Atti_1998_362.ACG_


Atti_1998_362.ACG_



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1.1 Page 1

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1. IL RETTO R M AG G IO R E
LEVATE I VOSTRI OCCHI E GUARDATE I CAMPI
CHE GIÀ BIONDEGGIANO PER LA MIETITURA1.
Il nostro impegno missionario in vista del 2000
1. Con lo sguardo di Cristo - 2. Una Famiglia missionaria. - 3. Una nuova fase nella nostra
prassi missionaria. - 4. Il primato dell'evangelizzazione. - 5. Un compito necessario e delicato:
l'inculturazione. Approfondimento del mistero di Cristo; adeguata comprensione della cultura;
in comunità; il processo di inculturazione; i percorsi. - 6. Il dialogo interreligioso ed ecumenico.
Atteggiamenti e modalità salesiane nel dialogo - 7. Una parola d’ordine: consolidare. - 8. Nuove
frontiere. - 9. Insieme verso il 2000. - Conclusione.
Roma, 1 gennaio 1998
Solennità di Maria SS. Madre di Dio
1. Con lo sguardo di Cristo.
«Levate i vostri occhi e guardate i campi»? è l’invito di Gesù
ai discepoli, quando essi, dopo il dialogo con la Samaritana, gli
suggeriscono di mangiare. Misterioso sguardo quello del Signo­
re, che vede il mondo come una messe pronta per il raccolto!
Troviamo il segreto di tale sguardo nelle sue parole: «Il mio
cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a
termine la sua opera sino in fondo»3. La volontà del Padre è la
salvezza di ogni persona. Con Cristo, Salvatore universale, vie­
ne annunciata ed estesa a tu tte le nazioni e a tu tti i tempi.
' Gv4, 35
2 ib.
3 Gv 4, 34

1.2 Page 2

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Mentre si va compiendo, il Padre agisce nell’umanità. Pre­
para il cuore di molte persone e mantiene vive le attese dei po­
poli, perché riescano a leggere i segni della loro salvezza. Ispira
l’intervento di coloro che aderiscono alla sua volontà e hanno lo
stesso amore di Cristo per l’uomo. Perciò nel mondo c’è sempre
molto da raccogliere. Gesù lo afferma al presente: «È il momen­
to di mietere»4.
La m aturità della messe si deve anche all’ammirevole comu­
nione che lo Spirito crea tra le generazioni in una reale storia
di salvezza. «Altri hanno faticato prima di voi, e voi siete venu­
ti a raccogliere i frutti della loro fatica»5. Niente si è perso degli
sforzi e dei tempi precedenti, malgrado apparenze di infecon­
dità e lentezze.
La missione di Gesù in terra sam aritana è come il preludio
dell’evangelizzazione dei popoli. Suggerisce lo spirito con cui
svolgerla. Ai discepoli, ignari del progetto di Dio, Gesù indica il
tempo in cui compierlo: adesso!
Bisogna imparare a guardare e m ettersi all’opera senza at­
tendere, come essi pensano, altre fasi di maturazione. Tutto è
già pronto, predisposto dal Padre, dal Figlio, dallo Spirito San­
to. Si deve procedere al raccolto e fare nuove semine: «Uno se­
mina e l’altro raccoglie»6. Sono lo sguardo e la fiducia che do­
vranno guidare l’impresa che Egli affiderà loro: «Andate in tu t­
to il mondo, annunciate il vangelo ad ogni creatura»7.
Gesù insegna anche a scorgere i «segni» della m aturità dei
tempi. Il dono di Dio arriva a coloro che erano ritenuti esclusi e
diventa in loro sorgente interiore di intelligenza, di amore e di pa­
ce; essi divengono a loro volta annunciatori di Gesù attraverso la
testimonianza e la parola; c’è un nuovo spazio entro il quale av­
viene l’incontro dell’uomo con Dio, al di sopra e indipendente­
mente da ogni legge ed esperienza religiosa precedente, valido
4 cf. Gv 4, 35
5 cf. Gv 4, 38
6 cf. Gv 4, 37
7 Me 16, 15

1.3 Page 3

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IL RETTOR MAGGIORE 5
per tutti. È lo spazio creato dall’offerta di Dio e dalla sincera ac­
coglienza dell’uomo: «Ѐ giunto il momento in cui né su questo
monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... I veri adoratori
adoreranno il Padre in Spirito e verità»8. Allo stesso tempo vie­
ne affermato il carattere storico e unico dell’avvenimento che se­
gna la manifestazione di Dio: «La salvezza viene dai Giudei»9.
Anch’io, con lo sguardo suggerito dal Signore ai discepoli,
ho potuto percepire l’abbondanza del raccolto da mietere oggi e
l’estensione delle terre da seminare per il futuro. Ho intravisto
l’opera di preparazione che il Padre ha compiuto e sta facendo
in attesa di coloro che Egli manderà a lavorare.
I tempi sono maturi. Lo si scorge nell’ascolto dato da tante
persone all’annuncio del Vangelo, nell’accoglienza che hanno le
proposte di bene, nella generosità di coloro che si uniscono a
noi nelle iniziative apostoliche e missionarie. Di fru tti se ne
raccolgono dappertutto, anche se i campi, secondo quanto il Si­
gnore aveva già predetto, hanno pure spazi aridi e infecondi.
II 28 settembre scorso nella Basilica di Maria Ausiliatrice ho
consegnato il crocifisso a 33 nuovi missionari. Era la 127“ spedi­
zione che ci ricollega a quella prima, carica di audacia e profe­
zia, che Don Bosco preparò e inviò l’11 novembre 1875. M entre
compivo il gesto, ringraziavo il Signore per i segni di nuova fe­
condità che emergevano nel gruppo. I missionari venivano da
tu tti i continenti e tra di essi si contavano anche dei laici. In
qualche caso (una giovane coppia!) la vocazione missionaria era
congiunta e come integrata nella promessa sponsale. Alcuni
erano destinati a continuare un lavoro iniziato precedentemen­
te, mentre ad altri era affidato il dissodare terreni nuovi e fon­
dare nuove presenze: mietere e seminare!
Pensavo allora alla «legge» che si verifica sempre nel lavoro
apostolico: «La messe è molta, gli operai sono pochi» 10. Ѐ una
costante dell’evangelizzazione. Il Padre riempie il mondo con i
8 Gv 4, 23
8 Gv 4, 22
10 Mt 9, 37

1.4 Page 4

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
suoi doni e i suoi inviti. La ricchezza di Cristo è immensa. Gli
operai, anche se si centuplicassero, sarebbero sempre pochi per
dispensare tanta abbondanza.
Gli stessi pensieri hanno occupato la mia mente mentre vi­
sitavo la nostra antica missione nella Cina o godevo con i con­
fratelli per la nuova semina in Cambogia; quando nel Sud Afri­
ca constatavo l’abbondanza dei risultati (in particolare nello
Swaziland e nel Lesotho) e quando mi fermavo a prevedere
quello che sarebbe avvenuto in altri luoghi che oggi sono nelle
prime fasi del lavoro.
2. Una Famiglia missionaria.
Don Bosco si sentì attirato dal lavoro missionario. Il suo de­
siderio e la sua intenzione non si tradussero immediatamente
in una «partenza geografica», come Egli aveva pensato. Il di­
scernimento illuminato del suo confessore intravide altre stra­
de predisposte per lui.
Lo spirito missionario però rimase in lui con la medesima
intensità e ispirò la sua visione, la sua spinta e la sua colloca­
zione pastorale: egli fu missionario a Torino. Partì all’incontro
delle frange em arginate e dimenticate dei giovani; si spinse ver­
so le frontiere urbane dell’evangelizzazione e dell’educazione.
Più tardi realizzò anche il proposito missionario in terre
lontane, attraverso molteplici vie: inviando ogni anno, sin dal
1875, spedizioni missionarie, accendendo nei giovani e nei con­
fratelli la passione per la diffusione del vangelo e l’entusiasmo
per la vita cristiana, sognando di giorno e di notte nuove impre­
se, diffondendo attraverso il Bollettino la sensibilità missiona­
ria, cercando risorse e coltivando rapporti che agevolassero l’o­
pera dei missionari.
Il tra tto missionario divenne in tal modo tipico di ogni
salesiano, perché radicato nello stesso spirito salesiano. Non è
quindi qualcosa di aggiunto per alcuni. Ѐ come il cuore della

1.5 Page 5

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IL RETTOR MAGGIORE 7
carità pastorale, il dono che caratterizza la vocazione di tutti.
Ognuno, dovunque si trovi, considera «la sua scienza più
eminente conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda rivelare
a tu tti le insondabili ricchezze del suo mistero» u. Pensa perciò
a coloro che hanno bisogno della luce e della grazia di Cristo;
non si accontenta di curare quelli che già “ci sono”; ma si muo­
ve verso le frontiere sociali e religiose.
Non a caso Paolo VI ci ha chiamati “missionari dei giovani”:
catechisti per alcuni e portatori di un primo annuncio di vita
per tanti altri; educatori nelle istituzioni ed anche itineranti
nel vasto campo delle situazioni giovanili non raggiunte da tali
istituzioni.
Nelle medesime spedizioni missionarie Don Bosco unì que­
ste due direzioni della missionarietà. Don Ceria ha voluto docu­
mentarlo negli Annali: «Gli stava pur anche molto a cuore, ha
scritto, la condizione degli Italiani che in numero stragrande e
ognor crescente vivevano dispersi (...). Esuli volontari in cerca
di fortuna, privi di scuole per i fanciulli, lungi da ogni possibi­
lità di pratiche religiose o per lontananza o per difetto di buoni
preti parlanti la loro lingua, rischiavano di formare ammassi di
popolazioni senza fede e senza legge» l2. Il progetto missionario
comprendeva anche “i cristiani” lontani, dimenticati, abbando­
nati, emigranti.
Nell’ultimo tempo si è parlato di “terre di missione”, e non so­
lo per gusto di immagine, in riferimento a contesti segnati da una
tradizione cristiana. La parrocchia è stata definita “comunità
missionaria”, la scuola, “ambiente di missione”. Salve le distin­
zioni tecniche, è evidente che ogni nostra comunità si trova oggi
anche su fronti molto simili a quelle di prima evangelizzazione.
Poiché il senso missionario non è un tratto opzionale, ma
appartiene all’identità dello spirito salesiano in ogni epoca e si­
tuazione, nella programmazione del Rettor Maggiore e del suo
11 cf. Cost. 34
“ C eria E., A nnali, Voi. 1, pag. 252

1.6 Page 6

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Consiglio l’abbiamo proposto a tu tte le Ispettorie come area di
attenzione per il sessennio 1996-2002.
Tra gli interventi operativi, attraverso i quali realizzare la
significatività, abbiamo indicato: rafforzare l’impegno della Con­
gregazione verso i più bisognosi, puntare su una più intensa
educazione dei giovani alla fede in maniera da far sorgere voca­
zioni e orientare con decisione il maggior volume di energie pos­
sibile (persone, progetti, mezzi) verso le missioni “ad gentes”.
Lo spirito e stile missionario hanno il loro segno eloquente
nella disponibilità di molti confratelli a lavorare in zone di pri­
mo annuncio e di fondazione della Chiesa; ma vengono assunti
e vissuti da tu tti nello svolgimento della propria missione. La
volontà di evangelizzare e la capacità di esprimere con traspa­
renza il messaggio evangelico è il punto in cui si saldano le sue
diverse realizzazioni.
I confratelli che si portano alle frontiere si sentono sostenuti
dalla preghiera, dalla vicinanza, dalla collaborazione concreta di
tu tti gli altri che condividono con loro la medesima passione. Per
questo le Costituzioni affermano che nel lavoro missionario rav­
visiamo un «lineamento essenziale della nostra Congregazione»13.
Sul nostro movimento verso i più poveri ho avuto già oppor­
tunità di esprimermi nella lettera «Si commosse per loro» 14, e
questo rimane uno dei criteri fondamentali di ricollocazione. Ѐ
infatti il tratto che segna il momento nascente del nostro cari­
sma e rivela la forza che muove la comunità dei discepoli di Cri­
sto: la carità.
La missione “ad gentes” è l’oggetto della presente lettera.
Intendo proporre alcuni orientamenti su due linee di azione che
oggi appaiono più urgenti: qualificare le presenze missionarie
esistenti e muoverci verso nuove frontiere. Consolidare e avan­
zare; dare consistenza “pastorale” a quanto si è iniziato nell’ul­
timo tempo e spingerci verso terre ancora non battute e desti­
13 Cost. 30
II cf. ACG n. 359, aprile-giugno 1997

1.7 Page 7

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IL RETTOR MAGGIORE 9
natari non raggiunti, per far arrivare a tu tti la luce del vangelo.
Ho sempre presente, ed è un punto fermo anche per gli
spunti che vi offro, una particolarità dell’opera missionaria dei
Salesiani: essa si impegna nella prima evangelizzazione e nella
fondazione delle Chiese; ma sin dall’inizio è chiamata ad arric­
chire la comunità cristiana con un carisma singolare: quello
della predilezione per i giovani, nel versante educativo e popo­
lare.
Il carisma determina, senza chiuderla, la modalità e la dire­
zione dell’opera missionaria, m entre questa dona vitalità al ca­
risma riportandolo al suo vigore evangelico ed al suo senso ec­
clesiale.
Vorrei suscitare un rinnovato entusiasmo per le missioni in
tutte le Ispettorie e invitare i confratelli, di qualsiasi età, a con­
siderare la possibilità di un impegno missionario.
Faccia il Signore che avvenga oggi quello che accadde a Val-
docco quando Don Bosco immaginò, preparò, e mandò la prima
spedizione e quelle che immediatamente la seguirono.
«Frattanto, raccontano gli Annali, gli atti e le parole di Don
Bosco sulle Missioni avevano gettato un fermento nuovo fra al­
lievi e soci. Si videro allora moltiplicarsi le vocazioni allo stato
ecclesiastico: crebbero anche sensibilmente le domande di ascri­
versi alla Congregazione e l’ardore dell’apostolato si impadronì
di molti che vi erano ascritti»15.
3. Una nuova fase nella nostra prassi missionaria.
La nostra prassi missionaria si ritrova oggi nel solco di una
tradizione di intraprendenza, zelo, tenacia e creatività: i suoi ri­
sultati sono innegabili. Meriterebbe uno studio più accurato, sì
da poterla capire a fondo e m etterla a frutto. Si è inserita ed è
stata provata in aree geografiche e culturali molto diverse du-
15 C eria E. A nnali, Voi I, pag. 252

1.8 Page 8

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
rante un arco di tempo che dà garanzia sicura della sua consi­
stenza. Il primo progetto missionario di espansione in America
(1875-1900), quello che ha portato la diffusione della Congrega­
zione in Asia (1906-1950) e la recente espansione in Africa han­
no plasm ato una m odalità tipica di azione m issionaria i cui
tratti sono stati raccolti sinteticamente nelle Costituzioni e Re­
golamenti 16.
Oggi tale prassi viene sollecitata ad un ripensamento. La ri­
flessione del Concilio Vaticano II e gli approfondimenti della
teologia hanno dato nuove prospettive alla missiologia, di fron­
te ad avvenimenti che segnano la vita della Chiesa ed il mondo
attuale: il movimento ecumenico, il risveglio e la valorizzazione
delle religioni, la valenza um ana e sociale delle culture, l’inter-
comunicazione a livello mondiale, il crescere delle nuove Chiese
ed il loro vivere la fede in interazione con il contesto, il declina­
re di antiche zone di cristianità.
Tali fenomeni hanno provocato un approfondimento sulla
grazia della creazione e sull’opera del Padre nella salvezza di
ogni persona, così come sulla presenza dello Spirito nella vita
dell’u m a n ità .
Insieme alle nuove prospettive emergono interrogativi, che
vanno da noi conosciuti e dovutamente risolti dal punto di vista
dottrinale e pratico. Riguardano il valore del cristianesimo per
la salvezza dell’uomo, la portata della mediazione universale di
Cristo, il ruolo della Chiesa e, di conseguenza, il senso stesso
della evangelizzazione e delle sue vie odierne.
Prospettive ed interrogativi sono stati affrontati dalla lettera
enciclica Redemptoris Missio, il cui attento studio risulta perciò
indispensabile. Sugli stessi argomenti si vanno esprimendo con
ricchezza di riflessione ed analisi circostanziate i Sinodi conti­
nentali convocati in vista di una nuova evangelizzazione.
Indicazioni per la nostra prassi missionaria oggi vengono
anche dalle sollecitazioni dell’Esortazione Apostolica Vita Con-
16 cf. Cost. 30; Reg. 11. 18. 20. 22

1.9 Page 9

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IL RETTOR MAGGIORE 11
secrata. Essa infatti affida ai religiosi l’attenzione di alcuni
aspetti che sono emersi in questi ultimi anni.
Paolo VI aveva già sottolineato la partecipazione dei religio­
si nell’opera missionaria: «Essi sono intraprendenti e il loro
apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una ge­
nialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si
trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più
grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita»17.
Giovanni Paolo II l’ha messo in luce nella Redemptoris Mis-
sio: «La storia attesta le grandi benemerenze delle famiglie reli­
giose nella propagazione della fede e nella formazione di nuove
Chiese: dalle antiche istituzioni monastiche agli ordini medioe­
vali, fino alle moderne Congregazioni»18.
Con espressione più diretta, Vita Consecrata considera la
“missio ad gentes” una dimensione di tu tti i carismi perché
compresa nella donazione totale che suppone la consacrazione.
La loro missione - afferma - si esplica non solo mediante le
opere proprie del carisma del singolo Istituto, ma soprattutto
con la partecipazione alla grande opera ecclesiale della “missio­
ne ad gentes” 19.
La Chiesa si attende oggi dai consacrati «il massimo contri­
buto possibile»20ed affida loro il compito specifico di annuncia­
re Cristo a tu tti i popoli con nuovo entusiasmo.
Oltre al contributo quantitativo, realizzato nel passato, ve­
rificabile nel presente e auspicato per il futuro, l’Esortazione
Apostolica sottolinea alcuni aspetti attuali della azione missio­
naria per i quali i religiosi appaiono particolarmente dotati.
Attribuisce ai consacrati una particolare capacità di incultura-
re il vangelo e il carisma nei diversi popoli. «Col sostegno del cari­
sma dei fondatori e delle fondatrici, molte persone consacrate han­
no saputo avvicinarsi alle diverse culture nell’atteggiamento di
17 EN 69
18 RM 69
19 cf. VC 72. 78
20 VC 78

1.10 Page 10

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Gesù che “spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil
2, 7) e, con un paziente ed audace sforzo di dialogo, hanno stabili­
to contatti proficui con le genti più varie, a tutte annunciando la
via della salvezza»21. Ci si attende dunque molto da loro per quan­
to riguarda lo sforzo e la direzione dell’inculturazione.
Qualcosa di simile viene affermato riguardo al dialogo reli­
gioso. Poiché il centro della vita dei consacrati è l’esperienza di
Dio, essi hanno una particolare disposizione per entrare in dia­
logo con altre esperienze, ugualmente sincere, presenti nelle di­
verse religioni22.
Alla nuova portata che acquista la vita consacrata, corri­
sponde, d’altro lato, l’impulso nuovo dato alla condizione laica­
le. Se le Chiese fondate devono, fin dal loro inizio, manifestare
la santità e la novità di vita del popolo di Dio, risulta primordia­
le la formazione cristiana dei credenti. I laici, d’altra parte, so­
no chiamati a sviluppare la loro capacità di partecipazione atti­
va nella comunità e di servizio al mondo. La nuova dimensione
del laicato modifica l’immagine stessa della comunità cristiana
ed il suo funzionamento. I laici, rileva l’Esortazione Apostolica
Ecclesia in Africa, «saranno aiutati a prendere sempre più co­
scienza del ruolo che devono occupare nella Chiesa (...). Conse­
guentemente devono essere formati a questo»23.
In tale quadro di riferimento si ordinano diversamente gli
sforzi e le competenze dei consacrati e dei sacerdoti.
Alla luce di questi stimoli mettiamo a fuoco alcune questio­
ni, supponendo conosciuta l’ordinaria prassi salesiana.
4. Il primato dell’evangelizzazione.
L’evangelizzazione implica una pluralità di aspetti: presen­
za, testimonianza, predicazione, appello alla conversione perso-
21 v e 79
22 cf. VC 79. 102
23 EA 90

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
naie, formazione della Chiesa, catechesi; ed inoltre: incultura-
zione, dialogo interreligioso, educazione, opzione preferenziale
dei poveri, promozione umana, trasformazione della società. La
sua complessità ed articolazione è stata rilevata e presentata in
forma autorevole dalla Evangelii N u n tia n d i24.
C’è però un nucleo principale, senza il quale l’evangelizza­
zione non è tale, che dà senso e orienta la totalità e detta persi­
no i criteri e le modalità secondo cui il resto va compiuto: è
l’annuncio di Cristo, il primo annuncio che presenta Gesù
Cristo a chi ancora non lo conosce, ed il cammino successivo
con cui il suo mistero viene approfondito fino a spingere all’a­
postolato.
Il Sinodo della Chiesa in Africa dice al riguardo: «Evangeliz­
zare è annunciare attraverso la parola e la vita la buona novel­
la di Gesù Cristo crocifisso, morto e risuscitato, via verità e vi­
ta» 25. Annunciare la buona novella è invitare ogni persona e
ogni società all’incontro personalizzato e comunitario con la
persona vivente di Gesù Cristo26.
In che modo gli aspetti enum erati sopra sono da considerar­
si o risultano, nella realtà, complementari e convergenti verso
u n ’unica meta che è appunto la conoscenza sempre più profon­
da di Cristo, l’adesione di fede alla sua persona e la partecipa­
zione alla sua vita? E un interrogativo che non va risolto sol­
tanto dottrinalmente dalle comunità missionarie, ma anche nel
progetto quotidiano di azione.
Nella prassi missionaria infatti ci possono essere squilibri
per scelta, per limiti di visione o capacità, per mancanza di at­
tenzione. Per prevenirli bisogna stab ilire delle p riorità e
curare alcuni dosaggi. Uno di questi è il giusto rapporto tra
l’annuncio esplicito di Cristo nelle sue diverse forme (il primo
annuncio, la catechesi, la cura della comunità dei credenti, la
24 cf. EN 17
25 EA 57
cf. ib.

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
formazione cristiana delle persone) e la promozione umana.
L’Esortazione Evangelii Nuntiandi ne ha presentato con defi­
nitiva chiarezza i «legami profondi» e la distinzione; ha offerto
anche i principi illuminanti per cogliere la portata ed il senso
profondo della liberazione, quale l’ha annunziata e realizzata
Gesù di Nazareth e quale la pratica la Chiesa27.
La tradizione e lo spirito salesiano sottolineano l’armonia e
il vicendevole riferimento tra queste dimensioni dell’evangeliz­
zazione; allo stesso tempo, ne mettono in chiaro la gerarchia di
significato. La formulazione più chiara la troviamo nelle Costi­
tuzioni: «Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto
di formazione integrale dell’uomo orientato a Cristo, uomo per­
fetto»28; «Anche per noi l’evangelizzazione e la catechesi sono la
dimensione fondamentale della nostra missione»29. Da essa e da
Colui che ne è l ’oggetto prende significato il nostro impegno
per l’uomo.
Bisogna dunque dare la priorità all’evangelizzazione nelle
sue diverse forme: nella nostra preparazione, nella nostra dedi­
cazione, nell’impiego del nostro tempo, del personale e delle ri­
sorse.
L’ideale di una situazione missionaria è quella che veniva
prospettata dagli orientam enti operativi del CGS quando chie­
devano che l’Ispettoria diventasse «comunità a servizio dell’e­
vangelizzazione» 30, che ogni comunità salesiana divenisse una
«comunità evangelizzatrice» 31, che ogni salesiano fosse un
«evangelizzatore»32.
L’indirizzo ecclesiale, nel tempo della nuova evangelizzazio­
ne, porta a concentrare più che mai lo sguardo e la speranza su
Cristo. La sua conoscenza e accoglienza trasformano la persona
27 cf. EN 31
28 Cost 31
29 Cost 34
30 CGS 337
31 CGS 339
32 CGS 341

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
e la salvano, senza ignorare o trascurare le sue condizioni tem ­
porali, ma trascendendole. Offrire tale annuncio di salvezza è lo
specifico della missione della Chiesa.
All’interno di questo, c’è un altro equilibrio da stabilire:
quello tra il primo annuncio e la cura della crescita nella fede
dei singoli e della comunità cristiana, tra sforzo di diffusione e
consolidamento. Quest’ultimo comprende l’educazione dei gio­
vani nella fede, la formazione degli adulti, secondo le loro diver­
se situazioni, la preparazione di operatori e ministri, l’unità e
la testimonianza delle comunità cristiane, l’impegno apostolico
da parte dei credenti.
I due aspetti vanno convenientemente soddisfatti: estendere
l’annuncio e dare consistenza alle comunità. Questo è un com­
pito delle Ispettorie, delle singole comunità e di ciascuna perso­
na, che devono diventare capaci di condurre il processo di evan­
gelizzazione fino ai suoi livelli ottimali.
Infine c’è l’opportuno dosaggio tra mezzi ed annuncio, tra
strutture e presenza nel popolo, tra organizzazione delle opere
e comunicazione diretta, tra servizio e inserim ento. Mezzi,
stru ttu re e organizzazione sono funzionali all’annuncio, alla
presenza e alla comunicazione. E dovrebbero essere ad essi pro­
porzionati e corrispondenti nello stile. Quando strutture e mez­
zi sono troppo grandi e pesanti, o quando per crearli e m ante­
nerli dobbiamo limitare eccessivamente la nostra meditazione
della Parola da proclamare, la comunicazione diretta, la dedica­
zione all’annuncio ed alla formazione delle persone, bisogna ri­
pensarli alla luce di un progetto meglio centrato sull’essenziale.
5. Un compito necessario e delicato: l’inculturazione.
È un tema oggi sovente messo a fuoco ed approfondito. Vie­
ne presentato in forma organica in diversi documenti ecclesiali.
Se ne sono occupati per disteso i Sinodi continentali. I testi pre­
paratori, le discussioni e le Esortazioni che seguirono ne hanno

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
parlato con sufficiente chiarezza sottolineando l’urgenza, espli­
citando i fondamenti teologici, indicando criteri e vie di realiz­
zazione ed individuando i campi preferenziali di applicazione33.
La nostra tipica sintesi tra educazione ed evangelizzazione
ci fa particolarmente sensibili all’inculturazione; perciò anche
noi Salesiani le abbiamo dedicato attenzione. Don Egidio Vi­
gano l’ha trattato in diverse lettere34. Il CG24 vi ha fatto riferi­
mento come esigenza e cammino per poter educare e far parte­
cipare nella missione e nella spiritualità salesiana35.
Il rischio per operatori pratici come noi è che dopo tante illu­
minazioni, necessarie, ma anche articolate ed applicabili in diver­
se direzioni, non troviamo le linee comunitarie di realizzazione e,
di conseguenza, rinunciamo allo sforzo o ci disperdiamo in picco­
le esperienze personali non sempre convenientemente vagliate. Ѐ
dunque opportuno richiamare alcuni orientamenti pratici.
La centralità del mistero di Cristo
Il primo, anche se evidente, è fondamentale nel discorso del­
la inculturazione. Riguarda la realtà storica e il carattere unico
dell’avvenimento di Cristo.
Cristo non è una realtà simbolica, oggetto generico del sen­
timento religioso, somma delle aspirazioni dell’umanità, sintesi
di quanto di nobile e generoso si trova nelle culture. Ѐ invece
una persona concreta, storica, con una biografia singolare, di­
versa anche da tu tti gli elementi acquisiti ed espressi dall’uma­
nità messi assieme. Si è manifestato come un evento unico e ir­
ripetibile. Di Lui rendono testimonianza gli Apostoli. Il Gesù
che hanno contemplato con i loro occhi e che le loro mani han­
no toccato36è il Cristo Signore, lo stesso dappertutto, ieri oggi e
sempre, che resta con noi fino alla fine del mondo.
33 cf. EA 59-64
31 cf. ACG 316, 336, 342
35 cf. CG24 15. 55. 131. 255
36 cf. l Gv 1, 1

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
Il Regno che Egli predica e la vita che propone non sono
l’accumulo o la somma dei beni che l’uomo può desiderare e
sperimentare. Sono la comunicazione gratuita di Dio concretiz­
zata in una alleanza e una promessa che hanno avuto realizza­
zione storica nella sua persona.
Egli non lascia dietro di sé solo una “dottrina” che noi sia­
mo incaricati di tradurre in parole o concetti adeguati, una mo­
rale da adattare a situazioni diverse, ma offre gesti e fatti salvi­
fici da “vivere” e “celebrare” in una relazione vissuta personal­
mente e condivisa in comunità.
Può assumere tu tti i “semi” di verità e di bene sparsi nella
storia umana, ma non comunque. Criterio e modello per l’incul-
turazione sono l’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo,
eventi definitivi per la salvezza dell’uomo.
Inculturare la fede vuol dire far penetrare la verità che Cri­
sto propone nella vita e nel pensiero di una comunità umana, in
tal modo che riesca ad esprimersi con gli elementi della cultura
e abbia anche una funzione ispiratrice, stimolatrice, trasform a­
trice e unificante di questa cultura.
L’Incarnazione non è fusione di due elementi di uguale di­
gnità ed energia, ma assunzione della natura um ana da parte
di una persona divina. Il Verbo, che ha una sua personalità divi­
na e completa nella Trinità, si fa uomo. C’è dunque un soggetto
determinante che assume l’um anità e una natura che, purifica­
ta e redenta, gli dà possibilità storica di espressione.
Da ciò derivano alcune indicazioni per la prassi dell’incultu-
razione. Poiché la persona, la vita ed il m essaggio di Cristo
hanno una identità propria e un ruolo essenziale, ad essi va ri­
volta una continua e principale attenzione. Sarebbe inutile, se
non pericoloso, voler inculturare il vangelo senza un perm anen­
te approfondimento del mistero di Cristo, senza l’esperienza di
una relazione personale con Lui e la comunione con il suo corpo,
la Chiesa. Purtroppo spesso si rileva una limitata comprensione
dei misteri che si vorrebbero comunicare o una meditazione
troppo individuale, con scarso riferimento alle fonti della fede.

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Adeguata comprensione della cultura
D’altra parte, è necessaria quella conoscenza della cu ltu ­
ra che viene dall’essersi immersi in essa per un tempo suffi­
ciente e dall’aver studiato, in modo riflesso e organico, i suoi
aspetti significativi, come vengono presentati negli appositi stu­
di e come vengono vissuti dalla comunità.
Bisogna però tener presente che nessuna cultura è monoliti­
ca e uniforme. In ogni ambito, specialmente oggi, convivono di­
verse modalità culturali. La cultura non è nemmeno una realtà
«fìssa». Ѐ sempre in evoluzione, per sviluppo di elementi propri
e in forza di interscambi con altre culture. Ѐ soggetta a cambia­
menti, trasformazioni, processi evolutivi che avvengono attra­
verso passaggi progressivi, ma anche attraverso salti dovuti so­
prattutto a cause libere.
Della cultura dunque bisogna considerare non solo quello
che è stato e quello che è, ma quello che si avvia ad essere.
In comunità
C’è poi da tener presente che l’inculturazione avviene in una co­
m unità, che è allo stesso tempo soggetto della cultura e dell’espe­
rienza di fede. In essa si va operando la compenetrazione di entram­
be. Vi collaborano i fedeli che nel quotidiano, senza teorizzare, fon­
dono vissuto ed esigenze evangeliche; influiscono pure gli esperti che
riflettono sulla fede, scrutano e interpretano le forme culturali; in­
tervengono i Pastori che accompagnano ed educano il popolo alla se­
quela di Cristo secondo il proprio contesto; sono determinanti gli
«spirituali» che più di altri intuiscono, posseggono la capacità di sin­
tonia, scoprono i semi di vangelo che ci sono in certi filoni culturali.
A ragione dunque si indica, come criterio fondamentale, per
l’inculturazione la com unione ecclesiale. Trasferito all’am­
bito salesiano, questo criterio suggerisce di affrontare il proble­
m a attraverso una riflessione della comunità, ispettoriale e lo­
cale, per muoversi nella direzione giusta.

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
Il processo di inculturazione
Un altro fattore, che occorre considerare nell’inculturazio-
ne, è il tem po. Non si tra tta tanto del tempo “cronologico”,
cioè del solo passare degli anni, quanto del tempo riempito dal­
la presenza di Cristo, nel quale opera lo Spirito Santo. L’espres­
sione efficace del mistero cristiano in una cultura è in essa «pie­
nezza» dei tempi. La rapidità del processo dipende dall’inten­
sità con cui la comunità cristiana vive il mistero di cui è porta­
trice e della sua capacità di rendersi “lievito” nella società.
Ciò porta a capire come avviene il processo di in cu ltu ra­
zione per non lasciarsi tentare da scorciatoie impraticabili.
Inculturare il vangelo comporta evangelizzare la cultura. E
questo segue un percorso non certam ente rigido, storicamente
osservabile: la fede si riceve con la veste culturale di colui che
l’annuncia. L’accoglienza del messaggio, secondo le parole e
proposte di chi già lo vive, è un primo passo necessario per inse­
rire il vangelo in una cultura.
L’assimilazione profonda dell’annuncio va producendo, nelle
persone che lo accolgono, un cambio di mentalità; la conversione
progressiva va trasformando le abitudini personali e modifica a
poco a poco i rapporti e la vita del gruppo cristiano, finché la lie­
vitazione evangelica di tutto l’umano gli dà un volto originale,
così come l’um anità di Gesù caratterizzò la presenza storica di
Dio. In tal modo, la fede assume le forme tipiche di un popolo e
diventa in esso fermento di cambiamento. Il processo non è li­
neare, ma circolare. Ciò evidenzia che quanto più intensamente
si lavora sulla conversione della persona, tanto più rapidamente
ed efficacemente si raggiungono livelli di inculturazione.
I percorsi
Finalmente l’inculturazione presenta alcuni p ercorsi tip i­
ci. Sono sostanzialmente la continuità, la contestazione profeti­
ca, la creazione.

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La continuità porta ad assumere i “semina Verbi” che si ri­
scontrano in un determinato contesto correggendoli, purifican­
doli, risignificandoli o aprendo per essi una nuova fase di svilup­
po. Ci può servire l’esempio di San Paolo all’Areopago di Atene.
La religiosità degli ateniesi offriva uno spazio per l’annunzio e
perciò l’Apostolo si appoggia su di essa. Ma arriva per gli atenie­
si il tempo in cui quella religiosità non basta più nemmeno dal
punto di vista umano, in forza di un evento che segna una nuo­
va fase: «Dopo esser passati sopra i tempi dell’ignoranza, ora
Dio ordina a tu tti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi poi­
ché Egli ha stabilito un giorno...»37. Ci sono molti aspetti che si
possono assumere in una cultura, ma non senza discernere i
suoi significati e confrontarli con il mistero di Cristo.
Non tutto in una cultura è poi compatibile col vangelo. Ci
possono essere in essa realtà e concezioni inconciliabili con l’e­
sperienza cristiana. E ci sono anche “sistemi”, “insiemi”, “co­
stellazioni di elem enti” il cui punto stesso di coerenza interna è
“non-evangelico”. Il cristiano e la comunità dunque sono invi­
tati, mediante un confronto con l’evento di Cristo, anche ad ab­
bandonare, a lasciare alcuni elementi saldamente radicati in
una cultura. Se il fatto dell’incarnazione suggerisce la condi­
scendenza di Dio che si è rivestito della natura umana, la morte
e la risurrezione di Cristo indicano il passaggio attraverso cui
questa stessa natura può raggiungere la forma alla quale è de­
stinata e per cui è stata assunta.
Da ultimo, la fede cristiana, poiché non è solo sentimento
soggettivo ma confessione di fatti storici e mistero salvifico rea­
le, è capace di produrre esp ression i culturali proprie. L’Eu­
caristia porta una cultura, ha significati umani, parole, gesti,
comportamenti, forme di socialità collegati indissolubilmente
alla sua natura e al momento storico della sua istituzione. Tale
cultura perciò attrav ersa l’universo cristiano nel senso dello
spazio e del tempo. Leggiamo ancora con commozione il raccon­
37 At 17, 30

2.9 Page 19

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IL R E T T O R M A G G IO R E 21
to di quello che Paolo dice di aver ricevuto dal Signore riguardo
alla celebrazione eucaristica38 e lo vediamo oggi ripetuto nelle
comunità cristiane sparse sotto tu tti i cieli.
Ciò avviene anche per la preghiera, che è inserita in quella
di Gesù, e per gli altri segni in cui la comunità cristiana si rico­
nosce. Ѐ l’universalmente valido dell’esperienza cristiana, che
sgorga dalla verità storica e dall’unicità dell’evento di Cristo.
Per esprimere questo unum lo Spirito Santo dà alla comunità
ecclesiale diversità di lingue, doni, carismi, culture. Il principio
cristologico è criterio di unità, il riferimento allo Spirito Santo
dà ragione della pluralità.
C’è una evidente interazione fra fede, cultura della fede e
culture. Quanto più si medita il mistero cristiano e il significato
dei gesti e delle parole con cui esso è stato espresso nel momen­
to “nascente”, tanto più si coglie la sua novità e dunque la sua
esigenza interna di “convertire” la cultura. Quanto più si ap­
profondiscono la stru ttu ra e gli elementi di una cultura partico­
lare, tanto più si comprendono le vie attraverso cui un popolo
cerca la pienezza di um anità e dunque quali sono le espressioni,
le intuizioni, i modelli che sono atti ad esprimere il vangelo.
La dialettica è permanente. Non ci può essere pace, nel sen­
so di assenza di sfide reciproche o una specie di convivenza defi­
nitivamente tranquilla che elimina il confronto.
L’inculturazione rappresenta non solo il cammino di pene­
trazione del vangelo in un gruppo umano, ma anche la conver­
sione completa della comunità cristiana. Essa risulta evangeliz­
zata, non in m aniera decorativa, come vernice superficiale,
quando si giunge in profondità e fino alle radici della sua cultu­
ra, partendo dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle
persone tra loro e con Dio.39
Perciò l’inculturazione è sentita come urgente dappertutto. Non
possiamo non farcene carico in comunione con le nostre Chiese.
38 cf. IC o r 11, 23-26
30 cf. EN 20

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
6. Il dialogo interreligioso ed ecumenico.
Le considerazioni precedenti sull’incarnazione, sull’unicità
di Cristo e sul bisogno della sua mediazione per la salvezza
totale dell’uomo servono anche per illuminare u n ’altra linea di
impegno: quella del dialogo con altre religioni e confessioni
cristiane.
Il dialogo in terrelig io so è complementare all’annuncio.
Avvicina coloro che in qualche modo sentono la presenza di
Dio, valorizza i semi di verità presenti nelle diverse religioni,
favorisce l’accettazione vicendevole e la convivenza pacifica. Ci
ricorda le interpellanze e le domande rivolte da Gesù ai suoi
contemporanei riguardo a pratiche e credenze religiose (giudei,
greci, samaritani, sirofenici).
Ѐ pure parte im portante del processo di inculturazione, se è
vero, come pensano non pochi studiosi, che la religione rappre­
senta l’aspetto più profondo delle culture e, in alcuni casi, for­
ma con queste u n ’unica realtà per la gente povera.
Forse mai come oggi si è avuta u n ’esperienza così immedia­
ta della pluralità delle religioni. I mezzi di comunicazione ne
hanno favorito una almeno sommaria informazione. Le possibi­
lità di spostamento hanno consentito di farne esperienze par­
ziali e temporanee anche da parte di chi intendeva soltanto be­
neficiare di alcune manifestazioni o soddisfare le proprie curio­
sità. Sono conosciuti i fenomeni collegati alle religioni, come la
ricerca di spiritualità, il risveglio delle credenze tradizionali e
l ’in teg ra lism o .
Nella Chiesa si è fatto un lungo e paziente cammino di in­
contro, comprensione e valorizzazione delle diverse religioni. Si
collabora con esse in cause comuni, come il perseguimento della
pace, il superamento della povertà, la difesa dei diritti umani.
T utti abbiamo ancora nella memoria le immagini dell’incontro
di Assisi, quelle della visita del Papa in Marocco e il suo discor­
so ai mussulmani o, più recentemente, i funerali di Madre Te­
resa di Calcutta.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 2 3
I Salesiani operano in contesti plurireligiosi nei quali soven­
te i cattolici sono minoranza. Per educare ed evangelizzare de­
vono conoscere in forma adeguata il fatto religioso del proprio
contesto e l’incidenza che ha sulle persone e sulla cultura per
poter interagire riguardo ad atteggiamenti, tradizioni, credenze
e pratiche religiose.
II dialogo non riguarda soltanto la formulazione della ve­
rità. Include anche l’accoglienza, la compresenza rispettosa ne­
gli ambienti educativi e sociali, le esperienze condivise in cam­
po promozionale, la testimonianza, il servizio. Non viene quindi
praticato solo nelle circostanze formali, ma si svolge anche nel
quotidiano. In non pochi degli ambienti, dove al presente stia­
mo lavorando con giovani e personale di altre religioni, tali mo­
dalità sono già in atto. Ora si richiede di aggiungerne altre più
esplicite sul contenuto dottrinale, morale, cultuale delle religio­
ni. In questo modo si abbattono i pregiudizi, si acquista una
comprensione più adeguata del senso e delle norme che ciascu­
na religione propone, si favorisce la libertà religiosa e la since­
rità di coscienza.
L’esperienza ci dice che questa forma di dialogo non è sem­
pre facile. Il sospetto che la religione cristiana sia collegata al
predominio culturale dell’occidente crea non poche barriere. La
convinzione che Cristo sia mediazione, necessaria e universal­
mente valida, di salvezza, appare come ostacolo quasi insor­
montabile. Si va insinuando il pensiero che ogni espressione re­
ligiosa, seguita con sincerità di coscienza, abbia, per l’uomo,
uguale valore.
Così il dialogo interreligioso perde interesse e il desiderio e
la capacità dell’annuncio decadono. Di un tale rischio non sia­
mo totalmente immuni.
U n’ulteriore difficoltà viene dai nuovi movimenti religiosi,
genericamente denominati “sette”. La loro varietà e diversità
non consente di distinguere quale dialogo si possa fare con esse.
L’Instrumentum Laboris del Sinodo per l’America ripete, a di­
verse riprese, che il loro proselitismo aggressivo, il fanatismo,

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
la dipendenza che creano nelle persone attraverso forme di
pressione psicologica e di costrizione morale, la critica e ridico-
lizzazione ingiusta delle Chiese e delle loro pratiche religiose
sembrano rendere impossibile ogni forma di dialogo, confronto
e collaborazione40. Eppure siamo invitati a comprendere le ra­
gioni di una certa loro incidenza ed a favorire la libertà di co­
scienza e la convivenza pacifica.
Con le dovute distinzioni che suppongono i commenti di cui
sopra, dobbiamo pure noi inserire il dialogo interreligioso nella
nostra pastorale missionaria. Ci sorreggono per questo alcune
convinzioni.
La luce e la grazia portate da Gesù non escludono i cammini
validi di salvezza presenti in altre religioni41. Anzi li assumono,
li purificano e li perfezionano. «Il Verbo incarnato è il compi­
mento dell’anelito presente in tu tte le religioni dell’umanità:
questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa
umana. E mistero di grazia»42.
Lo Spirito è presente e agisce in ogni coscienza e in ogni co­
m unità che cammina verso la meta della verità. Egli precede
l’azione della Chiesa e suggerisce ad ogni persona la via verso il
bene. Allo stesso tempo, spinge la Chiesa ad evangelizzare quei
gruppi e popoli che egli già interiormente prepara all’accoglien­
za. E una affermazione ribadita in molti documenti recenti del
Magistero. «Lo Spirito, leggiamo nell’enciclica Dominum et Vi-
vificantem, si manifesta in maniera particolare nella Chiesa e
nei suoi membri: tuttavia la sua presenza e azione sono univer­
sali, senza limiti né di spazio né di tem po»43. Ѐ all’origine della
stessa domanda esistenziale e religiosa dell’uomo, la quale na­
sce non soltanto da situazioni contingenti, ma dalla struttura
stessa del suo essere... Lo Spirito sta all’origine dei nobili ideali
e delle iniziative di bene dell’um anità in cammino... Ѐ ancora lo
40 cf. Instrum entum Laboris 45
41 cf. LG 16
42 TMA n. 6
43 cf. D om inum et vivificantem 53

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
Spirito che sparge i «semi del Verbo» presenti nei riti e nelle
culture, e li prepara a m aturare in Cristo44.
Una tale lettura, per un verso porta a superare il relativi­
smo religioso che considera le religioni approcci e vie ugual­
mente valide verso la salvezza, ignorando, con detrimento non
lieve dei destinatari, la pienezza di rivelazione e la singolarità
della grazia risanatrice apportata da Cristo. D’altro canto, ci in-
.coraggia ad offrire con entusiasmo la nostra esperienza e quella
della Chiesa con atteggiamenti di rispetto e attesa, consapevoli
delle difficoltà dei cambiamenti, aperti alle sorprese della gra­
zia, grati e gioiosi di tante risposte anche soltanto parziali, anzi
piccole.
Aggiungo soltanto un accenno al dialogo ecum enico,
quello che si svolge con le altre chiese cristiane. L’unità è uno
dei traguardi pressantemente ribadito da Giovanni Paolo II. Ѐ
condizione e segno della nuova evangelizzazione. La preghiera,
gli atteggiamenti e gli sforzi per costruirla sono parte essenzia­
le della pastorale odierna perché rispondono al desiderio di Ge­
sù e alle necessità del mondo. Ogni comunità è chiamata ad im­
pegnarsi. Con alcune di queste confessioni si è già fatto un cam­
mino ed è aperta la via all’interscambio nella preghiera ed alla
collaborazione nell’azione.
Atteggiamenti e modalità salesiane nel dialogo
Vista la convenienza di incorporare il dialogo interreligioso
ed ecumenico alla nostra prassi missionaria, è utile indicare al­
cuni atteggiamenti e modalità per intervenire in esso con spiri­
to salesiano.
Metto in primo luogo la capacità, tipica del Sistema Preven­
tivo, di scoprire e valorizzare il p ositivo dovunque si trovi. Le
Costituzioni lo propongono a tu tti i Salesiani: «Ispirandosi all’u ­
manesimo di San Francesco di Sales, (il salesiano) crede nelle ri­
44 cf. LG 17; AG 3. 15; RM 28

3.4 Page 24

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26 A T TI DE L C O N S IG LIO G E N E R A LE
sorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone
la debolezza. Coglie i valori del mondo (...): ritiene tutto ciò che
è buono...»45. Lo riferiscono in particolare ai missionari quando
affermano che «sull’esempio del Figlio di Dio assumono i valori
dei popoli e condividono le loro angosce e speranze»46.
C’è poi il d esid erio di incontro con le persone, ispirato
alla fiducia e alla speranza. Il salesiano prende l’iniziativa di
muoversi verso ogni destinatario, sia esso cristiano o fedele di
altre religioni. Va con la sua carica di um anità (la bontà!) e con­
vinto che in ogni cuore c’è un terreno fecondo per lo svelamen­
to della verità e per la generosità nel bene.
Da ultimo ricordo la pazienza che sa gioire dei piccoli
passi, attendere ulteriori frutti, accompagnare intuizioni o sco­
perte, affidare a Dio il momento della maturazione della fede,
approfittare di ogni occasione per comunicare, attraverso l’ami­
cizia e la parola, la propria esperienza del vangelo.
Nel dialogo religioso hanno una importanza particolare le
com unità. Esso infatti è opera corale, piuttosto che di pionieri
solitari. La comunità ecclesiale è «segno e strumento» della sal­
vezza e comunica senza interruzione con la società emettendo
segnali con il suo essere, più ancora che con le sue prediche. Al­
l’interno della Chiesa le singole comunità, come quelle dei con­
sacrati e quelle educative, aprono o chiudono le possibilità di
dialogo con il loro stile di vita e la loro capacità di accoglienza.
È accertato che nelle com unità educative plurireligiose
animate dai nostri confratelli si convive, si impara la tolleran­
za, si conoscono e si valorizzano elementi di altre religioni, sono
presenti i segni e le pratiche cristiane, ci si presta al dialogo ap­
profondito con coloro che desiderano conoscere meglio Gesù
Cristo.
Riguardo alle comunità dei consacrati, d’altra parte, l’Esor­
tazione Vita Consecrata sottolinea il ruolo particolare che esse
45 Cost. 17
46 Cost. 30

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
possono avere nella comunicazione con altre esperienze religio­
se attraverso la vicendevole conoscenza e rispetto, la cordiale
amicizia e sincerità, «la comune sollecitudine per la vita um a­
na, che va dalla compassione per la sofferenza fisica e spiritua­
le, all’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del
creato»4?, il dialogo di vita e l’esperienza spirituale.
Nei luoghi di missione, sarà importante, in questo come in
altri aspetti della vita missionaria (inculturazione, formazione,
ecc.), curare una costante ed ampia collab orazion e con gli al­
tri missionari, religiosi o laici, per dare un contributo più ricco
al comune impegno per il Regno.
7. Una parola d’ordine: consolidare.
Negli ultimi vent’anni la Congregazione, nonostante la scar­
sità di vocazioni in vaste zone, si è aperta con generosità verso
nuove presenze missionarie. Il carisma salesiano è stato portato
in numerosi paesi. Al Progetto Africa si è aggiunto, poco dopo,
un intenso movimento verso l’Est europeo e l’espansione nel
Sud Est dell’Asia (Indonesia, Cambogia).
In alcuni di questi contesti, compiuta felicemente la fase di
fondazione, è ora in corso quella di consolidamento per quanto
riguarda le comunità, le strutture, il progetto pastorale.
Proprio in vista di tale consolidamento e riconoscendo i ri­
sultati già raggiunti, voglio indicare alcune urgenze. Le affido
in forma particolare ai missionari che operano sul posto ed alle
Ispettorie responsabili di presenze missionarie.
Lo sforzo principale va rivolto alla form azione. Per quanto
riguarda quella iniziale, costruite ormai le sedi e fondate le co­
munità formatrici, è necessario provvedere alla preparazione di
personale e alla costituzione di équipes sufficienti dal punto di
« cf. v e 102

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
vista numerico e qualitativo. Converrà allo stesso tempo costi­
tuire la commissione per la formazione ed attivare l’elaborazio­
ne del Direttorio prescritto dai Regolamenti.48 Assumendo gli
orientamenti normativi comuni e l’esperienza del posto, il Di­
rettorio diventerà uno strum ento di inculturazione secondo
quanto ho richiamato nelle pagine precedenti.
Si va imponendo dappertutto il bisogno di conoscere il re­
troterra culturale e religioso dei candidati per fare un di­
scernimento accurato delle loro capacità e motivazioni e accom­
pagnarli pedagogicamente, affinché interiorizzino gli atteggia­
menti di vita consacrata e vivano in maniera personalizzata il
genuino spirito salesiano, convenientemente contestualizzato.
Nell’assimilazione profonda e convinta dello spirito, oltre la
pratica esterna, consiste la vera fondazione del carisma in un
paese. Le comunità di formazione vanno dunque curate, in par­
ticolare per quanto riguarda il personale, a partire da quella del
prenoviziato.
La formazione iniziale oggi trae il suo modello e profilo da
quella p erm an en te e m ira e renderla generale ed efficace. La
formazione perm anente è dunque un aspetto indispensabile del
consolidamento. Comprende l’impegno personale di preghiera e
vita spirituale, di riflessione e studio, di progressiva qualifica­
zione e preparazione per la missione, da cui mai il lavoro di
evangelizzazione può esser disgiunto. Comprende anche la qua­
lità della vita della comunità locale e ispettoriale. Si è sempre e
dovunque verificato che l’efficacia evangelizzatrice dipende dal­
lo stile comunitario di vita fraterna, di preghiera e da u n ’ordi­
nata progettazione, più che dall’attivismo individualista.
L’Esortazione Apostolica Vita Consecrata ricorda che la co­
munione è già missione per la sua forza di testimonianza evan­
gelica. Forse le “com unità m issionarie” più delle altre sono
chiamate a diventare luogo di crescita permanente.
Si aggiungono per ciascuno i tempi straordinari di aggiorna-
46 cf. Reg. 87

3.7 Page 27

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IL RETTOR M AGGIORE 29
mento, sintesi e ricarica. Questi sono pensati per un convenien­
te riposo periodico, ma soprattutto per ridare profondità al vi­
vere quotidiano e all’impegno di evangelizzatori. Converrà ren­
derli regolari e specifici.
Una seconda attenzione va rivolta alla qualificazione del
n ostro lavoro educativo e pastorale. Indico, alla luce dell’e­
sperienza, alcuni elementi da curare in modo speciale.
Uno è l’armonia e integrazione tra evangelizzazione, pro­
mozione umana ed educazione.
La prima, l’evangelizzazione, costituisce la finalità princi­
pale. Ѐ la ragione del nostro esistere e delle nostre opere. Ad es­
sa va dunque data, come abbiamo detto, la preferenza in tempi,
mezzi, impiego di persone, qualifiche e piani.
L’ed u ca zio n e è per noi via e m odalità tipica. Riguarda
principalmente i giovani, ma ci detta lo stile da seguire anche
con gli adulti. Per sua natura si rivolge anche a coloro che non
sono cristiani e non intendono assumere la fede. Ai cristiani of­
fre una formazione um ana completa che si integra col cammino
catechistico e di iniziazione nella fede.
La prom ozione um ana è aspetto indispensabile della
evangelizzazione. A nch’essa riguarda l’uomo e la società in
quanto tale; ha finalità, metodi e dinamismi propri e può assu­
mere diversi orientam enti. Perciò Paolo VI qualifica come
«evangelica», «fondata sul Regno di Dio» la promozione che la
Chiesa favorisce. Ciò deve apparire nella costanza e nel modo di
agire, così da rendere evidente la finalità specificamente religio­
sa dell’evangelizzazione, che perderebbe la sua ragion d’essere
se si scostasse dall’asse che la governa: il Regno di Dio prima di
ogni altra cosa, nel suo senso pienamente teologico49.
Tutto questo trova uno strum ento di chiarezza, orienta­
mento e convergenza nel Progetto Educativo e Pastorale,
che motiva e sintetizza le diverse dimensioni del nostro lavoro:
48 cf. EN 32

3.8 Page 28

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
quella educativa e culturale, quella di evangelizzazione e di ca­
techesi, quella comunitaria e associativa, quella vocazionale.
La sua elaborazione e realizzazione appaiono necessarie per
superare l’improvvisazione e le visioni troppo individuali che
sbilanciano su di un versante e portano fuori dalle finalità. Il
mettersi a prepararlo ed attuarlo sarà u n ’opportunità di ripen­
samento dell’azione, di accordo comunitario e di formazione
permanente.
La pastorale non raggiunge i suoi fini e il progetto non ha
garanzia di funzionamento, se non si mette la qualificazione
delle p erson e al centro dell’attenzione. In questo caso ci rife­
riamo ai neofiti, ai fedeli, ai collaboratori, agli animatori, ai ge­
nitori e, in generale, alle persone disponibili per processi forma­
tivi. Ad alcune di queste categorie bisogna dedicare cure parti­
colari. L’esperienza che fanno offre loro l’opportunità di entra­
re più profondamente in una relazione con Cristo e il lavoro che
compiono incide in forma determ inante nella comunità cristia­
na. Mi riferisco ai catechisti ed agli educatori.
Intendo praticamente richiamare con energia tu tti a inve­
stire principalmente nella formazione delle persone: il maggior
numero possibile e al livello più alto possibile.
Si verifichi l’impiego del denaro per distribuirlo a sostegno
delle attività più im portanti e si riveda l’impiego delle strutture
e l’orientamento delle nostre occupazioni, affinché quello che
è solo stru m en tale non impedisca quello che è principale.
Anche nelle missioni, la com unità deve funzionare come
«nucleo animatore».
U na terza attenzione va rivolta alle con dizion i perché il
vangelo e il carisma salesiano si radichino nei diversi contesti.
L’inculturazione non è u n ’operazione fatta da alcuni esperti a
tavolino. Ѐ la vita cristiana e salesiana che progredisce e va
producendo u n ’interpenetrazione tipica tra vangelo e costumi.
Si va realizzando prima di tutto in noi. Esige un senso di ap­
partenenza al luogo, di apprendimento e uso quotidiano della

3.9 Page 29

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IL R E T T O R M A G G IO R E 31
lingua, di assunzione dei costumi, migliorati se si vuole, di par­
tecipazione ai rapporti più semplici e umili, di comprensione e
appropriazione della religiosità popolare. In una parola, diven­
tare del posto e venir percepiti come tali, «essersi fatti tutto
a tutti».
Questo cammino (appartenenza, lingua, costumi, inserzione
popolare), intrapreso già da coloro che danno il primo sviluppo
a una missione, faciliterà la convivenza con le generazioni nati­
ve e il passaggio delle consegne a loro nel momento opportuno.
A questo mira la creazione di circoscrizion i che rag­
gruppano presenze, rafforzano il senso di appartenenza, creano
corresponsabilità e consentono la costituzione di comunità
composte da confratelli provenienti da diverse nazioni, che do­
vranno modellare il tipo di vita sul criterio dell’inserimento e
dell ’inculturazione.
All’inculturazione, alla qualità della evangelizzazione, alla
comunicazione dello spirito salesiano, alla trasm issione della
memoria concorrono pure gli archivi, le biblioteche specializza­
te sulla cultura locale, la raccolta di materiale etnografico e di
quello che documenta il cammino missionario.
Le missioni salesiane del primo tempo ebbero molto a cuore
questa dimensione storica che rispondeva alle raccomandazioni
dei superiori, a partire da Don Bosco, e alla preparazione cultu­
rale dei pionieri. Ѐ una preoccupazione che va ripresa oggi.
8. Nuove frontiere.
Abbiamo in cantiere parecchi progetti missionari, tutti pro­
mettenti. Le attese che si manifestano nelle zone dove verran­
no iniziati, la ricchezza um ana e culturale con cui si viene a
contatto e i bisogni estremi a cui si darà risposta, incoraggiano
ad intraprenderli. Sono campi preparati per la mietitura. Ve li
presento per rendere il discorso più concreto e condividere con
voi la gioia dello sguardo verso il futuro.

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Nell’Africa, oltre al rafforzamento e all’organizzazione delle
presenze stabilite precedentemente, andiamo avanti inserendo­
ci in nuovi contesti: Zimbabwe, Malawi e Namibia.
Nell’Asia è in piena attività la prima presenza nella Cambo­
gia: un vasto e moderno centro di formazione professionale con
500 giovani con possibilità di un centro giovanile e di azione
missionaria. Una seconda opera si sta avviando, m entre si
esplorano le possibilità che offre il Laos. Recentemente si sono
stabilite le comunità nelle Isole Salomone e nel Nepal e si mira
ad iniziare la fondazione nel Pakistan, alla quale nel secondo
semestre del 1998 verranno inviati quattro confratelli. Nuove
iniziative missionarie hanno intrapreso tutte le Ispettorie del­
l’India.
C’è poi la Cina dove si affacciano tempi nuovi pieni di pro­
messe per le dimensioni del territorio e della popolazione, le ca­
ratteristiche umane, gli antecedenti missionari e i fermenti re­
ligiosi. Il lavoro per il momento si svolge in forme molto origi­
nali, atipiche. Il futuro presenta segni di speranza ed interroga­
tivi. Comunque, la Congregazione segue gli avvenimenti politici
per muovere i passi verso una consistente presenza non appena
si diano le condizioni. Con queste prospettive si accolgono già
domande di candidati che si sentono chiamati a lavorarvi.
In Europa ci sono da appoggiare alcune comunità di recente
fondazione, come in Albania, mentre si procede a stabilire l’o­
pera in Romania con il coinvolgimento delle Ispettorie di Vene­
zia e dell’Austria. Don Bosco ci ha preceduti e la diffusione del­
la sua biografia ha suscitato vocazioni locali, che stanno com­
piendo già le prime fasi di formazione.
In America guardiamo a Cuba, dove negli ultimi anni
abbiamo avuto il segno positivo del sorgere di vocazioni e dove
le necessità del contesto cristiano appaiono immense per la
scarsità delle forze. E nel nuovo clima di collaborazione e
solidarietà adombrato nel CG24 e riaffermatosi nel Sinodo di
America, progettiamo delle presenze tra gli emigranti ispanici
degli Stati Uniti.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL R E T T O R M A G G IO R E 33
Ci sono poi, all’interno delle nazioni, indigeni ai quali abbia­
mo dato attenzione nel passato e che continuiamo a seguire. Ad
essi si aggiungono oggi i numerosi gruppi di afro-americani, per
i quali, seguendo le linee delle Chiese di America, abbiamo in
cantiere qualche progetto.
Chiudo la lista accennando al doloroso problema dei
rifugiati, che sono milioni, specialmente in Africa, e tra i quali
le conseguenze più gravi ricadono sui ragazzi e giovani. Ho
affidato al Dicastero per le missioni di elaborare u n ’ipotesi di
azione, partendo dalla conoscenza del fenomeno in ogni
continente, per giungere ad iniziative significative sul fronte
educativo e pastorale.
«La messe è molta». Seguendo l’esempio di Don Bosco e dei
suoi successori, che hanno presentato alla Congregazione nuo­
ve imprese missionarie per suscitare generosità, faccio anch’io
un appello ai confratelli che sentono il desiderio e la chiamata a
mettersi a disposizione del Signore. Lo rivolgo a tutti. La pre­
senza degli anziani può risultare provvidenziale, per la testimo­
nianza, la preghiera e il contributo di sapienza, in comunità
missionarie assai giovani. Similmente può essere prezioso per
le missioni quel tempo di vita che in molte nazioni non viene
più impegnato nelle opere educative. Vorrei comunque che sen­
tissero questo appello particolarmente i giovani.
La generosità missionaria è stata una delle ragioni della
buona salute e della espansione della Congregazione durante il
primo secolo e mezzo di vita. Sono persuaso che lo stesso av­
verrà nel futuro.
In questo appello vorrei m ettere due accenti particolari. Il
primo riguarda le Ispettorie che oggi godono di abbondanza di
vocazioni. Per molto tempo sono state le Ispettorie dell’Europa
a fornire il maggior numero di missionari e grazie ad esse la
Congregazione è stata impiantata negli altri continenti. Nel re­
cente congresso europeo sulle vocazioni, celebratosi a Roma, si
è constatato che l’apporto delle Chiese europee alla missione
“ad gentes” negli ultimi venticinque anni è diminuito dell’80%,

4.2 Page 32

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34 AT TI D E L C O N S IG LIO G E N E R A LE
mentre continua ancora da parte di esse una esemplare solida­
rietà economica e di assistenza varia. Allo stesso tempo si va fa­
cendo consistente il contributo di altri continenti, come ho po­
tuto verificare nella consegna del Crocifisso ai partenti della
127“ spedizione missionaria.
Giovanni Paolo II, alla conclusione della Enciclica Redemp-
toris Missio afferma: «Vedo albeggiare una nuova epoca missio­
naria, che diventerà giorno radioso e ricco di frutti, se tu tti i
cristiani e in particolare i missionari e le giovani Chiese rispon­
deranno con generosità e santità agli appelli e alle sfide del no­
stro tem po»50. Anche noi dobbiamo diffondere mentalità ed en­
tusiasmo nelle Ispettorie di recente fioritura ed aprire ai giova­
ni la possibilità del mondo.
La reciprocità missionaria ci deve rendere disponibili a con­
dividere vicendevolmente mezzi, personale e aiuti spirituali.
Il secondo accento riguarda il coinvolgim ento dei la ici
nella missione “ad gentes”. Contestualmente alla crescita ge­
nerale della coscienza del laicato e della sua partecipazione
nella comunione e missione della Chiesa, è venuta aum entan­
do la sua attenzione alla missione “ad gentes”. Si diffonde il
desiderio, le richieste crescono, si va migliorando la prepara­
zione dei candidati e si cercano le forme di rendere possibile la
partecipazione con le peculiarità delle loro condizioni. Annun­
ciare la buona novella è un dovere-diritto dei laici fondato sul­
la dignità battesimale. Stiamo assistendo ad una mobilitazione
senza precedenti dei volontari impegnati in prima linea nella
pastorale delle Chiese e nella promozione um ana svolta con
senso cristiano.
Il CG24 ha ribadito in molte forme questa possibilità d’im­
pegno missionario dei laici. Ѐ ora di andare oltre le realizzazio­
ni e procedere verso forme ampie e organizzate di laicato mis­
sionario salesiano.
30 RM 92

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
9. Insieme verso il 2000.
A quest’opera di consolidamento ed alle nuove imprese per
l’estensione del Regno siamo tu tti convocati. Le “missioni” fan­
no parte di u n ’unica missione ecclesiale. Quelle salesiane fanno
parte dell’unica missione salesiana. Si realizzano, senza solu­
zione di continuità, dovunque la Chiesa deve annunciare il Van­
gelo o la Congregazione è chiamata a offrire il proprio carisma.
Tra coloro che lavorano nelle diverse “missioni” si dà una
profonda comunione di beni e una m isteriosa solidarietà di
sforzi e risultati.
Condividiamo il tratto missionario della sp iritu alità sa le­
siana, desiderando che la luce del Vangelo arrivi a tutti. Condi­
vidiamo la prassi missionaria perché la priorità dell’annuncio,
l’apertura al dialogo religioso, il movimento d’inculturazione, lo
sforzo di consolidare la comunità attraverso la formazione delle
persone vengano assunti dappertutto nella misura che ciascuna
situazione richiede. Condividiamo la vita missionaria, parteci­
pando agli avvenimenti consolanti e tristi e cercando di vedere
in essi la volontà del Signore, attraverso l’informazione, la let­
tu ra evangelica degli eventi. Ci manteniamo in comunione con i
missionari soprattutto con la preghiera quotidiana ed in date o
circostanze speciali segnate dalla nostra memoria, dalle indica­
zioni della Chiesa o da eventi particolari.
Espressione della medesima condivisione è una pastorale
giovanile che nel cammino di fede fa vivere intensamente la
dimensione missionaria della Chiesa. Nei percorsi di maturazio­
ne umana, di approfondimento della fede, di esperienza eccle­
siale e di orientamento vocazionale c’è posto per svariati stimoli
provenienti dal mondo delle missioni. Nell’associazionismo gio­
vanile si trovano spazi per gruppi di finalità apostolica varia che
si ispirano all’interesse per le missioni. In essi si coltivano e fio­
riscono atteggiamenti e attitudini cristiane, come la prontezza
nel donarsi, la stima per le diverse culture, la capacità di andare
oltre le apparenze delle persone, il senso comunitario del lavoro

4.4 Page 34

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36 A T TI DE L C O N S IG LIO G E N E R A LE
e dell’azione, il gusto per la comunicazione, la mondialità.
Espressione della condivisione è ancora la diffusione della
sen sib ilità m issionaria o la testimonianza della nostra vita
povera, tra la gente cristiana o semplicemente di buon cuore.
Va fatta conformemente ai principi e finalità dell’evangelizza­
zione, piuttosto che soltanto secondo le tecniche della pubbli­
cità e della captazione del consenso. L’apporto delle Procure
missionarie, mondiali, interispettoriali e ispettoriali, ha reso
possibili l’inizio e la crescita di molti progetti missionari e con­
tinua ad essere ancora il segno del coinvolgimento di molte per­
sone nell’impresa missionaria e di quel senso concreto che ci ha
caratterizzato sin dalla prim a spedizione.
Tutto ciò va vissuto, è quasi superfluo dirlo, non con mentalità
puramente funzionale, ma col desiderio di niente tralasciare affin­
ché molti abbiano la felicità di sperimentare la salvezza di Cristo.
La prossimità del 2000 ci invita a dare una nuova prova del­
la nostra capacità di intraprendere insieme iniziative missiona­
rie di vasto respiro.
Ricorreranno allora i 125 anni della prima spedizione mis­
sionaria. Nella nostra storia non si è lasciata passare nessuna
delle ricorrenze im portanti di questo avvenimento senza se­
gnarla con particolari celebrazioni.
AH’inizio del secolo toccò a don Rua commemorare il 252. I
Salesiani dell’America desideravano ardentemente la sua pre­
senza in quel continente e interposero a tal fine importanti in­
fluenze, che però non approdarono al risultato agognato51. Le
celebrazioni comunque si tennero con la presenza del Catechi­
sta generale, don Paolo Albera, nel contesto del Congresso in­
ternazionale dei Cooperatori di Buenos Aires, secondo dopo
quello di Bologna52.
Più ricordata è la commemorazione del cinquantesimo, nel
1925, voluta dal Beato Filippo Rinaldi e che coincideva con un
51 cf. C eria E., A nnali, voi. Ili, pag. 106
62 cf. ib., pag. 104-128

4.5 Page 35

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IL R E T T O R M A G G IO R E 37
anno giubilare. Il punto primo del suo programma consisteva in
«una grande funzione e una numerosa spedizione missionaria»53.
Tale spedizione infatti si preparò. Si componeva di 172 Salesiani
e 52 Figlie di Maria Ausiliatrice. Toccò al Card. Cagliero benedirla
e consegnare il crocifisso ai missionari partenti.
Nel settantacinquesimo, don Pietro Ricaldone chiese un
contributo straordinario di personale alle Ispettorie che erano
state destinatarie dei primi sforzi missionari e spinse la fonda­
zione di alcuni aspirantati missionari fuori Europa.
Nel 1975, a cento anni della data che ci è tanto cara, don Lui­
gi Ricceri invitò a ricordarla con alcune iniziative pratiche di cui
la seconda era: una spedizione missionaria degna del centenario.
«Vengo ora - diceva - a farvi non una proposta, ma un fervido in­
vito. La Congregazione, grata al Signore per tutto il bene che ha
potuto fare alle anime in questi cento anni e consapevole del mol­
to che rimane da fare, fiduciosa nella Provvidenza che saprà ri­
compensare il gesto di chi lascia l’Ispettoria per le missioni, su­
scitandovi nuove e generose vocazioni, si propone di realizzare
una spedizione missionaria degna dell'avvenimento»54.
Le dimensioni della Congregazione e la vitalità delle nuove
Ispettorie, l’allargamento del mondo e le nuove zone di semina
ci invitano a m ettere in pratica la reciprocità missionaria.
Vi propongo, in vista del 2000, di formare un manipolo, con il
contributo minimo di un confratello per ogni Ispettoria, per con­
solidare le opere iniziate da poco ed avanzare sugli spazi che si
vanno aprendo. Le Ispettorie favorite con più vocazioni potran­
no contribuire secondo la loro ricchezza, cominciando sin da ades­
so u n ’opera di sensibilizzazione e motivazione tra i giovani con­
fratelli. Congiungeremo così l’appello del Papa ad una nuova
evangelizzazione con il ringraziam ento al Signore per le circa
10.000 vocazioni missionarie mandate alla nostra Congregazione.
53 Verbale del Consiglio Superiore, 17.6.1925
54 Lettere circolari di don Luigi Ricceri ai Salesiani, L ettera 35, «Nel C entenario
delle missioni salesiane», Voi 2, pag. 779

4.6 Page 36

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Conclusione.
Al term ine di questa riflessione, il mio pensiero torna a Ma­
ria Ausiliatrice. Non a caso le nostre spedizioni partono dalla
Basilica a Lei dedicata come centro di irradiazione della fede e
della Congregazione. Anche se oggi, a causa del decentramento
missionario, i punti di partenza sono molti, la consegna del
Crocifisso davanti a Maria Ausiliatrice sarà sempre il gesto col
quale la Congregazione salesiana in quanto tale rinnova il suo
impegno missionario.
Il quadro che la rappresenta ci consegna una sintesi di spiri­
tualità missionaria con il riferimento al Padre che è all’origine del­
la missione, all’incarnazione del Figlio, che è la prima missione
fonte di tutte le altre, e alla presenza dello Spirito inviato a ani­
mare la Chiesa, a sua volta m andata ad evangelizzare il mondo.
Maria ci fa pensare alla parola accolta nell’Annunciazione,
all’annuncio gioioso portato nella Visitazione, alla Parola medi­
tata nella nascita di Gesù e progressivamente diventata vita
nella partecipazione al ministero pubblico, pienamente realiz­
zata nell’unione alla passione, morte e risurrezione di Gesù.
I territori dove abbiamo seminato sono oggi quasi tu tti se­
gnati da un santuario di M aria Ausiliatrice. Le comunità che si
sono formate hanno imparato a invocarla. Le tre comunità cri­
stiane con le quali abbiamo celebrato l’eucaristia nella Cina
hanno chiesto spontaneamente nel momento di congedo la be­
nedizione di Maria Ausiliatrice. Ѐ una pratica e un ricordo che
tanti anni di isolamento non sono riusciti a cancellare e cui è
attaccata la fede.
A Lei, che ha aperto e guidato la nostra storia missionaria,
affidiamo il nostro presente e i nostri progetti futuri.