Atti_1997_359.ACG_


Atti_1997_359.ACG_



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1. IL RETTOR MAGGIORE
SI COMMOSSE PER LORO (Me 6, 34)
Nuove povertà, missione salesiana e significatività
Il nuovo scenario del nostro impegno educativo. - Un’opzione della Chiesa. - Il nostro cammino
di riflessione. - Le iniziative concrete.
Guardando il futuro: Una rilettura cristiana della realtà. - Approfondire le ispirazioni. - La po­
vertà dell'educatore salesiano. - Fare la scelta dei giovani poveri. - La nostra preoccupazione:
educare. - Promuovere una nuova cultura. - Evangelizzare partendo dagli ultimi. - Conclusione.
Roma, 30 marzo 1997
Pasqua di Risurrezione
Cari confratelli,
Vi scrivo sotto l’impressione della Pasqua di Risurrezione.
Essa quest’anno ci offre una singolare opportunità di rivolgere
lo sguardo a Gesù Cristo, secondo il cammino proposto dalla
Chiesa verso il Giubileo del 2000.
Alla luce che si sprigiona dalla sua figura, mi sono proposto
di commentarvi un punto della nostra programmazione: cer­
care una maggiore significatività, mettendoci più decisamente a
servizio dei giovani poveri.
Il capitolo quarto delle Costituzioni si apre con una cita­
zione del Vangelo di Marco: “Vide molta folla e si commosse per
loro perché erano come pecore senza pastore e si mise a inse­
gnare loro molte cose”.1
1 Me 6, 34

1.2 Page 2

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Nel vangelo è preludio e motivazione per la moltiplicazione
dei pani. Nelle Costituzioni introduce il discorso sui destinatari
della nostra missione.
L’evocazione biblica offre un’icona eloquente: la folla affa­
mata e smarrita, la commozione di Gesù nel vederla, la sfida
agli apostoli di risolvere il problema, la dichiarazione di impos­
sibilità da parte loro, il moltiplicarsi miracoloso del cibo dap­
prima insufficiente.
Per noi è una chiave di lettura pastorale della attuale realtà
giovanile e della missione da realizzare in essa.
Collegata all’immagine di Dio, Buon Pastore, tratta dal pro­
feta Ezechiele e preposta al capitolo primo delle Costituzioni, ci
ricorda che “nella lettura del Vangelo siamo più sensibili a certi
lineamenti della figura del Signore: la predilezione per i piccoli
e i poveri; la sollecitudine nel predicare, guarire, salvare sotto
l’urgenza del Regno che viene; l’atteggiamento del Buon Pa­
store che conquista con la mitezza e il dono di sé” .2
Le singole pennellate acquistano allora un significato estre­
mamente reale. C’è oggi una moltitudine di adulti e di giovani
carente dei beni fondamentali per la vita, che si muove diso­
rientata e attende un segnale di solidarietà. Ad essa si rivolge la
compassione di Gesù che va oltre il sentimento umano.
Esprime il cuore misericordioso di Dio, la sua decisione per la
felicità e la vita di ogni uomo.
Per questo affida il problema ai suoi discepoli. Essi ci de­
vono pensare, superando il senso di inadeguatezza di fronte alle
dimensioni del fenomeno, cercando le risorse disponibili e con­
segnandole alla capacità moltiplicatrice dell’amore.
La narrazione evangelica ha indicazioni interessanti sugli at­
teggiamenti che i discepoli di Cristo devono avere di fronte alle
necessità umane, spirituali o materiali e sulle vie per farvi fron­
te: illuminare la coscienza con la Parola e costruire solidarietà.
C’è pure una logica originale nel calcolo e nell’impiego
2 Cost. 11

1.3 Page 3

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IL R ETTO R MAGGIORE 5
delle risorse. Esse si moltiplicano all’infinito dove i rapporti
tra le persone e con le cose vengono ricostruiti alla luce del
gesto eucaristico.
Il nuovo scenario del nostro impegno educativo
I contesti dove lavoriamo si vanno modificando sotto i nostri
occhi. I fattori economici, sociali e culturali stanno determi­
nando una nuova configurazione delle società. Variano dunque,
almeno parzialmente, le urgenze della nostra missione: i sog­
getti da preferire, i messaggi evangelici da diffondere e i pro­
grammi educativi da mettere in atto.
Lo scenario è segnato da un fenomeno: la povertà. Non è
solo la condizione di alcuni. È il dramma dell’umanità, un
dramma spirituale prima ancora che materiale. A livello mon­
diale essa presenta dimensioni tragiche ed i suoi effetti sulle
persone e sui popoli sono devastanti. A ragione le più alte auto­
rità scientifiche e religiose li hanno ripetutamente denunciati.
Le immagini di tale povertà entrano, di tanto in tanto, nelle
nostre case attraverso la televisione, suscitando sentimenti di
compassione e sollevando interrogativi salutari. Basta pensare
alla fame, “uno scandalo durato troppo a lungo” , “che compro­
mette il presente e il futuro di un popolo” e “ distrugge la vita”
secondo l’ultimo documento in merito offerto dal Pontificio
Consiglio “ Cor unum” .3 Oppure all’esodo di migliaia di pro­
fughi, vittime di contrapposizioni razziali, discriminazione reli­
giosa e rivalità aizzate ad arte. O ancora all’urbanizzazione
precaria senza condizioni minime di lavoro, casa, servizi e par­
tecipazione civile, che costituisce il fenomeno della emargina­
zione cittadina.
Se aggiungiamo l’immigrazione o il lavoro minorile, le ser­
vitù di vario genere, la situazione delle donne in molti contesti,
3 cf. L a fa m e n e l m o n d o , u n a s f id a p e r tu tti: lo s v ilu p p o s o lid a le , 1996.

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
10 sfruttamento dei più deboli, avremo un quadro a tinte nere,
ma ancora incompleto delle sofferenze umane.
La povertà appare oggi sotto forme molteplici, più numerose
che nel passato. A ragione si parla di povertà al plurale, classifi­
candole in vecchie e nuove. Si evidenzia così che alcune sono sor­
te e si sono estese di recente. Sono infatti legate alle attuali con­
dizioni di vita: appaiono dunque meno conosciute nelle loro cau­
se e più esposte a giudizi moralistici e facili colpevolizzazioni.
Alla carenza dei mezzi economici indispensabili per la vita,
che da sempre viene ritenuta la principale forma di indigenza,
si aggiungono oggi altre manifestazioni in cui questo fattore
non è principale o generante: le deficienze in ambito familiare,
il fallimento scolastico, la disoccupazione, le dipendenze varie,
la delinquenza, la vita sulla strada. Non vanno inoltre sottova­
lutate la mancanza di ragioni per vivere, l’assenza di prospet­
tive umane e spirituali, che sfocia in fenomeni conosciuti di
compensazione e di evasione.
Nelle società più avanzate e complesse si contano tra i po­
veri anche coloro che rimangono al margine delle crescenti esi­
genze di preparazione culturale e tecnica o che si trovano nel­
l’impossibilità di soddisfare bisogni molto sentiti: l’identità, un
normale inserimento sociale, la comunicazione personale signi­
ficativa, il tempo libero, il bisogno di formazione, la partecipa­
zione in progetti di largo respiro.
Questa molteplicità di forme rende la povertà un fatto uni­
versale. Anche le società opulente e tecnologicamente progre­
dite le covano e sviluppano nel loro seno, non solo a causa del­
l’immigrazione, ma anche come risultato residuo del loro stesso
sistema. Basta percorrere le strade di una città per essere col­
piti dalle sue manifestazioni.
Esiste un’interrelazione fra alcune forme di povertà e il no­
stro stile di vita. Il mondo è diventato interdipendente nel bene
e nel male. Da un sistema economico e di produzione che ha
molti pregi, ma non certamente quello di mettere al centro la
persona né di pensare al benessere minimo indispensabile per

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IL RETTOR MAGGIORE 7
tutti, dipende l’attuale disoccupazione, l ’impoverimento di
molti e la conseguente riduzione delle possibilità educative.
Nelle politiche economiche e culturali di una parte del mondo
hanno origine nuove tragedie che colpiscono grandi gruppi, in
maniera quasi anonima, in altre zone del pianeta. Si pensi al fe­
nomeno del debito estero di alcuni paesi, sul quale ha voluto
dire la sua parola anche la Chiesa.
Ci sono quantità di esempi, alla portata di mano, che confer­
mano tale interdipendenza. Il prolungarsi di situazioni limite si
deve senza dubbio alla mancanza di solidarietà sociale, alle len­
tezze nel definire e adempiere i vicendevoli doveri e diritti tra i po­
poli in un mondo unificato, al ritardo nel concepire piani possibi­
li di sviluppo con risorse che certamente esistono e si sprecano.
A parere di tutti gli osservatori e secondo quanto confer­
mano le statistiche, le povertà nel mondo non sono in diminu­
zione, ma in aumento soprattutto nelle zone depresse. Il 1996 è
stato l’anno dedicato allo sradicamento della miseria. Ebbene,
si è concluso con una amara constatazione. La miseria si ripro­
duce nella stessa misura in cui si cerca di risolverla mediante
interventi settoriali di soldi e assistenza.
Lo rilevava la Centesimus A nnus: nel mondo, nono­
stante il progresso tecnico-economico, la povertà minaccia di
assumere forme gigantesche. Nei paesi occidentali c ’è la po­
vertà multiforme dei gruppi emarginati, degli anziani e malati,
delle vittime del consumismo e più ancora quella dei tanti pro­
fughi e immigrati; nei paesi in via di sviluppo si profilano all’o­
rizzonte crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo
misure internazionalmente coordinate” .4
Tutte le forme di miseria bloccano e possono arrivare a di­
struggere le riserve educative della persona. Ci colpiscono in
forma particolare quelle che compromettono le possibilità di
crescita dei giovani, pur riconoscendo che non sono e non si
possono trattare come fenomeni isolati e autonomi.

1.6 Page 6

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Le povertà giovanili, in cui giornalmente ci imbattiamo,
hanno come causa l’indigenza economica, le carenze educative
e culturali, la precarietà familiare, lo sfruttamento ignobile da
parte di terzi, la discriminazione razziale, l’impiego abusivo
come mano d’opera, l’impreparazione al lavoro, le dipendenze
varie, la chiusura di orizzonti che soffoca la vita, la devianza, la
solitudine affettiva. A esse rivolgiamo uno sguardo attento
come al campo del nostro impegno indicatoci dal Signore.
Quello che impressiona di più è la diffusione di un disagio di
fondo che serpeggia tra i giovani e va spingendo a forme di mar­
ginalità e rinuncia alla crescita. Il rischio incombe su tutti, a tal
punto che il CG23 ha indicato la povertà come una delle principali
sfide alla nostra missione proprio in rapporto all’educazione dei
giovani alla fede. “La condizione sociale di povertà interpella e
sfida ogni uomo di buona volontà. L’impossibilità o la grande dif­
ficoltà pratica di realizzarsi come persone, non potendo usufrui­
re delle condizioni minime per uno sviluppo adeguato, pongono
domande serie” .5 “ Chi, come discepolo di Cristo, vede questa
realtà con i suoi occhi e la sente col suo cuore è chiamato a com­
patire queste situazioni e a rendersi solidale con chi le soffre” .6
“ Osservando questa condizione sociale di povertà con gli occhi di
don Bosco e constatando come essa distrugga tanti giovani, il cui
orizzonte di vita si limita alla ricerca dell’immediato per soprav­
vivere o ad un ideale svuotato di senso, ci sentiamo sfidati a fare
più consistente e qualificata la presenza salesiana tra i poveri” .7
L’opzione della Chiesa
L’amore della Chiesa per i poveri appartiene alla sua co­
stante tradizione.8 Figure di santi e sante, opere e istituti reli­
5 CG23 78
6 ib. 79
7 ib. 80
8 cf. CA 57

1.7 Page 7

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IL R ET TO R MAGGIORE 9
giosi stanno a dimostrarlo. Anche numerosi laici ne hanno fatto
un impegno di vita nell’ambito del privato o pubblico.
Nei contesti di maggiore miseria, nella comunità cristiana so­
no sorte persone carismatiche che hanno affrontato le piaghe so­
ciali più diffuse con opportune iniziative. Insieme riuscirono ad
accudire quasi tutte le categorie di poveri proprie del loro tempo:
indigenti, illetterati, abbandonati, ridotti a servitù, carcerati.
Non pochi di essi hanno fondato comunità attrezzate sul versan­
te spirituale ed operativo per venire incontro al bisogno dei poveri
con progetti di vasta portata. Sono passati alla storia come gran­
di testimoni del Vangelo e tra i suoi più eloquenti annunciatori.
All’emergere della questione sociale, una visione più critica
della società mise in luce i meccanismi generatori di miseria. La
Chiesa denunciò allora i modelli di organizzazione economica,
sociale e politica che sottovalutano il valore della persona, la
spogliano del diritto ai beni necessari per una vita pienamente
umana ed espandono la miseria e l’emarginazione.
Il magistero sociale si rese più costante dopo il Concilio, non
solo per le dimensioni che andava prendendo la povertà e per
una percezione ormai indiscussa delle sue cause, ma anche per
la nuova consapevolezza che maturava nella Chiesa riguardo
alla sua testimonianza e missione.
Cinque sono le lettere encicliche che affrontano, in collega­
mento con i problemi del lavoro e dei rapporti tra le nazioni, le
questioni più gravi del sottosviluppo: Populorum progressio
(1967), Octogesima adveniens (1971), Laborem exercens (1981),
Sollicitudo rei socialis (1987), Centesimus annus (1991). Ad
esse bisogna aggiungere il Sinodo dei Vescovi sulla giustizia
(1971) e le dichiarazioni di importanti assise continentali.
Nel contesto di questa sensibilizzazione generale è venuta
guadagnando terreno l’espressione “ scelta preferenziale” dei
poveri. Non è tanto una raccomandazione di carità individuale,
ma un criterio per impostare la pastorale della Chiesa.
Il Concilio l’aveva proposta con numerose indicazioni rivolte ai
cristiani, ai Vescovi ed ai presbiteri. Ne riporto un saggio che ha

1.8 Page 8

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10 ATTI D EL CO NSIGLIO GEN ERALE
abbondanti riscontri. Leggiamo nel decreto che riguarda il mini­
stero sacerdotale: “Anche se sono tenuti a servire tutti, ai presbi­
teri sono affidati in modo speciale i poveri e i più deboli, ai quali
lo stesso Signore volle dimostrarsi particolarmente unito e la cui
evangelizzazione è mostrata come segno dell’opera messianica” .9
È stata la Terza Conferenza Latino-americana di Puebla a
coniare l’espressione “ opzione fondamentale” , esplicitandone il
significato e le applicazioni pastorali. Dopo una lettura evange­
lica della realtà del continente ed un discernimento sul ruolo
che in tale situazione corrispondeva alla Chiesa come portatrice
della buona novella, dichiarava: “Affermiamo la necessità di
conversione di tutta la Chiesa ad una opzione preferenziale per
i poveri, in vista della loro liberazione integrale” .10
Da allora l’opzione per i poveri e le parole che la esprimono si
sono diffuse a tutti i contesti. In uno degli ultimi documenti della
Conferenza Episcopale Italiana, in linea con i precedenti, leggiamo:
“L’amore preferenziale per i poveri si rivela come una dimensione
necessaria della nostra spiritualità. Con gli ultimi e con gli emar­
ginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita” .11
La troviamo pure in molti scritti recenti della Chiesa uni­
versale. Valga per tutti il n. 42 della Sollicitudo rei socialis:
“L’opzione o amore preferenziale per i poveri è una opzione o
una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cri­
stiana, testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa. (....)
Oggi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha
assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci
ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affa­
mati, mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e so­
prattutto senza speranza di un futuro migliore” .12
Viene particolarmente raccomandata ai religiosi. Essi infat-
9 PO 6
10 Puebla; n. 1134 - cf. nn. 1134 -1165
11 Con il dono della carità entro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di
Palermo. Nota della CEI n. 34-35
12 SRS 42

1.9 Page 9

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IL R ET TO R M AGGIORE 11
ti, per la radicalità della sequela, rappresentano in maniera più
immediata, l’amore della Chiesa e del Cristo per i poveri e
hanno in merito una tradizione ricca di iniziative: “L’opzione
per i poveri è insita nella dinamica stessa dell’amore vissuto se­
condo Cristo. Ciò comporta per ogni istituto, secondo lo speci­
fico carisma, l’adozione di uno stile di vita sia personale che co­
munitario, umile ed austero. Forti di questa testimonianza vis­
suta, le persone consacrate potranno, nel modo consono alla
loro scelta di vita e rimanendo liberi nei confronti delle ideo­
logie politiche, denunciare le ingiustizie che vengono compiute
verso tanti figli e figlie di Dio, ed impegnarsi per la promozione
della giustizia nell’ambiente sociale in cui operano” .13
All’aprirsi della fase della nuova evangelizzazione, l’opzione
per gli ultimi venne ribadita con molteplici modulazioni. Si è
sottolineato che essa apre la strada all’annuncio, ne concretizza
il senso e da esso viene illuminata.
Il cuore della nuova evangelizzazione è il Vangelo della ca­
rità che assume i problemi e le situazioni umane che hanno bi­
sogno della forza trasformante dell’amore. E una carità che si
esprime nell’immediato, ma soprattutto si impegna in un pro­
getto sociale e culturale di vasta e lunga portata in cui la per­
sona è sempre considerata secondo la sua vocazione e dignità,
alla luce di quanto ci è stato rivelato in Cristo.
Anche a rischio di sovrabbondare, non voglio tralasciare di
ricordare come l’opzione per i poveri integra il programma ec­
clesiale per il giubileo del 2000. “In questa prospettiva, ricor­
dando che Gesù è venuto ad evangelizzare i poveri (MT 11, 5;
Le 7, 22), come non sottolineare più decisamente l’opzione pre­
ferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve
anzi dire che l’impegno per la giustizia e per la pace in un
mondo come il nostro segnato da tanti conflitti e da intollera­
bili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualifi­
cante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così,
13 VC 82

1.10 Page 10

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12 ATTI D EL CO NSIGLIO G EN ERALE
nello spirito del Libro del Levitico (Lv 25, 8-28) i cristiani
dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo” .14
Il lungo processo di riflessione ha avuto anche l’effetto di
chiarificare il senso dell’opzione preferenziale per i poveri. Essa
non comporta esclusione alcuna, né disattenzione verso
chiunque, ma esprime il coinvolgimento di tutta la Chiesa nel
momento storico per il quale sta passando il mondo. Non è pa­
rallela né giustapposta all’evangelizzazione, che sarà sempre il
primo e più originale compito della Chiesa; ma la si intende al­
l’interno dell’annuncio di Cristo conforme alla delucidazione di
Paolo VI nella Evangelii nuntiandi.15
Non appartiene soltanto ad alcuni, ma è assunta dalla
Chiesa. Non va realizzata con polarizzazioni, ma nella comu­
nione; non va strumentalizzata al protagonismo di persone e di
gruppi, ma portata avanti attraverso la complementarità di
doni, prestazioni e progetti.
Il nostro cammino di riflessione
La Congregazione non è rimasta indifferente di fronte alle
nuove manifestazioni della povertà in generale ed in particolare di
fronte ai segni del disagio giovanile. È sempre viva nella sua me­
moria l’immagine di don Bosco capace pure lui, come Gesù, di
commuoversi profondamente di fronte alle miserie dei giovani.
Risuonano nella sua coscienza le espressioni con cui don
Bosco consegna le sue reazioni di fronte ai ragazzi del carcere:
“Vedere turbe di giovanetti sull’età da 12 a 18 anni; tutti sani,
robusti, di ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati
dagli insetti, stentare di pane spirituale e temporale, fu cosa
che mi fece inorridire” .16
14 TMA51
15 cf. EN 32
16 Bosco G., Memorie dell’Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992 pag. 104

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL RET TO R M AGGIORE 13
Da quella esperienza cominciò a profilarsi una nuova figura
di sacerdote per i giovani, ebbe origine un nuovo tipo di opera
educativa, venne a crearsi un nuovo ambiente di educazione, si
immaginarono percorsi di crescita sulla misura dei giovani, al
punto che il nome di don Bosco oggi è unito ad alcuni modelli di
opere ed a uno stile di educazione anche se non sempre sia
stato lui il primo a concepirli.17
E quanto sembra affermare Egli stesso quando commenta:
“Fu in quella occasione che mi accorsi come parecchi erano ri­
condotti in quel sito perché abbandonati a se stessi. Chi sa, di­
ceva tra di me, se questi giovani avessero fuori un amico, che si
prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione
nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla
rovina o almeno diminuire il numero di coloro che ritornano in
carcere? Comunicai questo pensiero a don Cafasso e col suo
consiglio e coi suoi lumi mi sono messo a studiare il modo di ef­
fettuarlo” .18
E netta da allora la scelta della prevenzione e, come sua
forma completa, la scelta dell’educazione ispirata al criterio
preventivo, cioè attenta a sviluppare le energie che abilitano la
persona a emergere dai condizionamenti che la vita può por­
tare, capace di anticipare esperienze gravemente negative in
cui verrebbero compromesse le risorse del soggetto o comunque
l’uscirne comporterebbe per lui un dispendio inutile e doloroso
di energie.
Il problema dei giovani, in seguito da lui cercati e avvicinati,
è stato tramandato nella tradizione orale e istituzionale della
Congregazione e ultimamente pure studiato con rigore storico.
Le conclusioni convergenti possono aiutare a illuminare situa­
zioni umane odierne e le scelte che esse richiedono.
Il campo giovanile ampio, resta sempre l’opzione fondamentale
per don Bosco. La preferenza per i poveri, abbandonati, derelitti,
17 cf. Stella E, Don Bosco nella storia. Voi. I pag. 106-112
18 Bosco G., Memorie dell’Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992 pag. 104

2.2 Page 12

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14 ATTI D EL CO NSIGLIO GEN ERALE
bisognosi, pericolanti va assumendo un senso variegato a mano a
mano che don Bosco deve confrontarsi con nuove necessità.
Al momento del maggiore sviluppo la sua opera si rivolge ad
una frangia di gioventù comune, con risorse umane intatte, biso­
gnosa piuttosto dal punto di vista economico, per una sua conve­
niente promozione umana e cristiana; a un frangia di giovani an­
che di classe media e popolare “di particolare buona indole” e di
pietà, candidati “alla carriera ecclesiastica” o base esemplare per
le sue istituzioni; a un piccolo margine di discoli di diverse tipolo­
gie, per i quali si pensa sempre preferibile l’intervento preventivo.
In un ambiente educativo giovanile e propositivo permeato
dalla ragione, dalla fede e dalla amorevolezza, si può fare in una
certa misura anche opera di ricupero e di rieducazione. Si è ri­
fiutato di accettare case di corrigendi, così come erano pensate e
gestite nel suo tempo. Ha invece sempre pensato che l’opera di
ricupero e di rieducazione dovesse avvenire attraverso l’insieme
degli elementi che compongono nella sua totalità il Sistema
Preventivo nella triplice valenza razionale, religiosa, affettiva.19
Don Bosco presenta il suo sistema educativo come il più ade­
guato alla rieducazione dei ragazzi, toccati dalla delinquenza o co­
munque gravemente emarginati. Ciò si riflette nelle sue parole e
nei suoi scritti ai cooperatori, alle pubbliche autorità, agli ex al­
lievi quando li invita a collaborare all’educazione della gioventù,
specialmente di quella più povera e abbandonata; per liberare
tanti fanciulli dalla rovina materiale e morale, dalle carceri, dal­
la corruzione dei costumi e dalla perdita della fede.20
Ultimamente poi sono stati rilevati la dimensione e il valore
ampiamente sociale dell’intervento di don Bosco che non va
rinchiuso in ambienti educativi troppo esclusivi o specifici. E
non solo perché nelle sue intenzioni ci sono la rigenerazione e il
19 cf. Braido E, Poveri e abbandonati, pericolanti e pericolosi: pedagogia, assi­
stenza, socialità ed esperienza preventiva di Don Bosco”, in Annali di storia dell’educa­
zione, 1996, Voi. 3 pag. 185
20 cf. B ra id o E, ib. pag. 190

2.3 Page 13

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IL R ET TO R MAGGIORE 15
“benessere della civile società” , e perché nell’opera di educa­
zione-promozione della gioventù vengono interessate le più sva­
riate istanze che hanno a che vedere col sociale e col politico;
ma anche perché gli stessi programmi educativi non si restrin­
gono ai profili abituali e si svolgono liberamente con novità in
ampi ambiti sociali. Si pensi al rapporto col mondo del lavoro,
ai contratti, al tempo libero, alla promozione dell’istruzione e
cultura popolare.
Don Bosco si fa promotore o per lo meno sognatore di vasti
progetti sociali di prevenzione e di assistenza.21
Le Costituzioni, che guidano il nostro comportamento come
singoli, ma più ancora lo sviluppo del progetto comunitario,
hanno riprodotto queste convinzioni di don Bosco nel capitolo
sui destinatari della nostra missione. Ne presentano in succes­
sione: i giovani specialmente i più poveri, i giovani che si av­
viano al lavoro, quelli che danno speranza di vocazione. Dei gio­
vani più poveri si dice che sono i primi e principali destinatari
della nostra missione per cui noi “lavoriamo specialmente nei
luoghi di più gravi povertà” .22
E chiaro che i giovani poveri, indicati come primi e princi­
pali destinatari della missione salesiana, non stanno nel testo
costituzionale semplicemente accanto alle altre categorie elen­
cate, ma al loro centro, irradiando un significato alla cui luce si
capiscono le altre specificazioni del campo a cui ci sentiamo
chiamati. Così come l’accenno ai giovani non si pone allo stesso
livello, ma come riferimento motivante del nostro impegno
verso gli adulti del ceto popolare.
La missione salesiana ha così una definizione unitaria, non
una lista indifferenziata di possibilità. Muove da una scelta che
dà ragione del tipo e dell’intensità della carità pastorale, che si
richiede da noi e si estende ad altri cerchi più ampi con lo
stesso spirito.
21 cf. B r a id o P , ib. pagg. 183 - 2 3 6
22 Cost. 26

2.4 Page 14

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16 ATTI D EL CONSIGLIO GEN ERALE
Più tardi, e in vista della nuova realtà, nei Regolamenti ge­
nerali si elencarono i diversi tipi di povertà ai quali vogliamo ri­
spondere col nostro servizio educativo: “ dei giovani anzitutto
che, a causa della povertà economica, sociale e culturale, a volte
estrema, non hanno possibilità di riuscita; dei giovani poveri
sul piano affettivo, morale e spirituale e perciò esposti alla in­
differenza, all’ateismo e alla delinquenza; dei giovani che vi­
vono al margine della società e della Chiesa” .23 Si prende atto
così dell’allargamento delle povertà nelle società complesse, in
cui spesso le diverse forme si accumulano e condizionano mu­
tuamente, creando situazioni fortemente disumanizzanti.
Viene pure suggerita una duttilità di approcci e di strutture
educative secondo le necessità di coloro a cui ci dedichiamo. Ri­
mane quale riferimento permanente il modello “ oratoriano” 24
come ambiente di accoglienza, attento al rapporto personale,
aperto a tutte le attività e forme di espressione adeguate alla si­
tuazione del giovane, organizzato “secondo un progetto di pro­
mozione integrale dell’uomo orientato a Cristo, uomo perfetto” .26
Le iniziative concrete
L’ultimo tempo ha comportato per noi una lenta ma co­
stante evoluzione in molti sensi riguardo alla scelta dei più po­
veri. L ’emarginazione e il disagio giovanile sono più conosciuti
e vengono seguiti con maggiore attenzione; le loro manifesta­
zioni sono meglio comprese e si è più attenti alle cause.
Alla diffusione di tale conoscenza hanno contribuito le rac­
comandazioni dei Capitoli Generali, l’abitudine della progetta­
zione, la divulgazione di ricerche specifiche e alcune iniziative,
come l’osservatorio della condizione giovanile, i corsi di peda­
23 Reg. 1
24 cf. Cost. 41
25 Cost. 31

2.5 Page 15

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IL R ET TO R M AGGIORE 17
gogia sociale, i convegni sul tema del disagio, le ricerche varie
fatte da noi a raggio immediato o ampio.
Si sono chiariti la valenza, i gradi e le forme complementari
della prevenzione e così pure il senso salesiano della preventi-
vità, che non esclude il ricupero dei soggetti già raggiunti dalle
conseguenze della marginalità e del disagio, ma anzi si propone
come forma ottimale per risvegliare le loro risorse ancora sane
e arginare il deterioramento definitivo.
Lo volle confermare il Rettore Maggiore alla fine del CG22:
“La carità pastorale vissuta da don Bosco ci stimola ad andare
verso i giovani più bisognosi, verso quelli che sono in particolari
pericoli, sia nel terzo mondo come anche nelle società di con­
sumo. Don Bosco ci insegna che la forza educativa del Sistema
Preventivo si mostra anche nella capacità di ricupero dei ra­
gazzi sbandati che conservano delle risorse di bontà e nel pre­
venire sviluppi peggiori quando si stanno incamminando già
sulla strada della devianza” .26
I Capitoli Generali hanno stimolato continuamente una
maggiore intraprendenza e audacia di iniziativa che esprimesse
la nostra solidarietà con le diverse forme di povertà. Dopo la
proposta delle nuove presenze negli ambienti di emarginazione,
enunciata dal CG2027 e ribadita nel CG21,28 un orientamento
operativo del CG2229 chiede alle ispettorie di “ritornare ai gio­
vani, al loro mondo, ai loro bisogni, alla loro povertà. Diano ad
essi una vera priorità, manifestata in una rinnovata presenza
educativa, spirituale e affettiva. Cerchino di fare la scelta co­
raggiosa di andare verso i più poveri ricollocando eventual­
mente le nostre presenze dove è maggiore la povertà” .30
L’invito ad un inserimento più deciso tra i più poveri è rical­
cato dal CG23. Dopo aver presentato la povertà come una delle
26 CG22 72
27 cf. CG20 39-44. 515. 181. 619
28 cf. CG21 158-159
29 cf. CG22 6
30 ib. 6

2.6 Page 16

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18 ATTI D EL CONSIGLIO GEN ERALE
sfide che per la sua gravità, urgenza e ampiezza interpella più
direttamente le comunità, chiede ad ogni ispettoria di indivi­
duare nuovi e urgenti fronti di impegno, principalmente tra i
giovani che hanno maggiori difficoltà, istituendo per loro
qualche presenza come “ segno” del nostro andare verso i gio­
vani più lontani.31
Al chiarimento dei concetti di prevenzione e preventività,
alla maggiore conoscenza del disagio giovanile, all’orienta­
mento insistente dei Capitoli Generali, bisogna aggiungere un
altro fatto. Nelle ispettorie si sta avverando un certo movi­
mento verso i più poveri. Dappertutto si sono date risposte
creative come parte di un progetto possibile di ricollocazione. A
seconda del contesto esse hanno mirato a raggiungere i ragazzi
che vivono nella strada, a collocarsi in zone urbane di miseria
generalizzata, a risolvere il problema dell’abbandono scolastico
con percorsi educativi alternativi, ad assistere i giovani carce­
rati, ad operare nell’ambito della tossicodipendenza con forme
di prevenzione, accoglienza e accompagnamento per il ricupero.
Il numero complessivo di queste iniziative è decisamente
consistente. Sono pure aumentate nel sessennio scorso.
Alcune presentano un modello nuovo dal punto di vista pe­
dagogico e salesiano, sostenuto da competenze professionali e
portato avanti con tenacia. Così, pur con un volume modesto di
iniziative, abbiamo dato anche noi il nostro contributo di rifles­
sione pedagogica e sociale ispirata al Sistema Preventivo su al­
cune forme di devianza.
Vanno rilevati l’influsso che queste iniziative hanno sugli
altri ambienti di educazione dell’ispettoria e la maggiore cono­
scenza del disagio giovanile che vi portano, così come l’inci­
denza che hanno sul contesto sociale e sull’opinione pubblica.
Il CG24 ha rilevato la loro capacità di convocazione e coin­
volgimento di laici. “ La riflessione comune, — dice — il pro­
getto condiviso e il rapporto con i laici sono esperienze positive
31 cf. CG23 230

2.7 Page 17

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IL R ET TO R M AGGIORE 19
soprattutto nelle cosiddette nuove presenze, sorte come risposta
agile e immediata ai problemi posti dal disagio giovanile, dall’e­
marginazione, ecc. In queste sedi si stanno sviluppando anche
le forme migliori di partecipazione laicale e di volontariato” .32
Bisogna aggiungere che alle varie forme di emarginazione e
di disagio si danno risposte parziali anche nelle altre presenze
educative. Basta visitare alcuni dei nostri centri di formazione
professionale e oratori per convincersene. In essi non solo si fa
un’efficace prima prevenzione, ma trovano accoglienza, interlo­
cutori e proposte, ragazzi e giovani che sono già a rischio di di­
sorientamento.
Rientrata quasi dappertutto la polemica che opponeva i di­
versi tipi di presenza e superata quella forma eccessivamente
individuale per cui alcune di queste opere venivano considerate
come retaggio di confratelli singoli che forse avevano avuto il
merito di desiderarle e iniziarle, si va notando ovunque un’as­
sunzione più decisa da parte delle ispettorie e quindi una mag­
giore integrazione delle iniziative e dei confratelli che operano
nel progetto ispettoriale.
GUARDANDO IL FUTURO
Una rilettura cristiana della realtà
Vedendo la folla, i discepoli si avvicinano a Gesù e gli di­
cono: “Il luogo è isolato e ormai è già tardi. Lascia andare tutta
questa gente in modo che possa comprarsi qualche cosa da man­
giare nelle campagne e nei villaggi qui intorno”. Era una osser­
vazione di buon senso, di gente comune e nello stesso tempo un
modo di trarsi fuori dal problema, di non farsene carico.
Gesù risponde: “Voi stessi date loro da mangiare”.33 Con ciò
CG24 20
Me 6, 37

2.8 Page 18

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20 ATTI D EL CONSIGLIO GEN ERALE
afferma che il problema li riguarda. Sorprende i discepoli con
tale ordine. Essi prendono in considerazione l’indicazione di
Gesù, ma concludono subito che è loro impossibile adempierla.
La folla è troppo numerosa e i mezzi non esistono. Questo è so­
vente anche il nostro sentimento e la nostra conclusione.
Essi non comprendono l’intenzione di Gesù. Pensano al
molto di cui avrebbero bisogno e di cui non dispongono. Gesù
invece conta sul poco che possono mettere a disposizione. Per
lui la soluzione non dipende dalla quantità iniziale di cibo.
L ’ estensione della povertà infatti ha radici profonde. Ci
sono certamente quelle personali. Appartengono a colui che
soffre il disagio e l’emarginazione e a coloro che sono più stret­
tamente legati alla sua vita e alla sua crescita.
Persino nei contesti agiati le condizioni favorevoli di svi­
luppo vengono vanificate quando sono carenti le disposizioni
personali. Viceversa, rafforzate le risorse che ci sono nelle per­
sone, queste riescono ad aprirsi un varco in ambienti forte­
mente condizionanti e a produrre in essi trasformazioni signifi­
cative nell’ordine dei rapporti, della socialità e della condivi­
sione. Puntare sulle persone e sulla loro motivazione è dunque
un’indicazione sempre valida.
È vero però che lo sviluppo personale viene favorito o reso
diffìcile, fino a rasentare l’impossibilità concreta, da cause cul­
turali, cioè legate alla mentalità che predomina nell’ambiente e
che determina comportamenti, valutazioni, modalità di vita e di
rapporti.
Negli ultimi tempi si è dunque insistito sull’urgenza di lavo­
rare per una cultura che riconosca la dignità di ogni persona,
rafforzi la solidarietà in tutti gli ambiti e in tutte le forme, assi­
curi il bene e il diritto dell’educazione per tutti, non ceda men­
talmente a pregiudizi o valutazioni sommarie di comodo e non
cada nella trappola dell’individualismo e del consumismo. Solo
così si può rifare il tessuto sociale e renderlo più umano.
La stessa insistenza permea l’insegnamento etico e sociale
della Chiesa. Per noi è molto stimolante perché collega l’im-

2.9 Page 19

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IL R ET TO R M AGGIORE 21
pegno di promozione umana, che compiamo attraverso ¡’educa­
zione-evangelizzazione, ad un ambito più ampio dove sono pos­
sibili altre iniziative. Combacia poi con quanto abbiamo eredi­
tato da don Bosco e ci viene suggerito dalle Costituzioni, là
dove esse si riferiscono alle nostre presenze tra i ceti popolari e
alla nostra azione attraverso la comunicazione sociale.
Ma alle cause radicate nelle singole persone e nella menta­
lità comune bisogna aggiungere, e forse anteporre per il loro
peso, quelle strutturali.
Esse agiscono simultaneamente su molte persone in ambiti
molto estesi e con meccanismi molto potenti. Hanno dunque
una capacità senza pari di imporre una situazione, modi di pen­
siero e stili di vita, rigenerando o prolungando l’emarginazione
ad essi collegata. Fenomeni come quello della fame, della mi­
seria, dei conflitti prolungati, dello sfruttamento della mano
d’opera, della devastazione delle risorse naturali sono suffi­
cienti per darne un’idea.
La riflessione ci deve servire non tanto per ritornare a de­
nunce di maniera, ma per impostare correttamente, anche nel
piccolo, l’azione educativa e di evangelizzazione. Non si educa
infatti se non si fa prendere coscienza del mondo in cui
viviamo.
Da alcuni anni si va ripetendo che ci troviamo di fronte a un
fenomeno di impoverimento piuttosto che di semplice povertà.
Non si tratta di una tappa transitoria, un incidente di percorso,
conseguenza del passato; ma del risultato di attuali strutture
economiche, sociali e politiche, pur riconoscendo che altre
cause influiscono sull’estendersi della povertà.14
Questo scenario si è logorato ancora con la prevalenza di un
unico e universale modello economico. La logica che si va impo­
nendo attraverso di esso è che la produzione di beni si muove
all’insegna del profitto e non va regolata da esigenze di un
giusto sviluppo sociale che includa tutti.
31 Puebla, n. 30

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO G EN ERALE
Tra i suoi effetti più gravi vi sono l’allentamento e persino
la decomposizione della solidarietà sociale, la riduzione della
persona a individuo capace di possesso, produzione e acquisto.
Il modello di uomo è infatti centrato più sull’avere che sul­
l’essere. Di conseguenza si fa strada il costume consumistico: la­
vorare per avere, avere per acquistare, acquistare per consumare.
Approfondire le ispirazioni
L’intreccio descritto sopra, indica che qualsiasi soluzione è
precaria e insufficiente se non si punta al cuore dell’uomo: al
nostro cuore, di discepoli chiamati ad assumere la compassione
e la logica di Gesù; al cuore dei giovani che vogliamo avvici­
nare; al cuore di coloro che si riferiscono a Cristo come suoi se­
guaci o ammiratori; al cuore di chi ha beni materiali, d’intelli­
genza o competenza; al cuore di chi deve decidere orientamenti
sociali e politici.
È quello che suggerisce il gesto di Gesù. La quantità verrà e
supererà il bisogno se ci sono coloro che mettono a disposizione
del Signore i loro pani e i loro pesci.
Lo stesso messaggio ci giunge dai luoghi e tratti del nostro
carisma.
Il nostro carisma è nato ai Becchi con la vocazione di don
Bosco. La casetta natia ricopia l’icona della moltiplicazione,
quando sul suo sfondo si colloca la carta geografica delle opere
salesiane distribuite oggi nel mondo. Lì in un ambiente di reale,
anche se degna povertà, Giovanni Bosco mise a disposizione del
Signore quello di cui disponeva: la sua vita.
Sperimentò l’angoscia economica per realizzare studi e sogni.
Si sottomise alla prova del lavoro sotto padrone. Allo stesso tem­
po sentì la solidarietà della comunità umana e cristiana e so­
prattutto il sostegno dei sacerdoti. Essi con il loro incoraggia­
mento ed il modesto contributo economico portarono a Gesù il
ragazzo dei pani e dei pesci, che oggi arrivano a una folla.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL R ETTO R M AGGIORE 23
La nostra opera è frutto di grazia e genialità ma anche di
solidarietà umile e quasi anonima.
Il luogo spirituale della missione è l’oratorio, cominciato
senza dimora fissa, alloggiato in una tettoia, sviluppatosi in
quello che oggi è Valdocco. Di esso scrive don Bosco: “In gene­
rale l’oratorio era composto di scalpellini, stuccatori, selciatori,
quadratori e di altri che venivano da lontani paesi. Essi non es­
sendo pratici né di chiese né di compagni erano esposti ai peri­
coli di perversione, specialmente nei giorni festivi” .36 Ce la ri­
cordano continuamente questa nostra origine e questa prefe­
renza del nostro Padre quando ci interrogano sull’attuale di­
sagio giovanile.
Dall’incontro con i giovani poveri è nata la nostra peda­
gogia, con le sue caratteristiche di contenuto e metodo, con la
figura di un educatore che va oltre il ruolo istituzionale ed è per
i giovani amico e padre. Don Caviglia la definisce una peda­
gogia per il ragazzo povero.
Dalla situazione dei ragazzi poveri sono state suggerite le
iniziative e i programmi che attraversano la nostra storia: l’o­
ratorio, le scuole professionali, il pensionato famiglia. Don
Bosco lo ripete quando presenta la storia della Congregazione,
nelle “Memorie dell’oratorio” , nel suo Testamento. Sembra na­
turale che da essi riparta per rinnovarsi.
La fonte ispirante è sempre la carità pastorale diffusa dallo
Spirito nel battesimo e nella chiamata alla vita salesiana: ma la
ricerca, l’incontro e la condivisione della vita con i giovani po­
veri sono la “circostanza provvidenziale” , la mediazione indi­
spensabile nel sorgere e nel progressivo concretizzarsi della no­
stra missione; è l’esperienza dell’amore gratuito e corrisposto,
della salvezza vissuta, del ritorno alla vita.
Nel contatto con i giovani poveri, don Bosco ne scopre le ric­
chezze interiori, le potenzialità, la dignità innata, sentita e desi­
derata. Ciascun giovane porta personalmente i segni dell’amore
36 Bosco G., Memorie dell’Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992 pag. 104

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di Dio nel desiderio di vita, nell’intelligenza e nel cuore. La po­
vertà, che impedisce loro di crescere da persone e figli di Dio, è un
appello e una sfida a restituire loro la coscienza del proprio valo­
re e a far emergere i doni di cui il Signore li ha arricchiti.
Don Bosco allora concepisce il suo servizio sacerdotale come
lavoro educativo per far affiorare le risorse nascoste, per far
emergere i tratti che sembrano cancellati, fino a portare i giova­
ni ad un livello soddisfacente di vita umana e cristiana; anzi alla
santità. Rivela loro il volto del Dio di Gesù, un Dio che ha cura dei
passeri e dei fiori, che non vuole che si perda uno solo dei picco­
li, che non attende che la pecora smarrita torni, ma esce a cer­
carla; che viene preso da un profonda compassione di fronte ad
ogni situazione umana di dolore e risveglia la speranza.
Ciò costituisce per lui un’autentica esperienza di Dio, sco­
perto con ammirazione e raccontato con gioia nella sua provvi­
dente paternità; è la stessa esperienza di Gesù che resta sor­
preso perché il Padre abbia tenute occulte le cose del Regno ai
saggi ed ai prudenti e le abbia voluto rivelare ai piccoli,36quella
che porta a capire e affermare il valore di ogni ragazzo al di
sopra delle apparenza perché i loro angeli sono continuamente
alla presenza del Padre.
I giovani poveri, dunque, sono stati e sono ancora un dono
per i salesiani. Il ritorno ad essi ci farà recuperare il tratto
centrale della nostra spiritualità e della nostra prassi pedago­
gica: il rapporto di amicizia che crea corrispondenza e desiderio
di crescere.
Oggi bisogna andare di nuovo oltre le strutture stabilite,
oltre le cose da dare; bisogna uscire, fare un esodo mentale e
pedagogico verso il rapporto, la presenza, la condivisione.
È questo l’atteggiamento fondamentale con cui il sistema
preventivo realizza in termini educativi la sequela di Gesù che
piantò la sua tenda fra di noi, venne a cercare e salvare chi era
perduto, si mescolò con i pubblicani e si sedette a tavola con i
30 Le 10,21

3.3 Page 23

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IL R ETTO R M AGGIORE 25
peccatori, si avvicinò a poveri e malati e fece di questi gesti i
segni della sua missione di salvezza.
Il Regno di Dio si manifesta, cresce e si realizza tra i poveri
perché consiste tutto in una relazione gratuita che Gesù stabi­
lisce e rinnova con coloro che non credono di avere meriti né
davanti alla società né davanti a Dio.
A volte siamo troppo preoccupati di quello che noi possiamo
dare o di quello che ci manca per agire, fino a diventare inca­
paci di scoprire le ricchezze che ci sono nei giovani, che essi
possono mettere a frutto, con le quali veniamo noi stessi arric­
chiti. Il sistema preventivo ci obbliga a svuotarci di noi stessi e
accogliere i doni che il Signore ci offre, soprattutto in coloro che
sono più bisognosi e all’apparenza meno degni.
La povertà dell’educatore salesiano
Il commento precedente ci porta a riflettere sulla povertà
dell’educatore salesiano. Essa, prima ancora che a norme sul­
l’uso del denaro e delle cose, si riferisce ai beni in cui riponiamo
la nostra speranza e felicità. Beati i poveri!
È un dono dello Spirito che ci fa capaci di comunione. Con­
siste in una profonda necessità di Dio e dei fratelli. Scaturisce
dall’esperienza dell’amore di Dio e della risposta a Lui nell’a­
pertura agli altri. Alla sua luce i beni materiali risultano fun­
zionali e secondari. Chi ha trovato nell’amore il senso della
vita, non ha bisogno di attaccarsi alle cose per essere felice,
benché se ne serva con libertà.
Il Dio di Gesù, essendo sufficiente alla propria felicità, si fa
povero per arricchirci. È un Dio che sceglie coloro che sentono
l’insufficienza propria e li colma di beni perché il suo essere è
donare. È il Dio che prima e più fortemente di noi, vuole che i
poveri abbiano la vita e viene al nostro incontro nei giovani più
bisognosi per offrirci il dono della sua presenza e la partecipa­
zione al suo amore.

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GEN ERALE
Coscienti che tutto quello che siamo è un dono e che gli
altri, anche se poveri, hanno da arricchirci, li guardiamo e
avviciniamo con gratitudine e attesa, favoriamo la loro
espressione, offriamo spazi alla partecipazione, anche se risulta
limitata e imperfetta, non ci consideriamo liberi dalle miserie
umane, collaboriamo con senso di umiltà alla crescita della
loro vita, godiamo del sorgere delle energie e dei traguardi che
vanno raggiungendo soprattutto i più piccoli e gli ultimi.
Sappiamo che è più quello che riceviamo da loro e da Dio che
quello che diamo.
Questa visione caratterizza la nostra preghiera che così di­
venta semplice, fiduciosa e concreta37; centrata nell’azione di
grazie per quello che Dio ha dato a noi gratuitamente e per la
vita dei giovani; una preghiera che ci dispone a condividere,
dando e ricevendo da loro3S; che esprime e sviluppa in noi il bi­
sogno di Dio senza il quale non possiamo far niente39e ci porta
a scorgere il Regno che va crescendo tra coloro che accolgono
Dio, abbiano beni in abbondanza o meno.
Convinti che ciò che facciamo a loro lo facciamo a Cristo, ci
impegniamo ad operare con professionalità, attingendo con li­
bertà ciò che la scienza e la tecnica mettono a nostra disposi­
zione. Ci imponiamo una formazione continua per dare risposte
adeguate alle nuove situazioni di povertà, mettiamo in atto con
coraggio nuove forme di aggregazione e ricerca di risorse al ser­
vizio dei poveri e cerchiamo di organizzare più accuratamente
la loro gestione.
Allo stesso tempo manteniamo uno stile di vita semplice,
anzi austero, senza cedere al desiderio di possesso illimitato di
cose o di comodità. Era quello che consigliava don Bosco ai
primi missionari: “Fate che il mondo conosca che siete poveri
negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni e voi sarete ricchi in
37 Cost. 86
38 ib. 95
39 ib. 12

3.5 Page 25

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IL R ETTO R M AGGIORE 27
faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini” . Anche
nell’azione mettiamo la nostra fiducia nei mezzi poveri
dell’amicizia e del rapporto piuttosto che difenderci dietro
l'organizzazione.
Questa spiritualità ci aiuterà a vivere un altro atteggia­
mento caratteristico del nostro Padre: la fiducia nella Provvi­
denza. La povertà di don Bosco fu serena, attenta al Regno di
Dio e alla sua giustizia e anche industriosa, a servizio dei gio­
vani. Sapeva incominciare con poco, motivare la collaborazione
e orientare l’uso del denaro direttamente a finalità educative.
Chiedeva ed attendeva, ma non rimaneva impigliato nella ri­
cerca dei mezzi.
In una cultura caratterizzata dalla preoccupazione eccessiva
della propria sicurezza, soprattutto materiale, dobbiamo essere
segni di libertà evangelica, preoccupandoci in primo luogo delle
persone e del Vangelo, sicuri che il Signore ci aiuterà a trovare
le risorse di cui abbiamo bisogno. Così sono cominciate tutte le
nostre presenze e così hanno avuto origine le grandi imprese
della Congregazione.
Fare la scelta dei giovani poveri
Le nuove povertà dovranno trovare i salesiani sensibili, ca­
paci di cogliere il peso negativo che esse hanno sui giovani e
pronti ad intervenire come lo fu don Bosco con la povertà del
suo tempo.
La risposta positiva è una realtà in molti luoghi, ma per
tutti la domanda di Cristo rilancia, in maniera semplice e di­
retta, la “ sfida carismatica” . Quanti pani e pesci potete e volete
mettere a disposizione?
Il CG23 riconosceva che le presenze direttamente orientate
ai giovani in difficoltà hanno una forte incidenza moltiplica­
trice: sono punti di riferimento e di promozione della solida­
rietà, riscuotono l’approvazione generale, riescono a coagulare

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO G EN ERA LE
collaborazioni molteplici, creano mentalità solidale nella gente
e ottengono l’appoggio della società.40
Come estendere ancora queste aree di solidarietà?
Puntiamo in primo luogo sui confratelli e sulle comunità. C’è
da diffondere conoscenze, c’è da affinare sensibilità, c’è da infon­
dere fiducia e coraggio, c’è da risvegliare l’originalità carismatica.
Non è poca cosa se in un’ispettoria o comunità locale tutti
riescono a cogliere la portata, la profondità e le manifestazioni
odierne del disagio giovanile nel proprio contesto, come un ri­
schio incombente su tutti gli adolescenti e giovani, che esplode
in alcune fasce più deboli ed esposte.
Non è poco se si superano le colpevolizzazioni, la stigmatiz­
zazione delle devianze giovanili e si rinnova la fiducia nelle ri­
sorse del giovane e nel suo desiderio di rifarsi. Amorevolezza,
ragione, religione sono ancora vincenti quando noi riusciamo
ad esserne mediatori efficaci.
Il salesiano può rivivere così lo stile di don Bosco, abbattendo
le barriere della diffidenza, aiutando a superare i pregiudizi e
dando opportunità per un incontro fecondo. Ciò porterà ad un
inserimento spirituale e fisico nel mondo reale dei giovani.
Non mi fermo ad esplicitare quello che tale inserimento ri­
chiede e le trasformazioni che opera: l’incontro quotidiano con
questi giovani e le loro situazioni di disagio produrranno nelle
comunità nuovi stimoli per una fede vissuta come realtà salvi­
fica e trasformatrice della storia. Le muoverà a vivere con più
semplicità e creatività il servizio educativo.
Senza questo movimento spirituale e fisico di accostamento
alla povertà diventa diffìcile una risposta più consistente alla
sfida dell’emarginazione giovanile. La conoscenza e l’avvicina-
mento tendono alla condivisione di quello che abbiamo per
grazia, di quello che i giovani patiscono, di quello che vorreb­
bero raggiungere, del cammino che pensano di poter fare.
Quanto, di spogliamento personale e di assunzione dei senti-
40 cf. CG23 290

3.7 Page 27

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IL R ETTO R MAGGIORE 29
menti di Gesù, Buon Pastore, ciò richieda, lo possono dire solo
coloro che l’hanno sperimentato.
C’è poi un altro passo da fare, impegnativo e complemen­
tare: elaborare un progetto ispettoriale per l’emarginazione gio­
vanile che coinvolga le comunità. La realtà del disagio giovanile
e il rischio dell’emarginazione vanno prese in considerazione in
tutte le presenze.
Dovrebbero portare ad enucleare contenuti e modalità edu­
cative nella linea di una più attenta e aggiornata prevenzione;
ad animare il territorio, in vista della corresponsabilità di isti­
tuzioni e famiglie, per la qualità dei rapporti e della vita.
Potrebbero portare anche a privilegiare, nelle singole opere,
un’accoglienza più numerosa di ragazzi e giovani “a rischio” ,
che possono essere tenuti lontani dalla devianza con pro­
grammi appropriati e un ambiente educativo di sostegno.
Renderanno comunque più pronto lo sguardo degli educa­
tori sui sintomi iniziali o ancora latenti, di disagio e sulle prime
manifestazioni di cedimento all’emarginazione.
Oltre a questa attenzione generale, c’è bisogno di creare al­
cune iniziative e distaccare gruppi che operino nell’ambiente
stesso dell’emarginazione tra i soggetti già raggiunti da essa.
Tali presenze, superata la contrapposizione o il senso di
straordinarietà, aiuteranno tutte le comunità nella conoscenza
e trattamento del disagio e a mantenere vivace lo stile del Si­
stema Preventivo.
La nostra preoccupazione: educare
Le povertà e l’emarginazione non sono un fenomeno pura­
mente economico, ma una realtà che tocca la coscienza delle
persone e sfida la mentalità della società. L ’educazione è
dunque un elemento fondamentale per la loro prevenzione e
per il loro superamento ed è pure il contributo più specifico ed
originale che, come salesiani, possiamo dare.

3.8 Page 28

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30 ATTI D EL CO NSIGLIO G EN ERALE
Educare significa accogliere, ridare la parola e comprendere.
Vuol dire aiutare i singoli a ritrovare se stessi; accompagnarli
con pazienza in un cammino di ricupero di valori e di fiducia in
sé. Comporta la ricostruzione delle ragioni per vivere.
L ’insegnamento sistematico è una via importante per la
prevenzione e il superamento della povertà e del disagio, ma a
condizione che ci conduca ad un incontro con l’integralità della
persona; l’anonimato istituzionale o il solo apporto di cono­
scenze non realizza i fini dell’educazione.
Oggi educare ci chiede una rinnovata capacità di dialogo,
ma anche di proposta. Bisogna raggiungere le persone e quello
che interroga o sfida la loro vita; bisogna coinvolgere in espe­
rienze che aiutino a cogliere il senso dello sforzo quotidiano,
puntare su una proposta ricca di interessi e saldamente anco­
rata a quello che è fondamentale e che, mentre offre gli stru­
menti fondamentali per guadagnarsi da vivere, rende capaci di
agire da soggetti responsabili in ogni circostanza.
Nell’educazione emergono alcune urgenze. Il CG23 indicava
la costellazione vita - amore - coscienza - solidarietà come sfida
alla nostra opera anche di evangelizzazione.41
La considerava uno degli aspetti da curare in ogni nostro
programma educativo e ne indicava pure i traguardi principali:
radicare attraverso rapporti, convinzioni ed esperienze il valore
della persona e della sua inviolabilità, al di sopra dei beni mate­
riali e di ogni struttura od organizzazione, per abilitare a fare
scelte autonome di fronte ai pesanti meccanismi di manipola­
zione ed a valutare correttamente situazioni inumane; orien­
tare i giovani alla conoscenza adeguata della complessa realtà
culturale e socio-politica, cominciando con quella più vicina e
quotidiana, per arrivare fino alle istituzioni e ai modelli socio­
economici che hanno influsso determinante sul bene comune;
coinvolgere i giovani, quelli di ambienti di povertà e quelli dei
contesti di benessere, in iniziative che richiedono solidarietà,
41 cf. n. 182-214

3.9 Page 29

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IL R ETTO R MAGGIORE 31
perché imparino a farsi carico delle sofferenze altrui e a colla­
borare per superarle.
Il programma enunciato costituisce una efficace preven­
zione contro dipendenze e stimoli negativi, offre indicazioni per
un cammino di ricupero ed allo stesso tempo richiede il coinvol­
gimento di quei giovani che hanno potuto tenersi liberi o supe­
rare i rischi delle diverse povertà. A noi tocca tradurlo in gesti
quotidiani.
Promuovere una nuova cultura
Le povertà nascono e si diffondono in un mondo intercomu­
nicante e interdipendente. La valutazione che se ne fa, le spe­
ranze di superarle che si possono risvegliare, le forme concrete
di impegnarsi, sono legate a modi di pensare e reagire delle per­
sone, dei gruppi e dell’intera società.
Lo si vede quando si ragiona sull’uso dei beni, sui rapporti
tra individui e popoli, sui sentimenti verso i diversi, sul modo di
affrontare le devianze e trasgressioni.
Lo sforzo contro l’emarginazione è tanto più efficace,
quanto più penetra e trasforma l’insieme di percezioni e senti­
menti che configurano il pensiero e la condotta di una società o
di gruppi attivi al loro interno. Non è, dunque, sufficiente un
impegno d’aiuto e d’assistenza in favore dei singoli, anche se
questo è importante.
Si richiede un lavoro di animazione sociale che susciti cam­
biamenti di criteri e visioni attraverso gesti e azioni. Tali gesti
ed azióni creano nuove forme di relazione e modelli di condotta
che incarnano valori diversi da quelli che reggono gran parte
del nostro costume, come l’individualismo possessivo, la soddi­
sfazione degli interessi personali, la condanna di chi soffre di­
pendenze, l’abbandono dei più deboli.
Si tratta di promuovere una cultura dell’altro, della sobrietà
nello stile di vita e di consumo, della disponibilità a condividere

3.10 Page 30

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32 ATTI D EL CO NSIGLIO G EN ERALE
gratuitamente, della giustizia, intesa come attenzione al diritto
di tutti alla dignità della vita e, più direttamente, di coinvolgere
persone e istituzioni in un’opera di ampia prevenzione, di acco­
glienza e di supporto di chi ne ha bisogno.
I nostri ambienti educativi possono essere centri di elabora­
zione e punti di irradiazione di tale cultura verso la famiglia, i
gruppi, il quartiere, i circoli e le istituzioni collegate e, attra­
verso la comunicazione sociale, le società in generale.
Ci sono alcuni movimenti ed iniziative che, anche se minori­
tarie, hanno una forte incidenza perché esprimono nuovi rap­
porti e anticipano nuovi criteri di solidarietà: l’associazione pri­
vata per un commercio equo e solidale, il movimento di famiglie
che si impegnano a vivere con il sufficiente e ad evitare le spese
superflue, il volontariato.
Sono questi alcuni modelli di vita promossi da circoli cri­
stiani, nel contesto della nuova cultura sociale, che impegnano
a vivere secondo il vangelo e non secondo gli stimoli del consu­
mismo. Svariate iniziative ed aggregazioni simili si possono
creare in tal senso.
Esse finiscono per agire in rete e riescono a proporsi come
interlocutori, materialmente deboli, ma moralmente forti, di
fronte ad organismi e istituzioni politiche ed economiche. Più
importante ancora, riescono a moltiplicare i progetti di aiuto e
le presenze di condivisione e solidarietà.
È questo un campo in cui noi salesiani, organizzazione in­
ternazionale, con molteplici risorse e con un ricco patrimonio
spirituale, abbiamo grandi possibilità e allo stesso tempo
un’importante responsabilità. Dobbiamo fare uno sforzo di pe­
dagogia collettiva per offrire vie e progetti concreti, in cui coin­
volgersi, a molta gente disposta ad assumere, come umile avan­
guardia evangelica, uno stile di vita solidale e generosa.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL R ET TO R MAGGIORE 33
Evangelizzare partendo dagli ultimi
L’azione salesiana, in qualsiasi ambiente si svolga, compren­
de sempre l’annuncio di Cristo, la sollecitudine per la salvezza
eterna della persona. In ogni iniziativa di prevenzione, forma­
zione e ricupero, essa costituisce sempre l’intenzione e il deside­
rio principale, anche se forse dovrà essere esplicitata a mano a
mano che i soggetti se ne rendono capaci. Desideriamo che sen­
tano Dio Padre, che conoscano Gesù Cristo e crediamo pure che
nella proposta di fede in lui si trovano energie insospettate per la
costruzione della personalità e per lo sviluppo integrale.
Il CG23, presentando le caratteristiche dell’itinerario di
fede che noi salesiani facciamo con i giovani, afferma che si de­
vono privilegiare gli ultimi e ripartire sempre da essi come con­
dizione per arrivare a tutti. “ Il collocarsi dalla parte degli ul­
timi e dei più poveri — dice — determinerà non solo l’inizio del
cammino, ma ogni ulteriore tappa, fino a quelle conclusive” ,
perché i più avanzati sono invitati a “ sostenere con la propria
testimonianza ed azione il passo di quanti stanno iniziando” .42
E, di nuovo, un’indicazione autorevole sul luogo significa­
tivo dove collocarsi: tra gli ultimi, secondo i criteri umani.
L’annuncio della salvezza ai poveri è il segno per eccellenza
del Regno e di conseguenza la dimensione più profonda della
nostra missione educativa. La conoscenza e la relazione perso­
nale con Gesù Cristo non è un privilegio dei giovani più impe­
gnati o protetti, ma un dono da offrire a tutti e sin dai primi
passi. Se Cristo si vuole dare ai più poveri e bisognosi, e ciò ha
manifestato durante la sua esistenza terrena, non possiamo noi
ritardare la scoperta del suo dono.
L’evangelizzazione comincia certamente con l ’incontro, ca­
pace di assumere la sofferenza e la speranza del giovane, di so­
stenere la sua volontà di riprendersi, di avvicinarsi ai segni di
Dio e della Chiesa. La salvezza si annuncia e si realizza quando,
42 cf. ib. 105
3

4.2 Page 32

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34 ATTI D EL CO N SIGLIO GEN ERALE
si crea una situazione in cui il giovane viene liberato da ciò che
condizionava negativamente il meglio della sua vita; quando, in
contatto con persone che gli dimostrano un amore disinteres­
sato, scopre il valore e le possibilità della vita.
Il contatto quotidiano con adulti capaci di creare un clima di
famiglia, una relazione d’amicizia che fonde interesse per i gio­
vani e spazio alla loro responsabilità, bontà e fermezza, esi­
genza e comprensione, diviene una testimonianza capace di su­
scitare meraviglia e di risvegliare il meglio che essi si portano
dentro. Sorgono così le domande che offrono opportunità di un
annuncio sulla misura della comprensione del singolo giovane.
La prima scintilla del cammino di fede va poi curata e svi­
luppata con pazienza e perseveranza, puntando sempre sul po­
sitivo che c’è nel giovane e sulla forza interiore della coscienza;
approfittando dell’esperienza del gruppo e dell’ambiente; sicuri
dell’energia di ripresa che viene dalla preghiera e dai sacra­
menti. Al riguardo c’è da rileggere e tradurre in pratica il sen­
tire di don Bosco sul valore della fede e della coscienza nel per­
corso di recupero dei giovani.
Nella Chiesa si parla di nuova evangelizzazione. Le esplici-
tazioni sottolineano che la “ novità” sta nella testimonianza
della carità, nell’annuncio di Cristo nel cuore e nella vita della
cultura attuale e nel movimento verso i lontani.
Il nostro contributo può consistere proprio nel provare e
proporre processi di evangelizzazione in situazioni giovanili
particolarmente difficili.
Conclusione
Gesù “replicò loro: ‘Quanti pani avete? Andate a vedere’. E
accertatisi, riferirono: ‘Cinque pani e due pesci ’. Allora ordinò lo­
ro di farli mettere tutti a sedere sull’erba verde. Tutti si sedettero
a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e
i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò

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IL R ET TO R MAGGIORE 35
i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero; e divise i pe­
sci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono e portarono via do­
dici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci”.43
La presenza del Signore diviene miracolo di solidarietà
perché la gente abbia pane in abbondanza. Egli mette in movi­
mento i suoi discepoli perché cerchino le risorse disponibili.
Crea una vera fratellanza, che porta a partecipare e sfocia nella
comunione. Così il dinamismo, cominciato con un sentimento
di compassione, si trasforma in azioni che ricolmano di vita i bi­
sognosi con la Parola che illumina e con il Pane che sostiene. Il
poco basta per tutti, anzi ne avanza.
È il nostro compito e la nostra speranza: porre dei segni e
moltiplicare. Per questo, nella programmazione di questo ses­
sennio, abbiamo messo la significatività al centro dell’atten­
zione.44Essa scaturisce dai luoghi, dallo spirito e dallo stile con
cui realizziamo la nostra missione e offriamo la nostra testimo­
nianza. L’abbiamo perciò preso come criterio principale di rife­
rimento, ricollocazione e ridistribuzione delle risorse.
Gli elementi, da cui si sprigiona significatività, sono: la ma­
nifestazione incondizionata della carità evangelica, la capacità
di “ salvare” coloro che gli uomini abbandonano alla propria
sorte, il desiderio di donare vita e speranza, l’efficacia nella pro­
posta di fede, la forza aggregante per cui persone di buona vo­
lontà si uniscono nel bene, la capacità di far maturare menta­
lità e rapporti nella linea del Regno.
Molte iniziative sono “buone” ; ma non tutte parlano con la
stessa eloquenza, realismo e verità. Molte opere possono essere
di qualche utilità; non tutte esprimono il Vangelo, l’amore di
Dio seminato nel cuore dei credenti con la stessa immediatezza
e profondità. Molti interventi appaiono accettabili, funzionali
alla società in cui viviamo; alcuni sono fortemente “ evangeliz­
zatori” e profetici.
43 Me 6, 38-43
" cf. ACG 358, pag. 49-50

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36 ATTI D EL CO N SIGLIO GEN ERALE
La presenza fra i giovani più bisognosi è tra questi. Cono­
sciamo quanto stanno facendo le singole ispettorie e quanto
vorrebbero fare se la disponibilità di personale lo consentisse.
La contemplazione e il richiamo della moltiplicazione dei pani,
serva di ispirazione e criterio per un deciso movimento verso
i giovani più poveri, anche nella eventuale precarietà delle
risorse.
Maria SS., che nell’Annunciazione si mise a disposizione del
Signore, aiuti anche noi ad essere pronti all’opera di salvezza
che nasce nel cuore misericordioso di Dio.