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«Venite e vedrete»
(Gv 1,39)
La necessità di convocare
Carissimi fratelli e sorelle,
membri tutti della Famiglia Salesiana
ed amici di Don Bosco,
Vi saluto con il grande affetto e la stima che nutro per ciascuno di voi augurandovi un anno nuovo
ricolmo delle benedizioni che il Padre ha voluto darci nella incarnazione del suo Figlio.
Vi scrivo per presentare la Strenna del 2011, con la certezza di farvi un dono gradito, sia per il valore
che la Strenna come tale ha nella nostra tradizione salesiana dai tempi di Don Bosco, sia per il tema
scelto che interessa la nostra vita, la nostra missione e la nostra capacità di aiutare a scoprire che la
vita è vocazione, sia pure per il momento che viviamo come Chiesa e Famiglia Salesiana, soprattutto
in Occidente.
Dopo la Strenna del 2010, « Signore, vogliamo vedere Gesù », sull'urgenza di evangelizzare, mi è
sembrata la cosa più logica e naturale fare un accorato appello a tutta la Famiglia Salesiana a
sentire, insieme a noi SDB, la necessità di convocare. Infatti, noi salesiani
« sentiamo oggi più forte che mai la sfida di creare una cultura vocazionale in ogni ambiente, in modo che í
giovani scoprano la vita come chiamata e che tutta la pastorale salesiana diventi realmente vocazionale. Ciò
richiede dí aiutare i giovani a superare la mentalità individualista e la cultura dell'autorealizzazione, che li
spinge a progettare il futuro senza mettersi in ascolto di Dio; ciò domanda pure di coinvolgere e formare
famiglie e laici. Un impegno particolare deve essere messo nel suscitare tra i giovani la passione apostolica.
Come Don Bosco siamo chiamati a incoraggiarli ad essere apostoli dei loro compagni, ad assumere varie forme
di servizio ecclesiale e sociale, a impegnarsi in progetti missionari. Per favorire un'opzione vocazionale di
impegno apostolico, a tali giovani si dovrà proporre una vita spirituale più intensa e un accompagnamento
personale sistematico. È questo il terreno in cui fioriranno famiglie capaci di autentica testimonianza, laici
impegnati ad ogni livello nella Chiesa e nella società ed anche vocazioni per la vita consacrata e per il
ministero ».'
1 CG26, Da mihi animas, cetera tolle, Roma, 2008, n. 53: « Vocazioni all'impegno apostolico ».
Evangelizzazione e vocazione, cari fratelli e sorelle, sono due elementi inseparabili. Anzi, criterio
di autenticità di una buona evangelizzazione è la sua capacità di suscitare vocazioni, di
maturare progetti di vita evangelica, di coinvolgere interamente la persona di coloro che sono
evangelizzati, sino a renderli discepoli ed apostoli.
Un dato storico della vita di Gesù, confermato da tutti i quattro evangelisti, è che, sin dall'inizio
della sua attività evangelizzatrice (cf. Mc 1,14-15), Gesù chiamò alcuni a seguirlo (cf. Mc 1,16-20; Mt
4,18-19; Lc 5,10-11; Gv 1,35-39). Questi suoi primi discepoli divennero così «compagni per tutto il
tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al
giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo» (At 1,21-22).
La vocazione di questi primi discepoli, secondo il Vangelo di Giovanni, è frutto di un incontro
personale che suscita in essi un'attrazione, un fascino che trasforma la loro mente e soprattutto i
loro cuori, riconoscendo in Gesù Colui nel quale si realizzano le attese più profonde, le profezie, il
Messia atteso. Questa esperienza li collega talmente alla persona di Gesù che lo seguono con
entusiasmo e comunicano ad altri la loro esperienza invitandoli a condividerla, incontrandosi con
Gesù personalmente. Il Vangelo di Luca parla anche del gruppo di donne che accompagna e assiste il
Signore (cf. Lc 8,1-3) il che vuol dire che Gesù aveva delle donne tra i suoi discepoli, alcune delle
quali saranno testimoni della sua morte e resurrezione (cf. Lc 23,55-24,11.22).

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Perciò, cari fratelli e sorelle, vi invito ad essere per i giovani vere guide spirituali, come Giovanni
Battista che addita Gesù ai suoi discepoli dicendo loro: « Ecco l'Agnello di Dio! » (Gv 1,36). In tale
modo essi gli andranno dietro, al punto che Gesù rendendosi conto che alcuni lo seguono si
rivolgerà loro direttamente con la domanda: « Che cercate? », ed essi, presi dal desiderio di
conoscere in profondità chi sia questo Gesù, gli domanderanno: « Rabbi, dove abiti? » (Gv 1,38). Ed
Egli li inviterà, come i primi discepoli, a fare una esperienza di convivenza con lui: « Venite e vedrete
». Qualcosa di immensamente bello essi avranno sperimentato dal momento in cui « andarono,
videro dove abitava e quel giorno rimasero con lui » (Gv 1,39).
Ecco una prima caratteristica della vocazione cristiana: un incontro, un rapporto personale di
amicizia che riempie il cuore e trasforma la vita. Questo incontro trasformante è la fede che,
animata dalla carità, rende i credenti e le comunità cristiane propagatori della Buona Novella del
Vangelo di Gesù. Così lo esprime Paolo nella lettera alla comunità di Tesalonica: « Avendo accolto la
Parola, voi siete diventati un modello per tutti i credenti della Macedonia e dell'Acaia; per mezzo
vostro la Parola del Signore si è diffusa dappertutto » (cf. 1 Ts 1, 7-8). Siamo, dunque, chiamati a
rinnovare in noi questo dinamismo vocazionale: comunicare e condividere l'entusiasmo e la
passione con cui stiamo vivendo la nostra vocazione, in modo tale che la nostra vita diventi essa
stessa proposta vocazionale per gli altri. Proprio come fece Don Bosco, che più che campagne
vocazionali seppe creare a Valdocco un microclima dove crescevano e maturavano le vocazioni,
formando un'autentica cultura vocazionale in cui la vita è concepita e vissuta come dono, come
vocazione e missione, nella diversità delle opzioni.
1. Tornare a Don Bosco
Invitati a ripartire da Don Bosco per capire sempre meglio e poter assumere con più fedeltà la
passione che ardeva nel suo cuore e lo spingeva a cercare la gloria di Dio e la salvezza delle anime,
imitiamolo nella sua instancabile operosità nel promuovere vocazioni al servizio della Chiesa, frutto il
più prezioso della sua opera di educazione ed evangelizzazione, di formazione umana e cristiana dei
giovani. La sua esperienza e i suoi criteri e atteggiamenti potranno illuminare e orientare il nostro
impegno vocazionale.
« Don Bosco, pur operando con instancabile generosità nel promuovere varie forme di vocazioni nella Chiesa,
chiamava alcuni giovani a stare per sempre con lui. Anche per noi la proposta della vocazione consacrata
salesiana, rivolta ai giovani, fa parte della fedeltà a Dio per il dono ricevuto. A ciò ci spinge il desiderio dí
condividere la gioia di seguire il Signore Gesù, rimanendo con Don Bosco, per dare speranza a tanti al tri giovani
del mondo intero ».2
2 CG26, Da mihi animas, cetera tolle, Roma, 2008, n. 54: « Accompagnamento dei candidati alla vita consacrata salesiana ».
Don Bosco visse, non lo dimentichiamo, in un ambiente poco favorevole e per alcuni versi contrario allo
sviluppo delle vocazioni ecclesiastiche. Il nuovo regime costituzionale del Regno Sardo, con le
conseguenti libertà di stampa, di coscienza, di culti, e la potenziale « deconfessionalizzazione » dello
Stato, aveva prodotto un crescente dissenso con la Chiesa. La libertà di culto e l'attiva propaganda
protestante disorientavano il popolo semplice, presentando un'immagine negativa della Chiesa, del
Papa, vescovi e sacerdoti. Si era creato nel popolo e soprattutto tra i giovani un clima nazionalista
impregnato delle idee liberali e anticlericali.
Lo stesso Don Bosco scriveva ricordando quei tempi: « uno spirito di vertigine si levò contro agli ordini
religiosi, alle Congregazioni ecclesiastiche; di poi in generale contro al clero e a tutte le autorità della
Chiesa. Questo grido di furore e di disprezzo per la religione traeva seco la conseguenza di allontanare
la gioventù dalla moralità, dalla pietà; quindi dalla vocazione allo stato ecclesiastico. Perciò niuna
vocazione religiosa e quasi nessuna per lo stato ecclesiastico. Mentre gli istituti religiosi si andavano
man mano disperdendo, i preti erano vilipesi, taluni messi in prigione, altri mandati a domicilio coatto,
come mai umanamente parlando era possibile coltivare lo spirito di vocazione? ».3
Ma guardate, cari fratelli e sorelle, come reagisce Don Bosco. Egli non si perde in lamenti, ma subito
s'industria per raccogliere e coltivare le vocazioni e promuovere la formazione di giovani chierici

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rimasti senza seminario, curare quei ragazzi di buona indole e avviarli alla carriera ecclesiastica.
Nell'Oratorio, assieme ai giovani lavoratori, orfani, Don Bosco accoglie molto presto ragazzi e giovani
di animo buono che mostrano segni per avviarsi al sacerdozio e alla vita religiosa. Si dedica con
attenzione e priorità alla loro formazione, una formazione attiva e pratica con un accompagnamento
personale e in un ambiente di forte valenza spirituale e apostolica. Dagli anni '60 la sezione « studenti »
dell'Oratorio di Valdocco viene considerata una fattispecie di seminario. Lo stesso Don Bosco scrive
nelle Memorie dell'Oratorio « che la casa dell'Oratorio per quasi 20 anni diviene il seminario diocesano
».4 Stando a quanto scrive don Braido, tra il 1861 al 1872 entrarono nel Seminario di Torino 281
giovani provenienti dall'Oratorio.5
3 Cenno storico sulla Congregazione di S. Francesco di Sales e relativi schiarimenti. Roma. Tip. Poliglotta 1874. In OE
XXV, p. 233.
4 Memorie dell'Oratorio. Testo critico, a cura di A. Ferreira. Roma, LAS 1991, p. 195. Mettere al servizio delle
diocesi come seminari minori le sue (nuove) scuole private fu un motivo trainante dell'espansione dell'opera
salesiana, cf. A. J. LENTI, Don Bosco. History and Spirit. Vol. 52: Institutional Expansion, Roma, LAS, 2009, pp. 49-73.
5 Cf. P. BRAIDO, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo delle libertà. Vol. I, Roma, LAS, 2003, p. 544.
Come attua Don Bosco questo impegno per promuovere vocazioni?
Innanzitutto Don Bosco faceva speciale attenzione a scoprire i possibili segni di vocazione nei giovani
con i quali entrava in contatto quando andava a predicare nelle chiese dei vari paesi e nei giovani
raccolti nell'Oratorio di Valdocco. Egli nota che, in mezzo alla massa dei suoi giovani, in alcuni
emergono le condizioni per una proposta vocazionale, finora nascoste da un'incrostazione di
grossolanità e d'ignoranza. Questi poveri oratoriani infatti uniscono alla buona condotta uno svegliato
ingegno; li mette dunque alla prova come animatori tra i compagni e li studia con un
accompagnamento speciale da parte sua. Perché Don Bosco non rimane in attesa di uno sviluppo
quasi meccanico della vocazione, sa per esperienza che la mobilità giovanile la può mettere in serio
pericolo. Perciò collabora attivamente col dono di Dio creando un ambiente adatto, mantenendovi un
clima spirituale rispondente alle esigenze di sviluppo della vocazione, e impegnandosi ad essere
animatore e guida di coloro che riscontra chiamati da Dio alla vita sacerdotale e religiosa o alla
cooperazione salesiana nella diversità delle sue espressioni.
1.Il primo impegno di Don Bosco è quello di formare un ambiente, oggi diremmo una cultura, in cui
la proposta vocazionale possa essere favorevolmente accolta e giungere a maturazione.
Un ambiente di familiarità nel quale Don Bosco condivide tutto con i giovani. Sta con loro nel cortile,
li ascolta, promuove un clima di gioia, di festa e di fiducia che apre i cuori e fa che i giovani si sentano
come in famiglia. La gioia che si sprigionava da tutta la persona di Don Bosco mentre svolgeva il suo
apostolato sacrificato ed entusiasta era già in se stessa una proposta vocazionale. I giovani a contatto con
Don Bosco nella vita quotidiana facevano la grande ed esaltante esperienza di essere e di sentirsi davvero
membri di una famiglia, imparando ad aprire i loro cuori ed a guardare il futuro con ottimismo e
speranza.
Questo clima di gioia e di famiglia è alimentato da una forte esperienza spirituale. La visione
religiosa del mondo che Don Bosco possiede e che unifica la sua multiforme attività contagia quasi
spontaneamente i giovani che imparano a vivere alla presenza di Dio. Un Dio che li ama ed ha per
ognuno di loro un progetto di felicità e di vita piena. Si crea nell'Oratorio un clima spirituale che
orienta al rapporto interpersonale con Dio e con i fratelli e permea tutta la vita. Questo clima si
alimenta di una semplice ma costante pietà sacramentale e mariana. La preghiera che orienta i giovani
ad un rapporto personale di amicizia con Gesù e con Maria e l'adeguata esperienza sacramentale che
sostiene e stimola lo sforzo di crescita nella vita quotidiana, costituiscono la prima risorsa per coltivare
e maturare le vocazioni.
Una terza caratteristica dell'ambiente creato da Don Bosco era la dimensione apostolica.

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Dall'inizio Don Bosco coinvolge i giovani, in particolare quelli che presentano segni vocazionali, ad
accompagnarlo nella sua opera di educazione e di catechesi. Affida loro alcuni compagni più discoli
perché, facendosi loro amici, li aiutino a inserirsi positivamente nell'ambiente e nella vita
dell'Oratorio. In questo modo i giovani imparano a lavorare per gli altri con grande impegno e totale
disinteresse. Imparano pure a rendere se stessi sempre più disponibili e aperti alle esigenze
dell'apostolato, maturando le proprie motivazioni e facendo ogni cosa per la gloria di Dio e la salvezza
delle anime. Don Bosco, con un accompagnamento attento e costante, procura che questo servizio di
apostolato tra i compagni, vissuto con entusiasmo e disponibilità, mentre esprime la sua efficacia
portando sulla via del bene coloro ai quali si rivolge, diventi pure una concreta « proposta » di vita per
quei giovani che lui stesso aveva scelti. In questo clima nascono e si sviluppano le Compagnie,
considerate da Don Bosco un'esperienza chiave dell'ambiente e della proposta educativa
dell'Oratorio.
2.Insieme all'ambiente, Don Bosco offre a giovani ed agli adulti, che cercano un orientamento per
la loro vocazione, un fedele accompagnamento spirituale. Il luogo naturale in cui Don Bosco offre
l'aiuto della direzione spirituale è il confessionale, ma non solo: Don Bosco propone e facilita in vari
modi possibilità di incontro e di colloquio tra i « figli di famiglia » e il « padre », offrendo a tutti
un'esperienza profonda di educazione e di direzione spirituale. La sua azione si modula diversamente
ed in maniera personalizzata a seconda che si tratti di giovani o adulti, aspiranti alla vita ecclesiastica,
alla vita religiosa o semplicemente alla vita di buon cristiano e onesto cittadino. Ugualmente la sua
azione di accompagnamento si rende particolare e attenta nel seguire Cooperatori, Figlie di Maria
Ausiliatrice, Salesiani, ecc.
Uno dei tratti che maggiormente colpisce quando si osserva Don Bosco agire come direttore di spirito,
è il discernimento e la prudenza che rivela quando consiglia in merito alla vocazione. Sebbene in quel
tempo alla Chiesa mancassero dei pastori e a lui stesso urgessero collaboratori, don Rua testimonia,
con giuramento, che « giammai consigliava ad entrarvi (nella vita sacerdotale o religiosa) chi non ne
avesse i necessari requisiti... Di varii ho saputo che li dissuase malgrado il loro desiderio ».66
Summarium, 676 par. 14.
Sempre mosso da prudente discernimento, si dà da fare per indurre a riflettere coloro che, pur
avendone le doti, non avevano mai pensato a divenire sacerdoti o religiosi. Don Bosco poco alla volta
poneva loro sotto gli occhi alcune considerazioni che li aiutassero a ripensare la loro opzione, e
nessuno di essi è stato mai scontento di aver seguito il suo consiglio.
La direzione spirituale di Don Bosco è tutta illuminata dal « dono del consiglio » che lo abilita a
orientare con sicurezza coloro che a lui si rivolgono.
3.L'intensissimo lavoro che Don Bosco svolge a favore delle vocazioni è sostenuto da un intenso
amore alla Chiesa: egli impegna tutte le sue forze, con totale dedizione, per procurare il suo bene. È
proprio questo amore alla Chiesa che ci permette di comprendere l'importanza che dava all'attività
apostolica di promozione delle vocazioni e la sua insistenza perché tutti concordemente lavorassero e
si impegnassero per procurare alla Chiesa il grande tesoro che rappresentano le vocazioni. Così era
solito dire: « Noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando procuriamo una buona vocazione; che
questa vocazione o questo prete vada in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa non importa. È
sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesù Cristo ».7 La visione del bene di tutta la Chiesa
non lo lascia mai, neppure quando spende le sue forze, il suo tempo, i mezzi finanziari che gli costano
tante fatiche, né quando impiega il suo scarso personale o le sue Case.
« Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani ... ».8 L'appello di Don Bosco morente può ritenersi
rivolto non solo ai presenti in quel momento nella sua camera, ma a tutta la Famiglia Salesiana in
generale. Un appello che urge ed urgerà sempre, perché i giovani di tutti i tempi hanno bisogno di «
salvezza ».

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7 MB XVII, p. 262.
8 MB XVIII, p. 530.
Quest'invito Don Bosco morente lo rivolge anche a noi. È un invito a rimboccarci le maniche ed a
lavorare sodo perché attorno a noi sboccino, fioriscano e si consolidino, come già attorno a lui,
numerose e valide vocazioni salesiane. Assumerlo richiede a ciascuno di noi di rinnovare la santa
passione per la salvezza della gioventù che viveva lo stesso Don Bosco; questa passione ci renderà
coraggiosi e ci farà superare il timore di non essere capiti o di essere emarginati o respinti da questo
nostro mondo secolarizzato e dissacratore, che rifiuta la diversità, sopprime il soprannaturale ed
emargina il credente.
Viviamo, dunque, senza paura uno stile di vita che contesta questo mondo e questa società che non
permette lo sviluppo e la promozione integrale della persona umana; uno stile di vita che stimola a
vivere con gioia ed entusiasmo la propria vocazione ed a proporre a giovani e adulti, uomini e donne,
ragazzi e ragazze, la vocazione salesiana come risposta adeguata di salvezza a questo mondo di oggi, e
come progetto di vita capace di contribuire positivamente al rinnovamento dell'attuale società. Così si
esprime l'articolo 28 delle Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco: « Siamo convinti che tra i giovani
molti sono ricchi di risorse spirituali e presentano germi di vocazione apostolica.
Li aiutiamo a scoprire, ad accogliere e a maturare il dono della vocazione laicale, consacrata, sacerdotale, a
beneficio di tutta la Chiesa e della Famiglia salesiana ». Questo impegno è stato una finalità della
Congregazione prima persino della sua approvazione9 e oggi acquista un'urgenza e necessità straordinaria
(cf. Cost. 6), come ripetutamente ci ricorda la Chiesa.
9 Anche se manca un articolo sui seminari minori nel primo testo costituzionale esistente, il manoscritto di Rua del 1858,
esso fu introdotto da Don Bosco già nella bozza del 1860. Cf. G. Bosco, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales
[1858] 1875. Edizione critica di Francesco MOTTO, Roma, LAS, 1982, pp. 76-77.
2.Un'urgenza previa: creare e fomentare una cultura Vocazionale l0
« È necessario promuovere una cultura vocazionale che sappia riconoscere e accogliere
quell'aspirazione profonda dell'uomo che lo porta a scoprire che solo Cristo può dirgli tutta la verità
sulla sua vita ».'1 Parlare di cultura vocazionale, come per primo ha fatto Giovanni Paolo II, è oggi non
solo pertinente, ma pure urgente. Notiamo infatti che, a volte, c'è una frattura tra i gesti di persone,
anche generose e bene ispirate, e la mentalità collettiva, tra iniziative personali ed espressioni sociali,
tra la prassi e i suoi fondamenti. Così in Congregazione, come nella Famiglia Salesiana, notiamo che ci
può essere un certo lavoro vocazionale da parte di singoli, cosiddetti delegati per le vocazioni, ma
nello stesso tempo, nelle comunità o nei gruppi si percepisce che non esiste una vera cultura
vocazionale.
La cultura infatti richiama non a gesti singoli, pur numerosi, ma ad una mentalità e ad un
atteggiamento condiviso da un gruppo; riguarda non solo intenzioni e propositi privati, ma impiego
sistematico e razionale delle energie di cui dispone la comunità. I contenuti di una cultura vocazionale,
così intesa, riguardano tre aree: quella antropologica, quella educativa e quella pastorale. La prima si
riferisce al modo di concepire e presentare la persona umana come vocazione; la seconda mira a
favorire una proposta di valori congeniale alla vocazione; la terza fa attenzione al rapporto tra
vocazione e cultura obiettiva e ne ricava conclusioni per il lavoro vocazionale.
10 questa sezione prendo liberamente la voce « Cultura della Vocazione », di don Juan E. Vecchi, in Dizionario della
Pastorale Vocazionale, Libreria Editrice Rogate, Roma 2002, pp. 370-382
" GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXX Giornata di Preghiera per le vocazioni (8 settembre 1992).
La vita è vocazione
Sappiamo che a tutti gli interventi educativi e pastorali soggiace un'immagine dell'uomo, spontanea o
riflessa. Il cristiano la va elaborando col vissuto, con lo sforzo razionale di capirne il senso e con
l'illuminazione della fede. I tre elementi vissuto personale, ricerca di senso e discernimento dalla fede
sono indispensabili e collegati fra loro. La rivelazione non va intesa come una sovrapposizione
esterna all'esperienza ed alla sua comprensione umana, ma proprio come uno svelamento del suo senso

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più profondo e definitivo. Bisogna dunque in primo luogo superare un modo di pensare e di parlare
della vocazione quasi fosse un surplus, uno stimolo soltanto per alcuni, un fatto funzionale al
reclutamento per qualche stato di vita, piuttosto che un riferimento sostanziale alla realizzazione stessa
della persona. La crisi delle vocazioni infatti può essere dovuta anche allo stile di vita che esse
presentano. Ma più in profondità si deve a una visione dell'esistenza umana in cui la dimensione di «
appello », cioè di doversi realizzare in ascolto di un altro e in dialogo con lui, non solo è esclusa di fatto,
ma non può nemmeno venir inserita in maniera significativa. Ciò avviene nelle visioni dell'uomo che
mettono la soddisfazione dei bisogni dell'individuo al di sopra di tutto, proponendo l'autorealizzazione
come unica meta dell'esistenza o concependo la libertà come pura autonomia. Tali sensibilità sono oggi
diffuse, esercitano un certo fascino e anche quando non vengono assunte in maniera integrale,
conformano i messaggi della comunicazione e influiscono sugli indirizzi educatiVi.
Un primo compito della cultura vocazionale è, allora, di elaborare e diffondere una visione
dell'esistenza umana concepita come « appello e risposta », quale considerazione conclusiva di una
fondata riflessione antropologica. Verso tale conclusione portano l'esperienza del rapporto, l'esigenza
etica che ne consegue, gli interrogativi esistenziali. Sono quindi queste le vie da percorrere per
individuare alcuni contenuti della cultura vocazionale che ci preoccupa. La persona ha coscienza della
propria singolarità. Comprende che la sua esistenza è esclusiva, qualitativamente diversa da altre,
irriducibile al mondo. Le appartiene totalmente ma ha le caratteristiche di un dono, un fatto
precedente ad ogni desiderio o sforzo.
Aperta agli altri e a Dio
Allo stesso tempo l'uomo avverte di essere parte di una rete di rapporti, non opzionali o secondari, tra i
quali quello con le altre persone
è immediatamente evidente e occupa un posto privilegiato. La prima cosa che la persona percepisce non è
l'io con le sue potenzialità, ma l'interdipendenza con gli altri che richiedono di essere accettati nella loro
realtà obiettiva e riconosciuti nella loro dignità. In questa ottica la responsabilità appare come capacità di
percepire segnali che provengono dagli altri e darvi delle risposte. Si tratta di un appello etico perché
comporta delle esigenze di responsabilità e di impegno. L'uomo si sveglia all'esistenza personale quando gli
altri cessano di essere visti soltanto come mezzi di cui servirsi.
Una cultura vocazionale deve prevenire il giovane da una concezione soggettivistica che fa dell'individuo
centro e misura di se stesso, che concepisce la realizzazione personale come difesa e promozione di sé,
piuttosto che come apertura e donazione. E così pure da quelle concezioni che nel rapporto
intersoggettivo rimangono imprigionate nel solo compiacimento, senza vederne il carattere etico.
L'esperienza relazionale e la sua componente etica orientano già verso il Trascendente, perché in essi
appare qualcosa di incondizionato e immateriale. Infatti, gli altri non richiedono solo di venire loro
incontro con oggetti e strutture o di interagire con loro attraverso riflessi istintivi. Essi chiedono il
riconoscimento del mistero della loro persona e postulano dunque rispetto, gratuità, amore, promozione di
valori morali e spirituali.
Ma il richiamo alla trascendenza diventa più evidente quando la persona è capace di aprirsi agli
interrogativi fondamentali dell'esistenza e ne coglie la densità reale. Appare allora la sua apertura
all'Oltre, già intravisto nelle sue realizzazioni positive e nei suoi limiti. Capisce che non può fermarsi a
ciò che le è immediatamente percepibile né circoscriversi all'oggi. La persona è un mistero infinito che
solo Dio può spiegare e solo Cristo può appagare. Perciò è naturalmente spinta a cercare il senso della
vita e a proiettarsi nella storia. Deve decidere il suo orientamento a lungo termine, avendo di fronte
diverse alternative. E non può percorrere la propria vita due volte: deve scommettere! Nei valori che
predilige e nelle scelte che fa si gioca il suo successo o il suo fallimento come progetto, la qualità e la
salvezza della sua vita. Gesù lo esprime in forma molto chiara: « Chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo,
la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? »
(Mc 8,35-36). Compito di una cultura vocazionale è di sensibilizzare all'ascolto di tali interrogativi,
abilitare ad approfondirli. Compito di una cultura vocazionale è pure promuovere la crescita e le scelte
di una persona in relazione al Bonum, al Verum, al Pulchrum, nell'accoglienza dei quali consiste la sua

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pienezza.
Vissuta come dono e come compito
Tutto questo richiede un approfondimento della vocazione come definizione che la persona dà alla
propria esistenza, percepita come dono e appello, guidata dalla responsabilità, progettata con libertà. Il
filone più fecondo per scoprire tale fondamento è la Scrittura, letta come svelamento del senso della
vita dell'uomo. Nella Scrittura l'essere e i rapporti costitutivi della persona vengono definiti dalla sua
condizione di creatura, il che non indica inferiorità o dipendenza, ma amore gratuito e creativo da
parte di Dio.
L'uomo non ha in sé la ragione della propria esistenza né della propria realizzazione. La deve a un
dono e lo gode rendendosene respon-s`abile. Il dono della vita contiene un progetto; questo si va
svelando nel dialogo con sé, con la storia, con Dio ed esige una risposta personale. Ciò definisce la
collocazione dell'uomo rispetto al mondo e a tutti gli esseri che lo compongono. Questi non possono
colmare 'i suoi desideri e quindi l'uomo non è loro sottomesso.
Un esempio tipico di questa struttura della vita è l'alleanza tra Dio e il suo popolo come viene
presentata nella Bibbia. Essa è elezione gratuita da parte di Dio. L'uomo deve prenderne coscienza ed
assumerla come progetto di vita, guidato dalla Parola che lo interpella e lo pone nella necessità di
scegliere. In Cristo la verità sull'uomo, che la ragione coglie vagamente e che la Bibbia svela, trova la sua
illuminazione totale. Cristo, con le sue parole ma soprattutto in forza della sua esistenza umano-divina,
in cui si manifesta la coscienza di Figlio di Dio, apre la persona alla piena comprensione di sé e del
proprio destino. In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali nella storia.
La vocazione cristiana non è una aggiunta di lusso, un complemento estrinseco per la realizzazione
dell'uomo. È invece il suo puro e semplice compimento, l'indispensabile condizione di autenticità e
pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di cui è sostanziata la sua stessa struttura
creaturale. Allo stesso modo l'inserirsi nella dinamica del Regno, a cui Gesù invita i discepoli, è l'unica
forma di esistenza che risponde al destino dell'uomo in questo mondo e oltre. La vita si svolge così
interamente come dono, appello e progetto.
Il prendere tutto ciò come base e ispirazione dell'azione, il diffonderlo in modo che diventi mentalità
della comunità educativa pastorale e particolarmente degli operatori vocazionali con le relative
conseguenze educative e pratiche costituisce la « cultura » di cui la pastorale ha urgente bisogno.
Ecco gli atteggiamenti di fondo che danno vita ad una cultura vocazionale e che noi vorremmo
privilegiare:
La ricerca di senso. Il senso è la comprensione delle finalità immediate, a medio termine e
soprattutto ultime degli eventi e delle cose. Il senso è pure intuizione del rapporto che realtà ed eventi
hanno con l'uomo e con il suo bene. La maturazione del senso comporta esercizio della ragione,
sforzo di esplorazione, atteggiamento di contemplazione e interiorità. Lo si va scoprendo in diversi
ambiti: nella propria esperienza, nella storia, nella Parola di Dio. Tutto converge verso una saggezza
personale e comunitaria che si esprime nella fiducia e speranza di fronte alla vita. « Del resto, noi
sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio » (Rm 8,28).
I tempi di maturazione del senso possono essere lunghi. Importante è non rinunciare e non chiudersi di
fronte alla prospettiva di ulteriori e più ricche scoperte. La cultura contemporanea è percorsa da
correnti che ignorano, quando non negano, ogni senso che trascenda l'esperienza immediata e
soggettiva. Porta così ad una visione frammentata della realtà, che rende la persona incapace di
padroneggiare i mille eventi del quotidiano, di andare al di là di quello che è epidermico o sensazionale.
La maturità culturale comporta una sintesi, un quadro di riferimento al di là delle conoscenze singole,
per riuscire ad orientarsi e non rimanere imprigionati dai fatti. La qualità della vita decade quando non
è sostenuta da una certa visione del mondo. E con la qualità cadono le ragioni per impegnarla a
servizio di cause nobili.
Apertura alla trascendenza, all'oltre umano, all'accettazione del limite, all'accoglienza del

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mistero, l'accoglienza del sacro nei suoi aspetti soggettivi e oggettivi, alla riflessione e alla scelta
religiosa.
È questo un orizzonte che appare in tutte le attività dell'uomo fino ad esserne una dimensione
costitutiva: nell'esercizio della sua intelligenza, nella tensione della sua volontà, negli aneliti del cuore,
nella dinamica dei suoi rapporti, nella realizzazione delle sue imprese. L'esistenza dell'uomo è aperta
sull'infinito e così è la percezione che egli ha della realtà. Ci sono oggi indirizzi culturali che,
consapevolmente o meno, portano a chiudersi negli orizzonti « razionali » e temporali e rendono
incapaci di accogliere la propria vita come mistero e dono. Prendere in considerazione la trascendenza
vuol dire accettare interrogativi, andare oltre il visibile e il razionale. Le esperienze, i bisogni, le
percezioni immediate possono essere punti di partenza per aprisi a valori, esigenze e verità ulteriori e
più esigenti, che non vanno sentiti come negazione delle proprie pulsioni, ma come liberazione e
compimento di esse. Come rivelò Gesù alla donna samaritanta: « Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è
colui che ti dice «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva » (Gv 4, 10).
Una mentalità « etica », capace di discernere tra il bene e il male e saper orientarsi al bene.
Tale cultura è illuminata dalla coscienza morale, centrata sui valori piuttosto che sui mezzi, e assume
come punto fondante il primato alla persona. La cultura porta sempre al suo interno una spinta etica
ed è in se stessa un valore morale, perché persegue la qualità umana del
singolo e della comunità. Ma su di essa si ripercuotono i limiti dell'uomo.
Alcune delle sue tendenze e realizzazioni, quando non interi suoi sistemi, appaiono sotto il segno
dell'ambiguità morale. E ciò nelle due dimensioni, oggettiva e soggettiva. Il fatto diventa grave quando
nel dinamismo medesimo di elaborazione della cultura, il criterio etico sparisce o viene subordinato ad
altri. Perde allora ogni incidenza il riferimento al bene e al male, e prevalgono altre istanze, come
l'utilità, il piacere, il potere. Il linguaggio, nell'ultimo tempo, ha coniato una serie di espressioni che
evidenziano sotto forma di polarità il primato o l'assenza di un riferimento etico valido nell'evolversi
della cultura: cultura dell'essere e dell'avere, della vita e della morte, della persona e delle cose.
Sviluppare la cultura con mentalità etica vorrà dire non solo farla crescere comunque, ma confrontare
le sue concezioni e realizzazioni con la coscienza illuminata dalla fede per purificarla e riscattarla
dall'ambiguità e spingerla nella direzione dei valori.
La progettualità. L'apatia di fronte al senso si tramuta spesso in indifferenza verso il futuro.
Senza una visione della storia non appaiono mete appetibili per cui impegnarsi, eccetto quelle che
riguardano il benessere individuale. In periodi precedenti le ideologie, con la loro carica utopica,
spinsero la progettualità sociale ed essa favorì anche la disposizione personale a coinvolgersi in un
progetto storico.
Ci può essere oggi una contrazione del futuro, insieme a una dilatazione del presente, che porta
verso una cultura dell'immediato. I progetti si esauriscono in un tempo breve e si compiono negli
spazi ridotti dell'esperienza individuale. Le stesse iniziative di bene possono ridursi a voler correggere
qualche cosa, ad una ricerca di autorealizzazione soggettiva, ad un entusiasmo effimero. Progettare
vuol dire organizzare le proprie risorse e il proprio tempo in consonanza con le grandi urgenze della
storia e con le domande delle comunità per raggiungere traguardi ideali degni dell'uomo. Ciò richiede
coscienza criti-
ca per difendersi da imperativi apparenti, capacità di discernimento per smascherare pressioni
psicologiche, generosità motivata per andare oltre gli orizzonti immediati.
Impegno per la solidarietà, in opposizione a quella cultura che porta a centrarsi sull'individuo.
Progetti personali genero-
si possono emergere soltanto lì dove la persona ammette che la sua realizzazione è legata a quella dei
suoi simili. La solidarietà è un'aspirazione diffusa che sale dal profondo delle coscienze, dal cuore degli
avvenimenti storici e si manifesta sotto forme inedite e quasi inattese. Appare come risposta a
macrofenomeni preoccupanti, quali il sottosviluppo, la fame, lo sfruttamento. Ispira iniziative
esemplari come i piani di aiuto, il volontariato e i movimenti di opinioni, che vanno modificando il
rapporto precedente tra persona e società. Tutto questo in ambiti vicini e mondi lontani. Di
conseguenza, mobilita lo spirito di servizio e spinge ad esso.
Ma la cultura della solidarietà è spesso trascurata o viene indebolita da forti correnti economiche e

1.9 Page 9

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culturali. Essa suppone una visione del mondo e della persona che consideri l'interdipendenza come
chiave interpretativa dei fenomeni positivi e negativi dell'umanità. Niente ha una sua spiegazione
esauriente o una soluzione ragionevole se viene considerato in forma isolata. Povertà e ricchezza,
denutrizione e spreco sono fenomeni correlati. Tra questi contrasti, funge da mediazione e si
interpone non solo la tenerezza e la compassione, ma la responsabilità umana. La persona non può
essere considerata come un essere che prima si costituisce da se stesso e, solo in un secondo
momento, si orienta verso gli altri. La persona riesce ad essere se stessa soltanto quando assume
solidalmente il destino dei suoi simili.
3.Aspetti che hanno una speciale significatività nell'animazione e nella proposta
vocazionale
Promuovere una cultura vocazionale: compito essenziale della Pastorale Giovanile
Tutta la pastorale, e in particolare quella giovanile, è radicalmente vocazionale: la dimensione
vocazionale costituisce il suo principio ispiratore e il suo sbocco naturale. Bisogna, dunque,
abbandonare la concezione riduttiva della pastorale vocazionale, che si preoccupa soltanto della ricerca
di candidati per la vita religiosa o sacerdotale. Al contrario, come detto sopra, la pastorale vocazionale
deve creare le condizioni adeguate perché ogni giovane possa scoprire, assumere e seguire
responsabilmente la propria vocazione.
La prima condizione consiste, sull'esempio di Don Bosco, nella creazione di un ambiente nel quale si
viva e si trasmetta una vera « cultura vocazionale », cioè un modo di concepire e di affrontare la vita come
un dono ricevuto gratuitamente; un dono da condividere al servizio della pienezza della vita per tutti,
superando una mentalità individualista, consumista, relativista e la cultura della autorealizzazione.
Vivere questa cultura vocazionale richiede lo sforzo di sviluppare certi atteggiamenti e valori, come la
promozione e la difesa del valore sacro della vita umana, la fiducia in sé e nel prossimo, l'interiorità
che permette di scoprire in sé e negli altri la presenza e l'azione di Dio, la disponibilità a sentirsi
responsabili ed a lasciarsi coinvolgere per il bene degli altri in atteggiamento di servizio e di gratuità, il
coraggio di sognare e di desiderare in grande, la solidarietà e la responsabilità verso gli altri, soprattutto
i più bisognosi.12 All'interno di questo contesto o cultura vocazionale la pastorale giovanile deve
proporre ai giovani i diversi cammini vocazionali matrimonio, vita religiosa o consacrata, servizio
sacerdotale, impegno sociale ed ecclesiale ed accompagnarli nel loro impegno di discernimento e di
scelta.
12 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXX Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni (8 settembre 1992).
Ogni comunità educativo-pastorale deve essere consapevole delle caratteristiche del proprio ambiente
culturale e dell'azione educativo-pastorale che sviluppa nel quotidiano lavoro con i giovani. Tutto ciò
nell'intento di promuovere e sviluppare gli elementi tipici di una cultura vocazionale, che spesso non è
accettata dall'ambiente nel quale gli stessi giovani vivono.
Vi indico qui due elementi che possono aiutare lo sviluppo di una cultura vocazionale:
Fare della comunità educativo-pastorale un ambiente di famiglia con testimoni vocazionali significativi.
I giovani vivono in un ambiente massificato, nel quale non si sentono riconosciuti né accolti; essi
devono meritarsi e conquistarsi tutto, cosicché i più deboli o i meno preparati restano emarginati e
dimenticati. In tale ambiente risulta quasi impossibile vivere la vita come dono da condividere; essa
piuttosto appare come una lotta per la sussistenza o una corsa per la conquista del benessere e della
realizzazione individuale. Nell'ambiente di famiglia tipicamente salesiano il giovane si sente accolto e
apprezzato gratuitamente; sperimenta rapporti di fiducia con adulti significativi; si sente coinvolto
nella vita di gruppo; sviluppa protagonismo e responsabilità; impara a costruire la comunità educativa
ed a sentirsi corresponsabile del bene comune; trova momenti di riflessione, di dialogo e di sereno
confronto. Questo è l'ambiente migliore per lo sviluppo di una cultura vocazionale.
Assicurare l'orientamento e l'accompagnamento delle persone.

1.10 Page 10

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In un ambiente massificato o nel quale i rapporti sono soltanto funzionali sarà molto difficile lo
sviluppo di una visione vocazionale della vita. Infatti tale processo richiede la presenza e la vicinanza
di educatori tra i giovani, soprattutto nei momenti più spontanei e gratuiti; la conoscenza e l'interesse
per la loro vita; la capacità di rapporti personali, anche se puntuali e spontanei; momenti di dialogo e
di riflessione insieme che aiutino a leggere la vita con ottica positiva e vocazionale; spazi e tempi per
incontri più sistematici di accompagnamento personale.
L'educazione all'amore, alla castità
Nell'orientamento e animazione vocazionale ha una grande importanza l'educazione all'amore. È
necessario aiutare l'adolescente a integrare la sua crescita affettivo-sessuale nel processo educativo
ed anche nel cammino di educazione alla fede. Questo affinché possa vivere l'affettività e la
sessualità in armonia con le altre dimensioni fondamentali della sua persona, mantenendo
atteggiamenti di apertura, di servizio e di oblazione.
Oggi l'adolescente deve confrontarsi con un contesto culturale e sociale pan-sessualizzato che trasmette
i suoi continui messaggi nella strada, nella televisione, nel ciberspazio. Si tratta di suggestioni che
spingono ad una pratica sessuale consumista ed orientata alla soddisfazione immediata del piacere. La
tendenza sociale dominante in questo campo è il permissivismo, e i contenuti appetibili di questo
pansessualismo diventano motivo di un triste commercio. Il tutto dà luogo ad una confusione sul piano
dei valori e ad un grande relativismo etico. Accade spesso che si promuova un uso prematuro della
sessualità nelle relazioni di amicizia o nella pura ricerca della soddisfazione compulsiva del piacere. I
giovani scommettono con grande decisione sull'amore, sfidando pregiudizi e censure, desiderosi di
venire incontro ai propri bisogni affettivi e sensibili al valore di una comunicazione aperta e senza
limiti. Ma in questo campo molto spesso non dispongono di un orientamento e di una guida che li aiuti
a comprendere la propria affettività e sessualità secondo una visione integrale della persona,
sviluppando in modo costante e chiaro un progetto di educazione all'amore che li orienti verso una
costruzione armoniosa della personalità e rendendo possibile una visione della vita come dono e
servizio.
Già parecchi anni or sono il CG23 indicava ai Salesiani l'educazione all'amore come uno dei tre nuclei
importanti attorno i quali si rende possibile e si realizza la sintesi fede-vita. Non si tratta, diceva, « di punti
particolari, ma di "spazi" dove si concentra il significato, la forza e la conflittualità della fede »13
13 Cf. CG23, 181.
Oggi questa importanza è ancora più grande, soprattutto quando si vuole sviluppare con efficacia la
dimensione vocazionale della vita ecreare un ambiente nel quale sia possibile al giovane maturare un
progetto vocazionale, in modo speciale quando si tratta di vocazioni di particolare impegno, che molte
volte includono un'opzione di celibato. Infatti molti giovani si trovano in un ambiente assai poco
favorevole a una visione integrale e positiva dell'amore. E molti di loro vivono deficienze notevoli che
l'educatore deve conoscere per aiutarli a superarle.
A tanti di loro manca un'esperienza di amore gratuito nella famiglia, nella quale devono sopportare
tensioni e scontri tra i genitori che non raramente finiscono con la scelta della separazione o del
divorzio. La relazione di amicizia che vivono tra di loro è superficiale e tutto questo fa sì che, invece di
resistere alle seducenti proposte dell'ambiente, ne rimangono conquistati. Così, molto presto, vari di
loro si coinvolgono in una relazione di coppia che li chiude agli altri e alla vita del gruppo. L'urgenza
che sentono di vivere una relazione piena con il proprio partner li porta a una pratica disordinata della
sessualità. Certamente in tutto questo incide la mancanza di un vero percorso di educazione
all'amore: il tema si evita o si tratta in modo moralistico e negativo, il che invece di aiutare suscita il
rifiuto dell'adolescente.
Il nostro Sistema Preventivo e lo spirito di famiglia caratteristico4el nostro ambiente possono
creare le condizioni per poter metterlo felicemente in pratica.14
14 Un semplice, ma ancora attuale, itinerario di educazione alla castità è stato prospettato dal Capitolo
Generale 23: cf. CG23, 195-202.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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L'educazione alla preghiera
La preghiera è un elemento essenziale e primario nell'orientamentro e nella scelta della vocazione
poiché questa, dono di Dio offerto liberamente all'uomo, può essere scoperta e assunta solo con l'aiuto
della grazia. Quindi una pastorale vocazionale efficace e profonda per i giovani non è possibile senza
introdurli e accompagnarli in una pratica assidua della preghiera.
La prima comunità cristiana aspetta pregando il giorno di Pentecoste, giorno della nascita della
Chiesa evangelizzatrice (At 1,14). Lo stesso Gesù ha pregato prima di eleggere gli apostoli (Lc 6, 12ss)
e ha insegnato loro a pregare affinché venga il Regno di Dio (Mt 6,7ss). Il comandamento « Pregate
dunque il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe » (cf. Mt 9,37ss; Lc 10,2)
si comprende in tutto il suo valore e la sua urgenza alla luce dell'esempio e degli insegnamenti di
Cristo. La preghiera è il cammino privilegiato e la miglior pastorale vocazionale.
Considerata questa centralità della preghiera nel cammino di fede, è importante aiutare i
giovani a introdursi e iniziarsi in una vera e profonda vita di preghiera: soltanto così potrà
maturare in loro una possibile vocazione di speciale consacrazione.15
15 La promozione delle vocazioni consacrate esige alcune scelte fondamentali, come la preghiera costante...
La preghiera deve essere impegno quotidiano delle comunità e deve coinvolgere giovani, famiglie, laici,
gruppi della Famiglia salesiana » (CG26, 54).
I giovani, oggi, vivono spesso in un ambiente assai poco favorevole alla vita spirituale. Sono immersi in
una cultura del consumismo e del guadagno, del godimento personale e della soddisfazione
immediata dei desideri; la visione superficiale della vita è dominata da criteri etico-morali soggettivi,
molte volte contrastanti e persino contraddittori. L'ambiente in cui si muovono favorisce un finito di
vita agitato, nel quale vivono molteplici esperienze senza poterne approfondire nessuna. «La crisi della
famiglia, la diffusa mentalità relativista e consumista, l'influsso negativo dei media sulla coscienza e
sui comportamenti costituiscono un forte ostacolo alla cultura vocazionale ».16
16 CG26, 57.
D'altro lato, riscontriamo in adolescenti e giovani una ricerca di interiorità, uno sforzo per cogliere la
propria identità ed anche un'apertura e una sincera ricerca di un'esperienza di Trascendenza. Anche
se, molte volte, questo cammino è concepito in maniera soggettiva ed in rispondenza ai propri bisogni,
bisogna dire che esso è una buona opportunità per aiutarli a scoprire il Dio di Gesù. Si moltiplicano i
gruppi e i movimenti che in maniere molto diverse promuovono esperienze di spiritualità ed i giovani
sono largamente presenti in questi gruppi. Basterebbe pensare alla comunità di Taizé!
Tutto ciò costituisce una condizione favorevole per offrire ai giovani la possibilità di iniziare un
cammino di educazione all'interiorità che li vada conducendo gradualmente a scoprire ed a gustare la
preghiera cristiana, soprattutto in ciò che costituisce la sua originalità e la su a vera ricchezza: l'incontro
con la persona di Gesù che ci rivela l'amore di Dio, che ci invita e ci offre la grazia di una relazione
personale con Lui. Ecco perché, in un ambiente così profondamente impregnato di secolarismo e di
superficialità, è urgente promuovere questa educazione all'interiorità e offrire ai nostri giovani una vita
spirituale forte e profonda. « Oggi i tempi esigono un più esplicito ritorno alla preghiera... È una
preghiera che vibra in sintonia con il risveglio della fede: essere credenti impegnati e non solo fedeli
abitudinari comporta un dialogo più esplicito, più intenso, più frequente con il Signore. In un clima di
secolarismo si sente una pressante necessità di meditazione e di approfondimento della fede » 17
17 EGIDIO VIGANO, « La nostra preghiera per le vocazioni »,ACG 341(1992) p. 27.
L'educazione alla preghiera deve favorire le condizioni che spingono la persona del giovane ad
assumere un atteggiamento di autenticità. Esse sono: il silenzio, la riflessione, la capacità di legger e la
propria vita, la disponibilità all'ascolto e alla contemplazione, la gratuità e la fiducia. Ad un giovane
che vive nell'agitazione di una vita ricolma di attività non riesce facile creare dentro di sé tale silenzio
e coltivare un cammino di interiorità che lo porti ad un incontro vero con se stesso. Anche questa
sarà una delle mete che bisognerà cercar di raggiungere. Di qui l'importanza di iniziare i momenti di
preghiera con uno spazio di calma, di silenzio, di serenità, che permetta ai nostri giovani di arrivare a
incontrarsi con se stessi e, partendo da questa esperienza, assumere la propria vita per collocarla
davanti al Signore.
Il cuore della preghiera cristiana è l'ascolto della Parola di Dio. Questa deve essere la grande maestra della

2.2 Page 12

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preghiera cristiana, che non consiste nel « parlare» a Dio, ma piuttosto nell' « ascoltarlo » e aprirsi alla sua
volontà (cf. Lic 11, 5-8; Mt 6,9ss). « Nei vostri gruppi, carissimi giovani scriveva Giovanni Paolo II
moltiplicate le occasioni di ascolto e di studio della Parola del Signore, soprattutto mediante la lectio divina:
vi scoprirete i segreti del cuore di Cristo e ne trarrete frutto per il discernimento delle situazioni e la
trasformazione della realtà »18 Normalmente si dovrà iniziare il giovane a questo ascolto, aiutandolo a
capire il senso della Parola che ascolta o legge. Si deve anche riconoscere che la Parola di Dio è efficace in
se stessa e, quindi, bisognerà talvolta lasciarla agire da sola nel cuore dei giovani, senza forzarla troppo con
i nostri schemi: molte volte essa li guiderà da sola verso il dialogo personale con Gesù.
18 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio in occasione della XII Giornata della Gioventù (15 agosto 1996)
Un'altra grande scuola di preghiera è la vita liturgica e sacramentale della Chiesa: bisogna aiutare il giovane
a parteciparvi sempre più coscientemente, comprendendo segni e simboli della liturgia. Un'educazione alla
fede che dimentichi o rimandi l'incontro sacramentale dei giovani con Cristo, non è la via per trovarlo e ancor
meno indicherà la possibilità di seguirlo. « I giovani, come noi, trovano Gesù nella comunità ecclesiale.
Nella vita di questa però ci sono momenti nei quali egli si rivela e si comunica in modo singolare: sono i
sacramenti, in particolare la Riconciliazione e l'Eucaristia. Senza l'esperienza che sta in essi, la conoscenza
di Gesù diventa inadeguata e scarsa, fino al punto di non consentire di distinguerlo tra gli uomini come il
risorto Salvatore... A ragione si dice che i sacramenti sono memoria vera di Gesù: di quello che egli compì
e opera ancora oggi per noi, di quello che significa per la nostra vita; riaccendono quindi la nostra fede in
lui, per cui lo vediamo meglio nella nostra esistenza e negli avvenimenti.
Sono pure rivelazione di quello che sembra nascosto nelle pieghe della nostra esistenza, per cui ne
prendiamo coscienza... Nella Riconciliazione ci si aprono gli occhi e vediamo quello che possiamo
diventare secondo il progetto e il desiderio di Dio; ci viene ridato lo Spirito che ci purifica e
rinnova. Si è detto che è il sacramento del nostro futuro di figli, anziché del nostro passato di
peccatori. Nell'Eucaristia Cristo ci incorpora alla sua offerta al Padre e rafforza la nostra donazione
agli uomini. Ci ispira il desiderio e ci dà la speranza che entrambi, amore al Padre e amore ai fratelli,
divengano una grazia per tutti e per tutto: annunziamo la sua morte, proclamiamo la sua
risurrezione, vieni Signore Gesù ».19
19 JUAN E. VECCHI, « Lo riconobbero nello spezzare il pane », NPG 1997, n. 8 (novembre) pp. 3-4.
Tra i molti cammini di iniziazione alla preghiera, la Spiritualità Giovanile Salesiana offre la sua grande
ricchezza e uno stile specifico di vita spirituale, con uno stile caratteristico di preghiera e una forma
attuale di organizzare la vita attorno ad alcune percezioni di fede, opzioni di valori e atteggiamenti. In
essa si ritrovano certe caratteristiche proprie della preghiera salesiana: è una preghiera semplice, senza
inutili complicazioni, inserita nella vita di ogni giorno, che si presenta e si offre al Signore; una
preghiera ricolma di speranza, che promuove una visione pasquale della vita, in dialogo personale con
il Signore Risorto, vivo e presente tra noi; una preghiera che porta alla celebrazione dei sacramenti,
soprattutto dell'Eucaristia in cui si vive l'incontro personale con Gesù; una preghiera che aiuta a
scoprire la presenza di Gesù in ogni giovane, specialmente nei più poveri, e spinge a impegnarsi nella
loro educazione ed evangelizzazione.
È importante, dunque, essere attenti a queste caratteristiche nel nostro cammino di educazione alla
preghiera, per aiutare il giovane a viverle e in questo modo introdurlo nella Spiritualità Giovanile
Salesiana: è un cammino di vita cristiana che può portare anche adolescenti e giovani alla grande meta
della santità.2°
20 Cf. CG23, 158ss e particolarmente 173-177.
Dobbiamo esserne certi: solo con una vita di preghiera sempre più centrata in Cristo il giovane potrà chiarire
e consolidare la propria scelta vocazionale, soprattutto se si tratta di una vocazione di consacrazione speciale.
L'accompagnamento personale
Un altro elemento fondamentale nella pastorale vocazionale è l'accompagnamento personale regolare
del giovane. Esso dovrà essere rispettoso, con una giusta comprensione della maturità e del cammino
spirituale della persona che si accompagna. Un accompagnamento che aiuti a interiorizzare e
personalizzare le esperienze vissute e le proposte ricevute; che stimoli e guidi nell'iniziazione alla

2.3 Page 13

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preghiera personale e alla celebrazione dei sacramenti; che orienti verso un progetto personale di vita
come strumento concreto di discernimento e maturazione vocazionale. La grazia dello Spirito che
opera nel cuore delle persone ha bisogno della collaborazione della comunità e di un maestro
spirituale. Per questo accanto a ogni santo esiste un maestro di spirito che lo accompagna e lo guida.
L'accompagnamento è ancora più importante nel sistema educativo salesiano, che si fonda sulla
presenza dell'educatore tra i giovani e su una relazione personale basata sulla mutua conoscenza, sulla
comprensione e la fiducia.
Quando parliamo di accompagnamento, non ci riferiamo soltanto al dialogo individuale, ma a tutto un
insieme di relazioni personali che aiutano il giovane ad assimilare personalmente i valori e le esperienze
vissute, ad adeguare le proposte generali alla propria situazione concreta, a chiarire ed approfondire
motivazioni e criteri.
Questo processo include esperienze e livelli successivi promossi dalla comunità salesiana per assicurare un
ambiente educativo, capace di favorire la personalizzazione e la crescita vocazionale. A titolo di
esempio:
la presenza tra i giovani, con la volontà di conoscerli e di condividere la vita con loro, con un
atteggiamento di fiducia;
la promozione di gruppi, dove i giovani sono seguiti dall'animatore e dagli stessi compagni;
contatti brevi, occasionali, che mostrano l'interesse per la persona e il suo mondo; e, al tempo
stesso, un'attenzione educativa a certi momenti di speciale significatività per il giovane;
momenti di dialogo personale brevi, frequenti, sistematici, secondo un piano concreto;
il contatto con la comunità salesiana, con esperienze di condivisione della vita di preghiera, di
fraternità e di apostolato,
l'offerta frequente del sacramento della Riconciliazione: l'intervento attento e amichevole del
confessore risulta sovente decisivo per orientare un giovane nella sua opzione vocazionale.
Nella pratica dell'accompagnamento, soprattutto nel dialogo personale, conviene assicurare poi
l'attenzione su alcuni punti fondamentali per la crescita umana e cristiana del giovane e il discernimento
dei segni di vocazione. In particolare, eccone alcuni:
Educare alla conoscenza di sé, per scoprire i valori e le qualità che il Signore ha donato a ciascuno,
ma anche i limiti o le ambivalenze nel proprio modo di vivere o pensare. Quanti giovani non hanno
accolto l'appello vocazionale, non perché fossero poco generosi o indifferenti, ma semplicemente
perché non sono stati aiutati a conoscersi e a scoprire la radice ambivalente e pagana di certi schemi
mentali e affettivi, o perché non sono stati aiutati a liberarsi dalle loro paure e difese nei confronti della
vocazione stessa.
Maturare il riconoscimento di Gesù, come il Signore Risorto e come senso supremo della propria esistenza. Le
motivazioni vocazionali devono fondarsi nella riconoscenza all'iniziativa di Dio che ci ha amati per
primo. Come spiegava il Papa Benedetto XVI ai giovani di Roma e del Lazio: « Il Signore è sempre
presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo sguardo e
incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare esperienza
del suo amore è conoscerlo... Per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di Gesù, Dio e
uomo, ci vuole la ragione, ma nello stesso tempo anche il cuore. Solo con l'apertura del cuore a lui, solo
con la conoscenza dell'insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il nostro amore, con il nostro
andare verso di lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e così anche fare l'esperienza di essere
amati... In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più questa strada della conoscenza, che
diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo pregare, ma anche fare è una parte del
cammino verso Gesù: fare le cose buone, impegnarsi per il prossimo ».21
21 BENEDETTO XVI, Incontro con i giovani di Roma e del Lazio in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù, 25

2.4 Page 14

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marzo 2010.
Educare a leggere l'esperienza della propria vita e gli avvenimenti della storia come dono di Dio e come chiamata a
mettersi a disposizione della missione per il Regno di Dio. Per questo, aiutare i giovani ad
illuminare la propria esistenza con la Parola di Dio, in un costante riferimento a Gesù Cristo,
sentito come il Signore della vita che propone un progetto particolare per ciascuno di noi. « La
mia vita è voluta da Dio dall'eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me
nella totalità della storia; ha un progetto proprio per me. La mia vita è importante
anche necessaria. L'amore eterno mi ha creato in profondità
mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che
la vita è un dono, che è bene vivere... Quindi c'è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti,
che è identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un
progetto preciso con ogni uomo.... Non "avere" la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me
stesso, ma dare agli altri. Questo è l'essenziale»22
22 Ivi
Approfondire l'assimilazione personale dei valori evangelici come criteri permanenti che orientano nelle
scelte che si fanno nella vita quotidiana. Sarà più facile così resistere alla tentazione di seguire in
faina conformistica quello che fanno tutti. Come già ho detto prima, un aspetto al quale
dobbiamo dare una speciale attenzione in questo campo, sarà l'educazione all'amore e
all'affettività.
Centralità e ruolo della consacrazione religiosa nella missione della Famiglia
Salesiana
La missione salesiana è missione educativa (di promozione integrale della persona) e missione di
evangelizzazione dei giovani. Queste due dimensioni della nostra missione salesiana (l'educativa e
l'evangelizzatrice) sono essenziali e devono essere vissute in mutua complementarità e reciproco
arricchimento.
La Famiglia Salesiana, nel rispetto del carisma dei diversi gruppi che la compongono, è il soggetto di questa
missione e deve curare l'integralità di questa unità organica; per questo è una ricchezza che in essa siano
significativamente presenti le due forme complementari di vivere la vocazione, quella secolare e quella
consacrata, e in esse la laicale e la sacerdotale.
Ma è indispensabile essere consapevoli e mettere in evidenza il valore fondamentale della vita consacrata nella
realizzazione della missione salesiana. « Don Bosco afferma il CG24 ha voluto persone
consacrate al centro della sua opera, orientata alla salvezza dei giovani e alla loro santità » 23
23 CG24, 150.
La forma laicale della vocazione salesiana, nelle sue diverse espressioni all'interno della Famiglia
Salesiana, richiama i valori della creazione e delle realtà secolari, offre una particolare sensibilità per il
mondo del lavoro, pone una specifica attenzione al territorio, sottolinea le esigenze della
professionalità; la laicità nei membri della Famiglia Salesiana, religiosi, consacrati o no, mostra a tutti
come vivere la totale dedizione a Dio per la causa del Regno in questi valori e occupazioni secolari.
L'altra forma è la sacerdotale, che richiama la finalità ultima di tutta l'azione educativa; i sacerdoti,
appartenenti ai diversi gruppi della Famiglia Salesiana, realizzano un sacerdozio pienamente inserito
nell'impegno educativo: offrendo la Parola di Dio non soltanto nella catechesi, ma anche nel dialogo
e azione educativa, costruiscono la comunità cristiana attraverso la costruzione della comunità
educativa.
Si deve ritrovare nella Famiglia Salesiana il valore della consacrazione religiosa. Essa infatti si pone come
un segno necessario che, mentre specifica l'identità di coloro che hanno fatto una scelta totale nella sequela
di Gesù, indica al tempo stesso ai laici che condividono il nostro carisma, che il loro intervento nella
missione non è semplicemente un aiuto complementare, ma piuttosto una particolare esperienza di Dio,
nella condivisione di una stessa spiritualità e di una stessa missione. « Non c'è speranza per una figura
religiosa che non esprima immediatamente, e quasi emozionalmente, un significato trascendente; che non

2.5 Page 15

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sia una freccia puntata verso il divino e verso l'amore al prossimo, che dal divino nasce ».24
24 JUAN E. VECCHI, Beatificazione del Coad. Artemide Zatti: Una novità dirompente, ACG 376 (2001) p. 43.
Non poche volte nella nostra visione della vocazione salesiana e nella sua presentazione diamo
l'impressione di privilegiare gli aspetti funzionali, lasciando in ombra o dando per scontati e per sottintesi
quelli della vita consacrata. « Se si mette tra parentesi la consacrazione religiosa per ragionare in termini di
azioni e di ruoli funzionali, questo non solo confonde i piani, ma altera le dimensioni.25
25 Ivi
Nel suo specifico compito la Famiglia Salesiana si arricchisce con la presenza significativa e complementare di
sacerdoti, religiosi, consacrati e laici. Insieme configurano una completezza insolita di energie impiegate per la
testimonianza e la missione educativa; le diverse vocazioni laicali arricchiscono la testimonianza della vita
consacrata e la ,funzione animatrice che come tale essa deve realizzare nella Famiglia e nel Movimento
salesiano.
Questo rapporto dunque non si fonda nei ruoli o nelle funzioni diverse che ognuno può realizzare (molte
volte questi ruoli sono gli stessi), ma negli specifici doni vocazionali attraverso i quali ognuno contribuisce
alla comune missione. La consegna della vita deve essere identica perché totale, non però il modo di
consegnarla.
Il Movimento Giovanile Salesiano, luogo vocazionale privilegiato
Il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è una realtà piena di vita, presente nei cinque continenti. Esso
rappresenta un'espressione significativa della forte attrazione che la persona di Don Bosco e il suo carisma
esercitano sui giovani. Nei diversi incontri nazionali e internazionali del MGS si fa un'esperienza viva e
forte di una corrente di comunione che ha la sua sorgente nella persona di Don Bosco, nei valori della sua
pedagogia e della Spiritualità Giovanile Salesiana.
Questo sviluppo del MGS, con la sua varietà di gruppi e associazioni, con la presenza di numerosi
animatori, la diversità di iniziative e proposte formative, è per noi membri della Famiglia Salesiana
una grazia di Dio e allo stesso tempo una chiamata. Il Signore ci invia tutti questi giovani perché li
aiutiamo nel loro cammino di crescita come persone sino a raggiungere la pienezza della vita
cristiana.
La tendenza associativa, la vita di gruppo, l'ispirazione comunitaria è stata una esperienza quasi
spontanea nella vita di Don Bosco. C'era in lui un'inclinazione naturale alla socialità e all'amicizia.
L'associazionismo giovanile è pertanto un'esigenza indispensabile nella proposta educativa voluta da
Don Bosco. Attraverso una pluralità di gruppi e associazioni giovanili abbiamo la possibilità di
assicurare una presenza educativa di qualità nei nuovi spazi di socializzazione dei giovani. E questa
esperienza diventa significativa nel momento in cui i giovani sono chiamati a comprendere la realtà
ecclesiale e ad impegnarsi in essa come membra vive nel « corpo » della comunità cristiana.
A volte può sembrare che i giovani dei nostri ambienti e di alcuni nostri gruppi siano superficiali,
soprattutto quando si manifestano nel loro stile rumoroso e festivo. In realtà molti di loro sono
profondamente buoni e spirituali. Essi manifestano una grande sete di Dio, di Cristo, di vangelo
vissuto nella semplicità e nella normalità della vita quotidiana. Don Bosco era convinto che una
percentuale elevata dei giovani che il Signore invia alle nostre case ha disposizioni favorevoli per
seguire, se sono motivati e accompagnati convenientemente, una vocazione di impegno speciale.26
Proprio perché vivono spesso in un ambiente poco favorevole al silenzio e all'interiorizzazione,
cercano il nostro aiuto, il nostro sostegno ed il nostro accompagnamento nel cammino di
maturazione della loro vita. La Spiritualità Giovanile Salesiana, lo stile di vita cristiana vissuto da
Don Bosco e dai giovani dell'Oratorio di Valdocco, costituisce allora una risorsa da offrire a questi
giovani.
26 Cf. MB XI, p. 266.
In parecchie parti del mondo molte vocazioni alla vita religiosa o sacerdotale e anche alla vita laicale
impegnata nella Famiglia Salesiana fioriscono nei gruppi e nelle associazioni del MGS, soprattutto tra
gli animatori. È un fatto di cui dobbiamo tenere conto, valorizzando e accompagnando molto meglio

2.6 Page 16

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questa esperienza associativa. Forse dovremmo essere più convinti che i nostri giovani, soprattutto i
giovani animatori, hanno il diritto di ricevere da noi uno stimolo che li induca a pensare alla loro vita e
al loro impegno in chiave vocazionale; nel loro accompagnamento personale dobbiamo proporre con
chiarezza la domanda vocazionale e incoraggiare la loro risposta generosa.
È questo un compito importante e urgente per ogni salesiano e per ogni membro della Famiglia
Salesiana nel suo contatto quotidiano con i giovani dei gruppi e nei diversi impegni di animazione.
Quando ci sia un'occasione propizia e una potenziale disponibilità da parte del giovane, è il momento
per proporre un impegno vocazionale. In questa proposta dobbiamo essere liberi e coraggiosi,
affidandoci all'azione dello Spirito, che sovente ci sorprenderà con la sua azione.
Oggi l'età delle opzioni vocazionali di vita si sta spostando e, anche se il seme si getta nella
preadolescenza o adolescenza, esso matura spesso in momenti successivi, quando i giovani si trovano
nell'università o nelle prime esperienze di lavoro. E importante promuovere proposte e spazi concreti
che ci permettano di accompagnarli in questi momenti decisivi per il loro futuro. Tra questi giovani
dobbiamo curare in modo speciale quelli che sono più vicini a noi, gli animatori, i volontari, i
collaboratori delle nostre opere che condividono generosamente molti aspetti della missione salesiana,
hanno un'autentica volontà di servizio e sono in ricerca di un progetto di vita significativo. Bisogna
assicurare che l'esperienza di animazione o di volontariato li aiuti a impostare la propria vita secondo
una linea di ricerca e di disponibilità vocazionale.
Notiamo come tra i gruppi del MGS si stanno sviluppando in modo mirabile i gruppi del
Volontariato. Questi costituiscono un primo sbocco del cammino formativo precedentemente
compiuto nei gruppi. I giovani, nell'opzione per il volontariato, scoprono uno spazio d'iniziativa e di
servizio che diventa contestazione coraggiosa della mentalità individualista e consumista che insidia
molte realtà sociali. Allo stesso tempo, li aiuta a maturare una visione vocazionale della vita come
dono e come servizio.
Si deve cogliere questo « segno dei tempi » esplicitandone le molteplici valenze, specie nell'educazione
alla solidarietà e nella ricchezza vocazionale che include.
Don Bosco sapeva impegnare i suoi ragazzi, spesso giovanissimi, in compiti di volontariato quasi
eroici. Basta ricordare i giovani « volontari » all'epoca del colera a Torino. Attraverso questi impegni di
servizio li aiutava a maturare un'opzione vocazionale della vita. Il coinvolgimento diretto degli stessi
giovani nella propria educazione e nella trasformazione dell'ambiente fu per Don Bosco una delle
chiavi fondamentali del suo sistema educativo, oltre ad essere una vera scuola di cittadinanza e di
santità.
Anche noi oggi, attraverso il volontariato, vogliamo riproporre una visione vocazionale della vita,
ispirata al Vangelo vissuto secondo la Spiritualità Giovanile Salesiana. 11/1a volontario/a traduce in
realtà quei valori ed atteggiamenti caratterizzanti una « cultura vocazionale » precedentemente
sottolineati, quali la difesa e la promozione della vita umana, la fiducia in sé e nel prossimo, l'interiorità
che fa scoprire in sé e negli altri la presenza e l'azione di Dio, la disponibilità a sentirsi responsabile ed
a lasciarsi coinvolgere per il bene degli altri in atteggiamento di servizio e di gratuità. Tali valori vanno
coltivati durante la formazione dei volontari e devono ispirare i loro progetti e il loro modo di servire,
in maniera tale che l'esperienza di volontariato conformi la loro vita come cittadini e come cristiani
impegnati e non si riduca ad una esperienza tra le tante vissute nel tempo della giovinezza.
In questo modo il volontariato diventa una vera scuola di vita; contribuisce ad educare i giovani a una
cultura di solidarietà nei confronti degli altri, soprattutto dei più bisognosi. Fa crescere in loro lo
spirito di accoglienza, l'apertura verso l'altro, e invita quasi naturalmente all'apertura del dono totale e
gratuito di se stessi.
È importante, dunque, promuovere il volontariato nella Famiglia Salesiana. È una proposta che va
conosciuta, valorizzata, accompagnata. Costituisce per se stessa un'esperienza tipica nella quale si può
coltivare adeguatamente una cultura vocazionale.
4.Conclusione. Bellezza e attualità della vocazione salesiana

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Nelle mie visite alla Congregazione e ad altri gruppi della Famiglia Salesiana presenti sul territorio ho
potuto constatare l'enorme forza di attrazione e l'entusiasmo che suscita la persona di Don Bosco, tanto
tra i giovani come tra gli adulti, tra la gente semplice, come anche tra autorità, politici, operatori sociali,
nelle differenti culture e anche tra persone di altre religioni. Parlando con molti di loro, ho potuto
cogliere il riconoscimento che manifestano per la presenza e l'opera salesiana. Tutti si sentono orgogliosi
di essere exallievi/e e di aver sperimentato la pedagogia salesiana. Sovente il ricordo di Don Bosco
suscita un grande entusiasmo popolare e mobilita popolazioni intere. Così accade, per esempio, a
Panamà durante la novena e nella festa di Don Bosco. Lo stesso fenomeno lo stiamo percependo
durante il passaggio dell'urna di Don Bosco, che sta viaggiando attraverso i vari continenti. La sua
pedagogia e il suo stile educativo, soprattutto quando è conosciuto e approfondito, è considerato un
tesoro che si deve al tempo stesso far conoscere e conservare. Esso infatti rappresenta una risposta
adeguata alle sfide e alle attese dei giovani di oggi.
Tutto ciò ci incoraggia a vivere con degna fierezza e grata riconoscenza la nostra vocazione,
sentendoci eredi e continuatori di un carisma speciale che Dio ha suscitato per i giovani, soprattutto i
più poveri e a rischio. In questi 150 anni di storia salesiana, a partire dalla fondazione della
Congregazione e della Famiglia Salesiana, vediamo realizzarsi il sogno di Don Bosco, di coinvolgere
un vasto movimento di persone che, condividendo il suo spirito, s'impegnano nella missione giovanile.
Noi tutti siamo parte e prova questo sogno in atto.
Dobbiamo vivere dunque la nostra vocazione salesiana con un grande senso di ringraziamento; e il
primo segno di riconoscenza è la nostra propria fedeltà, vissuta con gioia e luminosa testimonianza.
Dobbiamo parlare della nostra vocazione. Dobbiamo parlare di Don Bosco e della sua missione.
Dobbiamo evidenziare ciò che la Famiglia Salesiana, attraverso i suoi gruppi, ha realizzato e realizza
nel mondo e
incoraggiare tante persone di buona volontà ad offrire non solo la loro collaborazione ma la loro
stessa vita perché la missione salesiana possa continuare nel mondo a favore dei giovani tanto amati da
Dio.
Tutti noi possiamo conoscere e ricordare fratelli e sorelle, comunità e gruppi che hanno vissuto e
vivono la loro vocazione in modo ammirevole e attirante. Le loro vite suscitano la stima ed il
coinvolgimento di molte persone. Penso in questo momento alla figura di Don Cimatti che con la
sua simpatia, amabilità e il suo talento musicale fece conoscere e apprezzare Don Bosco e la sua
opera nel Giappone, suscitando numerose vocazioni; o la figura di Don Carrefio che nell'India,
insieme ad altri grandi missionari, ha fatto conoscere ed amare la vocazione salesiana, coinvolgendo
moltissimi giovani e attivando un movimento vocazionale di cui ancor oggi raccogliamo frutti
abbondanti. Ricordo anche la Beata Suor Maria Romero, instancabile donna apostolica in Costa
Rica, o la irradiante figura di Suor Eusebia Palomino, o quella del Cooperatore Salesiano A ttilio
Giordani, o quella dell'exallievo Alberto Marvelli, o quella di Alessandrina da Costa, o quella di Nino
Baglieri.
Anche in situazioni molto difficili, come quelle dei paesi comunisti, i membri della Famiglia Salesiana
non si sono lasciati spaventare e scoraggiare dagli ostacoli e non si sono ritirati, aspettando tempi
migliori, ma hanno cercato di vivere fedelmente la loro vocazione, aiutandosi vicendevolmente ad
essere perseveranti in situazioni pressoché impossibili e dando luogo a forme originali e creative per
attuare, nella clandestinità, un lavoro pastorale secondo lo spirito salesiano. In questo modo anche in
quelle circostanze tanto avverse, sono stati in grado di suscitare numerose vocazioni alla vita religiosa e
alla Famiglia Salesiana.
Sono sicuro che ognuno di voi, nei diversi gruppi e nelle congregazioni e istituti della Famiglia
Salesiana, ha conosciuto fratelli o sorelle attorno ai quali si sono sviluppate numerose vocazioni alla
vita religiosa. Altri avranno promosso l'impegno per la missione di Don Bosco di numerosi laici. Tale
forza di animazione ha una sua sorgente nella persona del nostro grande Padre Don Bosco. Ancor
oggi, ogni volta che i laici nostri collaboratori conoscono bene la figura di Don Bosco e il
suo Sistema Educativo e la sua Spiritualità, ne restano profondamente entusiasmati e sentono il
desiderio di farlo conoscere ad altri.

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Dobbiamo dunque essere fieri della nostra vocazione salesiana; conoscere sempre più Don Bosco e,
soprattutto, vivere e comunicare con entusiasmo il suo spirito e la missione salesiana. Come segno di
gratitudine per il dono della vocazione salesiana ricevuta, ci impegniamo a farla conoscere a tutti,
soprattutto ai giovani. Ne parleremo, ogni volta che sia possibile, ai nostri collaboratori e agli amici
che entrano in contatto con noi. La nostra vita, il nostro entusiasmo, la nostra fedeltà manifesteranno
pienamente che crediamo nella bellezza e nel valore della vocazione che abbiamo ricevuta. Crediamo
nella sua attualità e la viviamo intensamente per rispondere con gioia ai bisogni e alle attese dei giovani
e della società di oggi.
Il Signore Gesù e Maria Ausiliatrice ci hanno affidato questo dono prezioso per la salvezza dei giovani.
È un dono che custodiamo con amore, che viviamo con intensità, che comunichiamo con gioia.
Concludo, come al solito, con una favola che mi sembra molto stimolante per la riflessione che ci
propone sul tema della sequela, del cammino, della opzione fondamentale della vita e del Signore,
come unico sommo bene e vera perla preziosa, per la quale vale la pena di vendere ogni cosa. Sono
elementi tutti che hanno a che vedere con la concezione della vita come vocazione.
LA CAROVANA NEL DESERTO
Nel lontano Oriente, viveva un imperatore ricco e potente. In tutte le corti del mondo si tessevano le lodi
del suo regno, dei suoi palazzi, della sua saggezza. Ma i giullari e i cantastorie che peregrinavano di castello
in castello decantavano soprattutto le sue immense ricchezze.
«Solo i gioielli del suo diadema farebbero vivere una città!», declamavano.
Come sempre succede, tutto questo fomentò l'invidia e la cupidigia di altri re e di altri popoli. Alcune tribù
di barbari feroci e violenti si ammassarono ai confini e invasero il regno.
Nessuno riusciva a fermarli.
L'imperatore decise di rifugiarsi tra le fedeli tribù che vivevano tra le montagne, al di là del terribile deserto.
Una notte, lasciò il palazzo imperiale seguito da un'agile carovana che trasportava il suo favoloso tesoro di
piastre d'oro, gioielli e pietre preziose. Per rendere la marcia più spedita, lo accompagnavano soltanto le
sue guardie scelte e i paggi, che gli avevano giurato fedeltà assoluta
fino alla morte.
La pista attraverso il deserto serpeggiava tra dune di sabbia bruciate dal sole, strettoie anguste e valichi
scoscesi. Una pista conosciuta da pochi. A metà del cammino, mentre si arrampicavano per un pendio
ghiaioso, sfiniti dalla fatica e dall'infuocato riverbero delle rocce, alcuni cammelli della carovana
crollarono boccheggianti e non si rialzarono più. I forzieri che trasportavano rotolarono per i fianchi
della duna, si sfasciarono e sparsero tutto il loro contenuto di monete, monili e pietre preziose, che si
infilarono tra i sassi e nella sabbia.
Il sovrano non poteva rallentare la marcia. I nemici si erano probabilmente già accorti della sua fuga.
Con un gesto tra il dispiaciuto e il generoso, invitò i suoi paggi e le guardie a tenersi le pietre preziose che
riuscivano a raccogliere e portare con sé. Una manciata di quei preziosi oggetti assicurava la ricchezza per il
resto della vita.
Mentre i giovani si buttavano avidamente sul ricco bottino e frugavano affannosamente nella sabbia e tra
le pietre, il sovrano continuò il suo viaggio nel deserto.
Si accorse però che qualcuno continuava a camminare dietro di lui.
Si voltò e vide che era uno dei suoi paggi, che lo seguiva ansimante e sudato.
«E tu» gli chiese «non ti sei fermato a raccogliere niente?».
Il giovane lo fissò con uno sguardo sereno, colmo di dignità e di fierezza, e rispose:
«No, signore. Io seguo il mio re».
Il racconto ci porta alla memoria quel brano decisivo del Vangelo di Giovanni, che è uno spartiacque nella
storia di Gesù:
«Molti discepoli di Gesù tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: « Volete andarvene
anche voi? ».
Gli rispose Simon Pietro: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole che di vita eterna, e noi abbiamo conosciuto e
creduto che tu sei il Santo di Dio » (Gv 6,66-69).
Una scelta così impegnativa di consegnare la propria vita nelle mani di Dio è solo possibile se, come scrive
Madeleine Delbrél, siamo capaci di ballare lasciandoci guidare dallo Spirito Santo.

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45
La Danza della Vita
«Per essere un buon danzatore, con Te come con gli altri, non occorre sapere dove conduca la danza. Basta seguire il
passo, essere contento, essere leggero, e soprattutto non essere rigido. Non occorre chiederti spiegazioni sui passi che ti piace
fare. Bisogna essere come il prolungamento, agile e vivo, di Te. E ricevere da Te la trasmissione del ritmo dell'orchestra.
Bisogna non volere avanzare ad ogni costo, ma accettare di voltarsi indietro, di procedere di fianco. Bisogna sapersi
fermare e saper scivolare, anziché camminare. E questi sarebbero soltanto passi da stupidi, se la musica non ne
facesse un'armonia. Noi però dimentichiamo la musica del Tuo Spirito, e facciamo della vita un esercizio di
ginnastica; dimentichiamo che fra le Tue braccia la vita è danza e che la Tua santa volontà è di un'inconcepibile
fantasia.
Se fossimo contenti di Te, Signore, non potremmo resistere al bisogno di danza che dilaga nel mondo, e arriveremmo a
indovinare quale danza Ti piace farci danzare, sposando í passi della Tua Provvidenza ».
Cari fratelli e sorelle, auguro a tutti voi questa esaltante esperienza di lasciarvi condurre dallo Spirito. La
nostra vita si riempierà di gioia e di entusiasmo e allora potremo diventare, come Giovanni il Battista,
maestri che sanno aiutare i propri discepoli a diventare discepoli e apostoli del Signore Gesù.
Un abbraccio forte ed un anno 2011 sereno e abbondante di vocazioni per tutta la Famiglia Salesiana.
DON PASCUAL CHAVEZ VILLANUEVA
Rettor Maggiore
INDICE
1. Tornare a Don Bosco 7
Come attua Don Bosco questo impegno per promuovere vocazioni? .
8
2. Un'urgenza previa: creare e fomentare una cultura vocazionale 15
La vita è vocazione .............................................................................................. 15
Aperta agli altri e a Dio ....................................................................................... 16
Vissuta come dono e come compito ........................................................................ 18
3. Aspetti che hanno una speciale significatività nell'animazione e nella
proposta vocazionale
23
Promuovere una cultura vocazionale: compito essenziale della Pastorale
Giovanile 23
L'educazione all'amore, alla castità ............................................................... 25
L'educazione alla preghiera ............................................................................ 26
L'accompagnamento personale ..................................................................... 30
Centralità e ruolo della consacrazione religiosa nella missione della
Famiglia Salesiana ............................................................................................ 33

2.10 Page 20

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Il Movimento Giovanile Salesiano, luogo vocazionale privilegiato ......... 35
4. Conclusione. Bellezza e attualità della vocazione salesiana . .
. 39
La carovana nel deserto .................................................................................. 42
La Danza della Vita ............................................................................................ 45