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LA SALA CLEMSON A ROMA-TESTACCIO (1908)
Maria Franca Mellano
La sala Clemson nasce dal dono di una gentildonna inglese, Francis
Clemson, ai primordi del ‘900. Sorge in concomitanza con la nuova chiesa di
s. Maria Liberatrice, affidata ai salesiani, che da pochi anni erano presenti nel
quartiere colla scuola pontificia. Fu pensata, come già l’edificio chiesastico, a
totale utilità e beneficio della gente, che in gran numero popolava quella parte
della città.
Roma era da poco più di un trentennio capitale d’Italia e il Testaccio, a
quel tempo area periferica, registrava un’alta concentrazione di abitanti, in
gran parte forestieri. Versava inoltre in condizioni economiche largamente di-
sagiate e fino ad allora non aveva posseduto una parrocchia adeguata all'alto
numero di persone confluite in prevalenza da fuori Roma.
La donatrice inglese si era convertita alla religione cattolica e intendeva
col suo gesto generoso offrire un aiuto consistente (come si vedrà anche dalla
spesa materiale della costruzione), affinché i salesiani, che avevano accettato
la responsabilità spirituale della parrocchia in aggiunta all’impegno delle
scuole, potessero sviluppare in un quadro più ampio e moderno la loro opera
in mezzo alla popolazione testaccina.
Attraverso l’archivio dell’Ispettoria romana è possibile fissare con esat-
tezza alcuni particolari interessanti che riguardano l’attuazione di questo pro-
getto. Ispettore era allora don Arturo Conelli,1 il quale rappresentava la massi-
ma autorità della congregazione in loco. Conelli era in regolare contatto epi-
stolare con l’architetto Mario Ceradini, incaricato della costruzione di s. Maria
Liberatrice, allora in corso. L’architetto, residente a Torino, era stato scelto dai
superiori di Torino per i quali lavorò pure in altre parti d’Italia e all’estero.2
1 Arturo Conelli (1864-1924). Milanese di nascita, entrò a Valdocco nel 1877; fu caro a
don Bosco e si segnalò sempre per le sue doti intellettuali e morali. Risiedette a Roma come
ispettore, e successivamente divenne economo generale. Fu anche visitatore nell’America set-
tentrionale. Cf DBS 95-96.
2 G. M. LUPO, Gli architetti dell’Accademia Albertina. L’insegnamento e la professione
dell’architettura fra Ottocento e Novecento. Torino, Umberto Allemandi 1996, pp. 120-121.
Fuori dei confini d’Italia Ceradini lavorò per i salesiani a Lubiana, Vienna, Lisbona e in varie
città della Polonia (cf p. 120). Contemporaneamente a queste attività l’architetto svolse all’Ac-
cademia di Torino l’insegnamento per ben 40 anni (1890-1930). A Roma, all’ASC sono con-
servate due lettere interamente autografe di Ceradini a don Rinaldi del 26 gennaio 1909 e del
1° febbraio 1909, riguardanti don Rocca e i lavori a Roma (Economato, Planimetrie, Adatta-
menti, Italia, Roma-Testaccio).

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In data 22 febbraio 1907 l’ispettore, indirizzandosi a lui, gli parla del
progetto «per costruire il Salone teatro», che la benefattrice inglese intendeva
finanziare. Quantifica anche l’entità della somma che presumibilmente
sarebbe stata versata: «si crede che sarà da lire 40.000 a 45.000».3
Dopo questa prima, le lettere sull’argomento sono numerose e ci consen-
tono, data la distanza che divideva i due corrispondenti, di reperire notizie
che non avremmo trovato documentate sulla carta, se il Ceradini, veneziano
residente nel capoluogo piemontese, fosse stato a Roma in pianta stabile.
Conelli fungeva in certo modo da intermediario tra la munifica signora e
l’architetto incaricato. Dal tenore dei suoi scritti veniamo a conoscere anche
notizie di contorno, che hanno la loro indubbia importanza. Si desume per es.
che l’idea di fare dono della sala alla congregazione di don Bosco non era
frutto di conoscenza diretta con i salesiani, destinati ad assumere la guida di s.
Maria Liberatrice, ma di un progetto maturato tra la committente e l’abate di
s. Anselmo, I. De Hemptinne.
A questo punto è conveniente fare un passo indietro per una precisazione
intorno alla storia complessa della nuova parrocchia del Testaccio.4 All’origine
i candidati ad assumerne la responsabilità erano i benedettini, dislocati sul vi-
cino colle dell’Aventino. Dopo l’avvento del pontificato di Pio X, prevalse ad
3 Roma, ARCHIVIO ISPETTORIALE SALESIANO, D. 503, vol. 8, f. 401. Si tratta di registri
con le veline degli scritti dell’ispettore in ordine cronologico. Circa la somma ipotizzata, è pos-
sibile formulare pressapoco il valore, rapportato ai nostri tempi, utilizzando il coefficiente di ri-
valutazione, fornito dall’Annuario Statistico Italiano, pubblicato nel 1999.
4 Roma, ARCHIVIO PRIMAZIALE DELL’ABBAZIA DI S. ANSELMO, Cartella Chiesa del Te-
staccio, III, 7 A. L’esame dei fascicoli contenuti all’interno dimostra che l’impegno per la co-
struenda chiesa di s. Maria Liberatrice era stato preso con serietà dall’Ordine benedettino. Cito
alcuni titoli: Nota preventiva della spesa occorrente alla costruzione della nuova Chiesa di s.
Maria Liberatrice nel Quartiere di Testaccio, Apaltatori (= sic) che si sono raccomandati per
fabbricare la Chiesa del Testaccio (che contiene molte lettere di aspiranti al lavoro); Nouvelle
eglise au Testaccio (con un «Preventivo approssimativo» di L. 193.163) ecc.
Si trova inoltre l’accordo stipulato tra la contessa M. Camilla Stoli «Presidente del-
l’Ecc.ma Casa di Tor di Specchi» e l’abate De Hemptinne per fissare le modalità del titolo
della nuova chiesa e la somma di L. 200.000 versata dalla casa religiosa.
Ci sono pure due documenti noti, ma molto importanti: la lettera originale del card. Re-
spighi con l’indicazione «riservatissimo» del 13 agosto 1905, indirizzata all’ab. primate dei be-
nedettini. Essa chiedeva al De Hemptinne di ritirarsi dal mandato, pur riconoscendo il «gran
merito per i lavori preparatori già compiuti». Acclusa, troviamo anche la minuta di risposta (16
agosto 1905) al card. Vicario di Roma con varie correzioni a mano, che evidenzia la pronta di-
sponibilità dell’abate al desiderio di Pio X, il quale, di fronte alla situazione difficile del quar-
tiere, riteneva che la presenza dei salesiani avrebbe avuto una rapida e sicura efficacia. Da con-
siderare che l’abate fra le sue carte, aveva già il progetto pronto dell’architetto Costantino
Sneider. Proprio su questo punto tornava a scrivere (21 sett. 1905) il card. Respighi, infor-
mando che il papa lasciava piena facoltà ai salesiani nella scelta del progetto, ma invitava l’a-
bate a mandare l’architetto Sneider per portare alla congregazione di don Bosco «i lavori pre-
paratori e i disegni fatti». Infatti il desiderio di Pio X era che «nel prossimo ottobre (= 1905) si
metta mano ai lavori di costruzione».
Nel fascicolo figura anche il documento conforme all’originale, mediante il quale il pon-

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un certo punto la convinzione che i religiosi di don Bosco fossero più adatti ad
accollarsi il compito della nascente parrocchia, popolata in larga parte di
operai. L’abate fu invitato alla rinuncia dal Vaticano, ma l’atto non coincise
con un suo disimpegno nei confronti di chi aveva ereditato l’incarico, quanto
piuttosto in una collaborazione silenziosa, come prova il caso qui in esame.
È per l’appunto l’abate di s. Anselmo che entra direttamente nel piano
del salone culturale da erigere. Per meglio dire, da lui era partito presumibil-
mente il consiglio per l’impiego del denaro che l’inglese intendeva elargire.
Questa partecipazione emerge inconfondibile nelle lettere che l’ispettore sale-
siano indirizza in quel periodo all’architetto Ceradini a Torino, il quale oltre
la chiesa parrocchiale romana venne invitato ad occuparsi in contemporanea
anche del salone. Entrambe le opere dovevano essere finite a breve termine.
Riprendiamo il filone relativo alla sala e alla mediazione che venne
svolta dall’ispettore salesiano. Apprendiamo da uno scritto di Conelli (20
aprile 1907) rivolto all’architetto a Torino, che egli aveva trasmesso all’inte-
ressata il preventivo di spesa e i disegni relativi alla sala, inviati dal Ceradini.5
Ma oltre a questi dati di carattere tecnico, c’è da considerare un’informazione
d’altro tipo ma di evidente interesse: la prevista costruzione rivestiva un pa-
lese gradimento addirittura presso il papa, come l’ispettore lasciava trasparire,
grazie ad una risposta ricevuta a sua volta dall’inglese. Essa specificava che
ne avrebbe parlato con l’abate di s. Anselmo «e col Santo Padre».6 Aggiun-
geva però Conelli: «anche nella sua riservatezza si poté capire che il disegno
le piaceva».7
Pio X era il papa che aveva risolutamente preso a cuore lo stato di ab-
bandono gravante sul Testaccio e per questo lo aveva dotato di una parrocchia
efficiente ai bisogni della popolazione. Dall’allusione ora riportata di Conelli,
si vede che il papa si era mostrato sensibile alla provvidenziale proposta, che
riusciva vantaggiosa per la nascente parrocchia.
L’inglese per parte sua non si limitava semplicemente a fornire la
somma (un dono di per sé rispettabile), ma appariva interessata all’esame di
tefice (22 maggio 1904) aveva investito l’abate di s. Anselmo per la costruzione della chiesa di
s. Maria Liberatrice. L’esame delle date di queste lettere chiarisce l’urgenza che il papa aveva
nella rapida conclusione del progetto.
Si tenga presente che i salesiani a loro volta diedero l’incarico per la nuova parrocchia ad
un altro architetto: a Mario Ceradini, che risiedeva a Torino. Come è stato detto, il Ceradini
svolse un’attività intensa per la congregazione di don Bosco sia in Italia che all’estero attra-
verso la costruzione da lui curata di vari edifici a carattere religioso (G. M. LUPO, Gli archi-
tetti..., pp. 120 ss.).
5 Roma, ARCHIVIO ISPETTORIALE SALESIANO, D. 503, vol. 9, f. 25 (Conelli a Ceradini,
20 apr. 1907).
6 Ib.
7 Ib.

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114 Maria Franca Mellano
particolari anche minuti attorno al lavoro, per proporre le varianti che rite-
neva utili. Come rileva in altro scritto Conelli, questo atteggiamento risentiva
anche dell’influsso dell’ab. De Hemptinne «suo suggeritore».8 L’appellativo
usato nei confronti dell’abate fa pensare al suo ruolo nell’operazione, che lo
obbligava ad essere discreto ma attento al tempo stesso alla responsabilità che
comportava il suo intervento nell’impresa.
Non meno delicata era la posizione di mediatore fra le parti, spettante al-
l’ispettore romano. Lo vediamo in atto nelle sue funzioni, pronto a sollecitare
anche telegraficamente l’architetto Ceradini per accelerare la definizione ul-
tima del programma, approvato in tutte le sue parti.9
Papa Sarto aveva potuto scrutare alle radici l’effettiva situazione esi-
stente in Roma mediante la visita apostolica iniziata nel 1904.10 Dal quadro
scaturito negli atti inviati dai visitatori del Vicariato era emerso lo stato critico
che sussisteva al Testaccio, e che postulava il bisogno di provvederlo sia di
strutture materiali, sia di un saldo programma di aiuti sul piano umano, so-
ciale e spirituale. Il quartiere risentiva infatti in modo pesante di carenze, do-
vute anche ad un impegno, che fino ad allora non era stato organicamente rea-
lizzato. L’intenso lavoro fatto dai salesiani dopo l’accettazione del compito ri-
cevuto aveva fatto scattare un piano, che nel giro di un tempo relativamente
breve giunse felicemente in porto: chiesa e sala, detta «Clemson», vennero
inaugurate nello stesso anno 1908, la prima il 29 novembre, la seconda l’8 di-
cembre, cioè a distanza di una settimana.11
In base alla testimonianza del Bollettino Salesiano risulta che l’edificio
parrocchiale, sicuramente molto più complesso e costoso, fu tirato su con no-
tevole difficoltà e grazie a svariati aiuti, resi necessari alla fine per giungere a
completare almeno l’esterno. L’urgenza di terminare era dettata da un’impel-
lente necessità: gli alti vertici della congregazione intendevano far «dono»
della chiesa al papa per il suo giubileo sacerdotale.
Il peso maggiore in quelle circostanze ricadde soprattutto sull’ispettore
di Roma, che dirigeva l’attività di coordinamento. Attraverso la sua corri-
spondenza con Ceradini, realizzatore del doppio progetto, veniamo ad appu-
rare, anche nel caso della parrocchia in costruzione, particolari che non dove-
8 Roma, ARCHIVIO ISPETTORIALE SALESIANO, D. 503, vol. 9, f. 47 (Conelli a Ceradini,
4 maggio 1907).
9 Ib., f. 96, telegramma di Conelli a Ceradini (14 giugno 1907), così concepito: «Posso
sperare ricevere domattina disegni per Clemson partente?». Al f. 99 troviamo anche l’indirizzo
romano: «Sig. Francesca Clemson, Palazzo Odescalchi, Roma».
10 F. IOZZELLI, Roma religiosa all’inizio del Novecento. Roma, Edizioni Storia e Lettera-
tura 1985.
11 Le vicende riguardanti la parrocchia e il problema sottostante della popolazione del
quartiere nei difficili anni dell’esordio salesiano al Testaccio sono attualmente allo studio e
porteranno ad una prossima pubblicazione, che al momento sto curando.

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La Sala Clemson a Roma-Testaccio 115
vano essere divulgati, per es. il contributo personale di Pio X, elargito in via
riservata, per accelerare certi lavori interni alla chiesa, che avrebbero dovuto
aspettare per la precedenza data a quelli esterni.12
La sala richiese ovviamente minor tempo anche nella costruzione, ed era
inoltre soltanto a carico della donatrice. Non per questo furono risparmiati i
fastidi a Conelli. La distanza Roma-Torino complicava i contatti necessari
con l’architetto, nonostante le premure e le sollecitazioni dell’ispettore. In
data 8 nov. 1907 Conelli faceva pressione sul suo interlocutore a Torino, chie-
dendogli insistentemente che provvedesse per un incontro a Roma con F.
Clemson, che – come è stato detto – intendeva essere perfettamente informata
intorno ai lavori.13
Lo scritto forse più significativo sopra l’argomento risale al 1° febbraio
1908. In questa lettera risalta un elemento singolare: la parte di garante as-
sunta dal papa tra la benefattrice e i salesiani nella persona di Conelli. Si ri-
cava inoltre che il costo dell’intero lavoro era stato definito in L. 40.000. L’i-
spettore si lamentava perciò con Ceradini, in quanto non aveva ancora chia-
rito a questa data gli ultimi accordi con la committente. La questione gli stava
sommamente a cuore, perché temeva una lievitazione dei prezzi, che sarebbe
ricaduta su di lui:
«Colla Sig. Clemson non posso tenere la via che Ella (= Ceradini) mi
propone, poiché esiste fra me e Lei una convenzione, depositata presso il
Santo Padre, nella quale convenzione io mi sono impegnato di fare la
sala per L. 40.000 entro otto mesi dal principio dei lavori, salvo casi di
forza maggiore. Questo non è un lavoro dell’Ufficio Tecnico (= sottoli-
neato nel testo), ma un lavoro mio, e la mia volontà risoluta è che venga
fatto colla maggiore economia, affinché o si stia intorno a quella somma
o vi si esca il meno possibile, essendo ogni uscita a carico dell’Ispettore.
La Sig.ra suppone che tutti i calcoli si siano fatti già, e farle attendere il
disegno […] non farebbe che indispettirla […]».14
Si tenga presente che il ritmo lavorativo col quale si procedeva attorno
alle opere in corso, fu improntato a regolarità, se il 12 marzo 1908 Conelli
così informava l’architetto a Torino: «La sala è disarmata […]» e si poteva
per conseguenza passare allo «stuccatore Pierozzi». L’ispettore raccomandava
di non perdere tempo: «Il lavoro che resta a fare è molto».15
12 Roma, ARCHIVIO ISPETTORIALE SALESIANO, D. 503, vol. 9, f. 498, Conelli a Ceradini,
27 febbr. 1908. Leggiamo: «[...] il Papa non brama che si faccia figurare l’altare come regalato
da lui, anche perché un tal regalo male s’accorderebbe coll’idea dell’omaggio nostro a lui, che
deve avere la Chiesa [...]». Cf anche Ib., f. 260 in data 6 ott. 1907.
13 Ib., f. 343, Conelli a Ceradini, 8 nov. 1907.
14 Ib., ff. 470-471, Conelli a Ceradini, 1° febbr. 1908.
15 Roma, ARCHIVIO ISPETTORIALE SALESIANO, D. 504, vol. 10, f. 38, Conelli a Ceradini,
12 marzo 1908.

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I tempi furono rispettati secondo il programma.
Relativamente alla sala, vale la pena soffermarsi sopra un particolare,
che a prima vista può apparire trascurabile. Tra le carte dell’ab. De Hemp-
tinne, conservate a s. Anselmo, si trova un piccolo foglio a stampa, curato da
Conelli, che riproduce nel dettaglio il programma delle grandi inaugurazioni
di fine 1908 al Testaccio (parrocchia e sala).16 Per l’8 dicembre, dedicato al-
l’apertura ufficiale del nuovo salone, è ancora prevista la presenza del rettor
maggiore Rua (come per la chiesa), ma viene riservato un intervento tutto
speciale per l’abate benedettino. Trascrivo il testo della parte che ci interessa:
«Ore 8: Convegno delle Associazioni Giovanili per disposizione della
Presidenza della S.D.G.C. / Benedizione della Bandiera del Circolo
Santa Maria Liberatrice / Messa del Rev.mo D. Rua con comunione ge-
nerale delle Associazioni suddette / Finita la funzione in Chiesa, benedi-
zione della SALA CLEMSON fatta dal Rev.mo P. De Hemptine (sic),
Abate Primate dei Benedettini».17
Si ravvisa con questo atto il riconoscimento per quanto aveva operato
l’abate affinché si avverasse il sogno di un locale veramente al passo con i
tempi, a disposizione della gioventù di s. Maria Liberatrice.
La persona della donatrice veniva ricordata attraverso una targa mar-
morea, che qui riprendo dal saggio di G. Malizia:
«A Dio profondamente grata / della sua conversione alla fede romana /
per tema che il popolo di Roma / dall’ignoranza e dalla licenza traviato /
perdesse la fede / a scopo d’istruzione e di sollazzo / Francesca C.
Clemson anglosassone / quest’aula innalzò / MCMVIII».18
Il testo dell’epigrafe fa venire in mente un altro testo analogo, apposto
pochi mesi dopo e a breve distanza dalla sala Clemson, il quale risulta
animato da un medesimo spirito. Da entrambe le dediche ufficiali emana
l’intento lodevole di riscattare da una condizione d’inferiorità una popola-
zione, condannata senza colpa ad essere tagliata fuori dai circuiti della cul-
tura. In questo secondo caso risulta ancora più esplicito il motivo liberatorio
dalle secche dell’ignoranza, in quanto si trattava della biblioteca in via
Marmorata 169, che Domenico Orano aveva voluto per i cittadini. L’epigrafe
recita:
16 Il titolo recita: «Programma-Orario. Consacrazione della Chiesa di S. Maria Libera-
trice con novena e festa dell’Immacolata».
17 Roma, ARCHIVIO PRIMAZIALE DELL’ABBAZIA DI S. ANSELMO, Cartella Chiesa del Te-
staccio, III, 7 A.
18 G. MALIZIA, Testaccio. Roma, Newton Compton 1996, p. 45.

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La Sala Clemson a Roma-Testaccio 117
«Alla scienza / mente della terza Roma / d’ogni umana miseria emanci-
patrice / questa biblioteca / primo tempio laico del Testaccio / a garantire
la purezza / d’una redenzione di plebei / Domenico Orano / consacra /
XXVII giugno MCMIX».19
A dispetto di qualche punta polemica affiorante nelle due proposizioni
dedicatorie, salesiani e laici perseguivano le stesse finalità squisitamente
umanitarie, pur partendo da premesse diverse.
La sala Clemson giocò sicuramente un ruolo prezioso per i giovani, le-
gati alla parrocchia. G. Malizia, che da ragazzo la frequentò, fornisce una va-
lida testimonianza al riguardo, ricordando fra l’altro che la sala vide i primi
passi nel campo del teatro dialettale di Checco Durante.20
Via via col tempo la memoria della fondatrice andò smorzandosi, e i
successivi rimaneggiamenti a cui venne sottoposto l’edificio, fecero sbiadire i
motivi a cui è legata la storia iniziale.21
Oggi, a distanza di circa un secolo, rievocando l’insediamento salesiano
al Testaccio, è conveniente riscoprire e ripercorrere strade che sono state un
po’ dimenticate. È soprattutto doveroso richiamare il ricordo di personaggi
che in anni difficili spesero le proprie energie e promossero con la loro solida-
rietà un’effettiva trasformazione nel quartiere.
19 Ib., p. 40. Su Orano cf S. LUNADEI, Testaccio: un quartiere popolare. Milano, Franco
Angeli 1992.
20 Scrive G. Malizia: «In quella sala-teatro negli anni Trenta Checco Durante fece i
primi passi di attore, affermandosi anche come poeta romanesco». (Ib., p. 45).
21 Ancora G. Malizia: «La sala Clemson per noi ragazzi degli anni Quaranta-Cinquanta
non esisteva affatto sotto tale denominazione, perché, per noi, quella sala era e forse resterà nel
ricordo malato di nostalgia soltanto «er cinema de li preti», dove «Tomme Micche» (Tom Mix)
e Stanlio e Ollio erano degli eroi dei nostri pomeriggi domenicali. Ma i tempi cambiano e di
giorno in giorno il modo di pensare pure, mentre le esigenze moderne sopraffanno i sentimenti,
talvolta romantici, annebbiando perfino i ricordi più belli e più genuini. Oggi la sala Clemson
praticamente non esite più perché i salesiani hanno creduto opporturno di darla in gestione ad
altri. Così una trasformazione completa della palazzina della sala Clemson ha dato vita a tre
sale cinematografiche [cinema Greenwich] per la proiezione di film di prima visione secondo
un programma in cui l’Opera Salesiana non entra affatto, restando la proprietaria dell’edificio».
(Ib., p. 45).