo nel fare il bene, un atteggiamento fiducioso che gli veniva dalla confidenza in Dio e lo portava ad attuare quanto era fattibile, in attesa degli sviluppi e delle opportunità future. Una disponibilità al cambiamento e all’adattamento tempestivo di fronte agli imprevisti o agli ostacoli, che sapeva aggirare con amabilità e intelligenza. Sviluppò anche un modello relazionale e comunicativo mirato all’informazione e alla sensibilizzazione delle persone, al loro coinvolgimento, che sarà determinante in futuro.


Le persone che l’hanno amato


Soprattutto le persone che lo hanno formato, la loro dedizione educativa, la loro cura, assistenza e accompagnamento, il loro esempio e stimolo, sono stati per lui una risorsa importante. Infatti hanno orientato il suo percorso formativo e nello stesso tempo sono diventati un riferimento e un modello di spiritualità, di scelta di vita, di relazioni paterne, di cura e di assistenza, di dedizione… che gli hanno fornito un riferimento efficace su cui modellare il sistema preventivo e il suo modo operativo. A distanza di anni, riflettendo su queste persone e sui loro atteggiamenti, don Bosco ha tratto conseguenze importanti per il suo sistema.


Gli ambienti che l’hanno formato


Anche gli ambienti di vita in cui si è avvenuta la sua educazione sono stati una risorsa importante per la elaborazione del suo modello formativo: la famiglia povera e laboriosa, la comunità contadina solidale di Morialdo, l’ambiente scolastico chierese (dove “la religione faceva parte fondamentale dell’educazione”), la serietà disciplinare e la tensione spirituale del Seminario, il clima fervido del Convitto. Tutte queste esperienze hanno contribuito concretamente a formare in lui un’idea e una pratica della comunità educativa e della comunità religiosa, delle relazioni umane e dei ruoli formativi, del senso di appartenenza e di collaborazione.


Una rete per diventare grandi


Nel pensiero e nella prassi di don Bosco non ci può essere educazione se non all’interno di una comunità regolata e laboriosa, serena e familiare, e in una rete di relazioni umane intessute da educatori affettuosi e attenti, presenti accanto ai giovani in modalità attiva e stimolante, capaci di spalancare orizzonti, valorizzare talenti, plasmare caratteri e condurre sui sentieri della vita interiore, col metodo della ragione, della religione e dell’amorevolezza.