15.
«RIPROGETTIAMO INSIEME LA SANTITÀ»
Dialogo con le Ispettorie. - Una verifica positiva. - Constatazione di limiti e di carenze. -
Il problema di fondo. - Il dono più prezioso per i giovani: la nostra santità. - Incontro quotidiano con Cristo. - Impegno ascetico. - Lo stile di Don Bosco. - Conclusione.
Lettera pubblicata in ACS n. 303
Roma, 12 dicembre 1981
Cari Confratelli,
oggi, festa della Madonna di Guadalupe, il Capitolo Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che si avvia verso la conclusione dei suoi importanti compiti, è stato ricevuto in udienza speciale dal Santo Padre. L’incontro è stato preceduto da una solenne celebrazione dell’Eucaristia nella Basilica di S. Pietro, ed ha assunto un forte significato ecclesiale. Abbiamo pregato per il nuovo Consiglio Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la crescita della mutua comunione nella Famiglia Salesiana e per una sua sempre più coraggiosa e attuale capacità di evangelizzazione della gioventù.
Mentre le nostre sorelle stanno intensificando i loro lavori sulla redazione finale delle Costituzioni, noi pensiamo già al nostro prossimo Capitolo Generale 22, che avrà lo stesso tema di lavoro. Per assicurare una adeguata preparazione di un Capitolo tanto importante ho nominato già, secondo l’art. 100 dei Regolamenti, il suo «Regolatore»: DON GIOVANNI VECCHI, l’attuale Consigliere per la Pastorale giovanile. Aiutiamolo con la nostra preghiera e con la nostra collaborazione.
Il dialogo con le Ispettorie
Nell’ottobre scorso abbiamo terminato le cosiddette «Visite d’insieme» a Hong Kong con le Ispettorie dell’Estremo Oriente.
Mi fermo alquanto su questo argomento, perché non sfugga ad alcuno l’importanza di tale forma nuova di «presenza del Consiglio Superiore» nelle varie parti della Congregazione, divenuta ormai prassi obbligata degli Istituti religiosi nell’attuale contesto di unità nel decentramento e viceversa. Sarà una riflessione pratica, offerta a tutti, di aprirsi alla visione universale della nostra Congregazione, oggi, e di sentirne, in qualche modo, il polso in positivo e in negativo; e ci offrirà una piattaforma realistica per le ulteriori riflessioni sull’urgenza della santità.
Ogni «Visita d’insieme» è stata un dialogo di revisione e di progettazione della nostra vita salesiana, centrato sugli orientamenti dell’ultimo Capitolo Generale 21. Il dialogo si è svolto tra un gruppo di Ispettori con i loro Consiglieri ispettoriali, da una parte, e il Rettor Maggiore con i Consiglieri di dicastero e il Regionale corrispondente, dall’altra. Il materiale per l’incontro fu preparato dalle singole Ispettorie e poi organizzato e sintetizzato nei vari gruppi in accordo con il Consigliere Regionale.
Abbiamo, dunque, realizzato dieci Visite d’insieme.
Due in Asia, la prima e l’ultima:
— a Calcutta per le Ispettorie indiane (ottobre 1979);
— e a Hong Kong per le Ispettorie e Delegazioni dell’Estremo Oriente (ottobre 1981).
Sei in Europa:
— per le tre Ispettorie di lingua tedesca a Benediktbeuern, Germania (gennaio 1980);
— per le due Ispettorie di lingua neerlandese a Bruxelles, Belgio (febbraio 1980);
— per le varie Ispettorie dell’Est europeo a +ódz´, Polonia (aprile 1980);
— per le tre Ispettorie di lingua francese a Farnières, Belgio (agosto 1980);
— per le Ispettorie d’Italia e Medio Oriente a Pacognano, Napoli (gennaio 1981);
— per le Ispettorie della regione iberica a Barcellona, Spagna (luglio 1981).
Due nelle Americhe:
— per le Ispettorie della regione occidentale di lingua inglese a Malibu in California, USA (settembre 980);
— per le numerose Ispettorie dell’America Latina a San Miguel, Buenos Aires (aprile 1981).
I temi centrali attorno a cui si è mosso il dialogo erano quelli fondamentali del Capitolo Generale 21:
— la comunità salesiana evangelizzata in alcuni degli aspetti fondamentali della nostra vita religiosa;
— la formazione di tutti i confratelli;
— il progetto educativo e la fecondità vocazionale;
— le Missioni, soprattutto in Africa;
— la Famiglia Salesiana con la speciale preoccupazione di un maggior coinvolgimento di laici impegnati.
È stato necessario moltiplicare questi incontri, dividendoli per gruppi di una certa omogeneità culturale ed ecclesiale. Le Ispettorie sono oggettivamente inserite in svariate e diverse situazioni-tipo. Così, quelle dell’Europa occidentale respirano più intensamente il clima di un processo di secolarizzazione che, nella società, si traduce purtroppo, di fatto, in atteggiamenti di pericoloso secolarismo.
Le Ispettorie dell’Est europeo sono inserite, invece, in società di strutturazione marxista con una problematica marcata da una prepotente mutilazione apostolica, soprattutto per la pastorale giovanile.
Le Ispettorie del mondo anglosassone si trovano a operare in società caratterizzate da un realismo prammatico, che non aiuta sempre a ricercare le profonde motivazioni dei cambiamenti conciliari.
Le Ispettorie dell’America Latina si muovono con una forte dinamica di adeguamento pastorale voluto dai Pastori a Medellín e a Puebla; qua e là, in differenti Paesi, si percepiscono possibilità di influssi ambigui con alcune accentuazioni temporaliste di diverso segno.
Le Ispettorie dell’Asia sentono con particolare acutezza i delicati problemi dell’inculturazione.
In Africa la Congregazione sta sperimentando un’ora di seminagione che comporta delle esigenze e delle difficoltà tutte proprie.
Nel dialogo, quindi, ci sono stati diversi stili e accenti differenti.
Una verifica positiva
Nel sessennio anteriore il Capitolo Generale Speciale aveva programmato un dialogo di revisione per continenti: quattro grandi riunioni. La nuova modalità, anche se esige maggiori sacrifici in vista del numero degli incontri, è apparsa più agibile e più concreta. Il giudizio globale sui suoi risultati è sostanzialmente positivo. Si sono constatati, senz’altro, anche dei difetti e delle carenze. Ad ogni modo, il fatto stesso della realizzazione di tali incontri è stato costruttivo e portatore di maggior comunione, di più chiara coscienza e di migliori propositi d’impegno.
Tra gli aspetti più positivi vorrei sottolinearne alcuni che possono servire a irrobustire la nostra crescente speranza.
Innanzitutto la coscienza di unità sperimentata fortemente in tutte le Visite d’insieme: l’amore a Don Bosco, la convergenza sui valori di identità, l’adesione agli ultimi Capitoli Generali, la solidarietà e viva comunione con il Rettor Maggiore e con il Consiglio Superiore, l’ambiente di fraternità vera e intensa, la libertà, la chiarezza, il rispetto con cui ci si è potuti confrontare sui problemi. Si è creato un rapporto religioso di amicizia e corresponsabilità più sensibile e immediato, mentre gli Ispettori e i loro Consiglieri hanno potuto percepire meglio le dimensioni della Congregazione e la loro responsabilità salesiana nell’esercizio del loro ruolo locale. Ciascun blocco di contenuti e l’insieme di essi ha risvegliato aspetti importanti della nostra vocazione. Si sono affermati in pochi giorni grandi punti d’impegno e di sintesi.
Poi un senso ispettoriale rinnovato, anche se in alcuni casi piuttosto incipiente.
Il clima generale di speranza e la volontà d’impegno concretizzata in conclusioni pratiche.
La visione panoramica e realistica, da parte del Rettor Maggiore con il suo Consiglio, della vita e della missione salesiana nel mondo.
L’occasione di una migliore programmazione di animazione adeguata alla realtà meglio conosciuta.
Una aumentata sensibilità verso le esigenze evangeliche della vita religiosa e verso il patrimonio pastorale-pedagogico del Sistema Preventivo.
È apparsa più sentita l’inserzione nella Chiesa locale, come comunione di convergenza concreta di tutte le forze che lavorano nell’evangelizzazione dei giovani di oggi, ricuperando così anche il senso della nostra specifica collocazione pastorale: si è percepita meglio l’idea del Progetto Salesiano come sintesi di diversi aspetti della nostra vita e della nostra azione, come affermazione della finalità pastorale della totalità, e come punto di fusione tra ispirazione-tradizione e nuove richieste dei tempi.
Ci sono state anche significative proposte di un ulteriore impegno, come l’approfondimento di una peculiare spiritualità per i nostri giovani: il sorgere di gruppi e movimenti esige, infatti, una comune ispirazione di fondo nello spirito di Don Bosco.
Il tema della Famiglia Salesiana ci ha fatto entrare decisamente in un nuovo schema di azione in cui la comunità salesiana si vuol presentare come centro di animazione e di maggiore comunione e come quadro vivo di riferimento per numerose forze laiche.
Nel tema di fondo della vita religiosa si è approfondito l’importante significato della nostra vita comunitaria e l’aspetto di animazione nei servizi dell’autorità, insistendo particolarmente nel ricupero della vera figura salesiana del Direttore e anche dell’Ispettore con il suo Consiglio.
L’urgente e delicato aspetto della formazione ha visto richiedere e poi (negli incontri dopo la promulgazione della Ratio) assumere i grandi principi, gli orientamenti e le norme del documento sulla «Formazione dei Salesiani di Don Bosco», voluto dal Capitolo Generale 21.
Il tema delle Missioni e l’informazione sul Progetto Africa ha risvegliato e irrobustito l’impegno salesiano in questa nostra indispensabile frontiera e ha chiarito e confermato non poche iniziative generose e concrete di tante Ispettorie.
Si sono anche formulate in ogni Visita delle conclusioni pratiche che sono in corso di realizzazione migliorando l’impulso di crescita nelle Ispettorie.
Ringraziamo di cuore il Signore per tanto bene.
Constatazioni di limiti e di carenze
Abbiamo trovato certamente anche dei difetti.
Alcune Visite d’insieme si sono viste meno preparate di altre. In qualche caso c’è stata più recettività che partecipazione attiva; in altri, si è vista più capacità di analisi e di acuta impostazione di problemi che di ricerca di soluzioni, almeno iniziali, e di conclusioni pratiche. Senza dubbio bisognerà tenere in conto che era la prima volta che si realizzava questo genere di dialogo e che perciò mancavano gli arricchimenti dell’esperienza.
In una revisione globale circa la realizzazione di queste Visite, fatta dal Consiglio Superiore, si considera importante rivedere il modo di elaborare più accuratamente (da parte dei vari Consiglieri «insieme») gli obiettivi e i punti da approfondire, armonizzando meglio gli interventi dei vari dicasteri. Si è percepita anche la necessità di curare di più la funzione, al riguardo, dei rispettivi Consiglieri Regionali, soprattutto nella preparazione degli incontri e nella individuazione delle conclusioni pratiche. Si auspica che il Consiglio Superiore chiarisca meglio, e per tempo, la portata e la finalità specifica di ognuno degli incontri, per poi concentrare l’attenzione e il lavoro su pochi punti strategici d’impegno, lasciando altri aspetti d’interesse più per una informazione che per un dialogo di revisione.
La varietà delle situazioni e la differente consistenza delle Regioni non permisero sempre una partecipazione omogenea: in alcuni incontri sono intervenuti tutti i Consiglieri ispettoriali (come era desiderabile), in altri soltanto uno o due Delegati, impoverendo in qualche modo il dialogo e la possibilità di comunicazione e di posteriore attuazione.
Nelle Ispettorie si lavora molto, ma si percepisce qua e là una non razionale divisione degli impegni, indice a volte di un residuo di individualismo apostolico e, in genere, di una carente programmazione da parte dei Consigli ispettoriali e delle comunità locali.
È da attribuirsi a un certo pragmatismo nel lavoro e alla mancanza di programmazione comunitaria anche una pericolosa trascuratezza della vita spirituale, dell’aggiornamento pastorale, della formazione permanente, che in alcune Ispettorie non sono come dovrebbero essere. Credo che sia questo uno dei motivi per cui è stata piuttosto lenta l’assimilazione dei documenti e degli orientamenti ecclesiali e salesiani. Un mancato approfondimento della nostra Professione religiosa è alla base di un grave pericolo, non immaginario, di superficialità.
Il problema di fondo
Sì, cari confratelli, in un’ora di trapasso culturale il nostro nemico più temibile è la «superficialità spirituale»!
Corriamo il rischio di far consistere tutto il rinnovamento in iniziative quasi piuttosto «per uso esterno» e di organizzazione. La ristrutturazione dell’Ispettoria e delle Opere è, senz’altro, importante e indispensabile. È urgente rivedere la nostra dimensione comunitaria, rilanciare la figura del Direttore, assumere ed applicare la Ratio, riformulare il nostro Progetto educativo-pastorale, incrementare i grandi orizzonti della Famiglia Salesiana, programmare con magnanimità l’impegno missionario. Ma alla base di questo, come sorgente e anima del tutto, c’è da riprogettare insieme la nostra santità, sia personale che comunitaria: riconsiderare e rivivere il significato esistenziale della nostra Professione religiosa e la carica vitalizzante della sua Consacrazione!
Se vogliamo che il nostro vasto e impegnativo processo di rinnovamento non sia solo di «uso esterno», dobbiamo rilanciare vitalmente quanto ci propongono le Costituzioni nell’art. 2°: «essere, con stile salesiano, i segni e i portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. Nel compiere questa missione al seguito di Cristo, troviamo la via della nostra santità».
Noi non siamo, è vero, solo «catechisti»; siamo «educatori»: evangelizziamo educando. Ma, inoltre, non siamo solo «educatori», bensì delle «guide» o «mistagoghi», termine caro ai Padri per indicare l’iniziazione al mistero di Cristo, ossia preoccupati di condurre pedagogicamente i giovani all’inserzione vitale nelle realtà della fede: educhiamo evangelizzando, nel senso che tutta la nostra attività di promozione educativa è animata e finalizzata concretamente dalla preoccupazione di introdurre i giovani al mistero di Cristo e di farli vivere nella sua Pasqua. L’anima del Sistema Preventivo è, sempre e
dovunque, il «Da mihi animas», che sgorga da una spiritualità centrata nella «carità pastorale» concepita e vissuta secondo lo stile di Don Bosco.l «Imitando la pazienza di Dio — ci dicono le Costituzioni —, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà e la loro fede. Fraternamente presenti perché il male non domini la loro fragilità, li aiutiamo, attraverso il dialogo, a liberarsi da ogni servitù. Moltiplichiamo gli sforzi per illuminarli e stimolarli rispettando il delicato processo della fede».2
Ma per fare questo con paziente costanza, ossia per vivere quotidianamente il proposito di guidare e condurre all’iniziazione del Mistero, risulta assolutamente indispensabile la «santità»: ecco il primo obiettivo del nostro vero rinnovamento!
Il dono più prezioso per i giovani: la nostra santità
Una visione globale della vita della Congregazione desunta da un lungo contatto (quasi tre anni) con le Ispettorie attraverso le Visite d’insieme mi porta a formulare la seguente sostanziale affermazione: il più grande problema che oggi rimane aperto, per noi, è quello del ricupero della santità.
Sì: i giovani di oggi hanno urgente bisogno della nostra santità. Cristo e Maria ci hanno chiamati proprio per questo: la nostra santità è il regalo più bello e più utile che possiamo dare alla gioventù.
Purtroppo la parola «santità» può essere mal compresa da una mentalità sfasata, abbastanza comune e frutto di un ambiente che oppone una specie di blocco culturale ai contenuti genuini del suo significato. Potrebbe venir identificata con uno spiritualismo di evasione dal concreto, con un ascetismo per eroi di eccezione, con un sentimento di estasi dal reale che disistima la vita attiva, con una coscienza antiquata circa i valori dell’attuale svolta antropologica. È da lamentare fortemente una simile caricatura.
Ebbene: noi crediamo, invece, nella santità e nella sua attualità. Più che al concetto astratto di santità, guardiamo alla testimonianza viva di Don Bosco «santo».
Quando affermiamo che la nostra santità è il dono più prezioso per i giovani, vogliamo dire che essi hanno bisogno di trovare in ognuno di noi un altro Don Bosco con il suo cuore oratoriano.
È in tal senso che appare fondamentale e urgente rilanciare la santità, facendo ricuperare anche attualità e attrattiva allo stesso termine, un po’ sciupato dalle caricature ambientali. La santità di Don Bosco è semplice e simpatica, ed è robusta e profetica.
Solo Iddio è santo. La santità umana è comunione e partecipazione dell’amore divino; essa ci conferma che lo Spirito del Signore si è inserito vitalmente nel cuore e nella storia degli uomini; senza di essa l’umanità non raggiunge le sue mete.
Ecco, tra i tanti santi, fermento di integrità umana nel disegno del Padre, Don Bosco è un preclaro testimone e un comunicatore degli indispensabili valori della santità ai giovani.
Domenico Savio ce lo potrebbe ripetere con entusiasmo e speranza.
Una santità, dicevo, semplice e simpatica, che ha un suo stile e una sua comunicabilità, che ispira fiducia e costruisce amicizia, ma esigentissima nei suoi contenuti evangelici. Ad essa non si può accedere senza una chiamata particolare dello Spirito; e in essa non si può perseverare senza fedeltà e continuo ricorso alle sue ispirazioni. È una santità semplice e simpatica, ma non facile né comoda!
Per noi «non basta amare». Don Bosco ci ha insegnato come ideale di santità salesiana il «farsi amare»; e il «pergolato delle rose» ci ricorda chiaramente quanto ciò sia esigente. Il suo stile di santità è pedagogico. Esso perderebbe, in noi, la sua originalità se introducesse barriere di distanza dai giovani o divenisse per loro antipatico.
Le presenti situazioni ispettoriali mi fanno pensare a due elementi fondamentali della santità salesiana da privilegiare nelle nostre cure per riprogettare insieme una sua viva attualità.
La prima è l’intimità con Cristo per assicurare la fonte quotidiana della carità pastorale nelle nostre attività educative.
La seconda è l’impegno ascetico per vivere una costante bontà pedagogica.
Senza una chiara amicizia con Cristo sentita personalmente e vissuta comunitariamente, e senza la serietà di una ascesi, nessuno sforzo di rinnovamento ci porterà davvero ad essere i segni e i portatori dell’amore di Dio ai giovani.
Permettetemi alcune brevi osservazioni su questi due punti, che sono come le due grandi molle del nostro rilancio.
Incontro quotidiano con Cristo
Consideriamo, innanzitutto, con speciale attenzione quanto ha scritto Don Bosco nel suo testamento: «Il vostro primo Rettor Maggiore è morto. Ma il nostro vero Superiore Gesù Cristo, non morrà. Egli sarà sempre nostro maestro, nostra guida, nostro modello».3 Ricordiamo inoltre quanto proclama la nostra tradizione spirituale: «il centro dello spirito salesiano è la carità pastorale, caratterizzata da quel dinamismo giovanile che si rivela così forte nel nostro Fondatore e alle origini della nostra Società. È uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire solo Dio».4
La santità vive e si manifesta in quell’amore che è carità di Dio (la «agàpe» dell’evangelista S. Giovanni).
La santità salesiana contempla con un’ottica peculiare la carità del Padre che ama tanto l’uomo da inviare suo Figlio e il suo Spirito per salvarlo. Sottolinea, in questo amore, il dono di sé nelle iniziative di salvezza soprattutto per i giovani.5 Non si contenta di parole, ma costruisce dei fatti: la carità pastorale si traduce in azione.
L’agire dà all’essere uno speciale vigore e lo manifesta con un’attrazione di autenticità e di fecondità. La Sacra Scrittura non cessa di proclamare l’esigenza del fare: «Non tutti quelli che mi dicono: “Signore, Signore!” entreranno nel regno di Dio. Vi entreranno soltanto quelli che fanno la volontà del Padre mio che è in cielo».6
Si tratta, perciò, di una carità pastorale assai concreta e attiva che vive in noi con relazioni d’amicizia costante verso due tipi di persone: le persone infinite di Dio e le persone degli uomini, soprattutto dei «piccoli e dei poveri».
Si percepisce, così, una dinamica interna alla stessa carità che mette in tensione le nostre relazioni d’amicizia con Dio e con i giovani.
Quali relazioni vengono prima: l’amicizia con l’uomo bisognoso o quella con Dio? C’è tra di loro una qualche dipendenza? L’una fluisce dall’altra? O sono parallelamente coesistenti? Può sussistere una sola senza l’altra? Ecco delle domande interessanti nella cui risposta giungiamo a toccare il punto nevralgico del rilancio della nostra santità.
Le domande che ci siamo poste non sono artificiali o superflue, quasi fossero pleonastiche; esse affrontano direttamente, in profondità, certe suggestioni di moda offerte da una mentalità secolarista abbastanza diffusa. Infatti, gli attuali cambiamenti culturali, che hanno provocato una delle più grandi crisi della storia della vita religiosa, si caratterizzano per un forte antropocentrismo con «una concezione del mondo, nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio».7 Tale mentalità si è infiltrata anche sottilmente, camuffandosi con rivestimenti religiosi, negli ambienti della fede. Dalla prospettiva biblica e patristica dell’uomo «immagine di Dio» per cui non si conosce veramente l’uomo se non si conosce Cristo che è Dio fatto uomo,8 si è passati alla prospettiva opposta, per cui l’uomo conosce il mistero di Dio (se c’è!) conoscendo se stesso.
Da un tale atteggiamento può fluire una risposta rovinosa alle domande formulate sopra; senza affermare esplicitamente il primato dell’amore all’uomo, si insiste quasi esclusivamente su di esso, sui suoi bisogni, sulle sue situazioni d’ingiustizia sociale, da dove si dovrebbe partire per ripensare il significato stesso dell’amore di Dio e, quindi, della consacrazione religiosa.
Una simile interpretazione indulge a un atteggiamento carico di pericoli di antropocentrismo che approdano facilmente a un offuscamento della carità pastorale e, quindi, a una progressiva adulterazione della nostra santità. È vero che l’apostolo S. Giovanni afferma l’indispensabilità dell’amore al prossimo: «se uno non ama il prossimo che si vede, certo non può amare Dio che non si vede».9 Ma S. Giovanni si mette, qui, nel piano della verifica sulla verità concreta della nostra carità. Infatti, poco prima aveva scritto: «l’amore viene da Dio...; l’amore vero è questo: non l’amore che abbiamo avuto verso Dio, ma l’amore che Dio ha avuto per noi; se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri; noi amiamo Dio perché Egli per primo ci ha mostrato il suo amore».10
Già l’Antico Testamento aveva parlato dell’amore di Dio e del prossimo in termini di primato assoluto; ma è propriamente nel Nuovo Testamento che la misura e la dinamica interna di tale amore viene cambiata e assume dimensioni inaudite.
Il comandamento di Gesù Cristo è, al riguardo, assai chiaro: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi»!11 Quel «come» è la più precisa e radicale risposta alle suddette domande. Nella nostra carità pastorale l’amore ai giovani fluisce intimamente, per sua natura, dall’amore a Dio; le nostre relazioni di amicizia con i giovani sono il prezioso e naturale frutto delle nostre relazioni di amicizia con Dio. Senza l’amore verso Dio non c’è carità pastorale verso i giovani!
Il Papa Paolo VI nel discorso inaugurale della II Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano (tenutosi a Medellín nel 1968) ha voluto attirare l’attenzione dei Pastori latinoamericani su un punto dottrinale riferentesi alla carità pastorale. Si tratta della «dipendenza della carità verso il prossimo dalla carità verso Dio. Conoscete — disse — gli assalti che soffre ai giorni nostri questa dottrina di chiarissima e inoppugnabile derivazione evangelica: si vuol secolarizzare il cristianesimo, valicando il suo riferimento essenziale alla verità religiosa, alla comunione soprannaturale con la ineffabile e inondante carità di Dio verso gli uomini, al suo riferimento al dovere della risposta umana, invitata ad osare amarLo e chiamarLo “Padre” e in conseguenza a chiamare con piena verità “fratelli” gli uomini, per liberare il cristianesimo stesso da “quella forma di nevrosi — come afferma Cox — che è la religione”, per evitare ogni preoccupazione teologale e per offrire al cristianesimo una nuova efficacia, tutta pragmatica, la sola che lo farebbe accettabile ed operante nella moderna civiltà profana e tecnologica».12
Dunque: le nostre relazioni di amicizia con Dio sono la vera sorgente e la linfa alimentatrice della nostra predilezione pastorale per i giovani.
Ed eccoci, allora, al punto: come curare e intensificare continuamente il nostro amore verso Dio?
La risposta è una sola: l’incontro quotidiano con Cristo!
S. Giovanni, che, oltre a venir chiamato «il teologo della carità», ne è anche il testimone più preclaro, ci ha lasciato una definizione storica della santità sostanziale affermando che «Dio è amore».l3 Questa espressione non è un’affermazione dello stesso Gesù e neppure un enunciato dogmatico astratto; è invece la conclusione delle prolungate riflessioni di Giovanni sulla vita e sulla pasqua del suo amico Gesù e sulle relazioni personali di Lui con il Padre. Quanto più Giovanni contempla i fatti, le parole e la psicologia di Gesù, tanto meglio scopre con intensa evidenza che la carità (l’amore, la «agàpe») è la sintesi del significato storico dell’incarnazione del Verbo, e la spiegazione esaustiva di tutto il mistero di Dio fatto uomo.
Per Giovanni ciò che distingue i credenti della Nuova Alleanza dagli altri è precisamente questa maniera di contemplare Cristo. Non basta riconoscerlo come Messia e Signore della storia; bisogna aderire vitalmente al Suo modo di amare partecipandone attivamente l’efficacia.
Il realismo della carità di Dio si trova tutto nel Cristo che ne vive storicamente l’originalità e la potenza.
Iddio, puro spirito,14 nessuno lo ha mai visto;15 Egli si fa presente in Cristo come «immagine perfetta del Padre»16 e in Lui concentra tutta l’originalità divina dell’amore.
Conoscere e amare Dio, nel cristianesimo, non è semplicemente riflettere e ammirare la Sua onnipotenza, la Sua saggezza, la Sua giustizia, ma è sentirsi coinvolto esistenzialmente con Cristo per compartirne attivamente la carità.
Il «santo» è appunto colui che si apre pienamente a questo amore e che ne diviene portatore per gli altri.
Rilanciare, quindi, la nostra santità salesiana significa coltivare innanzitutto le relazioni di amicizia con Lui, ognuno personalmente e insieme comunitariamente.
Ecco perché l’incontro quotidiano con Cristo è, di fatto, l’alfa e l’omega della carità pastorale.
L’«incontro» comporta, senz’altro, una amicizia permanente; ma io mi riferisco, qui, proprio anche a uno spazio concreto di tempo inserito in ogni giornata, che si chiama meditazione e preghiera personale, ore liturgiche, Eucaristia.
Il sacramento del memoriale della sua Pasqua, che rinchiude l’amore più grande di tutta la storia, deve ridivenire vitalmente il centro propulsore di ogni nostro cuore e di ogni nostra casa.
Su questi aspetti essenziali e irrinunciabili del nostro incontro personale e comunitario con Cristo il Capitolo Generale Speciale tratta diffusamente e con oggettiva aderenza alla realtà della nostra vita. Vi invito a fare oggetto di attenta meditazione il suo documento 9: «La comunità orante».l7
Impegno ascetico
La seconda colonna che sostiene tutto l’edificio della nostra santità è quella di una concreta e giornaliera pedagogia ascetica per la nostra condotta personale e per lo stile della nostra vita comunitaria.
Uno dei fenomeni pericolosi che abbiamo potuto constatare in questi anni di crisi della vita religiosa è una quasi disintegrazione dell’ascesi, che è quanto dire perdita dello sforzo metodico inteso ad eliminare, con l’aiuto della grazia, quanto si oppone alla crescita della vita in Cristo e ad affrontare virilmente i sacrifici che essa impone: l’abnegazione e la rinuncia,18 l’accettazione della sofferenza,19 la lotta e il combattimento spirituale,20 ecc., non per se stessi, ma come partecipazione al mistero pasquale di Cristo, come acconsentimento agli impulsi dello Spirito.
Tale perdita è risultata assai grave; essa toglie alla vita religiosa la sua caratteristica di «segno» nel mondo. Senza un visibile impegno ascetico non si testimoniano con nitidezza i grandi valori dei voti, che sono, per se stessi, una formidabile contestazione evangelica all’attuale società permissiva. Anzi, senza ascesi non può esistere la stessa verità oggettiva dei Voti, ossia, sfuma nel nulla la specifica santità religiosa!
Il Papa Paolo VI, parlando ai Religiosi, diceva con realismo ed angustia: «La piaga più pericolosa tesa ai vostri Istituti è quella del lassismo moderno, nel quale siamo immersi. Resistetegli ad ogni costo! Oggi più che mai la vita religiosa deve essere vissuta nella sua pienezza e conformemente alle sue alte e severe esigenze di preghiera, umiltà, spirito di sacrificio, austera pratica dei voti. In una parola: la vita religiosa deve essere santa, o non ha più ragione di essere».21
Storicamente nel Cristianesimo, al contatto con visioni antropologiche differenti, il modo dell’ascesi e la sua espressione di pratiche concrete si sono andati esprimendo in esperienze sempre nuove. Una sana pedagogia ascetica ha sempre un suo riferimento culturale e un suo adattamento al tipo peculiare della vocazione che si è scelta.
Così, in un ambiente di mentalità platonica, era facile rivestire l’ascesi con un certo dualismo caratterizzato da un concetto peggiorativo dei valori somatici.
D’altra parte, l’esercizio ascetico di un «contemplativo» non può servire di metro per quello di un «attivo», e viceversa.
L’uomo è spirito e carne insieme, che vive la sua propria vocazione in una determinata cultura marcata da una sua visione antropologica. Una retta ascesi deve prendere atto delle esigenze del progetto-uomo voluto da Dio nello spirito e nella carne secondo una sempre più matura penetrazione della verità dell’uomo. L’attuale svolta antropologica esige, senz’altro, anche un’inculturazione e un’acculturazione o un sano adeguamento dell’ascesi cristiana, in generale, e della nostra ascesi salesiana, in particolare, ai nuovi valori umani emersi e alle esigenze dei segni dei tempi. Però deve rimanere chiaramente «ascesi» e ancor più chiaramente «cristiana» e, per noi, «salesiana», quale crescita omogenea nell’alveo della Pasqua e della nostra tradizione spirituale.
Infatti, l’ascesi implica l’oblazione di sé a Dio nella radicalità della sequela del Cristo; e, per noi, implica anche la donazione piena delle nostre energie nell’azione pastorale: l’apostolato è anche una specie di esercizio atletico della carità per cui «io — come dice S. Paolo — mi sottopongo a dura disciplina, e cerco di dominarmi per non essere squalificato».22
Oggi la nostra ascesi deve tener conto dei progressi fatti dalle scienze dell’uomo, ma deve illuminarli sempre con la luce pasquale. «Cristo, che è il nuovo Adamo — ci dice il Concilio nella “Gaudium et spes” —, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione... Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime».23
L’attuale svolta antropologica ha messo giustamente in risalto i valori della libertà, del corpo, dello sviluppo della persona e dell’importanza di una autorealizzazione; ma tutto questo rimane pagano e può deteriorarsi in egocentrismo se non si lava nell’acqua battesimale della Pasqua di Cristo.
I nuovi aspetti culturali non possono cambiare i contenuti evangelici della vita consacrata: così, ad esempio, «l’obbedienza religiosa, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la fa pervenire al suo pieno sviluppo, avendo accresciuto la libertà dei figli di Dio».24
Noi viviamo in una civiltà che ha emarginato il primato di Dio e che ha perso, in conseguenza, il senso del peccato: il peccato nostro e quello degli altri e in particolare, per noi, quello dei giovani.
Nelle odierne società si applaude al trionfo delle concupiscenze (potere, benessere, carne e superbia della vita). D’altra parte, ognuno di noi sente nel suo cuore la prepotenza delle passioni,25 alimentata da tante lusinghe messe pubblicamente in vetrina.
Purtroppo è una triste realtà l’abbondanza delle nostre debolezze e dei nostri peccati e di quelli della gente, particolarmente dei giovani. Don Bosco fu, come sappiamo, un implacabile nemico del peccato: sapeva che esso rompe con Dio, con la sua amicizia, e, in conseguenza, sfigura l’uomo e la società.
Urge riprogettare in noi la capacità di conversione, di espiazione e di prevenzione, ossia, di un amore di contrizione che si traduca in un atteggiamento abituale di compunzione che riserva un posto di privilegio all’umiltà e a un cristiano annientamento di sé.26 Tutto ciò non si oppone all’autorealizzazione personale, ma ne è una indispensabile dimensione evangelica.
Il mistero della croce, infatti, proclama, in forma paradossalmente originale e perenne, l’importanza dell’«obbedienza della fede». Guardiamo all’orto degli ulivi: «Padre mio, tu puoi tutto. Allontana da me questo calice di dolore! Però sia fatta la tua volontà, non la mia».27
L’autorealizzazione del Cristo vede l’orizzonte del suo proprio sviluppo non in un progetto soggettivo semplicemente in accordo con le proprie inclinazioni e desideri, ma in un progetto più ampio in cui interviene Iddio come Padre: è un vasto progetto di amore e di vittoria, ma che passa per il cammino del Calvario.
Non bastano le scienze dell’uomo per capire e vivere un tale progetto del Padre; ci vuole la sapienza della fede: «noi — ci dice S. Paolo — non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio... e ne parliamo con parole non insegnate dalla scienza umana, ma suggerite dallo Spirito di Dio»;28 «ascoltatemi: lasciatevi guidare dallo Spirito (di Dio) e così non seguirete i desideri del vostro egoismo. L’egoismo ha desideri contrari a quelli dello Spirito e lo Spirito ha desideri contrari a quelli dell’egoismo. Queste due forze sono in contrasto tra loro... Vediamo tutti benissimo quali sono i risultati dell’egoismo umano: immoralità, corruzione e vizio, idolatria, magia, odio, litigi, gelosie, ire, intrighi, divisioni, invidie, ubriachezze, orge e altre cose di questo genere... Lo Spirito invece produce: amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé!»;29 «fratelli, noi non siamo dunque impegnati a seguire la voce del nostro egoismo, ma quella dello Spirito. Se seguite la voce dell’egoismo, morirete; se invece, mediante lo Spirito, la soffocherete, voi vivrete».30 «Io penso — conclude S. Paolo — che le sofferenze del tempo presente non siano assolutamente paragonabili alla gloria che Dio ci manifesterà».31
Dunque, c’è una forte disciplina che deve accompagnare, e difendere in noi, le ricchezze della carità. È gravissima illusione pensare che oggi l’impegno ascetico sia un elemento antiquato e superato. Bisogna proprio affermare il contrario: in una società permissiva come la nostra c’è più che mai bisogno di conversione e di dominio di sé in una concreta pedagogia di penitenza e di prevenzione.
Per assicurare, vivificare e rendere costante il nostro impegno ascetico, è necessaria una disciplina personale e comunitaria.32 Per questo ci è stato offerto da Cristo stesso uno speciale incontro con la sua Pasqua nel sacramento della Penitenza.
La sincerità e la frequenza personale della celebrazione di tale sacramento sono elementi indispensabili per la nostra santità. Dal sacramento della Penitenza, infatti, sgorgano abbondanti e speciali luci ed energie del Cristo per la conversione, per l’espiazione e per la prevenzione.
E così anche l’impegno ascetico diviene parte viva del nostro incontro con Cristo per viverne e comunicarne il mistero ai giovani.
Lo stile di Don Bosco
«Col correr degli anni, noi andiamo constatando — scrivevo alcuni mesi fa alle Figlie di Maria Ausiliatrice parlando di Don Bosco — che ci troviamo di fronte a un Santo di eccezione, da cui è originata (oggi ormai possiamo affermare ciò che ieri solo si intuiva) una “grande corrente spirituale” nella Chiesa, e, con la tradizione viva e la riflessione in atto, sta delineandosi una “scuola vera originale” di santificazione e di apostolato».33
Questa può apparire ancor oggi una affermazione audace; ma noi la sperimentiamo vera. Dobbiamo sentircene particolarmente responsabili perché collocati, come Congregazione, nel cuore della Famiglia Salesiana per una sua animazione spirituale.
La cura e l’intensificazione dell’incontro con Cristo e dell’impegno ascetico hanno, quindi, per noi eccezionale importanza e dobbiamo conoscere e approfondire costantemente la loro modalità peculiare che costituisce lo stile di santità della nostra indole propria.34
• Così, per ciò che si riferisce al nostro «incontro quotidiano con Cristo» ho già cercato di insistere salesianamente nella strenna di quest’anno (1981) sulla «vita interiore». La strenna, poi, del nuovo anno (1982) concentra l’attenzione di tutti su un caratteristico «impegno ascetico» di lavoro e di temperanza. Don Bosco voleva che questo binomio «Lavoro e temperanza» costituisse lo stemma della nostra Congregazione: lo ha presentato in forma di due diamanti appunto sulle spalle del personaggio del famoso sogno, quasi a indicare che sono essi a sostenere e a tradurre in pratica i valori e le esigenze degli altri diamanti.
• D’altra parte, dopo il Capitolo Generale 21 ci siamo dedicati ad approfondire il Sistema Preventivo nelle sue varie dimensioni; c’interessano, qui, le sue caratteristiche di peculiare spiritualità. Ebbene: quelle due colonne di cui Don Bosco ci parla, l’Eucaristia e la Penitenza, appaiono di nuovo alla luce del Concilio, del Magistero papale35 e della nostra esperienza di questi anni, come i due centri fondamentali del rinnovamento spirituale. Entrambi sottolineano in forma complementare sia il nostro «incontro quotidiano con Cristo» sia il nostro «impegno ascetico».
• Inoltre, la «opzione comunitaria» del nostro progetto evangelico di sequela del Cristo 36 ci offre nuovi elementi per la nostra vita spirituale. Tali elementi rivestono di un clima di comunione fraterna il nostro incontro con Cristo: lo «spirito di famiglia» va rivisto e vissuto nelle Case alla luce di Cristo, più in là della carne e del sangue o delle simpatie. Tali elementi comportano pure una colorazione speciale del nostro impegno ascetico in quanto l’obbedienza (che ha per noi una forte dimensione comunitaria) è messa da Don Bosco alla radice stessa della missione salesiana. Alla luce di questo stile di obbedienza salesiana quanti individualismi e quante iniziative indipendenti abbisognano di revisione e di correzione!
• Infine, tanto per suggerire solo degli spunti, la sana tradizione vissuta nella spartanità delle prime generazioni e nella testimonianza dei nostri migliori predecessori, insieme alle direttive delle Costituzioni e dei Regolamenti, ci indicano espressioni pratiche ed esigenti di unione con Dio e di ascesi.
Così:
— Per curare il nostro «incontro quotidiano con Cristo» converrà rileggere, in vista di una revisione al riguardo, il capitolo 8° delle Costituzioni:37 ascolto di Dio, preghiera, Eucaristia, Penitenza, devozione mariana, e una liturgia della vita in cui offriamo noi stessi nel quotidiano lavoro «come ostie vive, sante e gradite a Dio».
— E per l’«impegno ascetico» permettetemi di presentarvi le indicazioni di alcuni articoli assai concreti:
Cost. 42: Il lavoro e la temperanza in opposizione alle comodità e agiatezze; la prontezza nel «sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame, le fatiche e il disprezzo ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza delle anime!»;
Cost. 79: per conservare la castità, l’uso della mortificazione e della custodia dei sensi;
Cost. 83, 85, 87: per vivere la povertà, accettare le incomodità e assumere un tenor di vita semplice e frugale nello spirito di sacrificio;
Cost. 91, 93, 94: per vivere l’obbedienza, fare oblazione della nostra volontà a Dio nella Congregazione; essere sempre disponibili; considerare i Superiori e la Comunità come mediazioni qualificate per conoscere la volontà del Padre; essere duttili al dialogo; mettere, da parte di ognuno, capacità e carismi al servizio della missione comunitaria. A ragione Don Bosco ci insegna che, invece di fare opere di penitenza, facciamo quelle dell’obbedienza;
Reg. 36: risvegliare il senso critico e la coscienza dei propri doveri morali nella scelta delle letture, delle proiezioni cinematografiche e delle trasmissioni radiofoniche e spettacoli televisivi, pensando all’austerità che comporta la vita religiosa e agli impegni della vita comunitaria e di lavoro;
Reg. 50: la speciale penitenza personale e comunitaria del venerdì e del tempo di Quaresima;
Reg. 55: la fuga delle agiatezze e delle attrattive mondane;
Reg. 61: la sobrietà nel cibo e nelle bevande, la semplicità degli abiti, l’uso moderato delle vacanze e dei divertimenti e l’astensione dal fumare come forma di temperanza salesiana e di testimonianza nel proprio lavoro educativo.
Don Bosco, i grandi Fondatori e i Santi sono tipi di uomo e di donna che fanno onore all’umanità. Hanno irradiato amore e gioia, perché sono stati veri discepoli di Cristo fissando attentamente lo sguardo anche sull’annientamento (la kénosi!) a cui si è sottoposto. C’insegnano innanzitutto a riempire il cuore di carità, ma a nutrirla pure e a difenderla con il coraggio ascetico, ricordando che un’ascesi pedagogica s’avvale anche di cose che possono sembrare piccole, ma che comportano un significato caratteristico e sostengono vitalmente e in continuità l’irrobustimento evangelico della volontà.
Ecco, cari confratelli, alcune riflessioni utili, pensate dopo una revisione globale della vita della Congregazione realizzata attraverso le Visite d’insieme.
Abbiamo urgente bisogno di riprogettare insieme la santità e di testimoniarla con uno stile di vita e di apostolato più credibile. È un’interpellanza, questa, che ci viene dai bisogni della gente e soprattutto dei giovani.
Si è verificato in questi anni un mutamento considerevole nelle nostre forme di vita per adeguarci meglio ai cambiamenti culturali e per essere più concretamente presenti nel mondo. Purtroppo non sempre ci siamo accorti che certi atteggiamenti e certe modalità secolari mettono poco a poco in questione l’essenza stessa della vita consacrata.
Noi, nel mondo, dobbiamo esserci come «santi». Siamo i segni e i portatori dell’amore di Dio ai giovani: non possiamo, dunque, essere loro estranei; ma siamo stati chiamati ad essere tra loro come dei veri discepoli di Cristo, sullo stile di Don Bosco.
La superficialità spirituale ci porta ad adattarci ingenuamente e semplicemente al mondo; la santità, invece, esige da noi un adattamento non propriamente al mondo, bensì ai bisogni evangelici del mondo!
Quindi: non mondani, anche se nel mondo; non estranei, ma con una propria identità; non antiquati, ma odierni profeti della realtà escatologica della Pasqua; non facili ammiratori della moda, ma coraggiosi cultori di un rinnovamento esigente; non disertori delle vicissitudini umane, ma protagonisti di una storia di salvezza.
La nostra sequela di Cristo secondo lo spirito di Don Bosco utilizza tutte le circostanze, gli eventi e i segni dei tempi, anche le situazioni più negative e ingiuste, per crescere e far crescere nella santità.
In questo audace impegno, che non è facile perché è in definitiva di contestazione (dobbiamo essere «segni di contraddizione» come Gesù), gli effetti desiderati non si ottengono, come si suol dire, «ex opere operato», ossia, per semplici cambiamenti di strutture o di organizzazione o di forme di vita e di apostolato più adattati alle esigenze dei tempi: anche tali cambiamenti sono indispensabili, devono però fondarsi su qualcosa d’altro, più in profondità e a sostentamento di essi.
I valori della santità dipendono dal cuore della persona; si ottengono e si accrescono piuttosto «ex opere operantis», ossia, per l’attività contemplativa della nostra intelligenza, per gli impegni della nostra libertà, per le iniziative del nostro amore.
Qui non si scappa; non si evade con una semplice critica alle strutture o dando la colpa agli altri. Qui si è inchiodati di fronte alla propria coscienza nell’intimità più profonda della propria realtà personale.
L’energia atomica che risolverà la crisi è situata lì: in questo santuario della nostra persona.
Questa è la grande verità: riflettiamoci!
Il Papa Giovanni Paolo II ci dice che «è la verità che dà il coraggio delle grandi decisioni, delle opzioni eroiche, degli impegni definitivi! È la verità che dà la forza per vivere le virtù difficili, le beatitudini evangeliche!... E la verità è Cristo, conosciuto e seguito... Dalla verità nasce logicamente il desiderio ardente della santità».38
Chiediamo a Maria che ci ottenga la luce per vedere chiaro. Essa è stata scelta nel progetto divino di redenzione per portare Cristo al mondo: lo ha portato a Natale e lo porta sempre nella storia della Chiesa, nella fondazione degli Istituti religiosi (ricordiamo i Becchi e Valdocco) e nell’esperienza vissuta di ognuno.
L’Ausiliatrice ci accompagni e ci guidi.
Auguro a tutti un nuovo anno di serio impegno nella santità.
Fraternamente in Don Bosco,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 15 ---------------------------------------------
1 Cost 40
2 Cost 25
3 MB XVII, 258-273
4 Cost 40
5 ACS n. 290, 1978
6 Mt 7, 21
7 EN 55
8 cf. GS 22
9 1 Gv 4, 20
10 1 Gv 4, 7.10.11.19
11 Gv 15,12
12 CELAM, La Iglesia en la actual transformación de América Latina a la luz del Concilio, vol. I, pag. 31, Bogotá 1968
13 1 Gv 4, 8
14 Gv 4, 24
15 1 Gv 4, 12
16 Gv 14, 9
17 CGS 517-555
18 cf. Mt 16, 24
19 cf. Col 1, 24
20 cf. 1 Cor 9, 24-25
21 PAOLO VI, 27 giugno 1965
22 cf. 1 Cor 9, 24-27
23 GS 22
24 PC 14
25 cf. Rm 7, 21-25
26 cf. Fil 2, 6-9
27 Mc 14, 36
28 1 Cor 2, 12-13
29 Gal 5, 16-22
30 Rm 8, 11-13
31 Rm 8, 18
32 cf. ACS n. 293, 1979
33 ACS n. 301, pag. 23
34 cf. MR 11
35 Redemptor hominis e Dives in misericordia
36 cf. Cost 50, 34
37 Articoli 58-67
38 Osservatore Romano, 19-20 ottobre 1981