Atti_1999_367.ACG_


Atti_1999_367.ACG_



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1.1 Page 1

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1. IL RETTOR MAGGIORE
MANDATI AD ANNUNZIARE Al POVERI
UN LIETO MESSAGGIO1
1. La nostra povertà: Libertà e distacco - Investire nella Comunità - Segno della missione sale­
siana - Lavoro e temperanza - Amministrare con saggezza. 2. Le sfide odierne: Il mondo di­
viso - Il denaro - Complessità amministrativa - Gestione individuale. 3. Le icone della povertà
salesiana: Il discepolo: colui che segue Gesù - Un lieto messaggio ai poveri - 1primi cristiani -
La povertà di Don Bosco. 4. Alcune indicazioni per l’oggi - Attenta responsabilità - Destina­
zione apostolica dei beni - Solidarietà - Educare all’uso dei beni - Amare i poveri in Cristo.
Conclusione.
Roma, 25 marzo 1999
Annunciazione a Maria
Cari confratelli,
giunga a ciascuno di voi il mio augurio pasquale: il Signore
vi ricolmi della gioia e della energia della sua Risurrezione.
Nel mese di febbraio abbiamo dato inizio alle visite di in­
sieme che caratterizzeranno quest’ultimo anno del millennio. A
Nairobi si sono radunati i Superiori ed i Consigli delle circoscri­
zioni anglofone dell’Africa, per verificare l’adempimento del
CG24 e contestualmente anche il cammino di evangelizzazione
che le nostre comunità stanno percorrendo.
Questa e le tredici successive visite di insieme hanno luogo
dopo che il Rettor Maggiore con il Consiglio Generale ha potuto
prendere visione dello sforzo sistematico che le Ispettorie
1 cf. Le 4, 18

1.2 Page 2

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
hanno compiuto nei loro CI per dare vita al modello pastorale
ormai conosciuto e accettato come quello che meglio risponde
alla situazione ecclesiale e allo stato delle nostre forze.
Ad ogni verifica ritorna la convinzione espressa dal CG24:
«La professione dei consigli evangelici, oltre ad essere espres­
sione della sequela di Cristo, ha una carica pedagogica di cre­
scita umana ed è paradigma di nuova umanità»2.
Mi è sembrato dunque opportuno, continuare la riflessione
sui consigli, proponendovene, dopo quella sulla castità, una at­
torno alla nostra povertà. Mi muove a farlo anche la program­
mazione sessennale nella quale ci siamo prefissi: «promuovere
la testimonianza di consacrazione e di comunione delle comu­
nità» e «far emergere e testimoniare nella vita quotidiana la va­
lenza educativa della consacrazione religiosa»3.
Mentre maturavo gli spunti da offrirvi, mi interrogavo su
quali obiettivi principali la riflessione dovesse puntare e quali
esigenze sottolineare, in vista del momento che tutti viviamo e
della diversità di contesti in cui operano le Ispettorie. Ho con­
cluso che le finalità di questa mia lettera potevano essere: susci­
tare attenzione su questo aspetto della nostra vita consacrata,
attorno al quale si muovono oggi molte sensibilità ecclesiali e se­
colari e si giocano la testimonianza e la fecondità vocazionale;
ricordare i tratti principali della povertà in conformità al nostro
carisma; invitare ad un discernimento di fronte alle novità che
si vanno dando nel costume e nella nostra prassi; e, da ultimo,
offrire alcune indicazioni per rispondere alle nuove sfide.
Immagino che del testo facciate nelle comunità una lettura
creativa, lasciandovi stimolare da esso per un approfondimento
del vissuto e un’assunzione generosa delle esigenze evangeliche.
2 cf. CG24, 152
3 ACG 358 supplemento, pag. 16, nn.32 e 34

1.3 Page 3

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IL RETTOR MAGGIORE 5
1. La nostra povertà.
La povertà ha a che fare con le cose e il denaro. E in uguale
misura con il cuore e con lo spirito. In essa il nostro rapporto
con Dio e con i fratelli passa attraverso il legame che stabiliamo
con i beni, materiali e spirituali: l’uso, le preferenze, l’ordina­
mento di quello che ci appartiene o consideriamo nostro.
Niente di strano che in un progetto di vita, vissuto e lunga­
mente meditato come quello che offrono le nostre Costituzioni,
vi si trovino, insieme a stimolanti ispirazioni evangeliche,
anche indicazioni precise sul modo di praticare la povertà se­
condo quanto abbiamo imparato da Don Bosco.
Ciascuna di tali indicazioni e il loro insieme sono indispen­
sabili per pensare nuove espressioni della nostra povertà nel
contesto odierno.
Infatti non solo collegano la povertà ad una tradizione spiri­
tuale che si è sviluppata nel tempo, ma la collocano anche ar­
monicamente nell’unità vitale del carisma.
Fondamento del nostro impegno di povertà è la sequela e la
conformazione a Cristo, Buon Pastore. Orizzonti per determi­
narne le espressioni quotidiane sono la missione e la comunità.
A questi riferimenti riconducono le ispirazioni evangeliche, si
riferiscono gli atteggiamenti interiori suggeriti, attingono gli
orientamenti pratici.
Libertà e distacco
Distacco del cuore4vissuto nel quotidiano5, liberazione dalla
preoccupazione e dall’affanno6, ci dicono le Costituzioni: nel­
l’incontro con Gesù e nella sua persona abbiamo scoperto beni
infinitamente superiori a quelli temporali, che pure hanno un
loro valore. Tale è il senso primo della nostra povertà. Essa ri­
4 Cost. 73
5 Cost. 75
8 Cost. 72

1.4 Page 4

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sulta un affare vantaggioso per noi, quale la vendita delle pro­
prie cose per acquistare un tesoro desiderato7, nel senso in cui
lo esprime San Paolo: «Tutto ormai io reputo una perdita di
fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo, mio Signore»8.
Non sembri questa una meditazione spirituale, che soltanto
in un secondo momento comporta criteri pratici di valutazione
e comportamenti. Al contrario è la decisione prima, capace di
dare una direzione a tutta l’esperienza personale: l’intuizione,
l’illuminazione, il desiderio, l’appetenza dei beni a cui è chia­
mato il cuore umano e la convinzione di poterli trovare in
Cristo: «Ho lasciato perdere queste cose al fine di guadagnare
Cristo... e questo perché possa conoscere Lui e la potenza della
sua risurrezione»9.
Il distacco, perché i beni temporali sono al di sotto del no­
stro desiderio e ne abbiamo scoperti altri superiori, si applica
agli affetti, alla salute, alla libertà individuale, al potere, alla
propria preparazione culturale, alla sufficienza della nostra in­
telligenza, ai mezzi materiali, alla nostra volontà e alle nostre
decisioni. In tal senso la povertà converge e viene a fondersi
con l’ubbidienza come bisogno di mediazioni per attingere la
volontà di Dio e con la castità come necessità di un amore sulla
misura del nostro vuoto.
«La povertà bisogna averla nel cuore» 10, diceva Don Bosco.
Molti atteggiamenti esterni discordanti con la professione di
povertà sono manifestazioni di mancanza di libertà interiore, di
assenza di un codice per valutare la qualità dei beni, di anco­
raggi inaffidabili, anche dal punto di vista umano. Compren­
diamo perché il “povero” nella Scrittura rappresenta non solo
chi si limita nell’uso dei beni materiali, ma chi è entrato nel
mistero dell’esistenza umana, bisognosa dell’infinito di Dio.
È questa una prospettiva da non trascurare nel tempo di for­
7 cf. Mt 13, 44-45
8 Fil. 3, 8
9 Fil 3, 8 - 10
10 MB V, pag. 670

1.5 Page 5

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IL RETTOR MAGGIORE 7
mazione. Bisogna vagliare la qualità del cuore dai “tesori” a
cui esso si attacca n.
Investire nella comunità
«Mettiamo in comune i beni materiali: i frutti del nostro la­
voro, i doni che riceviamo e quanto percepiamo da pensioni,
sussidi e assicurazioni. Offriamo anche i nostri talenti e le no­
stre energie ed esperienze. Nella comunità il bene di ciascuno
diventa il bene di tutti»12.
Il distacco è condizione per un investimento fruttifero. Piut­
tosto che rinunciare ai beni, li affidiamo al dinamismo moltipli­
catore della comunione.
È una comunione in senso pieno che riguarda in primo luogo
i beni da condividere. L’enunciazione che ne fa l’articolo delle
Costituzioni riportato è ampia; eppure è soltanto esemplificativa
di quanto la persona può mettere a disposizione degli altri.
La portata senza limiti della comunione riguarda anche i
soggetti: comprende infatti tutti gli uomini. La povertà si rende
visibile nell’amore personale a ciascuno e a tutti i confratelli
della comunità religiosa, al punto che le due realtà risultano in­
scindibili e interdipendenti. San Francesco di Sales lo dice in
forma diretta e semplice: «Essere povero significa vivere in co­
munità» 13. Dare e ricevere, all’insegna della gratuità e della ri­
conoscenza, condividere a tutto campo doni e risorse materiali,
intellettuali e spirituali ne costituisce la pratica quotidiana.
La comunione si allarga oltre la comunità religiosa imme­
diata: alle «necessità dell’intera Congregazione, della Chiesa e
del mondo»14.
Tale atteggiamento diventa criterio per la destinazione dei be­
ni che la Provvidenza mette a nostra disposizione. Non riteniamo
11 c f M t6, 21
12 Cost. 76
13 Oeuvres de St. Francois de Sales, Ed. Annecy, voi IX, p. 229
14 Cost. 76

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di aver soddisfatto l’impegno di povertà quando, disponendo di
risorse, abbiamo provveduto alle nostre necessità interne. La
povertà ci muove «ad essere solidali con i poveri e ad amarli
in Cristo» 15. In essi vediamo l’immagine di Cristo entrato, con
l’incarnazione, nelle maglie della condizione umana segnata dal­
la sofferenza, dalla privazione, dalla miseria. In essi dunque ci at­
tendiamo la grazia della presenza e dell’incontro con il Signore.
La solidarietà con i poveri genera atteggiamenti di condivi­
sione: presenza fisica anzitutto là dove povertà significa de­
grado, insufficienza di condizioni essenziali, carenze educative,
assenza di prospettive. E con la presenza, anche condivisione
delle condizioni di vita, partecipazione nello sforzo per uscirne.
Uno sguardo complessivo alla Congregazione ci conforta nel
constatare che in tutti i continenti i Salesiani si muovono con
coraggio e determinazione verso i contesti segnati dalla miseria
e cercano di entrare in comunione con i poveri.
Segno della missione salesiana
La presenza tra i poveri e la condivisione dei beni con essi
sono già una testimonianza di povertà evangelica. La nostra po­
vertà però tende a esprimersi in un servizio concreto. Mettiamo
in atto strategie e iniziative per evangelizzare ed aiutare le per­
sone, specialmente i giovani, a superare le condizioni di indi­
genza, siano esse economiche, affettive o spirituali.
Nella figura carismatica di Don Bosco scopriamo che la pro­
fessione di povertà, oltre che condizione per vivere autentica­
mente in comunità evangeliche, è un criterio e una modalità
privilegiata per realizzare appieno la nostra missione.
Il “distacco del cuore” 16viene ordinato al “generoso servizio
ai fratelli” 17; la rinuncia ad ogni bene terreno18 assicura “l’in­
15 Cost. 79
16 Cost. 73
17 ib.
18 cf. ib.

1.7 Page 7

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IL RETTOR MAGGIORE 9
traprendenza nel partecipare alla missione della Chiesa, al suo
sforzo per la giustizia e la pace, specialmente con l’educazione
dei bisognosi” 19.
Si tratta, come si vede, di due elementi strettamente legati:
tutte le risorse di cui disponiamo, materiali e spirituali, perso­
nali e comunitarie, sono generosamente destinate a realizzare
il mandato di raggiungere il maggior numero di giovani e ren­
derli consapevoli della loro condizione di figli di Dio in Cristo.
Ci impegniamo dunque su fronti molteplici, sempre con in­
tenzione educativa, nel dare vita a progetti di promozione
umana per i quali utilizziamo strutture adeguate, accettiamo e
cerchiamo appositamente mezzi, appoggio e denaro. L’intra­
prendenza di Don Bosco in tal senso è passata ai suoi figli.
Anche oggi chiediamo aiuti orientando verso la carità coloro
che hanno possibilità di darli; colleghiamo schiere di benefat­
tori per sovvenire a chi è nel bisogno; tendiamo la mano per i
poveri. Ciò suscita consensi, spesso collaborazioni insperate e,
magari, qualche critica o stereotipo non sempre benevolo.
La carità pastorale di Don Bosco ci incalza nel domandare e
nel ringraziare con riconoscenza, consapevoli «che quello che
abbiamo non è nostro, ma dei poveri»20. La sua limpida testi­
monianza di povertà personale va sempre unita alla determi­
nazione, portata fino alla temerarietà, di servire la gioventù,
principalmente quella povera, con gli strumenti più aggiornati
ed efficaci.
La nostra povertà, scelta per il Regno, condizione per la
missione ha, lo speriamo, una incidenza sociale inerente al
compito educativo. Formando i giovani e interagendo nel con­
testo intendiamo lavorare per una società che prenda più in
considerazione il bene comune, rispetti il valore di ogni per­
sona, si costruisca su criteri di giustizia ed equità e si preoccupi
di coloro che sono deboli o svantaggiati.
19 cf. Cost. 73
20 Cost. 79; cf. MB Y pag. 682

1.8 Page 8

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Questo proposito determina la scelta dei luoghi, dei conte­
nuti e delle forme dell’educazione e orienta l’impiego dei capi­
tali e dei mezzi secondo i vari contesti socioculturali.
Lavoro e temperanza
Quanto abbiamo cercato di chiarire sopra, porta a vivere la
povertà quotidiana attraverso il lavoro intelligente ed assiduo,
sostenuto e reso possibile dalla temperanza. «Nell’operosità di
ogni giorno ci associamo ai poveri che vivono della propria fa­
tica e testimoniano il valore umano e cristiano del lavoro»21.
La correlazione tra povertà e lavoro va ricercata nella spiri­
tualità dell’azione apostolica intesa come un “operare” instan­
cabilmente per il Regno. Don Bosco la visse gioiosamente nella
fede. Ogni salesiano viene dunque invitato a sviluppare e met­
tere a frutto i propri talenti, a occupare rigorosamente il tempo
e a vivere della propria fatica.
Così, “guadagnandoci il pane” condividiamo la sorte di chi
può fare affidamento solo sul proprio lavoro per vivere e mante­
nere i propri cari ed esprimiamo la valenza sociale della nostra
povertà. Inoltre l’apprezzamento del lavoro come espressione
delle capacità dell’uomo e come strumento privilegiato di rea­
lizzazione umana, non esclusivamente finalizzato al profitto,
diviene testimonianza e messaggio educativo.
La rilevanza che il lavoro ha nella nostra fisionomia spiri­
tuale la si coglie facilmente da un insieme di fatti, reali e sim­
bolici: la radice contadina e le prime esperienze di Don Bosco, i
protagonisti ed il tono della vita nelle origini, il ceto lavoratore
al quale dedichiamo le nostre cure preferenziali.
Il lavoro è il contenuto principale della formazione dei gio­
vani nelle scuole professionali e tecniche; è la caratteristica,
non esclusiva, ma certamente emergente del confratello coadiu­
21 Cost. 78

1.9 Page 9

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IL RETTOR MAGGIORE 11
tore; è la nostra forma di inserimento nella società e nella cul­
tura. Dà il tratto fondamentale del salesiano: il salesiano è un
lavoratore. Don Cagliero diceva con una espressione forte: «Chi
non sa lavorare, non è salesiano»22.
Servono come sintesi due dati: la collocazione del lavoro
nello stemma della Congregazione e le raccomandazioni di Don
Bosco riportate da Mons. Cagliero, il quale sottolineò che nel
mese di dicembre 1887 Don Bosco «due volte raccomandò per i
Salesiani il lavoro, ripetendo: lavoro, lavoro!»23.
Alcuni chiarimenti, però, non sono superflui. Per Don Bosco
il lavoro non è qualsiasi attività, anche forse stancante. Ma la de­
dizione alla missione con tutte le capacità e a tempo pieno. Non
comprende soltanto il lavoro manuale, ma anche quello intellet­
tuale e apostolico. Lavora chi scrive, chi confessa, chi predica, chi
studia, chi ordina la casa: si tratta di lavorare per le anime.
Il nostro lavoro è caratterizzato dall’ubbidienza, dalla carità pa­
storale, dalla retta intenzione e dal senso comunitario. Non dunque
puro movimento, ma finalità, scelta, saggio ordinamento delle azio­
ni. Bisogna aggiungere che nella voce “lavoro” c’è un riferimento al­
la manualità e praticità. Il salesiano impara a lavorare con le mani
e si trova bene anche facendo lavori “umili”, domestici, materiali.
La carità pastorale, che orienta il lavoro, può manifestarsi
in impulsi spontanei e generosi. Ma più comune è che debba
impegnarsi a lungo termine in un’opera paziente e quotidiana
per far crescere le persone e animare le comunità. Piuttosto che
un semplice atteggiamento di bontà o qualche gesto di sim­
patia, è una prassi: una forma costante di agire con competenza
in un ambito, simile alla prassi politica, sociale, medica. Tutte
queste comportano un’azione coerente, costante, pensata, mi­
rata e migliorata. Ed è questo il lavoro che finisce per model­
lare la fisionomia spirituale della persona.
22 MB XIX, pag. 157. Parole citate dal Papa Pio XI il 3 giugno 1929. Nel 1933
il Papa diceva ancora: «Non appare bene nelle file salesiane chi non è un lavoratore;
il lavoro è il distintivo, la tessera di questo provvidenziale esercito» (MB XIX, 235).
23 MB XVIII, pag. 477

1.10 Page 10

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Lavoro dunque vuol dire acquisire e sviluppare la prepara­
zione professionale specifica, che la carità pastorale richiede,
per cui impariamo e ci perfezioniamo nel motivare, istruire,
animare, santificare. Ci rendiamo capaci di capire un contesto,
di elaborare e realizzare un progetto che risponda alle sue ur­
genze, tenendo conto anche dell’elemento imponderabile che
c’è sempre nel lavoro pastorale.
Il lavoro comprende lo sforzo di creatività educativa: quel­
l’atteggiamento mentale e pratico che porta a trovare soluzioni
originali a problemi e situazioni nuove. Don Bosco concepì un
progetto per i ragazzi della strada mentre le parrocchie conti­
nuavano con il catechismo “regolare” . Subito dopo, quando si
accorse che i ragazzi non erano preparati per il lavoro né pro­
tetti in esso, pensò una soluzione “piccola” e “casalinga” che
poi crebbe: i contratti, i laboratori, le scuole professionali. E
così per altri bisogni, come la casa, l’istruzione. Tale è l’imma­
gine di Don Bosco “al lavoro” .
Il lavoro va unito alla temperanza. Esso infatti non è agita­
zione. Ma professionalità, dedicazione, ordinamento senza per­
dita di tempo né di energia verso gli obiettivi della missione.
Tale esigenza non può che essere coniugata con uno stile di vita
che si caratterizza per la sua sobrietà, la dedizione, oserei dire
l’austerità. I due aspetti sono complementari e ci suggeriscono
di essere attenti a fonderli conforme alla grazia di unità.
La temperanza è legata alla dimensione penitenziale che è
essenziale alla maturità cristiana. Senza di essa è impossibile
sia l’inizio che l’ulteriore cammino di conversione: questa con­
siste nell'assumere qualche cosa e lasciarne molte altre, optare
e tagliare, distruggere cose o abitudini vecchie o inutili e la­
sciarsi ricostruire.
Ciascun Istituto ha una tradizione ascetica coerente con il
proprio stile spirituale. Nel nostro, la formula che la riassume è
coetera tolle: lascia il resto, ordina il resto all’obiettivo pri­
mario, cioè al da mihi animas, alla possibilità di vivere interior-

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
mente ed esprimere l’amore ai giovani, togliendoli dalle situa­
zioni che impediscono loro di vivere. Ed è proprio il coetera tolle
che ha la sua espressione quotidiana nella temperanza sale­
siana.
Dico salesiana, perché nella nostra storia e nei nostri testi
si è caricata di alcuni riferimenti molto caratteristici.
La temperanza è quella virtù cardinale che modera le pul­
sioni, le parole e gli atti secondo la ragione e le esigenze della
vita cristiana. Attorno ad essa si muovono la continenza, l’u­
miltà, la sobrietà, la semplicità, l’austerità. Nel sistema preven­
tivo le stesse realtà vengono incluse nella ragionevolezza. Le
sue manifestazioni nella vita quotidiana sono: l’equilibrio, cioè
la misura in tutto, una conveniente disciplina, la capacità di
collaborazione, la calma interiore ed esteriore, un rapporto con
tutti, ma specialmente con i giovani, sereno e autorevole.
Temperanza è lo “ stato atletico” dal punto di vista spiri­
tuale ed apostolico, pronto per qualsiasi richiesta in favore
dei giovani; è rendersi e mantenersi liberi da legami troppo
condizionanti, dal peso dei gusti ed esigenze personali che
creano dipendenze: «Ogni atleta è temperante in tutto; essi
lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una
incorruttibile» 24.
La temperanza si applica nel lavoro: è l’ordine per cui le
azioni hanno una motivazione nelle finalità e una priorizza-
zione; si dominano e si commisurano sia le ambizioni personali
come le ambizioni “apostoliche” ; si richiede dagli altri il giusto
e non quello che è eccessivo o servirebbe solo per nostra como­
dità; si fa in modo che il lavoro non elimini la preghiera, né i
rapporti fraterni. Si deve essere temperanti nel movimento,
nelle uscite, nella ricerca del denaro, nella voglia di finire una
cosa per incominciare l’altra; nella padronanza sul proprio
agire, perché non finisca per prenderci come in un ingranaggio.
La temperanza si applica anche nella vita fraterna: senza di
24 1 Cor 9, 25

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
essa non è possibile una buona relazione comunitaria25. L’a­
more fraterno implica dominio di sé, sforzo di attenzione, con­
trollo dei sentimenti spontanei, superamento di conflitti, com­
prensione delle sofferenze altrui: è tutto un esercizio per uscire
da se stessi e cambiare il proprio orientamento. Per noi c’è
anche l’impegno di dimostrarlo in forma comprensibile: un af­
fetto che sa provocare corrispondenza per il bene dell’altro.
La temperanza infine si applica allo stile di vita personale:
rapporti commisurati alla missione; possesso e uso dei beni di
consumo (macchine, arredamenti, apparecchi); tempo di disten­
sione e vacanze; interiorità vigilata e purificata.
Tutto ciò può sembrare troppo ordinario, come dimensione
ascetica e come pratica della povertà evangelica, quasi allegro
di fronte alla serietà del richiamo alla radicalità. Don Bosco ha
espresso questa apparente contraddizione col sogno del pergo­
lato delle rose, che il CG24 ha voluto ricordarci26proprio a con­
clusione della proposta del nostro attuale impegno di anima­
zione e spiritualità. I Salesiani/e camminano sui petali. Tutti li
credono “gaudenti” . Essi infatti sono “ felici” . Punzecchiati
dalle spine, non perdono la gioia. Anche ciò è temperanza: la
semplicità, il buon viso, il non fare scena. Risponde al consiglio
evangelico: quando digiunate non assumete un’aria malinco­
nica, ma profumatevi la testa e lavatevi il volto27.
Questo stile di vita, fatto di lavoro e temperanza, riguarda
la comunità stessa, come ben sottolinea l’art. 77 delle Costitu­
zioni: «Ogni comunità è attenta alle condizioni dell’ambiente in
cui vive e testimonia la sua povertà con una vita semplice e fru­
gale in abitazioni modeste. Le strutture materiali si ispirino a
criteri di semplicità e funzionalità»28.
Il delicato punto delle strutture segue due criteri correlati:
25 Cost. 90
26 cf. CG24, 187-188
27 cf. Mt 6,16-17
28 Cost. 77

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
quello del servizio generoso ai giovani più bisognosi e quello
della semplicità. La costante attenzione a coniugare questi due
criteri, con un equilibrato discernimento nelle sedi opportune,
consente alle comunità di essere libere da strettezze mentali
per quanto riguarda i progetti ed allo stesso tempo credibili nel
testimoniare i valori evangelici che sono alla base della vita
consacrata e dell’evangelizzazione medesima.
Ma ricordiamo che la credibilità della comunità è legata alla te­
stimonianza di ogni singolo confratello. L’assunzione personale
della povertà, promessa solennemente con voto, non può che espli­
citarsi con un tenore di vita che riguarda ambiti ed atteggiamen­
ti concreti quali, ad esempio, il vitto, gli strumenti di lavoro, l’ar­
redamento, le vacanze, i mezzi di trasporto. Il sottomettersi al di­
scernimento della comunità, anche attraverso la dipendenza da
un superiore, fa parte della scelta evangelica, impedisce una pra­
tica della povertà ritagliata su criteri individuali e protegge dal
ripiegamento su sicurezze e garanzie offerte dall’istituzione.
Il programma per il singolo è indicato da queste parole:
«Ogni salesiano pratica la sua povertà con la sobrietà nel cibo e
nelle bevande, la semplicità degli abiti, l’uso moderato delle va­
canze e dei divertimenti. Arreda la sua camera modestamente,
evitando di farne un rifugio che lo tiene lontano dalla comunità
e dai giovani. Vigila per non lasciarsi legare da nessuna abitu­
dine contraria allo spirito di povertà...»29.
Amministrare con saggezza
Per le caratteristiche sopra enunciate la nostra povertà in­
clude la buona amministrazione dei beni: precisa, oculata nel
prevedere, saggia nel disporre, trasparente e comunitariamente
corresponsabile. La prassi salesiana tende a garantire un’avve­
duta gestione e simultaneamente una testimonianza compren­
sibile per i nostri contemporanei.
29 Reg. 55

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
L’unità di governo, la destinazione apostolica e la solida­
rietà tra i confratelli, le case, le Ispettorie e la Congregazione
sono i principi che presiedono alla nostra economia e alla conse­
guente amministrazione dei beni.
La funzione dell’economia è strumentale, subalterna alle fi­
nalità della nostra consacrazione. È regolata però da leggi e stru­
menti specifici che non possono essere trascurati senza danno
per le finalità apostoliche medesime. Essi perciò sono entrati
nella normativa della Chiesa e degli Istituti di vita consacrata.
Senza addentrarmi nei particolari tecnici, che richiedono
una trattazione a sé, sottolineo che la trasparenza amministra­
tiva attraverso una accurata rendicontazione delle spese, un
fraterno e fiducioso riferimento a chi ha la responsabilità del­
l’amministrazione e la richiesta delle autorizzazioni previste
dalle Costituzioni e dai Regolamenti fanno parte dello spirito di
povertà.
2. Le sfide odierne.
Se confrontiamo il quadro tracciato poc’anzi con le tendenze
del costume in cui oggi siamo immersi, avvertiamo quasi una
rottura e sentiamo quindi l’urgenza di verificare il nostro vis­
suto e la nostra testimonianza di povertà.
Il mondo è segnato e diviso dal possesso dei beni. L’o­
pulenza di una ristretta porzione del globo si contrappone ad
una maggioranza di popoli e di persone che vivono nell’indi­
genza e nella miseria. Si procede a diverse velocità sulla strada
dello sviluppo. La distanza si va allargando e non si intravede
un miglioramento sulla base di principi che regolano l’eco­
nomia. Anzi alcune nazioni, dopo un effimero periodo di rela­
tivo benessere, sembrano ripiombare in situazioni di invincibile
e disperata indigenza, appesantite da debiti enormi nei con­
fronti dei paesi ricchi.
Le società benestanti tendono a creare sempre nuovi bisogni

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
e possono ingenerare anche in noi una mentalità consumistica,
sbilanciata sul fronte delle comodità e di un livello di vita bor­
ghese e accomodante. Tale mentalità può giungere a un perico­
loso conformismo che gradualmente svuota il voto di povertà
della sua valenza spirituale, della sua visibilità sociale e del suo
impatto profetico.
Nei contesti più poveri, a noi Salesiani non mancano una
casa, i mezzi di sussistenza e gli strumenti per realizzare com­
piutamente la nostra missione. Oltre a ringraziarne la Provvi­
denza, si impone un coraggioso discernimento per individuare
forme adeguate di testimonianza, condivisione e servizio. In­
fatti una eccessiva disponibilità di mezzi e strutture, oltre ad
essere in contrasto con i valori evangelici, può situarci su di un
livello di vita assai più agiato rispetto alla situazione socioeco­
nomica del contesto in cui siamo inseriti e del tenore di vita dei
nostri destinatari.
Un altro elemento che va influendo sulla nostra vita è la ri­
levanza del valore economico nella mentalità collettiva ed
individuale e simultaneamente l’importanza del denaro nel si­
stema economico e sociale. Il lavoro perde valore come tratto di
identità, come fonte di sostentamento e come segno di dignità
personale. Lo ha rilevato sovente Giovanni Paolo II nelle sue
lettere sociali. Il denaro diventa sempre più determinante per
intraprendere, realizzare e conservare. A sua volta si converte
nella principale fonte di guadagno e di ricchezza. Si parla di
una “ finanziarizzazione” non soltanto dell’economia, ma del
pensiero e del linguaggio.
La maggiore abbondanza e circolazione di denaro nei paesi
ricchi ha consentito un’agile e crescente solidarietà da parte di
singoli, gruppi, istituzioni politiche ed organizzazioni umani­
tarie. Essa si esprime spesso ed in forma generalizzata in fa­
vore di situazioni drammatiche come la fame, le epidemie, i
profughi. Attraverso l’universale simpatia verso la figura di
Don Bosco e la vivacità di molte presenze salesiane in mezzo ai

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
giovani e alla gente, la Provvidenza fa arrivare i mezzi neces­
sari per la nostra missione nei vari continenti. È commovente
constatare quanti benefattori seguono con amore e con offerte
tangibili le opere salesiane nel mondo, le nuove frontiere giova­
nili e il grande impulso missionario degli ultimi decenni. Molte
delle offerte provengono da gente semplice, non sempre bene­
stante che regolarmente, e talora anche con sacrificio, dà gene­
rosamente il proprio contributo per incoraggiarci e sostenerci.
Va rilevata la complessità che investe la gestione ed il so­
stegno economico delle nostre opere. Le strutture in cui lavo­
riamo e che spesso abbiamo costruito con le nostre fatiche, con
aiuti di persone generose e di istituzioni umanitarie, hanno ele­
vati costi di amministrazione e di manutenzione ed oneri non
lievi nei confronti delle amministrazioni regionali o statali.
Molte delle nostre attività educative hanno talora un risvolto
commerciale e come tali sono soggette alle imposizioni fiscali
delle varie legislazioni. La presenza sempre più consistente dei
laici, ai vari livelli, richiede da parte nostra nei loro confronti
un’equa retribuzione, per lo più regolata da contratti, secondo
normative molto precise e vincolanti.
Tutti questi aspetti, oltre a complicare notevolmente il com­
pito dei diretti responsabili e ad impegnare frequentemente
consulenze stabili e qualificate, richiedono da parte nostra di
poter disporre di ingenti quantità di denaro, senza delle quali
saremmo impediti nella nostra stessa missione.
Aggiungiamo a tutto ciò la spinta odierna verso una ge­
stione autonoma del proprio vissuto, che porta verso forme
individualistiche nell’organizzare la vita.
In un contesto di abbondanza e di individualismo ci si ap­
pella, sempre più spesso, al rispetto dovuto alla persona, allo
spazio di responsabilità che bisogna riconoscerle. Tale appello
non è senza ragione o necessariamente negativo. Se sfociasse
però in una indiscriminata disponibilità di comfort personali, di

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
strumenti di lavoro e di denaro, senza un vigile discernimento,
sfiancherebbe la carica carismatica della nostra consacrazione e
indebolirebbe l’incidenza della nostra missione tra i giovani.
È giusto dunque domandarsi: come conciliare tutto ciò con
le esigenze del voto di povertà, quali il non disporre di fondi
propri, il dipendere dalla valutazione altrui per i nostri molte­
plici bisogni personali e per le necessità del lavoro e della mis­
sione? Come, d’altro canto, evitare il rischio di professare pub­
blicamente la povertà evangelica secondo il carisma salesiano e
poi in pratica, con scelte coscienti ed atteggiamenti indotti, in­
terpretare in maniera individuale il contenuto di un voto di
obiettivo significato comunitario?
3. Le icone della povertà salesiana.
Molti sono i percorsi attraverso i quali la Bibbia, sin dal­
l’Antico Testamento, collega l’esperienza di Dio e la felicità
umana a un atteggiamento realistico, rispettoso della verità
verso se stesso e verso i beni. Tale atteggiamento è personifi­
cato dai “poveri” di Jahvé.
Le nostre Costituzioni hanno selezionato tre immagini per
scavare nel significato inesauribile della povertà evangelica ed
orientarci verso nuove espressioni.
Il discepolo: colui che segue Gesù
Al giovane che gli chiede sulla vita eterna, Gesù risponde:
«Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro
nel cielo; poi vieni e seguimi»30.
Il racconto, collocato come intestazione ispirante del testo
costituzionale, sviluppa tematiche che interessano particolar­
mente oggi: il carattere paradossale della povertà religiosa, il
30 Mt 19, 16-22

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
bisogno di un dono dello Spirito per assumerla, la felicità di chi
si imbarca in essa, la possibilità di viverla, provata dall’espe­
rienza di coloro che si sono affidati a Gesù.
La successione incalzante dei verbi rende l’idea dell’urgenza
con cui bisogna prendere la decisione e di quello che si gioca in es­
sa: la pienezza della vita (“se vuoi essere perfetto”)-, il rapporto li­
berante o schiavizzante con i beni materiali (“vendi quello che
possiedi”); lo spazio che l’amore occuperà nell’esistenza (“dallo
ai poveri”)-, i beni autentici da cercare (“avrai un tesoro”)-, la pos­
sibilità di condividere la vita con Gesù (“vieni e seguimi”).
“Va...” e “vieni”, all’apertura ed al termine del consiglio,
esprimono il cammino dall’essere centrato nelle proprie cose,
dall’abitare se stesso quasi rinchiuso e lontano, all’intimità con
Cristo che comporta il seguirlo.
Alla scena del giovane che non accoglie l’invito, l’art. 72
delle Costituzioni contrappone l’immagine degli Apostoli che
dichiarano: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito»31,
e si mettono al servizio del Vangelo. Con essi ci identifichiamo,
e nel loro gesto troviamo esempio ed ispirazione.
La sequela, alla quale siamo invitati, non è soltanto ade­
sione morale all’insegnamento di Gesù e partecipazione attiva
nelle sue imprese, ma innesto nel suo mistero, nella sua totale
donazione al Padre e ai fratelli, nella sua morte e risurrezione.
La radicale povertà di Gesù consiste nel farsi uomo limitato
e reale, come ciascuno di noi, ma aperto alla divinità e da essa
riempito. Egli non si attacca alla sua prerogativa divina, ma as­
sume la condizione umana di debolezza e di morte per trovarne
il senso nel consegnarsi fiducioso nelle mani del Padre. In
quanto uomo, non impone la sua identità superiore; per molti
egli è semplicemente il figlio di Maria, del falegname, vive come
un “rabbi” itinerante, senza una fissa dimora, spesso in situa­
zioni di precarietà e privo di quelle certezze umane che deri­
vano dalla ricchezza, dallo “ status” e dal potere.
31 Mt 19, 27

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
Per la povertà i consacrati fanno questa prima e principale
esperienza: contemplano con una luce speciale la “povertà” di
Cristo, vi si sentono attratti, vi partecipano e vengono ad essa
conformati: alla povertà del Servo di Jahvé, che si affida al
Padre in tutto e trova in Lui la sua felicità e realizzazione.
Vivono allora in Gesù lo svuotamento di sé per essere riem­
piti di Dio, sentirsi felici nel ricevere e donare. Vengono così in­
trodotti nel mistero trinitario, come sottolinea Vita Consecrata:
«La povertà confessa che Dio è l’unica vera certezza dell’uomo.
Vissuta sull’esempio di Cristo che “da ricco che era, si è fatto
povero” (2 Cor 8,9), diventa espressione del dono totale di sé
che le tre Persone divine reciprocamente si fanno. È dono che
trabocca nella creazione e si manifesta pienamente nell’incar­
nazione del Verbo e nella morte redentrice»32.
Lo svuotarsi da quanto ingannevolmente crea la convin­
zione di potersi realizzare da sé, di essere autosufficienti per
raggiungere il proprio compimento, il sentirsi appagato nel di­
pendere da Dio e dai fratelli per la propria felicità e realizza­
zione comporta di “essere umile” nel senso cantato da Maria:
accettare cioè la verità del nostro essere, della nostra creatura-
lità: fatti da un Altro, fatti per un Altro, consapevoli della no­
stra incompletezza, della nostra povertà morale, dei nostri li­
miti e debolezze.
Si comprende così come la preghiera, lo sguardo e l’anelito
verso Dio siano la caratteristica del povero: in essa si incon­
trano i vuoti dell’uomo che invocano le ricchezze di Dio; si fon­
dono i disegni di Dio intuiti, con i nostri progetti di felicità; ve­
niamo direttamente interpellati a riconoscere che siamo stati
amati ed a trovare il nostro riposo nell’amare gli altri.
Si capisce anche perché il “povero”, che si confonde con il
saggio, è disposto a dare tutti i suoi averi in cambio della sag­
gezza che è consapevolezza del proprio essere e scoperta della
via per portarlo alla pienezza.
32 VC 21 c

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Un lieto messaggio ai poveri
La prima icona identifica la povertà evangelica col mistero
dell’Incarnazione del Figlio di Dio che è la consacrazione di
Gesù di Nazaret.
Una seconda immagine ravvisa nella povertà il misterioso
segreto della missione di Gesù e quindi la chiave della fecondità
della Chiesa33. Di entrambe la “povertà” è il segno rivelatore.
Gli uomini non se ne rendono conto e non riescono ad accet­
tarlo. Egli lo afferma invece pubblicamente quando a Giovanni
il Battista, alla ricerca di una conferma della sua identità mes­
sianica, manda a dire: «Ai poveri viene annunziata la buona no­
vella» 34. Oggi avviene lo stesso: dove si risveglia la speranza dei
poveri, dove essi riprendono la loro dignità, si rivela che il
Regno è all’opera.
Perciò i poveri sono scelti esplicitamente come destinatari
primi, principali, significativi e fecondi della missione sotto l’i­
spirazione dello Spirito: «Mi ha mandato ad annunziare ai po­
veri un lieto messaggio»35. Non sono gli unici. Anche a coloro
che posseggono beni viene offerto il messaggio: ma come pro­
posta di povertà, a partire dall’esperienza del bisogno, della
condivisione, dell’amore e della liberazione.
La povertà è contenuto dell'annunzio: «Beati i poveri» 36.
«Non accumulate tesori in terra, dove tignola e ruggine consu­
mano e dove ladri scassinano e rubano»37. «Che giova all’uomo
guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?»38.
Con questo discorso il vangelo porta l’uomo agli interrogativi
fondamentali dell’esistenza e allo stesso tempo, nel tipo di vita
e negli insegnamenti di Cristo, gli offre la via per risolverli.
33 cf. VC 25 a
M Lc 7, 22
35 Lc 4, 18
30 Mt 5, 3
37 Mt 6, 19
38 Mc 8, 36

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
La conclusione di Gesù, molto esplicita, è sintetizzata in
una espressione lapidaria: «Non potete servire a Dio e a mam­
mona» 39. Egli denuncia come alienante per l’uomo l’eccessiva
preoccupazione per la ricchezza, che lo condiziona e lo soggioga.
Non privilegia, in modo manicheo e indiscriminato, la condi­
zione economica dell’indigenza nei confronti di quella agiata.
Di questa relativizza il valore e ne svela le insidie, in riferi­
mento alla conversione del cuore, alla costruzione del Regno, al
compimento del destino dell’uomo e alla qualità dei rapporti
umani. La sua raccomandazione è: «Con la ricchezza procura­
tevi amici che vi accolgano nelle dimore eterne»40. Perciò non
disprezza il denaro. Ne loda l’impiego nella vedova che offre il
suo obolo41, in Zaccheo che promette di dare la metà dei beni ai
poveri e restituire quattro volte tanto quello che aveva frodato42,
nel fattore astuto che lo mette a frutto per assicurarsi amicizia
ed accoglienza43.
La povertà della vita consacrata prolunga ed attualizza l’in­
segnamento di Gesù nei confronti dei beni. Si esprime dunque
nella proposta di un diverso rapporto con essi, in una contesta­
zione della ricchezza fine a se stessa, della cupidigia e della in­
cessante brama di possesso e quindi di un diverso rapporto tra
le persone e i popoli. Infatti la prepotente avidità di denaro e
l’ebbrezza di possedere sono alla radice di molti gravi mali che
affliggono le società di oggi: il disporre orgogliosamente degli
altri, l’ingiustizia protetta, la miseria.
Il distacco, sia interiore che esteriore, l’essenzialità, la ri­
nuncia a possedere, non rappresentano perciò un impoveri­
mento e tanto meno una negazione dei valori autenticamente
umani, ma piuttosto una loro trasfigurazione; propongono una
“terapia spirituale” per l’umanità, poiché rifiutano l’idolatria e
M Le 16, 13
40 Le 16, 9
41 cf. Me 12, 42-44
42 cf. Le 19, 8
43 cf. Le 16, 1-13

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
quello che ne consegue, e rendono in qualche modo visibile
il Dio vivente44.
La povertà, oltre ad essere spazio umano e contenuto del­
l’annuncio, è caratteristica irrinunciabile del missionario evan­
gelizzatore. Egli si affida alla parola, alla forza convincente
della carità, alla promessa della vita. Non ha bisogno per il
viaggio «di prendere bisaccia, bastone, pane o denaro, né due
tuniche»45. Ha dalla sua parte il potere di Gesù di scacciare i
demoni, la gioia di annunciare la salvezza e di guarire le ferite
dell’uomo. È disposto a vivere di quello che gli offrono.
La povertà collegata direttamente alla consacrazione e al­
l’annuncio ha per il missionario consacrato un valore ascetico:
gli consente di purificare il cuore, il rapporto e la parola, libe­
randoli dall’istinto di dominio e autoaffermazione, di possesso e
ricerca di prestigio così fortemente radicati sia negli individui
che nelle comunità. «Le persone consacrate saranno missio­
narie innanzitutto approfondendo continuamente la coscienza
di essere state chiamate e scelte da D io __liberandosi dagli im­
pedimenti che potrebbero ritardare la totalità della risposta
d’amore: in questo modo potranno diventare un vero segno di
Cristo nel mondo»46.
I primi cristiani
«Sull’esempio dei primi cristiani mettiamo in comune i beni
materiali», dice l’art. 76 delle Costituzioni.
La povertà di Cristo si è espressa nel dono di sé fino all’e­
stremo gesto della morte. La comunità che nasce dalla sua Ri­
surrezione, rafforzata dal dono dello Spirito Santo, si sente
chiamata a realizzare l’unità fraterna fra tutti gli uomini attra­
verso la condivisione dei beni spirituali e materiali.
« cf. VC 87
45 Le 9, 1-6
40 VC 25 b

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
«La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva
un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà
quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune»47.
La “koinonia” dunque include molti aspetti dell’esistenza, anzi
non ne lascia fuori alcuno: l’unione dei cuori, l’uso dei beni ma­
teriali, la partecipazione all’Eucaristia e alla preghiera, l’espo­
sizione della vita quotidiana, il convergere in un unico progetto
di presenza nella società.
La volontà e la realizzazione della comunione, elemento in­
dispensabile della povertà evangelica, si è manifestata in forme
diverse lungo i tempi e continua a trovare oggi nuove ed elo­
quenti espressioni: «Per le persone consacrate, rese "un cuor
solo e un’anima sola" (.At 4,32) da questo amore riversato nei
cuori dallo Spirito Santo (cf. Rrn 5,5) diventa un’esigenza inte­
riore porre tutto in comune: beni materiali ed esperienze spiri­
tuali, talenti e ispirazioni, così come ideali apostolici e servizio
caritativo»48.
Ne risulta il moltiplicarsi delle risorse: un capitale anche di
beni temporali che cresce dall’interno fino a potersi distribuire
«secondo il bisogno di ciascuno»49, in modo che «nessuno pa­
tisce necessità»50, perché a ciascuno viene distribuito secondo la
propria urgenza51. È un fenomeno costante nei secoli: la po­
vertà orientata alla comunione produce abbondanza. La ric­
chezza posseduta in maniera individuale riproduce ed estende
la miseria.
Questa povertà, che ripone la sua speranza nella comu­
nione, ha un primo spazio di semina e di raccolto nella comu­
nità religiosa, dove si dona senza calcolo, per sconfessare il
principio del “ciascuno per sé” e fare la prova di costruire una
fraternità gioiosa e testimoniante. Non si riduce all’uso delle
« At 4, 32
48 VC 42 b
19 At 2, 44
50 At 4, 32
51 cf. At 4, 35

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
cose, né è sua principale intenzione custodire un patrimonio
economico comunitario, ma offre la possibilità di un’esperienza
spirituale che ha anche valore temporale.
Il desiderio di condivisione tra i primi cristiani supera i con­
fini della comunità ristretta e si rivolge alle Chiese sorelle e a
coloro che sono nell’indigenza e nel bisogno. Paolo organizza
una colletta in favore della comunità di Gerusalemme biso­
gnosa e gli Apostoli eleggono dei diaconi, come risposta all’esi­
genza di curare i poveri e le vedove. Guardando alla nostra si­
tuazione, così si esprime Vita Consecrata: «L’opzione per i po­
veri è insita nella dinamica stessa dell’amore vissuto secondo
Cristo. Ad essa sono dunque tenuti tutti i discepoli di Cristo;
coloro tuttavia che vogliono seguire il Signore più da vicino,
imitando i suoi atteggiamenti, non possono non sentirsene
coinvolti in modo tutto particolare. La sincerità della loro ri­
sposta all’amore di Cristo li conduce a vivere da poveri e ad ab­
bracciare la causa dei poveri»52.
L’esperienza della vita religiosa lungo i secoli dimostra che
uno degli aspetti che determinarono il decadere della vita co­
mune fu l’interpretazione del rapporto tra la povertà collettiva
e quella individuale. Si giunse fino al paradosso di avere reli­
giosi ricchi in Istituti poveri e viceversa religiosi non possidenti
in Istituti padroni di vasti possedimenti in contesti di generale
povertà. E necessario andare al di là di una interpretazione le­
galista e rinnovare sia individualmente che comunitariamente
la scelta di seguire Gesù, intesa come audacia nell’amore, capa­
cità di condividere generosamente, assenza di preoccupazione
per il quotidiano, abbandono alle misteriose vie di Dio.
Tali prese di posizioni portano verso gesti coraggiosi, anche
controcorrente, che consentono ai religiosi di essere assertori
credibili del valore umano della povertà, di denunciare con la
vita le ingiustizie perpetrate nei confronti di tanti figli di Dio e
52 VC 82 b

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 27
di«impegnarsi per la promozione della giustizia nell’ambiente
sociale in cui operano»63.
La povertà di Don Bosco
La povertà evangelica è, tra i tre consigli, quella che pre­
senta maggiori diversità, per quanto riguarda la pratica, nei
vari progetti di vita consacrata, fino a caratterizzarli profonda­
mente: c’è la povertà degli anacoreti, quella delle grandi istitu­
zioni monastiche, dei mendicanti, dei contemplativi, degli isti­
tuti di vita attiva, dei consacrati secolari.
La rilettura attenta di Vita Consecrata deve orientare la no­
stra riflessione e la nostra prassi verso una conversione che
coinvolga comunità e singoli. A tal proposito credo indispen­
sabile, per completare il quadro di riferimento, invitarvi a
rivolgere lo sguardo per qualche momento a Don Bosco. Di lui
afferma plasticamente il commento alle nostre Costituzioni
che «visse la povertà con uno sguardo a Cristo e uno ai giovani
poveri» 54.
Don Rinaldi ci fornisce una importante chiave di lettura per
capire che cosa pensasse Don Bosco della povertà. Parlando ai
confratelli di Valdocco nel dicembre del 1930 in occasione del­
l’esercizio della buona morte, riferì un episodio di cui egli
stesso era stato testimone. Il nostro Padre si era dimostrato
particolarmente severo nei confronti di alcune richieste che si
erano espresse nella comunità di San Benigno (pastranini
nuovi per tutti i chierici e tendine per le finestre delle camere).
In risposta ad un confratello che dopo la conferenza rilevava
non doversi disgiungere il decoro dalla povertà, egli ribadì che
il “decoro di un religioso è la povertà” . «Aveva parlato in tal
modo della povertà - sottolineava don Rinaldi - proprio quando
alle sue scuole di Tipografia apprestava i locali più grandiosi
che vi fossero in Torino per stabilimenti congeneri, e costruiva
53 VC 82 b
MII progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 537

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
un collegio magnifico accanto alla chiesa di Sem Giovanni Evan­
gelista» 55. Tale apparente contraddizione suggerì a Don Rinaldi
una distinzione tra la povertà di ciascun salesiano e delle comu­
nità e le esigenze dell’opera educativa con la quale Don Bosco
vorrebbe essere all’avanguardia del progresso, secondo l’espres­
sione usata da lui col futuro Pio XI56.
Infatti egli impiegò buona parte del suo tempo a cercare
mezzi per sostenere le sue opere, facendosi elemosiniere per il
bene della gioventù povera. Gente di ogni ceto in Italia, Francia
e Spagna metteva a sua disposizione anche ingenti quantità di
denaro, colpita dalla santità e dalla semplicità del nostro Padre.
Dalle sue mani passarono milioni senza che vi rimanesse un
centesimo. Il suo stile di vita, nell’abbigliamento, nel cibo, nei
viaggi, nell’arredamento del suo studio, nel concedersi sonno e
riposo era rigoroso, grazie alle precoci esperienze di gioiosa po­
vertà avute in famiglia, agli esempi di sua madre e alla ferrea
volontà di spendere ogni attimo del suo tempo e ogni briciola
dei suoi averi per i giovani.
È evidente il suo orientamento verso l’ideale di Gesù povero
a cui egli si ispirava e che spesso additava all’attenzione dei Sa­
lesiani. «Gesù Cristo nacque, visse, abitò, si nutrì, e morì po­
vero. E questa santa povertà era argomento continuo della Dot­
trina che predicava. Alle moltitudini annunziava la necessità di
distaccare il cuore dalle cose della terra e ciò imponeva a coloro
che invitava ad essere suoi apostoli; e da quelli che gli doman­
davano di essere da lui accettati come discepoli per formare so­
cietà con lui, esigeva che rinunziassero a quanto possedevano,
anche alle loro famiglie»57.
Conosciamo la sua incrollabile fiducia nella Provvidenza, at­
traverso gli innumerevoli aneddoti che di lui ci ha tramandato
la prima generazione di Salesiani e le sue frequenti raccoman­
dazioni. «La Divina Provvidenza ci ha finora aiutato e, dicia­
66 MB X iy pag. 549-50
56 cf. ib.
57 MB IX, pag. 699

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
molo pure, in modo straordinario in tutti i nostri bisogni.
Questo aiuto, siamo certi, vorrà continuarcelo anche in avve­
nire per l’intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice, che ci
ha sempre fatto da Madre. Ma questo non toglie che noi dob­
biamo usare dal canto nostro tutta quanta la diligenza sì nel di­
minuire le spese, ovunque si possa, come nel far risparmio nelle
provviste, nei viaggi, nelle costruzioni ed in generale in tutto
quello che non è necessario. Credo anzi che per questo noi ne
abbiamo un dovere particolare e innanzi alla Divina Provvi­
denza e innanzi ai nostri stessi benefattori»68.
Don Bosco collega dunque la generosità della Provvidenza
con lo spirito di povertà, quasi che ad attirarci l’abbondanza dei
doni di Dio siano il nostro slancio apostolico, il nostro quoti­
diano dimenticarci, il nostro donarci per il bene della gioventù.
D’altro canto, conoscitore per studio e connaturalità, della
storia della Chiesa e degli ordini religiosi, connette la floridezza
e capacità vocazionale di questi con il fiorire o decadere della
povertà nella vita e nella missione «Una terza cosa mi preme
anche assai ed è l’osservanza perseverante del voto di povertà.
Ricordiamoci, o miei cari figliuoli, che da questa osservanza di­
pende in massima parte il benessere della nostra Pia Società e
il vantaggio dell’anima nostra»59.
Oggi il messaggio e la preoccupazione di Don Bosco ci inter­
pellano a ritornare alle sorgenti rigeneratrici della nostra storia
e della nostra consacrazione. Nei contesti del benessere e in
quelli dell’indigenza, il ricupero della forza carismatica im­
messa nella Chiesa dallo Spirito per la salvezza dei giovani at­
traverso Don Bosco, non può che passare attraverso la testimo­
nianza umile e limpida della nostra sequela di Gesù. Don Bosco
ci sprona a rendere chiaro, a riformare, se necessario, il nostro
modo di vivere da poveri sia individualmente che comunitaria­
mente. I giovani, guardando alla generosa povertà del nostro
68 MB XVIII, pag. 191
59 ib.

3.8 Page 28

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
dono, non potranno che essere catturati dalla beatitudine che
Dio ci dispensa.
4. Alcune indicazioni per l’oggi.
I motivi ispiratori della nostra prassi comunitaria e del no­
stro vissuto personale esposti sopra vanno riportati alla situa­
zione concreta che stiamo vivendo.
È indispensabile saper discernere secondo il criterio di si­
gnificatività carismatica, concentrarsi sull’essenziale e affidarsi
alla memoria dello Spirito Santo per trovare espressioni elo­
quenti della nostra povertà. Ciò comporta travaglio, incertezza
e a volte anche tensioni appassionate e feconde.
La miseria s’impone oggi all’opinione pubblica di tutto il
mondo con una evidenza tragica. L’indigenza è condizione esi­
stenziale, spesso subita come conseguenza di ingiustizie, di mi­
liardi di uomini e donne in ogni angolo del globo. La povertà
abbracciata per il Regno dei cieli non gode della stessa evi­
denza; è scelta da pochi, sembra quasi sommersa, spesso presta
il fianco a fraintendimenti e ad interpretazioni tendenziose. C’è
chi non crede alla nostra professione di povertà, ci attribuisce
interesse e profitto e, tutto sommato, una esistenza garantita
in ogni senso.
Come dare oggi visibilità comprensibile e soprattutto consi­
stenza evangelica alla nostra opzione pubblica di povertà?
Attenta responsabilità
Rammento innanzitutto l’atteggiamento della vigilanza,
del confronto esigente tra l’ideale professato e le manifestazioni
quotidiane della povertà. È facile slittare verso compromessi
anche singolarmente non gravi, ma che nell’insieme sviliscono
l’espressività della consacrazione.
In questi anni abbiamo proposto spesso lo scrutinium pau-

3.9 Page 29

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IL RETTOR MAGGIORE 31
pertatis, raccolto nei Regolamenti: «La comunità locale e ispet-
toriale verifichi, con la frequenza che riterrà opportuna, il pro­
prio stato di povertà circa la testimonianza comunitaria e i ser­
vizi resi. Studi i mezzi per un continuo rinnovamento»60.
Possiamo domandarci: a livello comunitario, ci siamo dav­
vero impegnati a passare al vaglio il nostro tenore di vita, le no­
stre abitudini, le nostre scelte? Ci aiutiamo a rilevare con since­
rità le nostre infedeltà, i nostri accomodamenti? Incoraggio
ogni singolo confratello, le comunità e coloro che esercitano il
servizio dell’autorità a vivere lo scrutinium anziché come un
esame di coscienza, come un’esperienza dello Spirito, come affi­
damento al suo fuoco purificatore e alla sua forza rigeneratrice.
Lo scrutinio non può sfuggire dal verificare alcune tendenze
forse circoscritte, ma che, trascurate, possono divenire dirom­
penti, come la gestione individuale del denaro e delle risorse
che sconfina in una economia parallela, tende a sfuggire ad
ogni verifica, dà origine a palesi disuguaglianze a scapito dello
spirito fraterno e della qualità stessa della vita religiosa.
C’è infatti un dinamismo, insito nell’ossatura della nostra
consacrazione, che dobbiamo avere il coraggio di lasciar sprigio­
nare, perché lo Spirito, anche attraverso la nostra collaborazio­
ne, possa operare oggi la salvezza dei giovani. È la scelta di una
"austerità profetica" che contesta il possesso fine a se stesso e de­
nuncia la tentazione di sentirsi importanti e sicuri per ciò che si
ha e si è acquisito. Mostrare debolezza o accondiscendenza nei
confronti degli abusi più evidenti (conti personali, viaggi costosi
non concordati, tenore di vita borghese, disponibilità dei più ag­
giornati comfort, mezzi di trasporto esclusivamente personali...)
significa svuotare gradualmente di senso e di testimonianza sia
la nostra consacrazione che la nostra missione.
In alcune Ispettorie le comunità locali vengono aiutate, at­
traverso appositi sussidi, a non perdere di vista l’insieme delle
esigenze odierne che la povertà comporta conforme alle Costi­

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
tuzioni e alle indicazioni della Chiesa: l’austerità nello stile di
vita, la comunione dei beni, il lavoro, l’impegno per la giustizia,
l’attenzione preferenziale ai poveri.
Lo scrutinium oltre che a comunicare responsabilmente e
fraternamente tra di noi, sarà utile per una crescita nella com­
prensione e pratica della povertà. Anche riguardo ad essa ci
vuole una “formazione permanente” che porti ad approfondire
il suo senso evangelico, superi l’osservanza corretta ma abitudi­
naria e ci apra a nuove esperienze.
Destinazione apostolica dei beni
Abbiamo già sottolineato che la Provvidenza, in svariate
forme, mette a nostra disposizione risorse finanziarie. Da ciò
devono derivare alcune attenzioni.
La prima riguarda la loro scrupolosa destinazione all’edu­
cazione e l’evangelizzazione dei giovani e del popolo, alla pro­
mozione dei più poveri, alla formazione degli educatori, leaders,
catechisti. Nei miei viaggi sono rimasto colpito nel constatare
che in molti luoghi i Salesiani hanno davvero pensato soprattut­
to ai giovani nel costruire nuove strutture. La residenza dei Sa­
lesiani è spesso modesta ed essenziale, mentre l’opera apostolica
è stata attrezzata con locali accoglienti ed arredo adeguato.
Forse oggi c’è da specificare che bisogna investire soprat­
tutto nella crescita delle persone e dei gruppi. Le strutture
siano semplici, degne, sufficienti allo scopo odierno e dell’im­
mediato futuro, non costose per quanto riguarda gestione e
manutenzione, decise dopo discernimento attento sulla loro ne­
cessità. Destiniamo invece denaro a qualificare persone, a pro­
muovere movimenti, all’educazione dei giovani delle classi più
povere, ad iniziative di evangelizzazione e di promozione
umana. Altrettanto si deve dire del' nostro tempo che pure
equivale al denaro.
Alla destinazione “apostolica” va aggiunta oggi quella “cari­
tativa”, che tende a sollevare i bisogni indilazionabili e primari

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTOR MAGGIORE 33
come la fame, la salute, i servizi basici, l’accoglienza di chi è pro­
fugo o senza tetto. «Dallo ai poveri»61 è detto anche a noi, so­
prattutto riguardo ai beni non necessari, si tratti di strutture o
di denaro. Gran parte della beneficenza che ci arriva è stata mo­
tivata e viene offerta per alleviare tali bisogni. Non sarebbe giu­
sto impegnarla per spese di gestione o in costruzioni superflue.
Una seconda attenzione riguarda il criterio di conserva­
zione dei beni di cui disponiamo. Ormai un po’ dappertutto gli
adempimenti civili e sociali a cui siamo tenuti per legge sono mol­
teplici, gli oneri finanziari legati alle strutture ed al loro mante­
nimento assai gravosi, le possibilità di investire e capitalizzare
sono varie. D’altra parte, è in corso tra noi il ridimensionamen­
to delle presenze e l’organizzazione delle risorse. Non mi soffer­
mo sui problemi più puntuali in merito, che saranno oggetto di
orientamenti specifici da parte del Dicastero competente.
Mi preme invece evidenziare, nello spirito della nostra po­
vertà, il principio della pronta disponibilità delle risorse per l’a­
postolato; e quindi della non capitalizzazione fine a se stessa in
edifìci, in possedimenti o in denaro. Possono insinuarsi anche
tra noi una mentalità ed una prassi orientate ad accumulare
per assicurare un profitto tenuemente o lontanamente colle­
gato alla missione.
Coniugare fiducia nella Provvidenza e saggia previdenza è
un compito arduo e non sempre decifrabile a prima vista. La
tensione tuttavia va salutarmente mantenuta, per non correre
il rischio di gestire in maniera sprovveduta e d’altra parte per
evitare impostazioni decisamente speculative, dove si rischia di
perdere quello che con più creatività e cuore poteva essere im­
mediatamente impiegato in favore della gente. È il caso di ri­
cordare l’affermazione di Don Bosco: «I nostri beni e denaro
appartengono ai poveri»62.
61 Mt 19, 21
82 MB y pag. 682
3

4.2 Page 32

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Solidarietà
Abbiamo già accennato alla solidarietà, come elemento de­
terminante nel quadro normativo della povertà salesiana. Non
si tratta di un "optional", ma di un dovere costituzionale, che
attiene alla nostra identità comunitaria di consacrati e figli di
Don Bosco.
Non vi nascondo che, proprio in questo ambito, insieme a si­
tuazioni esemplari di comunicazione di beni in Congregazione,
ce ne sono altre di evidenti sperequazioni: nella stessa Ispet-
toria ci sono opere che dispongono di notevoli mezzi finanziari
e di abbondanti riserve, mentre altre patiscono scarsità di ri­
sorse e si vedono limitate nella possibilità della missione.
Queste situazioni vanno affrontate con serenità, ma con de­
terminazione e risolte a scadenza immediata dagli organismi
comunitari competenti: Consiglio della casa, Consiglio ispet-
toriale, Capitolo ispettoriale. In particolare il governo ispetto-
riale giunga ad indicazioni precise per la conduzione economica
delle comunità locali e dell’Ispettoria secondo il dettato dell’art.
197 dei Regolamenti: «L’Ispettore con il consenso del suo
Consiglio stabilirà i contributi richiesti dai bisogni dell’Ispet-
toria, li notificherà alle case e farà ritirare il denaro che risul­
tasse eccedente.
Predisporrà un piano periodico di solidarietà economica fra
tutte le case dell’Ispettoria per aiutare quelle più bisognose...»63.
La solidarietà tra le comunità è norma per l’Ispettoria e
viene organizzata dal livello ispettoriale, da dove si ha una vi­
sione più ampia ed oggettiva della missione delle varie comu­
nità locali.
In alcuni casi, lo riconosco, ci vorrà un’autentica conver­
sione, un completo cambio sia di mentalità che di prassi. Ma è
necessario farlo, con spirito di disponibilità e distacco, sicuri
che una gestione più solidale costruisce fraternità, offre possibi­
63 Reg. 197

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
lità insperate alla missione, garantisce una maggiore fedeltà e
trasparenza nella testimonianza personale dei confratelli e con­
sente di destinare risorse anche ai bisogni urgenti della Chiesa
e della gente.
Educare all'uso dei beni
Educare con la testimonianza, gli insegnamenti e adeguate
esperienze. C’è un fascino da sfatare, quasi una idolatria da cui
non sono liberi i giovani. Anch’essi vogliono possedere per im­
porsi, godere e apparire: denaro, vestiti, moto, computer, va­
canze. Spesso con assoluta ignoranza delle necessità di chi è vi­
cino. Ciò può capitare nei nostri stessi ambienti, sebbene nel­
l’ultimo tempo si è reso visibile lo sforzo di sensibilizzare i gio­
vani alla solidarietà, con una buona risposta da parte loro.
C’è una forma di vita da suggerire, attenta a tutti i bisogni
della persona, ma non incline ai consumi e allo spreco. Ne può
essere un esempio l’organizzazione di famiglie che si propon­
gono di vivere con il necessario e contenere le spese superflue.
C’è un rispetto e una cura dei beni comuni da sottolineare:
l’ambiente, la natura, la vegetazione, lo spazio di vita.
C’è soprattutto da offrire una visione cristiana della gerar­
chia e della destinazione dei beni e della loro gestione privata e
sociale. La tendenza dominante oggi nella società non tra­
smette tale visione. Ci vuole dunque un supplemento di espe­
rienze specifiche e di illuminazione per farla capire e assimi­
lare. Su questa linea vanno le diverse forme di volontariato, le
collaborazioni a cause umanitarie, le informazioni su problemi
gravissimi quali la fame, lo sfruttamento dei deboli, la disoccu­
pazione endemica, di cui soltanto occasionalmente si occupano i
mezzi di comunicazione. Agli inviti alla carità ed alla organizza­
zione di prestazioni volontarie, va aggiunta una corretta vi­
sione sociale delle situazioni che ne faccia emergere le cause ge­
neratrici e suggerisca le eventuali linee di soluzioni anche
strutturali.

4.4 Page 34

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Il CG23 sottolineava l’urgenza di formare i giovani alla di­
mensione sociale della carità nel contesto dell’educazione
alla fede64. Infatti questa non può non sentirsi coinvolta se­
condo quanto diceva Giovanni Paolo II nel messaggio per la
Quaresima: «Vi sono perduranti situazioni di miseria che non
possono non scuotere le coscienze del cristiano e richiamano il
dovere di farvi fronte con urgenza sia personalmente che in
modo comunitario»65.
Amare i poveri in Cristo
Amare la povertà vuol dire sentirsi povero tra i poveri. La
nostra preparazione culturale e la nostra professione di sacer­
doti ed educatori ci colloca quasi naturalmente in condizione di
sicurezza, di prestigio, di sufficienza, di rapporti con un certo
ceto sociale. Per alcuni ciò può diventare ricerca e diletto. Da
questa posizione stendiamo la nostra mano e il nostro sguardo
verso coloro che sono nella miseria con la beneficenza e con le
iniziative.
Sovente però rimaniamo psicologicamente distanti, senza
partecipare alle sofferenze dei poveri, né ricevere le loro ric­
chezze di umanità. Una esposizione diretta alla povertà non
può che essere salutare per la comunità. Per una rimeditazione
della portata della nostra scelta preferenziale per i poveri, vi ri­
mando alla lettera Si commosse per loro66.
Non in tutte le opere l’accoglienza, l’aiuto e la condivisione
possono assumere le stesse modalità. È interessante comunque
che in nessuna manchi la consapevolezza delle povertà che ci
sono attorno o lontano, la conoscenza delle sue radici nelle per­
sone che le soffrono e nei nostri comportamenti: è importante
che si possa assicurare che tali povertà trovano spazio nel cuore
w cf. CG23, 209-214
65 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 1999
66 ACG 359

4.5 Page 35

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IL RETTOR MAGGIORE 37
e nelle iniziative della comunità. Una Chiesa capace di compas­
sione è una delle richieste pressanti in questo tempo in cui i
problemi di cui parliamo commuovono l ’opinione pubblica.
A questo ci richiamano le Costituzioni : «Lo spirito di po­
vertà ci porta ad essere solidali con i poveri e ad amarli in
Cristo. Per questo ci sforziamo di essere vicini a loro, di solle­
varne l’indigenza, facendo nostre le loro legittime aspirazioni
ad una società più giusta»67.
Conclusione.
«Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a
mani vuote»68. Quello di Maria è il primo cantico di una per­
sona umana che Luca pone nel Vangelo. Introduce ed inter­
preta la vicenda di Gesù con la chiave della storia della sal­
vezza, come paradigma e momento definitivo di essa.
Maria racconta non soltanto la sua esperienza personale di
elezione ed esultanza, ma dà una visione della storia umana e
confessa le energie che la muovono: Dio ne è il protagonista con
il suo amore manifestato nella potenza messa a servizio della
misericordia. I poveri della tradizione biblica ne sono i primi
destinatari, scelti come “luogo” della rivelazione di tale potenza
e misericordia e come motore della storia. La ricchezza e la po­
tenza identificate con la superbia umana vanno indefettibil­
mente verso la consumazione e, lasciate a se stesse, anche verso
il degrado e la corruzione.
La storia ricomincia sempre dai poveri e si apre al futuro se­
condo la misura della loro speranza.
Alla vigilia del Terzo millennio i temi della povertà e della
ricchezza, del potere e della dignità umana sono diventati pre­
valenti. La conversione dal secolarismo autosufficiente al Dio

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38 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
vivente, in questo snodo viene messa in stretto rapporto con il
possesso, la destinazione, la gerarchia e l’uso dei beni, materiali
e culturali. Il Magnificat sembra risuonare come un pro­
gramma per i nostri tempi.
Ci aiuti Maria a credere, a sperare e amare secondo la
visione del suo Cantico.