Atti_2001_375.ACG_


Atti_2001_375.ACG_



1 Pages 1-10

▲back to top


1.1 Page 1

▲back to top


1. IL RETTOR MAGGIORE
«ECCOMI! VENGO PER FARE LA TUA V O LO N TÀ »1
La nostra obbedienza: segno e profezia.
Parliamone di nuovo. -1 . La prima e radicale Beatitudine. - 2. Valore dell’obbedienza religiosa.
- 2.1. «In capite libri scriptum...» - 2.2. Al seguito di Cristo. - 2.3. Insieme a Maria. - 2.4. Come Don
Bosco. - 3. Un valore in trasformazione. - 3.1. Elementi culturali. - 3.2. Elementi ecclesiali. -
3.3. Direttrici di marcia. - 3.3.1. Dall’ascetica alla mistica dell’obbedienza. - 3.3.2. Membri respon­
sabili di una comunità obbedienziale. - 4. Un’obbedienza per l’ora presente. - 4.1. La nostra
vocazione è un’obbedienza “in formazione”. - 4.2. Una pedagogia dell'obbedienza. - 4.3. La nostra
vocazione è un'obbedienza di vita e di missione. - 4.4. La nostra esistenza è un’obbedienza
profetica. - 5. Un’obbedienza per il terzo millennio. - 6. L’Annunciazione: appello e risposta.
Roma, 25 marzo 2001
Solennità dell’Annunciazione del Signore
Parliamone di nuovo.
Parlare di obbedienza, oggi non è cosa facile. È in atto una
“trasmutazione” del concetto stesso, che sarebbe ingenuità igno­
rare. È questo il tributo da pagare all’avanzata del criterio de­
mocratico e, per molti versi, della visione individualistica della
vita, al superamento di deleghe in chi ha il servizio di autorità,
all’assunzione di modalità più mature di collaborazione al bene
comune, alla demitizzazione dell’autorità, per fondarla più umil­
mente sulla corresponsabilità dentro un orizzonte di fede.
“L’obbedienza non è più una virtù”, dice il titolo di un libro
famoso. C’è chi si riconosce senza difficoltà (con una punta di
orgoglio anticonformista...) “disobbediente” . E non manca chi
vede nell’obbedienza “il segno di una maggiore età mai matu­
rata” . Il detto contiene un suo germe di verità, se lo si riferisce
alla delega di responsabilità che alcuni scaricano totalmente su
chi comanda. La Gaudium et Spes assicura che la responsabi­
lità della persona si definisce di fronte alla storia2. Anche la no­
1 E b 10,7
2 cf. GS 55

1.2 Page 2

▲back to top


4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
stra responsabilità si definisce davanti alla nostra storia locale
e mondiale. Perciò, l’obbedienza è una virtù quando, secondo la
propria situazione, si assume e si condivide seriamente la re­
sponsabilità sulla vita e sul carisma. Nell’imminenza del CG25,
mentre già sono in atto i Capitoli ispettoriali che lo preparano,
vale la spesa ricordare che tutti siamo chiamati a scorgere la
volontà di Dio sul nostro prossimo futuro, liberando i nostri
occhi da visioni troppo individuali o interessate.
Succede, purtroppo, di vedere manipoli di “liberi battitori”,
che rischiano di battere... moneta falsa. Veleggiano “navigatori
solitari”, che fanno la loro battaglia e sembrano incapaci di rag­
giungere un qualsiasi approdo comunitario. Ci sono “ cani
sciolti” - si è scritto con qualche amarezza - che non puntano
la preda, non difendono la casa, e non sono nemmeno capaci di
fare compagnia... Indici di un disagio, che attende una risposta.
È dunque necessario ammettere che, nella cultura corrente,
l’obbedienza non gode buona stampa. Non è una di quelle virtù
che, di primo acchito, destino simpatia né, forse, uno di quei doni
che il giovane e l’uomo contemporaneo desiderino possedere fino
al punto, per esempio, di inserirne la richiesta nella propria pre­
ghiera abituale. Ma il problema più profondo non sta tanto nella
sua pratica, quanto nel fatto di non cogliere il fondamento teologale
che abbiamo espresso nel titolo. Infatti l’obbedienza religiosa in­
tende inserirsi in quella di Gesù per la redenzione del mondo.
“L’obbedienza rimossa come virtù teologale nella vita con­
sacrata, riemerge come malattia”, ha scritto un autore. E ci
scontriamo allora con fondamentalismi, che assomigliano
troppo ad una ideologia cieca. Troviamo sulla nostra strada lea­
dership forti, che non sembra aiutino molto a maturare. Dob­
biamo ammettere forme di manipolazione, che, dalle due parti,
testimoniano il persistere di forti immaturità. Allo stesso
tempo, incontriamo individualismi ingiustificati e non confron­
tati con il progetto di vita salesianamente assunto.
Niente di nuovo sotto il sole... Salvo il bisogno di riflettere
daccapo anche sulla obbedienza del salesiano, nel contesto ec-

1.3 Page 3

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 5
desiale e sociale contemporaneo, per riconoscerne il senso, la
preziosità, il nuovo stile di esercizio. Ciò dà l’opportunità di
completare la nostra riflessione sui segni che la nostra vita co­
munitaria è chiamata a dare a giovani ed adulti, attraverso i
consigli evangelici3, non come un sacrificio della nostra uma­
nità, ma come un’apertura ad una sua trasfigurazione secondo
l’umanità di Cristo, come commenta abbondantemente l’Esor­
tazione apostolica Vita Consecrata4.
1. LA PRIMA E RADICALE BEATITUDINE.
L’obbedienza è una virtù adulta. Anzi, può essere soltanto
una virtù adulta. La proponiamo ai nostri ragazzi, non per
mantenerli bambini, ma per aiutarli a diventare maturi. Ne
parliamo nel contesto della vita consacrata, non solo perché si
tratta dell’a,b,c della vita comune, ma perché essa rappresenta
la porta di ingresso al Mistero di Cristo, ed anche il suo “sancta
sanctorum” , il suo luogo più segreto, più rivelatore, e più fe­
condo. Newman ha scritto: «Non sapranno che cosa significa
vedere Dio, finché non avranno obbedito», ed ancora: «la per­
fetta obbedienza è il metro della santità evangelica»5.
Il religioso, che si mette al seguito di Cristo, ne assume gli at­
teggiamenti fondamentali. Vive un amore totalmente donato, che
rinuncia a cercare qualche cosa per sé, e si esprime nella castità.
Annuncia, attraverso la povertà, la radicale condivisione dei beni,
rimessi vigorosamente al servizio della comunione e della solida­
rietà. Consegna, col voto di obbedienza, la propria esistenza al pro­
getto di Dio, accolto con totale abbandono, attraverso il misterio­
so intreccio delle umili (a volte fin troppo) mediazioni umane.
I voti rappresentano le tre radici dell’albero della nostra
3 Vedi le due precedenti lettere: Un amore senza limiti a Dio e ai giovani (ACG
366) e Mandati ad annunziare ai poveri un lieto messaggio (ACG 367)
4 cf. VC 87-92
5 cf. J.H .N ew m an, PPS Vili, S.5; Vili, S.14

1.4 Page 4

▲back to top


6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
vita. Non è, certo, nostra intenzione consegnare delle radici rin­
secchite e morte: vogliamo piuttosto trapiantare un albero vivo,
per farlo crescere ancora di più, trasferendolo dalla nostra terra
alla terra Sua. L’obbedienza è il segno della “terra nuova” in
cui ormai la nostra vita ha piantato la sua tenda. È l’atteggia­
mento che fonda il Totus tuus, che vediamo scritto sulle ban­
diere di Giovanni Paolo II: con lui, ci volgiamo al Padre, sull’e­
sempio di Cristo, per fare del Suo Regno la nostra casa.
C’è, nel Vangelo, una espressione che esplicita la beatitu­
dine per i “puri di cuore” . Ce n’è un’altra per i “poveri di spi­
rito” . Altre cantano i miti, i cercatori di giustizia, i seminatori
di pace, i perseguitati... Per l’obbedienza non c’è una formula­
zione esplicita. Essa è proclamata, si può dire, ad ogni pagina di
Vangelo. Ad essa fanno capo tutte le altre. È la totalità del Van­
gelo che, dall’Annunciazione di Gesù alla sua morte in croce,
proclama la beatitudine della comunione con il Padre.
Obbedisce il Figlio alla Madre e la Madre al Figlio. Obbedi­
scono, nelle parabole, i servi buoni e gli amministratori fedeli,
in attesa del loro Signore. Manifestano spirito di obbedienza
quelli che si cavano da sotto i ponti e da dietro le siepi, ed im­
boccano strade e sentieri per affollare la sala del banchetto,
portandosi sottobraccio la veste candida.
È la beatitudine legata all’intimità del Figlio col Padre.
Chiunque voglia muovere qualche passo sulla via di Cristo è
chiamato ad entrare nel Mistero della Sua obbedienza.
Rileggendo quanto Don Bosco diceva ai suoi sull’obbedienza
- un tema che gli stava molto a cuore - si evidenzia la centra­
lità che le viene attribuita dal Santo Educatore, sia nella vita
della Congregazione, che nell’organismo spirituale di ogni sale­
siano, e in vista dell’efficacia dell’azione educativa.
L’idea di Don Bosco è tradotta plasticamente nel cosiddetto
6 cf. MB XV pag. 183

1.5 Page 5

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 7
“sogno dei diamanti” 6: «uno più grosso e più folgoreggiante
stava in mezzo come il centro di un quadrilatero, e portava
scritto “ Obbedienza” : base e coronamento dell’edificio della
santità». È l’immagine di una centralità carica di energia, che
viene trasmessa ai cardini della vita. E non si riferiva certa­
mente soltanto a quell’obbedienza che finisce nella mediazione,
ma a quella che raggiunge e assume la dolce volontà del Padre.
L’obbedienza - nota Don Bosco - è il mezzo più facile per far­
si santi ed è energia capace di santificare ogni azione. È anima
della Congregazione, perno della vita religiosa, compendio di per­
fezione. Essa custodisce le virtù, moltiplica le energie ed il bene.
Va esercitata in modo evangelico, non con i musi lunghi, ma con
i cuori aperti, che vivono lo spirito di famiglia, testimoniando la
gioia e la pace di chi sente vicino il suo Signore.
Chi oggi sfoglia le Costituzioni salesiane, arrivato alla sezio­
ne dei voti, trova al primo posto il voto di obbedienza. Non è sem­
pre stato così. In fedeltà alla impostazione originaria data da Don
Bosco - e diversamente dall’ordine seguito sia dal Concilio che
dall’antica tradizione monastica - il CG22 (1984), che ha curato
l’edizione definitiva delle Costituzioni rinnovate, ha voluto che il
voto di obbedienza tornasse ad occupare il primo posto, fra i tre7.
Don Bosco, infatti, aveva corretto l’ordine dei voti trovato nelle
sue fonti, collocando l’obbedienza in posizione eminente, per evi­
denziarne l’energia di missione, di santificazione, di comunione.
Una scelta, che vuol comunicarci un messaggio.
Vuol suggerirci che “l’essere mandati” ai giovani è il cuore
della vocazione salesiana: la riceviamo come una consegna a
collocarci su una frontiera rischiosa ed urgente, costi quel che
costi, decisi a restarvi fino alla fine. Sapersi e sentirsi responsa­
bili dei giovani è la caratteristica di chi ha ricevuto una tale
missione. «Riviviamo...l’obbedienza di Cristo, compiendo la
missione che ci è affidata»8. Questo primo e sostanziale riferi­
7 cf. Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag.471-472
8 Cost. 64

1.6 Page 6

▲back to top


8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
mento al Padre che ci invia ed a Cristo nella cui obbedienza ci
inseriamo non va mai smarrito, per non fare dell’obbedienza
soltanto uno sforzo di volontà o un esercizio di disciplina.
L’obbedienza è anche il fondamento della vita fraterna,
nella quale «tutti obbediamo, pur con compiti diversi»9, ricono­
scendo che la disponibilità alla volontà di Dio è il cemento spiri­
tuale, che salva il gruppo dalla frammentazione, che potrebbe
derivare dalle molte soggettività, prive di un principio di unità.
Un’obbedienza, assunta ad imitazione di Cristo, invoca
un’autorità che si ispira alla paternità di Dio, in quello «spirito
di famiglia e carità»10, che accompagna un’obbedienza schietta,
pronta, e lieta11, che rifugge ugualmente dai vittimismi come
dai sotterfugi.
«Nella comunità e in vista della missione tutti obbediamo»12.
L’obbedienza appare come la condizione comune ad ogni sale­
siano, pur nella diversità dei compiti. Essa guarda lucidamente
a Cristo, si nutre della sua parola, vive del dono quotidiano del­
l’Eucaristia. E garanzia di unità e continuità della Congrega­
zione, principio che unifica l’esistenza e la offre con totalità di
dono, per la salvezza dei giovani e per la vita della comunità.
2. VALORE DELL’OBBEDIENZA RELIGIOSA.
2.1. «In capite libri scriptum...»
Per l’apostolo Paolo, come il peccato si concentra nella di­
sobbedienza di Adamo, così la forza della redenzione si esprime
nell’obbedienza di Cristo13.
Il Salmo 40 - interpretato dall’autore della lettera agli
" Cost. 66
10 Cost. 65
11 cf. ibid.
12 Cost. 66
13 cf. Em 5, 18-20

1.7 Page 7

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 9
Ebrei - evoca r«Eccomi» del Figlio nell’atto della incarnazione:
«Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora io ho
detto: “Ecco io vengo: sul rotolo del libro di me è scritto, che io
faccia il tuo volere” ».
L’obbedienza, con, in e per Cristo, è espressione dell’intimo
e continuo “sentirsi generato dal Padre” , che costituisce la
profondità del Suo Mistero, la fonte della sua esultanza e della
spinta, che lo porta a fare sempre la volontà del Padre. Essa si
traduce nel dire non parole proprie, ma quelle del Padre; nel
fare non opere proprie, ma quelle del Padre; nel nutrirsi ogni
giorno non della volontà propria, ma del cibo quotidiano, che è
la volontà del Padre14.
L’obbedienza è, in Cristo, coscienza del “sapersi generato,
per essere mandato” - missionario del Padre, in mezzo a una
razza di vipere e dure cervici15, sotto l’energia dello Spirito -
non ad operare in proprio, ma solo a servire la causa del Regno,
nei modi e nei tempi e cogli esiti noti soltanto al Padre, libe­
rando i prigionieri, annunciando ai poveri la buona novella ed
ai peccatori l’anno di grazia del Signore.
Cristo è l ’Amen16. Egli è il S ì17e l'Eccomi1S. È il Servo obbe­
diente, che dal proprio patire apprende l’obbedire19.
L’obbedienza, in Gesù, non è una semplice virtù, ma la
stessa definizione della sua identità e l’espressione della sua Fi­
gliolanza, del suo essere chiamato dal Padre, attraverso la gene­
razione, e del suo continuo rispondere «Eccomi»!
Né Gesù si limita ad obbedire stando “cuore a cuore” col
Padre. Egli obbedisce anche stando “cuore a cuore” col mondo.
Ne accetta, con umiltà e realismo, le mediazioni: Giuseppe e
Maria, che lo trattavano da ragazzo normale, che cresce obbe­
14 cf. Gv 4, 34; 6, 38; 8, 28-29
15 cf. Mt 12, 34; 23, 33; Es 32, 9; 33, 5
16 Ap 3, 14
17 2 Cor. 1, 19-20
18 Eb 10, 7
19 Eb 5, 8-9

1.8 Page 8

▲back to top


10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
dendo; le leggi ed i costumi religiosi, che lo vogliono fedele
orante alla sinagoga e devoto pellegrino a Gerusalemme; la se­
vera legge del lavoro e le circostanze che lo accompagnano, che
- specie ai poveri - impongono sempre dure obbedienze.
L’obbedienza riassume l’intera pre-istoria e storia di Cristo,
ma specialmente gli eventi della passione. Per Cristo fu obbe­
dienza il nascere, perdendosi, per così dire, nella carne del­
l’uomo. Fu obbedienza il vivere, vestendo l’anonimato e il si­
lenzio di Nazareth. Fu obbedienza il ministero della vita pub­
blica: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e
compiere la sua opera»20. Ed obbedienza, infine, condotta alle
sue ultime conseguenze, fu l’autoconsegna alla volontà del
Padre fino alla passione ed alla croce.
Sulla Croce coincidono il Mistero della volontà salvifica del
Padre, il Mistero dell’obbedienza redentrice del Figlio, il Mi­
stero doloroso ed oscuro della disobbedienza dell’uomo - che
arma la mano pavida di Pilato e quella omicida dei carnefici -
destinata ad essere vinta per sempre dall’obbedienza del Figlio
di Dio.
«Tutto l’atteggiamento esistenziale di Cristo si concentra
nell’obbedienza a Dio, un’obbedienza che non nasce spontanea,
ma che si educa attraverso la sofferenza (cf. Eb 5,8) e che sfocia
nella croce» (cf. Fil 2, 8)»21. È superfluo ripetere che nella vi­
cenda di Gesù e nei suoi atteggiamenti noi scopriamo il segreto
della trasformazione del mondo secondo la volontà del Padre.
2.2. Al seguito di Cristo.
È nell’obbedienza di Cristo che si incontra congiuntamente
l’amore del Padre e del Figlio ed il luogo nel quale si manifesta
lo Spirito. Lo Spirito di obbedienza viene effuso perché quelli
che sono di Cristo sono chiamati a diventare come Lui, ac­
20 Gv 4, 34
21 ABS, Parola di Dio e spirito salesiano (LDC 1996), pag. 122

1.9 Page 9

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 11
cogliendolo nella fede e quindi in un rapporto impensabile
con Dio.
La Sacra Scrittura presenta l’obbedienza come il cuore
stesso della fede. Fede, infatti, è autoconsegna ed abbandono
totale alle mani ed alla parola di Dio che è sapienza, luce, verità
e gioia, come ripetono i Salmi. Obbedienza è ricevere con fi­
ducia da Lui l’orizzonte della vita, i criteri di giudizio, la verità
delle cose, la natura della relazione fra tempo ed eternità.
Fede è prontezza a ricevere per grazia e per battesimo una
nuova identità, che ci trasfigura progressivamente in figli nel
Figlio: dunque non è certamente fuori luogo chiamare tutto
questo “obbedienza” . Una tale dimensione si manifesta più
chiara nei momenti più dolorosi: quando Abramo deve immo­
lare Isacco, Giovanni Battista agonizza nella fortezza di Mache-
ronte, Gesù accoglie l’amaro calice nel Getsemani, Maria offre
il Figlio crocifisso sul Calvario, ed i martiri di ogni tempo di­
cono il loro congiuntamente a Dio ed alla morte nelle circo­
stanze più incredibili e dolorose.
Non diversamente capita a noi, trasfigurati in Cristo attra­
verso il sacrificio dell’obbedienza, che ci mette totalmente a di­
sposizione di Dio.
È la nostra partecipazione al mistero dello svuotamento to­
tale del Figlio, della sua triplice kenosi: quella dell’incarna­
zione, che lo ha immerso nella condizione umana; quella della
passione, che lo ha spogliato anche dell’umana dignità; quella
della Eucaristia, che lo consegna, nel mistero della quotidia­
nità, all’amore ed al dolore dell’uomo.
2.3. Insieme a Maria.
Si obbedisce con più grande gioia, quando ci si riconosce de­
stinatari di una Grazia, sull’esempio di Maria, che, sorpresa dal
dono, risponde con il più generoso dei Sì.
L’obbedienza ci muove a sollevare lo sguardo contemplativo
alla Madre di Dio e della Chiesa, che, col suo Eccomi, si è defi­

1.10 Page 10

▲back to top


12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
nita serva obbediente ed è diventata modello - icona, come si
ama dire oggi - di ogni obbedienza di fede. Se possiamo vedere
nell’obbedienza di Abramo l’inizio dell’Antica Alleanza, nell’ob­
bedienza di Maria salutiamo l’inizio del Testamento Nuovo.
Essendo vera esperienza di fede, essa si presenta come ob­
bedienza dialogica. Maria non ascolta passivamente, non delega
alla prima mossa, non resta inerte, non subisce... Ella inter­
roga, vuol capire, cerca, per così dire, di accorciare la distanza,
che intercorre fra l’insondabile Mistero di Dio e la serietà del­
l’esperienza dell’uomo.
Mai obbedienza di una pura creatura è stata più grande o
più feconda, né un fiat detto nel cielo ha trovato eco più fedele
sopra la terra. Il fiat di Maria - nota Paul Evdokimov - «è la
storia del mondo in compendio, la sua teologia in una sola pa­
rola». La liturgia armena chiama il Mistero dell’incarnazione -
che ne è stato frutto - «l’economia della Vergine». In essa siamo
chiamati ad entrare, in compagnia di Maria.
L’obbedienza di Maria ci mostra la via di quella che Ago­
stino chiamava la “libertà maggiore”, perché innervata diretta­
mente dalla Grazia che libera. Lo avevano ben compreso gli
abitanti della città di Lucca, che - nel secolo XVII, affidandosi
alla Madonna dello Stellario - pregavano: «Vera libera, serva
nos liberos» («O tu, che sei davvero libera, conserva liberi
anche noi»).
Come Maria, obbediamo perché crediamo che c’è Dio dentro
la trama della nostra storia. Riconosciamo di “avere a che fare
con Lui” , attraverso le mediazioni, che sono state sancite dalla
Sua Chiesa. Lo crediamo interessato profondamente al nostro
progetto di vita, che è Suo.
Obbedire, nella vita religiosa, significa fare memoria oggi
e riattualizzare l’obbedienza di Cristo, accelerando il processo
di trasfigurazione in Lui. C’è, nell’obbedienza, anche un’intima
tensione escatologica, che esprime il desiderio di abbracciare
il Cristo che viene, diventando sempre di più - lungo lo spazio
ed il tempo intermedio - “sacramento di filiazione” , in Lui.

2 Pages 11-20

▲back to top


2.1 Page 11

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 13
In questo modo si sperimenta e, per così dire, si anticipa quel­
l’aria di libertà, che respireremo in cielo: poiché «in cielo, di
fronte a Dio, non si è soltanto “liberi”, per scegliere ancora, ma
“superliberi” perché si è già scelto, si è pienamente aderenti
a Lui, con tutti i dinamismi della volontà»22.
2.4. Come Don Bosco.
Non era diffìcile cogliere - durante i Capitoli più recenti -
un accentuarsi dello sforzo della Congregazione di meglio com­
prendere il Fondatore e la sua collocazione nel disegno di Dio23.
E non per fare dell’accademia teologica, ma per chiarire la
grazia ed il mistero della nostra identità.
Meditando, sempre di nuovo, la storia di Don Bosco nella
luce dello Spirito, noi scopriamo che essa è un evento di sal­
vezza, che ci coinvolge, e che «la sua storia è anche la nostra
storia»24. «La relazione di figli e discepoli che i salesiani vivono
nei confronti di Don Bosco»26è grazia vera e duratura.
Riconosciamo in Don Bosco la guida plasmata da Cristo Ri­
sorto, per indicare a noi - educatori e giovani insieme - un cam­
mino evangelico di santificazione missionaria e giovanile.
Per questo, è bello che si continui ad amare e a cantare, nel
mondo salesiano, l’antico inno della beatificazione: «Don Bosco
ritorna», che traduce bene il nostro impegno continuo di far
«rivivere in noi Don Bosco» (Beato M. Rua).
C’è una forte analogia fra i grandi padri biblici ed i Fonda­
tori di famiglie religiose, fra i discendenti dei primi ed i disce­
poli dei secondi. I discendenti dei padri biblici tornavano di con­
tinuo alla storia delle loro origini, per meglio ricomprendere e
definire la propria identità: da tale sforzo di rilettura sono nate
molte pagine del testo della Sacra Scrittura, a conferma di
22 V iganò E. Un progetto evangelico di vita attiva (LDC 1982), pag. 139-140
2,1 cf. ABS, Parola di Dio e spirito salesiano (LDC 1996), pag. 321-331
2" CG24 69
28 cf. ABS, Parola di Dio e spirito salesiano (LDC 1996), pag. 323

2.2 Page 12

▲back to top


14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
quanto esso sia sacrosanto e pieno di Spirito Santo! Non diver­
samente, i figli dei grandi Fondatori sono chiamati ad esplorare
la “grazia originante” della loro vocazione - che si concretizza
nella storia del Fondatore - a verifica della propria fedeltà e per
meglio discernere la volontà di Dio.
C’è dunque un mistero di obbedienza a Dio che, essendo fi­
liale, rappresenta pure il massimo della condizione umana.
Esso rinvia il salesiano a Don Bosco e lo lega con un nodo di ob­
bedienza alle più autorevoli testimonianze del suo spirito, come
le Costituzioni, nelle quali - notava il Beato Filippo Rinaldi -
«abbiamo tutto Don Bosco».26
Forse, sta qui la radice di taluni problemi in cui ci sentiamo
coinvolti. Non abbiamo ancora approfondito abbastanza - vital­
mente e spiritualmente - la nostra relazione con Don Bosco,
profeta di Dio per noi. E, forse, a volte, si è troppo allentato il
vincolo di obbedienza professato «secondo la via evangelica
tracciata nelle Costituzioni salesiane»27 incentrato principal­
mente su una missione da compiere corresponsabilmente.
Minati dal soggettivismo, logorati dall’individualismo, lascia­
ti al margine di vite più agitate che attive, gli impegni della mis­
sione risultano, talora, più disattesi che contestati, perché assi­
milati più all’ambito fragile e mutevole del diritto, che a quello
solido e “roccioso” del “dono di Dio” - che è il carisma di Don
Bosco - sul quale è possibile fabbricare la casa della nostra vita.
Il CG25 con il suo sostanziale richiamo al carattere comunitario
del nostro vivere, manifestarci ed operare ripropone l’attenzione
e la ricerca comune della volontà di Dio che non eliminano le
mediazioni, ma vi danno tutta la loro forza profetica.
26 Cf. Lettera circolare del 24 gennaio 1924, ACS n. 23
27 Cost. 24

2.3 Page 13

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 15
3. UN VALORE IN TRASFORMAZIONE.
3.1. Elementi culturali.
Se la sostanza profonda dell’obbedienza evangelica è quella
di ieri e di sempre, è tuttavia necessario ammettere che è cam­
biato il protagonista, è diverso il contesto culturale, è profonda­
mente mutata la relazione che regge il rapporto fra chi è chia­
mato al servizio dell’autorità e chi ha dato la sua disponibilità
all’obbedienza.
Il protagonista è cambiato per l’affermazione sempre più
diffusa e condivisa della possibilità della persona di contribuire
alle decisioni e per l’interiorizzazione di nuovi atteggiamenti ad
essa collegati. La persona gode maggiori spazi di libertà e di
espressione personale, si sente incoraggiata ad esprimere la
propria creatività, come forma di autentica docilità ed obbe­
dienza, ed è chiamata ad assumere in modo sempre più deciso
le proprie responsabilità, sia nel cammino di discernimento, che
conduce alle decisioni vitali più importanti, sia nel portare le
conseguenze delle scelte realizzate.
La tutela della propria felicità, il ritiro di deleghe circa deci­
sioni che coinvolgono la propria esistenza, il desiderio di vedere
riconosciuta l’originalità del proprio contributo, l’esigenza di
comprendere le ragioni di quel che succede alla propria esi­
stenza al di là del puro principio di autorità, l’intuizione della
dignità irrinunciabile che è propria anche dell’uomo che si fa
religioso obbediente: tutto questo lascia intravedere che il pro­
tagonista dell’obbedienza di oggi non è lo stesso di ieri.
È chiaro che tutto ciò è vissuto e sentito con diversi gradi di
intensità ed illuminato da diversi orizzonti. Ed è qui che agisce
quanto abbiamo esposto prima. Affidata ad un calcolo umano,
l’obbedienza religiosa perde il suo valore e la sua consistenza.
Il passaggio da una società statica ad una dinamica, da un’e­
poca organica ad un’epoca critica, dal villaggio locale al vii-

2.4 Page 14

▲back to top


16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
laggio globale ha cambiato notevolmente l ’orizzonte entro il
quale l’obbedienza si inscrive.
Le norme scritte e non scritte, che ieri ricavavano vigore
dalla loro stessa antichità e durata, sono contestate o, quanto
meno, sottomesse a frequente verifica.
Lo stile partecipativo indotto dalla vita civile sta ormai
prendendo piede anche nella casa religiosa, specie per le deci­
sioni che toccano la vita del gruppo, il futuro della comunità, il
progetto apostolico che le è affidato.
La percezione della complessità del reale (anche di quello
pastorale) rende più sensibili alla fragilità, unilateralità, pro­
blematicità di decisioni in sé legittime - a volte addirittura ne­
cessarie - spogliando l’autorità di ogni facile infallibilità, ma
allo stesso tempo anche postulandone il ruolo.
La secolarizzazione dell’autorità ha portato, in qualche mi­
sura, ad una secolarizzazione dell’obbedienza, che va continua­
mente illuminata col suo senso cristiano e carismatico profondo.
La collocazione operativa di numerosi confratelli in contesti e
ruoli civili, spesso con contratti tutelati dalla legge, tende a tra­
sferire da tali contesti modalità, od anche riserve, nell’esercizio
della propria disponibilità all’obbedienza. Va ricordato allora con
energia che la nostra professione è il voto di obbedienza con ra­
dice teologale. Tutto il resto è compreso e sostenuto da esso.
La crescita dei cammini formativi anche dentro gli Istituti
religiosi, l’acquisizione di robuste professionalità da parte di
molti confratelli, il sorgere di numerose e nuove specializza­
zioni (e la conseguente difficoltà a padroneggiarle adeguata­
mente) possono creare, a volte, una vera asimmetria e disparità
di competenze, fra superiore e religioso, che segna profonda­
mente il rapporto di autorità e di obbedienza.
Ciò, se da una parte rende il dialogo metodico e leale sempre
più indispensabile, dall’altra può generare dei superiori troppo
timidi, o rinunciatari, o frenati da un senso acuto della propria
incompetenza, che possono essere tentati di lasciare andare le
cose per il loro verso, anziché accollarsi la fatica di guidarle.

2.5 Page 15

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 17
3.2. Elementi ecclesiali.
È proprio in questo contesto che l’obbedienza del consacrato
può assumere un accresciuto significato teologale e umanistico,
che raggiunge il gesto di serena maturità. Nell’ambito più pro­
priamente ecclesiale, c’è stata una maturazione di elementi che
tendono a riconfigurare le modalità e il senso dell’esercizio del­
l’autorità e dell’obbedienza
L’obbedienza nella Chiesa fa parte dell’atteggiamento post­
pasquale, per il quale Cristo si fa presente mediante il suo Spi­
rito. Egli interviene attraverso i carismi riconosciuti dalla
Chiesa, di cui fa parte anche il rapporto autorità-obbedienza,
secondo le modalità proprie che vengono vissute nelle diverse
forme della vita consacrata.
La comunità religiosa è una porzione di Chiesa, dalla quale
deriva l’autorità propria della vita consacrata. E il religioso
si consegna a Cristo, attraverso il suo corpo, che è la Chiesa-
Comunità.
La Chiesa - come la Vergine in ascolto - resta in atteggia­
mento obbedienziale. Essa è convocata, per costruire il Regno
secondo il progetto di Dio. È mandata, ricevendo una missione
di evangelizzazione e di salvezza. È accompagnata dall’infatica­
bile e fecondo soffio dello Spirito.
Se è vero che la Chiesa condivide la passione di Cristo, fino
alla fine dei tempi - come notava Pascal - non è meno vero, che
essa è ugualmente chiamata, fino alla fine dei tempi, a farsi
espressione della Sua obbedienza al Progetto del Padre: è
Cristo, che obbedisce in noi; per questo, noi siamo chiamati ad
obbedire in Cristo. Ma per nostra gioia e consolazione: quello
che seguiamo è la dolce volontà del Padre!
Ciò vale per ogni cristiano, e, con particolare intensità, per
ogni religioso, che fa dell’obbedienza un canale privilegiato del
suo cammino di fedeltà e di santificazione. Tommaso d’Aquino
era convinto che l’uomo non potesse fare a Dio offerta migliore
(«nihil maius potest homo Deo dare», l ’uomo non può conse­

2.6 Page 16

▲back to top


18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
gnare a Dio niente di più grande) 28, perché in questo modo con­
segna tutto se stesso. Questo spiega perché, il voto di obbe­
dienza sia - e non solo nella tradizione domenicana - il più im­
portante dei tre.
D’altra parte, l’accento posto sulla Chiesa-comunione cari­
smatica, più che sulla Chiesa-istituzione gerarchica ha compor­
tato il passaggio correlativo dall’accento sul dovere di obbe­
dienza imposto al fedele, all’accento sul discernimento dei doni
dello Spirito richiesto al superiore ed ai responsabili della vita
delle comunità.
La ricchezza della comunità viene dai doni di cui ciascuno è
depositario ed il superiore migliore non è quello che sa meglio
imporsi, ma colui che meglio sa scoprire e valorizzare l’apporto
di ciascuno. I contemporanei di Don Bosco testimoniano unani­
memente la sua sagacia non solo nel saper discernere, per met­
tere l’uomo giusto al posto giusto, nello scoprire risorse na­
scoste valorizzandole al meglio, ma anche nel saper far tesoro
di chi, forse troppo sommariamente, era stato messo da parte
come un uomo difficile o, addirittura, sbagliato.
Parlare di discernimento significa sottolineare la duplice
componente del processo, che, da una parte, avviene sotto il cie­
lo di Dio, ma, dall’altra parte, si muove sul fragile terreno delle
mediazioni umane. L’orizzonte entro il quale ci si colloca è quel­
lo della ricerca della volontà di Dio. La quale, normalmente, cor­
re su linee verticali e su linee comunionali. È meno legata ad ele­
menti di efficienza, che non ad atteggiamenti di confidenza. Per
cui il dialogo, l’ascolto, l’attesa, la gioiosa scoperta del fratello
diventano le tappe che scandiscono i successivi passaggi, desti­
nati a far maturare un’obbedienza, che - nel suo stadio più ma­
turo e riuscito - somiglia di più ad una promozione della perso­
na, che non ad una imposizione dell’autorità.
28 cf. S.T. II,II, Q 186, art. 5 e 8

2.7 Page 17

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 19
3.3. Direttrici di marcia.
Elementi culturali ed ecclesiali provocano una evoluzione
nella concezione e nella pratica dell’obbedienza.
Da un’insistenza prevalente sull’aspetto ascetico della virtù,
si è passati ad un più profondo e convinto apprezzamento del­
l’aspetto mistico e cristologico; da un’accentuazione individuale
del dovere da adempiere si è passati ad una contestualizzazione
assai più attenta alla valenza comunitaria.
3.3.1. Dall’ascetica alla mistica dell’obbedienza.
Va dedicata speciale attenzione alla ridefinizione della no­
stra libertà, ad opera del carisma dell’obbedienza religiosa.
L’obbedienza resta “uno spazio in forma di morte” , segnato
dalla Croce, perché anche la nostra libertà deve fare la sua
Pasqua, se vuole essere libera davvero, e “perdersi” - per usare
le parole evangeliche - se vuole davvero “trovarsi” 29.
Dall’insistenza sulla libertà “rinunciata”, si passa - su in­
vito del Concilio - all’apprezzamento di una libertà “corrobo­
rata” 30, “più matura” 31, “ampliata” 32: è il frutto dell’irruzione
dello Spirito di libertà, che prende possesso del cuore credente,
espandendovi uno “spazio in forma di vita e di resurrezione” .
La flessibilità della “forma” concreta del nostro esistere è il mo­
do proprio della nostra obbedienza, per cui restiamo pronti a
“conformarci” alle chiamate del Signore - che, talora, potranno an­
che prenderci in contropiede - attraverso una disponibilità disar­
mata e audace, che deriva dall’abbandono alle braccia del Padre.
Il salmo 118 canta la legge di Dio con una strofa corrispon­
dente ad ogni lettera dell’alfabeto, quasi a dire che è l’obbe­
dienza a generare il suono, e la sillaba, e la parola, con cui scri­
viamo la storia della nostra vita credente.
29 cf. Mt 16, 25; Me 8, 35; Le 9, 24
30 cf. LG 43
31 cf. PO 15
32 cf. PC 14

2.8 Page 18

▲back to top


20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Per questo, l’obbedienza è segno ed epifania della fede. «Per
fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì»33. Di “obbedienza della
fede” parla Paolo, in apertura e chiusura della lettera ai
Romani34, che espone la sintesi più matura della sua esperienza
di veggente e di credente.
Nell’obbedienza, la polarizzazione di fondo non è nel con­
fronto fra superiore e suddito o fra progetto personale e ordine
ricevuto, ma nella dialettica fra disegno di Dio e progetto del­
l’uomo, fra la Parola di Dio, che costruisce la storia, e l’ascolto
obbediente degli uomini che la abitano: «Il nostro divenire
sempre più noi stessi non sarà altro che un continuare a dire
“sì” alla parola con la quale Dio ci chiama ad una sempre mag­
giore pienezza di esistenza. Vera libertà è vivere in ascolto, cioè
con volto proteso verso colui che parla, costruendo la realtà cui
si rivolge»35.
Il cammino di obbedienza a Dio coincide con quello di una
fede non solo pensata, ma anche approfondita e vissuta: rappre­
senta lo spazio della nostra appropriazione della filiazione di
Cristo, donataci nel Battesimo. In questo senso la nostra obbe­
dienza si fa profezia della fede, che non consiste solo in verità
da credere, ma soprattutto in volontà da compiere: «Non chi
dice Signore, Signore...ma chi fa...»36 Per questa ragione, il
voto di obbedienza è stato definito come “il più biblico di tutti”,
proprio per la sua capacità di farci entrare nel sentire di Cristo.
L’obbedienza è uno spirito pervasivo, prima che un gesto
singolare ed esecutivo. Più che un atteggiamento puntuale, è
uno stato d’animo permanente, che ci innesta nell’anima di
Cristo. È un “fiat voluntas Tua”, che, suonato come un basso
continuo nella sinfonia della vita, fa di ciascuno di noi il “figlio
del Padre” , sull’esempio del Signore Gesù.
Cuore della nostra vita consacrata è una “carità obbedien­
33 Eb 11, 8
31 cf. Rm 1, 5; 16, 26
35 A. P igna, Consigli evangelici (Roma 1993), pag. 425-426.
36 cf. Mt 7, 21

2.9 Page 19

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 21
te”, che accoglie il progetto di Dio su di noi, vivendolo ogni gior­
no negli avvenimenti personali e nelle prospettive comunitarie.
3.3.2. Membri responsabili di una comunità obbedienziaie.
La seconda sottolineatura, dopo l’indispensabile riferimento
teologale, evidenzia l’energia comunitaria, che l’obbedienza
esprime.
L’ecclesiologia di comunione - che è stata tanto ravvivata
dall’esperienza conciliare - ci ha resi sensibili alla comunità
come primo soggetto della missione ecclesiale, come Corpo di
Cristo, che abita, anima, salva la storia. Abbracciato nella fede,
questo ci fa passare dalla ricerca esasperata dell’autorealizza­
zione individuale al dono gioioso che innesca l’autotrascen-
denza, dall’obbedienza di pura esecuzione all’obbedienza come
assunzione di un progetto condiviso, dallo stile del “navigatore
solitario” all’umile impegno di colui che ha viva coscienza che
la comunione resta la sua prima missione. Ne viene una con­
versione di mentalità nei confronti del nostro rapporto con la
comunità e con l’obbedienza.
Oggi, obbedire significa avere chiara coscienza della interdi­
pendenza e della reciprocità, che caratterizzano la nostra pre­
senza in comunità. Vuol dire anche recuperare in pienezza un
senso di appartenenza, che non può essere solo sociologico, ma
diventa anche affettivo e spirituale37. In tempi di affiliazioni de­
boli o in declino, di appartenenze plurime e frammentate, di fe­
deltà incerte - che non risparmiano le comunità religiose - l’ob­
bedienza ricompresa e vissuta con gioia diventa fondamento
per una speranza rinnovata. E bisogna dire che da quando
stiamo agendo in comunione, anche con nuovi sforzi, le nostre
presenze esprimono più forza salvifica.
Se in alcune epoche è stato prevalente l’aspetto dell’/o obbe­
disco, oggi siamo chiamati a vivere quello più ecclesiale del Noi
37 cf. M erkle J. Gathering thè fragments, New times for obedience, in Review for
religious, June 1996

2.10 Page 20

▲back to top


22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
obbediamo. Per questo, la presente riflessione ha per destina­
tari tutti i salesiani senza eccezione, confratelli e superiori:
prima di ogni distinzione in base al ruolo di autorità che viene
ricoperto, infatti, va affermata l’unità in base all’obbedienza di
fede, che tutti insieme professiamo. La prima ad entrare in crisi
non è stata l’autorità, ma la comunità, alla cui luce va ripen­
sato l’intero stile dell’obbedienza. Essa va vissuta, infatti,
anche come capacità di assumere un ruolo serio, da persona
matura e responsabile, dentro la comunità in cui la chiamata
del Signore ci inserisce.
Se ieri era centrale nell’obbedienza il rapporto diretto col
superiore, oggi viene acquistando maggiore rilevanza l’inseri­
mento dell’obbedienza nel tessuto comunitario. Ci sono da rea­
lizzare molte obbedienze intracomunitarie, sull’esempio di
Gesù, che obbediva al Padre, ma anche accogliendo la media­
zione di Maria e di Giuseppe. Succede che, dalla disattenzione
alle “piccole mediazioni”, si passi, quasi senza accorgersi, alla
trascuratezza delle mediazioni più grandi ed autorevoli. Ep­
pure, nelle piccole mediazioni, si ripete l’invito di Es 20, 19:
«Parla Tu a noi, e noi ascolteremo». Non va sottovalutato, in
tal senso, per esempio, il colloquio col superiore38, che - pure coi
necessari aggiustamenti39 - mantiene un ruolo centrale nella
vita della comunità salesiana.
Se, in passato, poteva a volte prevalere l’aspetto esecutivo,
oggi viene meglio sottolineato e vissuto l’aspetto partecipativo,
che muove dalla coscienza della propria corresponsabilità nel-
l’elaborare orientamenti, scelte e decisioni sulla propria per­
sona, sulla vita della comunità e della Congregazione. Il discer­
nimento comunitario diventa allora, per i problemi più gravi,
lo stadio previo all’intervento dell’autorità e un momento
di grazia, comune sia al superiore che al semplice confratello.
38 cf. Cost. 70
39 cf. l’eccellente lavoro di don E BROCARDO, Maturare in dialogo fraterno (LAS,
Roma 1999)

3 Pages 21-30

▲back to top


3.1 Page 21

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 23
Lì ognuno obbedisce alla volontà del Signore, che si cerca di
scoprire e di realizzare secondo il dono fatto a ciascuno, collo­
candoci, tutti insieme, all’interno del carisma del Fondatore.
Spesso la “convergenza delle vedute” 40- da cui il superiore non
dovrà scostarsi senza serie ragioni - aiuterà a prendere deci­
sioni largamente condivise. Altre volte, invece, sarà necessario
che il salesiano accolga proprio l’autorità del superiore come
elemento decisivo del discernimento, «un aiuto e un segno che
Dio gli offre per manifestare la sua volontà»41.
La comunità, dunque, è chiamata ad essere non solo il luogo
dell’obbedienza, ma anche del discernimento e della creatività.
Non solo della “minorità” , ma anche della maturità. Non solo
della leadership autorevole, ma anche della corresponsabilità e
del dialogo.
4. UN’OBBEDIENZA PER L’ORA PRESENTE.
4.1. La nostra vocazione è un’obbedienza “in formazione”.
È stato scritto che “ogni vocazione è mattutina” , perché
siamo chiamati ad aprire ogni giornata - e così la vita intera -
gridando al nostro Signore: Eccomi42.
Si tratta di una vocazione, che, al suo stadio di piena matu­
rità, è possibile riconoscere assai più come un’obbedienza alla
chiamata del Signore, che come la realizzazione di un nostro
desiderio, in sé legittimo, forse, ma incapace, da solo, di soste­
nere il nostro cammino nella lunga distanza.
La chiamata del Signore si manifesta assai di frequente at­
traverso l’intima e gaudiosa attrattiva interiore verso il carisma
40 cf. Cost. 66
41 Cost. 67
42 cf. Nuove vocazioni per la nuova Europa, a cura delle Congregazioni per l’Educa­
zione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di vita consacrata e le Società di
vita apostolica, n.26a)

3.2 Page 22

▲back to top


24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di un grande Fondatore, che vive nella Chiesa attraverso i suoi
figlie e le sue figlie. È una mozione dello Spirito, che apre un
orizzonte ed incoraggia dolcemente il nostro io spaurito a dire,
con serena fiducia, il suo sì. Qualche cosa del genere è successo
alla nostra vita, nei giorni della nostra scelta vocazionale43, ma
continua ad accadere ogni giorno, attraverso la grazia della per­
severanza.
Il compito della nostra vita resta, dunque, quello di crescere
nella qualità della nostra obbedienza vocazionale, puntando alla
meta di un’obbedienza matura, libera, gioiosa. Il discorso non è
scontato: vediamo infatti obbedienze vocazionali fiorire fino alla
santità, ed altre, ahimè, afflosciarsi fino all’insignificanza.
La nostra storia ha, talora, conosciuto il pericolo che certi
modi di vivere l’obbedienza portassero a forme infantili di di­
pendenza, di delega della propria responsabilità, di incapacità ad
assumere ruoli di rischio e di governo. Ora, il panorama appare
alquanto trasformato. Le insidie alla pienezza dell’obbedienza
evangelica e vocazionale vengono soprattutto da altre fonti.
Possono derivare da una enfatizzazione dell’ autonomia
della coscienza, scollegata dalla propria comunità o da quella
dimensione che fonda la sua stessa dignità, che è la ricerca as­
sidua del Progetto e della presenza di Dio nella nostra vita.
Nuoce, talora, anche un atteggiamento antiistituzionale -
che ha molte radici nella cultura corrente - per cui l’autorità è
percepita più come un pericolo che come un aiuto, più come
concorrenza che come collaborazione, più come avversario -
tanto più insidioso quanto più corretto - che come interlocu­
tore, più come un potere nemico da cui difendersi, che come
una grazia, da cui trarre frutto.
In taluni ambienti può essersi diffusa una mentalità che at­
tribuisce scarsa stima alla Regola, alla tradizione ed alla disci-
43 cf. V ecchi J., Spiritualità salesiana, LDC Torino 2001, “Il Signore ci consacra
col dono del suo Spirito”, pag. 42-43

3.3 Page 23

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 25
piina religiosa, non più accolte come sforzi ecclesiali di attualiz­
zare il Vangelo, ma giudicate piuttosto come obsoleti ed ingom­
branti retaggi di un passato, che non esiste più.
Al seguito di particolari dinamiche sociali, può essersi fatta
strada una lettura funzionalista e secolare dell’autorità nella
Chiesa e nella vita religiosa, che impedisce di riconoscere, nella
fede, le “mediazioni” che, anche se imperfettamente, ci met­
tono in contatto col Mistero di Dio.
Anche l’assenza e la latitanza dell’esercizio dell’autorità re­
ligiosa - che può risultare un tacito messaggio sulla sua insigni­
ficanza, lanciato da chi è proprio chiamato a darle spessore
umano ed evangelico - può aver diminuito la gioia e l’efficacia
dell’obbedienza religiosa, cui Don Bosco attribuiva grande peso
nel dare serenità alla vita salesiana44.
Compito di tutti i responsabili della formazione (iniziale e
permanente) è di costruire una “pedagogia dell’obbedienza” ,
che sia solidamente centrata su Cristo («fate tutto quello che
egli vi dirà»45), ma anche capace di fare i conti con l’epoca
nuova, nella quale siamo chiamati a vivere, cambiando quanto
va cambiato, ma senza correre il rischio di buttare, insieme al­
l’acqua sporca, anche il bambino.
Vi sono aspetti umani della personalità, che vanno educati
per rendere possibile la pratica serena dell’obbedienza. La ca­
rica emotiva ed aggressiva, che caratterizza la nostra cultura,
potrebbe incoraggiare degli atteggiamenti “ fusionali” (di
rientro nell 'habitat ovattato del grembo materno), che sareb­
bero un serio handicap per il maturare di un’obbedienza
adulta. È necessario aiutare a vivere in maniera equilibrata la
tensione tra dipendenza (che si esprime nel bisogno di approva­
zione, di affiliazione, di sicurezza) e indipendenza (che com­
porta fiducia nelle proprie risorse, apertura al rischio ed alla
11,1 cf. Obbedienza, nella Introduzione alle Costituzioni
“ Gv 2, 5

3.4 Page 24

▲back to top


26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
responsabilità, capacità di portare la croce ed il fallimento...).
Occorre incoraggiare una sufficiente autonomia, per gestire
i rapporti fraterni e sociali, integrarsi in forma positiva in
gruppi di lavoro e di comunicazione, respirando quella “spiri­
tualità relazionale”, di cui ci parla il CG2446.
Ognuno deve imboccare la via dell’autenticità, sapendosi de­
finire e collocare con ragioni non improvvisate, né abbracciate
per semplice pigrizia o spirito di compromesso, né taciute per
paura di dover affrontare la contraddizione o la solitudine, ma
maturate in un vigilante cammino di fede.
La nuova edizione della Ratio Formationis, recentemente
promulgata dal Rettor Maggiore con il suo Consiglio, potrà, tra
l’altro, tracciare itinerari ed indicare processi, finalizzati all’ac­
quisizione di questi obiettivi.
Al tempo stesso vanno irrobustiti alcuni atteggiamenti
spirituali.
È fondamentale la lettura di fede degli eventi della propria
vita, che aiuta a riconoscere che anche “nella valle oscura” non
c’è da temere alcun male47 e che, attraverso mille eventi appa­
rentemente casuali, è Lui che tesse per ciascuno una trama di
salvezza.
Lo scorgere nel carisma salesiano una grazia personale48,
che il Signore ci offre e che ha preparato per noi, sarà fonte di
gioia e di serenità, ci permetterà di attivare quel “registro della
confessio fidei”49, che - partendo dal riconoscimento di un dono
ricevuto - sostiene l’entusiasmo, che ne fa conoscere il pregio.
Ne verrà quella evangelizzazione vocazionale per contagio, che
è la più efficace, nell’epoca e nel mondo in cui viviamo.
46 cf. CG24 91-93
47 cf. Sai 23, 4
48 cf. V ecchi J., Spiritualità salesiana, LDC Torino 2001, “La consacrazione dono
di Dio ed esperienza personale”, pag. 42 ss
49 cf. Nuove vocazioni per una nuova Europa, a cura delle Congregazioni per l’Edu­
cazione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di vita consacrata e le Società
di vita apostolica, n. 34,c)

3.5 Page 25

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 27
Una assimilazione corretta della “'spiritualità dell’incarna­
zione" sarà di aiuto ad assumere serenamente la presenza delle
mediazioni, «come quotidiani interpreti della volontà di Dio»60.
Radicate nella Chiesa, universale sacramento di salvezza51, esse
ci portano, dentro l’umiltà del segno, la possibilità di un reale
contatto con Dio. Mentre ci invitano a vivere come se vedes­
simo l’invisibile62 - ci rendono più familiare il Mistero di Dio,
che sa farsi vicino ad ogni uomo, e ci aiutano ad inserire tutta
la realtà creaturale in una rete di grazia, che avvolge la nostra
vita, per salvarla.
Chiesa e sacramenti, Fondatori e carismi, Regole e comu­
nità, Vescovi e superiori, il mondo della natura e quello della
storia sono veicoli di grazia, che ci comunicano qualcosa di Dio,
del Suo Mistero di prossimità e di nascondimento. Ma, fra tutte
le mediazioni, quella più nobile ed eloquente resta l’uomo, co­
struito ad immagine di Dio, e, fra gli uomini, coloro che hanno
ricevuto mandato e vocazione di essere, in modo peculiare,
segni di Lui, in qualità di pastori. Accogliere la mediazione si­
gnifica comprendere e realizzare una delle forme della ricapito­
lazione di tutte le cose in CristoB3, trasfigurando il mondo con
la luce della nostra fede, mentre corriamo verso di Lui, con
gioia di figli, gridandogli “Maranatha” .
Talora, Don Bosco distingueva fra obbedienza “personale”
ed obbedienza “religiosa” , sottolineando la superiore qualità
della seconda, non dettata dalla sola simpatia o dalle qualità
umane della persona del superiore di turno, ma, soprattutto,
dall’accoglienza di una mediazione, riconosciuta nella fede. Di
qui verrà la libertà e la pace, nell’atto di affidarci a Dio ed alle
persone, che Egli ci ha dato come guide nel cammino. Giovanni
XXIII lo esprimeva nel motto: Oboedientia et pax.
60 Cost. 64
61 cf. LG 48
52 cf. Eb 11, 27; Cost. 21
63 cf. Ef 1,10; cf. GS 45

3.6 Page 26

▲back to top


28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
4.2. Una pedagogia dell’obbedienza.
La “pedagogia dell’obbedienza”, cui ho accennato, è chia­
mata a lievitare la vita pratica e ad illuminarla, radicando gli
atteggiamenti suggeriti nell’umile e sofferta concretezza
della vita quotidiana. Errore fondamentale sarebbe presen­
tare l’obbedienza come un giogo pesante, trattandosi della amo­
revole volontà del Padre.
In particolare, appare necessario - già negli ambienti forma­
tivi, ma anche in tutte le case, specie davanti a scelte impegna­
tive - avviare l’apprendimento e l’esercizio del discernimento
comunitario, nello spirito degli articoli 44 e 66 delle Costitu­
zioni: in clima di preghiera e di ascolto reciproco, sotto una
guida attenta a valorizzare ogni risorsa ed a creare spazio per
ogni persona. Si tratta di raccogliere tutti i dati che illuminano
la valutazione di un problema, di individuare i più decisivi cri­
teri di lettura, di trarre le conclusioni operative più urgenti. È
un contesto, nel quale l’obbedienza si sforza di avere uno
sguardo di fede capace di leggere “i segni dei tempi”, porge l’o­
recchio alla parola ed al cuore del fratello, sa dare il proprio
contributo, con umiltà e con gioia, per realizzare la decisione,
che conclude il momento della ricerca comune. E in questo im­
piega anche tutte le risorse della ragione. Il discernimento ri­
chiede ciò e non va saltato.
Va dato un aiuto personalizzato per educare a gestire
eventuali conflitti, legati alla sfera dell’obbedienza. Il caso
più serio è quello di un conflitto fra obbedienza e coscienza per­
sonale. Si possono riscontrare, a volte, delle situazioni com­
plesse - o addirittura drammatiche - che richiedono cammini
di calma e di chiarimento; non possono essere sempre soggette
all’esclusivo giudizio del superiore, ma hanno, piuttosto,
bisogno del suo rispetto e della sua preghiera. Anche in questi
casi, tuttavia, il dialogo col superiore dovrà accompagnare
il confratello, nella carità e nella chiarezza, per aiutarlo a
discernere i valori in questione, la molteplicità dei giusti criteri

3.7 Page 27

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 29
di giudizio, le possibili vie di soluzione.
Ma vorrei qui, soprattutto, riferirmi a casi non infrequenti
in cui la coscienza viene semplicemente opposta alla obbe­
dienza, che chiede il sacrifìcio di un trasferimento di casa, o di
un cambiamento di ufficio, o di una più fedele osservanza delle
Costituzioni, o di accogliere, su un fatto o su un problema, la
valutazione complessiva del superiore, che appare in contrasto
con la propria.
Indico alcuni semplici criteri di valutazione.
In primo luogo, non bisogna dare per scontata la frequenza
di un tale conflitto, che, nella vita religiosa, va considerato raro
ed eccezionale, poiché «un religioso non dovrebbe ammettere
facilmente che ci sia contraddizione fra il giudizio della sua co­
scienza e quello del suo superiore»54.
Spesso, sarà invece necessario dedicare tempo, preghiera e
dialogo per portare al superiore l’indispensabile contributo
della nostra esperienza e del nostro amore ai giovani ed alla
Congregazione e per accogliere da lui serenamente le motiva­
zioni e le decisioni, che segnano la conclusione della ricerca co­
mune55. «In questa ricerca, i religiosi sapranno evitare tanto
l’eccessiva agitazione degli spiriti, quanto la preoccupazione di
far prevalere, sul senso profondo della vita religiosa, l’attrattiva
delle opinioni correnti»66.
Dobbiamo, poi, cercare di essere certi, davanti al Signore,
che la nostra coscienza sia una coscienza religiosa salesiana,
che ha accolto ed interiorizzato gli elementi essenziali della no­
stra vocazione di consacrati, secondo lo spirito di Don Bosco ed
i voti fatti al Signore.
A volte, si ha l’impressione che - su scelte o problematiche
squisitamente “cristiane religiose e salesiane” - ci si trovi a dia­
logare con coscienze che hanno perso l’interiore ricchezza voca­
51 Paolo VI, Evangelica Testificatio (ET), 28
65 cf. Cost. 66
“ ET 25

3.8 Page 28

▲back to top


30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
zionale e si lasciano guidare da criteri puramente mondani, o
rigidamente soggettivi. Per queste coscienze le Costituzioni sa­
lesiane rischiano di diventare mute, la comunità religiosa insi­
gnificante, l’autorità del superiore illegittima, la missione sale­
siana una esclusiva scelta personale. In questi casi, l’esperienza
del conflitto può diventare occasione di un autentico recupero
vocazionale, o, a volte, magari dolorosamente, di un definitivo
chiarimento.
Il più delle volte, però, la consistenza vocazionale non è in
questione, ma il conflitto si apre sull’applicazione, implicita od
esplicita, di criteri, che vanno meglio precisati.
Può nascere tensione fra obbedienza ed efficienza: sembra,
alle volte, che l’obbedienza, che ci è richiesta, non rispetti abba­
stanza le professionalità acquisite, né gli ambiti di lavoro in cui
ci sembra di saper fare qualche cosa, né i ritmi vitali e le di­
verse capacità produttive ed apostoliche.
C’è un’efficacia dell’obbedienza, che è fuori discussione, ma
che si coglie solo con lo sguardo della fede, come ci insegna un
grande testimone del nostro tempo, assai vicino alla Famiglia
Salesiana: Giovanni Battista Montini. Egli, in una fase delicata
e sofferta della sua vita, si pose seri interrogativi sul significato
della sua obbedienza. In una lettera al padre del 1942, il futuro
Paolo VI scriveva: «Sono diventato difficile con gli amici, e li
vedo poco; non esco quasi mai, ed anche i libri...mi voltano le
spalle dagli scaffali silenziosi; non scrivo più e mi resta poco
tempo per pensare e per pregare (facessi almeno qualcosa di
buono!). Ma pazienza! Dio prowederà»57. E Dio provvide.
Ci può essere frizione fra obbedienza e senso di autorealizza­
zione. Ciascuno di noi ha un progetto su di sé: degli obiettivi,
delle modalità per raggiungerli, dei tempi di realizzazione. Met­
tere da parte tutto questo per accettare il Progetto di Dio, at­
traverso le mediazioni dell’uomo, non è un passo scontato: «Mi
57 Fappani-M o linari, G. B. Montini giovane: 1897-1944. Documenti inediti e testi­
monianze (M arietti 1979J, pag. 36 4

3.9 Page 29

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 31
pare d’essere qui (alla Segreteria di Stato) per indebita combi­
nazione - scriveva ancora Montini58 - in attesa di essere resti­
tuito a qualche cosa di più semplice e più mio. Penso allo studio
lasciato, al contatto col ministero ridotto, alla preghiera abbre­
viata...». “Perdersi per trovarsi” è un paradosso evangelico, dif­
fìcile da digerire per chi giudicasse con la vista corta del piccolo
tornaconto personale.
A volte c ’è contraddizione, almeno apparente, fra obbe­
dienza e fecondità apostolica, che a noi sembra poter monito­
rare a vista. Chi di noi, sentendosi fiorire in un posto, non si è
trovato in difficoltà a collocarsi in un altro, dove non si preve­
devano né fiori né frutti, ma ci si sentiva inviati a raccogliere...
manciate di foglie secche? Eppure - ci ripeteva accoratamente
don Egidio Viganò nell’ultima Strenna - se ci sono stagioni
della vita, la cui fecondità è legata all’agire, ce ne sono altre la
cui fecondità è figlia del patire. Ma qui i metri mondani e seco­
lari non funzionano più: resta, unico metro, la Croce.
«Non voglio interrogare i miei sentimenti - nota ancora
Montini - forse la vincerebbe la tristezza di non aver concluso
nulla di buono; mi viene spesso alla mente lo strano pensiero di
non aver ancora cominciato a fare qualcosa di serio e di reale,
di conforme a ciò che intendevo, quando cominciavo. Ma voglio
solo rifugiarmi nella grazia di Dio - concludeva - quella che mi
ha dato la beatitudine, mai abbastanza esplorata, di essere
mancipiato al servizio della Chiesa e del Vangelo»59.
Non sono rari i casi in cui lo scarto si rivela fra obbedienza e
profezia. Ci sembra di fare così bene, di avere collocato un
segno in frontiere avanzate, raccogliamo persino degli applausi,
si scrive di noi, ci pare che Chiesa e Congregazione ne siano
onorati... Eppure, ci viene data un’obbedienza che somiglia ad
una brinata sugli alberi in fiore... In tali circostanze, occorre
avere chiara coscienza che, forse, l’ora della profezia vera non
68 Ibid, pag. 365
69 Ibid, pag. 363

3.10 Page 30

▲back to top


32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
coincide necessariamente con quella del successo o della sem­
plice soddisfazione personale.
In mezzo alle molte difficoltà, non bisogna perdere di vista il
Signore Gesù sofferente ed obbediente. In tempi in cui, a buon di­
ritto, è stata riconosciuta la dignità delVobiezione di coscienza, a
maggior ragione ci dev’essere chi, con spirito evangelico e pente­
costale, sa illustrare - più vivendo che parlando - la dignità del-
l'obbedienza di coscienza, sull’esempio del Signore Gesù.
«Più voi esercitate la vostra responsabilità, tanto più di­
venta necessario rinnovare, nel suo pieno significato, il dono di
voi stessi»60.
4.3. La nostra vocazione è un’obbedienza di vita e di missione.
Se rileggiamo la storia delle vocazioni, restiamo stupiti della
energica richiesta di obbedienza di cui è carica la chiamata del
Signore.
Ad Abramo: «Lascia la tua terra...e va’ nella terra che io ti
indicherò»61.
A Mosè: «Il grido degli Israeliti è giunto fino a me...Ora va’.
Io ti mando dal Faraone»62.
A Geremia: «Non preoccuparti se sei troppo giovane. Va’
dove ti manderò e riferisci quel che ti ordinerò»63.
A Paolo: «Alzati e va’ in città: là c’è qualcuno che ti dirà
quello che devi fare!»64.
Risulta chiaro da queste storie di vita che l’obbedire precede
l’andare e l’annunciare.
In realtà, occorre che colui che viene mandato si sottometta
per primo alla parola che annuncia, per moltiplicarne l’effi­
cacia.
60 ET 27
61 Gn 12, 1
62 Es 3, 9-10
63 Ger 1, 7
« At 9, 6

4 Pages 31-40

▲back to top


4.1 Page 31

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 33
Il tempo di Nazareth non passa inutilmente, poiché nell’ob­
bedienza si plasma il cuore di Cristo Evangelizzatore. I tre anni
trascorsi da San Benedetto nella grotta di Subiaco, come ere­
mita solitario, non sono una parentesi della sua vita, ma il
tempo dell’obbedienza e dell’ascolto e la sorgente della futura
fecondità. Don Bosco al Convitto, in biblioteca, ai piedi di don
Cafasso precede - non solo cronologicamente - il Don Bosco che
ama mescolarsi coi ragazzi di Valdocco e setacciare i mercati di
Porta Palazzo, alla ricerca di giovani da salvare.
Poiché l’educazione è cosa di cuore, di cui Dio solo è pa­
drone, «noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce
ne insegna l’arte, e non ce ne dà in mano le chiavi»65. Il primo
passo della missione è l’obbedienza del missionario. È neces­
sario che egli si ponga prima in stato di uditore, che di predica­
tore. La prima terra di missione è il cuore del missionario:
poiché la missione è anzitutto una realtà interiore, prima di di­
ventare un impegno anche esteriore. L’impegno missionario è
impegno di santità personale: «Bisogna cominciare col purifi­
care se stessi prima di purificare gli altri; bisogna essere istruiti
per poter istruire; bisogna divenire luce per illuminare, avvici­
narsi a Dio per avvicinare a Lui gli altri, essere santificati per
santificare» (S. Gregorio di Nazianzo)66. Ciò permette di «fare
della propria vita un motivo convincente di credibilità e un’ac­
cettabile apologia della fede»67.
L’obbedienza che ci mette nelle mani di Dio è la medesima
che ci inserisce fruttuosamente nella comunità salesiana e che
determina il nostro campo di apostolato.
Educati interiormente dal Signore, cui ci siamo affidati, ac­
compagnati dalla comunità, che ci vede serenamente inseriti,
noi andiamo ai giovani, non a nome nostro, ma a nome Suo:
65 MB XVI, pag. 447
“ cf. Congregazione per il Clero, II presbitero Maestro della Parola, Ministro dei
sacramenti, e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano, conclusione
07 cf. Congregazione per il Clero, Il presbitero Maestro della Parola, Ministro dei
sacramenti, e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano, C. II, 2

4.2 Page 32

▲back to top


34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
con un progetto di uomo e di donna, un amore educativo, una
speranza ed una energia di grazia, che vengono da Lui.
La coscienza di essere “mandati” ai giovani dà al nostro mi­
nistero un’intima stabilità e la forza della «resilienza»: cioè
quella pazienza evangelizzatrice, che ci permette di affrontare
difficoltà, di assumere positivamente i fallimenti, di attendere
la maturazione dei tempi, senza che il passaggio attraverso la
crisi si trasformi in stasi e frustrazione vocazionale od in sco­
raggiamenti amari ed infruttuosi.
«Signore, fa di me uno strumento del Tuo amore»: è la pre­
ghiera attribuita a S. Francesco di Assisi. Il voto di obbedienza
esprime la disponibilità a mettersi nelle Sue mani, per lasciarsi
impiegare da Lui e diventare strumenti per la costruzione del
Regno. «Rendersi strumento - rifletteva ancora Montini - è l’o­
locausto per chi conosce l’eccellenza dell’azione gerarchica e
dell’azione divina»68. Questa duttilità, questa flessibilità totale
- ogni volta che sia in causa la salvezza dei giovani ed il servizio
del Vangelo - voleva esprimere Don Bosco, con un gesto che i
primi salesiani ci hanno tramandato: «Se potessi avere con me
dodici giovani dei quali io fossi padrone di disporre come di­
spongo di questo fazzoletto, vorrei spargere il nome di N. S.
Gesù Cristo non solo in tutta l’Europa, ma al di là, fuori de’
suoi confini, nelle terre lontane lontane»69. Quasi in risposta ad
un tale invito, è nata in Congregazione la tradizione, che inco­
raggia i confratelli, che si sentono chiamati, a fare al Rettor
Maggiore una speciale offerta di disponibilità per le missioni ad
gentes. Essa, superando tutte le frontiere geografiche, «li fa
pronti nel loro animo a predicare dovunque il Vangelo»70 e dà
alla obbedienza salesiana una speciale dimensione di totalità e
di mondialità. Questa disponibilità all’obbedienza, che è pro­
pria della nostra tradizione, abbiamo voluto celebrare, con par­
68 o. c., pag. 381
69 MB i y pag. 424
70 G iovanni Pa o lo II, Pastores Dabo Vobis, 18

4.3 Page 33

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 35
ticolare solennità, nella spedizione missionaria dell’anno 2000,
come già vi ho indicato in una mia lettera71.
4.4. La nostra esistenza è un’obbedienza profetica.
Riflettendo sul futuro della vita consacrata, si osserva che
essa avrà una speranza di vita tanto più fondata, quanto più
sarà capace di proporsi come autentica profezia72. Ne è modello
Elia - che Oriente ed Occidente collocano fra gli ispiratori della
vita consacrata - “profeta audace e amico di Dio”, che «viveva
alla sua presenza e contemplava nel silenzio il suo passaggio,
intercedeva per il popolo e proclamava con coraggio la sua vo­
lontà, difendeva i diritti di Dio e si ergeva a difesa dei poveri
contro i potenti del mondo»73.
La grande “profezia” annunciata dall’obbedienza religiosa è
Cristo. Basta sfogliare la Regola di Basilio, Agostino, Bene­
detto, ecc. per cogliere che, fin dall’inizio della vita consacrata,
l’anima dell’obbedienza religiosa è il desiderio di far memoria
di Cristo e della sua totale donazione al Padre ed alla missione
ricevuta. «In effetti l’atteggiamento del Figlio svela il mistero
della libertà umana, come cammino di obbedienza alla volontà
del Padre e il mistero dell’obbedienza come cammino di pro­
gressiva conquista della vera libertà»74.
Vera profezia - oggi particolarmente richiesta ai religiosi,
anche in forza del voto76 - è il loro stile ed impegno di obbe­
dienza ecclesiale.
Nella Lettera Apostolica Tertio Millennio adveniente, in pre­
parazione al Giubileo, Giovanni Paolo II evidenziava una «crisi
71 cf. Levate i vostri occhi...in ACG 362, pag. 35-37
72 cf. VC 84-95
73 VC 84
74 VC 91
75 cf. Cost. 125

4.4 Page 34

▲back to top


36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di obbedienza nei confronti del Magistero della Chiesa»76su cui
invitava a riflettere, per far fronte efficacemente ai rischi della
nostra epoca.
Nello stesso documento, il Papa sottolineava l’opportunità
di un approfondimento della fede, specie in direzione dell’unità
della Chiesa e del servizio ad essa reso dal ministero apostolico.
E ciò per «portare i membri del Popolo di Dio ad una più ma­
tura coscienza delle proprie responsabilità, come pure ad un
più vivo senso del valore dell’obbedienza ecclesiale»77. È un in­
vito che i figli di Don Bosco e la Famiglia Salesiana si sentono
impegnati ad accogliere, anche in forza di una tradizione di fa­
miglia, oggi più attuale di ieri, che vede nella leale fedeltà a
Pietro e ai Pastori uno degli elementi qualificanti del carisma
salesiano78.
La complessità dell’ora presente e delle trasformazioni in
corso, l’impegno di inculturazione della fede e di confronto con
le altre religioni e confessioni, l’apporto sempre nuovo e mas­
siccio delle moderne scienze dell’uomo, la forte spinta del rela­
tivismo e del soggettivismo della nostra cultura, l’apertura di
nuovi ambiti di ricerca, che pongono inediti interrogativi, ri­
chiedono maturità di giudizio e saggezza di scelta capace di
mantenere un equilibrio dinamico e vigilante fra libertà di ri­
cerca ed accoglienza convinta del Magistero dei legittimi Pa­
stori, annuncio della verità tutta intera, con cui lo Spirito con­
duce il popolo di Dio.
Tale obbedienza appare particolarmente feconda, urgente e
significativa in tutto ciò che concerne il Mistero di Cristo e
della Chiesa, la celebrazione e la catechesi dei sacramenti, la
vita morale dei giovani, della famiglia e del popolo cristiano. Si
tratta della verità con cui la fede illumina la nostra vita e ci
orienta verso la sua pienezza.
76 TMA36
77 TMA47
78 cf. Cost. 13

4.5 Page 35

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 37
L’obbedienza consacrata, inoltre, evidenzia con forza il ri­
gore della donazione a Dio, corregge l’autonomia non motivata
e non regolata, che rappresenta una tentazione diffusa nel
mondo d’oggi, e propone la dignità di un rapporto filiale e non
servile, ricco di senso di responsabilità e animato dalla reci­
proca fiducia79.
Esso comporta - come nota S. Tommaso - «quaedam disci­
plina», che è lo stile del discepolato. Contesta perciò il pregiu­
dizio dell’orgogliosa autosufficienza del “self made man” , per
riscoprire nell’umiltà la fecondità spirituale, che riconosce la
competenza e il contributo dei fratelli nelle vie di Dio. Confessa
la presenza della grazia nell’intreccio relazionale ed evidenzia
la fragilità di chi si pone “iudex in causa propria”, rischiando
abbagli dolorosi, se non addirittura mortali.
L’obbedienza è una disciplina data alla nostra libertà per
renderla idoneo strumento di liberazione. Beato chi impara a
viverla secondo il già citato motto di Papa Giovanni: “oboe-
dientia et pax” . Non è un caso che vi siano molti religiosi/e fra
coloro che hanno esposto e dato la vita per il Regno, per la
causa dei diritti umani, per la difesa della donna e del fanciullo,
per l’educazione dei singoli e dei popoli. Essi sono i profeti-mar­
tiri, dei quali Giovanni Paolo II ci ha invitato a ravvivare la me­
moria, in occasione del giubileo dell’anno 2000.
Emerge nell’obbedienza salesiana il coraggio di accettare i
limiti della nostra condizione storica, che ci chiede non soltanto
l’obbedienza a Dio, ma anche all’uomo, specie in alcune sta­
gioni e circostanze della nostra esistenza. L’obbedienza è ap­
prezzata nel giovane, che accetta l’educatore e l’adulto come un
interlocutore ed una guida per la crescita. Ma è ricercata anche
nell’adulto, come capacità di inserimento, sereno e fruttuoso, in
un contesto, in una équipe di lavoro, in un processo proget­
tuale, che non si può sempre far ripartire da zero. Essa si
n cf. VC 21

4.6 Page 36

▲back to top


38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
esprime nell’anziano come forma qualificata del “mettersi nelle
mani di Dio” , lasciandosi portare da Lui, e come piace a Lui, fin
dentro la Sua casa.
La nostra obbedienza è chiamata ad annunciare lo stile di
autorità-obbedienza, che è stato inaugurato dal Signore Gesù co­
me servizio ed annunciato nel suo Vangelo. Tale stile si presen­
ta come una autentica diaconia di Dio per i fratelli. Esso prende
le distanze da tutti i modi autoritari o compiacenti di esercitare
l’autorità, denuncia il rischio di slittare verso forme di potere;
mette in guardia dalle deformazioni manipolatone nella gestio­
ne dell’autorità. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere ser­
vito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti»80.
L’obbedienza del consacrato esprime solidarietà e interces­
sione per tutti coloro che sono chiamati dall’asprezza della vita
ad obbedire per forza o per necessità; per coloro che, spogliati
della loro libertà, soffrono ingiustamente il carcere; per chi,
anche dentro la famiglia, è vittima di autoritarismi e prepo­
tenze e non può gustare la forza liberatrice dell’amore.
L’obbedienza volontaria del salesiano evidenzia il carattere
relativo delle scelte e delle opinioni umane, che rischiano di
contrapporsi orgogliosamente le une alle altre, a volte a spese
della carità...
Nella regola di S. Benedetto si trova l’invito ripetuto a fare
a gara nell’obbedire gli uni agli altri. È una gara che accoglierà
solo colui che, dentro la conchiglia dell’obbedienza, ha scoperto
la perla della libertà.
È autentica profezia anche il collocarsi obbediente in zone
“liminali” di servizio e di apostolato, testimoniando valori meno
popolari o solo aurorali, finendo anche “emarginati con gli emar­
80 Mt 20, 28

4.7 Page 37

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 39
ginati”, e incarnando la misteriosa logica della “pietra scartata
dai costruttori”, di cui il Signore si serve volentieri per riedifica­
re la sua Chiesa ed accrescerne la capacità d’accoglienza.
5. UN’OBBEDIENZA PER IL TERZO MILLENNIO.
Vi ho parlato di obbedienza, perché - guardando agli im­
pegni della Congregazione nel secolo appena iniziato, che apre
il terzo millennio - essa è uno degli elementi che garantiscono
la consistenza del suo servizio, la qualità della sua missione,
l’interiore energia delle comunità. Per rispondere a queste at­
tese, la nostra obbedienza ha certamente bisogno di essere rin­
novata e vissuta in profondità, esprimendo una inedita ric­
chezza. E se la si riferisce alla comunità, che serenamente ri­
cerca la significatività della sua presenza, testimonianza e ser­
vizio, è sostanzialmente collegata al CG25.
Fino a ieri, nel linguaggio corrente, si parlava di una “obbe­
dienza di luogo” , riferita soprattutto ai trasferimenti da una
casa all’altra, o di una “obbedienza di ruolo” , che invitava a
passare da un ufficio all’altro. Guardando in avanti, è neces­
sario parlare di una obbedienza polivalente, più complessa ed
articolata, che permetta di rispondere - come singoli e come co­
munità - alle sfide dell’ora presente.
Si sente anzitutto il bisogno di una obbedienza creativa, che
non si rassegna alla routine, ma diventa capace di dare risposte
nuove ai nuovi bisogni. È l’obbedienza propria delle vergini
prudenti, che non si sono accontentate di portare le lampade
accese, ma si sono provviste anche della scorta per correre
incontro allo sposo. È l’obbedienza del servo, che non nasconde
sotto terra il suo talento, ma lo traffica, e lo fa fruttificare.
È l’obbedienza del pastore, che, a notte fonda, si rimette sul
sentiero, in cerca della pecorella smarrita.
Nella società di oggi appare difficile muoversi soltanto sul

4.8 Page 38

▲back to top


40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
consolidato, ripetendo da una parte quanto si è già fatto da
un’altra. Per nuovi bisogni, occorre inventare risposte nuove.
Compito del buon superiore non è di scoraggiare la creatività,
ma di valorizzarla e stimolarla all’interno del solco tracciato.
Per questo qualcuno ha potuto dire che Don Bosco è stato ca­
pace di formare i suoi primi discepoli in modo da trasformarli in
altrettanti “fondatori” (pensiamo specialmente ai missionari...)
Se la creatività non vuole battere l’aria né risolversi in un
gioco pirotecnico di corto respiro, essa deve inserirsi nel solco di
una obbedienza comunitaria e progettuale. Le case ed i loro pro­
getti educativi pre-esistono ai confratelli, chiamati ad abitarle
ed a servirli. Obbedire in modo progettuale significa anzitutto
rendersi conto del disegno vigente nelle case, immettervisi con
spirito di servizio, solo successivamente modificare quanto va
modificato od innovare ciò che deve essere innovato.
Quante volte, visitando le case, s’incontrano gruppi di laici e
di collaboratori frustrati perché stanchi di doversi adeguare
perpetuamente, non dico ad un progetto che va sempre di
nuovo rilanciato, ma a singole persone, chiamate a fare da par­
roco, o da direttore, o da incaricato dell’Oratorio, le quali sem­
brano dire - più a fatti che a parole, naturalmente - «Qui il
progetto sono io»! E chi non si adegua... riceve il benservito.
Un PEPS - e l’obbedienza che lo fa vivere - fa necessario ri­
ferimento ad una comunità educativa pastorale. Perciò, il pro­
getto salesiano è segnato da una forte obbedienza comunitaria.
Essa invita a scoprire le risorse - che sono soprattutto persone -
di cui la comunità dispone; a vedere il proprio ruolo intrecciato
a rete con altri ruoli, che vanno riconosciuti e valorizzati; a cre­
dere con Don Bosco che “vivere e lavorare insieme”81è sorgente
di sicura efficacia e di valida testimonianza, se è vero che la no­
stra comunione è la nostra prima missione. Obbedienza e comu­
81 cf. Cost. 49

4.9 Page 39

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 41
nità appaiono strettamente congiunte: non solo perché un calo
della prima porta ad appassire anche la seconda, ma anche per­
ché il superiore - che è il riferimento normale dell’obbedienza -
è anche il principale responsabile della comunità religiosa.
Attraverso la dimensione comunitaria, è necessario cogliere
che la nostra obbedienza è ancor sempre una obbedienza rela­
zionale. Suo nucleo centrale non sono le “cose da fare”, ma le
“persone da incontrare” , le “relazioni da costruire”, i “cuori da
contattare” . Un educatore salesiano non può essere un naviga­
tore solitario, né uno che opera, come un Prometeo scatenato,
dentro un deserto relazionale. «Nella comunità e in vista della
missione tutti obbediamo»82, e questa comune obbedienza ge­
nera un tessuto relazionale del quale dobbiamo tenere conto
nel costruire il nostro progetto e nel proporre il nostro servizio.
Ci sarà di grande aiuto in questo abbracciare e coltivare quella
“spiritualità della relazione”, cui ci invita il CG24.
Il c ampo e contesto dell’obbedienza missionaria si allarga
oggi nella relazione con i gruppi della Famiglia Salesiana e
nella capacità di mettere a frutto la Carta della missione sale­
siana che, come dicevo all’atto della promulgazione, non è un
regolamento fisso di lavoro, ma vuol formare una mentalità ed
è una piattaforma per costruire collaborazioni possibili ed effi­
cienti. Su questo fronte si colloca, ad esempio, lo sforzo a cono­
scere e studiare modi di rispondere alle piaghe giovanili che la
globalizzazione non permette di risolvere, ma aggrava: i ragazzi
lavoratori, i ragazzi-soldato portati prematuramente sotto le
armi, i ragazzi senza un minimo supporto familiare e quelli sot­
tomessi ad abusi sessuali da parte di organizzazioni criminali.
C’è lo spazio interpersonale, c’è quello professionale ed edu­
cativo, ma oggi non possiamo non aggiungere quello sociopoli­
tico, nazionale ed internazionale.
Exallievi, cooperatori, collaboratori, educatori possono ac­
82 Cost. 66

4.10 Page 40

▲back to top


42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
compagnarci nel “fondare” un diritto in cui i giovani abbiano
assicurata una normale educazione.
Tutto questo potrà meglio riuscire se sapremo coltivare una
obbedienza formativa, che fa dell’apprendimento continuo un
punto fermo, e del gruppo di lavoro, affidato alla nostra cura od
alla nostra animazione, una comunità di apprendimento. Da
questo nuovo stile - imperativo ineludibile di una società in cui
la conoscenza e l’informazione avranno un ruolo sempre più
decisivo - ci si attende la crescita delle persone, l’incremento di
qualità del prodotto (anche di quello educativo), l’aggiorna­
mento tecnologico, il rinnovamento dell’organizzazione del la­
voro e della sua capacità di rispondere alla domanda ed alle esi­
genze del territorio.
L’insieme degli elementi accennati dovrebbe aiutarci a vive­
re una obbedienza propositiva, capace cioè di farsi messaggio e
testimonianza, comunicando ai giovani con trasparente coeren­
za il senso della nostra vita. Tale propositività appare oggi lega­
ta soprattutto a due fattori, che sono fra i più ricercati dai giova­
ni in discernimento vocazionale ed ai quali abbiamo già ripetu­
tamene accennato: la dimensione spirituale e quella comunitaria.
La leggibilità spirituale della nostra obbedienza - che diventa ab­
bandono fiducioso alla Provvidenza di Dio - e la sua capacità di
costruire famiglia sono altrettanti canali, che rendono accessibi­
le la comprensione dell’obbedienza ai giovani d’oggi.
In una lettera del 1617, scritta alla Madre Favre, che era al­
lora superiora della Visitazione di Lione, San Francesco di
Sales esaminava il problema di una suora molto fervorosa e de­
vota, ma poco obbediente e incapace, quindi, di rinunciare ai
suoi punti di vista anche legittimi (circa la frequenza della co­
munione, per esempio, o la durata dell’orazione mentale), per
abbracciare la prassi comunitaria.
«Vi dirò che si inganna enormemente - nota Francesco - se
crede che l’orazione la possa condurre alla perfezione senza

5 Pages 41-50

▲back to top


5.1 Page 41

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 43
l’obbedienza, la virtù più cara allo Sposo, la virtù nella quale,
con la quale e per la quale ha voluto morire. Sappiamo dalla
storia e per esperienza che molti religiosi sono divenuti santi
senza l’orazione mentale, ma nessuno senza l’obbedienza»83.
Nessun dubbio che - varcando le soglie del terzo millennio - noi
siamo chiamati, come salesiani e comunità, ad impegnarci in una
obbedienza rinnovata. Allora, saremo pronti, docili ai segni dei
tempi, ad annunciare ai giovani il Signore Gesù ed il “progetto uo­
mo” da lui incarnato, con la pienezza dello spirito di Don Bosco.
6. L’Annunciazione, appello e risposta:
«Si compia in me la tua parola»84.
Non posso concludere senza fare ancora un riferimento al­
l’Annunciazione a Maria, che già ho in parte commentato nella
mia lettera sulle vocazioni85, ma che rappresenta anche un mo­
dello sublime per la nostra obbedienza nella fede.
Il racconto, tra i più belli del Vangelo di Luca86, non ri­
guarda solo il passato, ma è una chiave per leggere il presente.
Il Vangelo infatti non è solo storia, ma è sempre annuncio.
La narrazione è costruita con accenni della Bibbia che ri­
chiamano antiche speranze, esprimono attese attuali e antici­
pano i sogni di salvezza dell’uomo. Maria, che impersona l’uma­
nità, risente in sé tutto ciò ed è chiamata a mettersi a disposi­
zione di Dio per realizzarlo.
«Rallegrati»: è un saluto adoperato dai profeti quando si ri­
volgono alla Figlia di Sion. Assicura l’attenzione particolare, lo
sguardo di amore, la volontà benevola di Dio per una persona e
ne offre una prova che si potrà poi verificare. Annuncia un’ele­
83 S.Francesco di Sales, Tutte le lettere, voi. II, 1294 (EIJ Roma 1967)
84 cf. Le 1, 38
86 cf. Ecco il tempo favorevole, in ACG 373, pag. 43 ss
86 Le 1, 26-38

5.2 Page 42

▲back to top


44 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
zione che costituisce una felicità senza pari: “Esulta! ti è toc­
cata una stupenda fortuna” .
«Il Signore è con te»87: l’assicurazione appare sovente
quando Dio chiama ad una missione; si ripete nelle narrazioni
delle vocazioni che avranno un compito importante per la sal­
vezza. Indica che l’attenzione e lo sguardo di Dio si traducono
in presenza, assistenza, compagnia, alleanza.
«Nulla è impossibile a Dio»88: è l’espressione detta a Sara, la
moglie di Abramo, nel momento disperato della sua sterilità, al­
l’inizio della generazione dei credenti. Esprime la decisione di
Dio di intervenire nella vicenda umana in favore dell’uomo, su­
perando qualsiasi limite di natura o di umana libertà. E di farlo
attraverso alcune persone che egli ha scelto.
Siamo di fronte all’annuncio di un avvenimento di partico­
lare importanza per l’umanità. È la “vocazione”, la “chiamata”
di Maria a collaborare nel piano della salvezza; ed è la risposta
nella fede di Colei che di tale piano divino doveva essere stru­
mento e mediazione umana.
Maria è invitata, in primo luogo, a credere che l’avveni­
mento sia possibile ed a credere pure in se stessa (ed è la cosa
più difficile!); poi ad accettare di impegnarsi e poi ancora a
mantenersi fedele nella collaborazione durante la sua vita.
Tutto ciò come un affidamento incondizionato a Dio.
Dio ha la misteriosa potenza di rendere fecondo quello che, ad
occhio umano, è sterile, limitato o perduto. Un invito, questo, a
rivedere la nostra fede nell’azione e nella forza dello Spirito!
L’Annunciazione richiama a noi la nostra vocazione. An­
nunciazione è stata infatti l’ispirazione che ci ha mossi a se­
guire il Signore Gesù, sull’esempio di Don Bosco. E annuncia­
zione sono le chiamate a impegni e responsabilità, nelle quali
occorre affidarsi a Dio e attendere con fiducia il futuro.
L’Annunciazione ci ricorda soprattutto come deve essere la
87 Lc 1, 28
88 Lc 1, 37

5.3 Page 43

▲back to top


IL RETTOR MAGGIORE 45
nostra risposta personale a Dio: docile, fiduciosa, continua,
come quella di Maria: «Si compia in me la tua parola». Maria si
è lasciata plasmare dalla Parola di Dio, dallo Spirito di Dio, per
essere la Madre del Verbo. Nel santuario interiore del suo cuore
hanno operato la grazia e lo Spirito per renderla Madre. Com­
prendiamo l’espressione così cara ai Padri, che Maria ha conce­
pito nell’anima prima che nel grembo.
Anche la nostra obbedienza nella fede deve maturare nel
dialogo con Dio e nella docilità allo Spirito. A volte nella nostra
vita attiva, consacrata o laicale, si manifesta una tensione tra il
rapporto personale con Dio, vale a dire, attenzione, dialogo, ac­
coglienza affettuosa e grata del Signore, e - d’altra parte - la
preoccupazione per i risultati della nostra attività. Quest’ul-
tima ci sfida e sovente ci tenta. Vogliamo fare sempre di più, e
un po’ alla volta mettiamo la nostra fiducia nei mezzi e nelle at­
tività, al punto che queste finiscono per svuotarci. Occorre che
li colleghiamo costantemente alla sorgente dalla quale pren­
dono energia e significato: l’invito di Dio a collaborare con Lui.
E questo il senso profondo della nostra obbedienza.
Chiediamo a Maria, che noi riconosciamo alle origini della
nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana, che il suo
percorso nella fede, manifestato nell’Annunciazione, sia anche
il nostro: sentire la chiamata interiore, lasciarci interiormente
fecondare e plasmare dallo Spirito, e rispondere con nostro
Eccomi per generare frutti apostolici.
Vi accompagno con il mio ricordo e la mia preghiera,
affinché il lavoro di ciascun confratello e di ogni comunità, nel
solco dell’obbedienza alla volontà del Signore, sia fecondo
di bene per i giovani cui siamo mandati.
Con la protezione di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco